Poesie di Alessandro Regazzetti


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche

 
Rose
Quando ti dissi che la rosa ti assomiglia non mentivo.
Pensavo alla primavera dove le foglie degli alberi nel mattino
parlano della freschezza della notte con il loro guscio ancora umido
con le nervature sottili che ricordano le vene delle mia mani
con il tenero smeraldo dei loro occhi. I tuoi occhi.

E più sotto le rose. Le rose con le loro spine, l’innocente difesa
della bellezza di quei petali, della sottigliezza di quello stelo.
Quando ti dissi che la rosa ti assomiglia dicevo il vero.

Ogni giorno il tuo volto riaffiora per primo nel mio pensiero
e il riflesso primaverile del giardino lo specchia lì nel roseto.

Una mano ha cercato con delicatezza di cogliere una rosa.
Ti sei fatta alla finestra e non trovavo parole per fermare il gesto.

Aspettiamo tutti che una mano colga le nostre rose:
gli anni non ci appartengono come le rose non appartengono al giardino.

Le rose appartengono al mondo e sono nate per fiorire appassire rifiorire.
Quando ti dissi che la rosa ti assomiglia, ora so: non ti mentivo.

La luna
La luna è lo specchio dei miei pensieri
e i miei pensieri freddi in essa si riflettono
come sottili spade di ghiaccio conficcate nelle tenebre.

Tutto assume un riverbero di argento alla sua luce,
il bordo di ogni cosa scivola nella vertigine dell’altezza
dei grattacieli che fanno da torre agli insediamenti urbani:

le loro fessure sono scie di iridescenti frecce,
occhi in perpetua veglia con l’ansia di una fine.

La luna resta lo specchio dei faticosi anni
nell’arco pallido che attraversa il petrolio della notte

ed è la porta spalancata su pesanti cardini
a cui si affaccia la mia mano arresa, tesa
a palmo in alto a domandare un soldo.

È quello il soldo con cui mi pago i sogni
e dove il bacio fiorisce prima di annegare
nel velluto delle tue infinite labbra.

Promenade
Gli alberi infittiscono intorno al mio cammino:
germogli si dischiudono accanto ad alberi più alti,
cedri del Libano, pioppi, pini marittimi, palme
e poi più in basso crochi, belle di notte e tamerici.

Non sai nominare una per una le specie
tutti i colori, gli odori di questa foresta:
la lingua non può dire nel lemma, nei suoi termini
sfumature e vertigini di ogni cosa che apprendi.

Ti sei fermata alle panchine con la scritta
di alcuni versi di poeti, per la maggior parte estinti:
nella poesia, nei tronchi, nelle corolle cerchi
ostinatamente il senso della nostra vita.

Ti sei avvicinata, scesa insieme a una spirale,
all’impeto fragoroso del Passirio dove l’acqua
comprime la sua forza bruta in una gola:

e hai pensato che tutta la forza dell’aria nei polmoni
non potesse eguagliare la voce dirompente della natura.

Siamo stati echi sospesi nell’unisono di infinite voci
voce dentro voci, nome dentro nomi, minima cifra
nell’ordine indecifrabile del disegno del giardino.

E hai immaginato il tuo corpo farsi di foglie di edera
attorcigliata all’albero della vita sprofondato
con i suoi possenti bracci fino a dentro il cielo.

La polvere
La polvere è il segno che traccia il percorso del tempo
nelle arterie urbane dove il traffico scorre come sangue
e la sua velocità segna il progresso delle “umane sorti”

e con il tempo anche la mia vita -la tua vita- implacabilmente
si trascina per tappe sconosciute e oltre il nostro sguardo
si conclude nella scatole logore degli abiti smessi,
sfociando in un binario morto.

Ma ciò che il mio pensiero bene conosce non è la polvere
non è la brama di prolungare l’attimo o viverlo come l’età di un secolo
né di scavalcare il limite invalicabile che sfocia nell’indefinito:

quello che sa e conosce il pensiero è la sua infinitezza nel presente
l’abbattimento di tempo e spazio, facoltà di scardinarne i limiti.

La scacchiera è il gioco per la ragione; il pensiero la sovrasta
non ne resta impaludata come il cigno in una pozza d’acquamorta
ma è albatro che leva con maestà il suo volo nell’aria

e di tutta la polvere alla fine non resterà che il soffio
del vento amico che la trascina via.

Eredità
Abbiamo perso i nostri morti
nelle rughe sotto i ponti vecchi delle città,
nel trascorrere dei fiumi che il tempo
come una vecchia pellicola scolora.

La loro eredità sarà fatta di aria,
di germogli appena sorti sui rami
e sarà di terra, umida zolla aperta
al diluvio di una pioggia di cristallo.

E noi berremo dai calici la loro assenza
avremo occhi svuotati di lacrime…

Notturno marino
Hai aperto al mare le tue braccia e intorno il baluginare
dell'acqua sulla lamina increspata della notte
era lo specchio che rimandava il riflesso della luna

e la luna dentro gli occhi del bambino
giocava di guizzi e di sonorità nuove,
sempre più immersa nella calma diffusa
che precede ogni silenzio.

Solamente il mare incontrava nello sciabordare
tenue dell'onda il suo destino: il liquefarsi
rinnovato della propria essenza.

E il suo farsi e disfarsi sulla spiaggia
come una nascita e una morte
ricordava a tutti noi la nostra sorte.

Quando avrò inciso la mia volontà
Quando avrò inciso la mia volontà sul destino finale
in caratteri a tutti comprensibili e in grafia ampia
tanto che nelle asole ciascuno scorgerà le anse dei fiumi
del tempo che ho percorso con le sue valli
e nel greto di questi fiumi i miei pensieri correranno
liberati da ogni fardello, svuotati dalle preoccupazioni

il bianco sarà lo spazio infinito dove la scrittura
di quello che fui (di quello che sono) balenerà sul nero

e in ogni respiro consumato il mio libro volgerà
pagina dopo pagina all’estuario dirompente
della consapevolezza dell’essere vissuto.

Siamo stati tutti noi semplicemente ombre,
disegnati negli spazi angusti di città, nelle mura
di case con soffitti molto più bassi del cielo;

siamo stati confinati tutti noi semplicemente
in cucchiaini abbandonati dentro tazze vuote di caffè
o nei resti di un petit déjeuneur sur l’herbe

e dentro l’immagine di noi stessi, di costumi sociali,
di ordini etici imparati in logori manuali,
preordinati, programmati, automi di formiche laboriose.

Ma quando avrò inciso la mia volontà sul destino finale
la consapevolezza del mio essere attuale mi renderà
liberamente cosciente dell’insussistenza del mondo reale,
dell'inutilità di ogni discorso sulla distinzione di Bene e di Male.

Alla stazione
Il senso del viaggio qui si dilata, nel semicrepuscolo
dentro il rumore di ferraglia, dentro il vociare
che invade l’aria come uno sciame d’api

alla stazione nel sottile equilibrio dove muliebri
mani si intrecciano con nodi ad altre mani,
con tono lieve toccano il capo ai figli prima del distacco

e variopinte colonne di turisti migrano scolpite
nell’istante in cui tutto intorno vortica a girandola:
volti senza nome, corpi di corsa, corpi vicini e distanti
all’approssimarsi di un addio o di un semplice arrivederci.

Il senso di precarietà qui è imperante più che altrove
i tabelloni con gli orari, il calcolo delle coincidenze
che dice: tutto è preordinato a collimare,
tutto quanto qui è artificiale,

la disperante e disperata coscienza
di non avere controllo, verità o certezza
sull’imponderabile viaggio che chiamiamo esistenza.

Non chiamare con mille nomi
Non chiamare con mille nomi le rughe
che assomigliano a sentieri angusti
e tracciano mille volute come a risalire
dalla memoria a ritroso:

sono le case che hai abitato nella vita
le camere disadorne in cui la gioventù ha alloggiato
le cucine in cui ha attinto pane acqua e vino
il nutrimento che ha soddisfatto la sua fame.

E ancora sono i letti disfatti al mattino
quando il sole si rivelava dietro consunte tende
con il suo biancore ad ammorbidire gli angoli,
con il suo chiarore, abbagliando gli occhi.

Quelle rughe sono il segno dell’esistenza
che è passata dentro il suo corpo e l’ha sconvolto
in metamorfosi, in metafore sempre più ardite.

Quando per l’ultima volta i tuoi occhi incocceranno
il responso dello specchio e fisserai quei solchi,
quando ripercorrerai ciascuna di quelle rughe,
singolarmente, una per una, tanto da confonderle
l’una con l’altra, da fonderle l’una nell’altra,
allora il tuo volto avrà per davvero un nome
e quelle mille rughe porteranno il tuo nome soltanto.

Non siamo nati per durare...
Non siamo stati creati per durare, non il nostro corpo
alla consunzione del tempo, al logorio continuo
che erode la pietra più dura, che la divora.

Attraverso la mia ombra io divento la mia ombra
quando la notte si allarga come una macchia
e irrompe sulle città, irrompe sulle case.

Attraverso la mia ombra ancora io divento ombra
quando la luna definisce con un riflesso il mio volto

e allora il mio volto è quello della mia assenza
del vuoto che lascerà la pienezza delle mie mani
del vuoto che lasceranno le orbite dei miei occhi.

Il tempo prenderà ad abitare le mie ossa.
Vi passerà il vento e canterà con la mia voce:
così la conchiglia canta con la voce del mare.

Ma noi non siamo nati per durare.

La luna insegna al mare...
La luna insegna al mare il senso della luce
e il mare come falena si solleva in una grande onda
e sporge il suo corpo fluido alla contemplazione
estatica del chiarore, del candore della luna …

Non c’è spiegazione del perché questo avvenga
della necessità dell’alta e della bassa marea
eppure è scritto che tutto così debba andare:
la natura ha scolpito la sua legge in ogni cosa.

Ugualmente è scritto che dobbiamo vivere
che gli alberi rendano alla terra il frutto
che gli esseri si perpetuino nelle generazioni.

Così è scritto e tutto ciò che nasce
non può sfuggire alle preziose leggi della Vita.

Domanda al vento...
Domanda al vento l'essenza degli oggetti, delle cose
come le ombre che si assottigliano ai muri a mezzogiorno
come le scarpe che conoscono ogni centimetro del loro percorso

domanda al vento il nome delle cime dei monti
che con tutta la sua forza esso attraversa, levigandone le rocce.

Qualcuno pensa che il suo idioma sia incomprensibile
che le sue parole siano semplicemente l'eco di mille pensieri
che si inseguono continuamente sotto il cielo, sotto le stelle;

qualcuno pensa che il vento non abbia invece voce
qualcuno che sia la libertà, l'affrancamento da ogni limite
che non sia la propria nascita e la propria morte

ma tu domanda, domandalo ancora al vento
per dove si vive per dove si muore....


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche