Ciò che ugualmente passa Fatue palle piumose dei soffioni di tarassaco ho riscoperto in giardino
Uno ne ho reciso e come non facevo più sui pappi ho soffiato lieve
Sono senza soldi abbastanza per cambiare casa più grande sposarti, e quindi fare un figlio
Ma, vedi, una volta anch’io alla disseminazione ho contribuito di ciò che ugualmente passaPiurt-a-beul Mouth Music Martelletti rullano, tambureggiano. Ho buon trinciato da rollare a mano e Scozia per parte di antico sangue, fierezza non ritrosa al contraccambio. Guardatemi ora nell’iride verde di acque stagnanti e pagliuzze di vivido neuston, le nostalgie a volo d’uccello, fumo che scrocchia lieve ad ogni nota. Ho una danza di dita sulla tastiera e sulla barra spaziatrice, tartan in festa di chiazze e righe di ampiezza, quadrettate quartine su ternarie terzine, ciocche di tabacco fulvo, chioma della mia compagna roteante. Poesie zen Quanti ragni appesi a un filo sembrano volare!
Trasmettono sempre: ho nostalgia di monoscopi e di effetto neve.
Scale archeggi staccati tremolo e cavata. Perché alla mia età imparo il violino? Proprio perché non servirà a niente!
Fuochi d’artificio e puzza d’insettifugo: tutto ha un nesso.
Mai un equilibrio, ma eterno librarsi che mai si arresta. Oscillano le maschere riappese.
Crepitio di foglie al vento; chiudo gli occhi ed è fuoco, è pioggia, è carta, è applauso. Cos’è?
Silenzio dell’albero: dove sono nel suo profondo i rami e le radici?
Foglie cadute, giaciglio antico della terra o è come se lo fosse.
Al risveglio, com’è irreale il mondo dopo aver sognato!
A cosa serve l’erba esplosa da un marciapiede? Intrecci di nuvole che guardiamo e dimentichiamo.
Scaglio il giornale sul soffitto: il moscone è morto stecchito mentre in cortile miaula l’estro venereo.
Arachidi tostate giganti: potessi anch’io preferibilmente consumarmi entro la data sopra indicata!
36 metri quadrati Ho 36 anni e un minialloggio. Ingresso tinello e cucinino una camera con divano letto un bagno cieco e due balconi, 36 metri quadrati calpestabili in tutto insopportabili ormai, un metro quadro per ogni anno di mia vita.
Non è nemmeno detto che per la stessa misteriosa legge 100 metri quadrati li avrò almeno a cent’anni. A cent’anni poi mi basteranno due metri di lunghezza per novanta centimetri di larghezza.
Un giorno a Procida Tu sei delusa dall’isola di Arturo in questo giorno meno azzurra della tua bibita preferita al lampone blu in ergonomica bottiglia
Sulla scura spiaggia Chiaia non ho pensieri variopinti da distinguere lontano, ma uno soltanto intorno all’ossimoro all’apparenza
Posi tra i bianchi corimbi di oleandro e qualcosa io non sono che vorresti se non la stessa Terra Murata in qualche prossima poemessa
A te che piacciono i forti gli uomini arditi e spregiudicati da quel duro bagno penale avrei saputo evadere come in un film?
Pensandoci due tipi snob mangiamo il pesce alla Coricella e non c’è cosa più profonda che io potessi smettere di dire
Le 10 e 10 Non sono le braccia aperte all’abbraccio delle 10 e 10. Non è il trionfo di una “V” di vittoria.
Non sono le belle gambe divaricate e accoglienti, le sfere aperte nell’asimmetria simmetrica
di una positività all’insù delle 10 e 10 non ci appartengono.
Il mondo è ancora fermo alle 8 e 16 e 8 secondi di Hiroshima. Ulisse Mi svaga l’ora calma del passeggio con Ulisse, il mio cane che grufola
nei colletti dei lampioni e in ogni altro dove rigrufola presenze nuove
col suo lungo odore come l’ulisside neoterico quale io essere vorrei.
Mi allevia rincasare sgambando anche se affranto e sulle vecchie scale
quel già sentirlo guaiolare: dietro la porta annaspa, raspa la specchiatura
e non sta più nella pelle al dindonare a distesa in do diesis maggiore
quando così gli sciolgo le campane alla sua voglia di festa concitata
che mi oltreporta dritto al cuore. E addio ad ogni Santippe!
Salva con nome Col vento di belle giornate fredde, strano come lo sterco di vacche lontane odori nella metropoli… e sa di buono in confronto.
Senza nuvole, a somigliarvi nell’azzurro uniforme, solo scie di Tornado e i Ghibli di supporto.
Anche dell’alto e potente si sfilaccia e svapora il segno d’ogni passaggio. Non mi consola né mi compunge.
Sul divano, scaldato da una lama di sole, alla mia mano abbandonata il cane fa testine e naso umido. E c’è ancora vita. Ciò che ugualmente passa Fatue palle piumose dei soffioni di tarassaco ho riscoperto in giardino
Uno ne ho reciso e come non facevo più sui pappi ho soffiato lieve
Sono senza soldi abbastanza per cambiare casa più grande sposarti, e quindi fare un figlio
Ma, vedi, una volta anch’io alla disseminazione ho contribuito di ciò che ugualmente passa 1 (a T.S. Eliot)
La mia forza vitale viene meno come i capelli si fan più radi, e brizzolati e grigi… prematura caratteristica familiare costituzionale … si dice … eppure invecchio, ecco, invecchio.
Cos’è la Nolontà? E cosa il Samadhi? Non porto più lunga la capigliatura castana, ondulata, con la frangia alla Sylvian,
il germanico segno dei nati liberi o di medievale voluttuosa lussuria, né chioma incolta dei penitenti anacoreti e dei profeti aspiranti alla purezza
… e non più mi ribello o contraddistinguo. Io sono infine un borghese.
Nolente.
Soltanto il taglio a spazzola ormai mi dona, perché solo si è fatto dignitoso e insieme giovanile. Quasi il mio capo sembra rasato come agli antichi schiavi condannati.
Schiavo della mia fisiologica natura che pure accelera la desquamazione del cuoio capelluto, e non c’è nolontà, non c’è Samadhi:
al problema della forfora non ho che lo shampoo antiforfora agli estratti ayurvedici o meno ma che sia regolarmente usato.
Cos’è la melaleuca? E cosa l’Ayurveda? Andrò da un tricologo? Userò la Crescina con le ciclodestrine?
Bella magia popolare, se vorrà infondermi ancora un po’ d’amore non più alla ragazza riuscirà di fare un nodo ai miei capelli.
Come i capelli mi si fanno radi! Delila sensuale mi ha ingannato, i Filistei mi sono addosso: girerò la macina conformista imprigionato così in attesa del Giudizio, quando non io butterò giù le colonne che reggono il mondo.
Vanità delle vanità, tutto è vanità, dico basta agli esosi barbieri. Ho comprato un tagliacapelli elettrico in bel materiale cristal trasparente. Ha i pettini distanziatori e molti accessori in dotazione…
Mi taglio i capelli da solo, in drammatica religiosa tonsura, rinunzia al mondo, davanti allo specchio che eccede la pura e semplice funzione.
E se il taglio è imperfetto e si vede che si veda: possa questo eccentrico fare a qualcuno un po’ di tenerezza. 2. Di nuovo la barba mi si è fatta incolta a conferirmi l’aspetto trascurato (pars pro toto) di un avulso intellettuale di sinistra.
Io mi rado circa ogni tre giorni, in modo che sia un omologarsi mai del tutto al bello e buono di faccia così com’è e così com’è si mostri e viceversa. Mantengo il dubbio e la pluralità.
Mi rado le guance e il mento e la gola e il baffo, senza più compiuta virilità antica degli eroi, degli dei e dei re, in decadenza vanitosa di Creta minoica Roma e Bisanzio.
Levigo la ruvidezza per un bacio ben dato se capiti al bendato Cupìdo di coglierci entrambi.
Radersi costringe allo specchio di un camerino dove mi spalmo schiuma da barba come il bianco cerone del clown prima della clownerie, la pubblica performance, in tristezza riflessiva ormai vuota.
Sarà una rasatura accurata, da glabro manager vincente, il radi e getta muoverò con mani d’artista, e per ultimi ritocchi la matita emostatica, poi la muschiata frescante lozione del dopobarba.
Ugualmente però non raderò i peli neri delle parole da pagine che bianche non so lasciare, anzi coltivandovi barbe sempre più lunghe, fitte e nasconditrici. 3. A Henryk Mikolaj Gorecki Io sono il tossitore, già malato di asma atipica. Ho la tosse dei fumatori, quella persistente che assume il suo decorso in cronica bronchite e perenne inverno.
Senza pensare alle future complicanze fumo le mie ultra lights tra cielo e terra – calumet vieppiù solingo.
La posa elegante delle dita io l’ho imparata presto, e così il mio cammino dell’anima verso l’alto mai soddisfatto. Oh, santità dei vizi!
Ma ecco, a sera mi manca l’aria che tutto contiene: pianeti, stelle, universo e gli dei e le schiere celesti, l’origine e la fine.
L’aria mi manca, dove tutto può esistere e succedere, la meta trascendente… mi manca.
E come la sera s’inoltra, la tosse si fa più intensa e frequente, profonda inspirazione all’espulsione violenta - oh quale divina contraddizione! come amare tanto la vita e quanto odiarla di pari intensità totale totalizzante!
Vorace e ascetico al contempo io mi rivelo.
Io amo così com’è vero che amore tosse e fumo non si possono nascondere a nessuno. 4. Così bevo alla bottiglia un’altra birra bionda, capezzolo bruno che non è petto materno eppure vi assomiglia.
Ne bevo finché ne ho il tempo.
Quando liberi dal corpo - secondo il Libro dei Morti - dovessimo vivere ancora non l’acqua, l’aria, il sesso (ma neanche i miei dischi), bensì la trasfigurazione ignota, e invece di pane e birra (e point de brie e le briciole sulla cerata) sarà solo pace nel cuore in eterno uguale a se stessa come lobotomia, come l’oppiomania.
Prima di una eternità senza mai un cattivo piacere bevo alla bottiglia un’altra fresca birra bionda, capezzolo bruno che non è petto di Maria, seno al sapiente e latte spirituale, ma che più della salda sobrietà appassita e a suo modo più folle vi assomiglia.
Sfumerò nel fruscio alla fine del nastro non più registrato e registrabile, un disciogliersi di compressa effervescente nel bicchiere d’acqua della creazione per dissoluzione del mondo.
Incrodato alpinista sulle parole, qui giunto non posso più salire né ridiscendere. |