Dall'uno all'altra
Fu quando l'aria
plasmava nuovi adocchiamenti
e celava nell'immateriale
corpi di sola parola fatti
che le dita intessero
duttili cannule,
da polla a polla torrenti,
un trasfondersi d'anime
che domani
non potrà ricordarsi.
Romantica
Fra le pareti coprenti della notte
sempre m'accingo a non far nulla
a starmene accosciata
sull'incorporeo mio doppio
che rimane desto quando
tutti gli altri non possono vedermi.
Un attimo intontita
in parte delusa dal sole
ho calma apparente,
un ribollio soltanto
affiorato pigro dall'anima
tradisce ogni mia fibra,
compiace schiena e lombi
un lento sensuale turbamento.
So venire così il suo pensiero
scoccando pieno e rotondo
malizioso talvolta
come di Selene il raggio
nell'ore brinate degli amanti.
Fisso allora il tacito riflesso
e su quello m'incammino da sempre
per volargli incontro.
Quel che direi se
Sto per partire
e tu, non ci pensavi affatto.
Avevo fretta anch'io
d'unirmi al sogno
il perchè non l'afferravo,
ma sapevo
che avrei spaurito
smarrito questa carne
e mi sarebbe giunta
questa gloria
in tempo
per il dignitoso saluto
al mio trascorso
ai giorni senza varchi
inaccessibili al passo
che non sovviene.
Ti ho amato.
Ti amo oggi tanto
e se prima d'altri anelli
si compiranno i miei
come ogni volta me n'andrò via
amandoti di più.
"Non ti scordar mai di me".
Vorrei domani
aver compreso già
della tua penombra
ogni sfumatura,
d'ogni ostilità
aver succhiato
poi scagliato
il fiele della rabbia
evitato schiaffi
di spreco
per non doverci pentire
e se di fianchi e di seni
lo stagliarsi controluce
d'una donna
penetrasse, domani,
l'occasione d'un abbraccio
esser riconosciuta vorrei
nel profilo d'un risveglio
inaspettato,
tu che indovini d'amare
chi ti scrisse una poesia
- immaginarla nostra vorrei -
mentre segui il mio sorriso
con un dito
e imprimi il tuo sulla mia pelle
ancora viva.
Balzi di coraggio
Incomprensibilmente ci sorprende
e sul pensiero s'abbarbica lesta
la perentoria eccentrica fretta
di tralasciare la pigra natura
persecutrice severa di slanci
di quelle voglie sopite, di foghe
che nella titubanza del respiro
perdono l'impeto là, dove cade
l'irresoluto andare dell'uomo.
Ladri di parole
Peccato sedare l'istinto
restar con le parole tronche
ed il bisogno prepotente
di comunicare
accasciate sul viso
risposte e domande
vorresti rubarle
ma nella voce interrotta
langue ogni respiro d'amore.
Chiederò
Chiederò ancora a queste mani
di scavare l'aria
a questo volto
di recitare la prigione dello sguardo
alle parole scritte
di procurarmi l'onirico ristoro
ché nel profilarsi della luce
non respiro
nel sorridere
resta fermo il tratto della bocca
e la vista è limite oltre il quale
adiacenza ed orizzonte
alla pari accecano.
Ansia
Passo dopo passo
indugio a rincasarmi
dentro,
frutto maturo attendo
l'altrui cambio di rotta.
Mentirmi
Non confesso di ricordare
torcendo l'anima nel pianto.
Sfido me stessa, mi ignoro
ed è malinconia.
Peregrinar di donna
Spargerò gli occhi
alla ricerca di un "te"
su quei rilievi e valli
mai esplorati,
troppo distanti le curve
i pendii montuosi
per riposare sguardi
languidi come sogni
all'alba dimenticati.
Sarò lo sbuffo netto
che mi porterà via
dall'afoso meridione
della mia tristezza,
da qui
o dalle ciglia lunghe
arcuate che amerai
accattivanti
di lento suadere.
Non le tue mani
a decidere
se correre e scaldarsi
sul mio incarnato,
viverne il contatto
come d'organo
si vivono i tasti,
non le nostre mani
disporranno di noi
né la paura di sbagliare,
di meno, l'inutile orgoglio
che a turno riduce al silenzio.
Ma un pensiero dentro
ventoso,
il bisogno d'un drappo
a proteggermi,
tempestosa, raminga
brama di compiermi.
A metà fra il poco e il niente
Un lacerarsi ennesimo
di timida certezza,
tante volte a mala pena rappezzata,
ormai senza sorpresa
torna e rincrudisce
il tempo che m'avanza.
Benchè fiacche le braccia
persa abbia la ragione
svogliata corre
necessità d'intervenire
sulla piaga suppurante
sempre uguale della mia coscienza.
Tra uno sfilaccio e l'altro
ammonirmi dovrò
che poco più d'una minuzia
niente conto per chi dovrei contare,
men che meno o niente
mi si può amare.
Il limite d'esistere
Rasentare sponde d'ogni confine
m'è congeniale come sdrucciolare
fra i recinti pungenti
in cui si riduce chi mi odia,
ondulando movimenti suadenti
a lesionarmi graffiarmi la pelle
l'inconfessabile altro io
sul filo spinato delle sue barricate.
Almeno
accerchiassi il torto di respirare,
accetterei di non esistere.
Bocca a bocca
Adesso non devi prendermi
sono già tua per sempre,
puoi tentare invece
di scarnirmi dalla mente
infilzando il mio amore
col tuo silenzio,
il petto dritto al cuore
squarciando,
ma poi, ti prego,
baciami tanto la bocca esangue
che ieri t'appartenne.
Baciami, baciami
come fosse l'unica volta
ed io la regina che amasti.
Con urgenza
affretta il desiderio,
prima ch'io spiri sola
vuota d'una tua carezza,
prima ch'io non possa più provare
l'ultimo tuo palpito per me.
Fammi morire così
un barlume felice
del corpo mio nel tuo
d'un contatto cocente,
d'un attimo ancora
che frema col bacio lungo
d'un melanconico commiato.
Mi spegnerò così
in questa notte senza riguardo,
come m'incontrasti
fra le braccia d'una folle passione
fra le tue
che mi cinsero allora,
prelibatezza nei tuoi palmi
che di cristallo
degno avello m'avranno costruito
per rilucere il sonno mio eterno
d'un tuo sguardo emozionato
d'un tuo sommesso pianto,
del ricordo dolce che serberai
di noi.
Presto. Trafiggimi,
affretta la mano tua imputata
prima ch'io non abbia più vigore
per sospirarti, bocca a bocca,
l'estremo "Ti amo".
Il senso del senso
Soltanto un rifugio,
voce lontana d'inchiostro
che parla silente
ma sparge del senso
il ruggito
che senso non ha.
Amore o...
A volte di notte t'accosti
adagio per prendermi la mano
ed io la cedo lentamente
come incerta se far bene,
ma sono lì ed allora...
per mio totale abbandono
incapacità a proteggermi
diviene mezzo il corpo,
strumento tuo
di percepibile materia,
reale sensazione che sia
il pensiero a crearti la vita.
Ed ogni volta è tuo di più
quel confuso trattenersi
d'immagini nella mente,
quel farmi interamente parte
da mutarci in singolare
insolubile dualità,
spazio astratto
senza tempo nè confini
dove sentirne io sempre
il piacere del giogo,
fino a dormire l'agrodolce
nel riposo che m'instilli,
mentre tu sorridi o meno
e così mi hai.
Chissà per chi dei due
o cosa dentro ed oltre noi
siamo nell'ora qualunque
ed in ogni anonimo buio
a prenderci la mano.
Amore o solo Sogno.
Ma sono lì ed allora vengo.
Mal di malumore
(Un'iperbole)
Non v'è a coprire il capo
l'indefinito indaco,
la sua mano turchina
ingenerosa di spazio così
che rigirarsi in un sepolcro
varrebbe ludico nuotare.
Nè un sole rinsecchito
a sghiacciare mai un livore
uno spiccio appagamento
quando fa da palandrana il niente:
porzione di cielo
che infeltrisce indosso la pelle
la flessibilità d'un canto
ogni folata di parola
che sproni l'Io ad ignorarsi a fondo.
Non v'è per l'uomo insoddisfatto
lenimento alcuno
che sia pur striminzito
lembo celeste d'accoglienza
una parvenza appena
di divina compassione
al più, trascurabile brezza
che almeno un po' rinnovi.
Braccato da sconforto
tenta la fuga e parte
di norma col pensiero
per escursioni oniriche
o fantastico esplorare.
Giusto manca
l'evenienza vera di viaggiare
e nella testa forma prende
l'unica visione di speranza:
una mongolfiera immensa
da cui lanciare perle rosse di pianto
e come zavorra
il cuore in sovrappeso.
Fin dove vado
Sempre fende il tempo
la solitudine mia artefice
in pause inevitabili.
Invece non fa male
ormai quella malinconia
lealmente subdola
nel ricucire spazi di vita
in diuturna nostalgia.
Solo un rimpianto lungo
lunghissimo fin dove vado io
digrigna d'avorio i denti bianchi forti
e ne rinnova ancora
l'incessante configgersi del morso.
Essenze di ieri
Ricordo colei
che dal giardino usciva
carica di rose
come da pensiero all'altro
caldo
di soave umanità.
Tra le ribelli ciocche
qualche verde foglia
le prime speranze
ed il crine d'oro scuro
caduta a colorarle.
Canaglia e ingiusto
quanto mai
l'aduggiarsi mesto
d'odierno sorriso
che non emana più
le sue fragranze
all'aroma puro
del bianco gelsomino.
Comunicazione Ufficiale
Cara Morte,
non t'affannare più,
non serve.
Fin qui m'hai spinto e qui
avevo forse ancora da cadere
per capire come
pari a quando nacqui
andrò a morire.
Nuda e sola e miserabile
come mi volesti,
ivi saggiando i primi orrori
d'una vita che già non mi gradiva.
Ora, che demolita hai
ogni mia spartibile frazione
e quella pure
che mi teneva in piedi,
comprendo, sai,
l'atrocità immanente
d'essere indifesa.
Un desiderio quindi
ultimo prima della fine:
uccidimi se vuoi...
...ma con amore.
Come impulso
Nasce improvviso
quasi come
congegno a scatto
quel momento
in cui tutto vorresti
metter via,
accantonare sicuro
in qualche luogo
donde nulla torna,
anche te stesso,
ogni dubbio
ogni sospetto.
Tutto ammasseresti,
la sfiducia la rabbia,
sotto chiave,
nei forzieri impossibili
delle cose inutili.
Ti seppelliresti lì
dove i segreti
s'attuano senza danno
e innocui muoiono
nel silenzio, ignaro
ch'essi sempre risorgono
nei tuoi risvegli,
nella certezza seria
dolorosa
di non saperli svelare
nè riporli
una volta per tutte.
Il bucaniere
Non l'esotico porto che m'incarna
non il turbine che mi scrolla
bastano al pirata avventuriero
per gettare l'ancora ribelle,
nè il ventre caldo che l'accoglie
è incantevole miraggio.
Nel mare che m'invento
catturargli la chiglia potrei
vischiosa d'alghe del naviglio
ma dei flutti seducenti solcati
da mano furba uncinata
non sono che l'approdo d'un momento
di scorreria corsara solo bottino,
di me solo battigia sopravvive.
Ho lemmi articolati
Ho lemmi articolati
a pressare le labbra
pensieri poderosi
a premere sul fiato
ma sono solo accenni
perifrasi in brandelli
le mie ansie da poeta...
spiluccare infinito
d'imminenti fantasie
per elevarmi ad estro
darmi ascetici amplessi,
fra estasi e illusione
solo anonime parole.
Nondimeno senza forma
ancora scaglio verbi,
priva di suono e timbro
persa fra monotoni accenti
nulla, fra dialoghi falliti.
Gioia
Ovvia poesia
scriver
di passeri
in ciangottio
eppur li sento
e fuori
e dentro
m’appartiene
il canto.
Compagni?!
La notte
ed ogni giorno
da sempre
il buio
è il mio rifugio,
testimone
d'un eremo
dentro trascinato,
l’unico
che non mi lascia
andare via
mai.
Inanità
C’è una distanza
fra me ed il tempo
a farmi soffrire,
che è
inane lotta d'affermazione
in un compromesso
prestampato e obbligatorio.
Scrittura privata
in cui vige solo
lo spegnersi d'un prima
speso male,
l'assenza d’un poi
avaro
di nuova occasione.
La tua Musa
A volte
la scorgi giacere lieve
in versi senza vita,
o crepitare
in algida assenza
dagli ovunque
a cui t’ispiri.
Altre,
l’avvisti
a distanza stonare
mollando gli ormeggi
dal mare delle tue cose.
Lei salpa
dal pianto d’un calamaio
per la sua china appassita,
da quello d’una penna d’oca
per il pugno che non l’intinse,
dall’eco che non ritorna
della tua ispirazione.
E cerchi altrove
una risposta
che nutra la vena di poesia,
la stessa
che ti si accosta compiaciuta
felpata come donna
ad appagarsi nel tuo letto,
scivolando via
col dolore nei versi
che non sai più cantarle,
lussuriosa ormai d’altri lidi
che il tuo è deserto.
Almeno
Quando
un cenno t'aspetti
anche solo
d'impercettibile luce,
vorresti ti destasse
la speranza
d'esserne sfiorata,
di veder mutato caldo
il castano dei capelli
al guizzo d'un gesto
che ti spoglia.
O al tocco d'una mano
che ti confonda,
ti perda ormai su un corpo
dove deporre la mente
al tremulo risveglio.
Dopo l'attesa
il compirsi d'un attimo
almeno.
A cosa serve
A cosa serve
cedere allo spazio
fidarsi del clima rarefatto
del sole che scalda,
se non sai privarti del peso
respirare che nebbia
né strapparti gli abiti di dosso.
Diviene immensità
che non si lascia passare,
coesione totale di particelle
da inchiodare le nubi negli occhi,
da farti picchiare la testa,
alla cieca,
contro i troppi piaceri incompiuti
contro i dolori che non vorresti,
mentre dipingi te stesso
che affreschi deluso
il tuo autoritratto.
Acrobata della vita
Ognuno sull'orlo
dei propri desideri
compie equilibrismi
di cui non sa
d'essere capace.
Viva
Mi muovo e sono viva
se fra le righe sbrano i dubbi
gli irritanti "ma e putacaso"
che invadono lo spazio,
i miei sorrisi cuciti.
Ma...
non posso farci niente
se mi volle tornita
la vita
di polposo pensiero,
tumida di lacrime e passioni.
E nulla vorrei più
che questa mia ventura:
imperlare gocce di latte
sulle labbra
che l'anima m'infranse
in una ciotola di sogni.
Ed accettare la sfida
tra ipotesi ed asserti
per ubriacarmi
di logica e incoerenza
nell'ultimo boccone
del mio poco equilibrio.
Ma...
cosa posso se mi volle
la vita
investire d'un refolo di sè,
d'un pugno di follie
che non sapevo d'avere.
Basterebbe
ch'io fossi almeno voce,
desiderio impudente di stupirmi,
tenermi stretto al seno
il coraggio d'illudermi.
Dove siamo
Nel fremito
di quali mani
siamo ansimo,
sgranellarsi
di carne
in cellule,
com'atomi
di sabbia
in fialette
di vetro
comunicanti,
dove la fine
a cui pendiamo
coincide
col ribaltarsi
d'una clessidra
stanca.
Di noi
Chiederci
quanto di noi
arriva all'altro,
se più quello
che mostriamo
o quello che
proteggiamo.
L'Inganno
La prima volta
non sembri che acqua immacolata,
battesimale piovischio
discreto minuto,
quasi lusinga
sul peristilio sedotto
d’una antica Residenza.
Ed invece...
Al profilarsi irreale del levante
non spargi che umide schegge,
frantumi di schizzi crocchianti,
lontani calpestii.
Sono l'Ore nostre dolenti
dal boccio passito
ore sorbite ormai divorate.
Non sei che infinito ponente,
tronfio picchiettio delle dita
sulla corta parabola del Domani.
Un regolare cessare di cicli
dove Ieri è già meno d'un sogno
e l'Oggi non è che agonia.
E vivi così...
Sempiterna contesa
tra senno e cupidigia.
Amaro comprendersi,
amaro decidere
se lasciar dilagare le voglie
od il maturo ragionamento.
E vivi così,
sbattuto
come falsa retorica,
tra l'andare e venire
restare o ripartire.
Inefficace pensiero
quello del dire
e mai provare,
del vedere
e poi non ricordare.
Te ne vai perciò
così,
tra fuoco e fiamme
o in acque chete,
tra buio e luce vago,
deluso e insoddisfatto
come gola secca
d'insonne vampiro.
Musica
Ovatta il capo dal reale
se io non lo proteggo,
s'apre l'udito
ed è
sommo rapimento
ora che di lei m'impregno,
è troppo, non regge
la mia fragilità di sensi
l'estasi violenta.
Tracce
Lasciano di sè indelebile traccia
il vento la pioggia anche lenti
privi di spessore molli incolori.
Quando costanti
su fogge rocciose e sculture
fin giù nel ventre
erodono il tempo che durano.
Non l'emozione il corpo
l'anima miei
che ti varcano d'alito affine
camminano dentro liberi
per volermi tu ricevere,
solo strusciano mai incidono
calco o mero alone
del loro passaggio
quand'anche l'amante che sei
tenero intenso vellutato
imprime di rose scarlatte
un fascio
sul mio assiduo paziente
pulsare in te, per te.
Azzardo
Con te
ho giocato
a carte,
diamine,
hai barato.
Non una mano
ho perso,
l'intera partita.
Sconfitta,
ti darò
l'addio.
Clichè
Dimmi chi sono io,
tu che m'hai dato l'abito
ornata come bambola,
dimmi se son io quella che vedi.
M'hai toccata
ritoccata l'immagine
più di quante volte ormai,
non so più se vivo, appaio
se di notte in giorno
mi creo o mi subisco.
Ho remore in contorno
interiora d'attributi vani e vari
che m'hai pigiato dentro
accozzato senza senso.
Dimmi chi sono cosa o chi
io ero prima del tuo attacco,
chè oggi m'ascolto
ma non è il vagito mio che piango.
Non è mia la traccia impersonale
che mi s'aggrappa al collo
quel fatuo balordo stereotipo
che l'anima non rende.
Assolvimi ora
lasciami ritrovarla pura sostanza
fuori dai tuoi effimeri confini.
Concedimi una corsa sola,
lieve,
in punta di piedi appena,
veloce,
perchè sguarnita dentro
terso il maquillage
non mi si veda l'immane trasparenza.
Accordami la fuga se non altro,
lascia che domani mi sovvenga
ancora l'essere chi nacqui
là dove l'orma nuova che m'è innanzi
calzi il passo vergine
dell'ultimo incedere.
(ispirazione tratta dalla poesia "Fard" di Gloria D'alessandro.
Grazie, Glò)
Culla
Se potessi
diverrei culla
di me stessa
ed in pace
m'accoglierei
amandomi.
Magari!
Affido
a gambe goffe
ed occhi ottusi
i sogni imperituri
e nell'impaccio
investo la vita,
come bove in corsa
che infuria nell'armento
a superarlo,
magari
a superarsi.
Non sempre verde è il colore dell'infanzia
Quando lasci il dolore affondare
le brulle sue radici nell'iride innocente,
nell'assenza, tradisci te stesso,
quello che fosti ed il fanciullo che fuggi.
Divieni fumo di fiamma che muore
candela cui la luce flebile s'estingue
tra dita insensibili con l'ultimo baleno.
Eludi un'anima implorante, soltanto,
che le si tinga la nemica trasparenza.
Le frusti la vita se la vedi e l'ignori
ma se ascolti il coraggio d'amare
capirai il rintocco lungo
e lo sgranarsi orribile delle sue palpebre
in lontana solitudine.
Udrai bruciare le sue ciglia
ed il tonfo cupo della cenere franata
dal suo pianto in umile silenzio
al sorriso umano che le avrai spiegato.
Non è di semplici occhi quell'iride
che nulla sa dell'ipocrita notte,
nulla della tua mano incurante
che la scrolla come polvere molesta.
Occhi ignari di saper volare alto
scuotendo voci distratte o riluttanti
con la sferza dei rifiuti subìti
con il ricordo della tua indifferenza.
Ombrose non solo, slargate pupille,
cave di marmo pregiato esistono
per provare il tuo impegno,
scolpire, plasmare la tua benevolenza.
Così vagano quelle rare preziosità
e nel nostro mondo restano o
troppo spesso partono per l'Altro
confinate in tristi castoni
senza alcuno di sana volontà
ad estirpare il prisma grigio-bruno
che di tanta, infelice pochezza
è grave riflesso.
(La notte del 2 marzo è stato abbandonato l'ennesimo bambino:
chi l'ha fatto si è preoccupato almeno di lasciare il piccolo dove sarebbe stato
curato, all'ospedale di Frattaminore dove lavora mio marito che ha visto
Giovanni, di circa 3/4 anni, cerebroleso, sorridere agli operatori sanitari che
lo hanno assistito e lo assistono ora nel reparto di pediatria dello stesso
nosocomio).
Io e l’Infinito
Di dove in dove
accade che io mi lanci
e di quando in quando rilanci
per le arterie frastagliate
tempestose del discernimento
a segmentare l’intera psiche
che non si coglie,
a trovare una ragione
plausibile giustificazione
del perché quanto come s’amplia
dell’Io lo spazio mai totale,
l’inaudito motivo del come
la massa che mi argina
non limiti lo spirito
ma ne concede metamorfosi
accrescimento
corsa anelante la libertà d’essere.
Sarà
Non ricadrà sugli omeri miei
il crine che ieri carezzasti,
s’ondulerà morbido ancora domani
come tregua finale sulla tua spalla,
compagna di chi t’ha dedicato speranze
i mille volti del tormento
i mille ed uno dell’esultanza.
Avrà il colore sciupato delle rughe,
piene, quelle della nostra vita,
la levità ed il peso dell’unione
o l’utile amarezza di certe strane fughe.
Colerà il benefico riposo con l’ennesimo scontro
e la resa compirà il talamo avviato
del sogno lungo che giurammo.
Fumigando d’incenso le ferite
ci planeremo liscio l’uno dentro l’altro,
si tergeranno le anime di pace
nel confortevole amplesso delle ultime sere.
Segreti e catene
Stringo tra le ciglia
segreti incantati
disciolti in lacrime di vita,
che pure va
quando pare fermarsi,
alla ricerca d'un pretesto
che ridia catene di solide maglie
da riprovare,
piangendo ridendo,
nuovamente e sempre
a sganciare.
Di sola carne
Sarà trito pensiero, forse,
questo piacevole assillo,
o estasi diroccata in fretta
fra le crepe dell'anima
l’inefficace vagheggiar d’aria
ch’esula il respiro trafelato,
eppure,
insorgendo il frastuono dai sensi
verrei meno alla mente
sfollerei le muffe espanse in massa
dal corpo che intima giustizia.
Così mi porterei a te, poco vestita,
gli abiti fini in strascico caduti
sfilati gl'intimi uno ad uno dalle grazie,
sfrontate tuttavia.
Sul viso l'ammicco che invita
un dito per puntare al mento tuo
chino a rapirmi l'alito fremente,
così, sì, mi porterei, uomo,
per lambirti il bacio che mi doni
e che ti fa seguace mio accanito.
Sarà trito pensiero, forse,
eppure,
è piacevole inequivocabile assillo
quest'idea fissa d'attirarti in fondo
nel groviglio del piacere che mi dai
se appena tenti con abili gesti e
accenni ratto gentile della tua sabina.
E' per questo che mi lascerei seguire
come strega dall'incantevole malia
ed il campo mio di grano e bacche rosse
schiuderei per farti aratro nel mio corpo,
m'approprierei delle tue mani,
ti darei le mie, per farci insieme l'amore.
Matematica... virtuale... ma non troppo
§[(Sottoposta a sequestro in espressione algebrica,
numero in celle di svolgimenti obbligati,
incontro / scontro segni aritmetici
sottraenti, divisori, mai sommanti
o moltiplicatori i risultati miei.
Stanca inciampo, prendo sviste,
cado in fallo ed altero i passaggi,
i computi, dunque l'esito finale sacrosanto
per l'evasione da tonde, quadre, parentesi graffe)]§ =
§[(Daniela Procida)]§
Senza sonno alcuno
o trovare pace
con momenti di
effimera conquista
fra pagine d'autore
leggo e rileggo
la voce che conosco
che almeno io possa ricordarla
ed un attimo ancora rivivere
nelle sue parole le mie emozioni.
Tenerezze
Prodiga è la notte
che nel semibuio al fine svela i tuoi segreti,
eclissa quel dolore, condiviso,
nel timido sussurro del tuo pianto,
del mio.
Non debolezza,
ma soffocato poi affrancato sentire
la mancanza assurda di noi
che ora non neghiamo
e corre a gara da te da me,
liberatorio,
galeotto da far girare la testa
quel dirsi ridirsi ti amo,
tante volte... ti amo.
Spiega l'aluzze sue reali
l'inavvertibile lucciola,
come aquila vola
a fare luce sul domani
che il giorno prende vita
quando siamo insieme, amore mio,
prendi vita e nasco se ti bacio,
mi vivi se ancora tu mi stringi.
E' così
Nell’agio,
è tentazione librata,
rigore che perde potere
in capriole emotive di sensi,
il desiderio di te.
Flessuosi sfioramenti
di voci frusciate sulla pelle,
sollievo caldo di corpi
nell’inebriante invito all’unione.
Inesauribile matrioska
la voglia d’esplorarti,
disinvolto venire d’impulsi
la passione per te.
Ecce peccatum!
Ho paura
d’acquisire il quando o il come
dall’anima mia
crebbe informe quella parte
senza luce
che di intime colpe
pesanti
ancora emette il suono cupo
tenebroso
di scellerate condotte,
tali e sì nutrite
da volgermi ad altri stridori
aspri pure
ma di lontane straniere terre.
Non vorrò
allora, ricordare l’attimo
quanto feroce
in cui maestria in uso al male
empiamente
stralciò la sana mia purezza
dalle fronde
verdi, quiete, del Tuo Bene.
Eroticamente
Non lasciarmi appassire selvaggia
come scia che si perde di profumo,
inodore nel subbuglio dei tuoi sogni,
nella traccia d'un ricordo che ti preme
e assesta pugni di rimpianto in pieno petto.
Non lasciarmi incolta percezione
o dolcezza abbandonata nel tuo mare,
d'opera incompiuta la mia carne geme
accesa dal piacere cui mi invola Eros.
Per coronare ad arte la mia impresa
innanzi al fuoco adagerei il mio corpo,
ceduta al suolo la veste mia sincera
con luce tremula giocherei alle ombre.
E col frizzante vino che per noi serbasti
irrorerei dei baci la fervida promessa,
perderei la mia ragione nell'impulso
deporrei le armi ancora nell'ebbrezza.
Nel sole fulvo della sera
D’ogni attimo vissuto
muore qualunque senso
se non curi il fuoco innato
che sopisci dentro
se nel freddo solitario
d’una stanza vuota
non lasci mai che coltre
ti combaci addosso
morbida t’investa
come calore d’un abbraccio
aderente sulla pelle
come chiarore della fiamma
che lasci consumarsi
fuori della fine crosta
lacrimando brividi
che non potrai contenere.
Nuance
Che fine ha fatto quel pastello
colorato variamente,
quello lieto dei disegni
in cui schizzavo il mio ritratto.
Nel temperarlo s’è compiuto
e solo lascia ora grigio il lapis
a scorrere tracciati sopra l’aria
che manca più dell’acqua all’assetato.
Per riaverne uno che di lontano
almeno un po’ gli s’accostasse,
ieri l’altro,
ho rubato al firmamento il suo corredo,
una briciola ognora del giorno.
Collera invero
m’ha lanciato dietro il cielo,
finanche il nero senza stelle della notte,
che scioccamente scaltra
non avevo preteso.
Nel tuo antro
Gocciolerò
dal tuo stalattitico orgoglio
e ti farà male ogni stilla di me
che avrai sciupato,
lasciato cadere
da quelle tue labbra
impazienti d’avermi, troppo,
per ammettere un sì.
Indurirò
l’ultima tua speranza
che avrai d’amare
e carbonato di calcio
pietroso come il rimpianto
alloggerò a gratis,
stalagmitica colonna io,
nel tuo cuore deserto.
Io non sono me
Non risiedo, no,
nei panorami che ammiro
nei suoni che ascolto,
nelle azioni che compio
non v'è il mio essere.
Nè quel che tu ami, sono,
non quel che tu vorresti sia
o quel che di me ameresti
se io fossi come vuoi.
Curo i miei pensieri,
con prudenza elaboro
concetti, dati che parlino
raccontino chi sono,
che viaggino espressi, prudenti
nell’altro che pare sia davvero,
tanto, quant’anzi io non sono.
Non riconosco miei i pensieri
quando non uditi tornano balzando
come palline magiche incolori
respinte da muri solo umani
che sanno di indifferenza.
Scelgo di non abbandonarli,
affanno allora per riaverli
che propaggini dell’anima li stimo,
ma nell’ansimo, una volta ancora,
io non sono me.
Un angolo di te
Tentata come fosti d’alterare il passo
il tuo ordinario peregrinare mutasti
in direzione insolita, ispirata
da solitaria via, spoglia di lumi.
Al disopra di tutto l’incuria,
palesava un tragitto evitato, scartato,
a brevi tratti un lastrico calpestato
con l’urgenza di superarlo in fretta
da chi al pari tuo calcava suoli comuni.
Rade umane orme lasciate giacere
adombravano quel cammino incerto
che sembianze aveva più di scomodo
pericoloso viaggio dall’esito dubbio.
A riprova di tanto la tua paura, sincera,
spontanea come quella d’un fanciullo
smarrito nel buio della propria stanza.
Poi, un improvviso disordine,
mentale forse, ove da un riparato
anomalo cantuccio, quasi in abbaglio,
una figura gassosa, aerea, fluttuante,
s’appianava al muro che limitava a dritta,
parca nel corpo ripiegato da bisogni
con raccolti gli arti a confuso viluppo.
Sgomenta rimanesti, gli occhi sbarrati,
a guardare fissamente la tua coscienza.
Per favore
Frenami le parole in bocca
fa che il tuo bacio non mi lasci ferirti
non ti percuota mai la stizza che mi dà il cercarti,
collera che incalza quando altera mi rifiuto
o nego la donna che vorrebbe il suo uomo.
Risoluto afferrami i polsi
fermali sui fianchi tondi, tienili stretti
mentre accosti il petto tuo al mio, adagiati, fremi!
E se virile orgoglio t'invita a resistermi
lasciati legare, per favore, le parole in bocca...
per favore, lasciami fare.
Brama
Bocca d’amaranto, color fragola intenso
amarena rosso vivo per tingermi le labbra.
Solo dita saporite d’ambrosia intinte
per lambire il gusto originale del peccato.
Rotondità felpate, succulente pesche,
frutti maturi da suggere abilmente
pigiandovi la bocca a fondo e presto
che il nettare colato giammai disseta.
Disperatamente cedere ai suoi occhi
rapiti dal mio lasciarmi scartare.
Quel che non invecchia
Non chiedermi
del perchè soffro,
dei perchè infami
che mi rovescio addosso,
stuprando anzi che vivere,
gli anni già rodati
e quelli ancora da provare.
Non chiedermi risposte,
che nuda ed incompiuta
nell'ignoranza annaspo
del come mai da sempre
mi muore triste il tempo,
le dita trapassando
senza invecchiarne
desideri e sentimenti.
Il cuore
Ignorando quanto bruciasse
incoraggiò il sole a scaldarlo.
Tanto così che non bastò
al cuore squarciato
l'antalgico bacio della luna
a sanare la crepa inferta,
ma del raggio che lo trafisse,
generati dal grave impatto,
ne imbrigliò frantumi giallo oro
che di amare non smise, mai.
Più non sento il mio nome
L’arrossarsi di parole
al sole di quanti tramonti
avresti saggiato, desideroso,
sulla mia pelle serena,
quello di quante albe
avresti vissuto nel risveglio
placato e compiaciuto
da appassionati abbracci,
senza amarmi nulla.
Nell’etra compatta del silenzio
l’inganno non ha vie
per circolare e trovarsi,
così lasci le mie carezze
incamminarsi via da te
private anche della guancia
cui le destinavo, ingenua.
Intangibile
Inconsistente
come ombra
senza corpo
da cui sfogliarmi,
soltanto rasento
il suolo dove scorro
e slittando
mi pare non scalfire
vita alcuna,
né la tua,
che meglio
e presto in pace
s’acquieta
dell’orma
impalpabile
ceduta
al passaggio
della mia assenza.
Precario disegno
Issare ponti e impalcature
per ingannare intralci
e non saperli scalare.
Mi lascio
Una volta
ancora
mi lascio,
vivendo
introversa,
compagna
solo
di immagini
che pestano
umilianti
ciò che provo.
Il colore che manca
Non esiste,
non v’è d’amore
colore sanguigno
tale da invadermi
e aspirare
le mobili sabbie
delle mie paure.
Non un colore
a sgravarmi l’irto
e pur unico valico
che l’amarlo m’impone.
Non tinge parole lui,
quando alle labbra
s’accosta per il solo diletto.
Duro a provarsi
un piacere daltonico,
lascia fuori il mio corpo
a gelare sotto il suo
convinto d’avermi.
…?!?...
Nascemmo
forse
come corpuscoli,
scissi,
chissà,
dall’ipotizzabile
infinità
di punti fusi
in spazio
tempo
materia,
prodigiosa
dominante
aggregazione
sine qua
non saremmo
sine qua
…forse…
non lasceremmo
traccia alcuna.
Non resta
Non distinguo passato
restare sui diari dolorosi
di chi tacendo scrive
per poi dimenticare,
non su pagine di storia
che reclamano insegnare
a chi duro non impara,
non sul quotidiano di ieri
letto ed oggi cestinato,
varrà forse domani
per infuocare un camino
o lustrare un vetro
a intravedervi.
cosa?
Se il ceppo del presente
non ha terra in cui incavarsi
e con pazienza contadina
nessuno che più lo ingrassi?
Oltre l'apparenza
Di verità acquisite
col bruciore delle mani
ho risparmiato scampoli
esigui di certezze,
sostenuto i pochi giorni
vissuti su misura.
Giustificando i torti
digeriti a forza
ho pagato il prezzo
senza sconto
di mali inflitti ad altri
per amore di me stessa.
In maestose torme
di asfissianti riflessioni
mareggiando fra i sobborghi
quelli aspri
dell’anima in rivolta
ho imparato a leggere
nel chiarore della mente
quel che di me passa
in apparenza
senza avere un senso.
Dliiin!
Dita tremanti
lente
a slacciare fiocchi rossi
sull’ovale caldo del mouse,
a svelare palpiti
inseguirsi in schermi muti
come occhi
in cui cercare avidi
l’altro sguardo.
E allora
sensualmente
pervade
orecchio e corpo
quell’onda acustica
rapida, liscia,
quel lieve, acuto
elettronico tintinnio
di lattescente posta.
Sospirato
“dliiin!” di ricezione
che s’attende
sapendolo arrivare,
che non vedendolo
impallidisce il viso,
che quasi accidentale
bussa al video, poi,
annunciando amore
entrare in te
in sinuosa forma
di nuovo messaggio,
da leggersi piano
per prolungare l’attimo…
E intorno il nulla.
Il miracolo
Lasciando sconfinare
quel che pensa
in ciò che dice
l'uomo
è fine
transitabile
intreccio di fili.
Tra mente e parole
porose trasparenze
a filtrare randagi pensieri
in cerca d’espressione,
ove ottenendola
un miracolo si compie.
Ora voglio!
Si spegne stanotte quel letargo
che ieri m’impediva di sperare,
assorbendo lacrime di angosce
m’imponeva sonni di rinuncia.
Così che finalmente ora voglio!
e strepito sorrisi a tutto spazio,
provando ad ignorare la grancassa
il corpo suona musiche interiori.
M'afferra in vita un'armonia latina
pari a questo mio volere e basta!
in cadenza ancheggio desideri
che di norma mai potrei animare.
Sul viale inciso dalla pantomina
esprimo slanci versatili di danza,
scartando l'orme tese del torpore
disturbo il tempo che lasso corre.
Non riposa l'età
Sosto all'ombra di me stessa
a mirare il sole nutrire
l'aria errante del giorno
e le mie mani perse in estate
che s'inoltra nel passato
raggiano quiete i miei dintorni.
In quel che resta di mitezza
un tepore s'amplia
calante di stagione
che sul corpo avanza
adagio, ma non troppo,
schivando arresti, innaturali.
Rispetto
Infranto quel monolitico muro
sarai con noi non più smarrito
in ospitale apertura di pensiero
potrai stimare il prossimo tuo.
Non includerti in spessori
che respingono il filantropo
ascolta se nulla hai da dire
parla se qualcuno t'ascolta.
Avevi il canto negli occhi
Quando il canto avevi
espanso nei limpidi occhi
t’inventavi giorni d’ascesa
lavoravi d’intarsio la voce
di lirica amavi i fiori nati
nell’humus dei tuoi pochi anni.
Quando canti avevi da intonare
ai colori vivi del mondo
ingannavi fonde afflizioni
e scacciavi di nenie il grigio lamento
se alla finestra tua levavi serenate
e sorrisi irrigati di te.
Tu, cara me!
Quando il canto avevi dolce
espanso nei limpidi occhi.
Stillicidio
Calca addosso
lo scafandro dei ruoli
a cui soggiaci
e graffi la gola
subendo carta vetrata
passarle dentro,
lenta, ferendola,
passioni trascinando
come breccia di fiume
che in piena non perdona.
E ambizioni in stillicidio
versano calcificate
nello scolo dell’anima
che ancora spera.
E la sua porta
C'è la nostra dimora
lì nel fondo dell'anima
che confina con l'immenso,
accogliente, profonda,
stabile alle intemperie.
Son roccaforti d'amore
le sue pareti.
E la sua porta
più che uno spiraglio,
flusso, deflusso
su futuro e aspettative.
Il volo
Di mite anima
una piuma m'ha lambita.
Ora non volo che beata
nel sospeso empireo
della sua levità.
All'arenile
Ti ravvisai un dì seduto all’arenile
privo di augurali pensieri, rilassato quasi,
in malinconica lucida rassegnazione.
La schiena provata, nuda, dignitosa insieme
non chiedeva favore, convessa se ne stava
in accoglienza d’amarezze sue percorse.
Poca conoscenza d’acquietante pienezza
così da affiorare priva di clamore, umida,
sulle creste saline di gocce fra le tue ciglia,
pesando in solitudine gli anni, raggranellandoli,
come a tenere la sabbia sospinta da un soffio.
A lungo, immobile, contemplai il tuo profilo,
un che di noto aveva, di familiare allo sguardo
che raro propinavo scontenta alla mia vita.
In te mi riconobbi e irrefrenabile provai
l'impulso attonito di sederti accanto,
di scorrerti il mio braccio intorno al collo
e con te ultimare la linea curva interrotta
del cuore che tracciavi sulla rena.
(Ispirata alla raccolta di poesie "Un soffio di vita, d'amore, di morte e...
io" di Bruno Amore ed all'immagine presente sulla copertina del libro da lui
stesso disegnata. Un modesto ma sentito omaggio all'attenzione che Bruno dedica
alle mie ancor più modeste poesie! Grazie)
Com’acquarello
E’ policroma tavolozza
il diluirsi di parole in versi
tra le mani del poeta,
com’acquarello.
Colori ed emozioni
stemperati in fluida
creativa fantasia,
la poesia.
Amorosa creatura
Chi mi ama
a sangue pianti
come bulbi le sue arterie
in libera espansione
tra alabastrine mie liquidità,
che in opulenta terra
amorosa m'insinuo
fluente di passione,
spoglia di custodia.
Attaccabile creatura
nel paziente affondo
di zolle da impregnare
così attendo chi mi ama
e nel bermi non indugi
che svaporare pigra potrei
al divampare duro del tempo.
Sulla mia pelle
pendono le ore,
campanule spuntate
sulla benevola pianta
del mio volerti,
fiori da spiccare
uno ad uno
in romantico desiderio
d'abboccamento.
Ed i giorni colano
come olio bollente
sulla mia pelle,
bruciando distanze.
In bilico
Dal loggiato di dubbi assillanti
cimento pensieri a mezz’aria,
tra il cielo e la terra cullata
sporgo il busto a toccare miraggi
che nel niente m’inclinano, attirano.
Dal dirupo del tempo che stringe
mi seduce il nostro incerto confine,
l'ancòra sconnessa cerniera d'amore
sospeso bilico tra la mia e la vita tua.
Nello scrigno
La promessa
d’un bacio
che non sfumi
ho riposto
nello scrigno
delle mie speranze
per sussultare
ancora
d’inesplorate labbra
quando potrò
con le mie guarnirle.
Infine
Come pratolina
incolta sto
nel giardino immenso
di questo mondo
a dilungare il corpo
nell’aria che preme
ed in nuova rugiada
come filo d’erba
minimo, trascurabile,
a penetrare spazio sto
che infine m’appartenga.
Nel mio ieri
Mai percorsi
luce diurna
riguardosa
di fobico sguardo,
mai freddo acuto
provai
inadeguato
a gelarmi.
Occasionali
le miti blandizie,
raro,
il lieve sfiorarmi
del buio insolente.
Ora
Ho ingoiato suoni tra le parole
che avrei voluto ignorare,
ho carpito contorni d’anime
che avrei voluto sbiadire,
ho perso volti nello specchio
che avrei voluto sfiorare,
ho smarrito redini tra le vie
che avrei dovuto serbare.
Ora solco somme di errori
sfido assidui maremoti
sola naufrago dispersa
tra desideri incompiuti.
Io sono quella...
Io sono quella
che cedere
vorrebbe,
disarmarsi
fidarsi,
amarsi
vorrebbe,
provarsi
per riuscirsi…
…dentro
ed il meglio darsi.
Ma l'anima
puntato ha
contro un fucile
chiamato vita
che fissa
strema roccia
anche di vulcano
ed allora
involvo
a ridicola
friabile
miniatura
e cartapesta
brucio spenta
in lavico pianto.
Dolore
E' pugnale
d'acre taglio
l'idea mediocre di me
fra mille ingiusti
proibiti "perchè?",
residui bellici monchi
di risposte ignorate.
Sventola rabbioso
un dolore lacerante
batto il capo...
sanguino.
Il labirinto
Frammisto appellativo
di visioni ad occhi chiusi
di passi abbozzati tentoni
il labirinto
dove il silenzio sordo
è ingannevole consiglio
e delirio pare il ragionare
di chi imbocca cieco la via
di ogni difficile scelta.
Fermento
Insorge il rischio
chiedendo tumultuare
d'impeto inondare
mente e corpo.
Giova al sonno
da tempo squassato
confortevole guanciale
che almeno doni
a chi stregato chiede
il cauto riposo
del proprio respiro.
Scintilla
A ridosso d’ogni novella notte
al crepuscolo dei tardi pensieri
un ricordo resiste oltre, lontano.
Di passo in passo incede quieto
bussa paziente che gli si apra
e di senno si schiude il bocciolo.
Snudasi la memoria ai rimpianti
in paura di vedersi felici quando
sprezzate si ebbero le ore sane.
Vacilla ora l’estremo esiguo
brandello di gioia smarrita,
sciupata scintilla di vita tutta.
Cosa e chi?
Cosa già prenderò da me
se e quando prosciugata
sarò esangue arida arteria
nel lago di linfa dispersa?
Se e quando assetato
proverà il mio gusto andato
chi userà la propria ghirba
per nutrirsi in ricordo?
Fammi centro
Hai un attimo appena,
un micro momento
per puntare al bersaglio.
Non sosto che un istante
se mi vuoi
devi battermi sul tempo,
che io non ne abbia mai,
per indagarmi, includermi.
Non temere di far centro,
il primo,
è invito a ri-mirare,
riproduzione a raffica
di concesse mie fragilità.
Cerchi d'anima concentrica
in eco di donna
vedrai elevarsi a nuova potenza
in esplicita tenera promessa
di lasciarti lanciare le frecce.
Rubarmi a tenebrosi tiratori
dovrai
glassarmi della tua presenza
e piantonare lontano il freddo
quando oscillo al mio vento.
Propaggine conica d'anelli
sarò
come sciolto tiro a segno,
circolandoti avrò il tuo respiro
immerso nello sparso viaggiarti.
Non svuoterò le tue mani,
le mie
ti renderanno i dardi, giuro,
che m'avranno raggiunta
faretra si faranno per tenerli tutti.
Tese ad arco verso te le braccia
ti insegnerò chi siamo,
nel tuo capace abbraccio
sorride ora la storia di noi.
Fallace pensiero
Oltre un fosco baluardo
severo custode di paure
tu, uomo, censuri la voglia
d’evadere ancora da quelle,
persuaso da menzognero
fallace pensiero di rubare
immeritati piaceri.
Deluso che la vita doni
i suoi frutti tardi o presto
o quando come le aggrada,
nulla preannunciando
in tempo al tempo
per dare l’agio di scandire
i fortuiti splendori,
soffri oggi di felicità
che attendesti invano, ieri.
Il tramonto a dicembre
E' tardo fogliame d'autunno
sotto i passi rigidi incalzanti
del tipico freddo invernale,
nel comporsi inesausto
della sera in attesa,
lo sbriciolarsi lento del giorno.
(Dedicata alle coscienze......!)
Tu sei...
Ambito, costante desio
di giorni che vanno inerti,
sogno nelle notti che in te
radioso varco sfondano
di quanto ad oggi fremo
nel farmi tua, nel goderti.
Così soltanto posso e
mio ti faccio amandoti,
ancora un altro giorno
senza mai davvero averti.
Di buio/luce al fuso limine
allora accresco i sensi e
chiedo farmi sentire
quanto forte mi possiedi
e come pago tu mi tenga
quando vieni dentro me.
A piedi nudi
A piedi nudi aborigena della e nella terra
affondo parti di corpo screziato d’universali colori
e le mani sono unguenti spiananti l’accesso
ad ancestrale origine che mi plasmò d’argilla.
Nel commosso incontro di me con me,
come quand’ero naturale preambolo di futuro
come quando sarò definitivo epilogo di passato,
configuro i contorni del mio contatto integrale
con la sola evidenza d’essere quel che non ero,
quel che più non sarò.
Accidia
Con l’accidia del giorno che salpa
il risveglio m’acceca da sempre
nel barbaglio di vita oberante
che m’approda ad atti svogliati.
Non ho tempo di ergermi, sbando,
ma scandaglio sostegni nel vuoto
che procurino nessi col mondo
che m’abbraccino caldi d’affetto.
Son disperse colonne le mosse
avventate lottando quell'ozio
sono ancore stabili quando
io combatto con forza l'inerzia.
Mancanze
Tiene in vita la vita
il sogno lungo, diurno.
E' un famelico salto
verso ambiti sollievi
d'esigente spirito,
avido d'abbrancarsi
ad altro che l'incubo
non neghi, non tronchi
in ataviche angosce,
amare congenite ansie,
mancanze.
Incomprensione
Sola l’anima canta
sola l’anima piange
sola è dalla nascita.
Può esserlo per scelta
magari per rinuncia,
tuttavia per brutale
feroce abbandono
di chi non vede male
di chi non sente fitta
oltre la propria dolenza.
Sincrono schianto
dal rogo desertico
al mare glaciale,
pungente schiaffo
a pieno viso,
l’incomprensione.
Se le parole...
Se le parole
esprimessero
davvero
compiutamente
gli umani sensi
non avremmo
l’insita urgenza
di guardarci
a lungo
negli occhi.
Daniela Procida
Se le parole...
Se le parole
esprimessero
davvero
compiutamente
gli umani sensi
non avremmo
l’insita urgenza
di guardarci
a lungo
negli occhi.
Occhi
Ci sono occhi tristi
che varcandoli
eccitano il germoglio
della comprensione.
Talvolta, evitandoli,
pur conquistano spazi
riaprendo mai sanate
longeve ferite.
Ci sono occhi tristi
che a sfiorarli lieve
è immersione d'insieme
degli uni negli altri:
consolante tristezza
nel dolce amalgama
del biunivoco aversi.
Teatro
Ho d'attendere
attenta, paziente,
che s'alzi il sipario.
Entro in scena focosa
applaudita, fischiata,
non importa che starci.
O di far la mia parte
a prescindere, prima,
che tutto si compia
nel mio silenzio.
La mia malinconia
Appendice costante
la mia malinconia,
fra i timbri inespugnabili
d'inizio e fine tempo,
vuol che avvizzisca
vigore di giovani mani
capaci ancora di predare
avanzi scagliati distanti
di là da chi
nello scolo di vili rinunce,
pusillanimi scarti di vita,
si inganna dentro stanco
e presto si abbandona.
Ancora un'altra!
Come al nord corre
l’ago d'una bussola
attratto è il magnete
che nel mio petto pulsa
per te di nuovo amore.
E trascuro già l’idea
di lasciarmi esistere
come scia di polvere
dura in calo agli anni.
Così che d’altre gioie
a nutrir cupe mancanze
non colmate, vado,
intanto che preziose
imminenti frenesie
chiedono annunciarsi
e l'occasione almeno
avere di potersi bastare.
Tant'è che questa notte
all’unica esigua vita
che ci si è concessa
elevo a supplica per noi,
com'eminente torre,
la pena d’altra vita
ancora domandare,
onde appieno cogliere
quel che avvenire nega
e perchè non più da me
posso cavare l'inattesa
smania mia che spinge
urge dal profondo forte
a oltranza d'amare solo te.
Ancora un’altra!
Sospiro dall’unica vita
un’altra vita ancora,
che più cavar non posso
la smania di amarlo.
Contro corrente
Volitiva m’ancoro
a stipiti d’una soglia
che ventilata spiffera
ariosa, avversa corrente,
fastidiosa e intralciante
lo slancio d’un moto
a mirati, puntati traguardi.
Sospensione
Tendono il fiato
dischiuse
nel verde aroma
d'una sosta
le mie labbra.
Non indugio è
ma godimento
il conciso tratto
che di spazio
separarle vuole
dalle tue in attesa.
Nata per vivermi dentro
Da sempre viaggio volandomi incontro
crogiolando pasti a sfamare appetiti
sdoppiando piacente da me altro corpo
ed amarmi cosciente ancor meglio di adesso.
Quel che mi imploro cortese mi dono
tagliuzzo tasselli tralasciati dal mondo
mi progetto sfilare su strade deserte
combino percorsi che tornino a me.
M'impongo un bis per ogni momento
agguanto baci che benigna mi porgo
esorto i miei passi ad incedere oltre
poi stanca ristagno e mi sogno da sola.
Leggendo Platone
(massime)
Slancio è la mancanza
che interesse accende
nell’uomo per l’uomo.
D’amore l’insufficienza
stimola il desiderio
di quel che non si ha.
L’apprendere prevede
legami non solo umani,
non solo intellettuali.
L’Eros è logica volontà
di ricerca dell’Essere,
unione amorosa di anime.
Senza pudore
Quando a sera
lembi propago
a piovra di me,
oltre me,
scopro
avvincermi
al ricordo,
bramando
senza pudore
trarre dal suo
il mio piacere.
Rifrazione
Specchio d’ombre
di realtà sfuggenti,
oculare cristallo
è l’uomo rifratto.
Tuttavia
pur debole moto,
barlume di pathos,
dell’universo
egli stesso rifrange
l’incognito prillare,
del mistero
la percezione.
Imponderabile etere
Tramontana e libeccio
verso il sud, verso il nord,
agognato impasto d’aria,
di turbinosi venti, vivono.
Oltre il derma
Quanti sogni tuoi
nel mio palmo di mano
contratto in impulsi
di ricerca affannata
d’un incontro sublime.
Mutuo stimolante
dolce piccante assillo.
Idea stabile d’un amore
da scorticarsi la pelle,
da svestire l’anima
oltre il torrido derma
irrorato d’estese parole.
Amore da scorticare
quella timida parte di me
che di gioia piange,
ride felice e digrada,
declina ogni dubbio
nel decreto fatale
di cercata fusione.
In balia di me
Senso o follia d’essere
di me padrona perdonerei
se un filo li legasse,
l’intersecasse a nodo,
lasciasse almeno intravedere
una remota connessione
accessibile logica
a questo mio sentire.
Ma ad entrambi i poli
di me schiava soccombo
e a turno scivolo nell’uno
mentre dall’altra fuggo,
o l’una mi vagheggia
quando l’altro pure
ingordo e cupido rapisce
tendenze umane mie.
Senso o follia d’essere.
Pura auspicabile concessione
di solo intimo peregrinare,
in balìa di me tornando,
andando, ancora venendo,
tra gli antri segreti della mente
fra gli spazi liberi dell’intangibile,
nel gorgoglio incessante,
talvolta inquietante,
ma sempre avvolgente
di questo mio sentire.
Petali
Ho sciorinato
al Sole
i miei petali.
Quando sfibrati,
sfogliati li ho
dalla mia corolla.
Non l'ho lasciati
volare via da me
se non fra le tue mani
esposte a nudo
di verità fiorite.
Mani ebbre
d’umani sensi,
rinvigoriti li hai,
perché tu sei
luce, acqua, terra.
Sole.
A Gianni Arluno Pia,
per la sua dolcezza e la sua sensibilità,
disarmanti!
Chella sera
Arricuordete ’e chella sera,
’e quanno ’na canzone
doce doce m’hai cantato
e ’na carezza m’hai lasciato
miezzo ’e mmane,
dint’ ’e capille.
Arricuordete,
nun me ne vaco cchiù
e sempe aspetto a te
pe’ te strappà nu vase
pe’ te putè parlà
ca niente me po’ zittì
pecchè l’ammore parla.
Parla assaje, sona meglio,
meglio ’e tutt’ ’e parole
ca saccio dicere pe’ te.
T’hann’ abbastà ll’uocchie
pe’ me capì e si nun capisci
allora azzarda e tuocca
’sta pelle mia, rosa e rossa …
risponne a fiamme e fuoco!
E’ ’na fiamma ca nun scarfa,
abbrucia pure ll’acqua
l’anema e ogne suspire
d’ ’e nuttate passate
scetata a te penzà
cu ’na smania ’e femmena,
’nnammurata,
ca scunsulata strigne ’npietto
sulo ’na poesia arrubbata
sott’a ’sta fronna ’e nuvole,
nuvole janche a spasso,
dint’ ’a ’stu cielo azzurro,
chella sera ca me vulist’ bbene.
Dove... gli istanti
A valle vanno
ad accozzarsi
caliginose nuvole
quando deluso
sosta il sonno ferito,
spento bagliore
d'un giorno malfermo.
Rotolare cieco
d'inesorabile fumoso
morire d'istanti.
Dissolvenza
Si dissolve facile
il vigore del dover essere
nel seducente desiderio
di realizzarne la volontà.
Come frecce di ghiaccio
freddo fuoco esso infligge
all’ingenuo pianto di lacrime.
Sulle sane incertezze infuria
dubbi che sanno di voglie
e innanzi a chi pondera
soltanto quel che emerge,
strugge parole imprudenti
rivolte a scolpire la reale
sostanza dell’essere.
Il “Walzer del 10 novembre”
…La la là… la la là… la la là…
Indugia tempo alleato
su questo walzer inglese
…la la là … la la là…
avidamente slow,
come l’attimo che fermo,
finalmente indifesa,
smaniosamente cupida,
nella sala da ballo
d’inevitabili pensieri
a te destinati,
fragranti di noi,
danzatori carichi
come spirali tese
ed io
ammaliata bayadère
di incantate emozioni.
...si si sì... si si sì... si si sì...
Padre
Cercherò un senso
al reciproco ignorarci
tra sangue e sangue
d’una stessa famiglia.
Non riesco a vedere
che sagoma ignava di te,
sono questi i riflessi
che espandi incurante.
Non comprendo
gli occhi miei guardarti,
morire,
i tuoi non vedere me,
vivere ancora,
subendo il catrame
della tua vissuta morte.
Amico
L'amico vero
da te attinge liquor
e ti disseta.
Mentre vado
Spoglia di parole,
allarmata, attonita
resto,
a pensar di tutto
e non poterlo dire.
Di lemmi disadorna,
triste, pur faconda
resto,
celate frasi a leggere
di velate sconfessioni.
A brandire il coraggio,
quello d'agire, d'impulso
resto,
per osare l'azzardo
e... non aver riscontro.
Smarrita e afflitta
resto...
mentre vado, nientedimeno,
con la sporta in spalla
di derelitte mie banalità.
E mai più banalmente di così,
mentre vado, banale poi perchè,
amando chi non m'ama,
ancor più banalmente,
mentre vado, piango di me.
Non senti...?
Non senti il mio spasimo?
Sordo, resti a pensarmi
com'io fossi solo feline fusa,
fusa sciolte per il tuo incanto
che non accetta accordo
col mio giovane indugio.
Non vuoi sentir ragioni!
Ed a buon diritto... credi...
di poterle pretendere tutte,
non senti il mio spasimo...
che s'allarga nei tuoi anni...
egoisti predatori d'amore!
La voce
(da "Attimi di insostenibile pessimismo")
A volte...
mi pare
d'intuire...
dai rifiuti
ricevuti...
che dell'Uomo
la voce...
ora la mia...
sia trillo
urticante
il Silenzio...
quasi apocrifa...
scolorita firma...
sul contratto
incolore
del Niente...
Anima ed essere
Quel che l'anima ricusa
delinea l'essere ed i suoi desideri,
quel che essa trattiene
lo compone e lo manifesta,
quel che l'anima desidera
non è lontano nè fuori da lei.
L'auspicio è che riconosca
la luce che le darà la vista.
Sia quel che sia
Fune sovrana e magica quella
che abbarbica il nostro sentire,
all’altro, l’uno, senza rimedio.
Rifiutarne il governo è delitto.
Che esista, che tiri, s’accorci,
che domini fino a riunirci,
ci intrichi, avviluppi,
nel garbuglio amoroso di noi.
Ma è debole il dire comune
che nuove parole non trova
a spiegare talune emozioni
a dirti che t’amo anche io.
Quel che dilania il mio-cardio
è ciò che la bocca inesprime,
l’inabile gergo è incapace
e tacendo mi scuoia il cervello.
Per questo confesso lo spasmo,
m’adagio al tuo desiderio,
ancora tentando di labbra
l’impresa d’armarsi di voce.
M’adagio, m’adagio, m’arrendo!
Che di tanto idioma non v’è!
Mi prendi, ti prendo ed allora...
allora... sia quel che sia.
Quella redola
Il mio corpo è marchiato,
impresso indelebile,
nel disegno tuo, foggia,
che in me prende spazio
alle mie notti durando oltre,
fino alle luci abbacinanti,
quelle di giorni solitari e tristi
che non mi lasciano vedere,
ansiosi, d'attesa fiaccante,
mancando il tuo sale, vitale,
condimento di pasti sciapiti.
Penso all'aria da respirare
che intensa si frappone,
ci tiene distanti e… e…
parte l’affanno, il tormento,
di un lavoro che sa di pazzia:
scudisciarla!
Come a reciderla, io violenta,
quella fitta boscaglia, da incubo,
ottenebrante ossessiva pressione
su fulgida brama di quella redola
che senza possibile replica
mi pretende e trascina… da te.
Inevitabile incastro
Non sento redenzione in altra forma
che d'arte non sia quella di danza,
amatoria, fino a schiena e reni in arco
a trovare braccia come virile appiglio.
Impulsiva una scossa dietro l'altra
viscerali fino al punto d'impazzire.
Ogni tanto recupero il mio corpo
tra una resa, una seconda ed ancora...
non c'è verso d'affrancarlo, è tuo
e tu non frani che tra i capelli miei.
Oltre la vita scesi, lunghi sui lombi,
scarmigliati dal ritmo incalzante.
Contatti ed adesioni combacianti, poi,
del mosaico l'inevitabile incastro,
la perfezione fatta donna / uomo, noi.
Avverto le tue mani possessive
andarmi sopra, gelose come di me
e d'impeto riscattare la spossante
aspettativa della rinuncia mia a lottare...
E' apogeo!
Del piacere riscuoti il vertice,
apice smaniante di quel bene attirato,
quanto sognato, che ora s'incarna
e diviene amplesso... mentre m'arrendo
docile per a te capitolare paga.
Stanotte…
Stanotte fino a tanti domani,
così, fin quando vorremo,
resteremo svegli la notte,
tu mio, sarò la tua bella.
Coste fatte e disfatte
di cervelli che si son stretti
negli occhi avranno la via
dei nostri concessi tepori.
Daremo le mani ai respiri,
bruceremo le labbra in sospiri.
Placherò l’affanno d’un petto
che sappia svuotarsi d’amore
per me che giuro il mio dono
per te che azzardi e lo chiedi,
per noi che pazzi sfidiamo
le notti più insonni dell’anno.
Stanotte, fino a quanti domani…
Rabbr...ividire!
Dimmi che non sarò che tua
che non amerai che me
che non verrai che da me...
che in me...
...non cercherai che calore
che non vorrai che passione
che non lascerai che io dorma
che non mi farai respirare
nel tuo letto agitato da sogni
nel mio disfatto da te....
fammi rabbr...ividire!
Adesso!!
Per te soltanto
voglio farmi oro,
ma non lambirmi
come re Mida,
ad ostentare un bene
ch’è già tuo.
Scaglie rapprese
come pepita
faresti del mio amore
e lui non chiede
che d’agire caldo,
fluido...
energia felina…
fuori dentro intorno
alla sua preda…
…adesso!!
Uomo...
raro amabile mio bene,
lupo e romantico insieme,
attenti ai sensi miei per te
e mi strofini con parole il cuore,
magica lampada d'amore,
da cui t'aspetti solo me.
Uomo...
dolcemente turbi d'oro
la conca dell'anima mia
con sperticate confessioni,
dichiarazioni come agguati
al mio fragile esser donna,
come abbracci comprensivi
della mia femmina sensualità.
(a Wilma)
Soggiogata
Prevarico me stessa
usando idee a pungolo
d'altre che mi sfuggono
...e tutto piano tace
quel dentro che m'è caro!
Strepitio d'un unico pensiero:
poesia!
HHUUFF!!! (Pensiero stanco)
In eclatanti giri di rinuncia
e poi d'improvvise inversioni
sospinta da sensi scottanti
traccio lunga al suolo una scia.
Quella di piedi con ali malconci
in pressanti noiosi dietrofront
praticati sempre a decidermi,
poi torno, ritorno, riparto.
Ordinario andirivieni
di persona normale,
comune mortale
che protesta a se stessa
le proprie ingiustizie,
l'irrilevanza d'un nome,
la propria trasparenza.
Sgomitare d'anima in pena
nella calca d'un purgatorio...
acciuffarsi dal filo del margine
per riportarsi al centro...
a sgomitare ancora...
ancora scalciare...... HHUUFF!!!
Le ali volano... volano... volano...
ma i piedi imprimono il suolo.
Ritorsioni!... o ritorcibile pensiero?
La morte agisce per vendetta.
Ogni uomo teme un solo decesso.
La morte, sola, teme la vita di tutti...
reiterato nascere che senza fine la uccide.
Per lui
Stasera ho smagato la bruma
che attecchiva al bisogno interiore.
S’è rimessa a parole sincere,
arresa all’illogica smania di lui.
Sul rifulgere niveo d’un foglio
uno scambio, un dono che torna.
Trapunta di dolci ammissioni
è fondere fiati in un solo calore
colmando e sanando le assenze
d’intimi accordi ieri temuti
o arginati in confuso schivarsi.
Stasera non mi logora mancanza
e cucirò da ora in baci e parole,
col refe carminio della passione,
questo godibile ineffabile ghermirsi.
Prime sere d’inverno
Sono giorni senza sollievo,
quando piango e non un alito
a smuovere leggera la carta
che la penna mia carezza.
Non odo d’uomo lontano
conforto alcuno e affetto,
quasi indegna a meritarli:
forse a castigare bisogni
che non dovrei provare.
Non odo di sensibile dolore
singulto amorevole per me
stupirmi d’emozione altrui.
Manco un cane a farmi festa.
Sciocca io, a rimirarmi sto
in un quadro scolorito da ore
dipinto nel poco passato
da chi giurava d’amarmi e
mi fugge e fugge le parole
che per lui ho dentro care.
Bagno fogli senza macchia
d’abbandono pallidi, smorti
come un viso scoraggiato
e piangenti come inchiostro
che tra le mani oneste stilla
pianto d’incompresa solitudine.
Quando sciocca, penso a chi
più non mi pensa, manco solo
a me stessa… e chino il capo.
L’estremo giorno della montagna
Non voglio starle fuori
quando nel giorno estremo
l’inquieta montagna spaccherà,
aprendo il ventre, la sua storia.
Non voglio patire delle rocce
l'osseo cricchiante fratturarsi
o della terra sua spremuta
l'incanutirsi progressivo
dal castano al bianco unto
delle storture umane.
Non voglio starle innanzi
e fissa, ad attendere nefando
l'effetto suo massiccio,
od a fermarne forti i tratti
con l'occhio della memoria,
che quando,
non rinverrà il suo senso.
Invero, le correrò incontro
braccia schiuse a cingerla,
risoluta le chiederò l’asilo
che m’ha negato prima,
in grembo esigerò m’accolga,
di viscere sue mi farò pareti
e saranno lunghe a dismisura
quanto d'amore l'anelito costante
che in seno mio morrà
sol’io morendo in lei.
Giochi di parole
Le parole accorrono,
sottendono a volte,
più spesso sostengono.
Risalgono chine
di fiati perduti,
accordano frasi
a chiarire concetti,
confondono idee
in sonora espressione.
Quanti misteri prodotti
nel loro silenzio,
quant’altri snodati
dipanando pensieri.
Impetuose soccorrono
ostili tradiscono,
fermano immagini,
poi negano il resto.
Di tutti sposano voci
di chi, come me,
spera di dire, di dare…
ciò che le mani non sanno
ciò che lo sguardo raccoglie.
Di colori non han pregiudizio
di idiomi, di dialetti a milioni.
Dell’umana lingua
in eterna passione
esse sono le amiche
nemiche, le amanti.
Vita
La vita è prece interiore,
reclamo d’estensione
ai meati del percettibile
ed a quelli di un’idea
che diviene immensa,
implodendo,
dalla carne esplodendo
a squarciare la mente,
quando provo a goderla.
Mimo e taccio
Protesa, mimo,
la pena della mia forma
plasmata per amore chiedere.
Accorta, taccio,
la distanza del corpo
da chi rinnega offerte passioni.
Dolente, mimo,
le brame tue indugianti
capaci di non osare.
Sagace, taccio,
le colpe mie insistenti
incapaci di tenermi.
Lasciati,
come ai primi passi,
lasciati,
cedendo alle mie onde
morbide curve tutte da nuotare
dolcemente guadando le mani,
nell’etereo mistero del sogno.
Ansioso pensiero
d’orizzonte a cui non giungo,
sei,
fuga d’estasi
che crudele mi neghi
come tu unico fossi
a doverti salvare.
Nel buio son sola a soffrire!?
No taci, ti prego, solo mima!
e se puoi baciami almeno!
Conscia
Conscia dell’ove portarmi
quando prossima al partire
col traino di me
su quei binari,
come pensiero
lunghi a precedermi,
estesi allo sguardo
vinto da umano limite,
teso a seguire l’arrivo
in una tersa stazione,
conscia,
radunerò significati miei
confusi per le vie
che m’avranno smarrita,
in quelle ch’avrò percorso,
sparsi nelle azioni
che più non conterò,
racchiusi nelle parole
che non avrò detto,
in quelle che avrò detto
senza diritto alcuno.
Conscia,
comporrò frammenti
d’anima in vita rarefatta
e col timido traino di me
lo sguardo pur velato
saprà ove portarmi.
Il 27 gennaio, nel ricordo
Il vero dolore
non cerca parole,
l'uomo
d'azzardo le inventa
e veste la voce
di muta sofferenza.
La memoria
parla per prima,
d'orrore
si scuote violenta
ed è ancora impietoso
quell'atroce,
assurdo,
causticarsi d'anime.
Poesia
Figure,
istanti,
pensieri
scattati,
fissati,
promessi
nell’arco
del tempo.
Non altro,
non meno
che, d’uomo,
dal breve
passaggio
caduco
fuggire,
stampato
sui libri
passiti,
maturi
di padre
gentile:
l’Eterno.
Il giunco
Reclusa
tra mille digiuni
c’è sempre
una pallida gioia,
debole giunco
nella palude,
nel miasma
di lunghe afflizioni,
dove ancorare
agili mani
e tenui speranze.
Innocenza violata
Non osare. Non te lo permetterò.
Rubare l'innocenza ad un bambino!
Vestirlo d'abiti enormi
a lasciarlo inciampare
fra le pieghe d'un pantalone
cascante a piombo
oltre le tenere caviglie.
Rubargli i sogni
prima ancora s'addormenti,
non ti vergogni,
essere dall'osceno intento!?
Le attenuanti?
Sono il tuo unico patrimonio.
Io non vedo che giocattoli rotti
non sento di paura che pianti
non asciugo che lacrime amare
di chi lotta perchè tu non esista!
Mi chiedi della disperazione? ed io...
In una camera
senza pavimento
cammino
guardando in alto
ad un soffitto inesistente
mentre le mani
stanche
si afferrano a pareti
di illusoria apparenza.
C'è fame e fame
(ognuna con il suo fardello, a Tinti ed Anileda)
Nostalgie costanti
ho letto brulicare rafferme
sul viso tuo, accanto a
insistenti inquietitudini
stipate a cassaforte
come documento attestante,
stipate come pane fresco
solo accantonato
per mai provare più
nell'avancorpo del tempo
quei dolorosi cardiaci
crampi di fame.
Plenilunio di tenerezza
(alla mia bambina, Glenda)
Vorrei saperti come ora,
felicemente intenta sempre
ai ludici interessi
ed il capino dolce di trecce
chino sugli amati balocchi.
Di sogni e fantasia
calottina misteriosa,
di tenerezza un plenilunio…
di classiche emozioni,
di quelle ormai in disuso!
Estensione mia d’amore
al di là di me ti proietti,
al pari d’un gioiello proteso,
al pari del diamante riluci,
di carati preziosi pesante,
sei oro fra le mie braccia.
E nel fragore del novello slancio
scolpisci mappe dei tuoi labirinti,
cesellando vai i rilievi del tuo mondo,
mentre io, eterna puerpera, ti guardo,
nutrirti del mio materno desiderio di abitarlo.
Poeticamente
Quant’ansia di perdermi in poesia,
in lontananza dalle solite cose
e smarrire distante le scarne parole
nel concerto d’autunno che chiamo,
che amo, da limitarsi il dire.
Rotolare sguarnita dai livori
nel croccante rossume di foglie
come letto d’interminabile agio,
culla di primordiale pace,
ove dileguare i falsi bisogni,
terminare il moto della carne.
Poi, fermarmi ed essere io.
E poi. Maturare nel fondo d’una selva
che non sappia l’umana invasione,
pensando cose mai pensate
occultate dai muri di cemento
che freddano le ispirazioni
che durano ai sismi interiori
e paesaggi censurano pastorali alla vista.
!Quanta ripulsa di subire la vita
per stiparne razioni avanzate
a rimandare la corsa declive!
Quanta poesia nel funesto desiderio
di lasciarmi da ora verzicare
nell’orto d’una casa rurale,
così, semplicemente,
per scrivere le radici la mia storia nella terra,
per darmi il gusto sacro di finire come vorrei,
così, poeticamente,
in bucolica offerta all’agro
di quel pugno di concime che sarò.
In lontananza sento perdersi i sensi,
lo smarrirsi ancora di parole scarne
nei lirici colori dell’autunno
che chiamo, che amo,
tanto, da limitarsi il dire.
(Non è un capolavoro ma così mi sento)
Ti ricompenserò
Sento di emozioni lo scandaglio
per riemergere da labbra loquaci
che baciandole tu possa palparle.
Ed allora ti lascio trafiggermi
più volte
perchè duri il tempo di noi,
dissodarmi le zolle dello scorno
scardinando porte tarlate di vecchio
fetide d'incancrenite fobie.
L'infrangersi dei tuoi calli
sul vetro della mia fragilità
...sento...
il tuo dolore scarnirsi del male
che malgrado t'ho fatto.
Complessione capace
il tuo prendermi,
d'atto insinuante il tuo agire
negli alvei celati del mio corpo,
tra i ghirigori della psiche
addentrarti come tentacolo
... sento...
a scomporre da mente la carne
per farne polpa da plasmare
vita da guidare nella tua direzione...
ti prego... fermati, dammi respiro...
e per te esibirò delle danze
la più amabile
che dal fondo del ventre
pieno di te
d'amore ti ricompenserà.
Per qualcuno questo è vita
Sterpaglie inerti
d'inaridito vivere
al gelo dell'aria
di venti sprezzanti,
implacabili.
Per te questo era la vita.
Ed eri lì
in attesa di te,
pelle arrossata,
pensieri di sempre
gli stessi per anni
e sei lì ancora
c'aspetti qualcosa,
l'attendi da quanto.
Pelle arrossata
screpalata dal freddo,
tempo che passa
sul viso del giorno
che cala,
cala su tremule ginocchia
su piedi ingeloniti e scalzi,
pesano gli orrori subiti
e cadi, prona su te stessa.
Mente gela cuore
insieme gelano te
più gracile di ieri,
oggi braccia smilze
d'energia languide
solo coraggio, ancora
ed ancora ,d'intento
d'asciugare pozze d'acqua,
prima che il tuo inverno
volga a morte.
De Amore
A m o r e caro! Mia adrenalina!
Ormai di te così l'idioma mio
non vuol che suggellarsi, in tale sito,
d'allor che quella volta fu primiera
ch'al personal computer mi sorpresi
di rosso ad avvampar come cerasa.
Allor! che d'onestà tu fosti il divus
e l'arte mia amatoria supponesti
financo a immaginarla come vera!!!
Dai versi miei turbato ti spingesti
a dir che la sonata era maggiore (*)
quand'anco s'impazziva di piacere. (*)
In me l'eco risona del tuo verbo
or ora che sublime il sito appare!.
E penso all'iperbolico erotismo, (*)
di psiche, al novello mio piacere, (*)
del mouse, alle carezze delicate, (*)
d'"orgasmo" perpetuato, alla vergogna. (*)
Ed or che fugge a te l'amata "musa",
che vai pei lochi in quel d'un "labirinto"
rimembra che cantasti di me tanto
dicendo a eccitamento mio "con-vengo"!(*)
Ov'eri, dimmi, al tempo che pulzella
andavo a ricercar l'ardito Amore?
M'avvezza non son io ai canti eccelsi
e più non saprei dir di quell'Amore
per cui tant'ho vagato fino ad ora
per cui ben venga dolce la passione.
A mo' di chiusa, indi, ultima cosa:
ch'acceso ho di porpora il mio viso!!!
Alla mia lirica
Schianto già annunziato
lo sfumarsi sconsolato
della creatura mia
tra quelle d'altri creatori,
padri poeti.
Pudico il mio sperar da madre
- eppur lieve speranza -
ch'essa cantasse di voce soprana.
Ma illusa l'ho parimente, io,
ch'ora giaccio in flebili certezze,
fra le mie carte, in pena,
posata in me
com'essa posa sconosciuta
su labbra di molli indifferenze
nolenti di scoprirla.
E mai espressa
la mia creatura, mia,
anco giace ora
- perchè! -
come ignorata.
Poetoterapia
(così per giocare)
Parola= pillola d'umanità.
Verso= antiossidante cardiaco.
Strofa= fosforo per alti pensieri.
Rima= colluttorio per il cavo orale.
Metrica= balsamo per le corde vocali.
Poesia= quesito di nobile lignaggio=
guarigione, avvelenamento
o conto del farmacista?
Un sito per tutti
(… di pace, che sia virtuale o reale)
S’apre in un quadro oltre noi
un tutto di storie e non storie,
fra le morbide curve soffiate
di tutto si sente il profumo.
Profumo soave,
che giunge dal cielo,
con occhi lo vedi
con labbra lo gusti…
il senso lo fiuta
lo accoglie capace.
S’apre. Col click d’un istante
col battere d’un ciglio stanco
ma s’apre e solleva colori
non stinge e largisce calore.
Profumo soave,
che giunge dal cielo,
con mano lo crei
con voce lo canti…
il senso lo sposa
ne accentua l’incanto.
S’apre… quando l’apriamo
quel tutto in cui ci perdiamo
assorti in franche scritture
di tanti proviamo l’aroma.
Aroma soave
che giunge dal cielo,
nevata che scalda
di petali rossi…
l’ardore lo fuma
come fosse tabacco…
o droga soltanto per le nostre emozioni.
Briciole d'egoismo
Voi che riposate anzitempo
del perdono spalate le preghiere
dalle vostre tombe, tante,
quante briciole spalo dai miei panni,
somma di pane sprecato.
Solo briciole,
ma non sono lacrime soltanto,
quelle versate per fame.
Che io anneghi
in quei profondi gorghi di dolore
soffocata da immani parti di pane,
briciole soltanto per me.
E voi,
che riposate costretti anzitempo
spalate dalle vostre tombe
le preghiere mie di perdono,
umane briciole soltanto
di consumato egoismo.
Conviene ascoltarsi
Non spara a salve la mente insonne
colpi sferra d'acuminati pensieri,
chiede a notte flessibile udienza.
Tesse lenzuola il verbo impedito
e l'amichevole letto mutasi
in giaciglio di simboliche spine.
Per non ascoltarla
s'estingue il proprio silenzio
nel sibilo d'annoiati gemiti,
squarciasi l'aria di fuori
solo taglio impresso nel vuoto.
Tutto è subbuglio interiore.
Conviene ascoltarsi...
quando si tace, conviene ascoltarsi.
*
Muti i pensieri parlano forte
più di quanto a tacere mettansi,
stampano dentro il ricusato sentire,
per non sapere
cercasi il giorno che tarda.
Narrano di sè le comuni emozioni,
credute sbiadite, tornano a nascere,
al rumore sordo di parole scontate,
spesso, troppo educate,
spesso poche per farsi notare,
per paura, spesso insincere.
In silenzio conviene ascoltarsi...
*
Il silenzio, conviene ascoltarlo.
Nel suo perenne rigenerarsi
tra memorie stipate e trascurate
ed altre di continuo evocate.
Vibra, diapason di "la" sentimentali,
efficace incantatore d'anime umane
incanta con musica senza note,
col dolce suo esser niente
ch'è anche suo amaro totale.
Conviene ascoltarlo,
quel saggio quieto vivere
d'ispirazioni nel loro fluttuare
come piume sospese senza peso
in eterno pensiero in cerca di pace.
Conviene ascoltarlo, il silenzio assordante,
che vive d'idee che tengono svegli
che vive di sè nel suo vuoto neutrale
ma ch'è vuoto soltanto per chi non lo coglie.
In silenzio, conviene ascoltarsi.
Note amare
Se fossi di folgore figlia prescelta
a dardo mi scaglierei nella nebbia,
i limiti dissiperei di visivi campi
e trappole disfacendo d'inespressi amori
piangerei cantando l'ultime note amare
del mio e del tuo tormento.
Sangue
Come deserto m'appare
quest'Ateneo,
pur tanto percorso suolo,
pur tanto pregno di storia.
Come povero è il viver mio,
come bianco è il sangue mio,
a confronto.
Nel cortile una fontana...
Nell'aria una campana...
in me solo passione...
inutile.
Manca
Tanto stornarsi
ma poi ritorna,
pervicace torna
quel che manca.
Come boa
depressa sott'acqua
affiora dal fondo,
frombola nel ricordo
represso in trincea
e mesto torna
quel non avere più.
E quel che s'aveva,
ora...
manca.
Assedio
M'assedia
nel fugarsi
ogni scibile,
sublime
aspirazione
che m'insidia
di lacune .
Quando tu m'ami
Quando l'acque tue spumose e fresche aspergi
aria dai al fiato teso dal pudore
e quando uccidi l'egoista reticenza a dire
sommo poeta t'improvvisi e piaci,
più d'egli che perfetto ha il verbo antico
ma ch'altra donna sola vede e canta.
Dai gorghi miei spumanti ormai rapito
non puoi morir sfinito che d'abbracci
e se alla mia s'alterna la tua resa
è gioco puro il nostro venir meno,
a far dell'altro il proprio carceriere
e a vincer di sconfitta il premio primo.
Infine il fiume grosso affronti e sfidi
e allora t'amo,
ma poi ti placo io, quando tu m'ami,
nel flutto suo indomito che di te s'agita ancor.
Quando si dice sentirsi
Talvolta il cuore non pulsa
invero pare sonare
ed io mi lascio usare
come strumento musicale.
Esso è diga senz'argini
d'emozioni compresse
convogliate fuori
per piovermi addosso.
E sono pioggia efflussa dal petto,
schizzo divengo che fiotta,
cromatico soggetto
che agisce animato,
pur modesto respiro
in quello del mondo.
Com'acqua in rivoli
purgo noiose calure
e sono doccia rovescia
su vergine cute,
fiera vorace e mai sazia
d'illimitato mutare.
E m'evolvo immanente
vasca accogliente d'effluvi
da un tronco rosato esalati
di sandalo indiano reciso.
E distanti i pantani mentali
m'inonda di rosa l'essenza,
dissolve lontano i miasmi
del mio insistente scadere.
Ed il cuore risona... di me.
Tenera terrai la nera crosta
Camminerai oltre quei passi, amore
che mi strapperanno a te
e tenera terrai
la nera crosta del trapasso
perchè io a sangue la graffi
dall'abisso d'una tomba
per tornare ad amarti.
Mi (s)finirà il putrefarsi delle dita
ma graffierò per te dalle mie unghie
di madre ogni minuscolo rimasuglio.
Poi me n'andrò davvero, amore,
solivaga in quel mondo,
a cercar di me un segno ancora
che d'immemore lapide non sia
svanita memoria.
Evocazione
Lungamente nell'afa s'è atteso
partorire di cirri gestanti,
agli schioppi d'un cielo iperteso
si ammassan le gocce importanti.
Sono qui, cara pioggia, mi vedi?
che trasudo di madida sete?
Ma tu brami la terra ed incedi
come mitica acqua del Lete.
E s'estingue l'arsura agostina
che m'induce così a evocare
dal passato remota bambina
che amava ne le pozze guazzare.
Vana come te
Tempo che ti sprechi e passi
spegnendo il fuoco dei precoci eventi,
come vento perduto
che soffiando ignora il crine
sciupi te stesso a dir sempre domani.
E di te stesso pari il tuo nemico
ma i segni tuoi li imprimi al mondo intero
fremente di godersi il caldo e il freddo
disperso in vanità senza confini.
Ed io che son confine tra il prima e il successivo,
morte tra due punti d’inutile materia,
lasso temporale che si perde anche vivendo,
vana come te,
mi spreco e passo.
(da "Attimi di insostenibile pessimismo")
Profondità
Solcano le parole
l'inesplorate profondità
di chi vede lontano,
lontano.
Le parole condiscono
l'intimo stato dell'uomo
che mira lontano,
lontano.
E lontano
s'aprono varchi di luci fruscianti,
lontano
le parole sbrecciano il petto,
lontano,
lontano nell'oltre
che ad oltranza ritorna,
vicino,
nelle profondità dell'essere.
Peso
Per ore ho portato il peso
delle cose gravi del giorno
e sono stanca,
ora sopporto quello
del sano egoismo della sera
che depone le armi
perchè nulla più può.
(ispirata da Giuseppe Marzulli con la sua "Gli stimoli del tempo")
Sonno
Turbato senso d'esserci,
sonno,
insisti sui torpori della sera,
stanchi,
col tuo lecito rubar l'ore,
furto,
al creativo impiego del tempo.
Sonno,
o destinata sospensione
d'umana corrente?
Smorzi, stanotte,
la mia luce trepida
d'un tuffo nel brillio di lampe,
infuocate all'orizzonte come fari,
tra indefinito andare via da te
ed insolito tornare.
Parlami
Parlami quando t'ascolto,
il mio silenzio,
percosso,
è cedevole timpano.
(dedicata a chi si chiede perchè spesso taccio)
Albula pace
Indugia calando
un nuovo raggio di sole,
dal mattino proteso
al respiro sopito di case.
Flessuosa discesa di talco
sui tetti s'esprime
svaporando gli umori
che la notte sprigiona.
Tremola un fiore
fiacco nel clima incerto,
molle, un petalo s'atterra
a trasalir sì fisso sguardo.
Gettito indecente
di volgare motore
sarà d'albula pace
brutale morire.
Con dolore fuggo l'attimo
ma il pensiero solo,
torvo,
è petalo greve ch'atterra.
(poesia promessa ad Aurelio Zucchi)
Parole come catene
Non sempre spiegano l'anima
le parole evase da me
com'io fossi galera.
E forse lo sono.
Incapace di svelare i misteri
la parole mi tradisce
com'io la ignorassi.
E forse ignoro me.
Ogni qual volta non parlo
ed ogni volta che rispondo
com'io non sapessi farlo.
E forse è così...
Pagando parole come catene
che l'anima rivendica
i suoi spazi immensi dentro me,
com'io fossi galera.
Sfocati nell'uomo
Balzani sono i sentieri
che instradano la storia,
le danno causa,
sfocati nell'uomo.
Nel ginepraio d'accessi
si complica l'Essere,
intonando il muovere del tempo
come torbido dibattersi della sabbia
nel durevole rimestarsi dell'onda.
Dove non sono
Distendo le rughe dei miei momenti lassi,
non mi trovo e cerco.
Profondità maldestre.
Sbuffo di polvere s'allontana pigro
e sono nel noce lucido d'un mobile.
Solo riflesso.
Non mi trovo e cerco...
fra le pieghe d'una tenda vacua
sbircio quel che avanza di me
e i ruderi di passioni che non mi vollero.
Non mi trovo.
Al giallore di lettere inevase
chiedo che dimora ho scelto.
Cerco...
e irrompo nei raminghi passatempi
che mi negarono al resto,
le dita a sbarrare il disgusto,
solo bozze distorte di me.
Non mi trovo e cerco...
dove non sono... altrove.
Sordità
Stridere di suoni andati a male
è il calpestio di parole trite a vuoto
come strofe di poesie senza mai voce.
Omaggio all'asinello di un agriturismo
Non posso lasciarti senza voce
in una stalla d'un agriturismo.
Non t'avessi quella sera conosciuto, potrei.
Non avessi guadato il tuo languore
nell'attendere il buio e la luce,
allora forse potrei.
Con te ho respirato gli acri olezzi del tuo ostello
perchè mi s'afferrasse percezione,
a te ho confidato il mio intimo verso
che l'uomo è il più bestiale tra le bestie.
E sei rimasto fisso, impensierito,
indifferente come all'avventore
che stampa pacche sulla tua groppa
come promesse a cui neanche pensa,
per poi andar via
e allontanarsi tappandosi le "nobili" narici.
Non ti prometto ciò che non posseggo,
della libertà non sono che utopica erede,
illegittima fruitrice,
nel dimenticar talvolta la mia cattività.
Non t'ho sfiorato per far di te una foto,
non mi sono espressa per dirti "non capisci",
ho taciuto sperando mi sentissi,
sperando ammarassi nel reciproco rispetto,
nell'acque chete della nostra comprensione.
Eri come in un presepe, abulica statuina di creta,
quand'è bastata una mia lacrima
a scalfire la tua indolenza,
a scorgermi ancora natura primordiale.
E nell'eco scandita della notte
venne l'asmatico raglio a sposare il mio dolore,
sentii librarsi il diritto di soffrire,
il tuo trivellare nell'aria la preistoria del mondo.
Il suo placido stare
Quando sarò sbiadita carne
anche il sasso, lungimirante,
ambirà ad esser solo ciò che è.
Gli sembrerà ad un tratto vuoto
l'affanno umano di perdurare
e innanzi al mio non esser più
sarà l'osanna di gloria alla vita,
un inno, il suo placido stare. |