Racconti di Salvatore Presti


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Il sindaco “Genio” rosanero
 

" Dacci la cura, togli dalla città la spazzatura!"

 

Uno

Quando ero bambino in casa mia si cucinava di tutto, e secondo il periodo dell’anno, per le feste comandate siciliane, è sempre abbinato un dolce o un piatto tipico. Posso tranquillamente affermare che sono cresciuto con l’idea che l’odore di fritto è qualcosa di buono e salutare. Il fritto corrispondeva sempre ad una pietanza che poteva essere: polpette al sugo, cotoletta, panelle, ma soprattutto arancine, arancine “accarne”.

Le prime arancine che mangiai erano fatte in casa, oggi mi accontento anche di quelle comprate al bar, ma non è la stessa cosa. Mia mamma e le mie zie erano, e tuttora sono, delle fabbriche di arancine. Il procedimento prevede sempre la preparazione del riso il giorno precedente, poi, il giorno seguente, la preparazione delle arancine con tutti i condimenti, rigorosamente fatti in casa. Il consumo di arancine impone una riunione di tutti i familiari in modo da gustare e condividere il piacere del cibo.

Da qualche tempo faccio sempre un sogno ricorrente. Mi rivedo bambino a parlare con un Sindaco-Genio dell’arancina, tipo quello della lampada di Aladino, un tipo cicciottello, sorridente, con la pelle dorata, vestito però con una maglia rosa nero e nel petto stampata un’aquila. La sua casa non é la lampada ma un’arancina “accarne”. Per farlo manifestare si deve dare un morso all’arancina, rigorosamente calda, e pronta a sprigionare tutti i profumi, tra cui si confonde il genio-sindaco pronto a risolvere tutti i problemi atavici della città di Palermo.

La scorsa notte nel sogno, dopo il primo morso, chiesi al sindaco in di risolvere un problema atavico della città: “ Sindaco-Genio dell’arancina a me vicino, che dall’arancina ti sei manifestato, dacci la cura, togli dalla città la spazzatura!”.

Un inciso, problema è una parola grossa, pesante, richiama sempre situazioni che alcune volte non hanno soluzione. Per Palermo parlare del problema della spazzatura equivale a non trovare nessuna soluzione per la gestione dei rifiuti, ovvero a rinviarlo a nostri figli, nipoti e pronipoti.

Il Genio, interrogato dalla mia vocina, mi rispose:

Caro Totò, far sparire in un attimo tutta la spazzatura disseminata Palermo Palermo non servirebbe a nulla, anche se in mio potere, perché domani mattina saremmo punto e a capo. Tutte le magie di questo mondo sono inefficaci contro la maleducazione di molti palermitani, ahimé in larga maggioranza.”.

Spiegami meglio .”, risposi.

Io con le mie arti magiche potrei rendere la città pulita in un battibaleno, ma dopo qualche ora molti palermitani, impressionati da tanta pulizia diffusa verrebbero, indotti a sporcare la città peggio di prima. Per alcuni sporcare la città è un atto di affermazione della propria “panormitudine”. Un modo di manifestare la propria presenza sul territorio, un po’ come fanno i cani quando fanno la pipì per marcare il territorio.

Ma allora, Sindaco – Genio dell’arancina, vuoi dire che non c’è una soluzione?

La soluzione potrebbe esserci, ma non è una cosa così immediata. La gente di una volta, fino agli anni 30 del secolo scorso, aveva un forte senso di appartenenza ai luoghi dove era nata e ne era anche responsabile. Nei paesi, nei quartieri non esisteva la spazzatura disseminata per strada, perché la spazzatura non esisteva. Tutto veniva costruito in casa, tutto veniva restituito alla natura, che avrebbe saputo cosa fare dei nostri scarti. E poi ogni persona di borgata provvedeva personalmente a spazzare e lavare i luoghi nei pressi della propria abitazione.

Oggi viviamo nell’era del consumo, che viene assunto a modello di vita, e di conseguenza nell’era dello scarto, la spazzatura appunto, generata da tutti i prodotti da noi consumati a vario genere.

Questo modo di vivere, in funzione del consumo, viene travisato da molti sporcaccioni palermitani, oserei dire “Mammaddrau”, i quali, quando devono liberarsi dei loro rifiuti, lo fanno in modo non consono e non secondo le regole. Questo loro comportamento rende così la città, la loro città, la nostra città, invivibile, proprio per gli spettacoli di tanti rifiuti abbandonati nel modo più irrazionale possibile.

E’ difficile darne una spiegazione razionale. Molti arrivano a rendere luridi perfino gli spazi posti difronte la propria casa, rendendo impossibile l'azione di camminare usando i marciapiedi. Direi dei veri casi clinici da studiare.”

Ma allora?”. Con la mia vocina.

Una volta un mio amico Genio mi disse che per risolvere il problema dei rifiuti di Palermo voleva cancellare i geni sporcaccioni di molti palermitani, ma secondo le leggi moderne questo non si può fare, non si può modificare il DNA dei palermitani! Fammi riflettere, fammi ritornare nell’arancina “accarne”.Per risolvere un quesito così grande, dovrò dormirci sopra”.

Due

La mattina seguente mi svegliai con il sapore in bocca dell’arancina “accarne”. Meglio con il desiderio di consumare subito un’arancina. Per un vero intenditore la scelta del bar giusto o friggitoria non è facile, perché per essere soddisfatto, la sua arancina deve essere di qualità ed appena fritta.

Il percorso, delle vie della città per arrivare al bar, era costellato da cassonetti traboccanti di spazzatura, divenuti ormai ristoranti a cielo aperto per ratti e gabbiani. Questa dei cassonetti aperti, pur avendo li coperchio, con tanto di meccanismo azionato a pedale, evidenzia come i palermitani si interfacciano con questi contenitori.

Ogni volta che ne piazzano uno, nuovo, sono gli stessi netturbini a rimuovere il meccanismo per la chiusura. Questo venie fatto per due motivi: il primo, i palermitani tutti, non toccherebbero mai il pedale di apertura del cassonetto per motivi di pregiudizio igienico sanitario, avrebbero paura di contaminare la suola della propria scarpa dove altre scarpe hanno osato il loro appoggio; il secondo è che molti preferirebbero buttare la spazzatura vicino al cassonetto pur di non aprirlo. Questo mal costume tipico della città di Palermo offre uno spettacolo indecoroso e di degrado in alcuni quartieri dove non si effettua la differenziata porta a porta.

Il bar da me scelto era situato nella borgata dell’Arenella. Un piccolo bar che manifesta la sua presenza con l’odore di fritto nel raggio di più isolati. Luogo di pellegrinaggio delle 7 del mattino per molti intenditori.

Lì vi trovai tanti estimatori dell'arancina dell’alba e non solo. La luce del giorno non si era manifestata del tutto e questo passaggio di luce faceva presagire qualcosa di buono, l'inizio di un giorno diverso per Palermo.

Comprai l’arancina, ed essendoci poco spazio nel locale, mi recai fuori per consumarla. Al primo morso vidi come se un fantasma si stesse materializzando, ma era solo fumo e profumo di arancina. Mi tornò in mente il sogno, la sporcizia che attanagliava la città e la fiducia che il mio io bambino riponeva nello stesso sogno benefico.

Lavorai tutto il giorno, e la sera, dopo aver cenato mi addormentai davanti alla TV seguendo uno programma televisivo demenziale, che passava per uno spettacolo d'intrattenimento, realizzato con i pacchi. Ottimo per annoiarsi e prendere subito sonno.

Cominciai nuovamente a sognare e di trovarmi dentro ad un bar con il Sindaco- Genio dell'arancina seduto vicino a me.

Mi guardava fisso negli occhi e rideva, poi disse:

Sai piccolo Totò credo di aver trovato la soluzione al tuo desiderio.”

Bene! Risposi saltellando di felicità sul posto, come fanno tutti i bambini quando, per l’eccitazione, hanno bisogno di scaricare tutta l’adrenalina che hanno in corpo.

Il genio riprese:” Per mettere tutto a “posto”, come si dice a Palermo, bisogna scatenare il Dio-Mito della Creduloneria ed il Dio-Mito del Denaro Facile, avendo i Palermitani dimenticato il Dio-Mito della Buona Educazione”.

Non capisco Genio cosa tu voglia dire ?

Ora ti spiego. Il mondo si muove su delle leve, nel senso che tutti gli uomini fanno qualcosa perché una certa leva interiore glielo chiede,glielo impone. Una volta le persone avevano le leve della buona educazione, del rispetto altrui, della semplicità, della concretezza della lentezza. Questi tempi invece sono caratterizzati da altre leve tipo: denaro, forza, potenza, bellezza esteriore, mito dell’eterna gioventù, velocità, viaggi. A queste leve, che ho elencato, alcuni palermitani associano anche la leva degli sporcaccioni, una specie di malattia mentale che gli fa provare piacere quando sporcano le strade dove abitano. Molti, poi, sono gravemente malati; non si limitano a lasciare per strada solo i sacchi di spazzatura, ma anche tutti i propri elettrodomestici non più funzionanti, vecchi mobili e tanto altro, creando alcune volte delle vere e proprie barricate su strade e marciapiedi. Vere immagini apocalittiche, post guerra.

Ora ti spiego brevemente il mio piano.

Fase uno: dobbiamo fare credere a tutti, scatenando il Dio-Mito della Creduloneria che la spazzatura abbia un valore economico altissimo;

Fase due: dobbiamo creare una App da installare nei telefonini che dia dei punti, tipo buoni pasto, a coloro che porteranno la spazzatura differenziata negli appositi centri di raccolta disseminati nei quartieri della città. Naturalmente diremo che i punti acquisiti potranno essere spesi convertiti in buoni per acquistare di tutto: macchine, moto, viaggi, cene, soggiorni, entrate in locali vip, prodotti di bellezza, esperienze sensoriali, servizi di bellezza trattamento del corpo sia per uomo che per donna… Insomma racconteremo la più grande frottola del secolo, anche se in questo secolo è difficile capire ciò che è vero e ciò che è falso. Diremo quello che tutti vogliono credere. Diremo anche che gli uffici per convertire i buoni sono in fase di allestimento e che ci vorrà un po di tempo per riscuotere.

Fase tre: racconteremo che il servizio punti verrà gestito da una super società, finanziata con fondi pubblici, che avrà il compito di gestire il tutto. Così quando questa società fallirà, il fallimento sarà più credibile.

Genio- arancino non capisco cosa tu voglia fare?.”

Con la storiella dei punti molti palermitani che adorano il Dio- Mito Denaro saranno indotti a uccidere il Dio-Mito dello Sporcaccione, involontariamente, con l’abitudine saranno costretti a ripristinare in Dio-Mito della pulizia delle buona educazione. Quando tutto funzionerà alla perfezione, la città sarà pulitissima, diremo che il Manager della super società, finanziata con fondi pubblici, per rendere credibile in racconto, sarà scappato con il bottino dei soldi dei buoni in un paradiso fiscale. A quel punto pur se non sarà rimborsato più nulla ai tanti raccoglitori volontari creduloni, ex sporcaccioni, molti avranno provato la sensazione di vivere in una città pulita e ordinata e tornare indietro sarà impossibile.”

Io con la mia Vocina: “Geniale! Sindaco- Genio dell’arancina.”

Tre

La mia sveglia suonò, erano le 6:30 del mattino. Le prime luci dell’alba annunciavano un nuovo giorno. Vidi dalla finestra un mio vicino sporcaccione, uno sporcaccione seriale, che rovistava nel cassonetto dell’immondizia. Non capivo cosa stesse facendo. Lui che per il suo status di sporcaccione non riconosceva il cassonetto come luogo del conferimento era buttato a testa in giù e piedi in aria dentro quel maleodorante contenitore per raccogliere un ultimo pezzettino di carta. Poi gli vidi differenziare tutta la spazzatura e con dei sacchi enormi dirigersi verso la propria macchina per chissà quale destinazione. Aveva anche un telefonino in mano. Sembrava che facesse dei conti. Ogni tanto emetteva un giubilo di gioia, gioia vera; EVVIVA!!! SARO RICCO!!”.

Non capii cosa stesse succedendo. Andai a farmi un caffè con la mia moka. Lo feci per darmi tempo per riflettere. Misi il caffè nella tazzina e mi affaccia dalla finestra della mia veranda per sorseggiare il mio caffè con l’aria del mattino. Il mio vicino indaffarato mi vide, stranamente mi salutò, non lo faceva mai. Poi,con un sorriso compiacente, mi disse:

Signor Salvo, le dispiacerebbe, se salgo un attimo a casa sua per ritirare la spazzatura. Ho fatto un sogno, ho sognato che diventerò ricco con i punti della spazzatura. Metta naturalmente anche il tufo del caffè della moka, per tutto il resto ci penso io.”

Mi diedi due sberle in faccia, non capendo se stessi ancora dormendo, non mi svegliai perché ero già sveglio. Allora scoppiai in una grossa risata. Era il 4 di Settembre del 2050.

 

Fumo

 una storia di ordinaria indifferenza e vigliaccheria palermitana

Quel pomeriggio con la mia ragazza era stato splendido, il mare di Mondello ci aveva saziato gli occhi con la sua bellezza, il verde caraibico   del mare siciliano non aveva nulla da invidiare a quello delle isole che scoprì Colombo, anzi era più bello: la baia protetta dal vento  dai monti posti sui due lati con alle spalle floridi giardini mediterranei rendeva, e rende tuttora, quella località un posto unico al mondo per le sue condizioni climatiche. Allora avevo 18 anni, era il 1977,  e mi trovavo in compagnia di Maria, quella che oggi è diventata mia moglie, erano i primi approcci di un amore puro come lo era il mio cuore di allora, anche l’aria sapeva di fresca salsedine, di pulito. Così soddisfatti della giornata ci dirigemmo alla fermata di dell’autobus, quella in prossimità della piazza di Valdesi, il luogo che delimita il confine tra la località balneare la Favorita, il parco di Palermo che divide la città dalla famosa località marina. L’attesa stranamente non fu molto lunga come al solito,  erano  circa le sei del pomeriggio, ed i bagnanti dei lidi, come noi,  erano già sulla strada del ritorno, anzi molti si trovavano sull’autobus della linea Sei Bello per tornare in città. Gli autobus di allora non erano capienti come quelli di oggi, non avevano ampi finestrini, aria condizionata, posti per disabili, nastrini a cui tenersi nelle rapide curve, ma erano sempre il mezzo di tutti i palermitani, del popolo, per recarsi in paradiso. Il prezzo da pagare naturalmente, sia all’andata che al ritorno, a parte il biglietto era quello di dovere viaggiare costipati come le sardine, ed i corpi dei viaggianti si scambiavano nel viaggio di andata creme solari, al ritorno indistintamente sudore e  piccoli granelli di sabbia finissima  rimasti attaccati alla pelle. Tutto sommato il disagio  si poteva accettare, solo un quarto d’ora di tempo fra  la città ed il mare. Io come mio solito, per evitare troppi contatti, preferivo stare nella parte retrostante l’autobus, appoggiato con le spalle al vetro, così pure Maria vicino a me. Era un continuo guardarsi negli occhi per trovarci ed annullare tutto ciò che stava intorno, ma ad un certo punto quel nostro amoreggiare fu interrotto da un suono non familiare: non era il rumore del cambio, né quello della marmitta bucata, del mezzo, né quello giocoso dei bambini, né il civettare delle donne che continuavano il cuci e scuci che avevano iniziato nelle piazzole dei lidi, era il pianto, anzi no, era il lamento di un’anziana signora seduta vicino la bussola dell’apertura posta a metà del mezzo.

Cercai di capire cosa stesse succedendo, ma non riuscivo a vedere bene. L’unica cosa che sentivo era: “ Non ce la faccio più, staiu moreennuuu! Non respiro aiuto! Pi favuri a finissi i fumare”. ( “  Non ce la faccio più, sto morendo! Non respiro, aiuto! Per favore la finisca di fumare.) Guardando meglio mi accorsi che vicino alla signora c’era un giovane, una specie di bue, in canottiera e pantaloncini, che a me dava le spalle e che fumava tenendosi allo stesso tempo  con il braccio agganciato ad un bastone di sostegno; lui  portava con disinvoltura la sigaretta in bocca e dopo emetteva del fumo a suo piacimento: una volta sulla signora anziana seduta, una volta facendo anelli verso il soffitto, una volta nella direzione del finestrino aperto, come a voler misurare la velocità di crociera. Era un ciclo di azioni a caso che veniva stabilito istante per istante. Tutto ciò era: una specie di meditazione Zen e allo stesso tempo una forma di piacere ludico e sadico, ed ancora uno studio del moto dei gas. Dopo qualche minuto dal primo lamento, la signora cominciò il secondo come il primo, però stavolta accompagnato da un pianto interrotto. Tutti i presenti per un istante si voltarono, ma dopo un attimo, facendo finta di niente ritornarono,  come dire, ai loro passatempi; solo un giovane si fece avanti e chiese al tizio,che però era spalleggiato da altri due come lui, di smettere di fumare.

Non poteva essere, pensai, una giornata così bella, da ricordare negli anni avvenire, non poteva concludersi con quel pianto di dolore. Il  mio orgoglio di giovane pieno di buoni propositi, fece scattare una molla dentro di me, che Maria aveva subito avvertito prima che pronunciassi queste parole: “ Ora ci vado e lo faccio smettere!”. Allo stesso tempo avevo valutato che essendo il fumatore incallito ed i suoi amici tre   ed io, essendo allora un bel ragazzone con fisico  sportivo, dando manforte a quel giovane coraggioso avremmo avuto buone chance per far terminare quell’azione maleducata. Maria cercò di fermarmi, mi strinse la mano, ma non ci fu nulla da fare. Ero deciso così chiesi permesso e pian piano tra quella calca umana mi avvicinai, nel dondolio del viaggio, a quel delinquente. Trasformai la mia mano destra a forma di cono, unendo le dita sulle punte, e con una certa forza bussai alla spalla di quel tipo. Dopo alcuni secondi con un movimento lento del collo si voltò verso di me e fumando mi disse: “Unnu  u viri ca un po passari!”( Non vedi che non puoi passare?); e lentamente ritornò nella sua posizione iniziale, poi voltandosi verso la signora emise con soddisfazione una boccata di fumo, tipo motore scarburato. La signora, ormai, era rassegnata, riusciva  a malapena a singhiozzare . Nuovamente bussai alla spalla e finalmente il tizio capì che non si trattava di una richiesta di passaggio, ma di qualche altra questione. “ si po sa piri chi buooi?”( Si può sapere cosa vuoi?). Ed io subito, in perfetto, italiano: “ Ma non lo vedi che questa povera vecchietta sta male? Che infastidisci sia lei che le persone che ti stanno vicino? Che in somma dovresti smettere di fumare?”.  E lui : “ e secunno tia aiu  a ghiccare na  malboro c’addumavu na stu minuto, ma comu si…..?”( Secondo te io dove buttare una malboro che ho acceso in questo minuto, ma dai di testa?).  ed io: “forse non sono stato chiaro, altrimenti….”; detto alzando gli occhiali da sole e con gli occhi usciti di fuori dalle orbite. In quell’istante vi fu la moltiplicazione degli orchi. A causa della mia irruenza, non mi ero accorto dei passeggeri che erano seduti lì vicino che si alzarono di colpo. Il clan era completo, tutti e cinque erano ben messi con delle pance molto pronunciate che non potevano essere contenute dalle canottiere, e che lasciavano intravedere degli enormi ombelichi. In quell’istante capii subito che i miei calcoli non erano stati fatti bene. Mio nonno me lo diceva sempre: “ Quannu viri un cani i mannara, sta sicuro che cinni stannau autri vicino.”( Quando vedi un cane da mandria, stai sicuro che ce ne sono altri vicino). Poi il fetore di vino cominciò ad arrivare alle mie narici: era come se si fosse aperta la porta dell’inferno. Cercai subito aiuto con gli occhi. Il giovane coraggioso si era dileguato, non lo vidi più, pensai che fosse sceso dall’autobus. Ero solo. L’autista che dallo specchietto retrovisore si era goduta la scena, continuò la sua guida tranquilla attraverso il parco, che in alcuni tratti sembra una galleria di foglie. La sua riga fra i capelli non si mosse, era come una bussola con la sua direzione predefinita immutabile. Un signore con la moglie fece finta di niente e guardò l’orologio. Due giovani come me, ben messi con il loro pallone supersantos vicino ai piedi continuarono i passaggi di calcio che avevano fatto tutto il giorno sulla battigia, trasformandoli in micro passaggi, senza alzare gli occhi. Sentendomi veramente solo, il mio sguardo impacciato andò a Maria  e con un sorriso forzato feci un gesto con la mano come per dire non  ti muovere, stai tranquilla.  Ma lei già piangeva, anzi piangeva a dirotto. La banda allora mi accerchiò ed il più magro dei grassi mi disse: “ ta firi a dillo arriere? Che dici Paluzzu i corna ci rumpenu ca o u facemu scinniri e ci rumpemu doppu”.( Sei capace di ripetere nuovamente quello che hai detto? Che  ne dici Paolino…. La testa( le corna della testa) gliela rompiamo qua o lo facciamo scendere e la rompiamo dopo?) Immediatamente pensai che il mostro si combatte alla testa mi feci coraggio e mi diressi da   Paluzzo, il capo dei capi e questo, contemporaneamente, si avvicinò a me fino a portare il suo naso vicino al mio. Immediatamente sentendo il fetore di vino mi tornò in mente l’odore di zagara di Maria che incautamente avevo lasciato. Paulazzo allora disse: “ Ora si si omo a scinnniri!”( Ora se sei uomo devi scendere dall’Autobus) . Io non mi feci intimorire. Capii che dovevo acquistare tempo. Allora risposi  in siciliano: “ io un mi scanto  di voi,anche se vuatri fussivu  u duppio, picchì sugnu certo ca prima ca moro mi ne purtari appresso na para e u primo si proprio tu.”( io non ho paura di voi, anche se voi altri foste il doppio, perché sono certo che prima di morire con me ne devo portare un paio e li primo sei proprio tu). Poi con aria bonaria da sacerdote nel momento della predica: “ Ma dimmi na cosa, Paluzzo,se sta donna fussi to zia, to nonna o to matri,  TU MI AVISSI A VANTARE A NON CONTRASTARE. E poi dimmi ri unni si?”( Ma dimmi una cosa, Paolino, se questa donna fosse ta zia, tua nonna o tua madre, tu mi dovresti vantare e non contratsare. E poi dimmi.. di dove si?)– e l’altro spavaldamente: “ru Buurgo.” ( del quartiere Borgo) Allora continuai:” ti rico una cosa che si scinno maviti ammazzare, picchì altrimenti vegno o Burgo come ricu io e poi viremu.” ( ti dico una cosa che se scendo mi dovete ammazzare, perché altrimenti vengo al Borgo, come dico io, e poi vredremo…) Questa reazione spiazzò il mio interlocutore. Lui era il capo. Quello che pensava per tutti. Quello che dava il via all’inizio della guerra. Ma sicuramente si pose una domanda: “ Ma cu è chistu? Contro cu mi staiu mittennu? Pisci grosso mancia pisci nicu, ma mai pisci grossu.”( Ma chi è quest’uomo? Contro chi misto mettendo? Pesce grosso mangia pesce piccolo ma mai pesce grosso) Capita l’esitazione continuai:”un pozzo  scinniri no parco, prima aiu a fare arrivare da picciuttedda in palemmo e poi na potemu discurrere come vulemo, vi darò complete soddisfazione.”(Non posso scendere nel parco, prima devo far arrivare quella ragazza a Palermo, dopo possiamo discutere come vogliamo, vi darò completa soddisfazione)   Paluzzu  guardò, non era un cretino, troppi testimoni, e accettò il patto con un movimento di testa. Poi  fece cenno ai compari con il dito di accerchiarmi e di bloccarmi.  Mi sentivo intrappolato in una cassa puzzolente con pareti sudate e appiccicaticce. Prima di togliere gli occhiali da sole, chiaro segno di sfida, guardai Maria e feci capire con gesti delle mani che la prossima fermata dovevamo scendere a piazza Croci e che lei avrebbe dovuto andarsene di fretta. Ero rassegnato. Arrivati alla piazza un gran numero di passeggeri scese dall’autobus, così Maria che invece di allontanarsi si spostò una decina di metri sia per cercare aiuto che per vedere quello che stava per accadere. Gli energumeni mi spinsero da dietro e l’ultimo rimase Paluzzo, ma quando questo stava quasi per scendere disse ai suoi compari: “picciò.. acchianate scinnemo all’altra, ca c’è a taverna”. ( ragazzi, salite, scendiamo alla prossima fermata che c’è la taverna) Sull’asse delle bussole dell’autobus ancora aperte, allungai il mio braccio in segno non di pace ma di rispetto nei riguardi, come dire, in un  pari grado, per rendere più veritiero il mio bluff. Lui alla stessa maniera rispose con la sua mano sudata come la mia del resto, e mi disse: “ qualche atra vota na riscurremu megghiu, dopo tutta stu cauro e stu fumo aio troppo siti”. ( qualche altra volta la questione la discuteremo meglio, dopo tutto questo caldo e questo fumo ho troppo sete.)

Appena partì l’autobus Maria si butto al mio collo, felice. Io intontito, freddo e sudato  al caldo di un pomeriggio d’estate dissi: “Che bella giornata e che culo!”

p.s.
una storia vera liberamente tratta da un racconto di un  mio amico.

 

Natale 2009
La crisi economica mondiale imperversava ormai da anni. Le fabbriche non producevano più macchine ed elettrodomestici e le ciminiere avevano smesso di fumare, sembravano giganteschi sigari spenti a metà. Le reti televisive, ormai, non avendo più fondi per i programmi d'intrattenimento, trasmettevano da anni sempre gli stessi programmi senza pubblicità, che i bambini conoscevano a memoria e che ripetevano ogni sera davanti al solito piatto di pastina con olio, durante l'ora di energia elettrica. Eppure qualcosa stava cambiando: molte nevrosi ormai non venivano più diagnosticate negli ospedali, vedere una persona obesa era ormai un fatto sporadico, molti avevano cominciato per necessità a salire la scale, non essendoci energia di giorno, e questo alla fine aveva avuto due effetti: il primo tutti si sentivano più in forma, il secondo gli abitanti del palazzo avevano cominciato a conoscere ogni pianerottolo e soprattutto i vicini dei piani sottostanti, cominciano così a socializzare. Per reperire il cibo molti avevano inventato delle cooperative fai da te per acquistare a minor costo dai produttori ciò di cui avevano bisogno per vivere ed i più audaci erano riusciti a coltivare piccoli giardini sotto casa, concimati con i rifiuti organici della propria famiglia e del vicinato. La comunicazione oramai era affidata ad una rete internet via radio costruita in modo artigianale da gruppi di persone di comunità nel raggio di 10 km , e tutte queste reti a loro volta sovrapponendosi riuscivano a mettere in contatto tutti gli internauti via etere del paese. Le scuole quelle fino alle medie erano organizzate nei piccoli quartieri in spazi comuni e possibili: dentro le chiese, nei magazzini vuoti, per strada quando c'erano le belle giornate. Gli insegnati, che ormai non venivano pagati da anni, prestavano la loro opera in maniera gratuita e le famiglie a turno li invitavano a casa per mangiare. Naturalmente i vestiti ormai non si buttavano più e le scarpe venivano in continuazione riparate, tutti vestivano in modo diverso, anzi l'unica moda possibile era propria questa. Era il natale del 2009 ma un miracolo stava avvenendo, molte persone che prima non parlavano per mancanza di tempo ed indifferenza, passavano interi pomeriggi a contemplare la natura non essendoci più teatri o a leggere ad alta voce vecchi libri per poi commentarli, l'aria ormai era più pulita in quanto tutti si spostavano in bici, gli aereoporti erano stati trasformati in campo di calcio, per andare a pescare i marinai utilizzano le barche a vela che prima venivano utilizzate per fare costosissime regate. Molte persone oramai erano diventate vegetariane per necessità ed i legumi avevano sostituito la carne. Le terra vista dai satelliti ancora funzionanti stava riprendendo i suoi colori blu misti verde e bianco delle nubi. Il buco dell'ozzono si era ricostituito lentamente così pure la troposfera e l'effetto serra era ormai un ricordo, come le piogge acide. In buona sostanza, risvegliatomi dopo un periodo di ibernazione a causa di mancanza di energia, a cui ero sto sottoposto perché stavo morendo per i famosi pm 10, oramai riuscivo a respirare a pieni polmoni senza dover ricorrere al mio spray. Era il natale del 2009.

La Balena Cucinera
La Balena Cucinera da bambina era sta sempre un po' grossetta. Lei aveva appreso dalla sua mamma tutte le arti culinarie: sapeva cucinare pasticci di lasagne, tagliatelle al ragù, polpettine e falsomagro a stufato con concentrato di pomodoro, carni arrosto e dolci di ogni specie e qualità. La sua cucine era molto elaborata, per le feste comandate poi, succedeva che i lavori per preparare il pranzo per tutti parenti duravano giorni; perché lei diceva che un buon piatto può essere gustato in 5 minuti, ma per essere veramente buono i tempi di preparazione e cottura possono durare giorni: ogni fase delle preparazione ha bisogno di attenzione, precisione, estro e amore. La sua cucina assomigliava ad un campo di battaglia, piatti sporchi nel lavandino, strofinacci appesi alla porta, bucce di patate sul tavolo, molliche di pane sparse sul pavimento, salsa di pomodoro attaccata sulle mattonelle e una nube d'olio di frittura completava il quadretto. Entrare in quella cucine era un esperienza incredibile in quanto gli odori di tutte le pietanze si mischiavano in un unico grande odore che preannunciava la grande abbuffata, annusando si riusciva ad immaginare l'intero pasto in pochi secondi.
Nel preparare i suoi piatti lei speso assaggiava le pietanze, non solo per ricercare la perfezione del piatto, ma soprattutto per gola, ma se qualcuno le avesse chiesto cosa avesse mangiato durante la preparazione dei cibi lei avrebbe risposto che nessun cibo aveva incontrato la sua bocca , che era completamente digiuna. Lei forse cancellava ogni azione di cui si vergognava, così spesso diceva che il suo aumento di peso era dipeso dagli odori buoni della sua cucina e dall'acqua che beveva. Ma la cosa incredibile è che il modo in cui lo diceva era così convincente che tutti i suoi parenti dopo qualche anno cominciarono a crederle, tutti erano convinti che lei ingrassava solamente con aria e acqua. I principali clienti della cucina della Balena Cuninera erano i nipoti e pronipoti fino alla terza generazione. Ognuno di loro aveva un compleanno da festeggiare, un piatto amato in modo particolare, così per quasi ogni giorno dell'anno ovvero per molti di essi c'era sempre un pranzo da preparare.
Nella sua piccola casa, annessa alla sua piccola cucina, spesso i tavoli per i commensali dovevano essere più di uno e distribuiti nelle varie stanza della casa. Era come una magia: una tavolo nel pranzo per gli adulti, uno per i mezzani nel tinello ed una piccolo per i bambini in cucina; cosi il numero dei commensali poteva benissimo raggiungere il numero di quaranta. In quella casa nessuno si sentiva solo, anzi tutti partecipavano diventando come un unico essere, i rumori di ogni ambiente si mischiavano fino a diventare un unico grande rumore. Gli unici spettatori erano i defunti che dalle loro fotografie circondate di fiori sempre freschi osservavano compiaciuti la loro discendenza nel cibarsi e crescere. Per questo fatto fin da piccolo e tutt'ora sono convinto che quella non è una casa normale, ma bensì un tempio e la Balena Cucinera la sua sacerdotessa. Forse la matriarca prima di morire le aveva lasciato un libro segreto di ricette con spiegazioni accurate e precise in modo che i piatti degli avi vivessero per sempre, e sicuramente quei piatti erano i legame fra tutti i componenti del suo clan. Tutti conoscevano le melenzanine ripiene, i carciofi imbottiti, i sospiri di savogliardi e crema di latte con dodici tuorli, il riso con cioccolato e cannoli di crema bianca, nera e di ricotta.
I nipotini rimanendo sempre più che soddisfatti del pranzo si esibivano per tutti i commensali con canti ed esibizioni teatrali, dopo i dolci e prima del caffé, naturalmente ogni esibizione era sempre accompagnata da un giro di piattino per raccogliere qualche spicciolo, da spendere poi in caramelle gelati e granite; e lei era sempre pronta a dare le monete ai suoi piccoli. Altra particolarità dei pranzi che si consumavano in quel tempio era che non c'era distinzione fra pranzo e cena: infatti dopo il caffé vi era sempre il rosolio, dopo le paste di mandorle e gli amaretti, dopo mezzora tra un giro si sette e mezzo e l'altro spuntava per incanto sulla tavola una guantiera di frutta secca, dopo la merendina dei bambini:cannoli in inverno pane bianco e pomodoro in estate; verso le sette già lei era rientrata nella sua officina per preparare speciali focacce e calzoni fritti, che venivano immediatamente consumanti da tutti. La sera dopo il pranzo-cena tutti rientravano nelle loro abitazione tranne i parenti che venivano da lontano e che dimoravano nella piccola casa, che per l'occasione si trasformava in un albergo ostello. Lei però quando si coricava già era e proiettata per il pranzo del giorno successivo, già immaginava una nuova pietanza per ammaliare tutti i suoi parenti e prima di coricarsi montava la panna per le granite al caffé o alla fragola, da accompagnare a brioscine, che avrebbe servito alla colazione per giorno dopo, l'inizio di un nuovo pranzo.

( dedicata ad una zia veramente speciale).

Racconto per bambini

Cacconello super Star
Nei fondali più blu, dove tutto è sempre bello, viveva una piccola
comunità di pesciolini da scoglio tutti indaffarati nelle vita di ogni
giorno. Vi era fra questi un pesciolino tutto azzurro, grassottello, con
gli occhi enormi, con grossi occhiali e una vista limitata, tanto da non
distinguere un corallo da una poseidonia a due pinne dal suo muso. Lui
era veramente brutto, sgraziato nei movimenti, tanto da sembrare una
specie di zavorra altalenante, il suo fare era gentile, ma tutti lo
evitavano, soprattutto per le scoregge maleodoranti che emetteva in
continuazione, senza però accorgersi di ciò. Così la mattina, quando
incontrava la sua vicina di tana la signorina Viola vestita sempre con
tutti i colori dell'arcobaleno, lui salutava: Buongiorno signorina
Viola- Prom, prom prom, - Come sta? Posso accompagnarla fino alla secca?
Prom. E lei: mi spiace vado di fretta. Non posso intrattenermi. (e con
fare scostante) Lo salutava. Così, solo e sconsolato riprendeva la sue
attività preferite: mangiucchiare le alghe e raccogliere i gusci vuoti
delle conchiglie per la sua collezione da tè. Si, proprio una collezione
da tè, perché Lui sognava sempre di fare una grande festa con mille
cibarie e mostrare una super collezione da tè. Alcune volte incontrava
la signorina seppia, ed al solito: Buongiorno, Prom, prom prom.ma lei
neanche rispondeva e quando la invitava la signorina buttava il suo
inchiostro ed anneriva l'acqua intorno per un paio d'ore. La sua vita
scorreva nella solitudine più grande.
Un giorno però accadde qualcosa di strano. La piccola baia dove viveva
la comunità fu invasa da enormi pescecani che cominciarono a perlustrare
la zona pina a pinna. Immediatamente tutti i pesciolini si nascosero
nelle loro tane, ma lui naturalmente non si accorse di nulla. Vide solo
che enormi ombre si proiettavano sul fondo. Penso che le nuvole del
cielo facessero quello strano effetto e continuò nella sua solita
passeggiata.
Il folto gruppo di squali non lo notò subito, in quanto anch'essi ci
vedono maluccio. Infatti sono sempre accompagnati da quei traditori di
pesce pilota che indicano ai loro padroni le prede. Ma mentre usciva da
una grotta che aveva appena finito di perlustrare fu individuato al dal
pesce pilota del re degli squali, il quale immediatamente diede le
coordinate al suo possente padrone."Pesciolino azzurro, grassoccello a
ore 10 profondità 30 pinne, distanza 300 pinne, si consiglia attacco
radente dal fondale. Così quel bestione, con la grazia di una sirena, si
adagiò sul fondale e con il suo infimo amico cominciò ad avvicinarsi a
velocità spaventosa. Quando fu sul bocconcino, spalancò l'enorme bocca
ed in sol boccone catturò Cacconello. Il nostro pesciolino non capì
nulla di ciò che stava accadendo, avvertì solamente che non vi era più
luce. " Che strano!" pensò.Saranno nuvole enormi o siamo in eclisse di
Luna? Dovrò chiedere chiarimenti al pesce metereologo. Un vecchio pesce
che soffriva di artrite e che grazie ai suoi dolori riusciva con
precisione impressionante a fare previsioni metereologiche anche di un
mese con attendibilità del quasi 100 %. Comunque, pensò, dato che tutto
e buio posso finalmente liberarmi delle ariette. Così cominciò: Prom.
Prom- prom- prom. Prom- Prom. La bocca del grande animale cominciò a
riempirsi di quel gas maleodorante ed a gonfiarsi come un pallone da
dirigibile. I suoi occhi diventarono di color viola, e per un attimo,
dal forte dolore li spalancò a tal punto da riprendere perfino la vista.
Sputò immediatamente il piccolo essere e disgustato cominciò a leccare
tutte le poseidonie che incontrava per togliersi di bocca quel sapore
nauseabondo. Nel frattempo Cacconello, proiettato come un missile, andò
a sbattere contro una vecchia anfora che da qualche giorno era diventata
dimora del polo. Lui era appisolato, ma l'urto lo destò e curioso uscì
un suo tentacolo dalla bocca dell'anfora per tastare il fondale e capire
cosa fosse successo. Tastando, tastando incontrò Cacconello, che per il
forte impatto era svenuto. Lo prese amorevolmente e lo portò nella sua
tana. Il polpo era uno scienziato oceanografico, si intendeva un po' di
tutto ed anche di medicina. Capì immediatamente che il piccolo essere
stava male, così lo mise in un angolo dell'anfora che presentava una
grossa crepa in modo che la corrente d'acqua fresca e ricca di ossigeno
lo rianimasse. Si accorse pure che la sua pinna dorsale era rotta, così
con un pezzo di corallo nero, sagomato sugli scogli, creò una piccola
asticina per potere sostenere l'arto dell'ammalato. Dopo qualche giorno,
il piccolo essere, si riprese, ringraziò il polpo che lo aveva salvato e
riprese la sua vita di sempre. Naturalmente, anche da svenuto Cacconello
aveva continuato ad emettere ariette, come era suo solito fare, tanto da
costringere il suo salvatore a cercarsi un'altra dimora in una vicina tana.
Nel frattempo gli squali erano diventati padroni indiscussi della baia.
Ormai i piccoli pesci della comunità potevano uscire solo la notte per
svolgere le loro attività e soprattutto per mangiare. Il rischio di
essere inghiottito da uno squalo era diventato enorme. Cacconello,
naturalmente, non capì nulla e continuò nel suo fare. La mattina
seguente passo dalla tana della signorina viola, la salutò e continuò la
sua passeggiata. La signorina Viola cercò di avvertirlo: "Stai attento,
ci sono enormi squali che girano!!!!" - " E' molto pericoloso
avventurarsi!!!." Ma lui essendo anche sordo, non avvertì l'ammonimento
del pesce multicolore. Così cominciò la sua passeggiata. La sera si
ritirò e passando davanti la tana della signorina Viola saluto come era
solito fare: "Salve, Prom -- Prom- Prom". La signorina Viola che era
anche una gran pettegola raccontò la cosa alla signorina triglia, che
non era da meno ed in un ben che non si dica tutta la comunità venne a
sapere che Cacconello non era stato divorato dagli squali. "Era forse un
traditore ?" tutti si chiesero. Il sindaco della baia blu, un grosso
scorfano, ordinò ai pesci vigili che quella sera a notte inoltrata di
andare a prendere il traditore per essere processato.
Così un squadra di pesci vigile con maschera antigas fecero
quell'operazione e portarono al cospetto del pesce scorfano e del
consiglio Cacconello. Immediatamente il pesce Tracina che faceva da
accusatore disse: " Ecco il traditore. Colui che ha fatto venire qui gli
squali. Cosa hai da dire a tua discolpa?". "Cosa ha detto?" Rispose
Cacconello. "Non ho capito...... colpa". Così per sentire meglio prese
un conchiglia a forma di tromba la mise al suo orecchio destro e disse:
" Volte ripetere? Non ho capito di chi è la colpa, e poi di cosa?".
"Non ha capito?!" rispose la Tracina. "Tu sei il traditore che ci ha
venduto agli squali." "Io non ho venduto nessuno! E' vero ho notato che
in questi giorni si aggiravano enormi pesci nella baia, ma stranamente
mi evitavano. Non capisco. Io sono un tipo educato ho sempre salutato
tutti. Naturalmente a modo mio e come tutti sapete soffro un po' di
ariette, è forse questa una colpa? Ogni tanto dovrò pure liberarmi". A
quel punto il polpo che per caso era entrato nella tana comunale
intervenne e disse: "E' innocente e racconto tutta la storia." In ultimo
concluse: " Se volte liberavi degli squali io conosco il modo."
La mattina seguente tutti i pesci della baia si coprirono il corpo con
argille azzurre, misero delle enormi conchiglie davanti gli occhi con un
forellino e si legarono sotto la pancia un sacco pieno si creta di zolfo
che sapeva di uova marce. Uscirono dalla tana al primo raggio di sole.
Gli squali nel frattempo videro quel gruppo di pesci ed immediatamente
tutti i traditori dei pesci pilota diedero le coordinate del gruppo
d'assalto. Ma appena avvicinatesi si accorsero che l'acqua era fetida e
che i pesci erano simili a quel pesciolino azzurro che qualche giorno
prima stava per uccider il re degli squali. Naturalmente il folto gruppo
di pesciolini comincio a fare delle pernacchie fragorose e rumorose come
le ariette di Cacconello. Sembrava di stare ad un concerto di trombe
stonate. Tutti i pesci pilota consigliarono ai loro rispettivi padroni
di scappare ed abbandonare la baia prima che il veleno di quei pesci li
avesse potuti uccidere.
Da quel giorno tutti diventarono più tolleranti nei confronti di
Cacconello. Qualcuno arrivo perfino a partecipare con la mollette al
naso ad una serata da tè organizzata dal nostro eroe. Il blu andò di
moda per molto tempo con occhiali bianchi enormi ed il salutare
naturalmente era sempre accompagnato da un Prom.

Il delfino e la sirena
In un sogno senza tempo, in un uno spazio calmo d'acqua senza confini,
una sirena ed un delfino s'incontrarono. Ambedue cominciarono ad
osservasi, a studiarsi nei loro movimenti, ambedue cominciarono a
incuriosirsi dei movimenti altrui, ......ambedue furono attratti,
ambedue.... Il movimento della sirena era ritmato, deciso e continuo,
come una forza della natura inarrestabile, però tutto si chiudeva in un
solo ritmo che sembrava non dovesse finire mai; nel delfino, invece,
tutto avveniva lentamente, ogni movimento veniva concordato con l'acqua,
quasi una contrattazione secondo per secondo,..... istante per istante,
il suo movimento veniva proiettato in avanti, pensato lontano , ma
alcune volte il delfino riusciva a raggiungere velocità elevatissime per
pochi istanti, cambiando nella sua traiettoria ritmi sempre crescenti
come illimitati. I due esseri così diversi istintivamente cominciarono
ad avvicinarsi nel loro nuotare, istintivamente cercarono di uguagliare
le loro frequenze cercando di pareggiarle per essere vicini, in modo
naturale si sorrisero. I suoni, forse parole, che si scambiarono avevano
poca importanza, erano contorno a qualcosa che era esistito da sempre,
che esisteva, che sarebbe esistito, ma solo in quel tempo assente e
magico si stava manifestando. Era qualcosa che era stato creato per
unire le forze dell'universo, per portare tutto all' insieme che tutto
unisce, che genera e che sempre ritorna a se stesso, ma assumendo forme
diverse. Ma ogni cammino, come ogni nuoto, porta sempre al bivio che
conduce alla verità, stupenda e dolorosa allo stesso tempo, o che
conduce all'auto illusione, facile comoda, ma limitata solo ad un tempo
drogato, perché poi tutto si riconduce sempre alla verità interiore,
alla quale nessuno può sfuggire. Decisero di separasi scegliendo la via
più facile per paura di perdere effimere certezze. Poi un risveglio
improvviso ristabilì, spazi tempi cose ed entità in luoghi e mondi
lontani,..... molto lontani fra di loro, ma ambedue ormai sapevano
dell'esistenza dell'altro, che sicuramente sarebbe venuto il loro
momento, perché anche le loro vite reali e quelle l'assenti erano ormai
parti unite, continue ed indefinite legate fra di loro in ogni tempo.

La fu caffettiera
Ogni ufficio ha la sua caffettiera, anzi no, ogni piano ha la sua
caffettiera, meglio ogni gruppo che si rispetti, ogni cerchia di
colleghi. Non so come sia cominciato il rito, forse qualche secolo fa,
ma ogni mattina chi arrivava prima in ufficio aveva il compito di
preparare la caffettiera sei tazze e metterla sul fornello elettrico.
Pian pianino nell'archivio, nel bagno per disabili, attorno all'armadio
incassato nel muro si formava un capannello di estimatori. Ognuno
raccontava la sua: mia madre ieri sera...., mio figlio,.... Sai cosa è
successo ieri al terzo piano....., la tizia oggi è più bona del solito.
In quei dieci minuti la giornata cominciata triste, veloce ed affannata,
ricominciava a prendere un ritmo umano, normale goliardico, e poi
succedeva un miracolo tutte le razze presenti in ufficio: dirigenti,
funzionari, istruttori, Asu di seria A e B, dimenticavano i ruoli e
riuscivano a parlarsi serenamente come uomini liberi dagli schemi. "Sono
arrivato tardi", esordiva un altro pretendente alla tazza, ed il capo
cerimoniale di turno: "non ti preoccupare ce lo dividiamo ( nu
spartemu)". La tazza di caffè condivisa secondo me permette fino in
fondo di entrare in una profonda intimità di pensiero.

Ma un giorno fatale si presentò un tizio, uno vestito come il becchino
delle caffettiere, aveva un tuta con su scritto: forniture di macchine
per il caffè espresso e cialde. Molti colleghi rimasero entusiasti.
Tutti volevano acquistare le cialde, da qual giorno sarebbero diventati
autosufficienti non avrebbero chiesto più il caffè a nessuno, non
avrebbero partecipato alle collette mensili per l'acquisto del caffè
della torrefazione vicina e dei biscottini. Ma immediatamente si pose un
problema: "la macchina espressa a cialde dove la mettiamo?". Subito
cominciò un referendum, non si poteva mettere nel bagno dei disabili, né
tanto meno dentro l'armadio incassato, né nell'archivio, dove il carico
di carta superava i 50 quintali, limite che impone precise norme
antincendio che necessitano il benestare dei vigili del fuoco. Qualcuno
propose la portineria, ma il portiere alzò subito le barricate. Sarebbe
stato il posto ideale perché chiunque entrando in ufficio avrebbe avuto
almeno un buon motivo per rimanerci. Subito dopo fu proposto al primo
piano il salone delle conferenze, ma qualcuno fece notare che quel luogo
di rappresentanza si sarebbe trasformato in un bar. Si propose il
corridoio del secondo piano, ma la cosa intralciava i colleghi che si
recavano al terzo piano. Così alla fine si decise di mettere la
macchinetta accanto ai bagni del terzo piano in un luogo solitario ed
oscuro che non permetteva nessun tipo di dialogo.
Da quel giorno la tavola rotonda degli estimatori dell'espresso si
sciolse, si formarono gruppi e fazioni, pochi avevano ancora voglia di
cominciare la giornata con due chiacchiere, in apparenza inutili, ed i
visi divennero tristi e ostili.

I gran cerimoniali più anziani decisero di riporre la caffettiera sei
tazze nella sua scatola, il fornello elettrico seguì la stessa sorte,
così pure il banchetto fu rimosso e per incanto scomparirono:
zuccheriera, scatole dei biscottini e bicchierini.

E dire che c'è qualcuno che è ancora convito che la tecnologia ci aiuta
sempre.

Racconto ecologista

LA MACCHINA AD IDROGENO :LA PIU’ GROSSA BUFALA DEI NOSTRI TEMPI, OVVERO E’ PULITO BRUCIARE UN PEZZO DI LEGNO CHE FAR CAMMINARE UNA MACCCHINA CON MOTORE AD IDROGENO.

Speso si sente dire della televisione, dai giornali o dai mass media che la macchina con motore ad idrogeno è la panacea per la soluzione di tutti i problemi d’inquinamento causati dalle macchine con motore a idrocarburi. Sarà vero? Vediamo. Di seguito una breve descrizione del sistema e commento.
Le macchine con motore ad idrogeno altro non sono che delle macchine elettriche alimentate da pile a celle a combustibile, cioè funzionanti con idrogeno ed ossigeno che combinandosi tra loro senza bruciare in atmosfera producono acqua + energia elettrica: una corrente elettrica.
Il rendimento di questi sistemi è veramente alto circa il 70 % dell’energia iniziale molto alto rispetto ad un motore diesel efficiente di oggi che ha rendimenti del 30%. Tutto molto bello, pulito ed efficiente. Ma ho dei dubbi.
L’idrogeno è l’atomo più piccolo in natura, lui è il metallo per eccellenza ed in natura da solo come serve a noi ( H2, molecola di idrogeno) non esiste, esiste solo combinato con altri elementi tipo: H2O acqua, idrossidi, CnHn idrocarburi eccetera. Quindi è chiaro che in natura non esistono giacimenti della molecola H2, quindi per estrarla dell’acqua o dagli idrocarburi o da altro è necessario utilizzare altri tipi di energia. La domanda è : QUALE ENERGIA OGGI?
Le fonti energetiche che si possono utilizzare a questo scopo sono: idrocarburi,carbone, nucleare, fonti energetiche rinnovabili( solare, elolico, geotermico, biomasse). Cioè e necessario per ogni tipo di energia costruire una centrale elettrica che utilizza quel combustibile per ottenere elettricità ed in fine, con un processo di elettrolisi, il tanto agognato idrogeno.
Ora bisogna fare una considerazione: produrre energia dal nucleare sarebbe improponibile per ovvi motivi di inquinamento e sicurezza, produrre energia dalle fonti rinnovabili non sarebbe conveniente da un punto di vista economico, rimangono il carbone e gli idrocarburi. Ciò significa che oggi si dovrebbe inquinare l’atmosfera con le centrali termoelettriche che producono CO2 per potere far camminare le nostre macchine ad idrogeno. L’effetto sarebbe tenere le città pulite da CO2 ma non avremmo risolto il problema dell’emissione nell’atmosfera di CO2 e
dell’effetto serra.
Altro argomento da affrontare è legato alle caratteristiche della molecola idrogeno H2: lei è la più piccola molecola esistente in natura e quasi tutti i materiali esistenti non riescono a contenerla, lei è come una bambina piccolina e capricciosa molto socievole che attraversa tutto e si combina con tutto specialmente con l’ossigeno diventando
esplosiva. Quindi per contenere l’idrogeno sono necessari dei contenitori particolari serbatoi refrigerati a temperature vicine allo zero Kelvin, a pressioni elevatissime, delle vere bombe ambulanti.
Quindi anche se si riuscisse a costruire dei contenitori che riuscissero a trasportare l’idrogeno con sicurezza, il suo utilizzo come combustibile per le macchine avrebbe un senso se l’energia prodotta per poi a sua volta produrlo verrebbe da fonti energetiche rinnovabili ( solare, eolico, biomasse), oggi troppo costose. Quindi compito urgente della scienza è quello di abbassare il costo dell’energia prodotta dalle energie pulite e renderle competitive con le altre.
Spero che da questo mio ragionamento è emerso il fatto che l’idrogeno è un modo di accumulare energia, ricordiamo che in natura non esisto i giacimenti di idrogeno, ed allora perché a questo scopo non utilizzare
molecole più stabili e sicure a come il metano già utilizzate come
combustibile per le macchine a scoppio? Volendo si potrebbero utilizzare delle celle a combustibile con il metano, già esistono ma sono molto voluminose.
Inoltre è chiaro che per non inquinare è necessario non modificare la composizione dell’atmosfera, se quindi noi riusciamo a trasformare la CO2 dell’atmosfera in metano avremo risolto il problema, perché quando bruceremmo metano CH4 otterremo nuovamente CO2 ed acqua, non abbiamo immesso nulla e non abbiamo tolto nulla dal sistema atmosfera.
Quindi bruciare un pezzo di legno equivale ad immettere in atmosfera l’anidride carbonica accumulata dalla pianta come legno negli ultimi anni, una cosa pulita. Se invece noi bruciamo idrocarburi per produrre idrogeno immettiamo nell’atmosfera la CO2 prodotta negli ultimi centomila anni tutti insieme, ed allora il sistema atmosfera non tiene (scusatemi la rima).
Le industrie naturali per produrre metano sono le piante, basta una fermentazione senza ossigeno di sostanze organiche vegetali per ottenere metano.

Spero di non averi annoiato e di avervi dato un altro punto di vista su ciò che ci viene raccontato in modo fazioso sulla tecnologia macchina ad idrogeno.


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