Emozioni al
mare, davanti a un'isola, due.
E' febbraio, una tiepida mattina di febbraio. Una spiaggia semideserta,
pescatori che con le lenze piantate sulla spiaggia pescano, tentano di
pescare. Si lamentano del pesce che non c'è più, i tempi son cambiati
dicono, e si guardano attorno pazienti aspettando che qualche spigola
abbocchi all'amo.
Sono sulla riva del mare, seduta sulla battigia, aspettando
quell'ispirazione, ce l'ho. Un attimo e poi cambi vita. Ti ritrovi lì a
pensare, credi che il mondo in fondo finisca con quello che hai
lasciato. Il
mondo è tutto da scoprire, sempre un nuovo mondo, quello che hai
lasciato
era un pezzetto di mondo, un angolo, una buona fetta di vita da
cambiare al
momento in cui pensi di farlo. Mi sento assetata dal piacere
inesauribile
del continuare a sapere tutto, vorrei sapere tutto, ancora di più. Mi
trovo
questa nuova curiosità, sopita sembrava, ora riluce, ricomincia la sua
lucentezza, la sua continua arsura verso il sapere avanza, sempre di
più. E'
strana, la trovo strana la faccenda, accontentarsi di non scavare,
accontentarsi magari di quello che il momento non ti può offrire, la
trovo
starna questa circostanza quando negli altri la noto.
Le onde del mare col loro dolce rollio riportano a poesie scritte prima
per
l'occasione, e un dolce pensiero m'invade la mente, un pensiero che sa
da
estate, di momenti di ricordo al passato prossimo, un dolce ricordo
ora.con
la musica delle piccole onde che vanno e vengono, che spiegano, la
sabbia si
ritira dolcemente al passaggio dell'andirivieni dell'acqua che
lentamente
sembra sondi il terreno come in attesa di dargli il colpo finale di
grazia
per scavare livellandone la massa. E in lontananza barche a vela,
candide
nel loro percorso seguono la loro rotta, seguono il cammino che le
porta a
girare, che le porta per mano come cose già scritte, come il dovuto che
segue la sua vela.
La costa m'appare come ricordo d'infanzia e cosa nuova insieme. Sembra
che
gli occhi non abbiano mai visto queste insenature, quello che sembra un
immenso porto naturale.
Qualche palazzo si vede in questa strana piccola foschia. E'un febbraio
strano dicono.
Ho lasciato la neve, splendide giornate, un paesaggio di montagna
dipinto
nel cuore, giornate di sole che porto ben stagliate nell'anima, come a
fissare quel momento ch'è stato un arrivederci a quando non si sa.
Tornerò
tra un periodo, tornerò a finire, tornerò a far ravvivare il ricordo
scolpito nel cuore ancora quel Pelmo ch'è stato protagonista per gli
occhi,
quel Civetta ch'è m'ha regalato allori, quell'Antelao che m'ha visto
verso
sera rincorrere con lo sguardo la sua cima, quelle Tre Cime di Lavaredo
col
loro largo piede ben piantato al suolo.
Ma questa è la mia vita, questo è il mio sentiero, e lo percorrerò
senza
nulla cambiare le carte dei perché, le carte dei momenti passati,
presenti e
futuri.
Che ci porta ora a considerare questo cielo, questo mare, questo
mormorio
d'onde che lenti s'assimilano nella mente? Che ci porta a considerare
un
piccolo schermo sul quale scrivere le nostre impressioni, i nostri
momenti
d'intensa felicità, come quelli d'intenso sconforto?.
Una scia un piccolo scafo che avanza nel mare.e la barca va..va.sempre
seguendo la sua rotta, il suo cammino, il suo movimento.
Mi sposto un poco più in là, ho voglia di camminare sulla sabbia. Mi è
mancata.
Tutta la sofferenza, la tristezza, tutto era ieri. Si prepara la gioia,
sento che arriva,ed è lì in un mondo nuovo, quello che mi sto
costruendo.
A volte non si sa nemmeno cosa dire nelle situazioni del momento: si
agisce,
si ride, si piange, si assapora il momento e si gioisce con esso,
sapendo
che sempre domani sarà migliore, migliore come migliora l'oggi.
Mi chiedo se l'incubo sia finito, ho lasciato tutto alle spalle
dopotutto,
penso sia la mia mente che tante visioni mi dà. Ho bisogno di mani
amiche e
sentire quel calore che solo le persone amiche, ricami di cielo che
s'innalzano all'orizzonte riescono a darmi, a sentire con me ciò che è.
Ancora un pescatore alla riva in questo pomeriggio di fine inverno, ora
il
sole sta tramontando, e questa opportunità di essere ciò che sono l'ha
vita
me l'ha regalata, e con essa gioisco vedendo solo ciò che è. Tutte le
velleità sono nulle, tutto il giogo trasportato fin qui lentamente sta
scomparendo per far posto alla mia realtà che netta si scaglia là, dove
il
sole si unisce al mare, là dove un solco d'onda s'unisce al lembo
azzurro
contrastato solo dalle Eolie che appaiono nella foschia del tramonto in
queste tiepide serate che nessuno potrà cancellare mai più dal ricordo.
Ed è
rinascita adesso, quella rinascita che arriva da sola dopo l'oblio
della
sera ch'era scesa dai bianchi cristalli dell'etere solitario di una
cupa
meta scandendo un tonante ritmo di piccole cose abbandonate a se
stesse. Ed
è vita.quella vita che spesso si rincorre senza sapere che è lì che
arriva.
Salsedine sulle labbra, passo la lingua e il salmastro arriva
inevitabile
ricordandomi che siamo al mare, questo mare che con la sua risacca fa
dimenticare tutto.
Un'altra giornata è passata, il passo è svelto e la mente serena
s'avvia. E'
ora di tornare verso casa. Spengo il personal e dentro di me
sorrido.fino
all'alba di domani sorrideranno le stelle. E domani sarà un altro
giorno.
Ancora gli occhi vedranno attorno, ancora renderanno lode al cielo per
quest'altro giorno ch'è passato, per quello che si prepara. Ancora i
passi
rivedranno la via e si parlerà, si vedrà di quelle nuove mete che la
vita
propone giorno dopo giorno, quelle nuove libertà che l'anima riuscirà a
darci quando lo vorremo, quando saremo pronti. Ancora.
Marzo pazzerello
ovvero pomeriggio insolito in un insolito giorno di fine
marzo
Godendo di momenti di vera libertà dentro e fuori, alle prese con
questa
nuova vita che cerco di gestire a volte con successo, a volte in
difficoltà
oggettive e soggettive, a volte raggirata dal prossimo, a volte in
discesa,
a volte in salita, a volte con gioia, a volte con dolore, a volte con
passione, a volte saltando, correndo, rallentando, ferendomi, a volte
lentamente come per assaporare il tutto, a volte sentendo attorno un
cicaleccio di voci che rintronano nel paesaggio, quasi fossero forieri
del
tempo che è e di quello che verrà.
Messaggeri portano i loro cinguettii i passerotti sugli alberi, ogni
albero
ne sembra nido e basta passeggiare o solo soffermarsi nelle vicinanze
per
sentirne i discorsi, hanno anche loro storie da raccontare, anche per
loro
ogni vita sembra un libro che si voglia aprire a una pagina ben
precisa, a
quel determinato punto di quel determinato foglio di carta mai scritto
nella
realtà che, quasi toccandolo, s'immagina se solo ci si sofferma un po'
a
pensarci.
Il mio pensiero quasi punto fermo del momento che ormai dura da più di
un
secolo, così mi sembra, tale trovo la sua intensità espressiva, quasi
sconvolgente, positiva di fondo, impegnativa, grande nelle sue forme,
quasi
senza fiato per raccontarne, per scriverne, per solo pensarne.
Torno indietro di trent'anni quasi, sembra che il tempo si fermi un
istante
e poi riprenda a partire. Lo spazio che circonda il tempo che ognuno di
noi
si porta dentro sembra debba essere eterno, e invece son solo momenti,
momenti che ognuno di noi ingigantisce o sminuisce secondo come li
vive:
eterni a volte gli attimi se felici, a volte minuscoli come briciole
che
senz'altro vanno eliminate dalla tovaglia come fosse dopo un pasto.
Dopo aver ripreso un minimo di dimestichezza col velocipede che ho
appena
preso, un motorino, mi avventuro per le strade del centro, devo dire
che
manco di concentrazione, mi dona una lieve ebbrezza sapermi sul mezzo e
saper di arrivare in breve ad una destinazione evitando le lunghe
passeggiate che nell'ultimo periodo son state si salutari e desiderate
ma
che possono durare solamente un breve arco di tempo. O forse è che
siamo
solamente schiavi di alcune abitudini che non riusciamo a scrollarci di
dosso.
Sempre nei miei spostamenti degli ultimi tempi, almeno da quando mi
sono
resa conto di questo, tanto è passato, qualcuno mi segue manifestando
più o
meno chiaramente la sua presenza.
Trovo intensamente emotivo vivere la propria vita come la si desidera,
si è
felici dentro, non si desidera altro se non quello che si sta vivendo
senza
nulla aggiungere, anche se per me il desiderio di aggiungere un
tassello è,
negli ultimi tempi, presente.
E' stato un attimo, un momento d'intensa gioia che mi ha ispirato
questo
racconto: un attimo tra l'aleggiare di questa presenza, il mare, i
glicini.
Lacrime di gioia sono sprigionate dagli occhi così come adesso che ne
rivedo
il lampo. Il tempo s'è fermato, il pensiero s'è fermato, tutto
ovattato,
rivivo lo stesso momento al solo rammentarlo, nulla esiste in questo
momento
se non il rivivere la stessa emozione quasi, un momento magico, una
favola,
la felicità pura, il non essere attraversati da alcun pensiero.
Il mare quasi in bonaccia invogliava alla pace coi suoi ritmi lenti e
il
tranquillo rumore delle piccole onde che si rompevano sui frangiflutto
che
gli uomini pongono sulla riva del mare per evitare danni, lo sguardo su
due
vedette al largo che s'incrociavano sembrava si salutassero, e ancora
più in
là verso l'infinito.
Il glicine. Come in trance lo guardo, eravamo in tre, la presenza, il
glicine, ed io. Nulla contava in quel momento e l'ansia che provavo per
materializzare la presenza stessa non esisteva più, sentivo il puro
spirito
che s'era impossessato di me o io ch'ero entrata nello spirito. Se
esistono
parole per descrivere lo stato d'animo di quel momento le ho provate
tutte,
o nessuna, è ancora da provare se il tutto o il nulla siano contrari
per
quanto riguarda il puro pensiero, per quanto riguarda il nostro
benessere e
le nostre necessità. Sulla scalinata il glicine mi guardava come
invitandomi
a soffermarmi, non avevo nulla dentro, era tutto spontaneo, una carezza
piovuta dal cielo, così come piovono gli avvenimenti che ognuno di noi
vive
ogni giorno. Era tutto di una delicatezza estrema, era l'animo che puro
mi
dettava i gesti da compiere. Penso che di questi momenti dovremmo farne
piena l'esistenza, ma queste son cose che capitano e volere non serve
molto
in questi casi, capitano e basta. Sfioravo quasi il glicine come a non
fargli male inebriandomi del suo profumo, nel suo profumo, nel suo
colore.
Nella sua forma mi trasformavo, diventavo glicine in fiore e il mio
lungo e
sottile tronco correva sulla ringhiera di un balcone, ora in mezzo al
mare,
ora sul versante di una montagna. Nel medesimo istante un sms: ti amo.
Sono felice e concentrata nel pensare al momento che ieri ho vissuto di
pace
e armonia col creato con cui mi son sentita tutt'uno e cerco di
riassaporare
bene il tutto, per cercare di riviverlo, per raccontarne le emozioni e
le
sensazioni. Ho sempre amato il glicine, ho sempre amato il suo colore,
il
suo forte e delicato profumo, le sue forme, il suo strano tronco.
Tornerò in
quel magico angolo anche se magari non sarà più come ieri o forse si,
anche
se le sensazioni saranno trasformate da altre situazioni, dal fare
distorto
del tempo, piccolo ma grande. E sarà una grande emozione rivedere quel
luogo, riviverlo, sarebbe meraviglioso riviverlo con la presenza
materializzata, provare magari le stesse emozioni, sensazioni, provare
l'istante con gli stessi occhi, con gli stessi battiti, con lo stesso
ritmo.
Sto vivendo la mia vita da "artista", così dicono, sto vivendo come mi
va di
viverla. Pur nelle sue contraddizioni e nei suoi perché del momento
sono
contenta di essere creatura di questa terra e felice di essere parte
d'essa
fino a che il cielo vorrà. E ringrazio il cielo stesso d'avercela
fatta,
d'essere uscita da quel tunnel che la vita m'aveva parato innanzi.
Son tornata sulla piccola scalinata del glicine, dopo qualche giorno, e
il
dono della vera pace dentro non s'è ripetuto, ero emozionata ma non era
più
la stessa cosa: i momenti non si possono ricreare, arrivano da soli. So
solo che ripensare a quel determinato piccolo spazio di tempo mi giova
a
riempire l'anima di gratitudine.
Mia cara Raffaella,
i miei più profondi auguri giungano alla tua dolce anima.
I tuoi capelli bianchi accarezzare vorrei
stringerti mentre stringo le tue emozioni
il tuo esile corpo tanto forte tra le braccia
campane a festa quando le tue mani
mi sfiorano accarezzando il viso
un mare di rose immagino e te in mezzo
come un sussurro ti sento leggere una poesia
narrarmi la tua vita in un’altalena di ricordi
Ti ringrazio per le parole che hai per me avuto, per il tuo regalo. Le
tue parole sempre mi riempiono il cuore di gioia, di profondità, come
in un immenso ciclo che riporta al giorno in cui ci siamo conosciute, e
mai finirò di benedire quel fortunato giorno nel quale da me arrivasti,
quella mano che accompagnò il tuo braccio varcando la soglia di casa
mia.
La gioia che mi da ogni tua parola è come una musica soave e sembra che
tutti i suoni indistintamente debbano corrispondere ad uno solo,
gradevole.
E’ una parentesi il dolce dialogare che tra noi intercorre, una
parentesi in queste che ultimamente sono giornate così, quasi noiose,
nell’attesa del cambiamento di vita che sto attuando, laboriose perché
sto finendo di mettere a posto tutto per lasciare il fabbricato al suo
legittimo proprietario.
Gli anni se ne vanno
la rugiada bagna i fiori
così come corrono le nostre gambe
verso l’interporto che passa
dalla nostra nascita
alla nostra morte
cara amica
la tua melodiosa voce
accompagna la mia rauca
dalle mille sigarette fumate
dal muto urlo che
per anni ho ululato alla luna
Raffaella…è strano, come ti dicevo prima al telefono, scrivere una
lettera…sto facendo una raccolta di lettere in uno di quei libri che
chissà quando finirò. E’ strano al giorno d’oggi scriverne, quando ci
serviamo del telefono, quando ci serviamo della posta elettronica,
internet stesso, per comunicare quello che dobbiamo, scrivere una
lettera è sempre una cosa bella…una lettera è un regalo, un bel regalo,
e bisognerebbe sempre rispondere a una lettera…anche se, per essere
sincera, non sempre rispondo alle tue…mi perdono perché comunico con te
al telefono.
Pubblico questa lettera nel mio blog, come tutte le lettere di questo
che sarà il libro intitolato “Angeli dei miei sogni, a chi s’incontra
lungo il cammino della vita” o qualcosa del genere, non ricordo bene.
Tanti “amici” ci sono stati negli ultimi anni, persi per strada i più,
oppure semplici passanti, o persone che imitavano più o meno bene i
gesti e le parole di un uomo con cui ho avuto una relazione che
continuava a volermi bene di nascosto mandandomeli, sperando magari di
provocarmi, e io non capivo niente, sperando in una mia reazione che è
stata quella della follia. Ti dirò che ho reagito, da folle si ma ho
reagito, sperando che lui mi seguisse e lasciasse finalmente la moglie
se era quello che voleva…e invece,come credo facciano in tanti, mi si è
lanciato contro anche se so che questa sua grettezza è una specie di
scena…ma ciò è bastato perché arretrassi e…comunque ho continuato a
telefonare, a lanciare sms e così via. Boh! non so cosa voglia dalla
vita la gente: ti corrono dietro per anni e quando gliene dai la
possibilità invece che prendere la famosa valigetta e dire ciao ti
danno contro. Quindi…come dire? Gli uomini sposati, come mia teoria
proponeva, stan bene lì…e se no prima si rendono disponibili e poi si
fa…per carità! Sarebbe una sconfitta per me sapere che il mio compagno
non voglia solo me…gli lascerei tutte le porte aperte…non giudico, non
è affar mio…io sono particolare e penso che se un uomo vuol stare con
me perché mi ama bene…se no meglio che vada via perché poco può darmi.
Cosa vuoi? In questo senso son sempre stata un’incontentabile, ognuno è
fatto a modo suo. O forse era solo per aiutare l’amico suo…comunque io
ci avevo creduto al suo amore ma non ha esitato a prendere, ancora una
volta, le difese dell’altra mettendo lo straccio vecchio, io, sempre in
seconda posizione…probabilmente cercava ancora l’amante in me…mi spiace
non fa per me.
Un giorno a pranzo mi son ritrovata una tavolata tra psichiatri e
psicologi, peccato però che nessuno mi abbia detto nulla: chi fossero e
cosa volessero, sono venuta a saperlo solo dopo…ora capisco il perché
fossero lì…peccato proprio che siano stati in silenzio ad aspettare
domande che io non ho saputo formulare non capendoci ancora proprio
niente ed essendo in preda all’ignoranza per la situazione, l’ignoranza
è sempre aberrante…e da qui mi rendo conto l’omertà che ha coperto
questa mia storia, in internet nel volto di due anonimi, nella realtà
due uomini veri..uno che conosco ed uno no…che chissà mai se avranno il
coraggio di farsi vivi.
Ti dicevo, Raffaella, che questa gente che arrivava da me col pretesto
di mangiare o bere qualcosa aveva tutta dei mandatari che avrebbero
dovuto portarmi chissà dove…a richiesta mia nessuno lo sapeva…e quindi?
La mia risposta a tutto questo è: gioco maniacale…solo che io sono
impazzita sul serio quasi…e ho mandato via chi mi faceva il doppio
gioco parlandomi ora in un modo ora nell’altro. Ti dirò che di questi
“amici”, che ho chiamato venduti essendo l’amicizia ben altro, non ho
nessun rimpianto…ben lungi l’Amicizia da questi atti…sono ancora
all’antica in questo senso.
Naturalmente scriverò due lettere aperte ai due “anonimi” anche qui e
quindi nel libro sperando nel frattempo di riuscire in qualche modo a
contattare chi conosco almeno per chiedergli se posso usare il suo vero
nome…oddio la privacy fa rizzare i capelli in testa! A dirti la verità
solo con lui mi sento di chiedere, agli altri non ho neppure mai
chiesto…ma aveva fatto tutta una storia all’inizio della nostra
conoscenza…per cui, almeno per educazione, lo farò se ne avròl’occasione
e se no amen.
Ho occupato troppo spazio forse in questa lettera, comincio a parlare
chiaro e devo dei ringraziamenti a chi in questi anni mi ha aiutato e
incoraggiato a fare ciò.
Non vedo l’ora di riabbracciarti Raffaella e accarezzare i tuoi bianchi
capelli.
Ti voglio bene,
Doriana
Fantasticando
Capita che perdi il senso della misura, della quantità, del concreto. E
fantasticando ti trovi su un tram che ti porta, che ne so, nei castelli di
Ludwig il pazzo, o dal Conte Dracula o chissà dove, nel castello di
Cenerentola, nella casa di Hansel e Gretel. Sei lì, in uno di quei posti e
ti comporti come il gatto dagli stivali, anche se sei in Transilvania, e
sei Eolo che va a scavar diamanti nella grotta di Polifemo, Ulisse dentro
il cavallo di Troia. Ma guarda tu che pensieri, il massimo della fantasia,
della pazza lucidità, dell’assurda incoerenza, la mia, quella di stasera,
quella di sempre. Fantasticando sono un fiore: un’arnica, gialla, nella
sua essenza guarisco i mali, fuori e dentro, i semi volando attecchiscono
un po’ più in la, dove altre arniche nasceranno, è il ciclo, il ciclo
della vita, l’immenso ed unico, Madre Natura ha pensato, ha fatto.
Fantasticando sono un fiume, con la sua acqua che scorre, ricevo acqua
dalle cime,la porto alla vita, al mare, i sassi costan fatica a passarli,
bisogna dividersi, piegarsi, muoversi, strisciare, vegliare la crescita
delle trote, nutrirle. Ognuno ha un suo perché, un suo senso, ogni cosa ha
la sua ragione. Fantasticando devo dire che ogni miseria può venir
sconfitta, ogni guerra abolita, fabbriche di armi rivedute in cibo, rarità
divenire usualità. Fantasticando galoppo su Efeso, lassù nel suo cielo
ambrato di un meriggio di primavera, verso una nuova visione, una ragione
che dica ci sono, una realtà che sa di miraggio, che non sia pulviscolo
negli occhi, che non sia lo sciorinamento di un rosario a cui bisogna
sempre dire hora pro nobis. Fantasticando siamo noi, come siamo, perché
siamo e perché ci siamo. Fantasticando questa nostra vita la possiamo
rendere novella o favola o tragedia, come vogliamo. Fantasticando ci
vogliamo bene, ama il prossimo tuo come te stesso.
Davanti ad una cascata di ghiaccio
L ’acqua scende come posta elettronica. Quell’elettronica che la natura fa
di sè gioiello. Mi trovo davanti ad una cascata di ghiaccio. E sotto il
ruscelletto come a rappresentare il nostro corpo, il firmamento che sa di
nuvole verso valle. Funghi crescono alle pareti, funghi di ghiaccio che
sciolgono a qualche grado di temperatura appena più alto. Sembra una mente
umana, tutta solcata di piccoli anfratti, di brochures, di finestrelle, di
piccoli dogmi che sentitamente raccolgono il nettare principale in mezzo.
Piccoli coni gelati, versi che traducono le emozioni in fili, fili di
ghiaccio che sentono il mutare della temperatura invernale. Ora il cielo
sa di neve, sa di plumbeo, forse adesso qualche fiocco cadrà, qualche
piccolo sedimento acqueo sfilerà tranquillo verso terra, volteggiando,
danzando la sua strana poesia al suono dell’aria che soffia lenta la sua
canzone. Frastagliate le loro strutture, frastagliate sentono il suono
delle auto che sfrecciano in questo rettilineo, quasi modellandosi al loro
suono, agli pneumatici che lasciano le loro tracce sull’asfalto fatto
ormai di sale. Prima del torrente montagnola di ghiaccio. In mezzo ancora
acqua. Acqua che scorre sovrana tra ghiaccio, sciogliendo le sue dune, i
suoi strani disegni, gli appannaggi. Ghiaccioli pendono pronti a cadere al
benché minimo alzarsi di temperatura. Sembra un miracolo che il suono non
riesca a staccare tutto. Ai bordi ghiaccio scavato, ghiaccio trasparente
come tunnel che mira ad assecondare solo l’acqua nel suo lento e continuo
scendere.. Lo pneumatico consumato attaccato ad un palo di cemento, una
corda d’acciaio ormai arrugginita segnano l’arrivo di una teleferica che
serve a portar tronchi dalle pendici della montagna. Zona di boscaioli
questa, zona dove la legna da ardere resta ancora vitale per molte
famiglie, dove le stufe si nutrono d’essa, dove la fiamma viva risplende.
E sopra arde ancora l’acqua: enorme ghiacciaia che riscalda con la sua
immagine. Siamo in un’altra realtà. Le auto fuori continuano a sfrecciare,
seduta in macchina ho scattato delle foto, sono isolata, tutto è ovattato,
senza alcun altro rumore se non quello della mia mente. E del ticchettio
dei tasti.
S’ode il rumore del ghiaccio che si spezza adesso, forse nevicherà, la
temperatura s’è alzata. Continua l’acqua…continua la sua corsa…e sarà
fiume…e sarà mare…Fontane, piccoli ghiaccioli, onde giganti a destra,
parete ghiacciata che disegna i destini di questa parete rocciosa quasi
verticale. E calzi i ramponi con la fantasia, la scali, punti i tuoi
chiodi in leggera lega e ti tiri in su, un passo dopo l’altro in una
scalata estreme, dove cuore, mente e muscoli giocano un assolo, dove il
tremolio della voce non esiste più, dove il cielo è candido, dove sei tu.
Pronto a misurarti con te stesso: da solo a solo. Tutto il resto è
sedimento trasportato da altre alture.
Quando si dice
Ettore era convinto che bastasse una telefonata a risolvere la sua vita, a
renderla piacevole, a tirarlo fuori da quell'apatia che negli ultimi anni
aveva caratterizzato quella sua lunga routine senza mai uno squarcio tra
le nuvole.
Una donna in montagna ci voleva, l'idea della montagna lo entusiasmava.
Ecco, avrebbe avuto una donna in montagna: la donna dei week end. Ecco
come ne sarebbe uscito da quella noia mortale, da quel tunnel di cui non
vedeva l'uscita; quella luce che adesso appariva all'orizzonte l'avrebbe
risollevato, ne era più che certo.
E quella mattina fece una telefonata. E gli parve di rivivere, gli parve
che questa nuova speranza, che questa nuova donna avrebbe potuto dargli
ciò di cui non andava neanche più in cerca, ciò che il suo stanco essere
aveva abbandonato tempo fa.
Questa parola, montagna, gli riempiva tutto. Ah, staccarsi dal pensiero
fisso dell'ultimo anno di lavoro, rendere sopportabile la vita in
famiglia, bere un bicchierino al bar senza che la noia l'assalisse ad ogni
suo gesto! Finalmente sembrava arrivato il momento, l'apatia sembrava
vinta, questa donna sembrava l'asso vincente che gli avrebbe aperto le sue
porte.
E ancora telefonò, e telefonò, e telefonò.
Che peccato non poter pensare di passare in compagnia d'una donna ogni
week end in montagna! Che peccato aver pensato solo alle sue soluzioni!
Che peccato che lei volesse solo purezza!
E si rituffò nelle sue tristi carte quel lunedì: era un solito, un
qualunque lunedì mattina, il sole splendeva fuori dalla finestra.
Quella donna gli si era ormai come stampata dentro, il suo cervello era
con lei tutto il giorno, qualunque cosa facesse, in qualsiasi posto
andasse, era dentro di lui, questo era sicuro.
E pensava ad una soluzione, pensava anche che, sotto sotto, avrebbe potuto
convincerla ad assecondarlo, ad essere la sua alternativa alla città, il
suo non dovere; ma si, sicuramente questo sarebbe stato. Era solo
questione di lasciar decantare un po' il tutto, lei l'avrebbe sicuramente
desiderato, lei non gli avrebbe detto no, era sicuro di se' Ettore: era
così un bell'uomo, simpatico, colto, nulla gli mancava. Sorrise
guardandosi allo specchio, lisciandosi la barba ormai bianca e i capelli
brizzolati, un bel sorriso, il suo bell'affascinante sorriso.
Più o meno dopo un mese si presentò a casa di lei, col suo solito sorriso,
coi suoi soliti pantaloni, colla sua solita giacca, così, all'improvviso,
giocando sul fattore sorpresa; in fondo lei era sempre gentile, sempre
disponibile con tutti, era logico non se la prendesse per la sua
improvvisa apparizione.
Fu contenta di vederlo lei, s'abbracciarono, si lega subito tra gente che
scrive, lui le porse gli ultimi due libri che aveva pubblicato, bevvero un
caffè.
Ecco, era venuto il momento, pensava Ettore, ora sarà sempre la solita
noia della carezza, la solita routine delle mezze promesse.
Gentilmente lei si scusò che doveva andare a prepararsi, che il suo vicino
di casa stava per arrivare e si sarebbero recati insieme alla
presentazione di un libro: il suo amore presentava il suo primo libro e a
lei l'aveva dedicato, volesse unirsi a loro sarebbe stata felice di averlo
come ospite al rinfresco che si sarebbe tenuto dopo la presentazione del
libro. Lei aveva gli occhi con le stelline, notò Ettore, era come una
bambina in quel momento: era innamorata.
Adottò una scusa qualsiasi, la baciò con un arrivederci e uscì in strada:
un gusto d'amaro in bocca gli rese il caffè un veleno.
Si recò alla festa lei, tutto le appariva bello, puro, sembrava un nuovo
mondo: era un'altra vita, e lei era appena nata, appena nata insieme a
quest'uomo, erano due astronauti atterrati chissà da dove, erano diversi
da tutti gli altri, la luce che emanavano li contraddistingueva, non
avrebbero potuto mescolarsi a lungo nella folla, brillavano.
Si guardarono e lui cominciò il discorso, e svenne: a nulla servì l'aiuto
del medico che si trovava in sala, il cuore aveva ceduto. Aveva ceduto
mentre pronunciava il nome dell'amata. Era finita.
Sarebbe tornata a casa lei, non avrebbe potuto resistere un attimo di più
dopo che avessero accompagnato il corpo esanime dell'uomo sull'ambulanza;
s'accorse di un lieve, impercettibile movimento di ciglia, di un lieve
impercettibile movimento di labbra che tentava di pronunciare il suo nome.
L'amore aveva vinto.
Ci volle del tempo perchè lui guarisse, un'operazione. Scrisse per lei e
con lei altri libri e si amarono di quel puro sentimento che riesce a
sollevar tutto: quello che sgorga dall'anima.
Ettore non sapeva darsi pace in macchina al ritorno verso casa: lei che
era stata da sola per anni, per tanto tempo lui aveva pensato che potesse
essere sua, ci aveva costruito tutti quei castelli in aria, aveva creduto
che la sua fosse una scelta quella di restare single, mai avrebbe pensato
che, invece, l'amore potesse raggiungerla, così, in un solo momento. E ore
ricominciava a crederci anche lui all'amore, a quell'amore che tanto aveva
blaterato non esistesse, si rendeva conto ora, finalmente, che le sue
erano state solo paure, che le sue erano solo le invenzioni di un'anima
che si era ingrigita sotto il peso degli anni, per non soffrire. Che si
fosse innamorato di quella donna?
Ma intanto aveva ricevuto uno scossone, uno di quegli scossoni che fanno
cambiare prospettiva alla vita: gli aveva fatto bene. E se accorse
pensando che una volta, fin non molto tempo fa, fino ad ieri, avrebbe
detto che era giusto così, che tanto, anche nel caso lei fosse stata sua,
l'avrebbe persa prima o poi; oggi provava solo un profondo dolore, l'aveva
persa senza mai averla.
Tornò a casa Ettore, tornò cambiato, quanto si può cambiare in un sol
momento, un suo lato era cambiato; guardò sua moglie con altri occhi,
pensò che il suo manto grigio si stava finalmente sciogliendo, le sorrise
e l'abbracciò. Si abbracciarono, come da tempo non capitava.
L'amore, pensò Ettore, che scherzi fa l'amore! E s'addormentò finalmente
sereno, sereno dopo tanti anni di lunghe insonnie.
Il mio colore
Questa mia casetta viola! Quanto la amo! C'ho qua racchiuso tutto di me:
il mio scrigno me lo vedo in essa. Fuori i rampicanti la ricoprono a
tratti: edere, gerani parigini, trombette arancioni, bouganvillee, tutto
m'attrae di questi fiori poggiati lì da mani sapienti, non le mie, quelle
di quell'angioletto che svelto mi segue nel pensiero.
Mi pulisco le scarpe sullo zerbino prima d'entrare: nulla vorrei sporcare
di questo mio forziere, me lo sento prezioso, é la mia anima, s'identifica
con essa, cerco di portargli rispetto.
Dentro un tavolo, azzurro, con quattro sedie, azzurre anch'esse, vivaci
nei colori dell'allegria. Sul tavolo un vaso di ceramica colorata pieno di
tulipani multicolori che mi descrivono l'armonia dell'essere, piena di
sfumature colorate.
Le note di Strauss padre mi recano nel suo mondo, mi portano dove
vogliono, ed io che cerco ristoro su quel grande divano che mi serve anche
al riposo, a fiori rosa, rose in bocciolo che ogni cuore sogna. E il disco
va...
Un computer acceso mi dice che scrivo la musica che sto ascoltando, la sua
poesia é pronta per essere vissuta, quella poesia che lenta appare nella
vita d'ogni giorno: lenta per gli sprovveduti, lenta per chi di poesia non
é fatto, lenta per i lenti di spirito.
Alle pareti tutti i quadri dell'arcobaleno: ognuno un colore unico. Così,
senza cornice, così, messi lì così, senza alcun ordine prestabilito, in
libera mano, con libero voluttuoso sfogo.
Il caminetto acceso mi mormora ch'é l'ora di pranzo e m'affretto a
preparare le polpette, in quell'angolo lì vicino. La cucina rossa.
Il bagno che tutto giallo, con la sua porta gialla mi vede impegnata a
pettinarmi.
Si, presto arriveranno i miei ospiti e vorrei accoglierli bene.
Le polpette son pronte, apparecchio.
Dlin dlon!
Avanti!
Qui, in montagna
Ah questo meraviglioso paesaggio di montagna! Come fai a non vedere, come
fai a non sentire questo richiamo, questa vita, questo saliscendi, questo
mai essere uguale, questa beltà scesa dalle nuvole e buttata lì, così, per
caso, senza nessun calcolo, senza nessun ostacolo, col solo scopo di
bellezza, mai mutata, quasi, nel tempo! La pianura non ti dà sensazione
uguale: è piatta e poi non ci sono gli gnomi in pianura, gli gnomi son
qui, vorrebbero aiutare gli uomini e cercano di farlo, anche se gli uomini
son difficili da trattare, anche se gli uomini, con la loro prepotenza e
il loro finto sapere, non vorrebbero. Tanto, non lo sanno gli uomini,
dell’esistenza degli gnomi! Guai, forse farebbero loro del male! Veramente
qualcuno che sa della loro esistenza c’è ma si guarda bene dal dirlo in
giro, è un segreto e tale deve restare. Ci son tanti bambini che lo sanno,
non tutti, tanti, ma i bambini hanno una fantasia sfrenata e per questo
non vengono quasi mai presi sul serio dagli adulti. Sigh! Cresceranno
anche loro e non scriveranno più lettere agli gnomi lasciate nel tronco
cavo di un acero, non racconteranno più alla mamma che si sono feriti le
mani per lasciare il messaggio stesso nel bosco, proprio là in
quell’albero e che hanno trovato la risposta, il giorno dopo, andando a
ritirarla sotto una pioggia torrenziale, per non perdere la novità. E
portare noci e nocciole e caramelle, gli gnomi ne vanno matti, e il giorno
dopo ancora, senza mai stancarsi e senza mai pretendere niente in cambio,
se non la famosa missiva che racconta le novità degli gnomi stessi e
grazie per le noci-nocciole-caramelle.
Questo capita a due bambine che hanno una comunicazione con gli gnomi: si
tratta di Cecilia, detta Ceci, e Giulia, detta Giù. Queste due bimbe
hanno, in realtà, una grande fantasia e vorrebbero, da grandi, fare le
astronauta. Loro tengono una fitta corrispondenza con gli gnomi Tobia e
Tita. Lo dicono anche a casa e vengono credute, per loro fortuna c’è
ancora qualche grande che crede a queste storie!
Un pomeriggio le nostre amiche, la mattina vanno a scuola come tutti i
bambini, portano la famosa lettera al famoso albero con relative noci e
noccioline e prendono quella che hanno lasciato là gli gnomi per loro:
Care Giù e Ceci,
adesso è venuta l’ora di presentarci: noi siamo due degli gnomi che vivono
in questa nostra, degli uomini, degli animali, degli gnomi, splendida
valle, rappresentiamo il ben più numeroso popolo dei nostri fratelli
gnomi. Siamo in tutto 500 e viviamo in Val Pramper sostando qua e la, dove
meglio crediamo e dove c’è bisogno di noi, in tutto il territorio qui
attorno. Il mio nome è Tobia, ho 180 anni, considerate che uno gnomo ne
vive circa 300, e quello del mio compagno Tita, lui è giovane, ne ha solo
82 ma è molto saggio per la sua età anche se ha il codino.
Prima di tutto ringraziamo per i doni che ci portate sempre e che noi
gradiamo molto, in quanto siamo esseri golosi. Vorremmo conoscervi
personalmente un giorno o l’altro e parlare un po’ con voi, conosciamo le
vostre vite, il vostro modo di fare, ma ci piacerebbe proprio trovarci di
fronte per sentire dalle vostre labbra le vostre idee, i vostri desideri,
le vostre birichinate, conoscervi, insomma, a tu per tu, senza nasconderci
più a voi che pensiamo sia giunta l’ora di farlo. Fateci sapere quando e
dove, per piacere scegliete un posto discreto, potremmo incontrarci per
un’oretta e scambiare quattro chiacchiere, tanto per presentarci
personalmente ed essere delle entità visive.
Così rispondono le nostre amiche, dopo qualche giorno e dopo aver preso
accordi con una loro amica, nonché complice.
Cari Tobia e Tita,
siamo felicissime che ci vogliate conoscere da vicino e parlare con noi.
Da parte nostra il desiderio è lo stesso, anzi di più, essendo più giovani
e impazienti, siamo curiosissime di vedere come siete fatti, se la
fantasia è uguale alla realtà, se i disegni che fanno di voi sono fedeli
alla vostra immagine, che voce avete, come parlate, quali sono i vostri
progetti e le vostre idee e mille altre cose, siamo due bambine curiose e
abbiamo mille altre cose da chiedervi. Per questo abbiamo pensato e
chiesto alla nostra amica bibliotecaria, persona gentilissima e
soprattutto discretissima e che crede che voi esistiate, se può ospitarci
magari dopo l’orario di chiusura della biblioteca, cosicché è buio e
nessuno vi vedrà. I nostri genitori, saputo il motivo, ci hanno subito
dato il permesso, o, se preferite, la nostra amica andrà via e resteremo
solo noi in mezzo ai libri; lei ha detto che si fida anche a lasciarci
soli, con le tende tirate, che nessuno possa vederci. Cosa ne pensate? Noi
siamo in uno stato di agitazione tale, al solo pensiero d’incontrarvi, che
difficilmente potremo essere normali in questi giorni che è meglio
organizzare prima possibile quest’incontro. Fateci sapere e noi ci saremo.
Vi salutiamo caramente.
Ceci e Giù
Intanto in quei giorni, era primavera e qui iniziano i grandi acquazzoni,
veniva giù una pioggia torrenziale che lasciava spazio alla pioggerellina
pochi momenti in una giornata e le nostre amiche erano attente a trovare
quell’attimo propizio per sgattaiolare, cercando di non ridursi ad un
mucchio di stracci bagnati, nonostante le varie giacche a vento e relativi
berretti, stivali, verso il bosco, anche perché poteva diventare veramente
pericoloso. Per fortuna le nostre amiche abitano in case vicine e al
segnale convenuto di una qualsiasi tra loro, due squilli di telefono, via
– partenza. Si trovano al crocevia e…corri, verso il bosco!
- Finalmente, con questo tempaccio! Temevo di non farcela oggi! – fa Giù
- Anch’io ho fatto lo stesso pensiero anche se ero quasi sicura che
mezz’oretta ce la lasciava, questo tempo – di rimando Ceci.
E giù a rotta di collo, col vento ai piedi verso il bosco, al solito
acero. Qualcuno, vedendole così di corsa, chiede loro dove debbano recarsi
così in fretta e – fate piano bambine che si scivola e poi vi schizzate
tutte -. Eh si! Come parlare ad un sasso e dirgli non rotolare giù per la
discesa quando ha preso la rincorsa dalla cima di una montagna, e poi fare
splash splash per la strada e tutti i fossi è così divertente che per
nulla al mondo si sarebbero perse un divertimento del genere. In poco
tempo arrivano al famoso bosco che, in realtà, è un boschetto, trovandosi
vicino alle case, era per questo che gli amici gnomi avevano chiesto un
altro luogo per un incontro, un luogo più segreto, nonostante amassero
tanto il boschetto prediletto anche da tutti i bambini del paese.
Eccolo, finalmente, il bosco! Ma in che condizioni! Non sanno neanche loro
se arrischiarsi ad andar giù per la riva o aspettare che il terreno e i
rami si asciughino un po’ e non grondino più tutto e poi è veramente
scivoloso e pericoloso. Ma le nostre due amiche, nonostante siano
piuttosto sagge per la loro età, sono due maschiacci: si arrampicano sugli
alberi, prendono gli insetti in mano, corrono come due forsennate, provano
a scalare dei grandi sassi che si trovano vicino casa, non attaccano mai
ma sanno difendersi, anche con le mani, se occorre, giustamente. E poi c’è
il messaggio dentro l’albero, come si fa a resistere? Ancora un giorno?
Impossibile! Erano già passati due giorni in cui non avevano potuto
muoversi e adesso che sono qui non è proprio possibile rinunciare. Come si
fa? Un po’ di coraggio ed è fatta!
Intanto viene fuori un pallido raggio di sole, in realtà molto pallido, ma
le due lo interpretano come il segnale per la partenza e piano piano,
cercando di appoggiare i piedi di traverso per non rotolare come una
palla, cercando di farsi coraggio una con l’altra, scendono verso l’albero
che hanno battezzato “della posta” pensando e sperando che, essendo un
albero secco e cavo, nessuno lo avrebbe mai tagliato, in caso ne avrebbero
trovato un altro, magari dietro indicazione degli gnomi.
Non è il momento adesso, devono pensare a trovare la lettera, speriamo, in
buone condizioni. Si prendono per mano e, attenzione, passo dopo passo,
lentamente e cercando di schivare i rami più bassi, senza per questo
evitare di farsi la doccia ogni attimo, ogni tanto scivolando e facendo
strani gesti per non perdere l’equilibrio, arrivano, dio sia lodato,
all’albero che vedono bagnato fradicio col muschio, dalla parte dov’è
rivolto a nord, grondante pure quello. Finalmente tirano un sospiro di
sollievo. Ceci s’asciuga le mani prendendo i fazzoletti, fortunatamente
rimasti asciutti, dalla tasca dei pantaloni, infila la mano nel buco,
alzandosi le maniche che se no non passa dentro – che braccio s’è ridotta
– e trova subito la lettera. Su di corsa a perdifiato! La salita è facile,
lo stesso impegnativa, più facile della discesa e più veloce. Presto,
presto, devono sapere tutto e al più presto!
Ci vediamo tra poco – fa Ceci – arrivate al solito crocevia – vado a
cambiarmi e tra un po’ sono da te che se no, se apriamo la busta nelle
condizioni in cui siamo, si bagna tutta e non riusciremo neanche più a
leggerla.
Va bene, ma non aprirla – risponde Giù – Ciao, a dopo.
Finalmente viene anche il momento tanto atteso, non ce la facevano proprio
più ad aspettare per questo benedetto appuntamento.
Care amiche,
anche noi non vediamo l’ora di vedervi e parlare con voi, il posto
segnalato ci pare ottimo, conosciamo bene la vostra sostenitrice e ci
fidiamo anche di lei. E’ fatta! Non sappiamo quando riuscirete ad avere
questa nostra, visto il tempo, quindi abbiamo pensato che potrebbe andar
bene per giovedì al calar della sera, dopo l’orario di chiusura della
biblioteca. Cosa ne pensate?
Le due bambine si guardano, era mercoledì, quindi un va bene su un foglio
di carta con relativa busta, giacca a vento e via ancora una volta, stessa
scena della precedente, bosco, acero e collocazione della missiva nel
tronco cavo. Quindi su e a casa che bisogna fare ancora le lezioni, per
fortuna che non piove. Ricambiarsi e depositare i vestiti in bagno nel
mucchietto già formato da quelli di prima. Chissà cosa diranno le
rispettive mamme! Niente, basterà spiegare. Missione compiuta! Felicità! E
ancora più eccitazione, domani è il giorno, bisogna prepararsi e cercar di
star calme, per non rovinare tutto – pensano le amiche -.
La mattina del giorno dopo passa in qualche maniera, l’orologio va avanti
molto lentamente quel giorno, ora di pranzo, lezioni, un po’ di tv, non
vogliono stancarsi troppo quel giorno, devono mantenersi ben lucide per la
serata. Che, puntualmente, arriva, giunge sempre il momento desiderato,
quando si vuole veramente che arrivi.
S’incamminano verso la biblioteca, su per le scale e davanti la porta si
emozionano ulteriormente; bussano e…meraviglia! Ecco gli gnomi, nemmeno
salutano per il forte stato di agitazione che si ritrovano, ma dopo un
attimo: - Ciao a tutti! Finalmente -. E baci e abbracci, come vecchi amici
che non si vedono da tempo ma che sono sempre stati presenti uno per
l’altro.
Erano proprio come nei libri gli gnomi. E pensare che quasi tutti pensano
che i pittori e gli scrittori hanno un’immaginazione fervida a descrivere
e disegnare queste creature. Invece sono proprio così: ma, allora, vuol
dire che li hanno visti! Anche se fanno parte del mondo dei grandi!
Ciao, noi siamo Tobia e Tita! – fa gnomo Tobia.
E noi Ceci e Giù – di rimando Giulia.
Così comincia Tobia la conversazione: - Prima di tutto ringraziamo, parlo
anche a nome dei miei fratelli e sorelle gnomi, la vostra amica Alessandra
che, se vuole, può restare a farci compagnia (la bibliotecaria, per
delicatezza, va via nella stanza attigua a mettere a posto libri).
Finalmente è arrivata l’ora di conoscerci e, vedo, siamo tutti molto
emozionati anche se dobbiamo sbrigarci e raccontare quello che dobbiamo in
poco tempo. Sapete già dove viviamo e in quanti siamo, ve l’ha detto la
maestra, quella giovane il cui nome adesso mi sfugge, abbiamo deciso di
farci conoscere perché vediamo che siete gentili a ricordarvi sempre di
noi, ci scrivete sempre e ci portate dei doni, non per il valore dei doni
stessi – noi siamo possessori di migliaia di paioli di rame pieni di
monete d’oro che si trovano ai piedi degli arcobaleni, ci potremmo
permettere di tutto – è il pensiero, il ricordarvi di noi spesso, il non
stancarvi di scriverci, il prendere e andare all’acero a impostare le
vostre lettere; è questo che ci fa sentire importanti, è questo che ci fa
vivere in voi, è questo che noi abbiamo gradito ed è per questo che siamo
qui, per ringraziarvi e per dirvi che noi siamo qui anche per voi, per
stringervi la mano come segno di affetto e di mostrarci amici finchè ci
chiamerete, ogni volta che vorrete, ogni volta che potrete, finchè ci
crederete. Quasi nessuno crede in noi, quasi nessuno ha più fantasia,
tranne i bambini e pochissimi grandi ed è per questo, soprattutto, che non
ci mostriamo al mondo, oltre che per paura che ci venga fatto del male, ma
siamo qui in montagna, nella nostra montagna, a vegliare e a cercare di
aiutare le creature in difficoltà, gli animali soprattutto ma anche gli
alberi, i fiori e anche qualche umano – quelli che credono in noi,
appunto, senza per questo abbandonare gli altri che se hanno veramente
bisogno siamo pronti, anche se invisibili ai loro occhi -. Come dicevo
quasi tutto il genere umano ha perso la fantasia e la sua vita è una vita
inquinata, sempre alla ricerca delle cose più futili che si possano
immaginare per supplire alla mancanza di quei veri valori che ha perso con
l’andare degli anni, della sua anima sempre più persa nell’acquisizione
dell’avere, vi raccomandiamo vivamente di restare, nel vostro intimo,
sempre un po’ bambini per gioire della semplicità e per gradire delle
vicende della vita che qualche volta saranno tristi. Voi due siete delle
bambine allegre e giocose e così abbiamo deciso d’invitarvi alla nostra
“Festa dell’Arcobaleno” su nel nostro Pramper per festeggiare l’arrivo
delle fragole e fare la relativa scorpacciata e se volete portare ancora
qualche vostro amico saranno i benvenuti anche loro, sono sicuro che
sceglierete bene. Adesso diteci fate sempre le monelle e i maschiacci? A
casa vi sgridano? State attente ad arrampicarvi sugli alberi e sulle
rocce, si cade, bisogna stare molto attenti e guardare bene il pericolo.
Le nostre due amiche sono ammutolite per il discorso, tengono le orecchie
bene aperte e pensano di essere state veramente fortunate ad avere la
possibilità di conoscere queste due straordinarie creature e di star loro
parlando insieme.
Ceci, emozionantissima, comincia: - Anche noi siamo molto felici di
conoscervi e siete proprio come nei nostri libri e come v’immaginavamo, la
nostra emozione è alle stelle e tutti i discorsi che ci eravamo costruiti
per voi sono dimenticati, tutte le cose da chiedervi sfumate e dobbiamo
accontentarci di quello che ci viene da domandare al momento.
Non preoccupatevi bambine è così per tutti, fate e dite tutto quello che
volete e, in caso, quando vi ricorderete, ci sarà sempre il nostro albero
che ci fa da tramite – fa Tita.
Io voglio chiedere come sono i bambini gnomi – fa Giù – come si
comportano, se giocano come noi, se fanno dispetti, se piangono, se
ubbidiscono, se fanno birichinate e se tutti i genitori sono come gli
umani o se c’è qualche differenza anche nei metodi educativi che hanno gli
gnomi.
Risponde Tobia: - I bambini sono esattamente come voi, fanno tutto quello
che fate voi, giocano, studiano e tutto il resto. I genitori sono un po’
diversi dagli umani perché tra di noi non bisogna difendersi e, quindi,
non bisogna insegnare questo ai nostri cuccioli, solo a guardarsi dai
pericoli del bosco e a non farsi vedere dagli uomini, che è già un bel da
fare che, per quanto molto meno che imparare a difendersi tra gli uomini,
è sempre un impegno, sia da parte loro, che devono imparare, che da parte
nostra, che dobbiamo insegnargli a fare ciò. Mangiamo in maniera un po’
diversa dalla vostra, lo sapete già e per il resto è tutto più o meno
uguale, sia nel nostro mondo che nel vostro. Gli gnomi non credono nelle
punizioni da dare ai loro piccoli, se sbagliano, ma piuttosto nell’esempio
dettato dal nostro modo di vivere anche se, indubbiamente, qualche volta
ci vuole una punizione, anche se minima. Bene bambine, se non avete altre
domande da porci, noi andremmo, l’ora comincia ad essere tarda ed anche
voi, penso, dovreste andare a casa. Ci vedremo tutti alla festa, allora.
Grazie per questo incontro ed è stato un piacere per tutti questa nostra
reciproca compagnia. Ringraziamo la gentile bibliotecaria per averci
ospitato e…state bene.
Baci e abbracci e tutti si congedano e si recano alle loro case.
Alle bambine adesso vengono in mente tutte le domande che avrebbero potuto
fare agli gnomi che prima erano ammutolite davanti a loro, tanto erano
emozionate. Bisognava assolutamente ricordarsene per la festa, senz’altro
meravigliosa, pensano, dell’Arcobaleno.
Devono assolutamente, pensano, portare qualcosa in regalo che non siano le
solite caramelle-noci-nocciole-dolcettivari o, almeno, non solo quelle.
Pensa che ti pensa viene loro in mente che forse una filastrocca possa
essere un buon regalo e provano a comporla :
Questa è la festa dell’ARCOBALENO
di gnomi che ballano tutto è pieno
insieme alle solite noci e nocciole,
vi regaliamo le nostre parole
sappiamo che non saranno buttate al vento
perché ricorderemo tutti questo momento
un momento di pace, un momento di amore,
che sarà sempre nel nostro cuore
le fragole sono pronte a nutrirci
mentre noi siamo a divertirci
facciamo noi lì il pieno d’amore
regalando a tutti un colorato fiore.
Questa festa alla pace è dedicata,
perché dell’arcobaleno è la giornata.
Arcobaleno, arcobaleno…
questa è la festa dell’ARCOBALENO
Nella giornata prestabilita i nostri bambini, sono 10 in tutto, si recano
verso Pramper e all’arrivo, meraviglia tra le meraviglie, un arcobaleno:
il più grande e il più bello che abbiano mai visto o immaginato, una cosa
fantastica, un mostro, quasi, di bellezza, lì tutto per loro, tutto da
vedere, un incanto! Restano attoniti, senza fiato e dopo un po’, passata
la meraviglia, si recano alla riunione degli gnomi che li accolgono con
mille feste e chiedono il permesso di leggere la filastrocca che viene
subito applaudita da tutti.
Cantano e danzano, tutti insieme, fino al tardo pomeriggio; fino a quando,
cioè, gnomo Tobia si avvicina ai bambini e dice loro che è ora di tornare
a casa che il buio non li sorprenda per strada e così fanno salutando
tutti e, naturalmente, le nostre amiche, dimenticandosi, ancora una volta,
di porgere agli gnomi le domande che si erano prefissate. Capita! Quando
ci sono cose interessanti da fare, capita!
Naturalmente la corrispondenza continua ancora al giorno d’oggi anche se
le due bambine e gli gnomi non si sono più incontrati.
Tutti i partecipanti all’evento ricordano ancora al giorno d’oggi
quest’avventura e questo sprazzo di vita di quel momento, mi hanno
incaricato di scriverlo ed eccomi qua, scrivano involontario.
Guarda la luna
Un mondo fatto solo di bambini, di tutte le età, di tutte le razze, di
tutte le religioni. Un mondo uguale per tutti, senza guerre, senza fame,
senza capi, dove Babbo Natale ha il suo regno con la slitta trascinata
dalle renne che tutti gli abitanti della luna, i bambini appunto,
accudiscono con amore, a turno, senza litigare per chi debba farlo prima o
dopo; importante è fare quello che si deve fare, non il prima, né il dopo,
il durante è importante, è l’essenziale.
L’han chiamata l’isola che non c’è, l’han chiamata in mille altri modi ma
la luna resta la luna, regno dei bambini e di Babbo Natale, isola nello
spazio azzurro che si fa vedere a noi solo da una parte e noi ci
riflettiamo in lei, fluttuanti, veri, sognando di tornar bambini, quali
non più e non più disposti a capire, a comprendere le verità che
l’innocenza detta.
Capita, talvolta, di vedere stagliati nel cielo, se guardi attentamente
nelle sere di luna piena e solo in dicembre, Babbo Natale con la slitta
carica di bimbi, di solito quattro o cinque, che fanno le prove di volo
per portare i regali, la notte di Natale, agli anziani, ai bambini, agli
uomini, a quelle persone che vivono da sole e sono infelici di esserlo. Ma
sulla luna non esistono fabbriche di giocattoli, maglierie, sartorie bensì
si allevano cani, gatti, criceti, piccole tartarughe, pappagallini e mille
altri animaletti che possano tener compagnia a queste persone tristi e,
nello stesso tempo, dar loro un piccolo impegno quotidiano. Per non
parlare poi delle bestiole che son felicissime di vivere con questi esseri
umani che le accudiscono, di solito, meravigliosamente bene e che,
soprattutto, danno loro un grandioso dono chiamato amore.
Qui gli animali vivono liberi, senza gabbie e senza costrizione alcuna e
sapendo perfettamente che un giorno, alcuni di loro, andranno a vivere
sulla terra. Naturalmente queste bestiole sono ben contente di questa loro
destinazione futura perché pensano che, sebbene non staranno più tutti
insieme, la loro missione è molto importante ed utile per qualcuno e, in
ogni caso, resteranno sempre in comunicazione tra di loro, guardando la
luna nelle notti in cui il plenilunio è vivo.
Ecco qui tutti gli animali: ci pensano da soli a procurarsi il cibo ma non
sempre ci riescono, per via della stagione o perché la determinata pastura
scarseggia, ed allora, ecco i bambini che pensano a integrare
l’alimentazione passando tra loro con leccornie che sanno gradite.
Ogni tanto si sente qualcuno di questi bambini chiedere consiglio a Babbo
Natale su come fare per recuperare questo o quel cibo, questo o quel
giaciglio e per tutti quest’imponente uomo ha la risposta:- Dovrebbe
arrivare oggi il razzo con le cibarie, la paglia sta finendo, cominciate a
preparare l’ordine nella posta in partenza da mandar giù, ragazzi
smettetela con tutto questo baillame che i cagnolini vi chiamano, i
gattini piangono, cos’hanno?
Quest’uomo così amabile ha tanti di quegli anni che nessuno li conta più,
è eterno; niente può distoglierlo dal suo modo di operare e vivrà fino
quando ci saranno bambini che in lui crederanno e fin quando sulla terra
ci saranno persone tristi e sole, fin quando qualcuno vedrà la sagoma di
una slitta, nei pleniluni di dicembre, muoversi davanti la luna, finchè ci
sarà il mondo, finchè ci sarà la fantasia, il sogno, uno solo, il più
piccolo, finchè ci sarà qualcuno che dirà guarda la luna. |