Meringa
Era marzo dell'anno 2015, sapevo che mia moglie aveva intenzione di adottare un
cucciolo di cane, nato da un Barboncino Bolognese di una sua amica; ed ero
contrario perché sapevo che era un impegno importante prendersi cura di un cane
e avevo paura di non essere all'altezza. Con tutti gli impegni che avevamo,e
vivendo in un piccolo appartamento; avevo timore che sarebbe stata una cosa
difficile per tutti, per il cucciolo stesso. Quando mia moglie e mia figlia
arrivarono con questa piccola "pallina pelosa", tutta bianca e spaventata
(tremava come una foglia) il mio cuore ebbe un sussulto. Mi innamorai di
Meringa(questo è il nome della mia cagnolina, nome che gli fu dato da mia figlia
e mia moglie) nell'attimo stesso che la vidi varcare la porta d'ingresso di
casa.
"È tutta bianca e dolce come una meringa di zucchero!" Pensai dentro me. Non
credevo che in vita mia sarei riuscito ad amare una creatura così speciale. Una
creatura che mi ha insegnato cosa sia il vero amore.
È una piccola taglia, una meticcia, un incrocio fra una femmina di Barboncino
Bolognese ed un maschio di Maltese; ed il risultato è meraviglioso: una piccola
canina magra, dal pelo bianco arruffato, con il nasino ed il contorno occhi
rosa. L'iride dei suoi splendidi occhi, è di un marrone chiaro, e in alcuni
punti si vede anche un lieve verde smeraldo. La sua coda è folta e ricurva,
sembra uno scoiattolo! Le sue orecchie sono a punta come quelle del volpino, e
rappresentano le espressioni del viso. Ha un carattere mite e curioso. Ed è
sempre pronta a farmi le feste e a giocare con me.
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Il nostro rapporto è profondo. Per il mio cuore è come una figlia. Lei si fida
di me e non mi ha mai tradito; da parte mia non tradirò mai la sua fiducia e il
suo mero amore.
Per Arthur Schopenhauer "Chi non ha mai posseduto un cane, non sa cosa
significhi essere amato" ed io non posso che essere d'accordo e condividere il
pensiero del grande filosofo tedesco. Perché Meringa, in questi nove anni che
viviamo a fianco, non ha fatto che amarmi incondizionatamente. Un amore che va
ben oltre l'universo; è lei che mi ha insegnato cosa vuol dire essere veramente
amato.
Ci sono stati e ci sono momenti della mia vita, che sono preda della solitudine.
Spesso in quei momenti di depressione e travaglio dell'animo mio, ho la tendenza
ad inginocchiarmi difronte alla porta finestra del salotto per naufragare in un
pianto liberatorio. In quei momenti il dolore spezza il cuore. Ma lei, la mia
tenera Meringa, si avvicina a me, e con profondi occhi viene a consolarmi con la
sua vicinanza; e da parte mia non posso che abbracciarla calorosamente,
ricoprendola di affettuosi baci. Lei c'è sempre stata ed è sempre presente per
me. Quello che dona è un puro amore incondizionato. In cambio si accontenta
solamente delle mie attenzioni ed una carezza. Come non potrei portarla sempre
nel mio cuore? Lei è il mio personale "amuleto" o come dicono in molti è un
angelo che per camuffarsi ha nascosto le ali nella sua scodinzolante coda.
Questo amo credere nel profondo del mio costato.
Scrivo poesie e quando faccio ciò, ho bisogno di silenzio e di restare solo per
ascoltare la "Musa". Lei (mia Musa), si avvicina alla mia sedia con passo
felpato e delicatamente dopo
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aver ricevuto un sorriso ed una carezza da parte mia si sdraia
vicino a me. E così resta nella quiete della stanza, mentre io su vuote bianche
pagine sono intento a comporre i miei versi.
È un momento sublime e magico per noi. È l'unione delle nostre anime. Di seguito
(spero di non risultare inopportuno) vorrei riportare una delle tante poesie che
ho dedicato a Meringa. Con questi versi ho immortalato per sempre la grandezza
del suo cuore. Un esempio d'amore che nella mia esistenza non avevo mai trovato
in nessuna creatura. Adesso vi lascio con le strofe che ho dedicato al valore
dell'amicizia tra me e Meringa.
Alla mia cagnolina
Sei bianca e dolce come una meringa
rimani ad aspettare nella cuccia,
al ritorno il tuo amor mi lusinga.
Sei amica fedele, una femminuccia
da amar. Dolce il tuo nome: Meringa
ridi di letizia con la boccuccia.
Sapessi come il tuo cuor amare
o per me che riservi il giubilare.
In silenzio mi osservi poetare
una carezza, poi ritorni in cuccia.
Una sonata nel silenzio
Suonava una sinfonia nell'ora crepuscolare, quando il sole ancora non
era sceso sotto l'orizzonte incendiando la spiaggia, incendiando il mare con
il suo vermiglio colorare.
L'eco della sonata per pianoforte n. 14 rimbombava nel vano scale del
condominio.
La nostalgia e la solitudine come uno spettro erano scesi lungo le scale.
Un uomo dentro una stanza poco illuminata respirava lentamente
seduto sul consunto divano.
Stava in silenzio. Era solo nell'ombra delle mura. Teneva gli occhi chiusi
per non essere ferito dalla luce dei lampioni.
Il silenzio si era impossessato dell'appartamento. No un lamento! No un
singulto! Come l'assenzio solo l'amaro silenzio.
L'uomo teneva la testa fra le mani e gli occhi ancora serrati sulla notte
che colorava il manto stellato.
La luna splendeva, pallida e rotonda come non si vedeva da sere.
Suonava e suonava la sonata di Beethoven...ripeteva continuamente il brano
in un ciclo chiuso. Echeggiava tutta la notte.
L'uomo era ancora seduto sul divano. Aveva detto: "Addio!" Dentro il suo
cuore si sentiva morire. Sentiva un dolore che lo opprimeva sul petto: la
solitudine la nostalgia.
L'inettitudine a volte si impossessa dell'animo umano. Lo avviluppa fra le
spire e lo soffoca come fosse un Boa.
La musica ripeteva le solite note, era un ciclo infinito ma il tempo avrebbe
finito la sua corsa.
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Non il tempo! Il tempo avrebbe proseguito nell'infinito dell'universo, ma
l'uomo no! L'uomo non è per sempre. Nulla è per sempre!
Dire: "Addio!" era un po' come morire...Come sparire nell'abisso della
quotidianità del tempo che ci apparteneva.
La sonata suonava e suonava... Il divano era immobile. L'uomo era rimasto
immobile. Seduto su quel guanciale di dolore che affliggeva l'anima. Si
perché chi sa soffrire sa che ha un anima da accudire. Un'anima sensibile
che vive nel suo corpo.
E lui soffriva per lei. E lei soffriva per lui. Perché anima e corpo sono
una cosa sola. Come un eterno amore.
Un giorno, però, il corpo sarebbe morto ma no l'anima; la quale avrebbe
continuato a vivere nell'infinito.
Quella sera anima e corpo sentivano lo stesso penare, la nostalgia la
solitudine che crea l'addio...
L'uomo d'improvviso si alzo dal gualcito divano per affacciarsi alla
finestra.
Era una bella sera di settembre. L'aria era fresca. Le stelle, come tante
ghirlande, coloravano la notte. E la luna splendeva talmente tanto che non
sembrava un semplice riflesso. Quella notte la luna non era gelida ma
emanava calore nel cuore dell'uomo.
Un sospiro stormiva nella stanza. L'uomo non perse la speranza!... Anche se
aveva creduto che fosse una cosa vana...Non avrebbe detto addio anche a lei.
Doveva credere! Doveva sperare!
In quel momento, corpo e anima sentivano il bisogno della speranza. Essa è
una forza motrice che alimenta la vita. È una forza interna che da la
spinta. È l'amore per la vita!
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Egli avrebbe tenuto in cuore la solitudine la nostalgia per cambiare il suo
destino. Per migliorarlo. Per prenderlo nella mano e proseguire nel cammino.
Dove sarebbe arrivato non avrebbe avuto importanza.
Non poteva restare piegato su se stesso a piangersi a dosso. Doveva
scrollarsi di dosso l'inettitudine. Inerte, non avrebbe potuto lasciar
passare il tempo. Doveva andare avanti. Doveva vivere oggi. Non poteva
restare nell'oscurità della stanza ad ascoltare la sonata...doveva accendere
la luce. Doveva spostare le tende e accogliere la luce lunare. Doveva
attendere il sole albeggiare.
Sognare è sperare
"Forse c'è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: perdere la
voglia di sognare ancora." (Sigmund Freud)
Al mattino, poco dopo che il rosato cielo aveva cominciato ad
albeggiare; Ale, amava recarsi sul molo della sua città, prima
di affrontare una nuova giornata di nove ore di lavoro, chiuso
dentro il tunnel della verniciatura industriale.
Parcheggiato il suo umile ciclomotore, cominciava l'emozione
di poter passeggiare nell'effluvio salato, che fin da subito
investiva le narici.
Lui, sentiva palpitare il petto, era una così emozionante
passeggiata raggiungere la spiaggia e vedere l'immensa distesa
indaco; che era possibile raggiungere facilmente attraverso il molo.
Aguzzi scogli grigi e neri, proteggono la lingua di cemento
che si avventura nelle profondità del mare; mentre silenti
pescatori immergono le loro astute lenze nelle ondulate
acque diafane.
Pochi solitari passeggeri, distratti, camminano lungo il molo
per raggiungere la fine e dare uno sguardo furtivo alla bellezza naturale che
si offre.
Ale, assente nei suoi pensieri e nelle sensazioni che prova,
era ogni volta avviluppato, inebriato da quel gaudio che si
può solamente provare nella letizia di sognare.
E lui sognava la vita. E non era una delle tante chimere che
ci accompagnano dall'età fanciulla. No!
Il suo era un sognare con il cuore. Il ciglio aperto.
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Le semplici cose che la vita offre, ma che spesso l'umana gente
da per scontato e coglierne l'essenza non sa; a causa delle
mille futili distrazioni della quotidianità.
Ale, in cuor suo, voleva fuggire da una fittizia realtà.
Voleva sognare una vita vera senza illusioni. Voleva sognare
la vita nella sua mera semplicità.
Ecco, il suo era vivere amando ciò che la vita sa offrire,
assaporando il midollo di essa.
Voleva fuggire da tutte quelle cose che affliggono l'animo
umano. Voleva fuggire dalle abitudini.
Sognava con le onde del mare, di per poter raggiungere come una bianca vela
l'infinito orizzonte; che per quanto fosse apparente, era per lui simbolo che
si poteva ancora sperare; era possibile sognare con l'anima.
Ale, sognava insieme ai gabbiani grigi e bianchi, che gridavano
e volitavano leni sopra Nettuno.
Lui, sognava con le timide onde, che lievi carezzavano la riva
per ritirarsi con rossore...
Egli immaginava con quell'immenso mare. Il quale poteva
raggiungere e sfiorare lontane terre a lui sconosciute, e, con
esso, Ale, amava poter sognare quelle terre.
Sognava le terre lontane e a volte gli sembrava di vederle
nei tiepidi flutti che raggiungevano gli ignudi piedi.
E sentiva tutta quella semplice letizia di essere vivo.
Sognare non ha prezzo! I sogni non costano niente. Ed ognuno
dentro se è libero di poter sognare. Sognare è sperare ancora.
E Ale, nel suo cuore ancora sperava. Sperava tutta la bellezza
del mare che entrava nel suo cuore e portava con sé nella
consuetudine.
Contando le foglie in autunno
Novembre 2023
Ciao madre,
oggi è il mio compleanno(chissà se lo ricorderai), un altro
autunno a contare le foglie cadere da quanto mi hai
abbandonato; sono quattordici gli anni miei e dodici anni
sono che tu mi hai lasciato come un pacco nell'oblio.
E sono quattordici anni che ti aspetto! Madre.
Non voglio il tuo regalo. Il più grande regalo da parte tua
sarebbe quell'abbraccio che mi hai negato. Ed una parola di
chiarezza sul motivo per cui mi hai abbandonato.
Sicuramente avrai avuto i tuoi motivi, che siano validi o
meno non spetta a me giudicare; il giudizio un giorno
so che te lo darà il tuo cuore.
Mi avrai amato un po' quando ero nel grembo tuo? Avrai amato
il primo vagito? Sicuramente ti sarai emozionata, quando la
prima parola che sono riuscito a pronunciare a l'età di
due anni è stato: "Mamma!"
Proprio quando mi hai abbandonato! È la parola da me pronunciata che ti ha
spaventato? Perché hai capito l'importanza del ruolo che avresti dovuto
ricoprire? Bastava
l'amore!
Ma tu, dopo il mio compleanno, mi hai abbandonato. Hai lasciato
un vuoto nel mio cuore che ancora adesso non riesco a colmare.
Sono rimasto con papà e i nonni paterni...i quali si sono
presi cura di me con amorevole gioia.
Di tanto in tanto venivi a suonare al campanello di casa nostra, ma non per
vedere tuo figlio, perché cercavi soldi.
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A cosa ti serviva il vile denaro? Per bucare le tue vene
con quel veleno? O perché avevi deciso di vagabondare e avevi
solamente fame?
La tua casa era diventata la strada. Mi dissero che tu non
volevi un figlio. Ma io non sono un abito vecchio che tu puoi
cambiare per rinnovare il guardaroba. Io, sono un frammento
della tua vita e lo sarò per sempre!
Madre, dimmi ti prego perché mi hai abbandonato. Ero solo
un bambino che voleva essere amato...
Madre, dopo che tu mi hai lasciato, papà si è ammalato.
Ho visto il suo viso consumato giorno dopo giorno. Ma lui era muto nel
dolore e per me aveva sempre un sorriso d'amore.
Papà mi ha amato ogni giorno fino a quando è dovuto partire
per il viaggio più lungo, quello senza ritorno ed io sono
rimasto con i nonni paterni; loro, mi hanno allevato come
fossi figlio suo!
Oggi sono qui, al quattordicesimo compleanno, perché
comincio ad essere uomo e vorrei capire.
Ti ho visto qualche mese fa quando sei tornata a chiedere elemosina...e
nonno, con disprezzo ti ha dato qualcosa.
Quando vieni a suonare, ti guardo di nascosto dalle imposte
socchiuse. Il cuore fa molto male ed ogni volta comincia
ancora a sanguinare.
Vorrei parlarti di tutto quel dolore che ho provato quando
a Natale, tu non eri il regalo che avevo agognato; Babbo Natale non mi ha
mai ascoltato...
A scuola tutti avevano la mamma ed io ero solo un orfano...papà era morto ma
in cuor mio anche tu sei morta.
Madre, oggi vorrei dirti che finalmente ho trovato una
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fidanzata. È molto bella e dolce. Con lei non ho paura e non
sento quel vacuo che non ho mai colmato.
Anche se sono solamente adolescente, sento che è la donna
che compensa una parte di quel silenzio che ha sempre fatto
rumore nel mio sterno.
Non so se sarà la donna di tutta una vita, questo nessuno lo può sapere,
quello che so di certo è che ho capito finalmente cosa vuol dire amare ed
essere amato.
Madre, perché non sei riuscita ad amarmi? Io non ti ho chiesto
di venire in questo mondo...ma se hai fatto un gesto d'amore per avermi, che
sia stato un momento sbagliato o meno, potevi provare ad amarmi.
Non fraintendere madre, non ti voglio giudicare; vorrei solo capire perché
mi hai abbandonato.
Io e te, sai quanto amore al mondo avremmo regalato?
In questo giorno del mio quattordicesimo compleanno, è tornato
nel cuore un amaro ricordo; quando tu te ne sei andata da me!
Ricordo le mie lacrime che graffiavano le tumide labbra, mentre
dalla finestra di camera vedevo la tua scura figura allontanarsi. Ero solo
un bambino che vedeva la sua mamma
andarsene. E nel mio cuore ho sempre creduto che la colpa fosse mia. E nella
mia anima ho portato il fardello della colpa.
L'ho portato come un nero drappo sigillato in ogni palpito
del petto; e per difendermi avevo smesso di amare.
Ma oggi sciolgo il nero drappo e anche io voglio essere felice!
Tutti hanno diritto ad esserlo...anche tu, ma anche io.
Quindi madre, oggi abbandono quella colpa che non è mia
e senza giudicare quale tipo di errore hai commesso, vado
avanti lo stesso...e voglio ricominciare ad avere speranza
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nell'amore che mi fu rubato.
Madre, comunque ti abbraccio con affetto...non voglio sapere
se ti senti in difetto ed anzi, la porta del mio cuore
sarà sempre aperta per quando vorrai suonare.
Tuo Figlio.
Lo stesso mare
Mi dissero: "Perché vai a guardare ogni dì il mare?
Ogni giorno, tu, vedi lo stesso mare!"
Loro non sapevano guardare. Loro non sapevano che il mare è
vivo ed ogni giorno esso cambia.
Le diafane acque si allungano e si ritirano dalla riva, tutti
i giorni.
E quotidianamente le onde sono apparentemente ferme se la brezza è debole,
mentre quando l'alito di vento diventa veemente, le acque si increspano in
onde mosse ed impetuose che si scagliano sopra scogli e la riva.
Loro, non riusciranno a vedere oltre la distanza del loro naso.
Come possono fare una simile affermazione?
Scendono dalle alte vette ogni dì i rivi, che poi si gettano nella foce
salata del mare e rigenerano le trasparenti acque
di esso.
Ed ogni giorno, la diurna stella riscalda il "pelo dell'acqua"
per farla evaporare in tante minuscole goccioline, che andranno
a formare grevi nembi.
Ed essi, ricadranno a loro volta sotto forma di pioggia dentro
rivoli, dentro la zolla, dentro il mare...
Nettuno è vivo! E quotidianamente si trova a migrare in ogni
luogo e in terre lontane; terre che a volte sono ignote al
ciglio umano. È per questo semplice motivo che usualmente sento dentro
l'animo mio il bisogno di rivedere il mare.
Esso favella. Racconta ciò che ha visto. Mi parla della vita!
Loro non sanno guardare. Non sono capaci di restare ad ascoltare. Amo il
mare. Ed ogni dì mi reco da lui e affascinato resto ad ascoltare.
I figli di questo tempo
Chi sono i figli di questo tempo che si conoscono tramite gelidi social per
darsi un appuntamento "d'amore" e neanche si conoscono?
Dov'è finito di incontrarsi nei luoghi pubblici e goffamente conoscersi?
Con il rossore delle gote e lo sguardo sempre basso per timidezza.
Era bello avere timore di prendersi per mano e sentire il cuore uscire dalla
cassa toracica dall'emozione. Non saper ancora baciare…ed aver paura di fare
brutte figure.
Per San Valentino, il giorno dedicato all'amore si regalava un peluche,
perché richiamava coccole e tenerezze.
I figli di questo tempo lo sanno cos'è l'amore?
Non è solo avviluppare i propri corpi per sentirsi più grandi!
L'amore è guardarsi negli occhi e promettersi sogni eterni.
Anche se poi non si avverano...in quell'istante della vita senti che l'amore
è eterno.
Qualora fosse anche solo un inganno del cuore, è bello sperare e in cuor
sognare.
Mentre i figli di questo tempo sono consumati da smartphone.
I loro sogni sono sognati dai social e da algoritmi.
Non sanno dare una carezza e dire una parola con dolcezza.
"Non siete pedine di una scacchiera, siete stelle cadenti di un firmamento
che vuole regalare sogni".
Allungate le mani e prendete quei frammenti di stelle e cominciate a
sognare.
Non lasciate che il vostro tempo rubi la bellezza di sognare…alcuni sogni vi
deluderanno.
Altri si realizzeranno, e allora avrete capito l'importanza di sbocciare
liberi come fiori di campo.
Allora avrete capito l'importanza di sognare.
Non imprigionate i vostri sogni dentro scatole tecnologiche; dietro quel
sipario c'è chi vi obbliga a fare sogni che non sono vostri.
Sognate liberi e sognate l'amore.
Non smettete di sognare per diventare anonimi all'interno di questa subdola
scatola che è
la società. Essa è ciò che vuole.
Siete nati liberi come i sogni, quindi sognate ancora!
Anche se un sogno vi potrà sembrare stupido, sognate. Quel sogno siete voli.
I figli di questo tempo non sanno cos'è l'amore.
Amore non è conquistare da uno schermo di cellulare una persona di cui avete
visto la foto.
Amore non è se qualcuno è bravo a fare un "Tik Tok".
L'amore si scopre guardando dritto negli occhi l'anima della persona, si
respira dal profumo morbido della pelle. Dalle tumide labbra quando parlano.
Amore sono le emozioni che risvegliano i sensi dell'animo.
I figli di questo tempo, sono stati ingannati come i pedoni della
scacchiera.
Il pedone è considerato come la "fanteria" di uno schieramento militare.
Mere pedine sacrificali.
"Siete fatti di amore e sogni!" Sognate ancora. Sognate l'amore. Sognate il
vero amore
che non si trova all'interno di strumenti tecnologici né tanto meno nascosti
negli angoli
di falsi social network.
"Voi, siete i figli di questo tempo, riprendetevi il vostro reale tempo."
Ritorno al "Muraglione"
Era passato circa un anno dall'ultima volta che spogliato
dalle mie abitudini, ero tornato a passeggiare sul "Muraglione"
come veniva chiamato dai viareggini il Molo di Levante.
Era un sabato di marzo. Il sole splendeva nella meravigliosa
primavera. L'aria era piacevole e l'azzurro del cielo catturava
lo sguardo.
Ero rimasto solo nell'appartamento, tanto che sentivo la solitudine che
echeggiava nell'anima.
Non riuscivo a restare inerme in quel silenzio, nell'apatia
della mia mezza età.
Avevo scoperto che la maturità del passare degli anni portava
saggezza ed esperienza.
Le facili chimere giovanili, ormai erano eluse dall'animo mio.
Quando mi trovai solo nel silenzio della stanza, l'idea
di raggiungere il "Muraglione" fu un battito cardiaco.
Dovevo sentire lo sciabordio del mare. Dovevo vedere le onde
frangersi sulla spiaggia, sugli scogli. Dovevo vedere il barbaglio. Dovevo
sentire l'effluvio del salmastro...
Alcuni velieri tagliavano l'orizzonte. Gridavano famelici gabbiani. Ed io mi
ritrovai a passeggiare su quella barriera
di cemento armato che camminava immersa nel mare.
Il sole scaldava il pallido volto. Gli occhi erano leggermente
socchiusi dal fulgente sole...e sentivo il rumore dei miei passi.
La mia ombra si stagliava ad est, ed era l'unica che mi seguiva
senza fare rumore.
Era magico passeggiare lungo quel miracoloso molo che distava dal caos della
"Passeggiata".
Avevo percorso il muro fino al faro rosso; dove avevano situato
grossi scogli pari su cui erano collocate delle bronzee sculture di fanciulli
intenti a giocare per l'eternità.
Era il punto più estremo del molo. L'acqua diventava di uno
scuro blu che faceva presagire alla sua profondità.
In questa zona della città, il mare era rimasto meno contaminato dall'influenza
dell'uomo.
Qui, la natura riusciva a mantenere ancora un certo equilibrio.
Pochi avventori e alcuni pescatori avevo trovato sui miei passi.
La confusione e l'affollamento da parte di persone non sarebbe
stato di mio gradimento; visto che fuggivo in questo luogo
quando avevo bisogno di trovare la solitudine necessaria per
ritrovare me stesso.
Il "Muraglione" era un luogo sacro, per me. Era uno scrigno di
ricordi. Di attimi vissuti. Del tempo che scorreva nei miei
capelli, nei miei pensieri...
Avrei voluto venire più spesso in questo incantevole luogo
della mia città e in altri posti da questa parte della periferia che riuscivano
a conservare un fascino poetico.
La mia città, Viareggio, era la mia Musa. Per me era città
di poesia.
Anche se gli abitanti e le persone dei luoghi vicini non si
accorgono della bellezza poetica di Viareggio, io, riuscivo
a trovare grandi emozioni da queste zone.
A volte amavo camminare a piedi(in quei luoghi) e per magia
tutto sembrava avere un aspetto diverso.
Vedevo le cose da un altra prospettiva, e i posti apparivano
anch'essi diversi.
Forse le persone davano tutto per scontato; ma Viareggio aveva
una particolare magia...
Dopo che avevo raggiunto la fine del molo, e avevo visto le
statue fanciulle; ritornai indietro.
Il sole, lento, cominciava a calare. Non era ancora arrossito
come le fanciulle statue, ma lentamente andava a dormire là
nell'orizzonte misterioso; dove si vedevano ancora bianche vele
veleggiare lontane dalla costa.
Giunto nel mio appartamento, ritrovai quel silenzio che avevo
lasciato. Ma non ero vacuo. Nel mio petto avevo la ricchezza
delle emozioni che avevo provato. La gioia di quel momento
prezioso era una particella del mio vivere. Mi ero sentito
parte di quel tutto che è il mare.
Si, perché il mare dentro le sue acque porta del cielo il colore. Ha il vento
che crea il suo eterno movimento.
Possiede il sale di tutti i fiumi che si confondono nella sua
immensità. Ha una vita che rimane nei suoi fondali.
Modella spiagge e scogli. Protegge gli uccelli marini e porta
le piogge nei momenti di siccità.
Questo e molto di più è il mare che accoglie anche le mie lacrime e le emozioni
arricchendo l'anima.
Non so quando potrò tornare al "Muraglione", ma nel cuore
quell'emozione non potrà mai svanire.
La Commedia
"Benvenuti alla Commedia lor signori, sedetevi comodi sulle porpora sedie di
finto velluto; stasera è pura finzione.
Quello che vedrete rappresentato su quel palco nascosto dal sipario, anch'esso
porpora, è pura invenzione. Niente è vero."
Siamo commedianti, che ogni giorno rappresentano la commedia della loro vita.
Quando siamo piccoli siamo liberi da stereotipi; ci esprimiamo con il naturale
istinto...ma lentamente quando veniamo a contatto con la società, veniamo
risucchiati nel vortice di falsità precostituite.
Una volta entrati nell'immaginario collettivo dell'essere adulto, perdiamo i
nostri primordiali istinti e veniamo risucchiati dall'oblio.
Siamo costretti ad interpretare un ruolo che ci è stato assegnato durante la
crescita in base alla nostra sensibilità.
Ciascuno di noi diventa attore della propria vita.
"Benvenuti signori, la Commedia è un Dramma, il dramma che viviamo ognuno di
noi, ogni giorno nella propria solitudine."
La vita non sarebbe un dramma se fosse vissuta realmente, se noi commedianti
non si recitasse la parte che ci è stata assegnata ma riuscissimo ad essere
noi; forse potremmo essere più felici. Quella felicità che da piccoli ci
apparteneva ed era l'istinto naturale dell'essere.
Siamo entrati in questo teatro che ci siamo costruiti su misura; per non
uscirne più.
Abbiamo scelto la parte da interpretare, dopo di che ne siamo diventati
schiavi. Siamo rimasti coinvolti talmente tanto dalla nostra interpretazione
che abbiamo finito col dimenticare chi siamo realmente; abbiamo smarrito la
nostra identità.
Abbiamo disegnato la nostra maschera per nascondere realtà.
Ma la realtà ci appartiene! Non questo fittizio teatro in cui ogni giorno "recitiamo
a soggetto".
Ci siamo mai domandati chi siamo realmente? Come potremmo scoprire chi siamo,
cresciuti dentro questi panni d'attore? Dietro questa maschera che
interpretiamo ci siamo nascosti noi!
La nostra vitale essenza.
Gettiamo la maschera e viviamo consapevoli che stiamo interpretando un ruolo
che ormai è difficile da estirpare; consapevoli di vivere la nostra vita felice
nella sua semplicità, nella sua umiltà.
"Benvenuti a lor signori, avete visto il Dramma della Commedia interpretato da
voi stessi. Questo palcoscenico è il vostro. Recitate! Recitate! Non lasciatevi
ingannare dalla realtà. Siamo qua per interpretare la nostra società. La vita
sembrerà un astuta chimera. Benvenuti a voi tutti."
Giù il sipario porpora di finto velluto!
Qui tutto appare niente è reale...
"C'è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E
quando stai solo, resti nessuno" DI LUIGI PIRANDELLO.
10 Agosto, Viareggio
Ti ho voluto scrivere oggi, nella notte di San Lorenzo, perché è
la notte delle stelle cadenti.
Come vuole l'antica tradizione, se vedi una stella che cade devi
esprimere un desiderio; la vita dell'uomo, si credeva legata alle stelle,
quindi se ne vedi una cadere, la tua vita non sarà più legata ad essa e
con il desiderio potrai sperare di avere un diverso destino e
realizzare un sogno.
Esci sul balcone. Vai sulla battima tiepida. Cerca un angolo buio
della città; rivolgi lo sguardo al firmamento e non importa
quanto tempo ci vorrà...Tu aspetta di vedere una stella cadere.
Ricordo quando ero piccolo andavo nei campi di mio nonno,
fra i fagiolini e le lucciole restavo incantato a guardare la volta celeste.
Ne ho viste tante di stelle cadere. Sciami delle Perseidi che scintillavano
per poi sparire nell'infinito del cosmo.
Ho espresso tanti desideri, ma se ti dovessi dire che si sono avverarti
ti rispondo con un sonoro: no!
Perché dobbiamo continuare ad illuderci che il nostro Destino
possa cambiare? Esso è questo. È già stato disegnato da un'intelligenza
superiore.
Disprezzo questa mia vita, non la vita stessa che è meravigliosa!
La vita che conduco. La vita da recluso.
Mi diletto in scrittura che mi libera da ogni paura, liberando l'anima.
Ma io vorrei vedere la notte con le sue stelle!
E sentire lo sciabordare del mare mentre una stella si spegne!
Vedere la luna da nubi offuscate
ed immergere i piedi nella sabbia raffreddata.
Cadono le stelle ogni X d'Agosto. I poeti scrivono le loro liriche.
I pittori dipingono le loro tele e i sognatori continuano a sognare.
Io ho smesso di sognare, perché nel petto faceva ancora più
male. Vorrei affacciarmi alla finestra con fioca luce e guardare
fuori...ma non ho il coraggio di sognare. Di desiderare.
Lascio le giovane fanciulle e gli innamorati
con il naso rivolto alla notte ad esprimere
un desiderio; lascio a loro l'illusione di sognare.
Ma a volte è bello anche solo sognare per non spegnere
la speranza nel cuore come stelle cadenti.
La notte di San Lorenzo è cominciata
da poco...si vedono ancora poche stelle. Ma cadranno!
Cadranno come tutti i sogni che ho fatto
da bambino per non tornare mai più!
Ti auguro un buon X Agosto, fra milioni di desideri cadenti!
Desideri di poter cambiare il tuo Destino.
Un abbraccio.
AR
L'amore del grillo
Era giunto l'autunno con i suoi colori. Con i suoi profumi. Con i
suoi frutti. L'aria era più fresca. Il sole tiepido e il crepuscolo giungeva
in anticipo.
Calava la sera malinconica nel vermiglio tramonto. Uno zefiro aleggiava fra
le foglie cadenti, morenti sull'umido suolo.
Il parco era deserto. La quiete volitava come una leggera nebbia. Echeggiava
nel silenzio, del grillo il frinire.
Sfregava con forza le sue fragili alette per echeggiare ancora più forte.
Voleva arrivare con il suo canto alla luna che ogni notte splendeva nella
volta celeste. Con il suo bagliore. Con il suo pallore. Con il delicato viso
che aveva fatto innamorare
il grillo.
Era autunno e per lui era tempo di andare in diapausa per poi tornare a
primavera a cantare.
Avrebbe dovuto scavare lunghe gallerie nella terra per ripararsi dal gelo,
per non morire; ma l'amore aveva catturato il suo cuore.
Aveva vissuto sempre nel buio del sottosuolo, senza luce senza
amore...adesso che era uscito dalle viscere della terra ed aveva visto la
luna il suo cuore non voleva smettere di suonare una serenata per lei.
Ogni notte fino al sorgere del sole, quando esso avrebbe offuscato la luna,
il grillo continuava a suonare, suonare senza mai stancare le sue fragili
ali.
L'amore nutriva la forza. L'amore era la sua corazza.
Ogni sera, nascosto nello stormire di chiome ingiallite, il grillo
continuava a suonare, suonare...
I giorni passavano, gli alberi erano sempre più spogli.
Il suolo era ricoperto da foglie putrescenti...quasi non si vedeva più la
terra ed il grillo non avrebbe potuto scavare le gallerie per proteggersi
dal freddo e passare l'inverno.
I giorni passavano scanditi da quel dolce frinire. Chiunque si sarebbe
innamorato di quella sonata composta con ardore.
Il grillo suonava e non capiva perché la luna non ricambiava.
Eppure aveva messo tutta l'energia in quell'amore. Aveva consumato le
fragili ali a forza di frinire. Aveva mangiato poco per paura che la sua
amata non sarebbe riuscita a sentire.
Essa sembrava non accorgersi di lui. Ogni sera cambiava faccia. "È così
bella", pensava il grillo. "Forse si prepara per il mio amore", continuava
il grillo follemente innamorato.
Ma la luna continuava indifferente e fredda a risplendere nell'autunno senza
volgere uno sguardo al povero grillo.
Esso non volle darsi per vinto. "Forse sarà troppo lontana" si diceva tra se
e se. "Non riesce a udire la mia serenata. Suonerò più forte! Suonerò fino
alla morte! Cosicché si accorgerà finalmente di me!"
Questo aveva pensato il grillo innamorato.
L'inverno era oramai arrivato. Il terreno era duro di ghiaccio. Spirava una
gelida tramontana. Anche gli alberi ignudi tremavano al passaggio delle
fredde folate invernali.
Il grillo, determinato, era rimasto sul ramo più alto. Aveva atteso la luna
per comporgli una serenata d'amore.
Ma quando la luna si alzò nella volta celeste, il suo enorme cuore
innamorato rimase gelato.
Il suo grande amore era spirato con il frinire. Esso era morto libero di
amare. Aveva amato nella sua breve vita quella splendida luna che aveva
ammirato e lei non si era accorta di lui.
Aveva amato quella magica luce che lo aveva attratto da una vita passata
sottoterra, nelle umide tenebre.
Era morto con gioia perché aveva scoperto la libertà di poter amare senza
giudicare. Lui aveva amato! Aveva capito che amare è dare se stesso senza
pretendere niente indietro.
Amare era il dono della vita. Lui, amando aveva vissuto.
22/06/2022 Viareggio(Lu)
Ciao,
come stai? Come vanno le cose dall'ultima volta che ci siamo scritti?
Io sto in salute, ma ho una stilla di solitudine che inquieta l'animo.
Avevo programmato di fare un viaggio per colmare questo vuoto questa assenza
di gaudio.
La valigia è pronta. Il biglietto l'ho acquistato. Ho programmato sopra un
ingiallita cartina il viaggio che vorrei fare. Presto partirò, e volevo
accomiatarmi dagli amici.
Addio! Non si dice così prima di viaggiare?
Poi ho raggiunto il mare, una mattina di giugno, quando spirava una tenera
brezza e la spiaggia non era ancora affollata.
Lo sciabordio era silente come se non volesse disturbare il mio sguardo
rapito dall'infinito azzurro.
Il sole era tiepido. Gli scogli immobili. Le grida dei gabbiani non facevano
rumore e in quel silenzio ho cominciato a viaggiare...
Ho socchiuso leggermente le palpebre oh respirato profondamente
e il mio viaggio è cominciato; come guardare un vecchio film in bianco e
nero sopra un vetusto schermo a tubo catodico.
Ho visto i ricordi del mio passato.
Tutto ciò che ho lasciato. Tutte le illusioni gli amici e gli amori.
Ho visto le giornate tediose e quelle affollate dal dolore.
Ho visto un uomo malinconico inseguire un sogno eterno. L'illusione
dell'eterna età fanciulla. La chimera di una vita agognata.
Guardando ancora dentro quell'eco vuoto che percepivo. Ho visto l'uomo
invecchiare davanti il suo mare. Davanti il tramonto del giorno. Davanti
quel silenzio che sento.
Non mi sono fermato, ho continuato il mio viaggio; non sarebbe giusto
smettere di viaggiare al primo dolore.
Camminando come avviluppato da un sogno, ho visto i volti di molta gente.
Gente passata. Gente non più incontrata.
Nel cuore porto tutti i loro occhi. Il loro sorriso. Il pianto.
Perché alla fine ognuno è affranto nel suo viaggio.
Però è bello questo viaggiare! Dentro il cuore, ognuno ha il suo mare,
questo eterno movimento di emozioni che è il gaudio della vita.
A volte ci ha delusi. A volte ci ha feriti. Ma ogni volta ci ha preso fra le
braccia come una madre affettuosa e ci ha regalato carezze, amore.
Il dolore è racchiuso dentro il petto dentro il seno...
Vorrei ancora viaggiare...anche se a volte sono amareggiato, altre sono
deluso. Questo è il breve viaggio prima dell'infinito...
Non ho ancora disfatto le valige. Non ho portato vestiti. Non ho portato
libri. Non ho portato carta e penna.
Ho portato tutti i ricordi: quelli brutti e quelli belli.
Ho portato il dolore e l'amore. Il gaudio e il pianto. Una lacrima e un
sorriso. Ho portato tutto l'amore che ho incontrato. Le persone che ho
amato. Chi ho conosciuto.
Nella mia valigia c'è ancora spazio!
Non voglio smettere di riempirla perché ho la speranza di trovare ancora
cose belle in questo viaggio...
Troverò ancora dolore, ma non riempirò la mia valigia con esso!
Aspetterò di trovare la gioia. Quella felicità che pur effimera
è come una goccia di pioggia che riempie il mare! Il mio mare!
Caro amico, ecco quindi ti saluto...Il mio viaggio non è ancora finito.
Nella mia valigia c'è posto anche per te!
A presto!
AR
Beati gli ultimi...
Nei margini della città, dove la comune gente non passeggia o non
sosta per non vedere, vivono loro...gli Ultimi.
Sono tutte quelle persone che per una serie di vicissitudini accadute nelle
loro vite hanno decretato la caduta della loro dignità. Li vedi passeggiare
come zombi in mezzo alla gente comune. Essi,la comune gente, stereotipati
vivono prigionieri di schemi prodotti dalla società, tronfi di pregiudizi.
Loro, gli ultimi, vivono alla giornata. Non sono liberi ma sono schiavi del
sistema. Chiedendo elemosina o cercano un piatto per mangiare dai conoscenti
della città.
Vorrei narrare la storia di Pierluigi, uno degli ultimi che ho incontrato, e
la sua cagnolina "Stella"; unica fedele compagna dei brandelli di vita che
gli restano.
Pierluigi, era un uomo di mezza età che viveva in centro città.
Era una persona molto conosciuta e amabile. Viveva con l'anziana madre e
lavorava presso una pasticceria. Le cose andavano bene. Il lavoro gli dava
da che vivere.
Mi raccontò, un dì, che per una grande delusione d'amore che gli spezzo il
cuore, non riuscì più a trovare l'amore della sua vita, e per paura di
soffrire; solo, si "rifugiò" in casa della madre.
Passarono gli anni. L'anziana madre si ammalò, facendo cadere Pierluigi in
una situazione di forte stress che gli causò in breve il vizio del bere.
Beveva troppo spesso. Tanto che si recava al lavoro ubriaco. Questo gli
provocò il licenziamento.
Perduta la madre. Perduto il lavoro. La situazione di Pierluigi si aggravò
ulteriormente.
I soldi erano finiti e non riusciva a pagare le utenze e di che vivere.
Aveva due fratelli che non lo aiutarono affatto! Anzi. Vendettero la casa
dell'anziana madre morta e buttarono fuori di casa il povero Pierluigi; che
fu costretto a vivere sotto il loggiato del mercato della sua città, con la
piccola cagnolina: Stella.
Il suo declino fu clamoroso. Aveva perso tutto. Da cittadino fu costretto a
vivere come un "Barbone".
Le persone che lo conoscevano, gli davano cibo e vestiti e qualche moneta
che usava per bere al Bar sull'angolo.
Passavano i mesi. L'inverno era il mese più duro. Il freddo gli penetrava
nelle ossa e il ricordo del tepore di casa, faceva gonfiare gli occhi del
povero Pierluigi.
L'estate era più semplice da vivere; ma la debolezza si faceva sentire. Il
tempo scorreva ineluttabile e il fisico si indeboliva. E qualche malattia
sopraggiungeva.
Pierluigi si trascinava ubriaco per le strade della città.
Era solo. Abbandonato. La vita lo aveva castigato?
Ma chi si merita tutto ciò?
Ma lui aveva una speranza...
La sera quando il cielo era stellato, guardava le stelle. Poi cercava
quella, secondo lui, che era più luminosa!
Poi si rivolgeva alla cagnolina dicendo: "Guarda le stelle, sono cosi
belle...ma tu sei la Stella più luminosa, stellina mia.
Mi sei sempre vicina, anche adesso nel dolore; adesso che non sono più un
uomo. Tu mi sei rimasta ancora fedele.
Grazie Stellina, tu sei in cuor la stella più bella!"
Ancora oggi lo vedo passare all'imbrunire per andare sotto il tetto di
stelle presso le logge del mercato.
Lui vive lì adesso.
Gli ultimi...Sono figli di un "Dio minore?"
L'estate fragile
Belle le estati fanciulle, quando finiva la scuola e cominciavano le vacanze
estive.
Ritrovarsi con gli amici, con vetusti "Ciao" recuperati da genitori o sorelle
maggiori, personalizzate con roboanti marmitte e giovanili colori.
Si raggiungeva il nostro bagno in Darsena a Viareggio e in venti sotto un
ombrellone si viveva alla giornata.
Era bello passare il pomeriggio sulla battima a giocare con il pallone, fare il
bagno e mangiare un gelato parlando del futuro; dell'amicizia che mai sarebbe
vanita.
Guardare le ragazze della nostra età, con sguardi mesti, perché la timidezza era
più grande della nostra passione e si finiva sempre soli. Lanciavamo qualche
occhiata e timidi sorrisi; ma poi il coraggio, quello mancava.
Ora sono qui a scrivere antichi ricordi di un estate fragile,l'estate
dell'amore!
Era facile innamorarsi di ragazze carine le quali cominciavano ad essere donne,
ma noi no, noi ancora troppo fanciulli per avere il coraggio di affrontare la
timidezza.
Eravamo sempre noi, forse un po' "sfortunati". Eravamo bravi ragazzi, quelli che
ascoltavano i genitori e avevano idee di "Sinistra".
I nostri sogni si intrecciavano ad un futuro che non si sarebbe realizzato,
perché esso è una chimera della mente; un laccio emostatico del Destino.
Le estati continuavano a scorrere nelle stagioni, sembravano tutte uguali:
ricche di divertimento e sogni irraggiungibili.
Appollaiati come gabbiani sugli scogli sdraiati nell'azzurro sciabordare...nella
cornice dei nostri sogni, si restava a sognare.
Poi un dì, ci accorgemmo di essere adulti, aver trovato la fidanzata ed
intraprendere nuove strade, strade diverse.
Nel frangersi dei raggi nelle increspature del mare, ci accorgemmo che le nostre
vite erano cambiate i sogni erano solo riflessi di un età oramai svanita che non
sarebbe mai più tornata. Ci perdemmo in un momento, nel battere del
ciglio...smarriti per sempre nel l'estivo barbaglio.
Finite le scuole i diversi lavori e l'amore portò via la nostra amicizia, come
un castello di sabbia che si sgretola, le nostre fragili estati si inabissarono
nel mare.
Ora sono qui, fra mute pagine a ricordare qualcosa che forse è rimasto solo
nella mia mente come un onda che viene e si ritira nell'ipotetico orizzonte. La
vita ha un orizzonte? Che sia il Destino di ognuno, il quale in frangenti della
vita ci fa incontrare e poi ci allontana come le onde del mare sulla riva.
Forse Il destino di ognuno di noi è incontrarsi per poi perdersi nell'infinito
dei ricordi e smarrire le estati.
Adesso vedo i miei figli percorrere questa giovane avventura, la quale
indelebili lascerà un dolce amaro nel costato.
Un cordoglio di emozione avviluppate all'animo, le quali faranno crescere un
cuore di speme.
Beltà resterà per sempre: un dolce ricordo nell'infinito della fragile estate.
L'ingannatore
Ho nuotato in oceani di chimere prima di capire che esse sono come i
sogni che svaniscono al primo risveglio.
Sono inciampato nei sortilegi del tempo, il vero grande ingannatore. In
realtà è lui la vera chimera.
Cerchiamo di incatenarlo dentro futili orologi dalle lancette consunte da
ruggine, per scoprire che lui è evaso.
Inganneremo ogni giorno della nostra vita con artificiali trastulli, creati
ad arte per dare l'illusione della felicità.
Ma il gaudio è nelle cose semplici.
Quindi sfiora la delicatezza della mia lacrima, senza che essa possa
evaporare, senza che essa venga trafitta dal sole.
Rimembro l'età fanciulla. L'etade fatta di spensieratezza...quando credevo
che i giorni sarebbero rimasti lieti, ricchi di frivolezze.
Quando dire : "Ti Amo!" sembrava la porta del paradiso.
"Per sempre!" sembrava essere reale, ma poi è vanita l'illusione dell'amore
adolescente, quello che ti mente.
Quindi sfiora con dolcezza il mio dolore, senza alleviare il suo penare;
perché ciò che mi fa soffrire mi rende più forte.
Ho paura della morte. A volte la sento che respira dietro i miei capelli e
ho paura dell'ignoto; ho paura di sparire prima di prendere commiato da
tutte le creature che ho amato.
Ma succederà...Sparirò nell'infinito di ciò che mi ha illuso.
Sparirò nella mia stupidità. Immobile come un soprammobile aspetterò di
frangermi in miliardi di frammenti sul pavimento
ricoperto di detriti dell'animo mio.
Nessuno è immortale, però dovrei trovare la forza di vivere con coraggio,
senza retaggio di quello che ho smarrito.
Ineluttabile è il tempo e continuo a nuotare nei ricordi, come fossero
illusioni che possono ritornare. Ciò che è stato è stato.
Quindi sfiora un frammento del mio sorriso quando esso ti sembrerà essere
sincero. Con una carezza e molta delicatezza.
È come un fragile petalo di rosa il quale potrebbe gualcirsi.
Il mio cuore si è gualcito. Adesso è ricoperto da mille rughe in un
groviglio di anzianità. Senile sterno nella solitudine dei dì.
Rimprovero a me stesso l'inettitudine di cui mi sono innamorato, facendola
sposa del mio esistere.
Sono rimasto incatenato alla fragilità della solitudine dimenticando anche
lo scorrere del tempo.
Quando ho guardato il pallido volto nello specchio, i capelli erano
diventati canuti e gli occhi stanchi contornati da grinze.
Fuori guardo il tramonto. Il vermiglio colore il quale dona speranza ad una
altra era.
Non mi importa se ho perduto del tempo; perché io vivo questo momento...Io
sono adesso. Ora devo vivere la vita nel caduco istante senza lasciare il
tempo mentire.
Io vivo oggi, ieri è già svanito e domani non è ancora nato.
Il mio Destino è peregrinare nella vita, senza perdere la partita.
Questa volta non voglio perdere.
Respirerò ogni refolo dell'anima.
Anima perduta (Demenza)
Nell'affanno della quotidianità, oppresso dalle mille vicissitudini che la
vita ci dona, non mi ero accorto che ti eri smarrita nella tua mente.
Farneticavi. Alcune azioni che compievi, erano fuori dal tuo ordinario. No
avevo capito che qualcosa non andava. Non avevo capito che stavi smarrendo
l'anima nella mente.
Poi, un giorno hai avuto il tracollo della malattia. Una malattia mentale
che progrediva velocemente nello strapparti dalla realtà, per gettarti
nell'abisso infinito dentro il tuo mondo. Un mondo in cui non avresti fatto
più entrare nessuno: neanche me!
I medici la chiamano "Demenza Senile", ma per me era un maledetto morbo che
ti avrebbe allontanata per sempre da me.
Passavano i giorni e il tuo stato diventava sempre più catatonico. Ogni
giorno ero circondato dai tuoi indumenti puzzolenti di orina e dovevo
seguirti passo passo come un neonato. Si. Nella tua senilità eri tornata
fanciulla. La malattia aveva rubato le tue funzioni cognitive. Aveva
resettato tutto ciò che nel corso della tua vita avevi imparato.
Io ti chiamavo. Ripetevo ogni giorno il mio nome. Ma tu, avevi lo sguardo
smarrito. Gli occhi di vetro oscurati dalla demenza non riuscivano a
filtrare la luce. Dentro la tua psiche c'erano le tenebre. Non so se avevi
paura. Non so se tremavi nel tuo stato di solitudine. Non sapevo dove ti eri
persa...ma sapevo che in quel corpo caduco e fragile da qualche parte c'eri.
Con amore ogni giorno mi prendevo cura del tuo corpo.
Ti lavavo e ti vestivo. Ti preparavo qualcosa da mangiare in maniera tale
che tu riuscissi a deglutire senza rischiare il soffocamento.
La sera ti coricavo, e per le ripide scale ti portavo nel tuo letto, dopo
che ti avevo fatto il bidè e lavato i denti.
La mia schiena gridava vendetta, ma a chi?
Il fato aveva voluto così! La sua rivincita su di noi. Ma giammai mi avrebbe
indotto ad odiarti o a odiare la situazione in cui la malattia mi aveva
trascinato; io, ti amavo ancora di più.
Nella quiete delle mattine che ti portavo nel giardinetto, riuscivo ad udire
il chioccolare del pettirosso, che era diventato un amico della mia
solitudine. Si, perché la malattia aveva isolato te dal mondo, ma aveva
isolato anche me dalla quotidianità.
I meriggi si allungavano come ombre e il tedio faceva da padrone. Mi sentivo
recluso in questa casa e a tratti avevo odiato queste mura e l'odore di
orina, ma non tu! Tu eri vittima come me! Tu lo eri di più, anche se io
dovevo accudire a ciò che rimaneva di quel corpo privo di un anima? Che un
tempo era stato gioioso e divertente e gioviale.
Odiavo il tempo. Odiavo il fato. Odiavo lo stato che non faceva niente per
aiutare le persone come me che vivevano questo lungo e affannoso disagio;
con al fianco una povera persona afflitta da demenza.
Avrei voluto affacciarmi alla finestra che dava sul vicolo del centro e
gridare tutto il mio dissapore, ma contro chi? Contro me stesso? Il mondo?
Cosa avrebbe fatto questo mondo per noi?
Ti guardavo nel tuo silenzio. Seduta eri su quella poltrona consunta come la
tua pelle. La TV era accesa e roboante, ma gli occhi tuoi no c'erano!
La tua povera anima afflitta, quella che avevo amato, quella che era nella
tua psiche...Era per sempre persa.
Sarebbero passati i dì i mesi gli anni, e il tuo corpo si sarebbe lentamente
consumato come una candela; per un giorno trovarlo spento. Si, un giorno
quell'effluvio di vita sarebbe andato perduto per sempre come la tua anima. |