L’amore perso
Ritrovare per un attimo
l’amore perso
e confondere i pensieri
con gli attimi di felicità
che la vita a volte ti regala
ed altre ti nega.
Dimostrare in ogni tempo
che l’amore
non ha età.
Anniversario Marco Pantani 2005
Ciao Pirata,
ti ritrovo ancora, amico,
con il corpo inanimato
reclinato su un cuscino,
e rivedo quel lumino
che la luce irradia stanca
e che ondeggia al levantino
che beffeggia la tua lastra
nel sepolcro di Romagna.
E riprovo, amico mio,
le emozioni che ci hai dato,
e la gioia ch’è mancata
dalla faccia dei tuoi fans
che invano hanno aspettato
di vederti riapparire,
solo, in fuga, sopra i colli
che il sudore tuo han raccolto,
e finanche il Mortirolo,
che ha deposto i suoi colori,
non regala più emozioni
ma il rimpianto dei tifosi,
che t’aspettano in bandana
per urlarti il loro amore,
che s’è spento una mattina
nella stanza d’un albergo
che la vita tua ha spezzato,
che agli amici t’ha negato.
Vai Pirata, vai felice,
sfreccia rapido nel cielo,
dove è assente ogni dolore,
e regalaci un sorriso,
quel sorriso che ho raccolto
sul traguardo delle tappe
che t’han visto vittorioso.
Il camino
Frigna la legna
e fuma;
scoppietta il ciocco
nel camino
e braci ardenti schizza
sulle pareti nere affumicate.
Lingue tremanti
disegnano colori
nel vano opaco
pieno d’oggetti e pinze.
Le fiamme altalenanti
rimbalzano sul volto
del vecchio che pasteggia
col suo boccale rosso
e mesce vino
ed accompagna con del pecorino.
Sonnecchia:
il capo pende
e sogna allegramente
più ricche messe
ed il granaio già colmo,
frutti pendenti
e nuovi arrivi
negli allevamenti.
Bela lontano
(oh accorato lamento!)
l’agnello nell’ovile
e la madre risponde
con disperato affanno.
Ché il mondo
è sì crudele
e del dolore altrui
alcuno più si cura.
E il pianto d’una madre
nessun petto commuove,
ne lacrime conosce
l’occhio che nulla vede
e al cuor nulla trasmette,
ché vivere o morire
nel mondo degli umani,
ai nostri giorni,
pietà più non produce,
ne sentimento alcuno
ormai procura.
Giovinezza spezzata
(A Giorgio Muratori)
Perché il sole si è spento?
Perché la luce ti è stata negata?
Perché la vita poi se n’è fuggita?
I tuoi occhi ricordo,
che mi guardavano increduli
e il tuo sorriso stanco;
ricordo il suon della tua voce
e l’ultima domanda che ascoltai
sulla lezione di storia
a cui non hai assistito.
E quella mano,
quella mano bianca,
che lieve mi porgesti,
che già sapeva di morte
e di abbandono,
mi rattrista la mente
e m’addolora,
e quel gelido contatto
mi tormenta,
oggi,
che l’inverno punge
e il ghiaccio strozza,
e il tuo sguardo si perse verso il cielo,
torvo di nuvole e procella,
quasi a cercare un sole che spariva
e che l’ultimo raggio ti negava. Quei sporchi quattrini
Lo specchio ormai s’è consunto, l’immagine opaca riflette, la nebbia
l’annega, la stinge, e forse va bene così, che tu non possa
guardarti per dire se hai torto o ragione, che tu non debba vedere
il poco decoro rimasto su un viso ormai fatto di pietra, che più
non vuole capire se tu sei vivo o sei morto. Che inganno la vita!
A torto o ragione si tenta di chiudere in fretta le porte del cuore.
I soldi, i sordi interessi, le solite ciance sull’amore filiale,
sulle colpe inventate, costruite, per poter annegare e murare la
coscienza e le voci reali che urlano dentro, che affoghi con stracci
e bavagli perché danno noia alla mente, perché opprimono il petto.
E tu ridi se vinci la posta, come se stessi giocando ad un banco del
lotto. E non ti accorgi che stai seppellendo l’affetto, che stai
rompendo quei ponti che più non potrai nuovamente costruire. Ma
l’animo ormai è inaridito, non sente i richiami del sangue, ormai
più non vede che un pugno di sporchi quattrini, che sono la cosa
importante per i quali si può anche morire, per i quali si può
buttare alle ortiche finanche l’amore e la stessa tua misera vita.
Scorre lo sguardo Scorre lo sguardo per colline e valli:
fiori insecchiti osserva e rami stinti, la corsa lieve insegue dei
cavalli che nitriscono in coro nei recinti. La folta criniera
agita al vento, la testa superba piega con fierezza, scalpita,
s’agita con dolce movimento sotto lo zoccolo la dura zolla spezza.
La biada frange, l’umido occhio spinge oltre la rete, la libertà
pregusta in folle corsa, come quando il cocchio tira veloce sospinto
dalla frusta. Scorre lo sguardo e con lui si perde aggrappato
alla schiena sua ricurva, galoppa tra le querce, in mezzo al verde,
i rami schiva, la fiera testa curva scalpitando nei clivi maremmani
dove la pace regna e dove il cuore trova rifugio nei silenti piani
senza più ansia, senza più dolore. Dov’è Dio?
Io l’ho rinnegato, respinto più volte, ma Dio è dentro di me,
m’assilla. Le mie poesie, i miei poveri versi sono spesso
infarciti del nome di Dio. Lo irrido, lo sgrido talvolta
veemente, il conto presento dell’odio, d’un mondo di guerre e
terrore. Gli chiedo perché mai non sente l’urlo di tanto dolore,
perché il mondo è pervaso dal male, perché la morte la fa da padrona
e semina il lutto e il pianto nei cuori. Lui zitto! Né ammette o
dissente: mi s’agita dentro quasi fosse un malanno improvviso,
arrivato per caso a farmi star male. Ma sembra che in fondo annuisca
su tutti i pensieri che il cuore semina e sparge, sembra che guidi
e mi detti le giuste parole che scrivo che il mondo che crede
non vede. L’assenza di Dio Odio coloro che
hanno certezze, che sperano in un mondo migliore. Odio la loro
sicurezza e la loro speranza che dopo la morte vi sia una vita
migliore. Questi maledetti bastardi mi beffeggiano con la loro fede,
sembra guazzino nella palude delle mie incertezze e ridacchiano
volgarmente alla mia razionalità ed alla mia convinzione sulla
divinità del nulla. Ed anche questo loro Dio sembra mi guardi e
mi irrida quasi a convincermi che anche dal nulla può derivare
pace e conforto. La fine
delle emozioni Ho chiuso il mio cuore alle emozioni. La
stanza del cervello é sbarrata ed il buio ha invaso la coscienza
ostruendo tutte le sensazioni che mi aiutavano a costruire
situazioni piacevoli. Le bellezze che erano intorno a me si sono
trasformate in ombre fugaci, opache immagini che non mi regalano più
le visioni d’un tempo. L’orgoglio rimbalza, come una palla di
bigliardo, e rotola confusamente urtando biglie e pallini e
razionalizzando irrazionalità e violenza. Il sole non illumina
più i miei versi e la notte mi regala solo pensieri confusi e
rancore sordo. A volte
rigiro lo sguardo A volte rigiro lo sguardo: lo poso sui
libri, su tutte le cose che lascio, sbadato, qua e là sulle sedie,
su qualche scaffale. Mi chiedo a chi questo possa ancora servire
il giorno che gli occhi avrò chiuso alla vita e più non potrò in
giro guardare. Le cose più care, raccolte con cura e archiviate;
i libri, i miei scritti che con ossessione ho prodotto, che geloso
ho celato affinché occhio indiscreto non potesse a volte scavare
nei segreti del cuore, nelle mie mille emozioni, nelle mie
trasgressioni nascoste alla vista. Chissà le risate che tanti
faranno a legger alcuni di questi miei scritti, e certi pensieri
nascosti, le piccole cose che il cuor mi dettava sereno e che a
volte con qualche emozione su alcuni fogli commosso ho vergato. Il
giorno che il corpo immobile e cheto alfin resterà e le dita non
guideranno sui fogli la penna o non picchieranno i tasti consunti
del vecchio PC, il giorno che gli occhi, la luce del sole, il verde
dei campi, la neve dei monti, più non potranno ancora guardare,
chissà le risate che molti faranno sui versi e le rime che poi
leggeranno. Può darsi che poi non sia un malaffare se in fondo da
morto la moglie o i parenti non abbian dolore e quattro risate essi
possano fare su tutte le cose che avevo nascoste e che, alfine,
qualcuno ha trovato spassose.
Una foto sgualcita Una foto sgualcita ho trovato. Una
frase appariva un po’ stinta. Una frase d’amor d’altri tempi.
Ho pensato a colui che l’ha scritta. Sulle dune c’era un uomo
seduto. La divisa aveva succinta. Era un uomo dal viso
abbronzato. Nel deserto il sole bruciava. Mi guardava dalla
foto sgualcita. Io non ero, purtroppo, ancor nato. Quella frase
andava a mia madre. Ed a scriverla era stato mio padre.
Pace, pace Pace, pace agogna lo spirito che si dibatte
tra i pensieri e offusca la ragione, e rincorre spiagge solitarie
che solo il gorgoglio dell’acqua scuote dal silenzio che li accarezza.
Pace, pace urlo incessante al vento che i rami scuote e l’erba
accarezza dolcemente mentre ondeggia come una mano leggiadra
che scivola sulla tastiera di un pianoforte. Pace, pace ricerco
in quest’angolo di mondo dove la gente s’affanna a rincorrere beni
inutili e fuggevoli, dove il superfluo regna e la ricchezza spreca.
Pace, pace rincorro inutilmente mentre i conflitti interni
accendono fuochi e sprizzano scintille che nessuna acqua di fonte
riuscirà mai a spegnere o affogare.
Gandhi Sfruttano la tua immagine i mass media imbecilli
per lanciare messaggi di modernità che stonano con la tua rinuncia
ai mezzi di comunicazione moderni. Il lenzuolo bianco che avvolge
il tuo corpo contrasta maledettamente con i maglioni di Missoni o i
vestiti attillati di Fendi. Le movenze del tuo corpo simulano
una pace interiore che hai praticato con forza e che ha piegato una
grande potenza. Loro pensano di utilizzarti per mercificare i
loro messaggi. Ma tu resisti e ti opponi con la tranquillità
che illumina il tuo volto, con la semplicità del tuo abbigliamento
che tu stesso hai cucito. Ecco per una volta il demonio è
stato sconfitto e la potenza del bene ha trionfato. Il
marketing ha partorito la contro informazione ed il ripudio del
plagio e del lavaggio del cervello.
26 Settembre 2004 Ragazzi che giornata! Il vento
stanotte ha spazzato la nebbia addensata, vischiosa, opprimente.
La costa m’appare splendente col “Giglio” che sta come un fungo
appoggiato sul mare e l’Elba rimira, quasi fosse uno specchio in
cui sembra si voglia guardare. La Corsica occhieggia: Bastia
addita il Tirreno e lieve s’adagia su un mare sereno.
Scorre l’Aurelia; ed anche l’occhio va dietro: rimira la costa ed il
mare. La striscia continua nel suo bianco candore scorre e
macina metro su metro; sotto il motore scompare e lascia una scia
alle spalle che dondola come un nastro volante, che sbanda e
ondeggia incostante. Il mare carezza la costa: l’onda si frange
silente e rotola pigra tra i sassi coi corpi assonnati,
arrossati. L’occhio insegue i riflessi del sole, che
schizza i suoi raggi argentati e acceca la nera pupilla.
Allungo la mano ed afferro il calore di questa giornata incantata.
Mi tuffo nel cuore di questi colori cangianti: l’azzurro intenso del
mare, un cielo cobalto, il verde che copre ogni gobba, che
dipinge con forza il piano ed ogni collina, coperta di ulivi ed alti
cipressi, che ondeggiano lievi e vanno a San Guido le odi a
cantare al vate scomparso, che ormai più non vede e che più non
riesce neppure ad amare.
Un fiore rosso Un fiore rosso in un vaso d’argilla
collocato sui gradini d’una casa d’un vecchio borgo maremmano.
Una farfalla corteggia le corolle e sul calice si posa. Un
raggio di sole l’accarezza e da colore alle sue ali ondeggianti
al vento. La tristezza d’una giornata opaca si colora di luce
ed accarezza il cuore.
Rifuggire la morte Imbottito di tritolo, per le strade me ne
vado, tutto solo. Poi d’un tratto: Bum, bum, bum. La mia
vita ho via buttato come straccio sul selciato. Il mio corpo non c’è
più. Io non sono mai esistito e con me mi porto dietro venti o
trenta disgraziati che alla vita eran legati. Non capisco come ho
fatto di buttare via la vita, di spezzare il mio cammino
d’abbassar la catenina che la luce m’ha negato. Non è stato certo il
fato, e non credo più al destino, non è stata ideologia, e
neppure religione. Può guidare mai il mio Dio La follia di tanta
gente? Può affidar l’Onnipotente alla mano di un passante di
punire gli infedeli? Può volere il Padreterno che il mio corpo si
sbrandelli e rinunci io alla vita che la luce e il buio mi nega?
Se rinasco musulmano non mi faccio abbindolare da chi pratica
vendetta, da chi genera violenza. Se rinasco protestante, non
m’importa di Maria e neppure di Giuseppe. Non m’importa di sapere se
Mosè se l’è inventate le sue tavolette sacre che scolpito s’è
sul monte. La mia vita gusterò fino all’ultimo chiarore. La
violenza negherò e regalerò l’amore. Non sono
diverso Non sono diverso da tanti altri uomini che
affollano la terra. Penso d’avere gli stessi pensieri degli
altri, le stesse ansie e gli stessi dolori di tant’altra gente.
Forse io riesco a trasferire i miei sentimenti su un foglio di carta
e descrivere meglio degli altri le mie emozioni.
Orme sfuggenti Quest’orma che lascio, pensante,
quest’orma che l’onda cancella, fuggente, quest’orma solo lascia una
traccia, un pensiero che ormai sa di nulla, di niente.
Scorre, scorre il dialogo, udibile solo dai sordi che la bocca
osservano quieti che si muove e lancia messaggi che coi gesti
qualcuno trasmette. Quella traccia sull’irta scogliera scalderà
il sole d’agosto e il vapore che al cielo sublima porterà quel
messaggio incompiuto come fosse un’ardente preghiera che non
scioglie ne dubbi o sconforto e che lascia il pensiero com’era: una
traccia, che l’onda stasera non cancella e la lascia al vicino,
che ci legge i segreti del cuore, ed invia messaggi incompiuti per
coloro che vengono dopo e che forse conservano in cuore una voglia
infinita di pace e per sempre odieranno la guerra.
I segreti del cuore I segreti del cuore se ne stanno
appisolati in un angolo di mente, in silenzio per non farsi
sentire. Bussano con insistenza alla porta dell’angoscia
quando l’affanno, e l’ansia, ruba il riposo e il sonno. Se ne
restano lì, senza valore alcuno, come inutili panni che si
logorano insieme agli ultimi tuoi anni.
Il ricordo della storia Dei miei poveri versi, dei miei dolci
pensieri, delle mie follie sulla pace e sulla necessità d’amore
tra le genti, cosa mai rimarrà per il domani? Solo appunti
sbiaditi che il vento disperderà o l’incuria sciuperà. Ma
dell’omicida che ha tolto la vita a un Presidente, del folle che
sparò un dì sulla folla, d’un dittatore sadico e violento, d’un
tiranno impunito, la storia ne parlerà in eterno. A volte la
follia mi sfiora e l’idea del ricordo della storia mi affascina.
Fuga d’amore Son fuggito per amore, ho strappato via il mio
cuore, la mia mente ho sotterrato, giù in Calabria, sopra un
prato. Su quel prato ero sdraiato e le rondini guardavo su, nel
cielo, volteggiare, li sentivo sibilare mentre liberi s’alzavano,
scomparivano alla vista, si tuffavano nel nulla, riapparivano nel
cielo pennellato di cobalto, o di nuvole serene. Il mio amore ho
seppellito, seppellito in riva al mare, dove l’onda corre e atterra,
dove il vento urla e singhiozza, dove infuria la tempesta, dove il
sol brucia d’Agosto. Nel mio cuor non v’è più festa, ma risento un
canto antico e le note lievi andare per il Corso allegramente,
dove passa ancor la gente che si ferma ad ascoltare le tue mani
dolcemente la tastiera accarezzare. E tu suoni, suoni e pensi,
pensi ai giorni ormai passati, alle frasi pronunciate che ancor
suonano nel cuore come note di chitarra che lambiscono la notte,
che colpiscono la mente, e ti parlano d’amore. D’un amore ormai
finito di cui più non hai un ricordo, d’un amore ormai invecchiato,
con le rughe sulle mani e con gli occhi quasi spenti che si sforzano
a guardare su una spiaggia ormai scomparsa una bimba sorridente
di cui ormai non sa più niente.
Amore mio lontano (2) Amore mio lontano, che il mare guardi
dal verone aperto, che qualche nave osservi indifferente solcare
l’onde smosse dalla brezza, ti immagino a quest’ora affaccendata a
governar la casa e i tuoi parenti con la lena e l’impegno che
riversavi in tutte le tue cose un tempo. Ma io ti vedo anche
sorridente, con le movenze timide di allora, con la freschezza della
dolce etade, con i pensieri liberi e sereni, accudire le cose tue e
gli affetti che hai costruito col tuo nuovo amore. E forse non
ricordi (o non ci pensi) all’ansie passate ed agli scoramenti, ai
stratagemmi e a tutte le follie che abbiamo fatto per restar vicini
anche su un treno il giorno che all’esame tuo padre ti portava
un dì lontano. Poi le nostre felicità ed i dolori vennero meno;
anche l’amor cessò, come ogni cosa, ed ognuno seguì la propria strada
ignari dell’ansia e dei tormenti che dentro il cuore portavamo stretti.
Ma ogni tanto a te vola il pensiero: ma non ti vedo con l’aspetto
attuale, ma con il viso libero d’un tempo; non ti immagino mentre
rigoverni o t’affaccendi dietro ad un fornello, ma ti penso con il
cuor sereno, con la tua cara immagine d’un tempo, mentre mi vieni
incontro sorridente ad un appuntamento frettoloso a cui più forse tu
neppure pensi.
Al potere Oh, potere, potere, tu che offuschi e opprimi
la coscienza dell’uomo e cambi la storia, tu alletti e ripugni;
Oh potere, potere, tu che aduli e plagi ragione ed azione, ti
odio e pur m’alletti. Odio la tua macchina infernale che
macella e che spacca, che trita e frantuma gli spiriti forti ed i
cuori puliti. M’alletta la tua violenza di infondere forza,
di produrre energia e vigore anche agli spiriti deboli che
assaporano il gusto d’esser leader, sebbene per poco, di sentirsi
stimati, temuti, obbediti. Il mondo selvaggio, un di
governato dalle leggi del nulla, d’un tratto diventa apprezzato,
infonde certezza, dimora e ristoro, e pur sicurezza. Il
branco non razzola nel nulla e nel niente, più non vacilla e
neppur più si scompone. Le regole impone la legge del forte,
decide e corregge, infligge e punisce, costringe le genti in
regole dure, difficili forse a far rispettare. Dissenso
produce, e un ordine strano riunisce e compone. Dissenso
che poi si scompone, che assente e dissente che crea le ragioni.
E tutto confonde: idee e sentimenti, che sbriciola assensi e
forti reazioni produce e converge. E poi il nulla: il tutto
finito, il ritorno sofferto alla tua dimensione, che ancora una
volta ti lascia stupito e t’addita con forza la chiara visione
d’un nuovo potere che è nato e s’impone.
Il piccolo maestro Fruscio di un pennino su un quaderno con
il bordo rosso ed una copertina nera, inchiostro preparato in casa,
memoria passata di autarchia, scritte sui muri: "Quaderno e
moschetto" e altre amene allegorie che non ricordo bene. Un gran
faccione con elmetto in testa nero dipinto in fondo alla parete del
nostro duce assoluto: Mussolini. Miasmi intensi d'un refettorio al
piano terra, odore di latte e di farina di piselli, che m’hanno
disgustato e che non ho mai più mangiato. Quaranta e più bambini
a disegnare le aste su un quaderno. L’austerità di un giovane maestro
con la bacchetta in mano e gli occhialini tondi sopra il naso.
Ciccio mi fece ridere una volta e quattro bacchettate a mani tese
raccogliemmo ambedue per punizione. Poi mi ricordo che tornato al banco
scuotendo le mani pel dolore Ciccio mi riguardò: si rise ancora. E
nuove frustate ancor più intense ci levarono il sorriso dalle labbra
facendoci capire che una nuova sfida non sarebbe più stata conveniente.
Ogni tanto, oggi, ci penso quando assisto a certe proteste studentesche
che sfilan contestando i professori e amaramente mi ritorna in mente
quella bacchetta e le mie mani tese. Mano callosa
Dammi la tua mano callosa e rude ch'io la possa sentire
ancora una volta prima che il freddo abbraccio della morte
la decomponga e la distrugga.
Hai lavorato la terra fin da
bambino ed essa regala, oggi, un dolce riposo alle tue
membra stanche cullandoti tra le sue braccia.
La nuova via Marina Che tristezza, che tristezza amore mio,
ti rivedo col tuo sole risplendente, coi viali verdeggianti, con i
fiori nelle aiuole rinnovate, con le palme e gli oleandri rigogliosi,
con la gente che passeggia come un tempo, con gli amici che viaggiano a
braccetto o riposano seduti a una panchina discorrendo degli affari
d’ogni giorno. Che tristezza a star lontano e che gioia pulsa in
cuore rivedendo questa via, tutta quanta ricostruita, coi lampioni
illuminati, che accarezzano la notte, appoggiati alla ringhiera che
non è stata cambiata ma soltanto rinnovata ed il mar che rumoreggia e
biancheggia sopra i sassi. Che tristezza, o mia città, a fissare il
tuo via vai sulla nuova Via Marina, con le auto colorate che mi sembrano
sfrecciare e la gente sorridente che felice vedo e sento
rumorosamente andare. Sullo schermo t’ho fissata, amor mio non t’ho
scordata; mi sembra anzi di sognare e mi sento riabbracciare da
un amico che ho lasciato, che a un tratto m’è riapparso e felice
m’ha chiamato. Massacro Si gioca al
massacro! Come una girandola infernale tutti gli assistiti,
i lottizzati, i compromessi, tutti quelli che con le scarpe
strette stavan ben nel sistema, all'improvviso scopron d'essere
onesti. Una moda nuova s'affaccia sulla scena politica italiana:
stilisti improvvisati lanciano nuovi costumi. E tanti, molti direi,
s'accalcano allo stand dei nuovi venditori. Tremano i potenti,
coinvolti negli scandali da sempre, assaggiano il calice amaro
dell'umiliazione nelle prigioni di Stato. Inconsciamente, il
popolo impotente sfoga le sue frustrazioni mandando al macello
corrotti e corruttori. Come una Santa Inquisizione la macchina
infernale dei poteri contrapposti, della ragion di stato, miete
nuovi raccolti e la potenza delle delazioni diventa morale corrente,
arma di resurrezione in mano agli oppressi da sempre. Guardo
con occhi impotenti l'evolversi degli avvenimenti: l'Oracolo di Delo
non predice nulla di buono. Gattopardesche intenzioni s'agitano
nella coscienza dei manovratori? Anch'io "fedele suddito" dovrò
diventare "un borbonico schifoso"? Assisto impotente ad una
sceneggiata che si replica da un'eternità con il botteghino sempre
esaurito: una macchinosa operazione che sfrutta il mio consenso
per lasciare le cose sempre al solito posto? La
mimosa Marzo è appena arrivato e già i primi rami si
colorano d’un giallo vivo tra il verde intenso delle prime foglie.
Ma l’8 marzo è vicino: e già qualcuno comincia a troncare i rami
e deturpar la pianta.
Gioiscono le donne sulle piazze: le mimose
inondano le tavole imbandite e guarniscono i vestiti ed ai capelli
donano colore.
Piange in silenzio l’albero della mimosa e i
moncherini, spogli e privi di colori, tende mesta al cielo, che
osserva impotente e, poi, perdona. Il contenitore
Noi viviamo in un gran contenitore con gente d’ ogni razza e colore,
a volte per strada ci infettiamo perché in promiscuità ci ritroviamo.
Ognuno di noi s’affanna a ricercare qualcosa per meglio potersi
tutelare. Sul tram ci si regge con i guanti, cosa che al mercato
fanno in tanti;
e se qualcuno palpeggia le derrate ci si indigna
e si finisce a cazzottate, perché è meglio le cose far capire
piuttosto che in ospedale poi finire.
E nella foga di stare a
sottigliare le cose serie si smette di guardare perché molti
prodotti di consumo non sono arrosto ma soltanto fumo
e vengono
prodotti in altri mondi a volte usando dei concimi immondi che son
banditi nella nostra civiltà ma altrove vengono usati in quantità.
Poi ogni tanto arriva un’epidemia e tutti in fila a protestar per via,
ma appena ch’è passata la paura la vita par sembrare meno dura.
Così ce ne restiamo ad ondeggiare nel nostro contenitore, e veleggiare,
e chiusi nelle nostre quattro mura lasciamo che si avveleni la natura.
Indifferentemente Incatenato ai miei molli ozi mentre intorno
a me il mondo si consuma e si distrugge.
Indifferentemente
mi rigiro sulla mia comoda poltrona, un po’ sonnecchiando, mentre la
TV mi regala immagini distensive per rilassarmi dopo una
giornata di lavoro.
Bimbi agonizzanti che si disperdono in
infinite colonne verso mete impossibili.
Soldati e civili
sgozzati, sanguinanti, morenti.
Proiettili telecomandati,
lanciati da sofisticate macchine di guerra in volo su sperduti
villaggi e indifesi accampamenti di esuli in cerca di patria.
Guardo indifferente e sguscio indolente qualche noce ed accompagno
con un buon bicchier di vino. Natura Dai
rosseggianti fianchi della montagna, sprizzano polveri e fumi venefici
ed il tremore che si sprigiona dagli abissi suscita ancestrali paure
che ci ricorda con monotonia la provvisorietà della natura umana.
Tu t'innalzi potente, la tua scienza sembra aver vinto e domato a se
l'universo. Ma basta un improvviso temporale, un sovrastar alto di
onde sulla terra, il rapido passaggio d'un ciclone, per rivelare la
fragilità della tua natura.
Anche se costruisci sbarramenti
imponenti col ferro e col cemento, basta un attimo d'ira e la
natura ti dimostra l'incontenibilità della sua potenza e le piccole
dimensioni della tua statura. Noi stessi al
mattino Svegliarci all’alba, ancora assonnati ed
affacciarci sul mondo per vedere i primi voli dei merli nel giardino
e le prime battaglie dei maschi dominanti per il controllo del
territorio o della propria femmina.
Noi stessi al mattino
entrare nelle nostre marmitte catalitiche ed avvelenare il mondo
e la vita di questi pennuti che ci svegliano con i loro canti
armoniosi.
Noi stessi al mattino, vandali, che distruggiamo
le nostre città ed attentiamo alla vita dei nostri figli.
Nostalgia Finito il giorno, finito quasi l’assillo, la
foga, il fare, medito, coperto in parte dal pio fanale, che
tenue irradia ombre silenti tra nebbia e pioggia in questa parte
d’alta Maremma che guarda il mare, e Prata sfugge dal maestrale.
Sale, sale ululando, spinta dal vento, una frizzante brezza marina
e tra la croce del campanile, gira, l’avvolge, quasi mi assale e
pare voglia forte afferrarmi, tra questi monti poi trasportare.
Dall’alto miro i campi verdi, folti di querce e di castagni, le
luci ammiro di Radicondoli, spingo lo sguardo fino a Chiusdino, volo
sull’Elba come un gabbiano, col vento lieve m’alzo, e m’abisso
tra questi monti, in fondo al mare, e finalmente non più pensare,
tutte le pene dimenticare. Il cardellino malato
Gonfio come una palla di cotone, tremante e con gli occhini chiusi
t’abbiamo trovato stamattina vicino all’armadietto sul balcone. Il
panetto del burro era vicino, il riso anche e le briciole di pane
che spargiamo in giro nel giardino. Certamente da molto comprendevi
dell’amore e delle tante cure che noi si riservava alla tua specie
ed un rifugio al sicuro hai tu cercato stamani, quando sfinito da noi ti
sei fermato. Non avevi più forza, forse il gran freddo aveva
indebolito la tua fibra. Respiravi a fatica, paura non avevi, a
stento ti muovevi in mezzo ai piedi. Hai cercato di beccare appena il
burro, ma un altro cardellino t’ha scacciato, che la legge dura di
natura nulla capisce e poco intenerisce. T’abbiam raccolto ed in
casa collocato in un giaciglio con riso, burro ed acqua al caldo
tepor d’un radiatore. E dopo un’ora sembravi migliorato e dormivi
tranquillo con la piccola testa sotto l’ala. T’abbiamo solo lasciato
per un giorno sicuri di poterti l’indomani lasciarti libero sui rami
di volare insieme alla compagna tua che ti chiamava sulla
finestra fischiando tristemente. Ma a sera, appena in casa rientrato,
disteso e freddo t’abbiamo ritrovato che già t’aveva la vita abbandonato
e mai più sui rami avresti saltellato. Mi resta adesso questa pena in
cuore d’una vita che ancor s’è consumata, ma son certo che quel
nostro amore, che alla lenta agonia s’è accompagnato la morte tua
senz’altro avrà addolcito. Occhi Occhi,
occhi immobili e pensosi, che scrutate in ogni angolo del mio
cervello e scorrete impietose storie passate e non dimenticate
che riaffiorano a volte a consolare le mie giornate vuote o
rimproverare le mie colpe passate. Occhi miei stanchi, che avete
gioito nei giorni del dolore e sofferto in quelli della gioia,
siete impietosi. Nulla si può celare, o cancellare al vostro
sguardo. Tutto riaffiora, a tratti: felicità passate e
patimenti, fame, miseria, e giorni di disperazione. E rivedo i
miei cari, risento canti lontani e giorni da dimenticare. O mie
felicità ormai seppellite in un loculo senza preghiere e fiori
cosa mai più mi dite? Parole portate via dal vento che mi sfiorano
al soffio del Grecale e si disperdono tra questi estesi boschi che
circondano la mia nuova dimora fuori dal mondo, fuori da ogni assillo.
Partecipazione Perché la storia del passato non insegna mai
nulla? Cosa macina il cuore delle nuove generazioni per non
capire che l’indifferenza è il nemico della loro libertà? E’ vero
che il potere è un mostro insensibile, inutilmente si spera
ch’abbia un volto umano, che possa capire. La storia si costruisce
con la paura o il consenso. Ma l’artefice è sempre lo stesso: il
denaro! L’avversario più temibile è la partecipazione. Non
capirlo significa dare spazio alla sopraffazione e subire la legge
della giungla. Primo amore Primitive
emozioni, rossori di gote e palpiti di cuore, tremor di voce,
farfallio di mente.
Nottate bianche, parole perse su fogli
colorati, scialbe mattine sciupate a meditar per il domani.
Pensieri dolci tra gli olmi d'un viale, pudici baci e piccoli
tormenti.
Prime sessualità confinate in un toccar di mani,
represse tra tenerezze e semplici carezze.
Terrorismo La mia libertà d’essere popolo la rivendico a
suon di cannonate. Non guardo in faccia alcuno: la mia terra è
invasa da termiti che corrodono la mia libertà, che opprimono la mia
cultura. Non mi interessano i pianti delle mamme, né il dolore delle
vittime. Il sangue? Sgorghi pure a rivoli ed infetti la terra
che fu dei miei padri. Tanto l’acqua lo laverà ed il tempo lo
cancellerà. La mia coscienza? Non l’ascolto più da tempo! E’
figlia del conformismo e dei compromessi dei notabili locali. La
violenza? Noi l’abbiamo subita da secoli, i potenti l’hanno
esercitata sempre foraggiando i lacchè di stato ed i corrotti. Vi
sembrano crudeli le mie parole? Ebbene, guardatevi intorno e riflettete.
Di popoli oppressi è piena la terra: ma il sangue degli altri non ha
odore e neppure interessa. 8 Marzo?
Ohibò, l’8 marzo è già passato! Scusami moglie, se in man con la
mimosa a casa l’altro ier non son tornato. Mi fa pena, ogni anno, il
sacrificio di tanti rami per ornare il petto delle donne felici a
festeggiare un giorno che davvero assai banale è diventato dopo un
tempo andato che valeva la spesa d’esser festeggiato. Un dì la festa
aveva una ragione, non v’era dietro sol coreografia: v’era la festa
vera delle donne, v’era una ideologia legata intanto
all’emancipazione, che aveva il senso d’una battaglia vera dalle
donne vissuta come fosse un’altra lotta di liberazione. Oggi mi
sembra solo un’occasione offerta dai caffè e dai ristoranti per un
coperto in più, oppur incoraggiata dai fiorai per vendere qualche
mazzetto di mimose, che ti fanno pagare a caro prezzo rifilandoti
fra l’altro un surrogato. Pertanto, cara moglie, (visto che poi da
tutte queste lotte nulla sembra cambiato tra di noi) scusami se me
ne resto indifferente e piango per le povere mimose che vengono
spogliate tristemente dei loro rami più belli ed odorosi, che
abbelliscono le ultime giornate del freddo inverno e delle nevicate.
Emanuel Ciao, ragazzo mio, non ho la fede sufficiente per
dirti: ”arrivederci” e la vorrei. T’ho visto l’altro giorno,
sorridente, e ieri t’ho accompagnato al camposanto, chiuso dentro
una fredda bara, in un giorno di gelo e di dolore. T’ho dato anch’io
un’ultima carezza; mi son segnato con un gesto vano che alla vita
ormai più non ti porta. Come un figlio t’ho pianto e ricordavo tutte
le tue premure quando nell’officina ti trovavo. Dura e crudele
sembra oggi la vita e il pensiero m’opprime e mi tormenta a saperti
rinchiuso tra i lumini fra tanti fiori che al gelo appassiranno e
che non guarderai mai più al mattino. Ma se un cielo esiste oltre la
vita, corri libero, corri bambino mio, tra i verdi pascoli colmi di
colori, che il mio amore sempre t’è vicino insieme al mio pensiero,
e con la mano tua stretta alla mia tra le nuvole bianche mi trasporti
libero dai dolori e da ogni assillo. L’allodola
Nel mio giardino l’alba filtra tra gli alberi scarni; le ultime
chiazze di neve dipinge d’un roseo appassito e smuove le gocce
che scivolano lente lungo il sentiero che bacia le sponde del Lys.
Già un tempo, il vate che a Bolgheri parlò coi cipressi, tra
queste vallate si perse. E il suo canto raccolse il fiume impetuoso
e racchiuse tra gli orridi di Guillemore scavati tra i monti nel
lungo suo andare. E un’allodola il verso riprese e trasmise nel
tempo alla nuova progenie. E al mattino il gorgheggio ripete le
parole apprese a memoria e trasmette, da un ramo d’un vecchio abete
arroccato nel bosco, melodie che sol io ancora riesco a sentire, e
capire, e su un foglio di carta archiviare.
Scandali Processi e processini, scandali e scandalini,
giudici che accusano e poi diventano accusati. Gira e rigira il
fritto sembra sia sempre uguale. Il processone SME, azienda
dello Stato, vede cento accusati: corrotti e corruttori vengono
incriminati. Poi dal cilindro il mago estrae una nuova legge:
corrotti e corruttori dicon che di certo son dei perseguitati.
Ma io domando a un tratto: - la SME allor era stimata mille e
trecento e più miliardi, De Benedetti offriva cinquecentocinquanta
appena, mentre il Berlusca, invece, ne dava cento in più. Dov’è
mi chiedo (scemo!) la grande convenienza di cedere a quest’ultimo
quello che doppio val? Anche con cento in più lo Stato non vi pare
che resti raggirato? Se è ver che certa gente ama tanto la Patria,
come si sente dir, perché non ha mai offerto per questo affar di
stato il vero suo valore? Senza
le mutandine Un viso senza età, la prima pelugine che
incorniciava una vulva appena sbocciata. E tu sentivi il desiderio
di farti vedere per dimostrare ch’eri già donna. Attimi di
desiderio, che diventavano sempre più forti nel momento che noi
ragazzini ti guardavamo con indifferenza e con il cuore in tumulto.
E tu lo sapevi, impudica e provocante, e già godevi le prime tue
sessualità che guidavano nel silenzio della notte le tue dita
per i primi piaceri solitari. E li ricordo quei momenti, li
rivivo adesso che la ragione mi ha liberato dai miei complessi, e
provo gioia e tenerezza a rivederti seduta su quei vecchi gradini
d’una casa che ormai non c’è più e che, forse, sogni ancora.
Stranamente Stranamente mi par d’essere uguale al bimbo
che giocava sotto casa con giocattoli costruiti a mano col poco
materiale che s’aveva. Stranamente non mi par d’esser cresciuto:
mi sento sempre uguale a quel ragazzo che tante volte la scuola
marinava e se ne andava per il lungomare a passeggiare, indifferente
ai rimbrotti della mamma o dei parenti. Eppure lo specchio mi regala
immagini diverse, ch’io non riconosco e che rifiuto d’essere
quelle vere. Io sono così: come mi vedo, dentro. Un bimbo
fantasioso, che sogna ancora d’esser medico, un giorno, per
curare tutti i mali del mondo e trasformare in sorrisi tutti i
dolori della gente. Per amor farò tutto
Lo avverto, la sera, seduti quasi in penombra a guardar la TV
che rimbomba. Ogni tanto la mano mi prendi: la carezzi; ed io
guardo lontano. Se rinasco lotterò per amore, non m'importa del
bello o del brutto: per avere il mio amore farò certo di tutto.
L'amore andato Emozioni e rossori a scoprire i segreti
dell'anima, quando l'amore era negato e, gli appuntamenti, segreti
di stato. Battiti intensi nel petto, come un frullar d'ali
inquieto e frettoloso. Timori d'esser visti e felicità di due
mani avvinte, come un'edera a un tronco, seduti sui gradini di
stradine acciottolate o su muretti fuori mano che guardavano il
mare. E poi il silenzio del cuore, ed i ricordi che ogni tanto
ti rinnovano tenerezze ormai finite, archiviate sugli scaffali alti
d'una libreria che solo tu sai ritrovare.
Tenerezze Aprimi le tue braccia e stringimi ancora una volta
prima che l’alba cancelli quest’attimo di felicità che sta
appassendo. Non temere di ripetermi stanche parole
imbevute di gocce di rugiada che restano impresse nel cuore e che il
sole non potrà mai asciugare. Regalami i tuoi sorrisi e le
tue carezze, stringi forte la mia mano, fammi riprovare per un
attimo le sensazioni della tua pelle eccitata ed il calore del
tuo corpo come se il tempo non avesse mai varcato i cancelli.
Il crack Crack, patacrack! Ecco ti sei fidato! Da
quel signore affaccendato, che navigava preoccupato in internet nei
meandri della borsa, sei stato influenzato. E’ un gioco,
bischero, non lo sai che è un gioco? Pensavi d’arricchirti
puntando i tuoi risparmi sulla piazza di Zurigo e, in parte, su
quella di Milano. Ma il gestore ha giocato al ribasso, tu
questo non lo prevedevi e già sognavi un viaggio distensivo alle
Maldive col guadagno che ti veniva dagli utili di Borsa.
Ma l’impresa è fallita: le cedole si sono ritirate e solo un po’ di
carta, arrotolata, t’è rimasta tra le mani.
Business Sfoglio pigro la pagina d’un giornale:
un’enciclopedia, diciotto videocassette, possibilità d’acquisto
rateale. Immagini di guerra, morti sgranati dalla mitraglia,
dilaniati dai mortai. Immagini che sfuggono nella memoria d’un
tempo. Inseguo volti di estinti, forse un lontano parente morto
sul Carso o con le gambe perse sugli argini del Piave. Io piango
i morti della mia classe, schiava. E chi al macello li ha
mandati, lucrando sulla Grande Guerra, oggi vuol guadagnare
nuovamente vendendomi le atrocità che i suoi massacri hanno un
tempo lontano generati. Castagno Chi
sono, io, che m’aggiro per i vicoli persi tra i silenzi
rotti dal canto dei merli e dal frinir delle cicale? Gira un
archetto: esperte dita di donna sembran suonare melodie con la
lana che si trasforma in filo. Un vecchio (del ‘15-18)
s’aggira dolorante su un piazza e mi guarda in silenzio mentre
gli rubo qualche immagine furtiva e ne fermo per sempre i movimenti
su una pellicola a colori. Mi sorride una vecchietta seduta
fuori dall’uscio di un’antica casetta e un bimbo mi saluta
agitando la mano da una finestra aperta. Alzo gli occhi e
osservo voli di rondini planare e risalire in una corsa infinita
ad incettare insetti per la nidiata sempre affamata. Questo è
Castagno: dolce paese dove nessuno mi conosce ma che conservo
nel cuore. Cicale Assordanti, ripetitive, noiose. Quella sega stridente le orecchie mi avvilisce. Eppure le amo, nel caldo torpore d’un pomeriggio mediterraneo, abbracciati ai rami degli ulivi, delle betulle, ai Piani di Galatina, mi ricordano affetti ormai finiti, carezze e rimbrotti che riposano tra i lumini d’un camposanto che mi opprime e mi tormenta. Partenze pasquali Non schiaffeggiamo la miseria umana con i nostri spot e le cronache di vacanze annunciate. Anche noi partiamo, profughi, per terre sconosciute che ci negano ospitalità e rifugio. Anche noi partiamo, con le nostre gambe e a piedi nudi, per le vostre discariche opulente in cerca di vestiario e cibo. Anche noi partiamo, implorando aiuto e medicine per i nostri figli agonizzanti che non hanno più la forza neppure di scacciar le mosche. Anche noi partiamo, a pregare un Dio, certo diverso dal vostro, che ci regala solo lutti e morte a piene mani. Anche noi partiamo in cerca di speranza e d’un destino migliore, su una carretta del mare guidata da assassini, per una spiaggia che non conosciamo e spesso senza ritorno. Pasqua Cristo, Cristo, tu muori e risorgi, indifferentemente ad ogni primavera che arriva. Come l’erba sui prati, come i rami che brulicano di corolle colorate, bianche, rosa, vermiglio, tu rinnovi la tua lugubre sinfonia di morte ed il chiassoso scampanio della Resurrezione. Ma dillo ai tuoi preti, urlano ai tuoi Pope, ripetilo ai governanti che si fanno benedire insieme alle truppe in partenza che vanno a portare la morte in terre lontane. Dillo, Cristo, che il sangue degli innocenti urla vendetta al tuo cospetto e che la tua Resurrezione non può rappresentare solo coreografia e spettacolo. Vecchio mulino Macina il vecchio mulino in fondo alla vallata, dove anche l'acqua é ingrata e puzza di cloro. S'ode l'altalenante rumor della pala che gira e lo stridio delle cinghie varca i vecchi muri di pietra e si disperde nel silenzio della vallata. Dalla vecchia porta lenta s'invola una rada nebbia che la pietra solleva dai chicchi che macìna. E quel profumo dolce di buona farina riporta giorni sereni quando si riusciva ancora a gustare il sapore del pane, fresco di forno, che bruciava le mani ed addolciva il palato. Tra la nebbia Guardo con gli occhi socchiusi le immagini lente che si disperdono tra la fitta nebbia dell'autostrada. Solo il rumore del motore e le ombre di vecchi pioppi, che ricamano i fossati, ondeggiano per la campagna sfocata. E sembrano vecchi pellegrini in viaggio su un sentiero che arriva dal nulla e finisce nel nulla. Lampo (A Peppe) Non m’importa se ho dovuto abbandonare la mia casa con giardino e prato recintato. Non m’importa se dovrò condividere gli spazi superiori con degli inquilini noiosi. Non m’importa se al mattino dovrò ascoltare la sveglia di chi s’alza all’alba. Quello che m’importa è il mio cane che ho dovuto lasciare ad un parente e so che al mattino guairà perché non mi vedrà più andar via e non abbaierà più la sera perché non mi sentirà più arrivare con la mia vettura. Il giorno dopo Non lo scordare mai! A sette anni si ricorda ben poco. I camion dei tedeschi, qualche mese prima, che da Polistena andavano a Melicucco. Quel rumore assordante rimasto nel cervello assieme ai vaghi ricordi sulla memoria storica del bravo tedesco che mi abbracciò e che pianse mostrando a mia madre una foto della sua famiglia. Poi le camionette degli alleati e quei visi neri che per la prima volta riempivano di un vago timore il nostro petto sfilando, confusi a gente d’ogni razza. Ed il rumore dei bombardamenti, della strage del dì festivo a Cittanova di tanta gente ignara che gioiva tra le giostre in corsa. Un nonnulla al confronto dell’Olocausto nei campi di sterminio, alla bomba sganciata su Hiroshima. Ognuno ricorda le sue tragedie: e la fame è un problema che ti chiude gli occhi sulle disgrazie altrui e tu gioisci se recuperi un pasto grazie alle scatolette di minestra che ti regalano gli americani girando tra i reparti accampati nei prati e nella scuola. Ma a chi servono i pensieri miei? Attorno a me la storia si ripete, desolatamente uguale si ripete. E il giorno dopo comincia stupidamente là dove finisce il dramma il giorno prima, e non insegna nulla a nessuno. Stupidamente la storia passata non interessa al nuovo e va riscritta, ancora una volta, sempre allo stesso modo. Bla, bla, bla! Ho scritto tante parole: le ho sparse in largo e lungo! Di buon mattino le ho vangate, concimate, annaffiate. Qua e là il vento le ha portate: come foglie si sono accartocciate, agli angoli ammucchiate, per le strade lentamente rotolate. Un bimbo le ha raccolte: ci ha giocato: Amore, ha letto. Qualcuno scocciato le ha spazzate, col fuoco le ha bruciate. Un altro col piede le ha fermate, ha letto una parola: Pace! Ma il vento le ha rubate, in alto han veleggiato. Un ragazzo al volo le ha afferrate, una riga intera ha letto: No, alla guerra! Un vecchio ne ha raccolto una, ferma sul portone, ha letto: No, alla disperazione. Ma le bombe continuano a cadere a Bagdad, a Nassiria, nel Kossovo, e la Pace s'allontana, e la Guerra non finisce e l'Amore non arriva. Ma io continuo a scrivere tante parole e non mi stanco di spargerle pel mondo. La fata Morgana Quante volte di buon ora la mattina, con i libri legati con un laccio, me ne andavo scontento alla marina? E mi sentivo a pezzi, anzi uno straccio, perché spesso venivo rimandato in due o tre materie quasi ogn’anno, così che tutta l’estate ero obbligato di studiare con lena e con affanno. E così molto presto ogni mattina con i libri sostavo in riva al mare e su una panca della mia cabina con noia cominciavo a studiare. Ma il mio sguardo era a volte attratto da quel mare azzurro e maestoso che m’abbracciava e che io, distratto, ammiravo in silenzio e pensieroso. Il profumo dell’alghe mi stordiva: chiudevo gli occhi, di volar sognavo con i gabbiani dall’una all’altra riva attraverso lo Stretto e poi planavo sopra il pennone d’un grande veliero, o stringendo il timone d’un traghetto come un esperto e valido nocchiero lo conducevo al porto dirimpetto. E il mare luccicava, era uno specchio, e rifletteva tutte le case di Messina ed anche qualche placido apparecchio che volava da punta Faro a Taormina. E’ un gioco di luce e di riflesso che avvicina le sponde o le allontana e che ogni estate si rinnova spesso e che si chiama “La Fata Morgana”. E si ha la sensazione di afferrare i passanti della sponda opposta che sembrano sull’acqua camminare attraversando il mar da costa a costa. Ma presto smettevo di fantasticare ché le pagine da studiar erano tante e mi lasciavo cullare dal mio mare leggendo i versi di Petrarca e Dante. Il clandestino Gli occhi miei stanchi cosa dovranno ancor vedere? Quali dolori, quali patimenti, il cuor dovrà di nuovo riprovare? Quali stanchi lamenti, quante emozioni dovranno ancor avvolgere la mente? Ecco io mi vedo nel pallor dei visi vinti, negli stracci madidi di urine, sporchi di escrementi, avverto tutta la desolazione, la sconfitta, mille umiliazioni, d’un popolo allo sbando, che s’affida a turpi mercanti di disperazione, per sfuggire ad un destin crudele ne voluto o cercato. Ecco io mi vedo, la gola secca, il corpo mio disidratato, nel dormiveglia a fianco al figlio morto, nel dolor per un parente che ho buttato in mare, che tra i flutti galleggia senza neppure il pianto d’un amico, le urla di dolore d’una madre, d’una sorella disperata. E vedo, nell’ombra della sera, un faro di luce all’orizzonte, un approdo sicuro, una speranza su una costa sconosciuta ed i marosi che spingon verso riva vecchi indumenti, fardelli senza più un padrone ed ogni tanto un corpo che si decompone, che la risacca rotola e accartoccia e con indifferenza poi sospinge tra gli anfratti inospitali d’una roccia. Irrazionalità Come sono buffi gli uomini! Spesso vogliono apparire diversi, diversi da quelli che sono. A volte mi guardo allo specchio. - Sciocco, sussurra -. - Ipocrita, confermo -. E vorrei poter ascoltare i commenti degli amici che incontro per strada quando mi allontano da loro. Tendo l’orecchio per rubare un sussurro, per cogliere un motto che confermi esattamente la mia incoerenza d’essere me stesso. Sbircio con la coda dell’occhio per cogliere un movimento del viso, un’espressione della bocca, che mi dia la certezza che forse qualcuno è riuscito a scoprire chi esattamente io sia. Ed in questa rincorsa alla ricerca del giudizio degli altri continuo a sfoggiare un vestito fiammante che camuffa una immagine che non mi somiglia. 1° Maggio I morti di Chicago, gemono ancor oggi nel rogo dell'azienda avviluppati, con le porte sbarrate dall'esterno ed i padroni a pranzo a banchettare. Urla lontane, mai dimenticate, che ritornano ogni anno a ricordare le dure lotte di classe sostenute per conquistare diritti e dignità che da più parti si vuole cancellare. Dodici ore non erano poi poche, nessun diritto, neppure l'assistenza, la cecità d'un padronato ottuso che l'uomo barattava per oggetto. Da quell'eccidio d'un tempo lontano deriva oggi per tanti festa e canti, ma i corpi senza vita di Chicago anche oggi tra noi sono presenti sulle piazze allegre e imbandierate a ricordare ai popoli e alle genti tutte le libertà poi conquistate. Il compagno di scuola Non lo sapevo! ma vicino a me sei stato, su un tram traballante di Milano, in una giornata umida d'ottobre con qualche rada nebbia che un pallido sole a sciogliere stentava. Il tuo viso lontano, di bambino gioioso e dispettoso, con i riccioli incolti incornicianti un volto spensierato, sembrava stanco e smorto: più non somigliava a quel bimbo un tempo sorridente. Ma quella mia incertezza, amico mio lontano, d'un colpo si disciolse quando alfine dal tram discendesti alla fermata di Piazza del Duomo. Un bimbo ti chiamò, giù dalla strada, ed il tuo volto si rischiarò con un sorriso e la mano si tese ad un saluto. Ti rividi, così, nel fior degli anni con i libri legati con un laccio e una giacchetta con un foulard di lana che pigramente t'avvolgeva il collo. Ed era tardi ormai, ché il tram andava e il treno a Garibaldi m'aspettava. Ti osservai, così, mentre ti allontanavi tenendo per la mano quel bimbetto, che come te sembrava molto vispo ma anche gioioso e alquanto dispettoso. E per un attimo mi tornasti in mente con i libri legati con un laccio che stretti trattenevi sotto un braccio mentre mi salutavi allegramente. Povertà Occhi serrati, sguardi indifferenti, ambizioni morte e sepolte. Pensieri smarriti nel nulla, abbecedari mai aperti, quaderni senza parole, prive di verità mai scritte. Giornate perse dietro ozii opprimenti, violenze maturate nel segreto del cuore ed esplosioni d'ira e d'orgoglio per un lavoro mai offerto ed ogni dì negato. La loro vita che poi va a servizio di loschi trafficanti e deperisce in squallide prigioni dove cresce la propria frustrazione e la vendetta per una società che li disprezza ed al loro destino sordidamente li abbandona. La vita Questa vita m’ha deluso, forse è l’ora di finire, di andar via, di scomparire per provar di ritornare, tutto quanto incominciare nuovamente, non ripetere gli errori, evitar gli sbandamenti, non provar gli smarrimenti non sentir certi dolori non soffrire nuovamente. S’io potessi ritornare sui miei passi già scanditi, di sicuro sarei un altro, sarei un essere perfetto, perché avrei una nuova donna, più coraggio nella vita per lottare per l’amore che ho perduto per pigrizia. Non dovere più soffrire ripensando il tempo andato, ch’è fuggito, che io ho perso sol perché non ho lottato, per legarlo ai miei bisogni ai miei palpiti di cuore. S’io potessi riguardare con un occhio assai diverso le mie vecchie sensazioni, tutte quante le emozioni, e cambiare i miei bisogni, per sconfiggere i miei vizi le mie inutili illusioni. Sarei forse più felice, perché il mondo abbraccerei, curerei il mio denaro e non spenderei più nulla per ogni inutile gingillo che ho comprato, accumulato, e che poi ho buttato via, perché più non mi serviva. S’io potessi ritornare sulle tracce del passato, resterei un po’ abbracciato agli amici che ho lasciato e che forse ogni mattino si ricordano di quando si girava per il corso o s’andava lungo il mare. Chissà quale fine han fatto, se saranno ancora in vita. Che dolore al cuore avrei se sapessi che qualcuno più non c’è su questa terra e riposa in camposanto. Che sconforto proverei se qualcuno nella vita dalla retta via ha sbandato e nel suo cuore cambiato. Mi si attrista un po’ la mente se lo penso addolorato o recluso tra le sbarre senza amore o libertà. Se poi fosse invece misero, senza un soldo per mangiare, quell’amico che abbracciavo e con lui mi divertivo, mi farebbe ancor soffrire, di passion forse morire. E li penso tutti ricchi, i miei amici e i miei parenti, e li penso tutti sani senza acciacchi e ne dolori, me li sogno assai felici e ho nel cuore una passione di saperli sistemati i miei amici tanti amati. Questa vita disperata, anche se la forza avessi di poterla un dì cambiare, mi darebbe altri dolori, proverei dei dispiaceri. Forse è meglio ognor sognare, ricordare le gioie andate ed al male mai pensare. Il sogno Non posso dimenticare le favole: esse regalavano sempre la felicità finale. Com’è triste la realtà che la vita invece ci presenta! I sogni del mattino la sera si oscurano di ombre e la scarna luce delle strade del mondo ci fa inciampare su ciottoli sconnessi che balbettano strani messaggi a cui nessun cartomante darà mai risposta credibile. Anche la mia cenerentola s’è invischiata in una ragnatela appiccicosa. Inutilmente il principe azzurro si affannerà per liberarla dal bozzolo in cui il ragno l’ha imprigionata e confusa. La nuova vita le regalerà un destino diverso? Torture e complicità Non trovo le parole per esprimere la pena del mio cuore. Ho vergogna della mia pelle bianca che ricopre ogni parte del corpo mio e del viso; ho vergogna del modello di civiltà di appartenenza; provo disagio a reputarmi occidentale, a confondere ogni respiro mio, la voce e la coscienza tutta , con una razza che ha perso ogni decoro, ogni lucidità dell’intelletto. Non trovo le parole per chiedere perdono. Non ho la forza, ho perso anche il coraggio di guardare in faccia i prigionieri violati nel decoro, umiliati nella dignità profondamente. La guerra è un mostro orrendo, e orrendo mostro è chi l’ha provocata, e ne risponderà alla storia. Mostri ne sono i complici, gli amici e gli alleati che l’hanno sostenuta e incoraggiata. Mostri sono coloro che s’affannano a schierarsi con un potere vorace ed assassino, che riesce a clonare orrendi mostri privi di umanità e decoro, capaci di sfogar gli istinti più repressi che quella inciviltà ha già scolpito nei loro cuori aridi e perdenti, nella coscienza di quella gioventù che ha smarrito per sempre i sentimenti. La nostra civiltà da un pezzo è morta: una cloaca immonda è diventata, una fogna lurida e opprimente, un corpo condannato a deperire perché ha seppellito per sempre la morale, perché ha disperso al vento ogni valore, ha smarrito ogni lucidità del proprio cuore ed anche della mente. E’ un corpo sordido che inesorabilmente si sta avviando alla putrefazione, e che riesce soltanto ad emanare un puzzo irrespirabile e indecente capace solo ormai di avvelenare la coscienza del mondo e della gente. Parole vuote A volte, mi chiedo chi sono! Mi domando che senso hanno le vuote parole che penso e che scrivo! Alla mia età l’illusione non alligna nel cuore. Un secondo Carducci, un novello Pascoli solo la genetica potrà forse clonare. I miei poveri versi saranno solo semi geneticamente modificati che non aggiungeranno nulla alle cose già scritte, ai sentimenti già espressi. Ma sento il bisogno di aprire il mio cuore alla gente come un libro da far sfogliare per far leggere a tutti le mie verità e le mie ragioni. Mi illudo che forse una piccola briciola del mio amore potrà saziare un cuore tormentato od asciugare una lacrima stanca. L’urlo del vento Il vento bussa impetuosamente alla finestra: violenta i vetri e li sento vibrare, gemere e scuotere come pervasi da un orgasmo profondo. Soffia con prepotenza per i vicoli del borgo e trascina, rotola, accartoccia, accumula, e sparge le foglie che si rincorrono in una folle corsa all’infinito. Le porte sbatte, e dai tetti gli imbricini solleva e sbriciola sull’asfalto. Il suo urlo s’aggira come un cane rabbioso per le ripidi calle e le stradine tortuose del paese all’inseguimento di folle di fantasmi impauriti. Inutilmente sforzo una persiana! Con violenza mi schiaffeggia: scivola scompostamente tra i capelli e m’afferra, prepotentemente, tra le sue braccia possenti e tumultuose e mi urla sul volto. Impotenza Urlare, tuonare, imprecare. A che serve? Ecco un nuovo soldato è caduto. Si sprecano le parole da Nassiria, si vomitano discorsi insulsi dalla capitale. Umanitaria, pacifista, civile. Tutti uniti con i nostri soldati. Non facciamo speculazioni. Si uniti, ma è meglio farli rientrare quei ragazzi incoscienti che per quattro soldi rischiano la pelle. E non è ancora finita. Si festeggia il Milan che ha vinto lo scudetto e si ignorano tanti soldati mandati al macello. E’ proprio vero: il potere è un mostro insensibile. E’ inutile chiedersi se può avere un volto umano! Guerra e natura Voli impazziti, frullare tenebroso d’ali e rombi lontani. Deflagrazioni e vampate disegnano in cielo luci ed ombre incessanti. Terrore nei petti, ricerca folle d’un rifugio, tra gli alberi, sui tetti, rotear d’occhi e domande inespresse, ricerca del sereno mentre la tempesta scuote ogni cosa. Due colombe in croce giacciono colpiti da una bomba. La testa ripiegata su un lato ed i piccoli che agonizzano in un nido lontano. Domande senza risposte e cinguettio confuso, segnali d’allarme e fuga inconsulta da ramo a ramo. La morte aleggia intorno e non da risposte a un mondo che osserva spaurito la follia umana. Luna Park Oh, cavallino di legno, che tanto amai e desiderai; giostra dei miei sogni, con luminarie intermittenti e musiche di cui ignoro il ritornello, vi ho perduti per sempre! Mi aggrappo, ogni tanto, alle briglie che penzolano da un vecchio ricordo e rincorro felicità racchiuse in una conchiglia che forse giace su un fondale marino che il tempo ha riempito di limo. Dondolo ancor oggi aggrappato a gioiosità fugaci dal prezzo troppo elevato per poter essere ricomprati. Il nulla, i desideri più effimeri, traguardati attraverso gli occhi di un bimbo a cui bastava poco per sentirsi ricco. Ed avverto attorno a me la noia del presente, l’infelicità di non poter più apprezzare le piccole cose che rendevano piene le mie giornate e che mettevano in ombra anche i bisogni più indispensabili. Dubbio Se un dubbio mai t’assalisse, pensaci. L’idea non è mai fissa: s’adagia e t’avviluppa, cresce e poi si sviluppa. Cambia: non è mai la stessa. Ti rode e ti corrode, perché la verità difficilmente è uguale. Se cambi idea, è vero ti sputtani, ma salvi dal grigiore il libero pensare, dimostri d’accettare le verità degli altri che sono disuguali. Una vecchia poesia Ho letto una vecchia poesia al mio cuore. Lui si, che l’ha saputa apprezzare. Nel silenzio d’una notte buia le parole sono esplose, tenere e splendenti, nel caos delle arterie accarezzando teneramente i sentimenti. E come un buon vino, con cura conservato per un’occasione eccezionale, ha bagnato la mia gola ed accarezzato il mio palato regalandomi attimi di intensa emozione e di gioia che solo noi comprendiamo. Visioni mattutine Quando l’alba tinge di rosa il cielo ed accarezza sommessamente i cipressi che adornano le colline di Massa, pigramente spingo lo sguardo oltre il Borgo di Prata, che mi regala la vista dell’Elba fumosa e stanca. I rondinoni strillano già da un pezzo, ed inseguono gli scarni sciami d’insetti che questa strana estate ci ha negato. Prima del tempo stan lasciando i lor nidi e ad altre sponde forse cercano il pasto per un’ultima covata. Qualche comignolo fuma: ed acre l’odor di cerro svolazza per i vicoli del borgo e si confonde con la nebbia esile che giù dal mare sale. Un suono lento di campane rimbalza sopra i tetti e tra i lecci frondosi si ripara. Gocciola lenta una fontana: picchietta pigramente su una latta annoiando il pensiero. Una ghiandaia lancia un urlo isolato e s’allontana. Tirreno Il tuo profumo era stato esiliato negli antri profondi che ornano le tue spiagge. S’era smarrito per le rade delle tue isole inondate di sole e rugiade mattutine. Quell’intenso odore salino, che le alghe acutizzano quando il vento accarezza la superficie delle onde, per un attimo ha regalato all’olfatto soavità che avevo dimenticato. E la mente ha inseguito albe radiose e tramonti struggenti abbracciato ad un amore che non potrò mai dimenticare. Tenerezze fuggevoli, come il sapore dell’acqua salata che mi strozzava la gola. Gioie irripetibili, irrorate da una folata odorosa di mare, guarnite da visioni incantevoli di vele ondeggianti sulle onde e lampare scintillanti nel buio della notte. Per un attimo, irripetibile, è ritornato il passato, oggi, sulla spiaggia di questo mare che sempre mi ha posseduto ed inebriato. Un foglio di versi Tra le mani, mamma mia adorata, sto rigirando un foglio con dei versi che tu stilasti tanto tempo indietro e che si ritrovò tra tante carte che tu lasciasti in uno dei cassetti di quella casa di fronte alla marina che tanto amavi e che tenevi in mente. Ed io leggo quei versi questa sera e mi tormento e m’affliggo perché in essi traspare il tuo dolore, il desiderio tu con me parlare per dirmi tutte le quelle cose che quand’eri in vita ed in salute non mi hai potuto mai comunicare. Forse volevi allora proprio questo: che fra trent’anni dal dì che li scrivesti quei versi fossero poi letti dal figlio tuo e mai più ti scordasse. Se questo era l’intento, mamma cara, di certo hai tu centrato l’obiettivo perché io sono qui con te a parlare e tu con me discorri e viva sei e m’accarezzi il volto ed i capelli e mi stringi la mano come quando da piccolino per strada mi portavi e sicurezza e conforto mi donavi. Fotografia Un raggio di sole su una spiaggia lontana accarezza ancora il mio sorriso incorniciato da vecchie cabine e da un mare lucente. Lo sguardo perso, sfuggente, che forse insegue dolci pensieri o barche ondeggianti su un mare spumeggiante agitato dalla tramontana. Una immagine lontana, persa nel caldo d’una giornata d’estate ormai dimenticata che mi regala frustate d’indefinibili tristezze che offuscano la gioia di momenti di felicità fuggevoli e mai più ripetibili. Madre Teresa Assordanti parole, inutili panegirici che avrebbe rifiutato se fosse ancora in vita. Chi vi autorizza a santificare, con le convenienze umane, ciò che santo già era? Io rivoluzionario in deposito, che mi esalto per le altrui testimonianze, forse non avrei prodotto mai tanto. Una vita di rinunce complete, di amore non buttato alle ortiche, di dedizione totale per coloro che hanno bisogno di un nostro sorriso e di un aiuto concreto, che non si materializza nelle facili enunciazioni di politici interessati o di porporati che pigramente affondano i loro molli glutei nelle rosse poltrone vaticane. Si, la vera rivoluzione forse è questa. La rinuncia al superfluo ed all’ostentazione. La testimonianza piena e sofferta d’un impegno che solo gli eroi possono regalarci. Questa è la vera santità che coincide con un comandamento universale che non si limita ad una superflua preghiera o al segnarsi davanti ad un tabernacolo ed è compreso da tutti: amare il prossimo e testimoniare questo amore anche se la nostra idea viene osteggiata e perseguitata. Santa Barbara Quando sul mare danzava la bufera e le nuvole celavano lo Stretto mia madre al cielo alzava una preghiera e si segnava e si colpiva il petto invocando la patrona dei pompieri, con litanie assordanti e saponose, convinta che quelle nenie semi serie riuscissero a calmar le onde irose che agitavano con gran fragore il mare infrangendosi sopra la scogliera dopo aver fatto l’onde biancheggiare ch’eran nascoste dal buio della sera. “Santa Barbara”, quasi invasata urlava, e la invocava vedendola su un monte con due bandiere che al cielo sventolava che il sole riportar dovrebbe in fronte. Di queste, una era d’acqua l’altra di vento, e potevano calmare la tempesta rinnovando il chiaror che s’era spento e riportar serenità nei cuori e festa. E dopo ore di interminabili orazioni fulmini e tuoni sparivano dal cielo. Noi bimbi si tornava alle lezioni e lei, contenta, deponeva il velo che in capo aveva posto per rispetto e un lumino, poi, accendeva lesta sotto l’immagine per grazia ricevuta ché la Santa avea calmato la tempesta. Altalenando Ondeggio vergognosamente tra veglia e sogno. Non so quali decisioni io possa prendere per affogare il mio egoismo che si dibatte tra impegno e disimpegno assoluto. Vorrei che fossero gli altri a rischiare, a dar corpo alle sensazioni ch’io vivo in silenzio e che non accettano oltre burattini e burattinai che si agitano scompostamente e senza decoro sugli scanni di Cesare. Per un attimo vorrei che Mangiafoco avesse bisogno di legna per cucinare a dovere il suo capretto poco cotto. Arcobaleni opacizzati E’ inutile affaccendarsi e accendere lumini, rossi, sulle finestre. Le fiammelle oscillano al vento: i loro messaggi d’amore restano inascoltati. Falsi profeti, inutili Messia, che si lasciano crocifiggere per redimere un genere umano, invaso dalla disperazione e sempre più opaco dal male. Inutilmente i poeti scrivono i loro versi declamando la pace tra i popoli. Gli arcobaleni iridati svaniscono nel grigio bigiore delle coscienze oscurate da satana e non rallegrano le coscienze di chi ancora crede, spera, in una pace universale che sappia sconfiggere le miserie del mondo. Binari I binari delle tranvie sembrano una rete asfissiante in cui si impigliano i pendolari che inutilmente si divincolano, si agitano e si scompongono per sfuggire la sera e ricominciare il mattino. Coraggio Io spero che la vita vi sorrida. Io spero che la vita vi abbracci. Io spero che la vita non vi deluda. Lo so che l’ombra lunga scomparirà dietro una siepe, sarà risucchiata dal buio della notte. Spero che il mio alito vi sia vicino, sempre, nelle lunghe nottate della vita, nelle felicità che vi arrideranno e vi confonderanno o nei dolori che appesantiranno l’animo vostro. Vi guarderò in silenzio, da lontano, pronto a soccorrervi nei momenti dell’affanno, dell’ansia, dello sconforto. Sarà la mia voce, confusa tra le nuvole, che vi sussurrerà con forza e con amore: coraggio. Vecchio frantoio Quel rumore assordante ricordo a volte, di notte. Le lucerne frignano a tratti, scoppiettano invano. L'acre odor del frantoio invade il vecchio rione, pizzica ancora l'olfatto, viscido al tatto. Il pane croccante di grano, da poco sfornato, assaporo inzuppato nell'olio appena spremuto, che profuma ancora di buono, e lascia in bocca un sapore di olive da poco raccolte e profumo di zolle e di dura fatica. Danzano avvinte le rudi ruote di pietra e stridono, e pressano, e schiacciano. La musica è sempre la stessa: un vecchio motore che gira, che inceppa, che scoppia, confuso all’urlo di vecchi e garzoni, di rozzi padroni. Immagini perse nel buio del tempo, battute e risate lasciate lontano e tanta fatica che aspetta d’essere ancora pagata, piegata nel cuore, impressa sui volti anneriti di gente lontana di cui resta appena un ricordo, lontano, rinchiuso nel fondo del cuore. Il potere Scorre lo schermo: bianco poi d’un sol colpo bruno. Beffeggia la coscienza e in onda goffamente immagini spalanca d’atrocità e sconcerto. S’attrista il sentimento che naviga nel petto, galleggia alle emozioni tardivamente apparse: voragini spalancano di morte e di terrore, d’atrocità avviluppano coscienza e la ragione. Perché tardivamente l’archivio si spalanca? Gli scheletri compaiono sol or che l’avversario é stato vinto e debole la sua difesa arranca? Sempre la stessa storia: chi vince or la racconta a modo suo la trama. La gira e la rigira, fa si che l’avversario sadico e atroce appaia per avvalorare ragioni ed emozioni che l’acqua poi trasporti al solito mulino. Dove conduce allora, lo spettator si chiede, la traccia che l’aratro lascia nei campi or ora? Ed il domani ancora come riscriverà chi vince del corso suo la storia? Il ruscello Io ti addolcisco i pensieri: con il lieto frusciar tra i sassi placide sinfonie sprigiono e le tue tensioni allento. Tu ascolti, estasiato, e il ritornello dell'acque mie, che scivolano tra le sponde fiorite e tra i massi affioranti del mio letto tranquillo, ti accarezza le orecchie, ti sublima la mente. Il gorgoglio delle gore ed il lieto canto degli uccelli alle sponde dolci pensieri ricamano e tenere speranze costruiscono nel tuo cuore stanco. Il vento Mi parla nel silenzio della notte, frasi sussurra, bisbiglia, rumoreggia, tace. L’ascolto e interagisco dolcemente, mentre m’accarezza sul volto e m’abbraccia possente serrandomi nella sua morsa attraverso la persiana socchiusa e m’asciuga il sudore che m’imperla la fronte. L'amore andato Emozioni e rossori a scoprire i segreti dell'anima, quando l'amore era negato e, gli appuntamenti, segreti di stato. Battiti intensi nel petto, come un frullar d'ali inquieto e frettoloso. Timori d'esser visti e felicità di due mani avvinte, come un'edera a un tronco, seduti sui gradini di stradine acciottolate o su muretti fuori mano che guardavano il mare. E poi il silenzio del cuore, ed i ricordi che ogni tanto ti rinnovano tenerezze ormai finite, archiviate sugli scaffali alti d'una libreria che solo tu sai ritrovare. Ma dove corriamo Scontenti, stanchi, insoddisfatti. Ogni giorno pensiamo al domani e dalla nostra postazione sogniamo proiezioni impossibili. Poi l’evento o la fuga. Ogni giorno scappiamo, scappiamo alla ricerca del nuovo e pensiamo d’avere conquistato la vetta più alta. E poi domani si ricomincia a scappare. Ma dove mai andiamo se, poi, coi nostri ricordi incatenati al passato restiamo? Mille Miglia Assordanti, rumorosi, inquietanti. Sfrecciano veloci per la Via Marina, Ferrari e Maserati in testa. Nuvolari, Nuvolari urliamo. Ma lui neppure s'accorge che esistiamo. Siamo degli esaltati, urliamo note stonate, ci affoghiamo tra i fumi dello scappamento e l'acre odor della gomma bruciata che ci avvolge. Ultimo sogno di qualche anno andato quando il motor non era ancor truccato e la carrozzeria era possente e forte come un carro armato. E vinceva il migliore, che rischiava la pelle per una coppa di latta e qualche monetina. E non aveva al seguito tecnici e scuderie, ma solo un volontario che a proprie spese e con la chiave inglese di corsa riparava qualche pezzo che mollava. Ma quello era agonismo vero e si correva per pura passione, solo per gloria e non per la Tv e neppure per centinaia di milioni. Passaggi fugaci Tutto è transitorio attorno a noi! Folle immense rincorrono inutilmente i beni della terra. Ognuno accaparra ciò che può e spera che nessuno gli porti via mai nulla. Le gioie passano, passano i dolori. Passano le disperazioni e le speranze. I soldi si logorano, vengono inghiottiti dai forzieri o dai banchieri. Ed anch’essi sperano di vivere cent’anni e forse di comprarsi anche la vita eterna. E mentre tutti sperano passa anche la vita e rimane solo l’illusione del tempo. Riso di bimbo La sincerità che ti regala un bambino, che ti dà una spinta affinché tu lo afferri mentre tenta di sfuggirti, non ha prezzo. Il suo sorriso ti spalanca un mondo di gioie, ti colma di emozioni e di commozione, ti appaga. Quel riso argentino che sgorga dal suo petto sembra il canto d’un usignolo che sorge nel cuore della notte ed illumina il tuo cuore ed i tuoi sentimenti. Scelte sbagliate E continui a pagare il tuo prezzo e sacrifichi amore e passione! Non basta scusarsi, o dire:”guarda ho sbagliato”, se senza pensarci con la vita degli altri hai giocato. La colpa d’un gesto inconsulto, dettato da amore o da altro, che la vita degli altri ha cambiato, soltanto tu stesso lo devi adesso saldare. E non basta l’affetto negato, l’amor simulato, il finto rapporto costruito pensando lontano, a qualcosa o qualcuno che certo neppure sapeva la pena o la gioia che dentro il tuo cuore covava. Ora il gioco s’è fatto serrato: è inutile, non serve barare. Un atto di forza o coraggio non dà risultato. Il tempo è passato e forse tu parli col nulla, con chi, qualcosa o qualcuno, cessato è, forse, da un pezzo. Non sai, tu fingi di vivere ancora nel tempo in cui i sorrisi erano veri, le gioie e gli affetti sinceri. Ormai il tempo è fuggito lontano, con sé il sentimento ha portato e dentro una buia prigione senza pensarci ormai l’ha buttato. Invano scuoti le sbarre: ormai è morto e sepolto. Ma tu continui a sperare che il tempo passato ritorni: ormai, devi soltanto mollare, non puoi continuare a cullare un sogno, che non può più ritornare. Siepi Quelle siepi lontane, ricordo! Lenzuola bianche e gonne nere, maglioni rosa e camicette bianche al sole ad asciugare. Ricordo! Lontano risento il ciabbottio dei panni sui sassi della fiumara. Acqua diaccia che spacca le mani e scie di sapone che si distendono pigre e poi di corsa verso l’ignoto. Osservo da lontano e ascolto il canto delle lavandaie chine sui sassi a strofinare e sciacquare intensamente. E gli schizzi dell’acqua mi colpiscono il viso e mi regalano l’illusione che il tempo non sia mai passato. Vecchia pianola Poter accarezzare il passato e riascoltare le voci dei mendicanti all'uscio ed il suono dolce degli organini per strada. Quelle pianole nere, traballanti, vecchi pianoforti su ruote spinte da coppie disperate. E rivedere quella manovella che ruota instancabile e disperde per l'aria suoni armoniosi il cui ritornello ancor oggi m'ammalia. Rincorro per vie polverose melodie di speranza, ripetute all'infinito, sempre vive nel cuore e nella mente presenti. Suoni che ravvivano lo squallore di rioni degradati e che scuotevano il cuore delle vecchie assopite al sole su sedie consunte e sgangherate. Dove saranno finiti quegli strumenti dolcissimi che assicuravano un pasto ai bambini ed una pietanza serale? Rimane solo un'eco lontana che rimbalza monotona e confusa tra queste fredde montagne che aspettano qualche nuovo raggio di sole che ravvivi il colore dei prati. Tra la nebbia Guardo con gli occhi socchiusi le immagini lente che si disperdono tra la fitta nebbia dell'autostrada. Solo il rumore del motore e le ombre di vecchi pioppi, che ricamano i fossati, ondeggiano per la campagna sfocata. E sembrano vecchi pellegrini in viaggio su un sentiero che arriva dal nulla e finisce nel nulla.
Potessi farlo
Potessi farlo
resterei immobile su una scogliera
a cogliere i movimenti dell’onda
e ad archiviare
la voce del mare
in fondo al cuore.
Voce dolce e riposante
che mi libera dai pensieri,
che mi fa rincorrere primavere ormai andate
ed attimi di felicità
che mi turbano e mi commuovono
non appena l’acqua sfiora
i miei piedi scalzi
e solletica la pelle.
O mare, mare!
Scorro con gli occhi
lo specchio liscio dell’acqua
e rivedo il passato
che torna.
E mi sembra che nulla sia cambiato
dal giorno che accarezzavo
furtivamente una mano tenera
sott’acqua
e che lanciavo sguardi complici
ad un amore che non dimentico
e che il monotono frangersi dell’onda
mi rinnova dolorosamente
e mi tormenta.
Lungomare
Scie luminose
che m’abbagliano
per un attimo
i pensieri.
Ali cangianti di gabbiano
che riflettono ombre opache
sulla rena.
Spruzzi salmastri
ed odor di mare.
Fruscio di rena
e fragore di burrasca.
Rabbiosa rincorsa d’onde
che bussano con prepotenza
e affetto alla porta del cuore
e mi rinnovano
paure e tenerezze.
La notte
T’amo notte adorata,
che il muschio sulle tegole carezzi,
che pace doni, ed anche il tuo ristoro,
ai rondoni che cheti se ne stanno
negli anfratti dei muri
sonnecchiando.
La luna, con i suoi raggi tremolanti
pigramente s’adagia
e lieve sfiora,
col suo pallore una panchina stanca;
poi lieve s’intrufola e carezza,
tra i cartoni e gli stracci colorati,
un vecchio vagabondo
che russa goffo e s’agita sbruffando
sognando vigne e vini spumeggianti.
T’amo notte silente,
rotta a tratti dal rapido battito dell’ali
e dal singhiozzo stridulo e stridente
dei pipistrelli in volo
che frusciano per l’aria risvegliando
ansie represse e antiche tenerezze.
T’amo notte cangiante
che sfumi il bianco e il nero
per le piazze,
che all’acqua d’una fonte dai colore
e pennelli di luce
i vecchi quartieri addormentati
e le rotaie silenti dei tranvai.
T’amo pia notte,
amo la cappa folta
della tua ombra,
che fuliggine regala ed il mistero,
che risveglia nel petto rimembranze
ed agita tremori antichi e mai riposti.
E mentre filtra dal bosco
un lieve lucignolo che ondeggia
tra i rami radi delle acacie spoglie,
quella pace ritrovo
ch’era spersa
su una spiaggia battuta dai marosi,
che con affanno invano io ricercai
per strade brulle, per sentieri impervi,
e che paziente invece se ne stava
cullata tra i rami dei castagni:
ché la felicità perduta
poi ritrovi
nelle piccole cose del creato
e nel silenzio della sua natura
che la serenità e la pace ti regala.
Innocenti
(Per Adriano Sofri)
L’urlo
degli innocenti
filtra tra le sbarre
e si disperde
oltre i muri di cinta
dei penitenziari
con i secondini
che sbadigliano
nelle garitte
e i riflettori
che accecano
le coscienze.
Il colloquio
Muto, unilaterale colloquio.
Ora non mi tormenti più
con i tuoi discorsi astratti
e spesso includenti.
Ma che colpa ne avevi?
La morte è spesso maestra di vita:
arriva e strappa un corpo
impietosamente,
senza preavviso,
senza aspettare la fine d’una frase.
E così i chiarimenti,
tante volte rinviati,
spesso evasi e aggirati,
rimangono a mezz’aria
e si sperdono al chiarore d’un lumino
e tra qualche fiore appassito.
E tu discuti con un’anima
che pensi si aggiri vicino ad una tomba
quasi a volersi ricongiungere ad un corpo
imprigionato in una bara
e chiuso dietro una lapide fredda.
E discorri sulle cose
che avresti voluto chiarire
quando la vita regalava
rancori e rabbia inespressa.
Ed ora sfoghi i tuoi risentimenti
e chiedi consensi ad un morto
che ascolta e non risponde.
Forse avresti voluto questo un tempo:
esprimere le tue convinzioni
e considerale vere ed indiscutibili,
dimenticando che la verità
è un libro aperto
in cui ognuno legge ed interpreta
a suo modo le parole stampate.
Ma ormai è tardi
ed anche la tua esperienza vissuta
sembra non possa interessare
più a nessuno.
Finestre chiuse
Quelle finestre chiuse
improvvisamente sorridono
ai passanti
che s’inerpicano
per via di Costa Ripida.
Se ne sono rimaste
intristite
per tutti i mesi invernali,
ma adesso
sbattono le ante al vento
come colombi
ch’agitano l’ali rattrappite
dopo esser rimasti
per lunghi mesi in gabbia.
A mio cugino Esteban
Cosa mai pensato avrai,
il dì che il male ferale ti colpì,
giovane ancora
almeno nel cuore e nella mente?
La felicità d’un dolce giorno
spazzata fu dal rio destino
che la vita ti prese in un momento
e con incuria e crudeltà
al vento la buttò terribilmente.
La voce tua di certo corse invano
agli affetti sinceri a te vicini,
alla tua sposa, alla tua mamma cara,
che dal ciel ti guardava e t’aspettava.
Il cuore tuo, straziato dal dolore,
d’un colpo si spezzò,
lo sguardo corse tra il verde dei viali,
un aiuto accennasti, sollevando un braccio,
a dei passanti occasionali
che lessero la paura nei tuoi occhi
e colsero il dolore e i tuoi sospiri.
Ecco, cugino mio,
così oggi rileggo quei momenti,
così avverto nel cuore i patimenti
che il tuo corpo avvertì quel triste giorno
d’un fine agosto che non potrò scordare
e che ogni anno con tristezza ed ansia
nel mio petto mi verrà sempre a bussare. Inquietudine L’inverno bussa alla mia porta, le foglie ammucchia nel cortile, come biglietti colorati li violenta e li scuote e li rigira all’infinito. Parole appaiono ai miei sensi e leggo frasi mozze e irriverenti. Il mio pensiero vola: mesto li insegue per strade e vicoli come un disperato. Senza riposo rotola e s’affanna e s’indugia sotto i balconi a cogliere i sospiri che frusciando lanciano alle stelle. Invano ascolto una risposta amica: il mio tormento non conosce sera e il riposo mi sfugge dal cuscino che il capo reclinato appena trova. Ed il freddo punge sulla pelle, le tristi sensazioni della morte accompagnano il mio vagabondare in un notturno che non trova quiete. I bovi del Gabellino O bove pio, che placido ten stai nella calura per l’ardente piano il guardo volgi a me che rattristai pensando la tua fine non lontano. Che solo un filo v’è tra vita e morte, il sole oggi e la rada erba insecchita, la stalla che già segna la tua sorte perché all’alba per te sarà finita. Gira lo sguardo placido, rimira le querce e godi della lor frescura il vento cogli che ora dolce spira, rumina lieve l’ultima pastura ché il domani il sole non godrai, ed una lama t’affonderà nel cuore, al piano cheto più non tornerai a provare del pungolo il dolore. Liberazione Sembra impossibile che nei momenti di sconforto le parole possano sgorgare più sincere e più libere. Le ipocrisie, i falsi modelli del perbenismo, le finzioni sull’affetto sincero nel rapporto di coppia, nell’amore filiale, vengono sparsi al vento come vecchi vestiti diventati inservibili. E la nudità dell’animo, con i suoi rancori, i suoi vizi ancestrali e le sue violenze forzatamente represse, si libera improvvisamente ed esplode in tutta la sua forza ed in tutta la sua sincerità. Finalmente liberi di odiare, di costruire situazioni impossibili dove l’alter ego venga annullato e disintegrato. E poi i pensieri confusi che si rincorrono, che razionalizzano le situazioni più assurde e trasformano l’amore e l’affetto in acido solforico che scioglie ogni cosa. Il giorno dei Morti “I morti coi morti e i vivi coi biscotti”, così mia madre canticchiava quando ancora bambina di morte in casa a volte si parlava. E non pensava allora che quel suo discorrere innocente in petto lo serbava e poi lo trasmetteva a un figlio ormai quasi canuto, avanti negli anni e un po’ invecchiato. E tutto questo è vero! Ai morti forse basta e avanza un misero ricordo. Dei fiori e dei lumini non avvertono l’odore e né il calore. A loro ormai non interessa sapere se la lastra che li copre sia di marmo o di pietra. Se la maniglia della triste bara, che la luce del sole gli suggella, sia d’ottone o di rame. Se il lenzuol che li avvolge sia di raso, di lino o di cotone. Questi problemi frullano il cervello di quanti non hanno altro a cui pensare, che le bombe e la guerra, la fame e la miseria, sono tristi realtà che vedono seduti sul divano come guardando qualche sceneggiato che in onda la TV ha mandato con la regia di Anton Giulio Maiano. L’ira Mi sgonfio, mi gonfio, mi sgonfio. M’arrabbio, mi calmo, m’arrabbio. Inveisco, sto zitto, inveisco. La testa mi scoppia, più nulla capisco, la testa mi scoppia. E tutto rimane invariato, m’assillo, mi sgonfio, m’arrabbio, inveisco, ma tutto rimane invariato. Etna fumante I miei sospiri in questa nottata di stanchezza sfiorano la tua vetta innevata ed il pennacchio bianco che dipinge il cielo mi riporta tenerezze ed emozioni che sono scolpite nel mio cuore. Ed a guardare la tua vetta maestosa riprovo i tremori e le ansie d'un tempo quando lapilli e boati riempivano lo Stretto ed illuminavano la notte. Ed io prevedevo catastrofi e la paura aleggiava come un fantasma e mi turbava i pensieri. E poi il silenzio della tua ritrovata calma interiore e la neve che dipingeva i fianchi della tua montagna e che copriva lava e paure. Nel nome della scienza Colpisci la mia coscienza, sputami in viso, squartami l'anima e butta alle ortiche cuore e ragione (se li trovi). Se Dio esiste e l'inferno non è un'invenzione dei preti, allora da un pezzo il genere umano vi è dentro e sta espiando le sue colpe. Nel modo peggiore, di certo! Se, invece, il mondo è un'illusione, e tutto diventa evanescente come nascere e morire, ebbene l'uomo pensa ed agisce nel modo peggiore. La crudeltà d'una trasmissione televisiva schiaffeggia l'onore e la dignità dell'uomo ma ti aiuta a pensare. Delle bestioline indifese usate, torturate, maltrattate crudelmente nel nome della scienza e della ricerca. E gli aguzzini non sono sadici servitori d'uno stato senza pietà, che osserva indifferente e non interviene, ma uomini di cultura, forse con 110 e lode, che gioiscono, ballano, beffeggiano un povero animale agonizzante, che si difende guaendo disperatamente ed a cui si tagliano le corde vocali affinché l'urlo del suo dolore non disturbi la loro tranquillità di "uomini di scienza" senza dignità e morale. Se questo è il mondo quale senso ha la vita? Ulivi Abbracciati al cielo, con le radici contorte abbarbicate sul terreno che li culla dolcemente, i rami tendono, colmi di semi oleosi e odori di mediterraneo, come degli equilibristi all’opera. Li rivedo, a volte, ombrosi e giganteschi lungo la strada assolata che da Polistena corre a Melicucco. M’assordava il gracidar delle rane nei fossi, che spargevano al vento l’odor putrido dell’acqua rancida dei pozzi, e il frastuono delle cicale che affollavano i loro tronchi odorosi. E mi rivedo, confuso alle radici contorte, coperto dalle felci che ricamavano la campagna incolta, ad aspettar mio padre per una sosta dal faticoso lavoro che compiva. E gli uccelli saltellavano tra i rami, i cardellini beccavano le rade spighe della piantaggine che ornava i sentieri dismessi e lanciavano segnali d’allarme ai miei movimenti inconsulti. E non v’era rumore di motori e la natura olezzava per i fieni appena tagliati e lo spirito affrancava. E quel silenzio mi colpisce il cuore, oggi, che il rumore mi opprime e la pace è una dimensione ormai dimenticata. Vecchio albero Quanto a me rassomigli, vecchio albero che sulla Via Marina te ne stai, appesantito dagli anni e dalla mole, con le radice nel terreno fisse, che t’aggrappi sul prato verdeggiante quasi avessi timore di cadere. I nostri anni sono passati in fretta: eri un gigante allor, che giovinetto sostavo all’ombra dei tuoi rami e la frescura m’indorava la fronte e la ragione. Ed ora ti riguardo con le tue forte vene, identiche alle mie, che ricamano il prato e a me la pelle. Ti osservo dolcemente e al cuor m’infondi una serena gioia e un sentimento che tutto intenerisce lo spirito e la mente. E lì te ne starai, impassibile ai venti e alle bufere, a ricordare ai posteri mare mossi e tempeste, ruggir dell’onde sull’ispida scogliera e cantico di uccelli che per tant’altri lustri ancora intesseranno tra i tuoi rami i cori mentre il sole scompare dietro i monti e gli amanti proteggerai con cura e amore abbracciati ai tuoi piedi onnipossenti. Ciao Tiziano Potessi scegliere la morte da fare, vorrei morire così come hai pregustato la tua sotto un albero all'Orsigna. Anch'io aspetterei la compagna odiata all'ombra d'una quercia ed afferrerei la sua mano con rabbia ed amore. Lei mi lascerebbe osservare con intensità i prati baciati dal sole e pettinati dal vento. Non sarebbe impaziente a trasportare via la mia anima, ma aspetterebbe che il corpo si saziasse del profumo dei fieni e dei fiori del bosco. Sederebbe al mio fianco ed indosserebbe la cappa azzurra del cielo e si coprirebbe con il verde che inonda l'Appennino Tosco-emiliano. Insieme a me bagnerebbe il viso con l'acqua frizzante e gelida dei ruscelli che rincorrono al piano il Reno e poi mi trasporterebbe tra le nubi abbandonando il fardello inutile del corpo con i suoi dolori e le sue pene. - Al mio maestro di vita Tiziano Terzani prematuramente scomparso - Attimi di follia L’ira arroventa il cervello: bolle e sbolle in par misura e si sognano cattiverie indicibili. La parola sfugge, inconsulta, rabbiosa, offensiva. Se la ragione non la tenesse al guinzaglio, come un cavallo bizzoso o un cane rabbioso, l’impulso la soffocherebbe in un mare di atrocità. Eppure l’irrazionalità non é una cappa occasionale che si indossa solo in rare occasioni. Albeggia nel cervello umano in par misura alla bontà e all’amore e in un attimo oscura e distrugge una vita di razionalità. Pasolini Sulla spiaggia è rimasta una traccia, una traccia è rimasta di sangue. Una scheggia di legno ha cambiato colore, ha cambiato finanche l’odore. Sulla spiaggia è rimasto un poeta, con la testa che non sa più di nulla, che non scrive più versi sui fogli, che non loda più i poveri e i servi. Un poeta ch’è morto d’un colpo per aver amato la gente, che nutriva un amore un po’ strano, che voleva un amore diverso. Ora il mar rumoreggia la sera ed un’onda pulisce la rena da quel sangue che tutto ha imbrattato, da quel sangue che ormai più non scorre nelle vene di un uomo un po’ strano, che veniva da molto lontano e che più non distende la mano, e che più non lancia sorrisi all’amante che un dì l’ha tradito. L’ha tradito per venti zecchini. per un gruzzolo senza valore, che qualcuno gli ha un giorno donato per chetare un cervello parlante, per zittire un cervello sapiente che non da più fastidio ad alcuno, che non lascia più orma o semenza, che non scuote più alcuna coscienza.. Perché? Perché mi è stata negata la vita? Perché? Perché mi è stata negata la gioia? Perché? Perché il mio cuore non si è inebriato d’un piccolo amore che s’è inabissato lungo una spiaggia deserta e selvaggia? Perché? Tempo ingrato Non ho avuto il tempo a fare il padre, e qualcuno m’ha impedito anche di fare il nonno. Non ho avuto tempo a veder crescere un figlio, a raccoglierne le gioie ed i bisogni. Non ho avuto il tempo, o forse qualcun me l’ha negato! Non so che colpa mai commisi, ne di che orrendo delitto mi macchiai. Le colpe altrui assommai sulle mie spalle, e come un Cristo in Croce le accettai. Ma ora il tempo passa; e dell’amor negato, dei primi sorrisi persi, dei vagiti che non ascoltai, delle manine tenere che non accarezzai, cosa ormai più rimane? Qualche aurora che sorge, ancora, ed il rimpianto d’una vocina smarrita in qualche angolo di mondo che non ha allietato i giorni andati, che non possono mai più tornare, e che non possono mai più essere in modo alcuno un dì recuperati. Il giudizio Uno sguardo, debole, impercettibile, inscrutabile, mi sta di fronte e giudica. Sentenze pronuncia e condanne sentenzia. Guarda la crosta dura, e non scopre il profondo. Scruta le sue apparenze e non i sentimenti. Aleggiano i pensieri, turbinano negli spazi confusi e impercettibili. S’agitano nell’inconscio, emergono spiragli di verità nascoste. Orgoglio e pregiudizio, odio ed amore inutili, rancori e solitudine affiorano incomposti da un animo turbato, represso, a cui è mancato amore. Si inseguono tramonti, soli splendenti a sera, lagune rosseggianti. Qualche stella cadente scivola su un cielo terso che alla vista nega vite remote: astri e pianeti che splendono confusamente e muoiono senza lasciare traccia, senza più sentimenti. Lo sguardo indaga! E la coscienza muore, consunta dall’incuria dall’assenza d’amore. Divinità e ragione C’è un Dio sconosciuto che s’agita in petto e i miei sentimenti compone. Non chiede mai nulla ma tanto pretende ed impone. Non vuole preghiere, ne ceri o rosari. Non vuole santuari, ne preti o mercanti. Non vuole fioretti ne voti o rinunce. E’ un Dio petulante, che guida il mio cuore e muove i miei passi con forza e ragione. E’ il Dio della gente che ripudia la guerra (non vuole e neppure pretende che si uccida in suo nome). Non vuole la guerra ed ogni altro massacro che l’uomo propone ogni giorno alle genti. Non vuole ch’io offenda ogni altro fratello che affolla la terra, sia bianco che nero. Lui chiede rispetto verso ogni nazione, lui chiede un amore che solo pochi san dare. Un amore non scritto in libri o vangeli, un amor che si legge sulle ali del vento, un amore che giace dormiente nel cuore dei giusti, di quelli che hanno ancor san l’intelletto. E’ l’amore di quanti hanno “cuore” e “ragione” disegnato nel petto. Lacrime perse Ma a cosa servono queste mie lacrime perse? Lo sconforto alimentano e l’affanno, pace non danno. Il petto opprimono e la mente, e cupo l’animo fanno. Ma il cuore sgombrano e diradano le ombre che imprigionano i pensieri ed i sentimenti offuscati dal dolore. Lavano la tristezza e fan defluire pene e rancori. Anniversario 2004 (98 anni) La voce mia ascolti in questi giorni, mamma mia cara mai dimenticata, ascolti la mia pena e i miei rimbrotti ma aiuto non mi dai e neppur puoi. Le colpe mie t’addosso, i miei dolori, e forse soffri in cielo (o in altro posto) leggendo in cuore tutti i miei conflitti. E nulla puoi, mamma mia tormentata, disperata. Ma avverto sul mio viso la carezza che con dolcezza mi donavi un tempo e rivedo ancora sul tuo viso anche il tuo flebile ed ultimo sorriso. Amore mio lontano Amore mio lontano, che mi torni al pensiero ogni mattina quando apro la vista a un giorno nuovo, che risento sul viso la carezza che lievi mi donasti quella sera, con le lacrime intense sul tuo viso per quell’addio sofferto e maledetto. Quante volte avvinto dai conflitti a te tornai in cerca di sollievo, quante volte il nome tuo invocai per rinfrancare lo spirito e l’affanno. E quasi sempre, la tu voce antica, con tono dolce giunse nel mio cuore a riportar la pace e una carezza all’animo sbattuto dai pensieri. Ed ancor oggi con te resto a parlare, ancor oggi che soffro e sono triste, sento la mano tua sulla mia pelle sfiorarmi il viso e nuovamente mi pare d’ascoltare la voce tua che giunge da lontano a rincuorare lo spirito che soffre, a sollevare l’animo ch’è nero. Voli solitari Solca il cielo silente portato dal vento, dalla corrente ascendente. Le ali planano lievi, si lasciano andare adagiate sul nulla, che scivola e corre su un cielo dipinto d’azzurro con qualche nuvola bianca, che, stanca, appare da un vecchio pennello che colora una vecchia calotta di mondo che il tempo non può mai cambiare. Un urlo, anzi un roco schiamazzo che sale sui tetti e impatta sui vecchi palazzi baciati dal sole che il mare osservano muti. Le rocce non sono più poggi sicuri: sui tetti vi sono ancora disperse le tracce d’una sola covata, di gusci e penne sgualcite e qualche pulcino indurito che al sole ha donato la vita ed un lontano saluto, che ormai s’è smarrito nel vuoto del cielo che, lieve, dipinge il suo ultimo volo. Il chiassoso richiamo rimane senza alcuna risposta, quasi fosse una voce nascosta che non vuole più farsi sentire, che vuole in pace morire. Volontà di lottare La tua volontà di lottare è come un muro di cartone che crolla alla prime gocce d'acqua. Proprio adesso che l'obiettivo é vicino ti arrendi, rinunci ad un mondo senz'altro migliore. L'ingranaggio del sistema ti ha stritolato ogni logica, ogni sentimento. Ed anche tu corri, verso un traguardo di valori irrazionali e rinunci alla vita. L u c e Offrimi un bicchiere di luce, dammi un assaggio di giustizia, indicami una strada diritta. Dovunque guardo vedo il buio, ascolto voci di oppressioni, sono incerto sul sentiero da percorrere ed il silenzio non offre risposte alle mie domande, non scioglie i miei dubbi e le mie incertezze. Mani Mani, mani callose e nere che hanno rivoltato la terra e fatto crescere gli alberi. Mani, mani affusolate e bianche che hanno estratto melodie armoniose scorrendo con rapidità su una tastiera. Mani, mani inguantate e rosse, rosse di sangue, che hanno estirpato il male da un corpo ormai guarito, che hanno fatto emettere anche un primo, flebile, vagito. Mani, mani impietose e vili che hanno impugnato armi e falcidiato vite, spesso innocenti. Mani, mani tremanti che hanno lenito il pianto, addolcito le deboli speranze con una carezza lieve passata sopra il viso. Mani, mani supplicanti, che invocate la pace sulla terra, che sperate in un gesto pio che riporti gioia e serenità là, dove la prepotenza, soffoca, senza pietà, ogni nuova speranza. A Marco Pantani Vola, vola, Pirata! La vetta già la conosci, l’hai conquistata tante volte con la tua bicicletta e il tuo sudore. Le nuvole t’hanno già accarezzato ed anche l’azzurro del cielo t’ha inondato le spalle e t’ha riempito il cuore di gioia. Il tuo ultimo sprint t’ha visto solo al traguardo senza i tuoi fans o le folle urlanti lungo le strade che hai percorso vincente. Vola, vola Pirata! Resterai per sempre tra noi, con la tua bandana al vento e la tua maglia rosa mentre ci saluti sorridente all’arrivo della tua ultima tappa. Donne di vita Maria, povero nome, sussurrato nell’ombra d’un viale, al freddo soffiar del maestrale, al tenue chiarore d’un lampione.
Maria, docile e vinta, ogni sera replichi il copione della donna allegra, generosa, recitando una parte disgustosa per attrarre un possibile cliente.
Tratti, concordi il prezzo di una prestazione sconveniente, per un attimo di piacere amaro, che simuli col tuo amante ignaro per rendere credibile un rapporto.
Maria, donna smarrita, che t’inchini con umiltà e trasporto davanti al Cristo prima d’uscir la sera e reciti sommessa una preghiera mentre passeggi tra i platani sfioriti.
Preghi, forse, tu un Dio che non distingue tra cuori pervertiti? Tra quello d’una borghese interessata e quello d’una donna sfortunata?
Per questo io ti stimo, Maria; colgo la tua sofferta decisione di simulare voluttà e passione stando col tuo cliente occasionale; e poi ti segni... quasi ad allontanar da te ogni male. Il senso della vita Mi sono chiesto centinaia di volte Ma quale scopo ha questa nostra vita, I dubbi tanti e le domande molte e l’incertezza dentro il cuor scolpita.
Da bimbo per un nulla mi crucciavo: spesso le lacrime scendevano copiose e col dorso della mano m’asciugavo gli occhi e le rosse gote freddolose.
Poi arrivava mia madre, poverina, che trepidava solo se accennavo a un lieve pianto, e tutta premurosa m’accarezzava mentre sussultavo.
Ma or che adulto sono diventato Nessuno più mi tende un fazzoletto, e tante volte mi sento un disperato ed a pensare, me ne resto a letto,
a questa vita che m’ha disgustato. Misteri e fede Vedo lontano onde marine agitarsi, rincorrersi biancheggianti, ripetere all’infinito energie possenti, inabissarsi e riaffiorare per poi lambire orche e delfini, tutti fluttuanti entro un mare in tempesta, rumoroso, terribile, inflessibile. Anche se la quiete ritornerà mai il mio animo avrà tranquillità! Rimango affascinato e immobile, mi sento un invisibile atomo di fronte a tanta immensità e grandezza. Ti odio universo, amo, però, i tuoi misteri, resto ammaliato da un Dio perverso e buono inutile e potente. Nebbia Mézze son le persone e se ne vanno sotto il mantello fitto della nebbia tra il guazzo dei viali opacizzati. Ombre vaganti e pallidi scenari, fugaci fantasmi e aloni rosseggianti come lune calanti che svaniscono tra scheletriche opacità d’alberi spogli del vigor dell’estate. Rosae, Rosarum Rosae, rosarum, rosis… A volte risento, cantilenando ascolto, voci lontane, perse nel buio d’una scuola dimenticata, in aule adibite ora solo a deposito di vecchi scartoffie, con i compiti legati e ammucchiati uno sull’altro, che si abbracciano, stanno vicini e si raccontano le storie di sempre. Rosas, rosae, rosae… Prima declinazione plurale ripetuta a piena voce, in uno stanzone freddo illuminato da una scarna lampadina. E quelle voci lontane, trasformate, diverse, a volte allegre o sgraziate, sono sparse nello spazio e da lontano inviano messaggi che nessuno più raccoglie. Volo con i pensieri Volo con i pensieri, costruisco situazioni fantastiche che le mie repressioni non osano presentarmi. Ti rivedo di fronte a me e vorrei offrirti il mare di gioia che provo in questo momento dentro il mio petto. Le mie fantasie mi opprimono! Immagino situazioni indecenti e volo con i miei pensieri sulla tua pelle, che sento vibrare sotto le mie dita mentre scorrono sul tuo corpo. Le tue nudità mi si presentano violente nella semplicità dei tuoi anni. Ti guardo e ti sogno e ti vorrei, così, come ti vedo, con la pelle bianca e morbida ed i capelli sciolti sulle spalle. Aspetto che la luna illumini i tuoi seni tondi e sodi e sogno i tuoi capezzoli eretti che mi stuzzicavano le labbra in un gioco lascivo e tenero sfumato in una notte di fine estate su una distesa di luci tremolanti che cullava stanche barche ondeggianti su un mare di tenerezze e di passioni. Nella pianura di Pristina Ma poi è tornato il sole... Da un tronco, squarciato da una bomba, è spuntato un ramoscello. Da una tenda tra le mille sparse nella piana di Pristina s'è levato un pianto d'un neonato. Dal fianco della montagna è sgorgata una nuova sorgente d'acqua pura. Tra le nuvole nere s'è spento il cupo boato del tuono ed è apparso l'arcobaleno. L’ultimo desiderio Vi prego, amici, almeno adesso che sto per lasciare questa vita, vi prego d’ascoltare l’ultimo mio desiderio che voi dovrete soddisfare. Non urne illuminate, non fiori sorridenti sulla tomba, non dimore di lusso alle mie ossa. Solo polvere io voglio diventare appena l’ultimo respiro s’è involato e gli occhi stanchi la luce del giorno avranno abbandonato. Solo non mi chiudete tra il liquame d’una bara oscura e inospitale. Il corpo mio libero lasciate che voli negli spazi illuminati e non venga rinchiuso in una cella triste d’un camposanto ricco sol di tristezza e pianto. Spargete la mia cenere sul mare, sulla mia spiaggia dove sono nato, sulle colline dove giovinetto liberamente ho corso ed ho giocato. Vi prego, amici miei, non ascoltate il cuor dei miei parenti, disperdete il mio corpo incenerito nella mia terra, che un dì ho abbandonato, ch’io possa riabbracciar le care zolle che un tempo ho calcato allegramente, ch’io possa dormir felice in mezzo ai fiori c’hanno addolcito la mia verde estate, affinché io ritrovi gli anni che ho perduto e il dolce abbraccio del sole che ho lasciato. Nulla Oltre l'immensità la pupilla si scaglia quasi a confondersi con le bellezze che ogni angolo di terra nascondono. E come un bruco scivolano sul terreno, papilli tattili, per riempirsi del bello e per quantificare nel nulla lo spazio infinito che rimane da scoprire. Io non vivrò abbastanza per colmare di gioie il mio cuore insaziabile, avido di colori e di musica. Ma la carezza di un bimbo, sul mio letto di morte, un nulla, sarà il messaggio più bello d'una gioia che si ripete, di una vita che si rinnova, in eterno. Nuvole procellose V’amo, nuvole procellose che vi rincorrete cupe nel cielo. Amo la vostra spavalderia nello sfidare la ragnatela dei fulmini che v’avvolge e dei tuoni che vi scuote con assordanti boati. Resto ammaliato di fronte alla potenza dell’energia che racchiudete. Miliardi di kilovattora dispersi a vuoto per i prati, scaricati sopra le montagne. Acqua torrenziale che si disperde e in un attimo travolge centri abitati e pascoli selvaggi. Dalla finestra intensamente osservo questo immenso furore mentre alcune gocce d’acqua mi bagnano la fronte quasi a ricambiare, con una carezza lieve e delicata, il mio infinito amor per la natura che grandiosi visioni mi regala di gioia e di terrore in par misura. O vita Oh, vita! Oh, giorni che passano e vanno e mai sono uguali a se stessi! Pigri oggi e domani pieni di vita; poi allegri, ed a volte funerei. Oh, vita, che passi, che vai come una foglia appena spuntata su un ramo col suo verde bambino, del colore dell’alghe del fiume. Poi splendente d’un verde smeraldo, forzuta, come il dorso d’un uomo nerboruto, che sfida il suo tempo, saldo, sicuro, dondolando su un ramo robusto. E poi, d’un colpo, ingiallita, con le forze che perdono il vigore d’un tempo ed il vento che la strappa impietosa dal suo nido sicuro, la piega come un vecchio ormai senza vigore e la porta lontano, rotolando per strade e sobborghi, come un vecchio barbone indeciso. E poi muore! E più non ricorda il suo primo mattino d’un marzo ormai andato, ne le carezze del sole e del vento, o il bacio dell’acqua che ormai più non la sfiora. Alla mia vecchia auto Ti sto pensando mentre t’accartocci in quella pressa che ti sta stringendo, tu, che per tanti anni fedele mi hai servito e con pazienza in giro per l’Italia m’hai portato. Hai sofferto il caldo dell’estate, il vento e il gelo più volte t’ha investita, sempre ti sei fermata al punto giusto rispondendo ubbidiente a ogni frenata. Ora che vecchia, però, sei diventata (ma gli anni li portavi ancora bene) t’ho dovuta lasciare, amica cara, abbandonata dentro ad un piazzale. Ma ti penso ancora e molto mi dispiace che come un tempo più non potrai servirmi; ma sei stata per me come una mamma e con affetto io ti dico: addio! E ti prego di volermi perdonare se addolorato ma senza intervenire ti lascio da una morsa crudele stritolare. Primo Gennaio 1993 Dormi, Aosta, coi tuoi vicoli muti e i pochi rintocchi delle campane di Sant’Orso che ti invitano alla celebrazione di questa prima Eucaristia: ma tu dormi! Le tue strade deserte, neppure il rombo di un motore; e, tu, sempre dormi, Aosta! Vegliano le tue montagne: Colonne d’Ercole che, nell’immensità di questa prima nuova giornata, si stagliano bianche in un cielo terso d’azzurro. Dietro un balcone un cane, bianco e nero, scruta nell’orto vuoto e bianco di gelo. Una cornacchia picchia col becco i vetri d’una finestra in cerca della prima colazione; e, tu, ancora dormi, Aosta! Solo l’orologio della cattedrale continua ostinato a battere le ore: ci ricorda che, col sole o la pioggia, il tempo, inesorabile, continua a passare. Quante volte Quante volte sognai d’andare in volo sopra l’onde increspate del mio mare e riposarmi sopra il vecchio molo o dentro i flutti tuffarmi per pescare.
Rivedere le spiagge del passato, i sassi, a volte neri di catrame, il mare dove un dì abbiam giocato, lo scarno cibo in pentole di rame.
I tavoli di legno con le panche, le tende attorno e gli ombrelloni vecchi, le sdraio dove posai le membra stanche, e i panni stesi sopra quattro stecchi.
Piccole cose, allor preziose e care, che con poco s’era già contenti senza l’auto e senza il cellulare con le sue suonerie intermittenti,
contenti di fare la corte alla ragazza, e le mamme a guardare indifferenti richiamando al dovere quella pazza quando si allontanava dai parenti.
Quante volte, dai marosi della vita, approdai al mare mio tranquillo e m’aggrappai agli scogli con le dita fuori dal mondo, fuori dall’assillo.
Quante volte sperai di ritornare per ritrovare sentimenti e affetti, ma queste cose sol potei sognare e dentro il cuore me li tengo stretti. Neve di marzo E’ Primavera?
Quasi! Ma le bambine più non si svegliano come in passato a coglier fiori di pesco a primavera. Ora il tempo è impazzito e se ne va, felice, a marzo, a sbeffeggiar le previsioni che nessuno più ormai riesce ad azzeccare. Ma il pianeta non si sta surriscaldando? Forse! Ma la neve caduta abbondante qua e là per lo stivale prova proprio il contrario. Ed in pianura, lungo i dorsali che s’affacciano verso le coste, lungo le spiagge battute dai marosi l’acqua salsa scioglie la neve che si confonde col mare. E la natura risponde a suo modo alla sfida dei turbamenti che l’uomo genera e incoraggia. E la lotta sembra incruenta e la sconfitta dell’umanità evidente. Testimoni La tua presunzione, uomo, rasenta l’ilarità.
Tu bussi alla mia porta di Dio ti sforzi di parlarmi, diritti accampi ed anche privilegi, rivendichi una patria promessa alla tua razza su un monte nel deserto. Sventoli un libro che tu dici sacro dove qualcuno ha scritto di questo tuo diritto. E non t’accorgi, poi, che in nome del tuo Dio il fratello l’altro fratello uccide, e l’umilia, e lo sospinge fuor dalla sua patria, e proditoriamente lo depreda.
E ti sforzi di parlarmi di prossimo e d’amore, mentre la mano tua nasconde una lama pronta ad infierire se la tua verità non assecondo.
Così tu contrabbandi per divino un testo scritto da una mano umana nel deserto egiziano, un testo più volte adattato e rivoltato, come un abito vecchio ed usurato che un abile artigiano ha accomodato ma lasciando scoperte, qua e là, toppe e difetti, sistemando le righe e le parole agli interessi di servi e di padroni.
Il mio Dio nel cuore se ne sta rinchiuso e a libri ed a libelli mai la sua opra pone. Alla mia coscienza li scuote e li schiaffeggia se il prossimo mio dimentico d’amare, se agli altri un torto faccio o quello che a me vorrei non fosse fatto.
Questo Dio non ha bisogno altari, né chiese, né cappelle; non ha bisogno Sale, neppure Cattedrali. Rinnega i falsi profeti, rifugge da veggenti che scorgono santi e madonne piangenti in antri antichi o tra rovi in fiamme.
Questo Dio richiede solo amore, da donare senza aspettarsi nulla. Non chiede guerre, non rivendica crociate, non vuol persecuzioni, nega le inquisizioni, e non accetta intermediari in terra che presuntuosamente parlano in suo nome per dire ciò ch’è bene e ciò ch’è male che chi ha buon occhio da solo può vedere.
Questo Dio è dentro al tuo cervello! Non resta immobile tra ceri sull’altare, ti sussurra in silenzio, senza far rumore, ti parla, e se tu vuoi lo puoi ascoltare: ti basta aprir la porta del tuo cuore. Ragnatela D'un tratto la mia fronte bagnata viene coperta da una fuliggine appiccicosa che mi richiama antichi timori d'una infanzia remota. Sbalzo all'indietro per sbarazzarmi d'un colpo dell'ospito indesiderato che penzola dai vestiti. Lo depongo su un ramo vicino da dove svolazzano i fili ormai scomposti della sua rete distrutta e rimango fermo a guardarlo mentre paziente comincia a ricostruire la sua risorsa di vita. Sentieri lontani (10 Agosto) Pianto di stelle, pianto di madonne, lacrime perse nel firmamento azzurro. Stelle cadenti, ombre di colli stanchi. Arsura in gola, voglia d’un respiro sospeso tra cielo e mare che volo di rondine colora. Anni pensati a sera a costruire un aquilone bianco che non vola. Miserie accovacciate all’angolo di una notte bruna, che carezza la terra ed invano incrocia gli sguardi e tremula la mano tende. Solo silenzio ed un brusio di grilli nel costone d’una vecchia ferrovia persa nel buio d’una notte d’estate ormai finita. Sola beatidudo Aspettavo un dì, che ormai più non ricordo, un treno che da Lecce portava a Galatina ed ingannavo il tempo passeggiando in un quartiere semi abbandonato che un dì sorgeva vicino alla stazione. In mezzo a tante case desolate apparve un vecchio cancello sgangherato, appoggiato ad un muretto ormai in rovina. Lessi una scritta, incisa sopra un marmo ancor solido e bianco, “Beata solitudo Sola beatitudo” che la curiosità nel cuore risvegliò e che mi spinse ad entrare in quel giardino affastellato. V’erano ancora diversi alberi da frutto: arance, pesche, albicocche, mele, fichi, melograni, ulivi, mandorle, susine ed anche un vecchio pozzo, tutto intarsiato fuori e vuoto d’acqua. Non si scorgeva il fondo, e qualche sasso che buttai dentro la bocca del suo ingresso si esaurì, con un debole rumore, scomparendo in breve dalla vista. Pensai, allora: “Che strano personaggio avrà un dì abitato in questa villa”? “Quale infelicità l’ha tormentato per lasciare tale scritta in sua memoria”? “Sarà vivo tutt’ora e si dispera d’aver perso un dì la beatitudo”? Sicuramente un tempo cresceva rigogliosa in mezzo ai campi, prima che le costruzioni non l’avessero affogata lentamente, spingendo il proprietario a ricercare la sua pace nella tranquillità della campagna e nel silenzio della sua natura. Ma quella scritta, impressa su quel muro, mi tormenta ancor oggi la memoria, perché rivedo in me, quell’uomo solo, alla ricerca d’un mondo ch’è finito e che ritroverei in quel silenzio, che certo donerebbe alla mia vita pace, serenità e la beatitudo che solo può donar la solitudo. Parole perse Dove saranno finite tutte le parole che mi sussurravi? E le promesse ed i progetti su quali spiagge si saranno arenate? Che buffa la vita e come dolorosi i ricordi! Fischietti indifferente, a volte, quasi a voler dimenticare il passato. Ma le carezze antiche ti riportano il tatto ed il calor della pelle che le tue mani avrebbero distinto tra mille altre mani. E nel buio della notte senti un alito sul tuo collo ed un respiro intenso e sofferto che ti sussurra qualcosa che inutilmente cerchi di ascoltare, che disperatamente non riesci a capire. Miss 'nciucio Un suono mi giunge, lontano! Ascolto: la mano sui tasti veloce carezza il bianco ed il nero. Parole schizzano ardenti, armonie nuove e vecchie, suadenti. Ripeto un fischio: un segnale che solo io e lei capivamo. “Passa e spassa miss 'nciucio, ciù, ciù, ciù nun trova pace”, e risento quelle note ancor volare dal verone, ed io le ascolto con un senso di dolcezza dentro il cuore. Quelle note che non ho dimenticate, quelle note che più volte sono tornate, quelle note che avrà anche già scordate? Diversità Io ho freddo, ho freddo! Il mio corpo é un bagno di sudore; il mio cervello impazza, tambureggia d'idee di folli propositi che tali non sono. Vedo dentro di me l'immagine distorta dei miei concetti astratti, leggo nel mio profondo le finzioni per un rapporto che sa di irrazionale e contorto. Mi sforzo di sentirlo diverso, spregiudicato, non conformista, libero. Ed, invece, l'oppressione, l'educazione, la religione, il costume, la violenza materna, continua. Vorrei fuggire, a piedi scalzi, nudo sull'erba di un prato, magari sotto la pioggia, per sentirmi diverso, lavato nei pensieri, unico esemplare di un mondo di immagini irrazionali e di finzioni. La baraonda Di’ quello che ti pare: tanto le tue ovvietà non cambieranno la storia. I soliti pappagalli reciteranno a memoria la lezione come bambini ubbidienti e la massa informe continuerà a ripetere: beeee…beeee… Inutilmente ti ribelli: la tua disobbedienza non disturba più di tanto i manovratori e la nave cambia rotta e destinazione in cerca di nuovi porti e di nuovi marinai. Dallo schermo, insensibile alla tua indignazione, il nuovo potere ti beffeggia e ti umilia. Invano cerchi una ragione logica che giustifichi le nuove scelte che risultano non rinviabili. Come sempre sarai tu a pagare! E l’indifferenza dei più sembra dar ragione e approvare una strana forma di giustizialismo che i nuovi governanti diffondono come solerti seminatori certi che il drago continuerà a dormire. Un’anima Per un attimo riprovo l’ansia di giorni quasi scordati, sepolti nell’indifferenza del tempo che non perdona. Un angolo di vita, che si riaffaccia a scavarmi nei solchi del cuore quasi insecchito dei sentimenti. E balzano innanzi lievi tremori di adolescenza buttata dietro le spalle, come un sacco pieno di inutili cose in cui ogni tanto rovistare per cercare un pensiero perduto, un sentimento forse dimenticato, mai più provato. Piccole gioie di una parte di vita che non si riesce a scordare, piccolo dolore, forse grandissimo, forse insignificante, ma che scava sempre nei ricordi del tempo. Immagini ormai sbiadite di cose un dì possedute, di cose anche vissute insieme a qualcuno che, forse, ora, in questo preciso momento, ricorda, con me, quasi in silenzio, per pudore d’essere inteso, per paura d’esser scoperto. Emozioni lontane Albe mie ingrate, voci solitarie che veleggiando andate verso approdi a me ignoti, colori della terra e dei boschi, cangianti all’ondeggiare del sole, brezze solitarie del vento che m’accarezzate la fronte sudata ed i capelli scomposti, un pallido sorriso regalate al mio animo in pena. Invano cerco negli approdi in disuso imbarcazioni che a lungo sognai nelle mie primavere lontane. Rade e golfi, baciate dall’onda malinconica o schiaffeggiati dalle mareggiate infuriate, disegnate ancora per me i colori che un tempo riempivano di gioia e di piacere il mio animo assetato di emozioni sempre rinnovate. Inutilmente inseguo stagioni che non si ripetono, sensazioni mutevoli che mi lasciano in cuore solo il rimpianto per un amore finito e per una carezza ormai dimenticata. Lago Sirio Me ne vado in silenzio, lungo la sponda tranquilla del lago. Ascolto i richiami della cinciallegra, il canto dell’usignolo ed il lieto fischiettare del merlo. Un chiacchierio confuso, tra i rami dei salici che accarezzano l’acqua increspata, m’addolcisce il cuore e distende la mente. Un cigno bianco sfiora la superficie lucente e disegna ali di rondini che si dispiegano quasi a spiccare il volo. Un angolo di mondo fuori dalle anormalità e dagli orrori. Un attimo di gioia: poi il rumore di un aereo di guerra scompone l’armonia che mi circonda e lascia una scia nera e paurosa nello specchio dell’acqua, che si turba. Bibbia Lieve sfoglio quel libro: le parole si affollano come un mare di gente tra i banchi di un Supermarché. Cerco il bene ed il male: una girandola di scatole e di barattoli, saponi e detersivi che non riescono a lavare la coscienza del mondo. Per via Accarezzo le immagini dei viandanti che si perdono per strade silenziose. Ombre che si accalcano sulla scena della vita, che giocano con le loro anime e ruzzolano negli stagni dove l’acqua ristagna e sa di putrido e stallattico. Il gioco si ripete all’infinito: corpi che non sanno di nulla, cervelli che hanno rinunciato al domani. Eppure i loro occhi guardano in silenzio, e vedono forse orizzonti che a molte normalità ormai sfuggono. Le loro angosce non ci appartengono, il febbricitare della loro fronte non ci interessa, la loro umanità appartiene ad un mondo a noi sconosciuto. Inutilmente accarezzano la mano del compagno ammalato: una scodella di latte bollente trabocca su un fuoco improvvisato e solleva un fumo denso e asfissiante che oscura le nostre coscienze che hanno dimenticato solidarietà e amore. Fugaci emozioni A volte vorrei risentire il rumore dell’onda frangersi sulla mia spiaggia pietrosa sotto il Monumento ai Caduti oltre la ferrovia. Osservo con intensità e gioia soffocata, su questa spiaggia di Maremma che mi culla pensoso, l’onda che va e che viene. Ascolto il mare spumeggiante, che m’accarezza le gambe, e spingo il pensiero oltre la laguna dell’Argentario quasi a ritrovare l’onde che un tempo mi lambivano il petto e che sono arrivate dopo tant’anni su questa spiaggia sabbiosa. E l’illusione mi fa rivivere giorni incantati, giorni felicemente consumati che inutilmente accarezzo come se non fossero mai trascorsi ma che mi regalano illusioni ed attimi di fanciullezza perduta. Gloriana Un usignolo m’ha svegliato all’alba: di gorgheggi m’ha riempito il cuore, la mia giornata ch’era triste e scialba si è illuminata d’un tenero chiarore. Ed in mente d’un colpo son tornate parole e suoni antichi, a rinverdire le mie emozioni, ch’erano chetate, ché mia madre m’è parso di sentire quando seduta in casa a rammendare serena canticchiava “Voce e notte” ed io lasciavo lo studio ad ascoltare le melodie che ormai sono interrotte. Oggi, d’un tratto, di nuovo son tornate ad allietare la mia mente stanca dolci parole in canto accompagnate a ricordarmi la sua chioma bianca quando sfinita per il rassettare pettinava i capelli e li intrecciava non smettendo un istante di cantare e d’armonia la casa ci inondava. Grazie, Gloriana, per tutte le emozioni che il tuo bel canto oggi m’ha donato, ché nel cuor rinnovato ha le passioni, le gioie e i sentimenti del passato. (Per la deliziosa, sensibile ed armoniosa cantante napoletana Gloriana Imperatrice) Mercenari Buttare la propria vita alle ortiche! Per un pugno di sporchi dollari oscurare la propria coscienza! Per un ideale che non esiste vendere la propria anima a luridi mercanti di business! E tanti si chiedono di questa folle corsa per uscire dalla mediocrità, da una vita di incertezze e per costruirsi un futuro diverso. E quel pezzo di pane, negato da uno Stato che ti dimentica, l'ho trovi sfogliando gli annunci commerciali d'una multinazionale che non piangerà mai per la fine dei suoi uomini in guerra. Ed il solo pianto che conta resta al di là d'uno schermo TV, chiuso nel dolore immenso d'una mamma trepidante, d'una sposa ormai vinta, e s'infrange nelle fredde esternazioni d'un ministro indolente che serve un potere che manda i suoi figli al macello tra le dune d'una terra che non ci appartiene e che non ci desidera. Il sogno Un'auto sfreccia veloce, corre verso l'ignoto. Una brusca frenata e un salto su un vecchio veliero, a motore, rivestito di pelle, che sfiora un mare adombrato, affiancato a una strada d'un vecchio borgo ormai abbandonato. Ed un grande maniero, che tetro aleggia e copre la scena ammantata di ombre e mistero. Un gruppetto di gente che osserva: ed io chiedo, ad un tratto: - di quale nazione mai siete? - Mi risponde un biondo slanciato, con un certo italiano sforzato: - Europa - e mi sento commosso pensando al tempo passato. Attorno qualcuno che veglia seduto su vecchi gradini; in fondo i resti di case ormai vuote, sventrate, disegnano il cielo con tratti sconnessi, incomposti. Poi un prato sassoso, e un cane che sbuca da un masso, un vecchio collare un po' liso gli stringe un collo insecchito, le orecchie piegate all'indietro, gli occhi suoi buoni, le costole ricamano un corpo affamato. Scodinzola e guarda: s'aspetta qualcosa, anche un tozzo di pane, raffermo. Gli regalo una lieve carezza. Mi sveglio! Quel cane mi brilla negli occhi! Lo penso, lo cerco. Poi vedo il mio cane che russa tranquillo, pasciuto, accudito, servito. E una pena profonda m'assale pensando a quel cane, che sembra guardarmi, dal buio, con gli occhi suoi buoni che aspetta, ancora, qualcosa. Burqa Quelle bimbe vestite di nero, col velo in testa, nero, che pensierose mi osservano da uno schermo TV, m'inteneriscono, m'intristiscono l'anima. Sembrano macchie d'inchiostro che sporcano le coscienze dei popoli liberi. I cipressi di Pian dei Mucini Un cielo terso: l'azzurro occhieggia sorridente tra le nuvole bianche, che dolcemente incorniciano Pian dei Mucini e la Massetana. Là in fondo, quasi un disegno vivo, ondeggiano pigramente al vento: pennellate di verde riempiono la valle e inghirlandano il borgo che tenero li abbraccia, e sorride alla nuova stagione che regala le prime viole mentre la ginestra già tra i rovi occhieggia e i castagni corteggia. L'unione Io sono uno, uno o centouno fa lo stesso. Io sono uno, uno o milleuno fa lo stesso. Siano ancora troppo pochi per cambiar la storia infame. Uno sono uno, uno o diecimilauno, siamo ancora pochi per troncar la fame. Ma non sono più uno, ora siamo diecimilauno. Adesso si incomincia a ragionare questo mondo può cambiare. Inno alla vita Oh, vita! Oh, giorni! che passano e vanno e mai sono uguali a se stessi! Pigri oggi e domani pieni di vita; poi allegri, ed a volte funerei. Oh, vita, che passi, che vai come una foglia appena spuntata su un ramo col suo verde bambino, del colore dell’alghe del fiume. Poi splendente d’un verde smeraldo, forzuta, come il dorso d’un uomo nerboruto, che sfida il suo tempo, saldo, sicuro, dondolando su un ramo robusto. E poi, d’un colpo, ingiallita, con le forze che perdono il vigore d’un tempo ed il vento che la strappa impietosa dal suo nido sicuro, la piega come un vecchio ormai senza vigore e la porta lontano, rotolando per strade e sobborghi, come un vecchio barbone indeciso. E poi muore! E più non ricorda il suo primo mattino d’un marzo ormai andato, ne le carezze del sole e del vento, o il bacio dell’acqua che ormai più non la sfiora. I diritti delle bestie Slegate quel cane. Anche una bestia ha diritto ad un attimo di libertà per correre felice in mezzo a un prato. Ancora cucciolo l’avete abbandonato in quel recinto incuranti del suo lamento e delle sue paure. Il suo branco era la tua famiglia. Per qualche mese ha giocato coi tuoi figli, ha mangiato i suoi pasti in una casa tiepida con la tua famiglia che pensava fosse anche la sua. Poi una sera l’hai legato alla catena in un recinto all’aperto e sperduto nella campagna. I suoi guaiti si sono spenti col dolor della sua mente. Invano la luna ha ristorato con i suoi raggi il buio che l’abbracciava. I rumori della notte, i fruscii tra i cespugli, ed i lamenti di altri suoi compagni abbandonati da padroni ingrati l’hanno terrorizzato lungamente. Anche un cane ha i suoi diritti: il diritto all’amore, il diritto alla tenerezza, il diritto ad una carezza, il diritto di correre in tutta libertà per segnare i confini del suo regno ed annusare le visite di amici e di vicini. La rema Fragili corpi, esili braccia, insufficienti a spingere sul mare una pesante barca di vecchi pescatori, preoccupati ad affidare quella ch’era stata nel tempo l’unica fonte lor di sussistenza. - “Picciriddi”, attenti alla “rema” - sentivamo urlarci dalla riva mentre chiassosi e pien di frenesia nel mare si spingeva, agendo con forza sui pesanti remi, quella desiderata imbarcazione che riempiva di gioia alcune ore delle nostre giornate delle estati andate . Ascoltavamo la raccomandazione come i sordi percepiscono i richiami ed il pesante mezzo, vogando di gran lena, fino alla “botte” in mezzo al mare o sotto la rotonda del lido portavamo. Ma al ritorno la raccomandazione dei vecchi pescatori comprendevamo. Rema calante, rema salente! Tremenda corrente e gorghi paurosi che nel passato tanto timore infondevano in tutti i naviganti che tra Scilla e Cariddi solcavano quel mare. E quando l’urlo d’una barca vicina, “a rema”, ci avvisava del pericolo incombente era ormai troppo tardi per fingere d’esser sordi. E pagavamo con il sudore della nostra fronte, con la fatica delle nostre braccia e le vesciche delle nostre mani, la poca cura data a certi avvertimenti e l’incuria verso l’altrui esperienza. Ed ancor oggi, sdraiato su una spiaggia maremmana, penso al mio mare in questi giorni tiepidi d’autunno, e sopra l’onde mi ritrovo ancora, come un nocchiero antico, a spingere nel mare una barchetta ed i perigli e le correnti avverse, che la rema calante causava, cerco di raggirare e prevenire affinché la lezione antica non sia persa e serva ancora a colorir le menti per non ripetere gli errori del passato e tutti i guai che questi han comportato. Kaos Ali e voli: rondini in viaggio, falchi plananti su un cielo senza storia; mete agognate e mai raggiunte, pallidi occasi ed albe senza sole; ricordi e tenerezze, gioie sommesse, nel cuore custodite; rancori antichi e nuovi pentimenti; mani tremanti che cercano carezze, avare, che hanno evitato di donar quand'era il tempo; treni fluttuanti su rotaie che sfumano nel nulla, che vanno in esilio su binari morti. E tutto intorno gira la campagna, il sole sorge e nulla più mi dice, anche la gioia nel mio cuor ristagna e non riesco, oggi, di essere felice. Asfalto Il vecchio sentiero é scomparso. Un nastro d'asfalto l'ha coperto e l'erba é morta. Ogni giorno lo percorro in silenzio e penso ai rovi di primavera, c'hanno estirpato, e alle more d'agosto, che più non ho raccolto. La neve è di nuovo caduta, come un tempo di bianco ha coperto il catrame sulla strada. E poi la primavera é ritornata. Sul manto nero, qua e là, un ciuffo d'erba spunta e il vecchio rovo la vita si riprende sorridendo dall'asfalto che crepa e cede il passo alla natura. Rondini Rondini che sopra l'onde veleggiate, regalate un saluto alla mia terra quando in punta sarete allo Stivale. Sullo Stretto un poco volteggiate dall'alto rimirate casa mia che mi cullò con cura da fanciullo facendomi sognare ed anelare prode felici lontan dalla mia via. Cercate nei prati, se non soffocati da nuovi caseggiati o dal cemento, l'orma remota dei miei piedi scalzi, le rose rosse nei vasi coltivati. Forte aspirate l'aria della libertà, che mi sospinse via dalla mia terra in cerca di avventure ed emozioni rinunciando a quel che più non s'ha; perché era nel nulla la speranza, raccolta in poche cose pien d'amore, nelle carezze cariche di affetto, rimaste abbandonate in una stanza d'una casa lontana e senza vita, che ricambia da terra il suo saluto, che trattiene ancora i miei sospiri e quelli d'una madre ormai partita per approdi dei quali non so molto ma che spesso ritorna in quel rifugio, dove ancora intonar si sente un canto ed una prece a cui non do più ascolto. Ma chi ti pensa? Ma chi ti pensa, chi t’ha mai visto? Forse questo mi diresti se per caso t’incrociassi, per strada un dì, alla fermata di un tram. Ma che cerchi, che vuoi? Forse questo risponderesti al mio rimpianto per i giorni che felicità mi hanno regalato stringendo la tua mano lungo una stradina deserta. E forse hai tu ragione a conservare questo rancore nel cuore. Il vile sono io per non aver lottato per il trionfo dei miei sentimenti, che m’hanno regalato rancore e tristezza ma, ancor oggi, anche dolci pensieri. Profumi di infanzia S’io potessi un giorno ritrovare i profumi d’un tempo sicuramente chiuderei gli occhi per rivedere anche le piante ed i prati che m’accarezzavano il petto e la fronte bagnata dopo le mie folli corse di libertà. M’adagerei, sotto acacie fiorite a primavera o mandorli in fiore, a guardare le nuvole ricamare disegni nel cielo, oppure resterei immobile sotto un ciliegio per farmi ricoprire dai petali che il vento disperderebbe sul mio viso. Annuserei ancora le bianche corolle dei campanelli che ricamano ancor oggi le siepe di more e biancospino sorridendo ai viandanti come bimbi affacciati ai veroni di vecchie dimore abbandonate. S’io potessi, forse non tornerei più dai miei sogni ed affogherei in silenzio nel mare della mia fanciullezza. Le mie certezze Le mie certezze si sciolgono come neve al sole man mano che i giorni mi presentano il conto estremo. Coriaceo fui un dì, ricotta sembro oggi. Ed aspetto con affanno che arrivi il giorno nuovo aspirando, dietro la persiana, l’aria brumosa del mattino che si confonde con la linea lontana del Teso tra la nebbia che si dipana. Oasi lontana, acqua fresca di fonte, dolci gorgoglii di sorgente, chiacchierino frizzar d’acqua tra i sassi, per quanto ancora resterete a farmi compagnia? Odori di bosco Il mio sguardo si perde nel silenzio della sera. Sfiora le cime degli alberi che cambiano colore e sprofonda tra questi boschi maremmani che profumano di castagne e di coriandoli maturi. Assaggio i chicchi vermigli dal sapore asprigno e nel bosco disperdo i semi legnosi che rigiro in bocca dopo aver gustato la polpa matura. Quest’anno la pioggia è stata avara di carezze alla terra! Invano sotto i castagni cerco porcini od ovuli saporiti. Solo qualche solitaria mazza di tamburo biancheggia tra gli umidi cespugli ai margini del bosco. In tutte le Colline Metallifere invano i cercator di funghi percorrono i sentieri del sottobosco. S’ode lontano il deflagrar del fucil di qualche cacciatore solitario e l’abbaiar dei cani in corsa dietro qualche cinghiale impaurito. Rapido attraversa il sentiero un giovane cerbiatto e si disperde nella fitta boscaglia che l’abbraccia e affettuosamente lo protegge. Indecisione Ondeggio come i rami degli alberi, mi piego, m’agito, mi rivolto, sbatto le mani sui tronchi e mi confondo con le foglie; mi slancio quasi a spiccare un volo che rimane legato ad un filo come un aquilone. Le idee schizzano dalla mente, i pensieri s’intrecciano come una matassa di canapa, azionata dagli archetti che si trasforma in corda. Lunghi metri di noia, che scorrono, lentamente, pazientemente, e si depositano nei corridoi silenziosi della mente, dove le tempeste si agitano e m’avvolgono senza produrre frastuono, senza generare mutamenti. Ad Irene Quei quattro cani salvati dalla spazzatura hanno oggi la possibilità di scodinzolarmi mentre passo sorridente davanti al cancello della casa di Irene che li ospita e che li ha sottratti, grazie al suo amore, ad una fine orrenda. Quella gamba Quella gamba colpita sul Piave da una granata era stata legata con il filo spinato. Invano! Ora mi resta una stampella ed il disprezzo di un politicante bizzoso che scambia la pianura Padana come sua riserva di caccia. Quello che mi tormenta è la stupidità di chi crede alle favole dopo che una generazione è stata massacrata per costruire una Patria che ogni mese non onora i morti sul Piave ma indennizza profumatamente una schiera di opportunisti che non disdegnano una mercede dal Paese che dichiarano di non rappresentare e che vogliono liquidare. Naufraghi Quegli occhi che mi guardan dallo schermo, vuoti, attoniti, sconfitti, m’affogano tutta la coscienza. Quale nefandezza io commisi, di quale delitto orrendo mi macchiai per sentire le colpe altrui pesarmi dentro il cuor terribilmente? E’ vero! Forse la nostra civiltà, che vanta le sue origini umaniste, ormai è marcia e defunta. E il suo fetore ammorba le coscienze, offende i sentimenti. Un dramma che ogni sera si ripete. Rimbalza sugli schermi e ci dimostra le nefandezze del mondo occidentale, la sua brutalità che con tanta crudeltà si esprime e noiosamente poi si esaurisce nelle interviste e nelle discussioni nell’arengo del freddo parlamento. E quei morti avvolti negli stracci, sono soltanto inutili occasioni per celebrare il volto solidale d’un popolo che piange e si dispera e che poi affoga il proprio dispiacere davanti a una bottiglia di barbera. Spiriti Quando l’anima lascerà il suo involucro vuoto e si disperderà per lo spazio, si ricongiungerà a tutte le anime andate che gli verranno affettuosamente incontro. “Anche tu ci sei” dirà a quell’anima stanca che in vita non ha regalato neppure un sorriso. “Anche tu”, dirà, e chiederà scusa per i torti e i soprusi commessi. “Non fa nulla”, sentirà dire con dolcezza perché il mondo dei morti regala serenità ed amore. Non c’è più l’affanno e la foga del correre per conquistare beni che il tempo cancella; non servirà più la gloria o la vana illusione del potere, inutile nella nuova dimensione raggiunta; non c’è bisogno di beni di lusso, di case e di vacanze esose ché lo spirito non ha bisogno di panni e mantelli e raggiunge tutte le mete volute. Ecco, ora il ricco ha lasciato ogni affanno ed al povero tende la mano. Ora la pace non ha bisogno di cartelli o sfilate perché la guerra è un mostro lontano che non interessa le anime andate. Innaturalmente Scorre lentamente il ruscelletto, giù dalla china corre alla pianura, sulla sponda gioca un fanciulletto, un cervo osserva senza aver paura. Un usignolo s’abbevera a una polla, un merlo si bagna allegramente, agita l’ali, la testolina scrolla, e il piccolo invita dolcemente. Dondola al vento un prugnolo selvaggio, il sole filtra tra i rami d’un rosaio ed il sentiero indora con un raggio, l’animo allegra, lo spirto rende gaio. Scorre leggiadra l’acqua, chiacchierina, un lieve suono emette nel suo andare sguazza coi piedi allegra una bambina e s’adira con chi la vuol fermare. Una lodola canticchia sopra un ramo, un cardellino risponde da un castagno; un pescatore invano tende l’amo: la canna flette tra i sassi dello stagno. Guizza tra le torte radici della riva qualche trota: sparisce negli anfratti. Un grosso rospo goffamente arriva, gonfia le gote gracidando a tratti. Qualche farfalla con eleganza vola tra i rami ed il ruscello a tratti sfiora, un ragno su una tela fa la spola, e la ripara pria che il giorno mora. Una gioia serena inonda il cuore gustando le dolci vision della natura perché, allora, l’uomo semina terrore con guerre orrende e con la tortura? Missione umanitaria Ma per poche lire il gioco val davvero la candela? Partire volontari per una terra inospitale e ostile e ripetere all’infinito lo stupido ritornello del ruolo pacifista della nostra missione umanitaria. Ed io l’avevo previsto anzitempo: lugubre veggente di morte ho anticipato i tempi ed ho visto i muri e il selciato iracheno imbrattati di sangue italiano. E quei volti, oggi fraternamente vicini, sembrano gridarmi in faccia una maledizione annunciata. E dietro giocano sempre i soliti pifferai, che oggi sprecano lacrime (finte) e parole (che il vento disperde), mentre il dolore (vero) si intravede nella dignità delle madri disperate, delle mogli umiliate, dei parenti distrutti, degli amici addolorati. E nessuno rinuncia alla postazione: va tenuta per forza affinché al tavolo dei bottegai ci siano anche i macellai nostrani che nuotano e volteggiano nel sangue dei rappresentanti d’un popolo che ha sempre osteggiato la guerra. Ma la voce del popolo è corta e il suo potere nullo di fronte agli interessi nazionali che devono essere tutelati per forza. Ed allora, alè, al macello: nuovi giovani pronti a tener la postazione che profuma ancora di sangue innocente che nessuno si sogna mai di vendicare perché in fondo il nemico è sconosciuto e la guerra non è mai stata dichiarata a nessuno. Tornare al passato S’io potessi per una volta ritornare al tempo perduto e rivedere l’evoluzione della mia vita forse proverei disagio e sconforto. Anni tremendi e disperati vissuti nel disagio e nel bisogno acuito da un conflitto non cercato e non voluto. Rivedrei persone a me care e personaggi ostili che hanno colorito e riempito le mie giornate infantili. Riproverei brividi di paura per le tristi nottate al buio con gli aerei di guerra che bombardavano i paesi vicini. Incontrerei nuovamente i volti affaticati e scuri dei contadini che a sera ritornavano a casa dopo un giorno di duro lavoro. Rigusterei le saporite ricotte che i pastori vendevano lungo la strada, dissetandomi con il buon siero dei loro contenitori di latta, ma ritroverei anche i sorrisi della mia adolescenza e la spensieratezza che ho perduto per sempre. Per i tuoi sette anni (A Seila) Ecco un altr’anno se ne è andato, due dentini di meno, e un nuovo compleanno ch’è passato ancor senza di noi. Noi siamo qui a pensarti e ti vediamo allegra festeggiare coi parenti ciancianti e sorridenti. Inutilmente il telefono squilla! Nessuno pensa a noi: almeno ad avvertirci ch’è inutile a te telefonar, ché tu sei via. Ecco la sera: una vocina risponde alla chiamata. Ma sei distante, e forse anche di mente, da noi che tanto ti pensiamo e che possiamo solo sognarti tristemente. E non abbiamo neppure una fotografia tua più recente nella cornice posta sul comò. Sempre la vecchia foto di quando avevi tre o quattro anni solamente che nessuno si ricorda che esistiamo e che nutriamo verso di te un affetto certo maggiore di altri tuoi parenti che crescere ti vedon lentamente. Ma cerchiamo d’essere felici pensando alla felicità tua da lontano e ci illudiamo d’averti a noi vicina mentre ci parli e ascolti alla cornetta d’un telefono freddo che ci opprime. Scende la sera Scende la sera col suo manto nero copre i sentieri tra gli alberi del Teso, nasconde i boschi, le case e il cimitero. Lento il carro sen va col lume appeso, dondola agli stratton della cavalla, sobbalza il contadin sul fien disteso mentre gli casca la testa sulla spalla. Passa il carretto a fianco d’un ruscello, col cigolio s’avvia verso la stalla, saltella attorno qualche tardivo uccello che lancia alla compagna i suoi richiami striduli, per farla rifugiare nel corbello tra le fronde costruito, in mezzo ai rami. La luna intanto s’affaccia dietro il monte illuminando dei fior calici e stami. Saltella l’acqua tra i sassi sotto il ponte, brontola anch’essa un’ultima preghiera e il contadin solleva, oltre la fronte, del suo berretto la logora visiera. Va pensiero Una vecchia canzone, cantata tra vecchi banchi di scuola da circa quaranta bambini, ubbidienti, allineati, ma sovente anche affamati. Versi e parole distorte, imparate in gran fretta a memoria, e cantati con voce stonata, e fors’anche poco convinta, in un’aula fredda e lontana. Un faccione impresso nel muro che faceva finanche paura, e un omone vestito di nero con il fez che copriva una fronte un po’ altera e solcata da rughe e due labbra sormontate da baffi che scandivano ferme parole inneggianti ai libri e al moschetto. E poi le piazze stracolme invase da folle scomposte, che chiedevano pane e lavoro. E la fuga ingloriosa di gerarchi e gregari, la follia, poi riposta, per sfuggire al giusto castigo, e le piazze che cambian colore e modificano anche il saluto. E poi il tempo che scorre, con qualcuno che ancora galleggia e riappare a dettare sentenze e cambiare di nuovo la storia e riscriverla per nuovi interessi che si stanno pian piano formando. Mestamente riaffiorano i canti e le note di un pensier ch’era andato e che sembra di nuovo tornato. Fantasia Ridateci la luna come era una volta. Ridateci, ridateci. Ridateci la luna, rossa, gialla, verde, pallida, coi nostri sogni che le volavano intorno. Basta coi satelliti artificiali che le ronzano asfissianti, basta con le sonde spaziali e le bandierine abbandonate, basta alle auto cingolate con le antenne trasmittenti e le pile ormai esaurite. Torbidi presagi L’onda mi viene incontro e m’accarezza i piedi scalzi, mi lambisce le gambe. Gioca scherzosamente: spruzzi salmastri semina e sussurra indefinibili parole che si sciolgono sulla cresta di un’onda birichina che si confonde, e si disperde, su questa spiaggia che l’autunno ritarda. Saluta da lontano Palmaiola e Cerbaia risponde alle carezze che l’Elba gli regala mentre il sole la indora. Un candido pennacchio, sfugge dalla centrale di Piombino: scherza con un cielo che si tinge di porpora e disegna all’orizzonte strani messaggi che la Sibilla inutilmente interpreta come funerei presagi ricchi di sciagure e afflizioni. Il Gran Carro sfreccia nel cielo invano inseguito da Venere che non regala più delizie a Didone. 10 Agosto 1993 A oriente nulla di nuovo, scruto nel cielo una scia luminosa che non arriva; la mia speranza è tutta lì. Credo nei messaggi che i mass media diffondono: spero almeno che si avverino. Nel mio cuore una speranza lanciata attraverso gli spazi infiniti, affidati ad una stella cadente che non si vede. Ho espresso già il mio desiderio ed è quasi l'una, ma nessuna cometa traccia nel cielo quella scia di speranza alla quale ho affidato un amore impossibile. Sento quasi l'eco di una mitraglia che sfiora i sogni della gente assonnati sulla conca di Pila. Tutti sperano che i loro sogni si avverino. I soldi servono, sì, ma che m'importa se all'improvviso i Gardini scoprono di essere poveri? Forse la mia pensione basta anche per altri, che vivono sotto i ponti e dormono, mentre io aspetto le stelle cadere. Anch'essi hanno in cuore la pace: sognano spezzatino e polenta. Ed io penso a quelli di Bosnia che rischian la pelle per una scodella di acqua. Che strano mondo è codesto, che già m'ha donato dieci lustri e cinque anni, una guerra vissuta e tante altre godute in TV, che se non arriva corrente non servirà più. A volte me ne resto A volte me ne resto imbambolato a guardare da un poggio la Maremma: fisso i paesi arroccati sopra i colli, i boschi di faggi e i castagneti. Il sole li illumina, a momenti, muta i colori, cambia i movimenti dei rami, che il maestrale vivacemente scuote. Ombre furtive avanzano pian piano per la campagna: s’aggrappano alle nubi procellose disegnando nel piano un chiaro-scuro che varia disegni e luci ogni momento. Un filo d’erba s’agita su un muretto in rovina, lieve vacilla, un grillo trilla in proda alla sua tana, una cornacchia gracida rauca sulle zolle d’un prato appena rivoltato, un calabrone ronza attorno a un ramo e sparisce nel cavo d’un albero spezzato. E in questa pace, in questo naturale ordine del mondo osservo con distacco e con mestizia l’affanno giornalier che l’uomo affligge, col suo rancore, con l’odio innaturale e con l’inutile violenza della sua folle guerra irrazionale. Verusca - Alla mia amata nipotina - Mi mancano le tue carezze, i tuoi abbracci dolcissimi; mi manca la tua voce. La stanza è vuota senza il tuo sorriso. Il tuo amore sincero è come l'acqua fresca di fonte che scorre tra rive verdeggianti. Mi manca il tuo affetto, la sincerità del tuo amore che riempiva le mie giornate e che, oggi, riempie di tenebre le mie solitarie serate. Carezze perse Piccole mani uscite dalla porta del tempo, che impietoso passa, e ti regalano carezze, perse, per giorni tiranni, sciupati, che l’orgoglio e la stizza, inutili, hanno sottratto alla gioia dei sentimenti, alla tenerezza del cuore, che non ha ascoltato le prime parole, che ha perso i primi sorrisi, che non ha visto i primi passi. Ecco, ora quelle mani rincorrono una pelle più avvizzita, una lacrima che solca una guancia e si confonde con un singhiozzo che sale dal cuore e strozza la gola. Esperienza Che cosa farei, se non avessi più nulla da fare, a cosa pensare? E i pensieri corrono sempre, ignari all’incuria di tanti, che certo non sanno, alcun affanno non hanno. E tu soffri in silenzio. Vorresti una strada asfaltata, che liscia scorresse, senza buche o cunette, né curve, né dossi, né tratti scoscesi. E vedi d’un tratto dei sassi, che un giorno avevi levato, ancora rimessi al solito posto. E curvi, e salti, e sbalzi. Invano pulisci la via, e inviti la gente a evitare gli inutili errori d’un tempo, ché un prezzo sì alto diversi han pagato. A nulla mai serve la vecchia lezione. Cocciuto ripercorri ancora la via che porta, comunque, al traguardo finale, lo stesso, che ha un prezzo ancor alto, dovuto al solito errore banale. Fuga d’amore Son fuggito per amore, ho strappato via il mio cuore, la mia mente ho sotterrato, giù in Calabria, sopra un prato. Su quel prato ero sdraiato e le rondini guardavo su, nel cielo, volteggiare, le sentivo sibilare mentre liberi s’alzavano, scomparivano alla vista, si tuffavano nel nulla, riapparivano nel cielo pennellato di cobalto, o di nuvole serene. Il mio amore ho seppellito, seppellito in riva al mare, dove l’onda corre e atterra, dove il vento urla e singhiozza, dove infuria la tempesta, dove il sol brucia d’Agosto. Nel mio cuor non v’è più festa, ma risento un canto antico e le note lievi andare per il Corso allegramente, dove passa ancor la gente che si ferma ad ascoltare le tue mani dolcemente la tastiera accarezzare. E tu suoni, suoni e pensi, pensi ai giorni ormai passati, alle frasi pronunciate che ancor suonano nel cuore come note di chitarra che lambiscono la notte, che colpiscono la mente, e ti parlano d’amore. D’un amore ormai finito di cui più non hai un ricordo, d’un amore ormai invecchiato, con le rughe sulle mani e con gli occhi quasi spenti che si sforzano a guardare su una spiaggia ormai scomparsa una bimba sorridente di cui ormai non sa più niente. Primo amore "Il primo amore non si scorda mai" mia madre sovente ripeteva, e quella frase in cuor spesso mi torna quando ripenso a lei, mio primo amore. Non aveva neppure sedici anni quando le dichiarai tutto il mio affetto. Ma il nostro idillio fu molto conflittuale (e a dire il vero nacque proprio male). Mia madre s'opponeva in modo prepotente e, per questo, anche i suoi parenti ci costruirono mille barricate per impedirci finanche di parlare. Solo sua nonna ci restava a fianco, che un amore antico forse ricordava, e i nostri incontri in tutto segreto favoriva finanche nel silenzio di una Chiesa o per le vie nascoste dietro il Corso. E (ruffiana) ci portava i bigliettini, con parole innocenti e le promesse d'un eterno amore che poi finì, però, miseramente. Io ero allora ancora sbarbatello, studente imbelle e senza un avvenire: Cosa potevo mai io garantire? Che destino potevo assicurare? Ed una sera, dopo mille pazzie e disavventure, tutto si esaurì terribilmente come una grossa bolla di sapone ch’esplode al sole senza alcun rumore. Disperato e solo lungo la ferrovia io passeggiavo, urlando al cielo tutto il mio dolore e lugubri pensier in cuore meditavo. Ma la vita a vent’anni ancor sorride e a lei t’attacchi irrimediabilmente. Del mio dolor forse non seppe nulla ma da tant’anni nel mio cuore dura ed ancor oggi nel pensier mi frulla e con dei versi lo voglio ricordare. E forse spero che possa anche scoprirlo e ricordarsi d’un leggiadro amore che ancor oggi mi martella il cuore mentre di lei, in silenzio, con tutti voi rimango qui a parlare. Il silenzio I rumori delle grandi città mi opprimono. Per anni mi hanno avvolto con il loro martellante frastuono: un cocktail insidioso composto di sferragliare di tranvie, di clacson assordanti, di marmitte rimbombanti, di brusii incomposti, di vocii sgradevoli ed opprimenti. Questo silenzio oggi mi ricompone i sensi ed i sentimenti. La pace di questi colli che degradano dolcemente verso la pianura e si confondono con il mare mi rilassano interiormente e mi mescolano con la natura che dolcemente mi abbraccia. Incantatori di serpenti Giocare con i sentimenti e buttare alle ortiche l’amore. Regalare una carezza per mercificare un rapporto, per curare gli interessi più gretti. Ma le basse manovre vengono scoperte, perché l’esperienza della vita ti ha allungato il naso e riesci ad annusare, olfattare, e anticipare giochi e giochini. E sorridi amaramente sulla sordidità degli interessi, al gelo delle coscienze, alla grettezza dell’animo umano. E l’affetto viene ancora una volta mortificato, tritato, compresso, congelato in contenitori arrugginiti e buttato in mare affinché il sole non lo scaldi, affinché la luce non lo scopra. E l’amore si trasforma in risentimento, in rancore, in astio. E non regala più tenerezze, ed offusca anche la carezza che una manina delicata e sincera regala al tuo volto rugoso ed ispido di barba non rasata. Maledetti ricordi Mi pigia ognor la mente, sul cuore s’abbandona, come su un morbido cuscino sprofonda il sogno e vaga immobilmente. Giammai paga biglietto e vola, vola, veloce solca i cieli e i mari, in largo e in lungo ripetutamente. Strade tortuose copre, prati, fiumi, radure osserva stancamente. Con gente estranea parla, la voce si confonde in borbottii asfissianti senza riscontri umani. Alberi spogli, fioriti a primavera, campi di grano e spighe dorate a giugno ornati da papaveri di sangue traboccanti. Odio nel tetro cuore che batte intensamente, e gli occhi abbaglia, acceca di lacrime splendenti. O miei ricordi cari, che a volte ritornate ad allietar sommessi le alterne mie giornate, sparite dal mio cuore, svanite dalla mente, perché tanto dolore tessete tristemente? Pensieri amari La nostalgia di questa sera opprime il mio cuore. Le lacrime lavano il mio dolore e m’addolciscono la mente. Vorrei ritrovare un sorriso negli angoli che la notte ricama di mistero. Vorrei ritrovare la pace all’ombra delle querce che colorano queste colline maremmane accarezzate dalla dolce brezza che sale dalla pianura afosa. L’Elba si staglia tranquilla oltre il mare di Follonica e le luci di Scarlino colorano le buie colline oltre Massa e Valpiana. Il silenzio mi regala messaggi di pace, che invano cerco tra i vicoli bui di Boccheggiano, dove le voci ciancianti di vecchie e bambini tardano ad acquietarsi. Sorrisi di Aprile Quando il vento m’accarezza adagiato alla marina e la pelle, la sua brezza, il sudor scioglie e la brina mi ritorna nella mente il sorriso giovanile d’una bimba sorridente che gioiva al sol d’aprile. La vedevo, di nascosto, con i libri e lo spartito in attesa al nostro posto prima d’essere partito. E l’affetto era sincero, solo amore (senza sesso), quello grande, quello vero, che non fu mai più lo stesso. Ci bastava poco, allora, uno sguardo da lontano, e l’attesa di quell’ora per restar mano con mano. Una semplice carezza, un abbraccio mai riposto, e poi sempre la dolcezza per un bacio di nascosto. E quei giorni ancor ricordo con struggente nostalgia ed avverto un dolor sordo ricordando quella via dove in trepidante attesa aspettavo il primo amore che, qual foglia al sol distesa, sta riposto nel mio cuore. Quando il cuore ho nero nero mi ricordo di quegli anni e a lei corro col pensiero quasi a cancellar gli affanni, e mi sembra di ascoltare la sua voce, a consolarmi, e le mani accarezzare, frasi dolci sussurrarmi. Valle d’Aosta Albe fiorite, come rose rosse che s’affacciano ad una ringhiera che un rosaio ha abbracciato. Torrenti biancheggianti, che beffeggiano gli scogli e guizzano, e saltano, e spumeggiano scivolando senza mai fermarsi. Boschi di sempreverdi, di betulle cangianti, che disegnano d’un grigio pesante gli sfondi verdeggianti delle Alpi che mi corteggiano. Cieli azzurri, ricamati da voli di rondini, sfreccianti come saette al sole, di falchi roteanti nel sereno, che scompaiono all’improvviso su una preda in fuga. Silenzi irripetibili, rotti a tratti dal lontano richiamo di una marmotta, da un frusciare tranquillo d’acque trasparenti, da una folata di vento tra una gola e l’altra. Voci che arrivano dall’immensità, che sanno di preghiera e ti ricordano che in questa Valle c’è la presenza di Dio.
Davanti alla tv Immagini di guerra, visi mesti e piangenti, ricordi freddi, pungenti, d'una epoca non remota, si riaffacciano a sciupare la mia cena serena. E come uno schiaffo a un Crocifisso, uno sputo blasfemo davanti a una Chiesa, un imprecare sulla bara di un defunto, mi sfilano davanti cadaveri allineati, nella incompostezza d'una morte violenta; visi assenti di bimbi, piangenti, coi capelli arruffati, coperti spesso di sangue; vecchie terrorizzate, incredule, vaganti in cerca di cibo tra case sventrate, per campi sconvolti; donne allibite, impaurite, violentate, con le pance gonfie del torto subito. Immagini pagate con un abbonamento di Stato, quindi dovute; immagini che assicurano un "primo posto" sempre, comunque, in ogni luogo, per ogni gusto e per ogni occasione; immagini che ormai non turbano più la nostra tranquillità serale davanti ad un piatto fumante. Anatra selvaggia Solo, senza un guida, spiccai il volo: a caso per il cielo andai cercando lidi d’approdo per i dubbi della mia coscienza. Corsi dietro soli splendenti e li inseguii oltre i confini della mia ragione cercando risposte alle domande del cuore, alle incertezze delle mie giornate. Con folli immense mi adagiai all’ombra di bandiere variopinte, confuso da ideologie totalizzanti; e abbracciai i messaggi d’amore di profeti e guide indiscusse, adulati da eterogenei branchi di moltitudini senza patria e confini. Ma d’un tratto il mio volo fu spezzato dal tormento dei dubbi, dalle fughe ingloriose, che ridanno voce e respiro agli egoismi che ingannevoli invadono anche l’animo generoso dei forti, e il buio mi scolorò la rotta. Solo, senza una meta certa, a caso andai, e il mio volo s’infranse sulle scogliere dell’egoismo, e fu inghiottito dai riflussi immorali e dal ritorno al privato, agitato da falsi profeti senza più dignità, e senza una storia.
Admira Ismic e Bosko Brckic Ansanti sotto il sole di maggio, correndo verso un mondo migliore programmato guardando di notte le stelle e raccontando alla luna i progetti d'un futuro ancora tutto da costruire. Due sacchi con i sogni accuratamente ripiegati, unica ricchezza ad un nulla lasciato con la certezza del ritorno. I corpi protesi, quasi un gioco infantile fatto tante volte nelle giornate di sole vicino alle aie coi cani festosi che abbaiavano dietro. Una speranza a portata di mano oltre il fiume Miljacka che scorre tranquillo, incurante degli spari dei cecchini. Poi, il silenzio nell'abbraccio freddo d'una morte arrivata dal nulla a spazzare via la speranza di giorni migliori. Svolazzano ancora per l'aria i sogni d'un mondo sereno fuori dall'assurditàdi una guerra razziale senza ragione. Sogni di bimbi gioiosi sgambettanti per stanze ormai senza sorrisi; giornate scolastiche mai vissute a sfogliare un abbecedario che nessuno mai leggerà. Sogni d'una vita diversa e d'una vecchiaia serena, gioiosamente vissuta, guardando le rughe lente spuntare e le mani lievi inseguire il gioco delle vene sulla pelle che il tempo ricama in silenzio. Il sole accarezza un dramma che non conosce pietà, mentre i sogni si dileguano lungo le sponde melmose d'un fiume mai attraversato. Incuranti le mosche cantano il loro ritornello, svolazzando sugli occhi di quei corpi immobili, ormai fuori dal tempo. Ali tarpate Ci spogliammo in fretta del passato. Avevamo vergogna della nostra mediocrità omologata dal consenso degli adulti, forgiata da libri scolastici preconfezionati da docenti senza personalità e decoro. Quello che imparammo fu l'urlo incomposto delle piazze ed il furore del cambiamento: l'emozione di vivere il diverso come rinuncia all'omologazione e al consenso. Volammo in alto, come anatre selvagge, alla ricerca della rotta giusta che nessuno voleva indicarci, alla ricerca di lidi sconosciuti ricchi di umanità ed amore. Ci ritrovammo soli, e il nostro volo sconfinò in fuga indecorosa, ricerca vana di sicurezze perdute sulle tracce di sentieri in rovina che ci regalarono solo infamità, infamità e sconforto. Fieno appassito Un vecchio forno a legna, nero e affumicato, lo scoppiettio allegro di fascine tra bagliori e fiamme tremolanti, un calore intenso di tizzoni arroventati. Odor di pane fresco, gioioso saltellare di fanciulli, occhi lucenti, pannocchie di granturco messe a dorare sulle braci ardenti. Sogni interrotti dal canto dei galli, dal coccodé delle galline. Un delicato profumo di campagna, il melodioso canto degli uccelli, l’abbaiar dei cani, un suono lontano di campana. A sera l’ombra della terra bruna, un calpestio di zoccoli sull’aia, il gré-gré delle rane nei pantani, un brontolio di mamma davanti a un caminetto, una carezza di nonna premurosa, un raccontare di favole e novelle. Di questo mondo andato cosa rimane negli angoli del cuore? Fieni appassiti in stalle polverose, la morte delle fate e delle streghe, la fine dei ruscelli, avvelenati, il fetore dei fiumi senza pesci, un odor di clorato sopra i prati, l’albero mio del cuore agonizzante, coi rami che implorano perdono per un peccato che non ha commesso, per i suoi frutti che non ha più dato. Ricordi (A mia madre) La tua borsetta aperta, abbandonata in un angolo dell’armadio ormai vuoto e privo del tuo profumo. Ondeggia un vecchio vestito appeso a una gruccia coi colori dei fiori sbiaditi ed i palloncini ormai tutti bucati dalle tarme. Anche i miei pensieri ondeggiano: immagini che inseguono primavere ormai andate e baci che non sanno più di mare ma solo di pianto. Giuseppe Sapessi quante volte ti ho pensato! E' buffo: ma ad oltre cinquant'anni ti ricordo, ignaro dei miei affanni, ancora su quel banco addormentato. Ti svegliavi all'alba e ogni mattina dal primo ottobre alla metà di giugno coi libri e col fagotto stretto in pugno, correvi ad aspettar la littorina. Prima marciare a piedi tu dovevi dalla cascina al centro del paese, poi sul bus e, dopo lunghe attese, col treno il capoluogo raggiungevi. Reggio non era poi così lontana, ma di stanchezza ne avevi da smaltire se t'appoggiavi sul banco per dormire e non sentivi neppure la campana. Ma poi tu sussultavi al gran fragore dei banchi, delle sedie e del vocio, che disagio provavo, amico mio, quando confuso guardavi il professore. Ricordo quando estraevi dal fagotto quella mezza pagnotta al pecorino, che avidamente mangiavi ogni mattino sorridendo con quel tuo dente rotto. Faticavi a seguire la lezione, tu, mezzo studente e mezzo contadino, e l'insegnante deplorava il tuo vicino quando furtivo ti dava uno scrollone. Così ti lasciavamo riposare con la testa adagiata sopra il banco che a metà del mattino eri già stanco ed a casa ti toccava ancor zappare. Non so dove la vita di ha condotto: forse riposi già sotto una croce, forse ricordi ancora la mia voce e sorridi con quel tuo dente rotto. Inutilità A cosa servono i fiori, ora che sono morto e non vedo i colori, né percepisco gli odori, a cosa servono ! A cosa serve il pianto, il dolore, il cupo pallore, il mesto parlare attorno al mio letto di morte, a cosa serve! A cosa serve la gente, che va e che viene, in silenzio, benedicendo il mio corpo, segnandosi in fronte, facendo commenti di valore e di commiserazione, a cosa serve! Da vivo avete deriso e rifiutato le mie verità; ora, da morto esaltate i valori a cui ho sempre creduto ma che non avete mai accettato. A cosa serve questo vostro corteo di gente assente che segue una bara pianta soltanto da pochi! Ad una mamma E' triste morire d'inverno, senza il calore del sole, privi del verde dei prati, senza il colore dei fiori, è triste! La tua bara, tra quattro candele, opprime la mente! Il tuo viso pallido svanisce nel bianco candore della neve che continua a cadere! E tu sei immobile e non parli con noi, con noi che ti vegliamo e piangiamo per te. Fuori è festa, e' allegria, Natale è passato da poco, triste per noi, e già l'anno nuovo è arrivato con botti e spumanti. Il mondo cammina, non s'accorge di noi, di noi che pur brindiamo al tempo che passa, che passa in silenzio, anche senza di te. Adolescenza Voglia di vivere inseguendo sogni astratti creati dalla fantasia di un cervello ancora tutto da riempirsi. Prime nubi che appaiono la sera dietro la finestra vuota di un improvviso pensiero. Angeli neri Come lievi rossori che brillano sui visi di ingenue fanciulle dopo aver detto una bugia, così l'animo mio avvampa di fronte all'olocausto di inermi popolazioni in logorante fuga dalla loro terra natia sconvolta da odio razziale senza ragione. E voi angeli neri, che reggete le sorti dell'umanità, numi tutelari del male e dell'odio profondo, deh! volgete un momento i vostri occhi di fuoco verso il cielo splendente ed porgete ascolto, per un solo momento, agli angeli di quel Dio che non riesce a sconfiggervi, ma che implora anche da voi un attimo di misericordia. Addio Giorgio (dedicata a Giorgio Gaber) Quando muore un poeta lascia un vuoto nel cuore lascia un vuoto nel cuore quando muore un poeta. La TV se ne accorge se un poeta scompare se un poeta scompare la TV se ne accorge. L'ha schivato per anni questo grande poeta questo grande poeta l'ha schivato per anni. Lei l'ha messo a tacere perché parlava alla gente perché parlava alla gente lei l'ha messo a tacere. E lui da solo parlava e qualcuno ascoltava e qualcuno ascoltava e lui da solo parlava. E diceva, diceva, parole che disturban le orecchie ed il cuore, e scavava, scavava nei nostri cervelli ci infilava dei dubbi nelle nostre coscienze, e noi zitti in silenzio a sentire, qualche volta a sorridere sopra alle cose ben dette o mal dette, che ognuno leggeva nel cuore come meglio credeva, signori, e chetava il nostro rancore d'aver smesso un dì di lottare per un mondo che ormai più nessuno voleva cambiare. Ora li dallo schermo sorride e ci dice: "su non piangere amico" e ci lascia una grande lezione che soltanto un poeta può dare, un poeta che non scrive per gli altri, ma racconta la vita a se stesso e si guarda, infine, allo specchio e sorride lasciando gli amici come se li dovesse incontrare in un mondo diverso, creduto, in silenzio costruito a misura dei sogni che aveva cullato nel cuore, ai quali tanti altri avevano un tempo creduto prima che il tornaconto, o la pura viltà, avesse i pensieri per sempre offuscato. Asia Mentre gusto i miei spaghetti al dente, vola il pensiero come un apparecchio: osservo la disperazion di tanta gente, al crepitar dei fucil tendo l’orecchio. Vedo tra i monti in fuga tanti disperati, nelle risaie sento urlar donne e fanciulli, avverto il tanfo dei cadaveri cremati, dov’era vita or son terreni brulli. Degusto sereno un calice di vino, nel mio rifugio, lontano da ogni guerra, ma provo tanta infelicità per il destino crudel di tant’altra gente in questa terra. Assaporo un trancio di torta gelata e un gelo vero m’attorciglia il cuore perché in questa valle sconsolata regna solo l’odio e non l’amore? Occhi curiosi di bambino Occhi curiosi di bambino tutti presi ad osservare un vecchio ciabattino che batte, batte su una vecchia scarpa. Occhi pensosi di bambino intenti a curiosar su quel panchetto pieno di chiodi, ferri, pinze, lucidi e trincetto, che, con lieve tremore e con indifferenza, con una manina bianca, toccate una tenaglia, sfiorate un tronchesino. Ed io vi invidio, oggi, occhi pensosi, occhi furtivi, occhi lontani, occhi curiosi di bambino, tutti intenti ad osservare un ciabattino. Bestie Il mio io è prigioniero in fondo all'anima. Come Vulcano, che s'agita incomposto nel profondo bigior della terra, così il mio io s'agita e inveisce vomitando veleni. Le nefandezze più nere in nome della mia libertà di fare un mondo perfetto (che io perfetto lo sono?). A volte penso che Hitler non sia un diavolo nero; di neri diavoli è coperta la terra. Calabria Aliti di vento sulla spiaggia arida dello Jonio. Colline brulle, tinte d'erba bruciata nell'entroterra. Silenzi irripetibili, rotti solo dai canti delle cicale e dei grilli. Visi assenti, vaganti nell'infinito di questa terra agonizzante da un'eternità. Carlotta (Per la mia pronipote) Le tue piccole mani sembrano uscite dal nulla del tempo e ripetono tenerezze quasi dimenticate nella nebbia dei miei anni. Risentire quella tenera presa al mio dito, persa nel vortice della vita, che passa inflessibile, che richiama antiche carezze, gridoline quasi prepotenti ed un lieve bussare di porta, che ascolto di nuovo come se il tempo tornasse a far scorrere immagini recuperate sullo schermo d’una memoria sbiadita. E poi spero ancora di risentire nuove risate argentine e squilli prolungati di telefono per un saluto affettuoso che mi riporti i colori nuovi del mutar delle stagioni ed il ripetersi di rinnovate emozioni. Chi asciugherà le mie lacrime Chi asciugherà le lacrime di questa nottata di dolci ricordi? A chi racconterò nuove storie e fiabe fantastiche quando gli anni mi peseranno e mi opprimeranno i pensieri? Rivedere un bimbo sorridente aspettarmi giulivo sui gradini di una scala ormai quasi dimenticata! Sentirmi amato, atteso, e riascoltare una piccola voce chiamarmi e sussurrarmi “babbo”! Gioie ormai finite nell’impietosa giostra del mondo che tutto travolge e macina compresi i sentimenti e l’amore. Essere noi stessi Non avere vergogna di scrivere versi, non temere i giudizi sciocchi degli indifferenti. Sii te stesso! Fai parlare il tuo cuore e semina le tue emozioni nei campi del mondo! Troverai sempre un’anima pura che si disseterà alla tua fonte, che berrà avida i tuoi sentimenti. Attorno a noi non tutto è aridità! La mia cabina La mia cabina sul mare é sempre ferma al suo posto; nessuno potrà mai spostarla, nessuna tempesta riuscirà a demolirla. E’ lì, se ne sta tranquilla sull’acqua, e guarda, da Reggio, Messina, all’alba di ogni mattina, col mare che specchia i passanti tra l’onde increspate dal vento, che lento accarezza le barche che arrancano stanche. La mia cabina sul mare è all’ancora, sicura nel porto, al riparo dall’onde e dai venti, in un angolo quieto di mente. Odio le prediche Odio Le prediche domenicali. Amore, fratellanza, solidarietà! Parole che attraversano il salone della cattedrale, pervaso da incensi e odor di ceri accesi, e s’infrangono in un rito inutile di mani che si uniscono inneggianti alla pace. Guardo i visi dei fedeli, intristiti ma con i pensieri che corrono agli invitati in arrivo ed al pranzo domenicale, o che osservano con invidia una vicina impellicciata. E la predica finisce proprio lì. Fuori riprende la danza dei rancori tra vicini, delle invettive contro gli immigrati invadenti, o dell’odio verso un parente, che morendo non ti ha lasciato niente! Aria di primavera Macchioline di pioggia colorate sui prati, lungo i fossi, dove s’affaccia timida qualche lucertola strisciante; prime gemme biancastre che sormontano i rami color fuliggine ancora freddolosi e spogli. Ranuncoli gialli, abbracciati tra i rovi, quasi a cercar riparo dalle folate gelide del nord, e teneri bucaneve tra l’erba e tra le foglie morte dell’inverno. Primi richiami dei merli dalle siepi di sempreverdi. Gorgheggi di qualche usignolo alla compagna lontana in cerca di fuscelli per la prima covata. L’avventura La montagna cantai; più volte mi persi sulle sue vette, là dove le nuvole scavano disegni e nascondono misteri. Gli spazi immensi assaporai in volo e come rondine planai sui pascoli incorniciati di neve e ricamati da limpidi laghetti. Col vento ondeggiai, come foglia sospinta nel nulla, tra gli immensi silenzi, tra i gorgoglii dei torrenti, ed a valle precipitai là dove il tempo e le folle incomposte mi ricordano che sono ancora vivo. Alla fonte dell’usignolo Cercai più volte folletti gioiosi tra le fronde che incorniciano la tua fonte d’acqua fresca e gentile. Ascoltai, invano, i loro sussurri confondersi con lo stormir delle foglie e con i voli incrociati degli usignoli e delle ghiandaie. L’orecchio tesi, più volte, cercando di cogliere le voci del bosco tra il confuso borbottio dell’acqua che a volte gorgoglia come stesse seccando. Confusi il rapido scorrere della fonte come fosse riso argentino delle ninfe del Torrente Occhiali. Inseguii, invano, ricordi spenti tra libri di favole e leggende del focolare domestico per rinverdire un tempo soffocato da una realtà che m’opprime. Declino Io, sono io, vecchio e stanco, che percorro gli ultimi metri del mio cammino con il cuore sempre rivolto agli ideali calpestati, cancellati dalla mente dei tanti che alla greppia dei nuovi potenti abbeverano il loro animo arido. Io, solo io, uomo vivo in un mondo di morti, gracchio alle ideologie globalizzate, mi burlo di giornalisti goffi, dai capelli brizzolati, che hanno prosciugato le sorgenti dei sogni. Io, sempre io, leggo le parole vere nascoste tra le righe dei giornali asserviti al lurido gioco di bottega delle borse, al falso miraggio dei mercati ondeggianti tra nuovi prodotti telematici e fallimentari progetti di economie terziarizzate. Io, solo io, guardo con nostalgia (e rancore) le bandiere nel fango, accatastate negli stands ormai vuoti: la disperazione ha rubato il posto alla speranza; l’urlo delle piazze s’è perso dietro nuovi modelli d’una economia senza patria e ne storia, ed il grido d’oltre confine delle libertà oppresse e calpestate sembra morta campana che suono più non produce e neppure frastuono. Miraggio Afferrami la mano e trascinami per le strade del mondo dove è ancora possibile cogliere tenui tremori di pelle, brividi gioiosi di felicità racchiusi in fragili conchiglie di argilla ricamati sulla rena d’una spiaggia solitaria. Ascolta con me il mare che sussurra sui sassi o urla tra gli scogli parole d’amore che solo tu ed io comprendiamo. Fatti accarezzare dall’acqua della risacca che scivola sul tuo corpo abbandonato su una roccia baciata dal sole. Ripetimi per un attimo le parole d’un tempo spogliate dal peso degli anni ch’io ritrovi la mia primavera e possa ancora guardarti negli occhi mentre mi sorridi e m’allunghi un sorriso. Bianco e nero (A Rosetta) Chi sarà, mi chiedo, mentre l’immagine scorre, scandita sullo schermo in bianco e nero da una vecchia pellicola per caso ritrovata che lentamente sta prendendo forma? Mi sei apparsa così, dopo tanti anni che cancellata t’avevo dai ricordi, con quel sorriso tenero e sereno, lo sguardo altero e il corpo provocante modellato da un bel costume bianco. Diciott’anni, avevi diciott’anni, quel dì che sopra un treno traballante lasciai la mia città ed ogni affetto. Ma la tua immagine serena d’un colpo proiettata su uno schermo, coi piedi accarezzati dalle onde, baciata dal mio mare mai scordato, m’ha regalato un attimo di gioia, m’ha fatto respirare l’aria pura del tempo che non ho nel cuore ripiegato. Così, (che forte sensazione) mi sono ritrovato giovinetto mentre scattavo quella foto un giorno caldo d’agosto che più non ricordavo. E tu sorridi, sorridi allegramente da quella foto che mi sta davanti e rinnovi al cuore mio e alla mente felicità e passioni ormai distanti. Aspettando la sera Solitario inseguo l’illusione come se l’alba dovesse durare un’eternità. Lo so che il tramonto segue il suo ciclo: mattina, mezzogiorno e sera e così all’infinito. Tutti si aggrappano alla vita come se la morte non esistesse. Ognuno legge le epigrafi come se il proprio nome non dovesse mai apparire sui muri. Come e quando? Questo è il problema! Il come affligge e addolora. Tutti vorremmo scegliere una morte serena, magari aspettando il sole sorgere o ammirando un tramonto infuocato. E turbati da così tristi pensieri ci si precipita sui prati per accarezzare dolcemente l’erba e si rimane estasiati a fissare il volo degli uccelli o di variopinte farfalle, oppure si tende l’orecchio per memorizzare il gorgoglio sommesso dei ruscelli tra i sassi. Poi si aspetta sereni la sera! Ancora per oggi abbiamo colto il nostro attimo fuggente: ancora una volta abbiamo brindato alla vita. Fiera Liste di nozze: i miei desideri insoddisfatti. Guardo l'angolo ed anticaglie appiano frammisti ad orci e panieri. Sempre uguali le bancarelle con le mercanzie e le orchestre stonate che ripetono all'infinito le note del "Va pensiero" e della "Cavalleria Rusticana". Sempre uguali: borbottio di pentoloni sulla brace, che a tratti schizza schegge di fuoco scoppiettanti. Cambiano i suonatori: Non più scialli e gran casse, non più balli al suono di acciarini ed organetti, ma cantilene di venditori di colore che si tuffano nel mezzo del discorso con nere statuette e con collane. Pianto il bastone nella molle vallata dei miei vent'anni e sprofonda nell'argilla informe che galleggia sulla sabbia, e scivola nella schiena e tra i capelli arruffati... e mi sconvolge i pensieri. La nuova Primavera L’alba mi porta nuovi ciuffi d’erba e margherite. Fanno a gara tutto a rinverdir di color novo. Gorgoglia l’acqua sotto l’asse del ponte e già finisce. Il prezzo della libertà Il Tempo È una trappola Che imprigiona Gli attimi di libertà Che l’adolescenza ti regala. Fingo d’essere rimasto fanciullo Per non perdere Certi privilegi Che molti opulenti personaggi, Ingessati e incravattati, Non potranno mai comprarsi. I falsi profeti Perché nascondi il viso contro il muro? Prego fratello! Perché non preghi rivolto verso il sole che Dio ti veda e accolga il tuo pensiero? Non mi va di vedere tutto il mal di questo mondo, le cattiverie, le ingiustizie antiche, il ripetersi di lotte sanguinose, in difesa di Budda, Cristo e Allah. Fratello guarda dentro il cuore tuo, smetti di pregare il Dio guerriero, brucia in un rogo libricoli e messali, armati di "fare" e "amare", lascia perdere i profeti che sanno dir soltanto "fate" e "andate". Realtà La rivedo a tratti la mia quercia lontana e mi disperdo tra i suoi rami sicura oasi di tranquillità, di pace. E risento frullare d'ali, mormorio di fonte, e monotono gracidar di raganelle, e mi confondo col frusciar del vento tra le siepi di more e biancospino, con gli ibridi silenzi della pianura circostante avvolta nella calura dell'estate. I miei sogni interrotti, ritrovati nell'assordante trillar delle cicale, negli odori dei fieni, nell'intenso profumo della zagara che si sperde nell'aria tra gli ulivi, nel candido color dei gelsomini, nell'ondeggiare d'ali di farfalle. I miei sogni adorati, cullati dentro il cuore e mai sepolti, conservati al riparo dell'usura, sicuro approdo alle mie incertezze quando nel petto s'agitano passioni, desiderio di fuga, repressioni. Solo un momento, un momento solo di piena libertà senza paletti, svanisco con la mente che divora immagini e momenti ormai passati. Poi il sofferto ritorno ad una realtà che m'imprigiona, ad un presente che non mi appartiene. L’uomo e la montagna La montagna è bella, forte e maestosa, le sue vette s’arrampicano sul cielo d’estate è tutta in verde e, come sposa, d’inverno indossa un bel candido velo. Si snodano le piste su, oltre gli alpeggi, a volte scoscese, a tratti pianeggianti, sfiorano i rascard cullati dai ciliegi senza le mucche coi lor suoni assordanti. Scia libero, rispetta ciò che ti circonda, raggiungi le alte vette di montagna ma se la tua imprudenza oltre sfonda la tua persona sol danni guadagna. Perché tu dici poi “monte assassino” se impunemente col tuo fuori pista hai generato una frana un bel mattino che spazza uomini e cose dalla vista? Piuttosto devi dir ”uomo incosciente” per i disastri delle tue valanghe o per le vite che involontariamente cadono mentre ti cercan con le vanghe? Repressioni Quel ginocchio, ricordo, vogliamente abbracciato a due natiche sporgenti da una sedia, che lento strofinavo, tra un pater e un gloria, mentre il prete officiava ignaro all'altare. E l'ombra del peccato m'aleggia addosso, ancora, ma anche del piacere che soffuso provavo a quel contatto ricambiato in silenzio. Scrollo alla finestra le immagini rapprese negli angoli più bui dell'intelletto: ombre lucenti destinate a vivere insieme ad altre repressioni che non riesco a buttare nel cestino. Ricamo Quando un gioco sapiente di mano incrocia quel filo, componendo lento un profilo, ricordo! Ricordo gruppi di donne loquaci, rumorose e felici, ed esplosioni di riso libero andare per i vicoli ricchi di sole, con i bimbi vocianti come torme di rondini in volo. E sui bianchi lenzuoli consunti ali bianche in volo sul mare, rose rosse ridenti ai balconi, gelsomini e viole appassite. Ed il filo continua a intrecciare ancor oggi un ricamo passato: una bianca colomba che vola, sempre ferma nel solito sito, un fiore che sboccia, e non muore se acqua non ha, un volto a cui il tempo non regala neppure una ruga. Ombre stanche vagano lente, per i vicoli pieni di sole, vanno in cerca di note appassite, di colori dispersi nel nulla, di sorrisi che ormai sono spenti. Via Cupola Due Ma cosa abbiamo mai fatto? Quale delitto abbiamo commesso? Perché ci siamo privati dei nostri ricordi, dei nostri amori racchiusi in tre stanze ormai ch’appartengono ad altri? Via Cupola numero due, le piante più strane abbracciate a vecchi gradini in orci consunti. I profumi più vari che allietano ancora le mie amare giornate. Che cosa abbiamo mai fatto? Abbiamo venduto i ricordi, buttato alle ortiche i respiri del cuore, la voce dell’anima nostra che ormai tace, ormai più non rimbrotta. A Silvia Se io avessi la tua stessa età, potrei darti tutto l’amore che nessuno fino ad oggi ha saputo donarti. Ti regalerei tutto il colore dei fiori del mondo e tutti gli odori più inebrianti che la natura racchiude nel suo grembo. Non raccoglierei neppure una margherita, non reciderei neppure un fiore di cicoria, pur bellissimo nel suo colore celestiale, per non offendere la tua sensibilità ed il tuo amore immenso per le cose del creato. E ti amerei, così, come tu sei, abbracciandoti teneramente e cullandoti tra le mie braccia come fossi mia figlia per farti addormentare senza più paure e farti dimenticare tutte le tue sofferenze. Il pianto delle rose Se ti sei punto, non imprecare! In fondo te lo sei cercato! Chi te l’ha detto di raccogliere quella rosa, bianca, strappandola alla sua vita dal rosaio? Ecco, ora tu ti lamenti, ma perché non ascolti anche il grido di dolore delle compagne intristite, tremanti, ondeggianti di pianto, per la morte della loro sorella? Trincea Giaccio dormiente in questa trincea fuori dal mondo. Sono scappato da un amore impossibile e aspetto l'alba per rivedere l'ultima aurora. Speriamo che sia buono Rotola la palla, saltella, balla, in alto vola, contro la carrozzina sbatte. Si sveglia il pargolo e la mamma gli sorride e lo dondola pian piano. S’addormenta! Passa una donna: “com’è carino, come dorme tranquillo”! Lui distende le piccole braccia al sole, fa una smorfia: è un modello d’amore! “Auguri, signora, è proprio bello, spero che viva bene, ch’abbia sempre salute”. E un’altra: “E’ un angelo, signora, spero che sia felice”. Osservo in silenzio, seduto alla panchina, il giornale abbasso, sorrido anch’io, poi penso: “speriamo che sia buono”! Sanfili Fuori dal petto, fuori dal cuore. Un pensiero ricorrente, un' immagine d’una località mai visitata, un ricordo, d’una notte lontana, mai represso. Tutti conserviamo qualcosa nel cuore: di un soggiorno o una gita ricordiamo il paesaggio, un campanile, un castello diroccato. Ma della fatica altrui cosa rimane? Un’immagine sbiadita d’una nottata infernale, persa nel buio della memoria, in una stanza scarsamente illuminata, e un uomo distrutto dalla sua fatica, sfinito dalla disperazione. Il fiato grosso, la voce quasi spenta, il corpo fradicio di fango e di sudore, le membra affrante, gli occhi stravolti e spenti, la mente assente. Questo rimane nel mio cuor di te: Sanfili. Non gioie per un pranzo allegramente consumato, né canti per una gita mai effettuata, né foto a ricordo di un paese mai veduto. Ma il dolore di mio padre e l’immagine vinta della sua fatica. Fiori d’arancio Chissà dove sono fuggiti i profumi d’un tempo che all’alba carezzavano le vecchie dimore affacciate sulle fiumare. Quel candido vello, che ricamava il verde dei limoni e regalava delizie ai pastori, s' è rifugiato in antri custoditi dal tempo e non offre più tenerezze alla vista. Allungo la mano nell’archivio della memoria alla ricerca di pallide corolle che ormai appaiono sfuggenti e non più raggiungibili. A mio figlio C'è il buio che cancella la luce, ed il sole che spegne la notte. C'è la luna che splende ma calore non dà. C'è pure uno sguardo che basta a scaldarti quando fa freddo e un sorriso che basta a farti felice quando sei triste. E se ti manca lo sguardo o il sorriso di chi ti vuol bene, né luna, né sole possono illuminare la tua strada né fare caldo il tuo cuore. Allo specchio Me meschino allo specchio, le mie atrocità: mi vedo. I miei vizi repressi, le mie tentazioni rubate alla vita. Sghignazzo tenebroso ad una immagine falsa; finti conformismi lucidi d'ipocrisia, passerella d'illusioni raccattate passando davanti un banco di putride anticaglie di uno straccivendolo. L'amante Sono qui solo, con il cuore che ascolta i rumori. Ho timore di quello che scrivo ! Chi potrebbe capirmi ? Non ha senso la tenerezza che m'inebria i pensieri in questo istante ! Sento che certi sogni non si possono cullare nel tempo ! Percepisco chiaramente l'impossibilità della situazione. Ma io rinasco, le mie cellule bruciano un'infinità di energia, vivono ! Ed anch'io vivo in questa incoscienza che mi stordisce. Eppure avverto un maledetto senso di solitudine attorno a me, di vuoto, anche se mai, in tutta la mia vita ebbi chiara coscienza di non essere solo. Annaspando Tu, vecchio, non hai perso nulla del tuo tempo passato. Hai sciacquato in mare i tuoi pensieri e buttato nel fiume gli attimi di felicità che ti sei conquistato con le tue sole forze. Che pena mi fanno i miei coscritti che vivono delle tue rendite e non fanno nulla per rassomigliarti. A Renzo Invecchio, sì lo sento, invecchio ! I miei pensieri (or son meno forte) si fermano d'un colpo: il mio orecchio tende l'udito al passo della morte. D'un colpo non rincorro i cardellini, fuggono in fretta immagini di mare, più non spingo in discesa i carrettini, le arance non vado più a rubare. Le canne al vento dondolano pian piano si chinano su me, quasi a baciarmi, a sussurrarmi un nome, che lontano intravedo correre e chiamarmi. Fermati un poco! Perché corri amico ? Fermati a rituffarti nel passato sotto le foglie dell'ombroso fico Dove scalzi abbiam riso e giocato. Noi si giocava assieme, lo ricordi ? L'acqua correva fresca tra la menta, noi si giocava, è vero, e s'era sordi al vento che soffiava, alla tormenta. Noi s'era sordi per il mondo intero, mia madre per la cena mi chiamava ma noi, sornioni, da quell' alto pero ci si sfotteva e si fantasticava. E quando, poi, il sole se n' andava, infuocando di rosso monti e mare, noi immobili fra l'erba si restava beati i voli di rondini a mirare. E cento, cento e cento abbiam sognato giorni felici (che passano veloci!), quante sere nel cielo abbiam volato rondini implumi, passeri precoci ? Ma il nostro nido, o destin brutale, spazzò via d'un colpo la tempesta, ma dentro al mio cuore tale e quale io lo conservo, come un dì di festa. Le lacrime Non sempre le lacrime esprimono dolore: A volte sorgono dolci, struggenti, dal profondo cuore quando una qualche storia ti pervade, t'empie di vera gioia. La Piaf canta, vive la sua canzone, tu l'ascolti commosso, vivi la sua passione, la senti penetrarti nelle ossa, sprofondarti negli organi vitali, l’avverti dentro il petto palpitarti, la senti in fondo all'animo agitarti. Ecco la commozione sale agli occhi e un grande calore ti pervade, senti un nodo prenderti alla gola, scuoterti in petto, brillarti dentro gli occhi. Sono lacrime vere, lacrime di gioia, lacrime vive piene di calore, sono motivi tuoi del cuore, difficile da capire o da comunicare. Fortunato colui che prova questi sentimenti, cuore d'artista ricco di pietà, artista sconosciuto, non reclamizzato. Artista silenzioso che recita la parte nel palcoscenico chiuso del suo cuore, senza uno spettatore, senza platea che plaude, senza nessuno onore. Atomizzato Oltre lo spazio infinito c’è sempre un mondo nuovo che non si conosce. T’illudi di possedere un podere senza confini e l’occhio spazia su monti e colline coperti di boschi e di pascoli verdeggianti. Ma se osservi una stella brillare nel buio della notte, confusa a milioni di astri luminosi e galassie, la paura ti assale per la precarietà del tuo essere e ti accorgi di possedere soltanto un piccolissimo e misero orto. La morte sa aspettare La morte m’accarezza i pensieri, scivola nella mia mente e si materializza dall’inconscio come immagine vera e vincitrice. Ella vezzeggia i sogni della gente, fa sperare ad una vita migliore, in un mondo diverso dove gli angeli accompagnano senza celarsi le anime semplici di chi ha creduto in loro. La morte a volte m’insegue, la vedo nascosta tra le nuvole che s’alzano dai bombardamenti, la intravedo tra le macchine accartocciate sulle corsie autostradali, mi beffeggia quando sguazza sfuggente tra i bagliori delle tempeste, mi ammicca dai cornicioni degli ospedali, mi circuisce quando un male m’assale. La morte non rispetta alcuno. Per il povero a volte è una liberazione, ma lei lo sfugge; e il ricco irride perché non tratta il prezzo e non la può comprare. La morte è attorno a noi e sa aspettare. Borgo antico Ritornerò da te, borgo scordato, da te ritornerò col treno un giorno come quando tornavo da soldato con la gente che mi veniva attorno. Mi affaccerò di nuovo alla finestra dalla quale guardavo a sera il mare, dopo aver consumato la minestra, e qualche nave vi vedrò passare. Sognerò nuovamente, come allora, d'essere a bordo e navigar lontano, veder la poppa che dall'onda affiora, dare la dritta come un capitano. Come allora mi coglierà il tramonto che infuocava di rosso la montagna dell'Etna, ed increspava il ponto che la Sicilia e la Calabria bagna. Come allora mi sperderò la sera per i vicoli stretti e senza luce cercherò la via della mia primavera che non so più davver dove conduce. Riascolterò una volta ancor la voce di un amico davanti alla sua porta, che si trasporta quieto la sua croce con dignità, e da persona accorta trova ancora una parola di conforto per consolar chi sta subendo un torto. Il primo Per essere primi occorre passare attraverso l’esperienza dell’ultimo. La mia casa La mia casa era in cima ad una collina. Il mare la cingeva col suo abbraccio che sapeva d'immensità, ed il sole l'accarezzava al mattino e la baciava alla sera. Poi, improvvisamente, i funghi della speculazione la imprigionarono nel grigio del cemento e le negarono la vista del mare. Ed anche il sole non le regalò più neppure un saluto. Cenere Che la terra riprenda il mio corpo, ora ridotto in cenere, che si confondi in essa e completi la genesi della mia esistenza. Vano ostello le urne dei vivi ai morti, vana l'ostentazione di luminarie e fiori. Solo il silenzio degli spazi infiniti delle foreste raccolga gli atomi della polvere sparsa e rinascano essi, con la nuova stagione, nella linfa che sale ai nuovi germogli, nella gioia infinita della natura che si rinnova. La cuccagna Era pur bello quel palo ingrassato, difficile da scalare, con appesi salami e capicolli. Quanta acquolina in bocca per chi teneva tanta fame in corpo. Ma io non ci provavo nemmeno: era per me difficile scalare quel palo unto di grasso: e poi la forza chi me la dava? Ed il vento gioiva pregustando la carezza del lardo che si scioglieva, ed il mio cuore batteva a vedere che molti arrivati già in cima, tra l'urlio dei parenti, scivolavano in basso con il viso stravolto da rabbia e fatica. Che gioia provavo a vedere quei ricchi, con la pancia strapiena, che non riuscivano a salire neppure a metà, ed i poveri che salivano, salivano in cielo, oltre il cielo, almeno per un giorno. L’accattone Lo sguardo scivola oltre le sbarre e si sperde agli angoli dei palazzi dove altri accattoni si smarriscono in viaggi mai intrapresi e firmano i registri sui tavoli dei musei chiusi. Solo un piatto caldo di minestra, abbandonato su un tavolo di bar, lasciato da un cliente insoddisfatto, solo quello assapora, guardando un filo di fumo che si disperde nel nulla. Ferma la mano del cameriere che vuota il tutto nel bidoncino degli avanzi. Che buffo il mondo, sospira, e tira fuori dalla sacca un pane raffermo e un tozzo di formaggio. L’alba Schizzi di pennello ocra rosa su una tavolozza cosparsa d’ombre e luci appannate. Radure vuote e liquami fumanti ai bordi dei fienili. Sommessi fruscii e lievi battiti d’ali sui rami di un noce ancora spoglio. Un ululato lontano d’un cane legato alla catena. Echalon Io sono la libertà, la democrazia è il mio modello di governo e lo impongo al mondo perché odio la dittatura, sono insofferente alla massificazione delle coscienze e delle genti. Libertà è il mio grido ricorrente ed i popoli guardano a occidente il sorgere d’un sol globalizzato. Crepi l’inetto, il mediocre perisca. La società è romana: dalla rupe Tarpea volan gli storpi, soffochi colui che invoca il modello solidale. Il forte badi a se stesso e costruisca con tenacia e noncuranza il suo potere: si arricchisca. Se l’africano è schiavo pianga se stesso perché non sa morire combattendo per conquistare la sua perduta libertà. Se l’asiatico ha fame non è colpa del popolo americano se con le bombe al Naplan gli ha distrutto i raccolti. Per la democrazia si muore: la libertà non ha prezzo. Anzi la impongo a piene mani, e osservo con un occhio indiscreto che il timoniere vada dritto all’approdo. Tanto gli scogli a prua io li posso evitare e prevenire: io non posso accettare ostacoli al mio modello di liberal-democrazia, al mio navigare in largo e in lungo per le coste o i mari aperti. Il mio occhio è vigile e presente: punisco quando voglio un presidente che non comprende la vera libertà com’io l’intendo. Questo potere me l’ha dato Dio, perché osservo il giorno del Ringraziamento ed ho, nei signori della quinta strada, i guardiani del cielo coloro che fanno osservare il mio modello di democrazia con l’armonioso suono dei cannoni. Una vita uguale Sposa mia, ti sento, mentre nella solitudine dei miei pensieri, nell'immensità delle possibilità di evasione che mi offre il mio elaboratore, batto ritmicamente la tastiera e compongo i miei pensieri col sentimento delle mie passioni. Ti sento, già così presto, affaccendarti anche sulle mie cose ed una tenerezza immensa m'opprime. Avverto l'inutilità della mia immobilità davanti ad uno schermo, bigio ed insensibile, e le colpe della mia pigrizia mi rimbalzano in petto come i giochi del pallone che il computer a volte mi presenta. Non so se basta, ma il tuo curare le mie cose apre il mio cuore al grande affetto che ti porto, e se la voce tua interrompe l'intensità dei miei pensieri, scusa il mio sciocco sgridare, la presunzione che solo conta questo inutile tempo ch'io trascorro in silenzio rubando, ai tuoi interessi, i momenti migliori del nostro vivere insieme. Ma pur nel mio silenzio, odo la voce tua che questo cuore empie di vita e amore, sempre! Rotolo sui miei pensieri Rotolo sui miei pensieri con pigrizia indecente e medito sulle mie mollezze e sulla mia incapacità di spazzare le lordure del mondo. Mi abbandono nella mia impotenza e spero ardentemente in un angelo liberatore che avvolga l’universo e le contaminazioni umane in una palla di fuoco che distrugga indolenze e soprusi in par misura e trascini ogni cosa in un tramonto eterno che impedisca all’aurora di affacciarsi domani a rischiarare ancora le nefandezze umane. Lo sciopero Arma dei poveri, degli sfruttati, di quanti combattono solo con le braccia. Mezzo improduttivo ma necessario che non uccide, ma che trasforma le strutture di questa società. Se un uomo piange Se un uomo piange, tutti lo guardano con pietà: Un uomo non piange mai! Perché? Dov'è scritto? Io piango perché il mio cuore è gonfio, perché il mio cuore è triste. Piango perché m'accorgo d'essere uomo con le mie debolezze, le mie repressioni. Tu donna piangi da sempre, cosciente delle tue debolezze, della tua oppressione. Il silenzio A volte me ne resto attaccato al mio PC per intere serate. Fisso lo schermo bianco e penso. A volte scorro le pagine già scaricate da siti vari, che mi capitano a caso girovagando in cerca di notizie nell’immensità della rete. Le leggo, poi, con calma. Mia moglie dorme, di là, seduta sul divano, forse annoiata da qualche trasmissione strampalata che sovente saltella sulle reti della televisione nazionale. Ed io vago con il pensiero tra le notizie varie che il web in abbondanza mi regala. Nessuna occasione di parlar con qualcuno e scambiar quattro opinioni o fare qualche riflessione. Solo il silenzio ed io; che me ne resto attaccato alla poltrona rigirandomi a tratti per i glutei a volte indolenziti. Ma poi apro la posta sul PC e leggo le notizie e tante osservazioni che mi giungono da amici e conoscenti per qualcosa che ho scritto sui problemi del mondo. E penso con orgoglio che pur dal mio silenzio, dal mio quieto infuriar sulla tastiera, ho generato un certo movimento, un frullar lieve di menti e di pensieri, qualche ripensamento. Un padre Un padre spesso ha una ferrea visione della vita. Vorrebbe veder perfetto il proprio figlio e lo incita e sprona spesso senza esser capito. E non si sforza, un padre, a far capire i suoi sentimenti e gli obiettivi che gli riempiono il cuore. Esige ubbidienza convinto d’operare per il bene d’un figlio. Errore! Ogni figlio, a suo modo, vuol costruir la sua strada. Spesso rifiuta il consiglio e l’aiuto. Vuol sbagliare da solo; forse vuole capire cosa vuol dir sbagliare. Ma un padre, lo sa! Sa come girano le cose a questo mondo. Vuole evitare delusioni cocenti al proprio figlio. Errore! E quando la ruota della vita si ferma al punto giusto, quando gli errori producono disastri irreparabili, allora il figlio capisce la presunzione di un padre, anche se ormai è tardi. Ma quell’errore, quella sua delusione, faranno di lui un padre! Santiago Impotente il vecchio Giorgio* s’agita convulso sotto la lapide che gli oscura il sole della sua Firenze. Il pellegrin che s’avvicina al suo avello ascolta il suo pianto e mesto tace! Giacciono i morti ancora incomposti, con le unghie seviziate e i genitali ustionati dalle scariche inflitte dai gorilla di Pinochet. E Santiago, città di dolore, deve sopportare ancora l’insulto umiliante del ritorno d’un tiranno impunito. Urla di rabbia si accompagnano, per le strade della città martoriata, alla gioia delle folli ubriache che ignorano il dramma dei tanti “spariti” nel nulla, che hanno dato la vita anche per questo popolo ingrato. Per loro non alberghi di lusso ma squallide prigioni, non dorati soggiorni ma la violenza inconsulta di sadici guardiani d’un potere asservito ai luridi interessi di multinazionali senza dignità e né storia. Piange Santiago, incapace di rendere giustizia ai martiri d’una libertà ancora una volta offesa e vinta. * Giorgio La Pira 7 Settembre 1906 (Anniversario 1999) Ieri era il tuo compleanno, mamma, ed io neppure ti ho pensata. Che strana umanità tu m'hai insegnato. A piangere per gli altri e non avere un sol pensiero per chi mi ha generato. Solo parole A chi servono le mie parole? Quali dolori possono lenire? Scrivere, scrivere sempre parole che mi fanno finanche soffrire, che rimbalzano sulle pareti della stanza e poi finiscono sullo schermo, allineate, silenziose, allucinanti, sordide, crudeli, terribili, frivole; che mi fanno tanto pensare, meditare e intristire; che mi spaccano il petto e m’afferrano il cuore e lo strizzano come uno straccio bagnato. Ma queste parole mi fanno vivere, mi danno l’illusione ch’io possa cambiare il mondo e farlo diventare migliore. A mio padre Ecco, le mie mani si tendono a stringere la tua mano, callosa, rude, del color della terra che per anni hai zappato. Le tue spalle, curve, sorreggono una testa ormai senza pensieri. Guardo le tue rughe profonde, solchi tracciati dall'aratro del tempo, i tuoi occhi, appena visibili tra le palpebre socchiuse, il tuo sorriso, debole e stanco colorato dai tuoi denti bianchissimi. Sento una pesante coltre di disperata dolcezza avvolgersi sul mio corpo, mentre stringo la tua mano simile a dura scorza d'albero di ulivo. Appena, appena accenni ad una carezza sul mio volto lontano. I miei sentimenti turbinano nel profondo d'un animo non più avvezzo ad ascoltare le tue sfuriate. Sento attorno a me suonare i campanelli d'una infanzia perduta: Quel pane di mais e grano ha un sapore ancora fragrante anche se offerto in un nido troppo povero e spoglio. Ma ormai è tardi ! Inutilmente cerco nei cassetti vuoti immagini di una realtà che il tempo ha già cancellato. Gli agnellini Dalla mia finestra mi giungono belati disperati, che straziano la mente. Guardo con il cuore in gola giù nella strada. Un camion è fermo con il suo carico di agnelli e di agnellini. Mi auguro ritornino all'ovile, giù nella pianura pistoiese. Spero non vadano al macello. Quei belati mi accompagneranno per molto tempo ancora e mi tormenteranno tutte le volte che al supermercato vedrò carne d’agnello sul bancone esposta. L’agonia Tenui bagliori di un giorno che muore, di un giorno che cade nel sonno profondo nell'oblio più pesante. Ultimi rantoli di un agonizzante che cerca inutilmente di tenere acceso un lume che si spegne. Albert Karol Sul bel Danubio blu, s’è fermata la vita, avvelenata dall’incoscienza umana. Scorre ignaro l’immenso fiume, che le nostre madri sognare fece, e nei suoi gorghi s’agitano fantasmi: trote e storioni boccheggianti, disperati, vinti. Le rive sono invase da una marea di pesci morti: anatre e gabbiani si tuffano ignari e pescano bocconi avvelenati che altre distruzioni costruiscono. Piange Albert Karol, piange le morti ignare: dalla barca discende, col suo storione agonizzante stretto sul cuore come fosse un bambino travolto dall’incoscienza umana, e sugli scogli, con delicatezza, come un padre affettuoso lo depone. Piange e osserva gli ultimi scossoni della coda imponente che affanna, quasi l’estremo rantolo d’un agonizzante. Piange impotente e le sue lacrime si disperdono come pioggia morente sul bel Danubio Blu, che lento scivola, col suo bagaglio di veleno e di fauna in croce, che invia al cielo il suo estremo messaggio di rancore e di disperazione. Semine folli Sotto il mio mantello non ho più nudità da coprire. Il mio animo è un libro aperto dove chi passa scrive qualcosa e lascia un pensiero. Afferro le parole, che sembrano nuvole sfuggenti sospinte dal vento tra le betulle, che disegnano paesaggi irreali in bianco e nero, e le cospargo sui miei occhi affinché mi diano sensazioni reali che mi facciano meditare ed agire. Nulla, nulla rimane dei versi di un tempo. Ogni giorno che passa il vuoto regala alla mente pensieri che non costruiscono niente. Spingo il mio aratro su un terreno brullo e indurito ma i buoni semi produrranno solo erbe infestanti ed inutili pruni. Vecchio album Ancora mi rimbalzi nella mente, vecchio album di nudi in bianco e nero, disegnati dalla matita di Molina, ritagliati da vecchie copertine di logori Grand Hotel recuperati nel fondo di un baule rimasto abbandonato in un solaio. Di te ricordo solo il mio tremore, passandoti di mano sotto il banco al mio compagno che mi stava avanti, di certo più sveglio e smaliziato per i costumi del mio tempo andato. Forse sei nel mio cuor, perché tu celi i miei primi piaceri solitari; sei nel mio cuor perché ricordo ancora quei cinque giorni che il preside mi diede di sospensione dal frequentar la scuola. Cinque giorni salati, ed eran tanti, ma tanta di più fu la vergogna di dover tornare a scuola accompagnato da una madre bigotta e brontolona. Oggi ci rido sopra mentre saltello un po' annoiato, pigiando i tasti del telecomando, tra i canali del mio televisore. E mi scorrono immagini, buon dio, che se fossero state un dì collezionate su quell’album di donnette disegnate, oggi sarei qui forse a raccontare della mia espulsione dalla scuola o forse del periodo passato nell’istituto di rieducazione in cui senz’altro m’avrebbero cacciato. Il mio mare Ormai il tempo é andato: La lunga estate di Calabria anch'essa é finita, anche se il sole scalda ancora la spiaggia. I giorni dell'ottobre caldo, quando ci si tuffava ancora in mare, sono ricordi che svaniscono nelle rade nebbie di questa mattinata aostana. Mi giungono ancora i fragori dell’onde frangersi contro gli scogli del porto anneriti dal catrame. Lungo lo stretto ascolto le sirene del ferry-boat, che unisce ancora Reggio a Messina, e mi sembra il lamento d’un condannato. Planano su un mare color viola stormi urlanti di gabbiani, e il vento fischia incessante sferzandomi il viso con le rade sabbie di questa costiera pietrosa. Immobile, seduto sulla mia vecchia banchisa, guardo le onde alzarsi, imbiancarsi, rincorrersi ed espandersi spumeggianti tra le barche piene di reti e le ceste di vimini vuote accatastate vicine. Ed i pensieri volano a rincorrere anch'essi impressioni fuggite, svanite, scolpite é pur vero nel petto ma ormai vaganti come sogni lontani che vorrei poter dimenticare, ma che rimbalzano, come palle di gomma, sui muri di un cuore che é rimasto ancora bambino. Il Ritornello di Seila E’ ver che sono piccina, ma mi sveglio la mattina, col sapone lavo il viso allo specchio fo un sorriso, poi mi pettino i capelli con il gel li faccio belli, pane e latte a colazione con un dolce bombolone, un bacino al fratellino, a Verusca un puffettino, un abbraccio alla mia mamma che rimane la mia fiamma, poi salgo sul pulmino col bambino del vicino, e felice vo' all’asilo: gli uccellini fo col filo e nel ciel li fo volare svolazzanti fino al mare. Preghiera Greve nell'aria turgida di pianto scandisco le note dell'Ave Maria e come per un prodigioso incanto si spegne in petto la malinconia. “Ave Maria” il cuor dice sereno e l’anima si scioglie alla preghiera, “Benedetto il Frutto del Tuo Seno” sussurra chi nella sua fede spera. Quanta pace in semplici parole quale valore lo spirito acquisisce ed anche se non risplende il sole l'anima tutta traluce e intenerisce. E' come se gli astri con le stelle ti risplendessero nel profondo cuore e, simili a tremule fiammelle, ti sciogliessero dentro ogni dolore. Preghiera, dolcissima preghiera, di chi crede in tutto ciò che dice che vede Iddio nell'ombra della sera che segna con la mano e benedice. Anch’io morirò Morirò, con disappunto, un dì, anch’io morirò. Mia madre sognava viaggi rimasti incompiuti. Anch’io sognai mondi lontani. Per pigrizia o viltà, tranne scarne occasioni, il mio mondo rimase ristretto ai confini nazionali. Solo il mio pensiero vagò sui sentieri del globo e si confuse con le lotte di liberazione dei diseredati del mondo. Il Cile, l’Argentina, la Polonia, sentirono il mio alito vicino: urlai nelle piazze per le libertà soppresse, per le stragi compiute a suon di cannonate sul Palazzo della Moneda. Ma quel modello di civiltà finì miseramente in rovina come il Muro di Berlino. Ed ora forse morirò, morirò impotente per una marea restauratrice che sta annegando ogni sogno, e vorrebbe uccidere anche la speranza. Beata solitudo Quando il fragore dei pensieri e delle parole assordanti (che come fiumi sgorgano dagli schermi TV), quando le contraddizioni (tra le verità di ieri ed i fatti di oggi), mi fibrillano la coscienza, sento un bisogno di tranquillità e di quiete. Mi rifugio allora sulle vette innevate, spazio tra le nuvole bianche, volo negli spazi infiniti e sogno un mondo diverso, dove le parole non sono tempeste distruttive ma quieti laghetti luccicanti di stelle e di sole, dove l’odio non è più incivile strumento di potere, ma lontano ricordo annegato sotto i ghiacciai insieme all’incoscienza umana. Bruscello L'ira di Dio viene da Bardalone e imbianca tutte le colline attorno a Campo. Prosegue lungo il Reno e sfregia le colline di Pian di Giuliano che s'affacciano sulla piana di Pistoia. Disegni straordinari, d'indescrivibile pazzia, ornano i sentieri con gli alberi di ghiaccio, piegati fino a terra: sembran pregare Iddio di risparmiare questo scempio ecologico. Saltellano le radici, immense diramazioni venose, scoperte verso il cielo: agitano al vento freddo della tramontana gli ultimi rami stronchi dal gelo. Specchi iridescenti brillano al chiarore rado del sole che sbircia tra una nube e l'altra, mentre corre pel cielo un gelido vento che spazza la neve e l'accatasta da un borgo all'altro sugli usci delle case e delle chiese. Spettri di tralicci piegati s'intrecciano a fili schioppetanti abbracciati a vecchi rami d'abete mezzi sepolti nel ghiaccio. Lontano urli solitari di mamme che rincorrono i bambini, mentri vecchi ravvolti nelle coltri di lana escon dalle topaie con fastelli di rami e ciocchi di cerro per le stufe. Fumano i comignoli: un acre odor di resina bruciata si disperde per l'aria ed i bagliori della legna che arde rimbalzano sui muri come ombre di fantasmi risvegliati. Schizzan le braci sui pavimenti vecchi di cotto al crepitio dei rami agonizzanti in mezzo alle fiamme del camino. Urla gioiosi di bimbi avvolgono il tenue chiarore che si diffonde dalle finestre buie e rimbalzano sui viandanti che con le loro mercanzie percorrono i poggi deserti di acquirenti. Un filo d'acqua scorre dalla fonte isolata dell'Usignolo, sembra il borbottio d'un vecchio senza più domani che non spera ormai più di vedere la primavera che tarda ad arrivare. Rari fringuelli e qualche passero borbottano dai rami un lento pigolio quasi un segnale lugubre di morte. Scorre pigro e annoiato il ruscello nella Valle degli Occhiali, e l'acqua scivola tra gli specchi ghiacciati delle gore ormai spente. Scende ora la notte ed il silenzio avvolge ogni cosa mentre dal profondo del bosco giunge il richiamo stridulo d'una volpe in cerca di prede per la sua nidiata. Compromesso E' meglio simulare l'accettazione del presente affinché tempi migliori dimostrino l'essenza delle idee del nostro tempo e si consenta il ripercorso di una esperienza storica che, pur rinnovata, conserva l'essenza della sua immutevole verità. Confusione Guardo stanco la tastiera, e vorrei poter costruire parole nuove ritmando sui tasti ed osservando sullo schermo la composizione dei miei pensieri. Ma le lettere sembrano ondeggiare come un mare in tempesta. Inutilmente rincorro nella mente un momento di lucidità per elaborare una frase compiuta che esprima un concetto e sfugga l’indeterminatezza e la confusione del mio essere. I tempi sono tremendamente cambiati, le occasioni di dialogo e le ragioni degli altri si perdono nella volontà di sopraffazione che il potere ci mostra. Nulla sarà più come prima. Nuovi poteri galleggiano la dove il mare ha sepolto la balena bianca che tanta libertà ha dato al Paese. I nuovi padroni del vapore hanno gettato le reti e vogliono tutto arraffare incuranti delle ragioni degli altri. Ancora una volta la forza avrà il sopravvento sulla ragione? Coscienza Immagine di noi stessi che ci rivela l'essenza reale delle cose. Giudice implacabile delle nostre azioni e dei nostri pensieri. Specchio limpido di noi stessi che ci presenta nel mondo più reale senza sfumature e senza segreti. Crotone: Luglio 1993 Scoppia la protesta a Crotone: chi mangia non conosce digiuno; chi ha scarpe non capisce andar scalzi. Ride La gente! Giudizi sommari sulle piazze e corda per l’impiccagione. Chi paga tanti danni provocati da rabbia, da disperazione? Giusta l’osservazione! Si liquefà al sole di settembre la politica assistenziale che ha servito i tanti padroni del Mezzogiorno. Non bastano più le parole, non servono ancora le promesse che nessuno mantiene. Chi semina grandine Raccoglie tempesta, chi non estirpa il loglio ritrova scarso il raccolto. Guardo con pietà un pazzo sopra una ciminiera che non ha più nulla da perdere. Egloga per la morte di Giorgio Muratori Lenta una stella nel cielo muta loco, lieve, qui in terra, un alma sale a Dio e come fiamma d'un tenero foco resta sol cenere di te, amico mio. Ma tu per sempre alma giovincella, bocciol di fiore, bianco tra le spine, lento gioivi nell'età tua bella correndo al vento tutto sciolto il crine. Ma il vento, però, come un fil d'erba spezzò la corsa tua di giovinezza e venne, nel suo manto ancor più acerba, la morte, con la fredda sua carezza. Tenero fiore che il fato, triste e crudo, ti pose solo in questa terra amara, che ti lasciò all'intemperie nudo come un’anima semplice ed ignara. Tu vedi ora il cuore mio che piange ? Senti il respiro che al petto trascolora ? Vedi i miei occhi? e l'animo che piange la giovinezza tua e s'addolora? Come una pianta dal terren strappata, dove viveva vegeta ed ignara, sente la morte che non è aspettata, così anche tu, o creatura cara, sentisti che la morte t'avvolgeva? Provasti in fondo al cuore la paura? Non vedevi tua madre che piangeva, in quelle desolate bianche mura? Vedesti accanto, in tenera assistenza, coloro che ti vollero più bene, ma lenta, la tua tenera esistenza, s'affievoliva tra dolori e pene. E con i giorni il cielo più invocasti, invano l'uomo ti curò benigno tu sconsolato certo non pensasti al tuo destin, al tuo morbo maligno. Poi, infine, l'alba di un triste mattino non ti svegliò col tenero chiarore, perché dormivi come un serafino, estraneo all'ansia, estraneo al tuo dolore. Un cuore, puro, tacito riposa in quella terra dove regna il pianto, ma tu, ormai dimentico a ogni cosa, dormi tranquillo là nel Camposanto. Il silenzio Tace il Tibisco, l’acqua scorre più lenta: piange i suoi figli con le pance gonfie di cianuro che la corrente ignara trasporta verso la pianura di Belgrado. Ammutoliscono le genti, spettatori impotenti lungo le sponde che il “bel Danubio blu” avvelena da Pancevo a Galati: col cuore affranto seppelliscono la natura agonizzante. “Meglio le bombe”, qualcuno dice sommesso, “da queste ti ripari cercando un rifugio occasionale”. Strano mondo è codesto! All’incoscienza del profitto immorale si risponde con un silenzio ancestrale, quasi a dimostrar che la vendetta umana e la ritorsione senza coscienza possano essere madri di rinnovati veleni. I confini son segni artefatti su carte appese alle pareti che nel millennio che muore hanno subito, a suon di cannonate e col sangue di innocenti, rimaneggiamenti continui per assecondare squallidi interessi di piccoli Don Rodrigo locali. Non bastan le dighe imponenti ad impedire che i rifiuti, che una potenza incivile e prepotente scarica in un fiume, avvelenino la coscienza di mezza Europa. Ma il silenzio non è l’arma appropriata: la gente normale è stanca di subire che pochi loschi mercanti trasformino questo mondo in una squallida globalizzata pattumiera. Il canto dell'usignuolo Quando la notte col suo nero stuolo di fosche ombre la natura avvolge senti dell'aer un canto d'usignuolo che lentamente dal silenzio sorge. Sembra che canti per chi solo crede che questo mondo é fatto per soffrire e allora ti rifugi nella fede e senti un desiderio di morire. Dolcissimo, dal buio s'alza quel canto e nella notte ti sussurra al cuore oh! come spesso sembra un tenue pianto che sa solo di ansia e di dolore. A volte s'alza, invece, desioso, pieno di una languida poesia, Oh! come allora il cuore tenebroso ti si riempie di malinconia. E quante pene di salgono dal cuore, tu senti un nodo stringerti alla gola e le tue membra prese da languore, oh! come tu ti senti triste e sola. Vorresti allora vivere lontano in un mondo fatto d'illusione, chiudi gli occhi per ascoltare piano quel canto fatto d'ansia e di passione. E forse sei felice con quel canto che parla nelle tenebre d'amore, mentre la notte col suo nero manto ti porta tanta pace e gioia al cuore. Vicoli I miei vicoli muti, che sanno ancora di mare, un dì lasciati, sempre più soli, quasi scordati, ancora baciati dal sole di ottobre che scalda gli androni, con le vecchie sempre sedute a pettinarsi i lunghi capelli, a filare col fuso e la lana, a ricamar col cerchietto le bianche lenzuola nuziali di lino. La vecchia fontana che scorre, con lo stesso rumore d’allora, sempre più sola, ché l’acqua v’è in tutte le case. Io guardo oltre i monti, seduto alla mia scrivania, guardo e non provo la gioia serena che accompagnava i giorni di tanto patire in silenzio, col decoro di povera gente che viveva del proprio lavoro, contenta di poco, contenta di niente, coi figli riuniti pel desco, chiassosi, con gli occhi lucenti. Non vedo la gente d’allora, partita per terre lontane, partita per terre vicine, coi fiori e i lumini che accendono sempre. Non vedo che vecchi camini, cadenti, già lisi dal tempo. E il vecchio rione è un sogno quasi svanito, dipinto coi freschi colori d’allora, legato a un dolce ricordo di mente, che corre sui tetti di lose, oltre i monti già bianchi di neve, col buio, che inonda i nostri vicoli freddi, e scende in silenzio, quasi in punta di piedi, per non farsi sentire, per non farmi soffrire. Voci Ad una, ad una tutte vi risento voci fuggite giù per la marina, voci scomparse, d’un colpo una mattina, dopo la Pasqua del ‘63. Fresche o sgraziate, dolci o un po' invecchiate, io vi riascolto presto la mattina. Io vi ricordo e spesso vi ho chiamato, ma voi non mi sentite e ve ne andate. Io vi riascolto quando il cuore è triste, quando la sera suona la campana, e noi si stava tutti a recitare nella chiesetta il triduo o la novena. Voci lontane, mai dimenticate; voci di litania, di devozione, voci di preghiera, di benedizione, voci di confessione. Tutte io vi ricordo, e pur lontano distinguo, come ieri, la cugina, ricordo, pur se strana, la comare, torna, affettuosa, a un passo la vicina. Voci tranquille, spesso misteriose, voci sommesse; voci di lamento, voci di compassione, voci di malattia; voci di gioia, voci di confusione. Voci arrabbiate, irose, di maledizione. Addio, addio, vi urlo e non sentite; io vi saluto ancora e voi tacete; io sono qui a parlarvi e voi dormite. Le manine Lungo i fossi i pampini s’avvitano alle canne e bianche corolle ondeggiano occhieggianti sul Rio Salto. Oh, cosa rimane di te, piccola roggia che il poeta romagnolo hai fatto sognare e me gioire a inseguire briganti e viandanti per poggi sconosciuti? Ora mi scorrono innanzi “manine” silenziose che volteggiano sulle siepi di biancospino e si sperdono per la campagna ammucchiandosi come candida neve sulle aie deserte. Nessun bimbo più grida, e salta ed esulta stringendole in mano. Il pioppo ripete sommesso il suo frullar d’ali ma la lanugine antica non annuncia più la nuova stagione. Un dolce rimpianto, una lieve emozione bagna le ciglia del vecchio canuto che insegue intenerito i fiocchi ondeggianti. Il lume spento (A mia madre) Quanti anni son passati? Quante lune nuove dal colle sono spuntate ed hanno accecato i meriggi di sole addolcito il brucior sulla pelle, il salmastro seccato ai capelli ? Quanti giorni inutili e soli sono andati per terra e per mare han solcato le onde, son morti dietro i colli per poi rispuntare. Rispuntare con nubi e procelle, con il tuono che romba più forte con il lampo che illumina i tetti che ti lascia nel cuore la morte. Son passati i dolori, i tristi ricordi di guerra: la fame che mai si riusciva a saziare, le pentole vuote di rame. Cammina, cammina, la strada par sempre la stessa. E' mutata? Io guardo mi sembra sia uguale ma un'ombra dal cuore è mancata. E' mancata d'un tratto. In silenzio ha sceso quei quattro gradini, ed ha spento l'ultimo lume: ormai non servono altri cerini. Il mammo Attento a quel che pensi, non pensare, forse è meglio star zitti, non parlare, e se non vedi? forse starai ancor meglio, non guardare. Che mondo ci stanno regalando, le regole oramai sono sregolate e chi è normale deve restare in casa, rischia d’essere lui l’uomo anormale da additare a vista per la strada come fosse arrivato da Plutone. Ormai non c’è più nulla da stupirsi, dopo i figli in provetta, dopo le nonne in stato interessante, dopo l’ovulo dato in locazione, e l’utero che paga la pigione, ecco arrivare l’ultima invenzione l’uomo che partorisce e si fa mammo. Lo vedo già col pre-maman vestito, con le crisi di gola mattutine, con le voglie di fragola e gelato. Lo vedo poi disteso in ospedale con le doglie dovute al gran gonfiore con il taglio cesareo sanguinante, col pargolo abbracciato sopra il letto, che succhia il latte dal suo biberon che ancora il latte al seno non arriva. Che strana generazione sta arrivando dopo i disastri della distruzione d’una guerra né chiesta e né voluta t’arriva la nuova rivoluzione che sconvolge la terra tutta quanta senza più bombe, senza più mitraglia. Corre il pensiero Immobile in una stanza schiarita dalla lampadina, chiuso fra quattro mura e due finestre eppure così tanto in movimento, eppure così tanto tra la gente. Corre il pensiero ancora più di un treno in corsa; seguo il suo serpeggiar tra colli e valli e ripercorro il mio vagabondare. Il sole picchia sulla bianca spiaggia sabbiosa di Calamizzi, e la mia pelle scotta. Oh, dolce sensazione che ancor mi invade di soffuso piacere! Ma del mio mare, del mio albeggiare ai bagni dei Procopio, Cosa più rimane? Solo ricordi! Ricordi e odor di salso mare, immagini riflesse di Messina, l'onda del mare che sbatte sulla rena, che ciabotta sulla scaletta della mia cabina, e il fischio di un treno, che si aggira come un fantasma per la Via Marina. Le tue mutandine I merletti delle tue mutandine ondeggiano ancora su un vecchio balcone con la ringhiera arrugginita e lisa in più parti. Le guardo ancora, a volte, nel silenzio delle mie notti che durano una eternità. Mutandine bianche e trasparenti, che m’hanno fatto sognare in silenzio, mentre le osservavo sventolare al vento. E tu, viziosa, mi spiavi dalla finestra socchiusa quasi a cogliere le mie emozioni ed i miei primi tremori. Quanti sogni repressi, quanti turbamenti, quanti improvvisi rossori quando t’affacciavi al balcone e le staccavi lentamente simulando indifferenza. Ora, con lo sguardo perso nel nulla, penso alle rughe del tuo volto ed al tuo corpo disfatto che gli anni ti hanno regalato. Ma ricordo (e sogno), ancora, quelle mutandine di merletto ondeggianti ad un balcone con la ringhiera lisa e arrugginita. La vaporiera Vecchio treno a vapore, che hai trasportato i miei sogni tra il fumo denso della tua ciminiera, che hai interrotto il mio sonno con fischio acuto della tua sirena, che m’hai fatto correre al finestrino ascoltando l’urlo del macchinista all’arrivo in stazione, che tristezza mi danno i grandi ulivi in corsa senza il tuo sferragliare tenebroso, privi della tua fuliggine densa. Angoli di paradiso spariti nel nulla, donne urlanti, con ceste immense sul capo, ondeggianti come modelle a una sfilata, siepi di fichi d’india coi frutti maturi sorridenti al sole, dove mai siete finiti? Rincorro, tra la calura estiva, immagini che danzano sui veroni del mio cuore, che m’addolciscono i pensieri ma che a volte mi tormentano l’animo. La mia libertà La mia libertà, conquistata ogni giorno sulla trincea dei miei doveri, non è un regalo grazioso frutto della mia indolenza, figlio della mia pigrizia, che si aggira nei labirinti dei miei istinti di uomo-schiavo, ma è un bene prezioso che ladri audaci possono sottrarmi se vien meno la mia vigilanza. I tuoi doveri, anche, dopo i tuoi diritti, siano la regola che misura il tuo egoismo e ti faccia comprendere ogni giorno che nulla al mondo si riceve per nulla. La stagione dei sogni (A Ornella) Sogni, sogni di poter vivere i tuoi anni da ragazza spigliata, forse un po’ troppo, e non t’accorgi che attorno a te la gente stupida non ti capisce e ti deride. Non te la prendere! Vivi i tuoi anni con spensieratezza, non ti far confondere dalle voci sciocche che il vento disperde in un momento, come il sole la nebbia densa del mattino. Vivi la tua vivacità, la tua tenera vacanza di primavera. Chiudi gli occhi sulla realtà che i tuoi sogni colorano di fantasia. Gli alberi dei peschi fioriscono e l’erba spunta sui campi. Raccogli questi freschi segnali della nuova stagione e corri a piedi nudi sui prati fioriti dei tuoi teneri sogni. Mafia Lasciate perdere i vostri sorrisi d’indifferenza; le vostre parole non riusciranno a riportare la luce là dove l’oscurità è stata seminata con intensità. Non serve alle vedove vestirsi di nero né ai giovani indossare una cravatta abbrunita. Il sangue sgorga ancora dalla ferita e gli occhi non vedono più la luce dell’alba. L’erba dei prati è piegata, e piange una vita appena spenta che s’aggrappa ancora agli ultimi fiori che ormai servono solo a ricoprire un bara colma di terrore e di morte. Il tempo Il tempo asciuga i dolori, cancella le angosce ed i rancori. Il tempo è un balsamo che la natura ti regala a pieni mani e ti restituisce la serenità di vivere e di amare. Il tempo normalizza i sentimenti, ristabilisce la tranquillità della mente che l’odio aveva offuscato e ti consente di riprovare la gioia del perdono. Sogno Può darsi che l’orologio domani segni un’ora nuova. Ognuno guarda il tempo trascorrere con occhi diversi ed i desideri scorrono come fiumi in piena verso la pianura straripando e travolgendo ogni cosa. Ci si libra nel cielo, come se lo spazio fosse una linfa vitale. Eppure ognuno di noi sa che oltre le nuvole vi è soltanto lo spazio infinito ed il nulla. Anche se corri col pensiero in ogni angolo dell’universo rimane la solitudine di tanti desideri incompiuti. A Orazio, schiavo romano Chi sono io, schiavo, che depongo pietra su pietra ed innalzo un tempio al Dio Giove. Di me non resterà traccia, ma solo il nome dei miei aguzzini riporterà la storia. Ma io sono qui, tra queste pietre erose, consumate dai secoli. E la mia voce è ancora viva tra il sibilo del vento che non ha ancora finito di asciugare il mio sudore. Orme Niente solo un niente circonda le dimore dei profughi dove del pianto dei bimbi, del frenetico ritmo quotidiano degli adulti, sono rimaste solo le orme, in un angolo dietro una porta, dov'è appoggiata ancora una scopa ed un po' di spazzatura sul pavimento. Ottobre Gli storni sono tutti in cielo: nugoli neri sbandano, si spostano, volteggiano, sbandano ancora e ancor si ricompongono. Poi d'un colpo spariscono dietro una collina. A tratti, solcano il cielo, senza guida alcuna, gli ultimi ritardatari. Ombre fugaci che con voli folli inseguono lo stormo ormai lontano. Le nuvole son dense di messaggi incompiuti, le prime nebbie accarezzano le valli nella foresta del Teso, e tra gli alberi esplodono i primi spari dei cacciatori che inseguono il cinghiale. Le prime castagne occhieggiano dai ricci e a tratti si tuffano la tra le secche foglie ammassate alle cune, come bimbi burloni che rotolano nei cartocci del granturco ammucchiato ai bordi delle aie. Perché son nato umano Madre mi sto chiedendo da una vita perché son nato umano e non insetto, perché non pesciolino o margherita o rondine nel nido sotto un tetto? Io me lo chiedo e non mi do ragione perché capisco il male che c’è al mondo vedo le guerre, la fame, la desolazione, e nell’angoscia sempre più sprofondo. Se io fossi stato un passerotto me ne starei nei boschi a canticchiare, e se per caso si sentisse un botto sui rami più alti proverei a volare, allontanandomi da tutte le brutture dalle crudeli atrocità dell’uomo che con in mano le Sacre Scritture sgozza gli innocenti dentro il Duomo. S’io fossi pianta immobile nel suolo allargherei i rami verso il cielo nasconderei così brutture e duolo sotto la cappa d’un immenso velo di verdi fronde e sussurrando a Dio frasi d’amore smosse poi dal vento per far tornare l’uomo ancora pio e l’animo suo pacifico e contento. Ali spezzate Ali che s’agitano invano, alla ricerca di un volo finito tra auto in corsa e folate di vento. Li osservo, mentre gira il motore sulla strada, come anime perse che tentano ancora di prendere il volo. Mi vedo, sconfitto, aggrappato all’asfalto rovente, con le auto che sfreccian veloci e mi sforzo nell’inutile rito mentre il cielo mi sfugge lontano ed i fiori ormai più non carezzo, e ripenso alle andate rincorse sopra i prati, sull’immensa campagna. Sono solo, per gli insetti od i passeri in volo, che le macchine in corsa han colpito, non v’è alcuna pietà che addolcisca la paura e lo strazio del cuore, non v’è amico che lieve lenisca con parole o qualche carezza l’agonia ed il proprio dolore. Scilla Il vento, che soffia da Cariddi, solleva l'onda e con furore la sballa contro la zattera d'Ulisse. Io sono qui, immobile, che ascolto sirene lontane, incatenato al mio presente, ma pur libero di spaziare nell'infinito della mia memoria. Dolce lo zufolo di Circe m'invita all'oblio, alla dolcezza degli ozi quotidiani. Ed io rivango infantili emozioni alla ricerca di vecchie sensazioni, di ardenti passioni, che il tempo affonda, sempre più, nella rena delle mie spiagge, inondate dal profumo delle zagare smosse dal vento. L’urlo del Sinai La mia vita appesa a un filo, vado, vengo, non mi do più ragione! Ho timore, l’ammetto, ma la vita va vissuta lo stesso, è una sfida interiore tra paura e ragione. Già in passato la morte ha regnato tra noi. Nel nome di Dio si continua morire. Io sorrido, sto mangiando un panino, e d’un colpo il mio corpo è cosparso di sangue, di frammenti di vita consumati per sempre. E la pace, la pace s’allontana ogni giorno; si riempiono i cuori di dolore e vendetta, e la morte d’un figlio con la morte si paga, e il mio grido di pace è sommerso dall’odio. Non c’è tregua e l’amore è sommerso dalle urla impietose dei morti. Non c’è tregua, ma solo rancore. Ma dov’è questo Dio che dal Sinai ha parlato più volte alle genti? Ed, Allah? Anche lui rimane in silenzio, impotente alle stragi di tanti innocenti? Una giornata di sole Chiaro è il manto azzurro del cielo dolce l'aria d'olezzanti odori s'empie di gorgheggi di passeri riecheggia l'aer allegro e libero di nebbia. D'intorno gli alberi sollevan gli scarni rami, inturgonsi i germogli e nuova forza acquistano i boccioli. E' una giornata di sole, una giornata serena, c'è tanta pace in cuore e l'animo è gentile. Pei prati qualche fiorellino lieve solleva il capo tra la leggiadra brina che si scioglie, dischiude il calice ed aspira il soave soffio del vento. Una giornata di sole porta tanta serenità alla vita, è come se un filo d'acqua pura scende a disseccar la gola d'un condannato a morte. Una sera al Sud Silenzio nella vasta piana del mare. Silenzio tra le brulle colline coperte di ginestra e fiori. Silenzio tra le desolate fiumare bordate di mandarini ed aranci. Silenzio tra i mandorli in fiore: e' il tramonto. L'occhio rosso del sole, ammiccando da un cielo tutto di fuoco, scompare dietro i siculi monti. Come d'incanto mille suoni rompono il silenzio: concerti di grilli, cori di raganelle da uno stagno quasi senz'acqua, trilli di passeri,ultimi voli. E già per l'aria svolazza il pipistrello, mentre lugubre s'ode lontano il richiamo di un barbagianni. Una voce Quella voce che più non ho ascoltato. E’ lì, tra le bobine abbandonata, forse in cantina, forse in un cassetto. Tace! E nel silenzio sussurra ad altre voci la sua pena. Io non la sento. Ma a tratti dentro il mio cuor parla, è vicina. Mi è vicina nei miei momenti neri, quando la vita mi sfugge dai pensieri, quando abbraccio la morte, che in sordina sorride, mi ignora, e senza voltarsi s’allontana. Piange: singhiozza lieve, ch’io non debba sentire, ma qualche lacrima furtiva le bagna il viso, solca le stanche gote. E sa di sale! Un sale amaro più dei rimpianti miei, che sembrano macigni pesanti più degli affanni miei. Solo un’ora (No Global) Mi crogiolo nel mio ozio E faccio il gioco del Grande Fratello Che vuole ch’io resti impotente. Un’ora, un’ora della mia vita per gli altri, per rompere il muro dell’indifferenza, dell’egoismo più gretto. Questa è la vera rivoluzione che farebbe tremare i potenti nello loro lussuose dimore. Invece, rimango indifferente alle miserie, ai morti d’inedia che scorrono sugli schermi TV. Li guardo, ed anch’io mi rattristo come i pigri fedeli in preghiera davanti ad un Cristo ferito, che soffre non di dolore ma per l’impotenza del Suo messaggio d’Amore. Non servono armi, oggi, non serve neppure violenza. Basta un’ora di impegno, un’ora del popolo tutto, per scuotere la coscienza del mondo. Vecchia borgata Vecchia borgata, persa chissà quando e chissà dove, ferma nella mia mente con la sua strada bianca e polverosa, profumata dei suoi odori antichi, viva, coi suoi rumori più strani ad ogni angolo di via. Vecchia borgata, muta e buia a sera, senza lampioni, rischiarata a tratti solo dai raggi della bianca luna, solcata da tenebrosi voli, tra i caseggiati decadenti, da stormi di pipistrelli urlanti. Spazzata all’alba dalla gelida tramontana con la sua gente imbacuccata nei vecchi pastrani di guerra, avvolti in sciarpe e scialli di lana, lavorate nodo su nodo, attorno alle caldane, da vecchie e da bambine sferruzzanti con vecchi ferri e gomitoli di lana grezza di pecora. Vecchia borgata, padrona dei miei sogni e dei miei piaceri solitari, del mio fantasticare, madre di infinite certezze, infrante da un fischio di treno ormai lontano, da un bacio di gota ormai asciugato, da tanti affetti persi negli ultimi saluti, visualizzati in un lontano sventolar di fazzoletti agitati tra mani sconosciute. Vecchia borgata, colma di sonore risate, esplose attorno a un tavolo, a giocare a stoppa e sette e mezzo; ricca di miserie e di preoccupazioni e di felicità non rinnovate; povera di minestra ma prospera di solidarietà ormai dimenticate. Ed io mi perdo con te, vecchia borgata antica, nel silenzio opprimente della mia impotenza, di ridare al mio tempo solo un’orma transitoria degli affetti persi nei tuoi vicoli ormai poveri di felicità e d’amore. In silenzio Me ne sto, qui, in silenzio e in silenzio t’ascolto. T’affaccendi: cucini, lavi, stiri. A mezzogiorno mi chiami: “il pranzo è pronto”! “La cena è pronta” la sera mi ripeti. Ed io sto qui t’ascolto, e spesso ti lascio da sola anche a pranzare e arrivo che tu hai già finito e da sola la TV ti sta guardando. Che vita di squallore ti regalo! Non so come tu possa sopportare un compagno che se ne sta in disparte a picchiare demenzialmente la tastiera ed incidere versi su uno schermo che silenzioso lo guarda e l’asseconda. Avrei piacere d’averti a me vicina, di costruire insieme i miei pensieri, d’aver consiglio, un tuo suggerimento. Ma i tuoi interessi senz’altro son diversi: non ti capisco e tu non mi capisci. Nascondo il mio lavoro quando arrivi, e ti celo così quei miei pensieri che forse avresti piacere ad ascoltare dalla mia voce, con quella intensità e la tenerezza che provo mentre accarezzo la tastiera. Ma resto, così, da solo a tormentarmi lasciando inespressi i miei pensieri ed affogando nel risentimento l’amor che provo in cuore e il sentimento. L’agonia Tenui bagliori di un giorno che muore, di un giorno che cade nel sonno profondo nell'oblio più pesante. Ultimi rantoli di un agonizzante che cerca inutilmente di tenere acceso un lume che si spegne. L'amante Sono qui solo, con il cuore che ascolta i rumori. Ho timore di quello che scrivo ! Chi potrebbe capirmi ? Non ha senso la tenerezza che m'inebria i pensieri in questo istante ! Sento che certi sogni non si possono cullare nel tempo ! Percepisco chiaramente l'impossibilità della situazione. Ma io rinasco, le mie cellule bruciano un'infinità di energia, vivono ! Ed anch'io vivo in questa incoscienza che mi stordisce. Eppure avverto un maledetto senso di solitudine attorno a me, di vuoto, anche se mai, in tutta la mia vita ebbi chiara coscienza di non essere solo. Anniversario 2003 Come passa il tempo, mamma, come velocemente passa! Ma tu lo sai, tu vedi, tu mi senti, tu leggi che sempre vivo è il mio dolor dentro il mio petto e sempre più ti penso, e la tua voce ascolto chiamarmi da lontano e consolarmi. Mamma, perdona i giorni del litigio, perdona le parole mie crudeli, scusami per il bene che ho rubato alla tua gioia, al cuore di una madre, al tuo piacere. Dammi una tua carezza, tendimi ancor la mano come un tempo, ch’io mi senta accudito e riguardato dal cuore tuo, dalle premure vere che più nessuno con pari intensità m’ha regalato. E tu sei viva, mamma, vicino a me ti sento, e la tua mano scorre tra i miei capelli e mi tormento. Apoteosi L'aurora di roseo pallore s'affaccia sui monti del Teso e filtra tra i rami dei faggi svegliando nei nidi gli uccelli. Inizia un concerto armonioso di trilli, di toni sonori, un vociare di merli tra i rovi, di cornacchie che prendono il volo. Lancia l'urlo il cuculo dal bosco, gli risponde un cor d'usignoli. Mentre torna guardinga la volpe coi volpini alla tana sicura ed il cervo risalta la siepe e scompare nella fitta radura, il cinghiale attraversa il sentiero con i piccoli in fila indiana che si sbandano grugnendo assordanti tra i castagni ed i lecci del bosco. I leprotti saltellan veloci e si drizzano in piedi a guardare se la volpe è davvero lontana, poi continuano tranquilli a brucare l'erba fresca e ancor piena di guazzo. Ora il sole s'affaccia tra i monti, filtra dolce e s'adagia tra i rami, scende in fondo a scaldar le radici delle querce arroccate nel piano. Il ruscello borbotta festoso, s'inargenta dei raggi del sole, che disegnano strane formelle tra le rive scoscese e tra i sassi levigati dall'acqua che scorre. Giù dal piano arriva il pastore con le pecore e canta contento: sogna già tanti freschi formaggi allineati nelle cave a seccare e un tocco di buona ricotta col pan nero mangiare e gustare. Carri silenti Li vedo anch'io i miei carri silenti , trascinati da due buoi pazienti, mesti avanzare, tra l'ondeggiar dei fianchi, lenti scandire un passo dietro l'altro. Cigola il carro scivola sulla bianca strada assolata verso Melicucco, mentre d'intorno stridon le cicale e le farfalle mi danzano negli occhi. Mesto dorme il massaro la testa appoggiata alla sponda del carro. Sogna d'essere già seduto al suo desco nel misero pagliaio e gustare ricotta con pan nero e vin novello. Cavalluccio di legno Io, sono io, cavalluccio di legno che dondolo sui miei pensieri. Immagini che inseguono ambigui terrorismi. Vivere Che i nostri figli vivano, occhi aderenti sul mondo, guardando le cascate bianche che scivolano sui ghiacciai fino ai fiumi inquinati. Godano della maestosità delle nostre montagne, anche se degradate, imbiancate di neve o dipinte di verde durante le nostre estati. Che non abbiano mai a subire il rombo assordante di morte e le fiamme dei bombardamenti. Che non abbiano mai a vedere i corpi straziati di altri loro fratelli. La ciminiera In mezzo allo stabilimento, come un gigante ch'allunga la mano verso il cielo, la ciminiera fuma. Una densa nube avvolge ogni reparto ed il vapore stordisce gli operai. Marciano le macchine e rombano i motori mentre il carbone brucia negli alti forni. E come un vecchio, brontolone e rauco, la ciminiera lascia nel cielo, a tratti, un puzzo di nitrato e sulla gente sputa il suo smog infernale ogni giorno sempre più pesante, noiosamente uguale. La panchina del "Cippo" Al "Cippo" non c'è più nessuno, s'agita solo, in fondo al mare, il mio secondo "Lupo" morto annegato, legato ad una fune con una grossa pietra al collo: una morte tremenda se vissuta mezzo secolo dopo. "Lupo" s'era ammalato di cimurro, nessuno l'aveva mai vaccinato ed anche il primo cane era morto con lo stesso male, legato ad un palo e fucilato come un partigiano. Povero "Lupo"! amico mio fedele, delle mie scorribande e delle mie fantasie. Ancora oggi piango per te e sento il tuo latrare al mio arrivare da scuola. Il terzo "Lupo" non l'abbiam più visto: rubato una mattina da qualcuno che voleva un cane per l'ovile o per sperimentare. Ricordo mia madre tutta camuffata che lo cercava invano nei pressi del cimitero dove qualcuno diceva averlo visto dietro una femmina in calore. I miei cani sfortunati, per via dell'ignoranza di mio padre, che il veterinario non sapeva cosa fosse. E poi i soldi chi glieli dava per vaccinare un cane? Al Sud anche le bestie seguono a ruota il destino delle persone. Ed io son qui, ancor oggi, con una profonda pena in fondo al cuore, dopo oltre cinquant'anni di silente passione, e rivedo sempre il mio cane, sballottato dai flutti con la sua pietra al collo, laggiù, in fondo al mare, davanti alla panchina del "Cippo" sotto la Via Marina. Cognomi Riscoprire ad uno ad uno i cognomi legati al mio passato sfogliando il Cd nel mio Computer. Spaziare all'infinito inseguendo ricordi e immagini che se ne stanno ammucchiati in un angolo di cuore. Poi dal buio dell'incoscienza vedere balzarmi innanzi una girandola di visi sconosciuti, indefiniti, senza più contorni. Visi ch'io ricordo infantili, dal sorriso pronto e dall'arguzia sviluppata dallo stato di bisogno in cui si viveva. Ed ora stento ad immaginarli, come se le rughe avessero invaso i campi della desolazione che circondano i loro corpi ormai stanchi e forse, qualcuno, anche fuori dal tempo. Corpus Domini Madonne santissime; immagine di Cristi e Crocefissi; altari ed altarini; le migliori coperte ondeggianti ai balconi; strade colorate da petali di rose e margherite; rosai spogli e prati inariditi; Suoni di campanelli; odor d’incenso e litanie assordanti; grazie invocate, e mai concretizzate; Cappucci e incappucciati: sfilano le congreghe; Ceri che scottano il dorso della mano; bestemmie soffocate dentro il cuore per una spina che preme sulla fronte; L’urlo dei gelatai e odore fresco di torroni e di mandorle croccanti dentro il forno. Poi l’urlo per il cielo colorato da scoppiettanti fuochi d’artificio e la notte, tornata dopo poco, padrona di se stessa e del silenzio. Cremazione Non state a pensare quale vestito, quale camicia, quale cravatta addosso mi porrete quando sarò immobile là, sopra quel letto. Tanto in un baleno vi daranno un'urna piccolina, con dentro appena, appena, grigiolina, un pugno di polvere e una monetina che vi siete scordati in un taschino. Cristo Il vento scava solchi profondi sui vecchi muri dell'alto campanile ogni giorno che passa. I rossi mattoni sbriciolano ricordi sui passanti frettolosi che non hanno più tempo neppure per segnarsi. Erbe e passeri convivono tranquilli tra gli embricini rossi mentre il muschio regala sprazzi verdi sui muri. Le vecchie campane tacciono: le meste processioni sono ricordi stantii che il raro incenso che sale dall'altare neppure più scuotono. Dio è morto tra noi, sepolto dalla nostra superbia, per convinzione di non aver più bisogno di lui. Scruta il Priore dall’uscio i giovani abbracciati sulla sconnessa scalinata, mentre il Cristo sorride, inchiodato alla croce, sulle miserie umane. Democratia Nessuno saprà cogliere mai la realtà che si trasforma, nessuno fermerà mai gli ignavi, i pavidi, i vili, dal rigirare la storia secondo le loro convenienze. Fascisti, comunisti, democristiani: un melodramma utilizzato come una giacca rivoltata dai colori cangianti ma dai bottoni risistemati poi al solito posto. Ti rodi di vedere la frittata volteggiare nella padella: un abile cuoco la riprende a volo dopo averla fatta roteare più volte. Ma tu avverti la sconfitta di veder buttare al macero gli ideali in cui hai creduto. Impotente leggi sui giornali, ieri di Cefis oggi di Berlusconi, e domani di un nuovo burattinaio di turno, le notizie impanate ed infarinate e cucinate a dovere presentate per soddisfare il gusto di un esercito di burattini di legno, capaci di sgambettare e saltare perché qualcuno li tira dai fili con maestria professionale. Ed ognuno ha la sua da raccontare, la propria rabbia da sfogare, le proprie ragioni da far valere, e gli insulti con i quali ricoprire l’avversario. E tutti tornano a casa contenti, la sera, contenti di aver goduto il privilegio di una democrazia che è soltanto apparenza e mistificazione. Desy Desy era una bianca cagna maremmana nata e cresciuta sempre alla catena in un recinto, spazzato dalla tramontana, nella valle del Cervino gelida e serena . Il suo padrone sovente si scordava di portargli la zuppa da mangiare ma lei gioiosa gli scodinzolava da lontano se lo vedea arrivare. L'aveva sempre per nulla maltrattata rifilandogli rabbioso dei calcioni lei mugolava triste e sconsolata e lo guardava coi suoi occhi buoni. Saltava sulla rete vedendolo arrivare felice di non restar sola quel giorno, e non smetteva di scodinzolare anche se le urlava di togliersi di torno. Ma poi nel cuor suo si domandava: "Cosa ho fatto? Dove ho mai sbagliato?" Dai calci del padrone si scansava ma continuava a far festa a quell'ingrato. Vuotava in gran fretta la misera scodella, con gli occhi lucenti e buoni lo guardava, s'aspettava una carezza, una parola bella, che neppure per sbaglio mai arrivava. Smetteva di mangiare ad ogni istante per correre intorno al suo padrone sperava restasse, ma quell'ignorante non la slegava neppure a colazione. E la scacciava sempre più ringhioso, ancor peggio d'una bestia feroce ed agitava quel suo baston nodoso urlando con tutta la strozza nella voce. Poi Desy non s'è svegliata più un mattino, la fame e il freddo insieme avevan vinto, la scoprì all'alba per caso un contadino legata al palo, coperta di neve nel recinto. Resta ora il dolor nel cuore della gente di chi non ha voluto prima denunciare le sevizie inferte da un losco delinquente alla sua bestia che sol sapeva amare. E Desy avrebbe dato anche la vita per colui che l'ha fatta morire lei si sarebbe più che mai intristita se avesse visto il suo padron soffrire. Non serve adesso fare altro commento verso chi un fedele amico ha maltrattato, bisognerebbe applicar uguale trattamento per capir le pene che Desy ha sopportato. Dimmi fratello Dimmi, fratello, spiegami perché i tuoi occhi mi guardano sconsolati, mentre le ombre della sera aleggiano la loro disperazione sulle miserie umane. Ho visto i tuoi figli giocare su un prato senza più fiori, un prato un tempo colorato di bimbi sudati e inondato dai loro sorrisi, dove oggi aleggiano solo gli odori delle carcasse delle auto bruciate che inviano al cielo ancora esili tracce di fumo. E come manifesti strappati violentemente dai muri, d'un sol colpo sono rimasti solo i segni d'un ricordo di giorni felici di sorrisi spezzati a metà. Ormai é tardi per fermare questo carro che emana un fetore di morte, che vede gli innocenti ergersi a giudici della violenza repressa nel loro inconscio collettivo. E’ tardi per comprendere che la miccia dell'odio, innescata nelle coscienze dalla volontà di vendetta, possa comprendere il messaggio di misericordia che viene urlato con forza attraverso il filo spinato degli accampamenti. Diversità Mi guardo con gli occhi di un negro, ti sento diverso e rido tra me. Quel viso bianchiccio, quegli occhi celesti, quei capelli lunghi e sbiaditi. Io rido, rido ai diversi da me e penso che il mondo sia fatto solo per me. E' lunga la via E' lunga la via ma quella del ritorno infinita. Come le preghiere del mattino, ogni dì io penso a te. ...E poi il silenzio Nell'immensità del tempo il mio spirito si disintegra nel nulla. Venni, rimasi, vado. Un attimo che è durato una eternità. Volgo lo sguardo indietro: un passato senza ritorno; davanti a me: il vuoto! Il vuoto di un'ora che si appresta a diventare oblio. Poi, per me, il tempo cesserà di esistere. Ecce homo La tua voce, clamante nel deserto, nessuno più ascolta. Anche i fratelli si guardano in cagnesco e le macerie delle loro lacerazioni alzano barricate di terrore e di odio. E tu continui a rinnovare un calvario che pochi superstiti ripercorrono ancora. I Tuoi sentieri non sono più quelli del Signore ma degli assatanati che sulla disperazione costruiscono l’impero del Maligno. Eppure il cuore umano non può essere insensibile al grido di dolore che aleggia oltre i nostri confini; non può simulare indifferenza di fronte alla barbarie che una civiltà evoluta racchiude nel grembo. Odo tra i monti il suono del “Gloria” d’una chiesetta lontana. Ma questa Resurrezione, anche quest’anno, ha il mantello ancora grondante di sangue innocente. Edera amara Sentire: “Figlio mio!” Mai, mai l’ascoltai; udire, appena in un sussurro lieve, lieve per non svegliarmi, un vezzo dolce su una culla che dondola pian piano al rosolante chiarore di un lumino, sperso nel buio di un casolare antico, anch’esso smarrito tra le pieghe d’una memoria stanca. “Figlio mio!”, sentir solo una volta, ricordare un pensiero, una carezza, un pianto greve sul mio corpo infermo, un canto lontan di ninna-nanna che piano si smorza mentre m’addormento. Quante volte sognai d’avere un padre, le cui premure restassero nel cuore da custodir come reliquia sacra e poter dire, davanti a un cimitero, padre t’amai ed il tuo amore è qui nella mia mente. Nulla conservo se non l’ombra nera di giorni sepolti per non ricordare, che rimuovo insieme al mio rimpianto di non poterti, padre, amare tanto. Elezioni Finita la tornata elettorale. Volano per le strade fogli colorati e sparse idee che per mesi hanno invaso piazze e case. Finiti i crocchi e il chiacchierio confuso lungo le vie e le piazze, vinti e vincitori commentano e cercano ragione per i pochi voti raccolti o per un nuovo eletto che a sorpresa ha sconfitto il capolista. Vecchi tromboni e tenere trombette festeggiano il loro ingresso nell’arengo regionale. Oh, che felicità or che seduti sugli scranni dorati hanno di già scordato programmi e impegni che riproporranno con tragica sequenza alla fine del lustro, nella convinzione che il gregge opacizzato li possa ancor riconfermare. Eternità L’amore è dentro, calore profondo che ti sorge dal cuore e non vede il tuo corpo armai stanco di rughe e di mestizia. Eubea A volte mi diletto a sognare quel ceruleo mare dove riposan le ceneri dei guerrieri Japigi. E vedo triremi lente andare, solcare l'Egeo mare ed approdare sulle itale coste. Oh, mia progenie, padri dei miei padri, invano lacrime verso sulla patria lasciata. I Ciclopi sommergono di massi i miei pensieri. Evanescenze Sereno, andare là dove il dolore è sconosciuto. Sperdermi per gli spazi infiniti là dove le tristezze del mondo sono una dimensione non misurabile. Poter navigare in solitudine e non temere il mare in tempesta o le onde ghermirmi. Essere solo anima, solo essenza, e non dovere più soffrire per l’indifferenza che circonda questa dimora d’insaziabili prede. Fantasia E' facile per te scagliare le pietre contro chi non ti capisce, é facile! Ma la gente ti guarda e non ascolta, la gente ti ascolta e non capisce, la gente ti parla e non s'accorge del senso della tua rivolta. Il tuo mondo é forse un mondo frutto di sogni e fantasia? Forse ragionando o guardando con gli occhi della gente comune potrai comprendere la realtà che ti circonda e dare un senso alla tua rivolta. Felicità Invano cercherai d'alleviare il tuo animo stanco. Ti ritroverai sempre più vuoto ed inutile a tutto. E col passare degli anni cercherai un qualcosa che avrai sempre cercato ma che non appagherà mai il tuo spirito e ti lascerà sempre più vuoto e più triste. Fermati e ascolta Ehi, tu, dove vai? Voltati e ascolta! Corri, corri, ma a che serve? T’affanni, ogni mattina e la notte ti tormenti pensando all’affanno del giorno che arriva. Ma che fai? Alzi muri, ti chiudi in scatolette che volan sull’asfalto e lascian dietro scie nere di fumo. Ti tormenti perché l’orto del vicino è più verde. Sprechi concime ed acqua perché i tuoi frutti siano grossi e abbondanti. Lo specchio ti lusinga, riflette un gran signore ricco d’abiti e con le dita anellate. Hai afferrato il mondo tra le mani. Poi una tempesta avvolge il tuo mondo e l’acqua in un momento spazza via ogni cosa! Ora è la fine: fermati e ascolta! Fine millennio Scorrono i mesi, ormai son pochi giorni, e un un nuovo millennio s'avvicina. L'Anti Cristo è alle porte? L'ultimo secolo è stato portatori di guerre, di stragi e di deportazioni, ma ha portato anche valori e l'idealità ha spazzato via gli egoismi più gretti, ha sancito il trionfo delle lotte di classe e la nascita della solidarietà. Ora il millennio s'allontana e con se porta via tutte le idealità, tutti i valori. La storia del secolo sprofonda nella grettezza dei profitti che si realizzano nel segno d'una globalizzazione che ignora ogni diritto. Tramontano le classi e la solidarietà. La marea livellatrice sale ed acutizza le barriere di classe: l'insicurezza affoga ogni speranza del vivere civile. Ed il nuovo millennio che s'affaccia alla finestra butta in strada la semenza dell'odio che attecchirà sul terreno fertile dell'egoismo umano. Gambero zoppo Queste mie contraddizioni mi opprimono. Sentimento e realtà, come una medicina che serve a far guarire tutti i mali del corpo e della mente. Mi sveglio al mattino e vedo gli sfruttati del mondo e vorrei poter trasformare, senza guerre o violenze, le miserie in ricchezza. E come un mago potente sogno di eliminare le ingiustizie ed i soprusi solo ruotando la mano quasi ad allontanare dalla vista le realtà sgradevoli che inondano questa misera terra. Ma il risveglio è lontano! E resto impotente con le mie oppressioni e con l’ansia nel cuore. Il bello e il brutto Sforzati di guardare la gente con i falsi messaggi che i mass-media diffondono. Visi ricostruiti e corpi modellati dai ferri degli estetisti. Guarda oltre la maschera dei modelli imposti. Corpi informi e con intelligenze vive; occhi sgraziati ma che sanno guardare con intensità il mondo per trasmettere immagini di bellezza e d’amore e non languidi sguardi che si esauriscono nell’agonia di una sera. Il bello, il brutto, il grasso, il magro. Stereotipi imposti da falsi profeti che hanno impoverito e offuscato la coscienza del mondo. Il diritto delle bestie Ondeggiando come una barca in mare si disperdono goffamente nel recinto. Anatre, oche, delle paperine e dietro ruspando le galline. Li guardo, e resto pensieroso immaginando la fine che faranno. Or sono gioiose, grattano, beccheggiano tra l’erba, s’inseguono e si lascian carezzare dal sole che biancheggia il bel piumato dai colori vivi. Lo so, domani, o forse sol fra qualche mese, il giorno non vedranno rispuntare e le compagne invano, per l’orto le andranno a ricercare. Ma penso ancora, e tristemente aggiungo, alla povera esistenza dei pennuti negli allevamenti. Pigiati, con le gambe anchilosate, nutrite con mangimi artificiali, ingrassati con metodi malsani, senza vedere il sole, senza poter gioire per una corsa in libertà in mezzo all’erba e ai fiori, senza poter gustare un chicco naturale di granturco, o assaporare il gusto di vermi e moscerini raspando in libertà fuori da quei confini. E godo nel pensar che le galline che vedo correre al sole in mezzo al campo hanno una loro vita, sicuramente breve, ma almeno rispettosa delle regole che detta la natura e dei diritti che agli animal si deve. Il glicine Abbracciato a un cancello allungava i suoi rami nodosi fino al balcone d’una bimba che un tempo avevo amato in silenzio. Triste d’inverno e spoglio se ne restava avvilito, quasi mortificato di non regalare neppure una carezza ai passanti infreddoliti. Ma a primavera s’allargava ad un sorriso gioioso ed indossava un vestito di tenere foglie d’un verde speranza. Poi i suoi grappoli violacei regalavano fresche visioni alla vista e dolci profumi spargevano per l’aria ingentilendo una stradina povera e triste. E, sotto il suo pergolato, occhi di sole e languidi pensieri disperdevo in silenzio tra le nubi, che frettolose si rincorrevano sul cielo incuranti delle mie passioni. Poi un dì lo lasciai! E i suoi odori e la frescura forse ad altri regala. Ma ogni tanto ritorno a ritrovarlo: complice ammicca e mi sorride, da lontano, ed il vecchio saluto mi ripete. Il trenino di Pracchia Un tratto di tranvia è rimasto, non è andato via. Ondeggia, sbanda, rotola, sbraita, si ferma: avanti e indietro, con monotonia. Quel pezzo di rotaia affiora dal selciato luccica sotto il sole: rifiuta d’andar via. Il vecchio muro Tutto l’inverno é rimasto pensieroso con i sassi che si sfaldavano e s’ammucchiavano svogliatamente ai suoi piedi. Calcinacci e rovine, silenzio e muschio insecchito. Ora le lucertole l’accarezzano e le rose inorgoglite le folte chiome hanno poggiato nascondendo i dirupi. Sorridono guardando la strada e regalano sorrisi colorati ai passanti: giallo, rosso, bianco, turchino. Lui corteggia la gente, s’inghirlanda sorride si pavoneggia. Ecco ora è tornato felice. le sue piaghe sono guarite, coperte da armoniosi colori, baciati dal sole. Impotenza Io me ne sto davanti al mio P.C., me ne sto le mani tra le mani: scrivo parole su uno schermo muto la mia coscienza penso di chetare. Me ne sto le mani tra le mani, penso e in silenzio m’arrovello, mi sembra di trovare soluzioni a scrivere inutili versi di facciata. Forse è da preferir la lotta in campo, morire, sì, forse anche morire e non concluder nulla, provare di rivoltar le carte aggiungendo nuova violenza alla violenza amara. Poi vedere le mie ossa al sole, i cani e i corvi a guazzarci sopra, i vermi completare il corso naturale della vita. Ed avere, infine, chiara sensazione che anche questo inutile sacrificio lascia le cose là dov’eran prima; nulla è cambiato, nulla trasformato: solo è cambiata la natura umana e in peggio: nuovo odio, altre nuove vendette e morte e nuova morte, e nuova gente in fuga, disperata, nuovo sangue che scorre, sangue nuovo che non disseta alcuno: la fonte si asciuga e si alimenta ognor con nuovo sangue di popoli innocenti! Indifferentemente Indifferentemente colpiscono gli obiettivi militari. Una nuvoletta s'alza al centro dello schermo: obiettivo centrato. E noi siamo qui, indifferentemente, a guardare le bombe giù cadere. E si finge d'essere al computer a giocare senza però pensare che sotto quella nuvoletta delle vite innocenti, sono stati maciullati in nome della libertà dei Kosovari. Interrogativo Io di qua, tu di là, mio, mio, mio, mà. Tu mi guardi, io ti guardo, mio, mio, mio, mà. Non mi temi, io ci penso. Vuoi qualcosa che non ho. I tuo occhi sono chiari, sono dolci, tu mi guardi e non mi temi. Io ci penso. Ma perché io sono umano e tu sei soltanto un gatto? E se fossi io quel gatto e quest’uomo fossi tu? Io di qua, tu di là. Tu mi guardi e non comprendi. io ti guardo pensieroso e mi chiedo tante cose, mi domando stranamente tutto il senso della vita, e mi chiedo: rinascendo sarò forse un bel gattino, coccolato e ben nutrito, o una triste bestiolina che fa i salti ogni mattina per colmare i suoi digiuni, o sanare i suoi dolori? Io solo? Se quell’utero Non si fosse dilatato Al momento giusto Un poeta non sarebbe Mai nato. Oh, vita! Oh, languida gioia d’una aurora Che sbiadisce la notte! Oh, tremore inconsulto Dell’ombra che arriva E nasconde il colore dei fiori! Il nulla! L’informe! I richiami degli uccelli notturni! Il frusciare misterioso Delle frasche nel bosco! Oh, vita! Oh, amore! Oh, gioia Per il giorno che torna, per il sole nuovo che scalda la terra: che illumina i suoi orrori, le sue miserie, le sue violenze. Ed io qui, solo. Che vedo e che sento! Io solo? La carezza del vento Ho provato tante volte ad ascoltare il chiacchierio confuso dei platani nelle giornate di vento. Il fruscio delle foglie appare come un’onda impetuosa che sbriciola preghiere confuse. Quello dei platani, invece, è un mormorio dolcissimo che invita al riposo e all’oblio. L’urlo delle querce sembra l’imprecare possente dei condannati che scuotono con violenza ceppi e catene. Solo i pini lasciano filtrare con dolcezza il vento tra i rami, coperti di muschi e licheni. Loro mi regalano frazioni di silenzio ed invitano alla pace interiore. Per questo io li amo con tutta l’intensità del mio cuore. La guerra giusta Indifferenti guardiamo le bombe cadere, ieri sull'Iraq oggi sulla Jugoslavia, domani non ha importanza. E' una guerra giusta, si dice e tutti annuiscono. Ma i poveri non fanno guerra a nessuno, loro lottano ogni giorno per la sopravvivenza ed hanno tempo per pensare solo a se stessi. Ma noi non possiamo andar contro corrente e dire che ogni guerra è ingiusta; torna comodo a tanti che le bombe della Nato continuino a cadere per poter poi ricostruire e dimostrare al mondo, con le missioni umanitarie e le crocerossine a fasciar ferite, la nostra vocazione solidale. La Morte Anima passeggera, t’aggiri per i vicoli stretti, dove il sole filtra solo a mezzogiorno e muore alle tre. T’aggiri sfiorando le basse finestre, che sbriciolano rumori di piatti e posate e chiacchierio confuso di bambini e urla di donne. T’aggiri tra il tanfo di stallatico e l’odore di muffe che salgono dalle cantine ormai vuote. T’aggiri in silenzio per non turbare l’operar della morte che raccoglie qua e là i cocci della vita ch’essa rompe e non paga. La ricchezza Per una vita sognai di ritornare da dove son partito pieno d'oro e monili. Ritrovare con i soldi i vecchi amici, tutti i miei parenti e l'affetto di tanta gente che non ricordo più. E, invece, sono tornato più povero di prima, ma con nel cuore le mie ricchezze antiche che non ho mai perduto: L'amore per la terra mia natia e i miei ricordi che valgono un tesoro. La tastiera Non riesco a capire perché a volte le parole sgorgano come un fiume e riempiono i fogli con sentimenti e pensieri che si formano picchiando veloci due indici sulla tastiera. E guardo spesso le dita spostarsi rapidamente sulle singole lettere, ad una velocità incredibile e sembra che il cervello sia tutto lì, in punta ai polpastrelli che spesso restano in sospeso, in aria, quasi a ricercar nuove emozioni. E quando la vena s’esaurisce me ne resto con le mani avvinte alla tastiera e l’accarezzo quasi a farmi suggerire nuove e dolci parole. L'Ammucchiata Dio, che confusione per uno della mia generazione abituato a sentire il vescovo tuonare dal pulpito contro le sinistre. Dio chi ci capisce nulla a sentire Cuccia che oggi benedice la scalata che già s'è consumata dell'Olivetti ai telefoni di stato. Dio senza speranza con la sinistra che flirta con il capitale, con D'Alema che riceve i complimenti dal Presidente degli Stati Uniti perché sta zitto ai suoi bombardamenti. Dio tu che mi dici ora che non posso dissentire e devo solamente pregare, pagare e stare zitto se non ho da lavorare? Uno qualunque Confuso tra la folla, seduto ad un caffè, per strada con gli amici a casa con i parenti. Se parla, tu l’ascolti, come faresti abitualmente e spesso non fai caso a tutto quel che dice. Lui brontola, critica, impreca, urla, borbotta, come tutta la gente. Tu guardi all’orizzonte, le barche in mezzo al mare, un fiore sopra un prato, il sole che tramonta. Tu guardi solo: e non ci fai mai caso se il sol gioca con l’onda e in mar si fa cullare, se un tramonto indora il colle, colora la campagna, se con il cielo si confonde e a volte s’accompagna. Tu guardi il prato coi suoi fiori, ma lui di mille luci li avvampa, di variopinti colori li ricama, con lor s’abbraccia e del loro vibrare si commuove, spesso s’intenerisce. Tu ascolti il parlar confuso della gente, lui intreccia parole e li dipinge con le dolci visioni che la natura a secchi ci regala. Tu continui a guardare: lui osserva pensoso una miseria umana e la descrive con le parole che il cuor gli suggerisce, ti scava dentro e scopre le verità nascoste e te li fa vedere nude e chiare e poi ti impensierisce. Tu discorri, lui ci fa pensare sulla nostra onestà intellettuale, sulle nostre miserie, sugli egoismi che stentano a morire, sulle nostre grettezze poco ostentate ma pronte ad affiorare come una muffa su un vecchio muro che non vuol morire. Ecco il poeta: se l’incontri per strada guarda fisso i suoi occhi: potrai leggere nel fondo del suo cuore tutte le verità che certamente anche tu hai nel petto addormentate, e che lui, con semplice parole, d’un colpo solo le ha tutte risvegliate. Un gatto randagio Quella sera ricordo! T'ho visto per l'ultima volta in fondo alle scale: Invano! La forza a salirle ormai ti mancava, stentavi a reggere ritte le zampe ed il petto per terra poggiavi sconfitto. Del pane imbevuto nel latte ti porsi. Tu, quasi sfinito, annusasti la bianca scodella piegato sul pasto che non sei riuscito neppure a leccare. Uno strano lamento ancora uscì dal tuo petto: cercavi forse di dirmi qualcosa, chiedendo di certo aiuto e conforto, oppure una sola carezza, che per un sorta di strano ribrezzo neppure ti diedi. Invano cercai di farti mangiare qualcosa per darti un poco di forza e intanto guardavo i tuoi occhi che ormai sembravano spenti. Soffrivo in silenzio, non sapevo cosa più fare: mi sentivo impotente! Poi lento ti vidi sparire, nel vicolo pieno di luce all’angolo dell’ultima casa. Ti trovarono morto nel prato, il mattino seguente, disteso sull’erba e sui fiori, sotto un salice dai rami cadenti. E pensai alle ultime ore, rantolante da solo e sperduto, con le forze che scemavano lente di sicuro in cerca d’aiuto, mentre gli occhi chiudevi alla vita e sul prato regnava la notte. Ancor oggi (con tanta tristezza) ogni tanto ti penso e ricordo le fusa donate ed il tuo miagolare alla porta a pretendere un pasto serale insieme ad una lieve carezza che accettavi con gioia senza avere timore. Pur essendo randagio e selvaggio di me non avevi paura, a me donavi una fetta d’amore. Le estati passate Davanti alla porta del tempo, rivedere le mie estati passate nei carruggi intento a giocare, quando le folli erano solo pensieri, legati alle sagre del pesce e al frastuono assordante delle campane lontane. Ricordo solo le barche, tante davvero, che tutta la notte vagavano lente come lucciole bianche sul mare, e, all'alba, l'odore del pesce, esposto sul molo, frammisto al sudore acido dei pescatori, e l'urlio scomposto dei sensali al lavoro. E, poi, quasi nulla: il passo felpato delle donne, per i vicoli silenziosi, per non turbare il sonno dei loro uomini; l'acre odore del fumo che scivolava sui muri, qualcuno, ancor oggi, coi segni neri di un tempo; le reti spiegate al sole ad asciugare, che ingombravano una spiaggia quasi deserta; il canto lontano dei garzoni attorno alle barche tirate sull'arenile, invaso solo da cesti e remi distesi come stanchi giganti assopiti; il fruscio indolente dell'onda che scivola ancor oggi sulle rocce del molo e gorgoglia tra le gore, formicolanti sempre di bimbi vocianti alla ricerca di granchi e molluschi. E, poi, davvero più nulla: solo un tiepido sole, che accarezzava il giorno morente, e la spiaggia di nuovo affollata di pescatori che prendevano il mare. Lei dava l’amore Lei dava l’amore, lo regalava a secchi, a panieri. Bastava un momento e provar ti faceva gioie e piaceri al corpo e alla mente. Lei non sapeva cosa fosse il rancore, rideva, e gioiva per nulla. Non sapeva cosa fosse l’inganno, sperava, credeva ad un mondo sincero. E lei restò sola, con l’affanno ed un figlio. Ma dentro il suo cuore non seppe mai odiare. Perché lei dava l’amore lo regalava a secchi, a panieri. Leopardi T'amai, Leopardi, amai i versi tuoi, sapessi quante volte solo pei campi in te mi ritrovai. Anche io sognai, dal colle d'infinito, sperdermi in mezzo ai campi e la natura. Eppur t'odiai. T'odiai quando quel giorno (ultimo di liceo) mi scontrai con un docente d'italiano. "Filosofo", disse, "disgraziato", aggiunsi. Ne seguì una lunga discussione che mi costò la prima bocciatura nella lingua italiana a me sì cara. Non cambiai mai parere fin d'allora. Non per una sorta di sterile contraddizione. Io ritenevo che se la natura t'avesse fornito adoniche bellezze, forse non avresti mai composto né "Il passero solitario" e neppure "La quiete dopo la tempesta". Rimpianti Com’è buffa la vita! Come strane son le persone, a volte. Per tanto tempo vivi sotto lo stesso tetto con altri tuoi congiunti e mai pensi all’affetto. Liti stupide per futili motivi, rimbrotti per decisioni prese, forse avventate, forse non meditate, ma necessarie per crescere. Rancori per banalità mai valutate fino in fondo. E l’affetto, che è dentro, lo dai per scontato e non gli dai la giusta importanza, il suo reale valore, e lo trattieni ed imprigioni in un angolo di cuore privandolo dell’aria necessaria per farlo risplendere. Poi la morte arriva, spazza la felicità d’una famiglia e fa sorgere i primi rimorsi. E ti rammarichi di non aver distribuito per tempo un sorriso in più a chi ti stava vicino e, forse, soffriva per te, o per le tue tristi parole che l’avevano mortificato ed offeso. Ora ti resta il rimpianto nel cuore, la disperazione di aver sottratto i tuoi sentimenti al piacere d’una madre affettuosa, d’una sorella affezionata. Ma ormai è tardi: il tuo rimorso è lo schiaffo che il tempo ti regala per la tua superbia. Un vento gentile Un vento gentile, stamani, mi accarezza la pelle. Ricorda giornate ormai andate, lenzuola imbiancate ondeggianti ai veroni, capelli arruffati e sapore di mare all’ombra di barche e di scarne capanne costruite alla buona, con stracci e con canne. Ricorda voci a me care di amici e parenti, ormai andate, di gioie finite e mai più riprovate, di sogni spezzati. Giunge lieve dal piano, tra urla e calori, e regala un momento di pace, un gioioso frullare di ali ed un canto sereno tra i rami di un merlo appagato. Le foglie morte L’autunno ritorna: ancora una volta mi fa compagnia, per via; mi regala una nuova stagione, che conto ed archivio come un vecchio banchiere distratto, che si sente già ricco per tutto il tempo passato, arraffato. E’ andata, mi dico, un’altra stagione ho vissuto (e sono già tante, ma poche a pensarci). Una foglia che penzola, sola, da un ramo già scarno e privo dei freschi colori che solo la bella stagione regala. Penzola, balla, ondeggia come un bimbo che volteggia, aggrappato alla fune d’un dondolo appeso ad un ramo ormai spoglio. E tant’altre foglie s’aggrappano, marce, sull’erba del prato, o cercano, invano, un varco per uscire dalla siepe che li abbraccia e trattiene. Ed anch’io mi sento una foglia che muore, dopo esser rinata ad ogni nuova stagione, e mi chiedo il senso di questo cammino un po’ strano, di questa stagione che chiude i cancelli e poi si rinnova e, ch’io spero, di poter ritrovare, per via, ancora in mia compagnia. Barbari Grazie TV di stato, grazie per l’educativa informazione che ogni giorno mi dai! Anche oggi grazie per le immagini crudeli che m’hai voluto ancora regalare mentre sto consumando questo mio pasto frugale. Grazie, ma ho già finito, ché il cibo nel piatto ho abbandonato perché diventa difficile pranzare quando mi fai vedere le brutture e tanti animali indifesi e segregati, in anguste e luride gabbiette imprigionati, in coppia o a quartine accartocciati, che mi guardano un po’ terrorizzati con quei tuoi primi piani irriguardosi, con quell’ondeggiare dei corpi rattrappiti, con quegli occhietti tristi e intimoriti, con quelle mamme che allattano i piccini (ignari della sorte già assegnata), che li abbracciano con protezione e affanno non appena un proiettor s’affaccia a illuminare il buio d’una prigione sporca, opprimente, indegna e inospitale. Ecco oggi la SARS, domani un nuovo acciacco, causato da un modo d’allevare folle, gestito da barbari incivili, legati agli interessi ed al profitto. Barbari, che non conoscono ragioni, che s’accaniscono con tanta crudeltà su dei figli di un Dio crudele che pigramente assiste e che dimostra la sua vera natura irrazionale, che da ragione a chi dubbi non ha, ché in cielo non albergano speranze ma solo sogni gestiti da congreghe che canticchiano inutili orazioni che il maligno non riescono a scalfire. Grazie TV perché ci fai capire l’impotenza della brava gente a cambiar questo mondo imbarbarito, a sconfiggere gli stati ed i governi e chi assassina con tanta indifferenza la natura e gli esseri indifesi e reprimono chi vuole lottare per un mondo migliore da costruire. Pagine Pagine appoggiate sullo schermo, lette frettolosamente, commentate nel silenzio del cuore. Parole che scorrono e pungono l’animo, bagnano gli occhi, salsedine in gola e respiri lenti. Si scruta tra le righe per misurare le verità non dette, i pensieri inespressi, i sentimenti celati. Qua e là qualche segnale che aiuta il lettore a scoprire le gioie ed i dolori di chi lancia i messaggi nel mare del web quasi a turbare, a far pensare, ad impensierire, a far sognare. E nel silenzio della notte turbinano i pensieri e volano, e sognano, e s’inebriano di parole e di voci che sembra svolazzino su uno schermo colorato che riesce a trasmettere anche emozioni. L’esperienza Invecchiando si diventa più bambini si ritorna piano piano nel passato, molli biscotti e dolcissimi budini, fette di pane con tanto cioccolato. Strana è la vita: con tanta pazienza lavori sodo e maturi la pensione; pensi: “forse la mia esperienza potrà servire a tante altre persone”. Come t’inganni! Coloro che hai attorno non gliene frega proprio un accidente; tu pensa a far passare un altro giorno, a quel che ascolti rimani indifferente. Se provi ad accennar mezza parola, pensando che il tuo dir qualcosa vale, potrebbe un nodo stringerti alla gola se quel che dici viene inteso male. Strano è il concetto di maturità, ognun le cose vuol sbrogliar da solo, ma se poi sbaglia non aver pietà, non provare ad entrar nell’altrui ruolo. Non lo sapevi? L’esperienza che tu hai accumulato in oltre sessant’anni equivale, si fa per dir, su e giù, alla somma di due che han trent’anni. Questo non l’avevi mai sentito prima? Mi sembra che non l’hai ancor capito, eppure hai tante doti, sei una cima, ma d’imparar non hai ancor finito. Prova a lasciare scorrere ogni fiume dritto e veloce verso la sua foce; che anneghi colui che senza lume cammina al buio e ignora la tua voce. Ché se aiuto invoca, poi, quando le cose volgono al peggio, tu non ti immischiare! Vai nel giardino e le tue bianche rose pota tranquillo o fingi di innaffiare. Se poi lo vedi sotto l’acqua andare lascialo bere felice in abbondanza, e se ti sembra che stenta a galleggiare fallo annegare nella sua sostanza. Perché sbattendo la testa contro il muro, forse qualcosa imparerà con la fanciulla, e se il cervello gli resterà ancor duro non ti crucciar perché non perdi nulla. Liberazione A volte mi strapperei il cuore e lo butterei tra i rovi per non avvertire più sensazioni spiacevoli o dolori strazianti che nessuna medicina potrà mai curare o lenire. Butterei anche l’anima nello spazio per farla veleggiare come un deltaplano tra le nuvole e farla disperdere con le correnti ascensionali per l’eternità. Ma vivo solo di sogni! M’accorgo che solo la mente strappa attimi di liberazione alle mia opprimente realtà, che vivo come un prigioniero stanco di vedere il cielo da dietro le sbarre d’una dorata prigione. La mia libertà Dalle nevi eterne delle mie montagne alla pianura brulla, dipinta di nebbia e di guazzo. Poi, dal nero delle gallerie, là, in fondo, il mare azzurro, appena ondeggiante, argentato dal sole. Sogno, dai finestrini chiusi, la mia libertà agognata; libertà di tuffarmi, dalla mia panchina ormai in rovina, in un mare di spensieratezza che non ricordo più. Vedo i pescatori remare, tirare le reti senza pesci cosparse d'alghe marine e di bitume. Gabbiani silenziosi aleggiano sui vuoti della disperazione, fantasmi bianchi che stridono le loro catene sulle spiagge ormai insanguinate dal petrolio. Con uno stecco scrosto dalle scarpe il catrame rappreso; m'insapono con rabbia per pulirmi le unghie di mogano. Laggiù in fondo gli strilli di un bambino, un cane che abbaia, il rumore di un'onda che s'infrange sulla nera scogliera. E del mio mare rimane solo la scritta sui muri della mia scuola: E' FINITA. L’onorevole Alla gente non gli importa nulla di me, pensa ai suoi affari. Tanti amici ad un tratto, tutti premurosi e cortesi, qualcuno mi fa anche i regali. “Ad Armando con simpatia” scrive sopra i pacchetti e firma con nomi ch’io neppure conosco. Viene ai convegni: sottovoce parla al vicino, sempre, e non smette un momento, poi sente gli applausi e plaude anche lui, alzandosi in piedi, esultando di gioia. Son tanti, tanta gente che approva il mio agire, sempre, senza nulla capire. Ed io mi sento da solo, solo di dire e di fare, certo di non potere sbagliare, perché la gente mi segue, mi stende la mano e vuole un saluto. Son convinti di essere forti, a starmi vicino, ad essermi amici, di contare anche loro presso altre persone e dire felici: “Anch’io lo conosco, anch’io gli ho parlato, la mano gli ho dato”. Ed io vado avanti, sicuro, almeno mi sembra, convinto di tanto sostegno, ma dentro, dentro, lo avverto, tanto solo mi sento. Sogno Un’auto sfreccia veloce, corre verso l’ignoto. Una brusca frenata e un salto su un vecchio veliero, a motore, rivestito di pelle, che sfiora un mare adombrato, affiancato a una strada d’un vecchio borgo ormai abbandonato. Ed un grande maniero, che tetro aleggia e copre la scena ammantata di ombre e mistero. Un gruppetto di gente che osserva: ed io chiedo, ad un tratto: - di quale nazione mai siete? - Mi risponde un biondino slanciato, con un certo italiano sforzato: - Europa - e mi sento commosso pensando al tempo passato. Attorno qualcuno che veglia seduto su vecchi gradini; in fondo i resti di case ormai vuote, sventrate, disegnano il cielo con tratti sconnessi, incomposti. Poi un prato sassoso, e un cane che sbuca da un masso, un vecchio collare un po’ liso gli stringe un collo insecchito; le orecchie piegate all’indietro, gli occhi suoi buoni, le costole ricamano un corpo affamato. Scodinzola e guarda: s’aspetta qualcosa, anche un tozzo di pane, raffermo. Una piaga ricama la schiena e un insetto sembra entrargli nel corpo. Gli regalo una lieve carezza. Mi sveglio! Quel cane mi brilla negli occhi! Lo penso, lo cerco, poi vedo il mio cane che russa tranquillo, pasciuto, accudito, servito. E una pena profonda m’assale pensando a quel cane, che sembra guardarmi, dal buio, con gli occhi suoi buoni, che aspetta ancora qualcosa. Il barbone Sai, fratello, t'ho visto l'altra sera! T'ho visto, appena giunto alla stazione, con un trancio di pizza e qualche pera, con le tue cianfrusaglie e col cartone. Ti ho osservato aggirarti lentamente in cerca d'un posto un po' al riparo dal gelo, un po' nascosto dalla gente, per mandar giù qualche boccone amaro. T'ho guardato in silenzio, con pietà, ed ho provato a entrare nei tuoi panni, cercando intorno un po' di umanità qualcuno che mi strappasse dagli affanni. Ho trovato l'indifferenza più assoluta di tanta gente, che non volea capire, gente che al mio patir restava muta, quasi annoiata, senza intervenire. Solo la strada avevo a fianco a me: la strada che talvolta è più accogliente e non ti lascia solo, anche perché abbraccia nel suo grembo tanta gente d'ogni razza e d'ogni condizione, non chiede mai a nessuno il passaporto non guarda il ceto sociale o la nazione, non ride se sei brutto o se sei corto. Forse domani ti troveran stecchito, disteso su una panca o sotto un ponte, oggi per te nessuno ha mosso un dito, e pur 'io che t'ho avuto di fronte seduto a terra, là nella stazione, non t'ho allungato neppure mille lire e son passato anch'io con distrazione, fingendo di non vedere e non sentire. Ceneri fredde Pigro, osservo le nubi che si rincorrono nel cielo. Come un bimbo scherzoso disegno con la mano visi di giganti minacciosi, maschere di streghe e di maghi, goffi elefanti che si sciolgono e si ricompongono come disegni di un carosello TV. Sempre uguale, sempre eterno fanciullo. E dentro il mio petto s’agitano i fantasmi di rivoluzioni incompiute, di libertà negate, di uguaglianze infrante sulle soglie degli egoismi che riaffiorano dalle ceneri di un fuoco antico, ormai spento. Invano urlo la mia rabbia al vento: le mie parole rimbalzano sulle porte chiuse di solidarietà ormai dimenticate, cancellate dal tempo, e l’unica finestra aperta emana solo una debole luce insufficiente a rischiarare la stanza buia delle nostre coscienze addormentate. IRAK: Dio cosa fai? Io ti prego Dio, ma cosa fai? Tu non ascolti il grido mio innocente, non so se con gli americani stai con quelli che bombardano la gente, che non guardano in faccia mai nessuno che fan la gioia di Satana all'inferno con l'odio che non risparmia alcuno proprio alla vigilia dell'inverno, a pochi giorni dalla nascita del Cristo in questa terra senza più calore dove ogni cuore è diventato tristo che vede solo l'odio e non l'amore. Fermali, mio Signore, ferma la guerra, infondi nei cuor la fratellanza, fai sì ch'ogni rancore cessi in terra, che trionfi nei cuori la speranza. Ch'ognun non veda nell'altro l'avversario, che si divida fra tutti questo pane, che finisca in fretta il gran calvario causato dalle incursioni americane a un popolo, che già vive di stenti, che ha bisogno almen d'un po' di pace per superare i mille patimenti causati da un popolo vorace che con la scusa di salvare il mondo dalle bombe pieni di battéri sta scatenando in terra il finimondo distraendoci dai problemi veri che son sempre gli stessi da una vita e significano solo che il più forte vuol tenersi tutto il potere tra le dita imponendo la sua pace con la morte. (18.12.1998) Mezzogiorno Attorno a te il silenzio, mentre una bolgia di rumori ti avvolge. Le tue piaghe sanguinano sempre più, mentre i monti si sfasciano, sprofondano a valle, e i tuoi villaggi si sgretolano per i terremoti. Rovine intorno a te e silenzio; silenzio rotto dal riso della gente e dall'indifferenza intorno alle tue valigie di cartone. Mentre le Casse non bastano mai, diventano "abissi per il Mezzogiorno", ed i villaggi si svuotano delle forze migliori, si trasformano in tombe di vecchi, nidi di bambini, uomini precocemente cresciuti, e pronti a spiccare il volo, sale d'attesa di vedove bianche senza sesso. Appare anche oziosa la visita d'un Presidente, attorniato da becchini di stato in livrea nera, dal viso mesto ma dal cuore d'avvoltoio, pronti a scarnare ogni nuovo cadavere d'investimento. Piango con Levi su questo mondo senza più storia e Stato, dove l'antica civiltà è un simulacro che onora solo la morte. 10 Agosto 1993 A oriente nulla di nuovo, scruto nel cielo una scia luminosa che non arriva; la mia speranza è tutta lì. Credo nei messaggi che i mass media diffondono: spero almeno che si avverino. Nel mio cuore una speranza lanciata attraverso gli spazi infiniti, affidati ad una stella cadente che non si vede. Ho espresso già il mio desiderio ed è quasi l'una, ma nessuna cometa traccia nel cielo quella scia di speranza alla quale ho affidato un amore impossibile. Sento quasi l'eco di una mitraglia che sfiora i sogni della gente assonnati sulla conca di Pila. Tutti sperano che i loro sogni si avverino. I soldi servono, si, ma che m'importa se all'improvviso i Gardini scoprono di essere poveri? Forse la mia pensione basta anche per altri, che vivono sotto i ponti e dormono, mentre io aspetto le stelle cadere. Anch'essi hanno in cuore la pace: sognano spezzatino e polenta. Ed io penso a quelli di Bosnia che rischian la pelle per una scodella di acqua. Che strano mondo è codesto, che già m'ha donato dieci lustri e cinque anni, una guerra vissuta e tante altre godute in TV, che se non arriva corrente non servirà più. Primo ottobre Quant'acqua è già passata sotto i ponti, quanta neve è caduta sopra i monti? Quante rondini son volate verso il mare, quante lacrime di bimbi e di scolare? Primo ottobre: il tempo come vola! Iniziava in questo dì la scuola una volta; e col pensiero stanco risento il primo pianto su quel banco ed il maestro, con quei suoi occhialetti che sulla guancia mi dava dei buffetti sussurrando parole per me strane che non ricordo tanto son lontane. Or mi rivedo ancora in un bambino che mi passa piangendo da vicino, col grembiulino nero e la cartella, tirato a peso da una sua sorella pestando i piedi come un disperato come se stesse andando carcerato. Lo guardo triste con il cuore in gola, come quel primo mio giorno di scuola. A mia madre Sentivo i tuoi passi colpire lieve l'asfalto e risuonare nella strada come i rintocchi lente delle ore ed il mio orecchio bambino abbandonava ogni altro interesse, il mio volto si illuminava in un sorriso di gioia serena, e ti correvo incontro. E tu, stanca e felice, mi aprivi tutto il tuo mondo tra le tue braccia tremanti e mi stringevi al cuore, che ancora oggi sento battere al mio. Dove mai siete, giorni spensierati di una felicità mai più conosciuta ? Dove vi nascondete, anni miei sereni fatti di sogni e piccole cose ? Oggi mi resta un mondo completo, completo di cose volute, di cose comprate, di cose che non rappresentano nulla nell'immensità dei desideri insoddisfatti che mi tormentano ed affliggono. Addio giovinezza Cos'è che ti scuote in fondo all'animo e ti fa sentire vuoto ed inutile? A che pensi così mesto ed assorto mentre gli anni ti riportano indietro nel tempo trascorso? Vedo gli occhi tuoi brillare d'una pena tremenda. Piangi, in silenzio piangi, su ciò che non ritorna, su ciò che se ne va tracciando un solco in più sulla tua fronte. A n n a Cosa fai, dove sei, cosa pensi ? Me lo chiedo ogni tanto, quando i ricordi mi riportano incontri furtivi, lontani da sguardi indiscreti, lungo le baracche del lido. Cosa fai, dove sei ? Ormai è tardi. Forse, marmocchi con l'argento vivo occupano le tue giornate, e le tue dita più non scorrono sul piano armonioso. Cosa pensi? mi chiedo ogni tanto quando la mente ti ricorda giuliva ad un appuntamento che rimane un sogno ormai lontano e, forse, dimenticato. L’amore Un giornale ha pubblicato per caso una mia poesia. Ho ricevuto una telefonata da una signora, vecchia conoscente, che non avevo più rivisto da anni. Era commossa, ed io ho creduto alle parole che diceva. Un amico incontrato per strada scherzosamente ha fatto una battuta piena di ironia e sarcasmo. Era invidioso. E, poi, certi pensieri nella sua testolina non sarebbero mai fioriti. Un altro mi ha sorriso, fermandosi a stringermi la mano. Ho visto la tua poesia, ha detto solamente, ed è fuggito via. Non gliene fregava niente. Solo la vecchia signora aveva il cuore pieno di poesia: non è facile comprendere l’amore. Ansietà Viviamo nella precarietà nell'ansia che un pazzo ci tolga d'un colpo il gusto di un'alba, che lenta dipinge di rosa le bianche montagne. Viviamo nell'ansia che un pazzo ci svegli al mattino col fuoco improvviso di morte, coi bagliori accecanti di un giorno di disperazione. Guardiamo, col cuore colmo di eterna speranza, il sole che sorge al mattino. Gustiamo i colori che i suoi raggi lieve risveglia tra le valli assonnate. Assaporiamo ogni giorno il gusto di una vita di pace ma non fingiamo indifferenza sulle brutture quotidiane. Asfalto perduto Un tratto d’asfalto davanti casa mia, sfreccia veloce il traffico a motore, avanti e indietro, con monotonia. Sfreccia veloce. Inseguo tenebroso immagini di morte: i miei pensieri che scorrono lontano. Cercano pace: un mondo di silenzio lassù tra i monti coperti dalla neve, giù nella valle tra l’acque limacciose d’un fiume Reno, apatico, che scorre verso il mare. Guardo dai vetri della mia prigione: immobile, con lo sguardo fisso. Volo coi falchi, volteggianti in cielo, guido in silenzio laggiù, verso il mio mare, guido la stanca mente. Cerco uno sguardo, una carezza pura, uno sfiorare di mano sulla guancia; cerco un borbottio lontano in una casa vuota, fredda, che più non mi appartiene. E mentre la nebbia mi soffoca i pensieri, sembra che il sole mi bruci sulla pelle; e sento una voce che mi parla al cuore, una voce che più non mi appartiene. 12 Gennaio 1999 (A Fabrizio De Andrè) Peccato che tu non mi veda, peccato che tu non mi senta, non avrei parole da dirti, potresti soltanto capirmi, scrutando in fondo al mio cuore, più in fretta vederlo vibrare, guardando il mio viso soffrire, e gli occhi, ... in silenzio, brillare. Bosnia Erzegovina Io non esito più, tu non lo sai, tu non vedi, non senti, non comprendi. Tu sei un'entità stramaledettamente assente perché non viva. Ma io non credo che nel duemila la mia libertà di essere uomo possa essere distrutta. Eppure, in un momento, una civiltà è morta. E sulle sue rovine non c'è Resurrezione ma campi di concentramento. Per questo ho detto basta! Ma dal silenzio, che circonda le mie ossa, il frastuono della mia protesta non deve lasciarti indifferente. Il canarino Il canarino nella sua voliera al mattino mi sveglia col suo canto e come recitando una preghiera al ciel rivolge un accorato pianto. Ma tu sei nato in gabbia piccolino e vivere non sai di libertà sei nato per cantare ogni mattino le tue dolcissime note di pietà. Io ti ho lasciato andare, ed hai volato alto nel cielo, giù per un vallone, ma dopo un poco tu sei ritornato triste e smarrito nella tua prigione. Catuzza (Caterina) Quando i pensieri mi opprimono la mente mi ricordo di te, appena come in un sogno, Catuzza! Cosa mai sei per me? Un attimo giulivo di una frazione di tempo che si è estinto; un lampo velocissimo che si è spento sopra un mare in tempesta; un correre spensierato a piedi scalzi, sopra un prato fiorito! Eppure tu esisti, in me; tu, sporca ed ingenua, coi tuoi capelli arruffati, le tue gote rosate, Catuzza! Quanto tempo è fuggito dietro di noi? Quanti arcobaleni iridati sono svaniti sopra di noi? Dietro di noi, sopra di noi, che non sappiamo più nulla di noi! Eppure tu sei qui, ora, in uno spazio irripetibile d'un tempo sconosciuto, prigioniero lontano. Siamo qui, tu ed io! E mentre i ricordi scorrono veloci, immagini sbiadite si rincorrono nel turbine dei pensieri che m'opprimono il cuore, intercalando affanni e gioia insieme. Malattia Scrivo sul muro bianco della mia cameretta parole stanche e sfuggenti che si disperdono come gocce d’olio sull’acqua. Debolezza, sconforto, impotenza: parole vinte che scivolano e s’adagiano, confuse, ai piedi del mio letto. Scrivo, allora: coraggio, risoluzione, volontà, e fisso le parole sul muro con la forza della mia ragione. Giro lo sguardo fuori dalla mia finestra: solitario un fiore rosso brilla, baciato dal sole, tra la neve. Sedici anni Dal mucchio informe, ogni tanto un’anima si eléva. Sedici anni, un vortice di tempo dietro le spalle, come un ramo solitario troppo alto per aggrapparmi. T’ascolto alla finestra, nel buio della notte: i nostri pensieri s’incrociano come due innamorati che hanno tante cose da dirsi. E sembriamo due bambini con le idee confuse in cerca d’una speranza che per me non arriverà mai più. Spero ardentemente che questa desolazione di pensieri sia spazzata dalla nuova alba che arriva. Lo spero, proprio, per te! E’ assurdo essere vecchi a sedici anni! Poesia Uno schermo bianco: ad ogni ticchettio dei tasti una parola si compone. Un pensiero nuovo scorre e costruisce un sentimento dettato dai palpiti del cuore. La mente spazia, cerca la frase giusta, la giusta sintonia di una emozione, di un pensiero recondito che acquista dimensione. Un dramma umano, una morte violenta, una bruttura, una felicità, un fiore, un aleggiare di farfalla, sono i mattoni. La penna, ha la funzione del cemento: stila e compatta la saldatura dei pensieri. La verità Se cerchi la verità non cercarne una che assomigli alla tua. Sforzati di immaginare anche quella vissuta e creduta dagli altri. Se cerchi Dio, ricordati che è sempre lo stesso anche per gli altri. Sforzati di vederlo come lo vedono gli altri. Anche se ti sembra diverso dal tuo, anche se è chiamato con un nome diverso, sicuramente assomiglia al tuo. Se pensi che i tuoi ideali siano migliori non cercare di imporli a chi ha idee diverse dalle tue; confrontati serenamente con gli altri: potrai imparare qualcosa. Anzi se ti accorgi di non cambiare mai idea, pensaci, può darsi che non sei disponibile ad accettare altre verità. La rosa e il vento Il vento piega i tuoi rami spinosi. Fino a terra lambisci gli steli, sfogli i tuoi petali rosati e ricami il verde del muschio. Invano! Ti ergi E scherzi con esso! Nell’aria ricami frivoli giochi! Ghermisci lo spazio, ancora ti pieghi, ma il capo, sempre, alto tu svetti più forte di prima. Corso Garibaldi (A Giuseppe) Lo ricordo così, com’era, allora, quando le primavere arrivavano puntuali all’appuntamento e l’estate trovava sempre l’attimo giusto per arrivare. S’andava noi quattro a fare il solito giro serale, sul Corso, tra la gente che andava su e giù come stanca marea e si salutava più volte. E tu ridevi, con quel sorriso sornione, tu, figlio di vecchi e già vecchio bambino. E si rideva di te, eri il nostro sollazzo, e tu ridevi, ridevi contento, contento di vederci felici con il volto sereno. Poi la bufera spazzò via le stagioni! Ed ognuno si sparse pel mondo, lontani, a pensare a se stessi. Ma ogni tanto ti penso perché oggi ricordo quel riso sereno, d’allora, che ho perso! Rosa canina Rosa canina, morbida come cotone, lieve come la neve che hai lasciato volare i tuoi petali tra il verde del sentiero. Il vento ti sferza, chini la testa e resisti alla furia che impietosa sferza la tua corolla spoglia. Cade leggera l’acqua e un pallido sole filtra tra i rami di cerro carezzando il tuo stelo e colorando a tratti i pistilli tuoi spogli. Offuschi la chioma ed il capo reclini mentre pallida la luna che sorge, t’accarezza le spine e ti regala un ultimo sorriso. Il naso E’ vero: gli occhi raccolgono le lordure del mondo. L’acqua scorre dagli idranti e le lava. Il giorno dopo si presentano nette le piazze che il giorno prima raccoglievano pozzanghere e sangue. Il cuore soffre, è anche vero, soffre in silenzio, impotente: emette giudizi sommari di condanna. Altro non vuole! Ma i cadaveri delle fosse comuni, poveri corpi in putrefazione, sembrano fagotti abbandonati dai barboni sotto i ponti dei fiumi. Il naso ne avverte il lezzo e lo colora con una smorfia del viso. Il fetido odore dei corpi decomposti ammorba l’aria ed il cuore si intrista. Ma il nauseante lezzo rimane avvolto nella memoria del tempo. E il naso lo memorizza e lo archivia come foto sbiadita che lascia traccia nella coscienza dei giusti. Vorrei ritrovare Vorrei poter ritrovare le parole che un tempo infiammavano i miei versi, schizzi di ceneri ardenti, melodie senza musica ardori senza fuoco. Solo visioni notturne, rigirandomi in un letto madido di sudore. Albe che tardavano ad arrivare in attesa su gradini coperti di stelle e di petali di fiordangelo profumati. E poi un mare terso che aspettava le nostre urla di gioia, e le carezze dei bagnanti per non sentirsi mai solo e giocare con noi. E ritrovare le ragazze sorridenti che lanciavano messaggi in silenzio all’innamorato indifferente sdraiato sulla spiaggia. Oasi perdute negli affanni della vita che travolge i sentimenti, che affoga i piaceri, ma che a momenti ti ricorda che tu esisti. Aspettando l’alba In certe occasioni si attende l’alba per vedere ancora una volta le montagne colorarsi di rosa e di turchino ed i sole lento affacciarsi dalle vette imbiancate. Albe che non arrivano mai inseguendo i pensieri più strani, meditando se da un acciacco si possa uscire o guarire o, forse, morire. Eppure spesso si irride alla morte, altre si disprezza, talvolta si vagheggia, ma nel momento in cui un male occulto ti assale mediti sulle tante cose da fare e sulle tue cartacce da mettere a posto, oppure su qualcosa di personale da distruggere. Pensi anche agli amici che non potrai più vedere oppure a dei contrasti familiari che vorresti appianare prima di addormentarti per sempre. Ed inseguendo queste tristezze vedi l’alba spuntare ed il sole colorare ogni cosa accarezzandoti il viso e regalandoti un po’ di calore. Ed allora t’aggrappi alla vita con disperazione, con risoluzione, e detesti la morte. San Valentino Ecco finalmente solo, a guardare nel giardino del tuo amore le orchidee nere che impallidiscono ai primi raggi della luna. Poterne cogliere una da regalarti oggi che è il giorno dell’amore. Dove è scritto che solo in un giorno dell’anno è possibile esprimere il proprio amore all’amata? E se quel giorno tu fossi arrabbiata o io non avessi voglia alcuna di parlarti d’amore? Ecco oggi, o domani, o forse dopodomani, è il giorno dell’amore mio per te. Non mi interessa il 14 di Febbraio! Forse interessa ai commercianti! A me, proprio non interessa! Il tuo amore per me Il tuo amore per me è come un corso d'un fiume. A volte è vorticoso, altre stagnante; a volte straripa, altre s'inaridisce. Il mio amore per te è simile all'opera d'una formica: con infinita pazienza ricostruisce tutto ciò che tu distruggi. Un prato fiorito Delicati voli di farfalle un mare di fiori di campo ed occhi azzurri di cicoria che veleggiano su un prato bianco di corolle di margherite ondeggianti al vento. Mi disperdo in mezzo ai profumi che la natura mi regala come doni della sua bontà. Ma là, in fondo, la pianura appare ammorbata dal fumo pestifero delle ciminiere, che invadono senza decoro i davanzali fioriti delle case. Soffio la mia rabbia per disperdere il mare di disperazione che m’opprime la mente. E sogno di sciogliermi e sparire in questo mare di tenerezza che per un attimo colora i miei pensieri. Quando muore un vecchio Quando un vecchio muore se ne va con lui un pezzo di storia. Ci si pente, poi, quando un vecchio muore, di non aver raccolto la memoria del tempo. Una vecchia strada di terra battuta; un prato oggi invaso dai palazzi; un insieme di vecchie case appiccicate e cadenti; un angolo di mare da un finestra poi chiusa dietro un muro di cemento; una vecchia rotonda sul mare scomparsa nel nulla. E poi le storie del passato, i giocattoli dei bimbi costruiti con le proprie mani, le corse a piedi scalzi e la caccia a coleotteri e farfalle secondo le stagioni. Quando muore un vecchio, rimane solo la stupidità se non è stata raccolta per tempo la memoria del passato. Giovanna la Pazza Chissà cosa ci frullava nel cervello quando da bimbi ti davamo noia, lanciando sassi contro il tuo cancello. Infantilmente si provava gioia a vederti poi urlare dal balcone dov’era appesa quella vecchia stuoia che usavi come zerbino nell’ingresso di quella casa, a fianco alla chiesetta, coi muri colme di scritte con il gesso che dispettosi schizzavamo in fretta con frasi oscene ed allusioni chiare al tuo mestiere, che da giovanetta, ti aveva poi costretto a esercitare quel caro amico, o meglio l’aguzzino, che dando amor ti seppe poi ingannare. Poi con il tempo divenni un ragazzino e l’esperienza aumentò con la ragione: mi rattristai per quando da bambino t’importunavo. Ma or la situazione t’appariva più grave ogni mattino, avanzando l’età, e per la colazione non possedevi il becco d’un quattrino. Solo una donna di fronte al tuo quartiere, (che abitava in un alloggio lì vicino e avea disapprovato il tuo mestiere), ogni giorno ti offriva una minestra che ti lasciava sull’uscio in un paniere. Quando andai via fioriva la ginestra, e dove andai c’era la neve e il ghiaccio. Tornai a Natale ma la tua finestra chiusa trovai. Solo quel liso straccio sventolava appeso al tuo balcone, e tu dormivi immobile, all’addiaccio, in pace e libera da ogni vessazione. Non recidete i fiori Non recidete i fiori per deporli un dì sulla mia tomba. Non fateli appassire su una bara lucente e piena, ormai, di nulla. Lasciate che essi mi sorridano dai balconi addobbati a festa, dai rosai arrampicati sui muri delle vecchie case, dalle siepi colorate dei giardini, mentre il feretro sfila in mezzo al loro splendore. Non disperdete il profumo delle rose sulla mia sepoltura, che sa di silenzio e di squallore. Regalatemi un ultimo saluto, un addio straripante d’amore, non col pianto di un fiore reciso ma con un gesto che inneggi alla vita. Pace Come puoi rotolarti su te stesso senza guardare fuori dalla tua finestra? Continui a fingere che tutto il mondo sia un mare tranquillo e lo solchi con la barca della tua noncuranza guardando solo il cielo e la luna spuntare. Fermati su una montagna, guarda la pianura e l’umanità che la anima ed osserva il patire della gente e le sue tribolazioni quotidiane. Ecco, adesso puoi guardare anche il cielo e se credi in un Dio liberatore, chiedi che una nuova manna piova nel deserto e digli di far sgorgare acqua viva dalla roccia. Fagli fermare la morte che nascosta sotto ali rombanti, che non sono di farfalla, vuol trasformare la vita in inferno. Arrivederci Alberto Son qui che assisto, muto e addolorato, con mia moglie dietro che smoccica parole, ce ne stiamo intristiti ad ascoltare dalla TV chi ti saluta, amico. Ché tu ci hai accompagnato da tant’anni e ridere ci hai fatto con passione tutti attorno a una radio ancor piccini e poi al cinema tra fumo, spinte, esclamazioni. Non ci guardiamo: ognuno si commuove a modo suo. Ce ne stiamo in silenzio, col magone, a guardare ‘sta folla che t’è venuta a salutare. Ed anche noi, ti salutiamo, Alberto, e ti stringiamo forte, forte, al petto. Ci mancherai, lo so, ma è anche vero che in terra ci hai lasciato il cuore e lo sentiamo battere e vibrare come se fosse vivo e sempre carico d’amore. Ricordi d'infanzia Ma cosa ormai rimane nel mio cuore? Un calpestio di erba, un recidere lieve di ginestra, il profumo del tiglio d'un viale. Un pestare di foglie, tutte cadute dopo un temporale di fine estate. Un fragore di pannocchie scartocciate, un padella di castagne abbruciacchiate. R o m a Roma dei vecchi palazzi, dei grandi portoni, dei cortili immensi. Roma dei vecchi rioni, dei grandi ponti tesi sul suo fiume. Roma di Villa Borghese, della famiglie che fan le scampagnate. Roma scanzonata, dai mille colori, di Trinità dei Monti e dei suoi barboni. Roma delle invasioni, delle devastazioni. Roma della corruzione, delle bustarelle, del campagnolo in cerca d'una occupazione, dell'operaio con le sue preoccupazioni. Roma del Campidoglio, delle sfilate dei cavalleggeri. Roma della confusione, del suo traffico intenso, del suono dei clacson impazziti. Roma multirazziale, un mondo davanti alla stazione. Roma del Papa buono, del Presidente onesto. Roma dei nuvoloni, degli acquazzoni, Roma... Una carezza Stamane m’è arrivato un “grazie” da un’opera benefica per un piccolo pensiero avuto nel passato per le tante persone che ci stanno attorno e che spesso non hanno neppure da mangiare. “Grazie per tutto, grazie per il bene che sei” mi si diceva nel biglietto allegato, che può servire anche da segnalibro. Ma cosa ho fatto, mi sono chiesto guardandomi nel cuore? Quanto potrei di più fare e non faccio? Quanto io spreco in futili gingilli, quanto tempo trascorro a deplorare e quante risorse spreco a non agire? Mi son sentito un nulla! E la carezza che la lettera chiudeva s’è trasformata in un ceffone che m’ha solo intontito e ancor non mi ha svegliato. A Daniela Ciao sconosciuta, salute a te che metti in rete da una città del nord i tuoi messaggi e gridi il tuo amore immenso per la tua terra lontana, abbracciata dal mare, accarezzata dalle onde, e saluti con slancio tutti i compaesani sparsi pel mondo. Ti rispondono anch’essi, con il petto e il cuor colmi di gioia, traboccanti di rimpianti, soffocati da sincera emozione. Ciao Daniela, chiunque tu sia, strillo con te il mio tifo per le squadre di calcio, tutte, della mia regione, tumulando per sempre rancori stupidi e campanilismi assurdi, e con te urlo, al vento, semino nel mare, disperdo in cielo, il mio amore sincero per la mia terra lontana e mai dimenticata. Anche una penna ha un peso Non farti tesori in terra che la ruggine e le tignole distruggono, diceva il Cristo! Non pensare al domani che non sai se arriva davvero! Non ti far cruccio dei beni altrui che un dì scorderanno d'aver posseduto. Non ti curar di nulla, anche gli affanni passano e, se il cuor tuo è tranquillo, anche gli affanni tu sopporterai. Non accumular nulla, al tuo doman non serve. Basta il tranquillo tran tran guardando con distanza le felicità altrui. Riempi il tuo cuore del verde dei prati e dei fiori della primavera. Accarezza la neve che incappuccia i monti ed il cielo colorato d'azzurro. Assapora un giorno di sole ed il vento che porta gli odori più strani. Guarda il giorno che muore con dolcezza interiore come se fosse l'ultima volta che lo vedi finire. Non pensare a quello che lasci se il pensier della morte ti sfiora: neppure un ricordo conservi, neppure una penna ti porterai dietro. A mia moglie (per la morte della mamma) Io penso a te, mia disgraziata compagna, ti penso nella tua prima solitaria nottata. So che il tuo cuore è pieno d'ansia e di disperazione. Provo gli stessi sentimenti di pietà ed il mio animo è invaso da una profonda tristezza. Non so se tu vegli o riposi! Penso che i tuoi sogni, comunque agitati, saranno pieni di ombre e di paure. Ed io ti sono vicino, con il cuore e l'animo gonfi di pianto; ti sono vicino e la tua pena mi invade fino alla disperazione. Ma la mia compassione, la mia inutile tenerezza, a cosa serviranno? La morte continua a falciare, incurante del dolore dei vivi. L’Americano Accarezzami, o vento, baciami, o sole, oggi è l’alba della liberazione, tradisco me stesso e le mie emozioni, mi tuffo nel nulla e chiudo gli occhi alla vita. Ecco, ora ho ingannato me stesso, ho oscurato la mia coscienza. Ora mi sento pronto a navigare in un mondo diverso dove le miserie umane opprimono, dove i deboli sono “perdenti” e la gente senz’anima e senza scrupoli è considerata “vincente”. Un mondo siffatto lascia i barboni morire per strada ed i negri marcire nei ghetti. Io ora sono adulato da una folla di indifferenti e di gente senz’anima. Le mie emozioni si riducono ad inseguire l’edonismo più becero camuffato da amore. Scava, scava! Scava, scava che qualcosa troverai. Vedrai che non potrai sfuggire all’occhio profondo della tua coscienza. Diamine, è mai possibile che non riesci a tagliare i ponti e lasciare tutti gli egoismi al di là del burrone? Falli urlare coloro che ti stanno vicino ma non ascoltare più le loro voci stridule che sprecano lacrime sulle finzioni degli schermi TV e poi tengono la mano chiusa e non vogliono regalare neppure una carezza. Ma che ti importa di conservare per gli altri? Per chi poi? Per qualcuno che esclama: “se avessi i tuoi soldi sarei sempre in giro”. Ma perché non ci pensi quando vedi i servizi in TV con bimbi pieni di mosche e di ossa scomposte? Cosa conservi, cosa metti da parte? Quando il tempo sarà solo una data sul calendario, che tu non potrai leggere più, il tuo egoismo ti farà sussultare nella tomba. Anniversario Tu pensavi mamma, lo pensavi, che t'avrei scordata dopo morta e sul quel treno forse ancor sognavi di rivedermi un giorno alla tua porta. E ti rividi, mamma, su quel letto vestita con un abito di nero, che ti fu messo quasi per dispetto, ché quel colore odiavi nel pensiero. Non piangevo, ma l'anima era nera. Il pianto arrivò quando pensai che avresti dormito al buio quella sera, che il sole non avresti visto mai. Tu credevi alla luce del Signore, ci parlavi delle gioie del Paradiso, mi consolava, in quelle prime ore, che avresti visto il Creatore in viso. E corsi via, lontan dal Camposanto: volevo pensarti ancora in vita, ma mi colse quel mio primo pianto la convinzione che ormai eri finita. Mamma, tu m'hai donato la tua Fede ma son cresciuto troppo razionale, beato il semplice, colui che crede, che vive le sue giornate nel banale. Fortunato è costui: ha la speranza di rivedere un giorno i propri morti. Io invece chiuso in questa stanza penso a tutti gli affetti ormai finiti in una tomba eternamente spoglia, ornata da quattro gladioli sfioriti. Previsioni del tempo Una depressione a carattere statunitense si sta abbattendo su tutto il mondo preannunciando burrasche e tifoni di intensità non controllabili. Bombardieri e portaerei causeranno annuvolamenti con precipitazioni a carattere esplosivo soprattutto sulle regioni del medio oriente. Si prevedono burrasche e tifoni con caduta di missili che potrebbero arrecare gravi danni, anche psicologici, tra la popolazione terrestre e disastri non quantificabili su alcune popolazioni civili nelle zone interessate dalla depressione. Tale situazione comporterà un aumento incontrollato della temperatura del mondo e possibili contraccolpi che potrebbero scatenare reazioni chimiche ed acide con danni incontrollabili ed incalcolabili nell’ecosistema mondiale. Nei prossimi giorni la situazione non sembra destinata a migliorare. E’ probabile che tale depressione potrà coinvolgere molte altre nazioni a livello mondiale. Il Papa ha invitato i fedeli a raccogliersi nella preghiera, ma tale invito sembra non sia servito a riportare il sereno perché la situazione meteorologica si sta evolvendo in maniera problematica e sembra destinata a peggiorare. Gli esperti invitano la popolazione alla massima vigilanza ed hanno allertato la protezione civile a raccogliere nelle piazze il maggior numero possibile di cittadini per cercare di contenere gli avvenimenti. Si consiglia di non chiudere le finestre e di non restare in casa, ma di seguire con la massima attenzione lo sviluppo di tale depressione che potrebbe rivelarsi disastrosa anche per coloro che stanno tenendo un atteggiamento di indifferenza o di noncuranza. Pubblicità, Pubblicità Non c’è più rispetto per alcuno, non si prova neppure commozione se qualche istante prima han fatto vedere distruzioni e morti ammucchiati nella strada e i prigionieri con i visi mesti. Nessuno pensa alle madri americane, che han visto da poco i loro figli in mano ad un esercito nemico e stan soffrendo in cuore mille pene per la sorte che potrebbe ancor toccare ai loro figli in mano agl’irakeni. “Scusate”, sento dir dal conduttore, “abbiam bisogno un attimo di sosta c’è da mandare in onda qualche minuto di pubblicità”. E sullo schermo con indifferenza, senza rispetto alcuno per la morte, per la disperazion di tanta gente, sfilano immagini colme d’euforia, di cani che mordicchiano le “mele”, di carta igienica, di detersivi vari, di paste adesive per dentiere e merendine con la marmellata, di gente allegra, che brinda con del vino o che banchetta al fuoco del camino. Vergogna, urlo nel cuore, vergogna a questo mondo occidentale che vive di surplus e di banale, vergogna a questa bassa informazione che sfrutta l’ascolto addolorato di tanta gente che si strazia il cuore, mortificata per l’ingiusta guerra e costretta a subir la prepotenza di squallidi messaggi commerciali legati a bassi profili di profitto, che offendono la coscienza e il cuore ed opprimono ancor di più la mente. Il dolore Il dolore non conosce frontiere! Non ha diversità di razza, opprime il corpo e la mente al di là del colore della pelle e del continente dove nasce e cresce. Il pianto di una mamma musulmana, che piange i propri figli periti nei bombardamenti, non è diverso da quello di una mamma americana che si dispera per i propri figli morti in battaglia in una terra lontana e inospitale. Il dolore non conosce barriere, si rassomiglia ovunque, anche nel mondo che è degli animali. Un corvo appollaiato su una barriera d’una corsia dell’autostrada, osserva mesto e soffre: invano attende che la compagna morta spicchi il volo. Una pecora disperata bela in cerca del piccolo che non trova più. Una gatta al cielo alza il pianto per un piccolo che il padrone ha dato via. Il dolore non conosce frontiere! Colpisce con pari intensità uomini e bestie. Il dolore unisce i popoli, ma anche li divide, e merita rispetto. Ad un camoscio Dal picco nevoso, giù, fino in fondo alla vallata, vedevi il mondo sparir sotto tuoi zoccoli veloci. Ma un colpo secco, tra una costola e il cuore, mentre brucavi tranquillo, t’ha ferito a morte e sei crollato di schianto. Forse avevi avvertito, col tuo fiuto sottile, la presenza del cacciatore al di là del burrone, ma eri sicuro, coi tuoi balzi veloci, di seminarlo. Ma il suo fucile ha fermato la tua corsa, prima ancor che tu udissi il fragore del colpo. E sei rimasto lì, senza capire, con la bocca ancor piena di fresca erba di montagna. Ora il trofeo della testa tua fiera è lì, appeso a una parete, immobile senza più vita, coi tuoi occhi di vetro che sembra vedano ancora per domandare il senso di questa inutile ferocia. Carità Vedere noi stessi nei panni di chi soffre e trovare uno sconosciuto che ci tenda una mano. E' come ritrovare il sorriso di un bimbo in un giorno di festa. Castagne Il tardo ottobre, con la brina che già ghiaccia la foglia e la pagliuzza spezza, regala sorrisi dagli spicchi aperti dei prunosi ricci, e tra sordi rumori, un crepitio di tonfi tra le foglie e sulle lastre di pietra ci regala. Empie il corbello la vecchia contadina scartando con un ramo forcuto tra le foglie cadute che il vento ha accumulato nelle cune. Batte i ricci e attorno sparge i marroni lucenti che riflettono al sole gli ultimi raggi privi ormai di calore. Lontano un gallo canta: e gli risponde un coccodè d'una gallina ch'ha deposto l'uovo. Il dono Oggi potrei regalarti tutte le gioie del mondo. Le mie mani e la mia mente costruiscono pensieri dolcissimi che tuttavia non riescono a diradare le ombre che circondano questa dimora assediata dal gelo. Vorrei poter volare, libero dai pensieri che affliggono questo angusto angolo di mondo, e distribuire i miei doni ad una umanità stanca d’aspettare la pace. La fuga Fischia un treno, mi volto per guardare, mi sembra di sentir stridere un cancello ascolto lontano il brontolio del mare attendo ancora un suon di campanello. Il sogno s’è spezzato all’improvviso, cosa è successo non l’ho ancor capito, scende lenta una lacrima sul viso non credo ancor che sia tutto finito. Forse ho peccato per il grande amore, ho idolizzato troppo la famiglia? Un falso senso dell’antico onore, la troppa ansia per la propria figlia? Un padre cresce con la sua coscienza, vive nell’ombra della sua cultura, pensa di agire con senno e con prudenza, segue l’istinto della sua natura. Sbaglia, sì, forse sbaglia per amore, lo fa senz’altro non a fin di male, si fa travolgere dai battiti del cuore vuole rendere la vita senza scale a chi ama ancor più della sua vita, e costruisce l’avvenire a sua misura affinché tutta la strada sia spedita libera da intralci e meno dura. Ma quanto questo amore è poi capito? Colui che lo riceve lo gradisce? O lo legge come un dono non gradito perché col suo cuor nulla costruisce? Ecco allora la fuga inaspettata, con i sensi di colpa più opprimenti, rischiare forse una vita travagliata ma libera da schemi e da tormenti, da regole da dovere rispettare, mentre dentro nel cuore si vorrebbe essere liberi in cielo di volare là dove a fin di ben non si dovrebbe. Poi soli, d’un colpo, in capo al mondo, dondolanti su un fiume sconosciuto e guardar l’acqua, scrutare fino in fondo, buttarci dentro la vita in un minuto, per non dover indietro ritornare ed ammettere il proprio fallimento sentirsi dire di non saper lottare per costruirsi un proprio firmamento a misura dei propri sentimenti, e dover dire: “è vero hai tu ragione” e dirlo col cuore e gli occhi spenti mentre ritorni nella tua prigione. Pensieri al cimitero
Ecco, lo vedi? Tu, tronfio del tuo saper, solo polvere sei. (Campo Tizzoro 24.1.99 h. 23,30) Ora lo sai, del tuo poter sotto la terra fredda cosa te ne fai? (h. 23,31) Quando passavi tu tremava il mondo, ora il mondo ti trema sotto un freddo marmo. (H.23,33) Hai mandato al macello tanta gente, pensavi d'essere di ferro, ma pure tu, come il più offeso dei tuoi oppressi, ti sciogli nel liquame e in mezzo ai vermi. (H. 23,34) Anche se scaldi con la stufa la tomba tua, sempre freddo sarai. (H.23,46) (Ad un politico) Sotto una lastra te ne stai a pensare come il prossimo poter ancor fregare? (25.1.1999) (A Diana) Anche da morta sei oggetto di consumo ma la tua vita per me è stata solo fumo. (25.1.1999) Il prezzo della libertà Il Tempo È una trappola Che imprigiona Gli attimi di libertà Che l’adolescenza ti regala. Fingo d’essere rimasto fanciullo Per non perdere Certi privilegi Che molti opulenti personaggi, Ingessati e incravattati, Non potranno mai comprarsi. Questo è amore Se riesci a mantenere immutati nel tempo le emozioni del primo incontro: questo è amore. Non provare a camuffarlo con un dono o un fiore: l’amore non si trova per strada, e neppure si compra sulle bancarelle. Se soffri per l’assenza della tua donna quando ne stai lontano, se desideri ardentemente averla vicina e soffri per questa lontananza: questo è amore. Non vi è altra possibilità per surrogare questo sentimento. Solo un abbraccio affettuoso ed un bacio ardente potranno farti perdonare di aver smesso d’amarla solo un momento. Dal monte Sant'Elia Un nome, un soffio, una pena ! Il vento che rugge tra i rami ! Il mare che bagna la rena ! E voci, canti, richiami. Io solo: lo sguardo sperduto che miro i lidi lontani; il sole che sembra intessuto di fili lucenti, diafani. Un nome portato dal vento, che vien dalla sicula terra, e' un dolce richiamo che lento nel cuor, come spina, si serra. Un nome che allieta, che affanna, un nome che a me da allegria, un nome, mia piccola Anna, io sento sul col Sant'Elia. E un passer loquace mi dice: - Ma Salvi che pensi? Che hai? Non sei forse pago, non sei tu felice? perché ognor pensi che futili guai ? -Non sono io pago, non sono felice, oh! come vorrei averla vicina, sentir tutto ciò ch'ella dice udir quella dolce vocina. Oh! incanto, oh! sogno mio vano, fuggito è il bel tempo d'un dì! E' un sogno svanito lontano, un sogno ch'io ricordo così... Così... come se mai fosse stato, così... come un sogno vissuto, così... come un cuor tormentato che piange il bel tempo perduto. Mai, mai, mai più tornerà quel tempo di baci e promesse, più lento il dì passerà più dura la vita s'intesse. Laggiù il mar rumoreggia battendo sull'irta scogliera ma il mio cuore pare che chieggia una Grazia al Signore stasera. Vedo il sole che lento reclina lambendo co' i raggi le onde, mentre il Vespro, che già s'avvicina, ogni cosa di tetro nasconde. E nel tetro, tra l'irta scogliera, va un canto, che par di sirena, mentre è solo una dolce Preghiera che dal petto fuggir fa ogni pena. Sentimenti Invano attendi che un mio sorriso ti raggiunga lì sul divano. Detesto questa mia immobilità che non sa di nulla, che insegue sogni astratti e si crogiola nel piacere inutile di esprimere sentimenti che neppure conosci. Tengo per me questa gioia inutile che ti farebbe felice se avessi l’idea di urlartela in viso. Sud amaro Odiare le pietre che giacciono all’angolo delle strade immobili, da una eternità. Nessuno le ha tolte! Se ne stanno a testimoniare che quaggiù nulla si rinnova. Anche la coscienza dei nuovi governanti, dopo le inutili promesse, resta immutabilmente identica a quella dei vecchi governanti, irrimediabilmente. Sudore al Sud Pazienza, rassegnazione, provvederà Provvidenza. Quattro legni in croce, un mucchio di stracci, un pane amaro e tanto sudore. Questo il rovescio di una medaglia vecchia più di cent'anni. Ogni anno un urlo di speranza che é poi una frode, un inganno di una classe dominante che opprime e violenta. Un punto nero Un piccolissimo insetto, simile ad un neo spuntato dal nulla, attraversa d'un tratto la mia mano. Per essere piccol così viaggia come un treno e lo seguo in silenzio inerpicarsi sulle mie rughe come scalatore solitario. L'osservo, e una tentazione m'assale di spargere quel nero sulla mia pelle insensibile. Penso alla sua paura all'avvicinarsi del mio dito, al dolore improvviso del suo corpo che si scioglie, al terrore per la morte vicina e lo lascio libero di frugare tra la mia peluria e percorrere un tratto in salita sulle vene gonfie che coprono il dorso della mano. Poi spicca il volo: piccolo punto nero, e scompare nello spazio infinito che lo circonda. Una nuova dimora Un sole sbiadito s'affaccia a illuminare per un attimo questa nuova dimora in questa valle gelata. Cerco con nostalgia il bianco candore dei ghiacciai e della Becca di Nona, che quest'anno non mi ha neppure sorriso. E' difficile per chi ama il sole vederlo soltanto lontano illuminare le cime che mai scalerò. Aosta ho nel cuore, con il suo scenario bellissimo, con i suoi monti che l'abbracciano e scaldano, con la sua vista infinita e con il suono delle campane di Sant'Orso che non sentirò più al mattino, ma che mi rintoccano dentro. Due Novembre E' già l'ora della resurrezione della carne. Brividi intensi percorrono la schiena dei morti. Giro tra le tombe, cosparsi di fiori rossi e di crisantemi. Brulicano i vermi sotto le mie scarpe di gomma, e l'aria è pervasa da un lezzo pesante di ceri che si consumano. Sommesse preghiere infastidiscono ed opprimono: orazioni inutili per orecchie che non ascoltano, a cui non interessano più i bisbigli dei venditori di torroni e caldarroste, che pur offrono a squarciagola una mercanzia che non attira neppure il cuore commosso del visitatore frettoloso tutto immerso nei suoi pensieri tenebrosi. In quel momento a Lerici (Agosto 2001) In quel preciso momento ho colto il tremore dell’onda, il luccichio del sole sull’acqua, il volo d’un gabbiano, il saltellare d’un passero sul muretto che s’affaccia sul mare, lo sciacquettio dell’acqua contro la fiancata d’una barca, l’ondeggiar delle vele ferme in porto, il soffio del vento tra i capelli, le grida d’un bambino, l’abbaiar d’un cane, il pigro movimento d’un ramo ed il lieve ondeggiar dell’erba. Ho colto le tue parole, e il suono della tua voce, in una giornata tranquilla di mezza estate. Mi lascio cullare A volte mi lascio cullare dal vento che frusciando tra i capelli mi riporta carezze che ormai sono spente. Angoli solitari, cascine desolate, lenzuola bianchissime stese al sole sulle siepi ad asciugare e profumo di pane appena sfornato. Odori lontani, che vorrei poter gustare un momento per rivivere storie antiche e sofferenze finite, lotte impari contro lo sfruttamento dei baroni e l’ostilità dei potenti, battaglie giornaliere per la sopravvivenza e per imporre il proprio bisogno di esistere. Abbraccia i ricordi Un amico mi ha detto, di lasciar perdere, di non inseguire i ricordi lontani: “essi ti portano tanta tristezza”, mi ha sussurrato. Ho provato per un giorno a seguire il suo consiglio ed a cancellare tutto ciò che di bello avevo rinchiuso nel cuore e guardare non il mio prato fiorito ma il condominio che aveva preso il suo posto. Neppure il muretto sconnesso vi era rimasto perché un strada asfaltata era sorta al suo posto. Provai una grande tristezza a veder cancellati i miei sogni e odiai immensamente il mio amico che mi aveva distrutto i ricordi. L’agonia della Poesia Quando l’animo è cupo, pervaso da rancore, quando non c’è più amore, invano cerchi di comporre un verso. Mancano le parole, la fantasia ha perso ogni colore! La tua mente balbetta, stenta a comporre qualcosa di decente. Lo sguardo vaga pensoso, si sperde tra le nebbie che nascondono i monti e cancellano i laghi ed i torrenti. I pensieri si rincorrono come i passeggeri in corsa in una metropolitana affollata, dove il rumore affoga ogni pensiero ed annega la voce della gente. Avverti l’inutilità della tua vita: e sogni un mare di tranquillità ed isole assolate e sperse tra l’onde d’un Egeo turchino. E rivedi i tuoi padri, addormentati all’ombra d’un contorto fico o di acacie fiorite e profumate, tornati a ristorar le stanche membra dopo che il fato via li sospinse dall’Eubea ventosa per lidi sconosciuti a soffrire in cuor di nostalgia. Autocritica I miei sono geni perversi ! Nell'antichità dei tempi sono stati plagiati da esseri ribelli e vendicativi. Potessi lasciarli scorrere in libertà compirebbero strane giustizie, eseguirebbero empi progetti e nefandezze. Io li ho incatenati nel mio inconscio profondo. Ma i loro gemiti spesso vincono la resistenza della mia ragione e mi strappano attimi di libertà. Aurora Canta un gallo già spunta l’aurora: sale il sole oltre il monte tra cime e speroni. annuncia cantando un nuovo giorno che arriva pian piano, e poi muore. Sale Come acqua di mare, sospinta da marosi agitati, le mie invocazioni di pace sbattono sulla scogliera con veemenza e furore. Inutilmente s’aggrappano ai massi spigolosi e spugnosi, invano cercano un consenso! Tra un gorgoglio confuso di parole inutili e vuote, che nessuno sembra più ascolti, scivolano nell’indifferenza. Ma poche gocce di mare rimangono tra le cavità delle rocce e si lasciano cullare ed accarezzare dai raggi del sole. E questa piccola, esile, traccia si trasformerà nel tempo in cristalli di sale per l’umanità. S’io potessi S’io potessi tornare al tempo perduto, quando l’anima inseguiva gioiose distese di verde ed i fiori mi baciavano il viso mentre disteso ammiravo le nuvole in cielo. Il vento gioiva a farmi i dispetti: sugli occhi piegava gli steli dell’erba. E la ginestra inondava di dolci profumi I fianchi del monte. Sognavo! Sognavo di volare lontano alla ricerca di gloria e di fama, di piazze inondate di sole e di folle plaudenti. E vidi le masse urlare incomposte di gioia e furore ed anche il sangue sgorgare e tanti innocenti morire. Dei sogni lontani restarono solo le tracce di fiori e corone appoggiati sui muri, ammucchiati sui carri, e il dolore della folla indignata a piangere la gente scomparsa, quella mai più vendicata. Lupo Il giorno che anch'io sarò morto e l'anima andrà in giro vagando, ritornerà tra i sassi dell'orto, di fronte all'antica chiesetta e tra i rovi, ai muri abbracciati, troverà Lupo disteso ch'aspetta. Salterà dalla fossa abbaiando, scuotendo la terra di bocca, dolcemente le mani azzannando. Povero Lupo, di gioia è distrutto, più non ricorda il fucil che l'uccise, scodinzola sempre, dimentica tutto. Fedele mi ha atteso tanti anni, come quando tornavo da scuola, d’un colpo ha rimosso gli affanni. Nuovamente tra i rovi annusare, rotolar con la schiena sull'erba e le buche nel prato scavare; sgambettare in mezzo alle foglie, abbaiando scherzoso ai passanti, ai vecchietti al sol sulle soglie; sbatacchiare con forza il guinzaglio ringhiando perch'io molli la presa, che io lascio, quasi per sbaglio, ché lui possa contento scappare; ritornare con scatti improvvisi, far le finte per farsi acchiappare. Allungarsi, poi, sfinito sull'erba con la lingua ansante tra i denti, gli occhi dolci e la testa superba, vigilando ch'io non abbia a sparire come un tempo, e dover ritornare sotto un mucchio di sassi a patire. (Segnalata alla IX Edizione 2003 del Concorso Nazionale di Poesia “Fazio degli Uberti” – Pisa) Mamma Mamma, nome adorato, nome che dire vuole mille cose: tormento, lotte strenue, sofferenze, dolori accumulati insieme agli anni, gioia che porta al cuore nuova gioia, luce splendente, chiarore al mio cammino, tutto tu dai e mai ricevi niente. Mamma, nome agognato, da un milite passato per le armi, da un bimbo sofferente in ospedale, da un vecchio nel delirio della morte, da un uomo che mai ha avuto madre. Mamma, nome invocato, da un giovane lontano dalla patria, sperduto nel fondo di un abisso d'un mare ch'é una bara senza vita. Mamma, nome avvizzito, fiore che ognor reclina l'estro capo negli ultimi bagliori d'una vita, lottata strenuamente, col peso d'un pensiero ormai morente. Mamma, che hai vegliato, sul volto tenero d'un bimbo, che lottava con l'iniqua Parca, che hai raccolto ogni suo sospiro, che hai pianto se piangeva, che hai riso se rideva. Mamma, sempre più amata, da un figlio che credevi ormai perduto: ora é con te, l'hai alfine riveduto e sei felice e paga. Mamma, agonizzante, che noti del tremor del figlio tuo, che piangi perché... non sai... non potrai... più guidare... il bimbo tuo... Per te é sempre un bimbo, è sempre ignaro e non conosce il mondo; pensi che il suo pianto non tergerà nessuno e soffri e piangi... e ancora guardi il tuo piccino... ... e non lo vedi più. Dove siete finiti Dove siete finiti, amici miei, dove il vostro destino v'ha portato? Chissà dove saranno quei quaderni dove un tempo abbiamo più volte riportato quelle frasi contorte di latino che ognuno scopiazzava dal vicino. A volte vi riguardo, quando la nostalgia mi spinge il cuore, in quella vecchia foto ch’uno di voi scattò quella mattina stretti e abbracciati sulla Via Marina. Mi piace rivedervi sbarbatelli, con quei visi puliti dai pensieri e quei sorrisi limpidi e sinceri che non so se la vita ha cancellato. E soffro se vi penso tra gli affanni, vorrei tener per me ogni dolore sapervi sorridenti da tant’anni e che la vita vostra sia migliore. Avversità Io non so quale male commisi a questo mondo: non uccisi nessuno, né imprecai sull'avverso destino. Amai il prossimo mio con tutto il cuore, tutta l'anima mia. Che peccato commisi per ricevere ognora una scarna mercede? Forse é una colpa sciupare gli anni miei per amor verso gli altri ? Povero Cristo quale error facesti di morire per noi su quella Croce! Ho baciato Ho baciato le tue labbra sotto l'azzurro infinito, d'un cielo terso, mentre il vento accarezzava leggero l'erba, i fiori ed i nostri sorrisi. Il profumo dei fieni appena tagliati si confondeva col sapore della tua pelle calda e languida. Ed io ti guardavo, in silenzio, ti scrutavo nel profondo i pensieri quasi a leggere nei tuoi occhi il senso del tuo amore per me. I fiumi della Lucania Vorrei per una volta ritornare con gli occhi curiosi d'un bambino appiccicato fisso al finestrino i fiumi della Lucania riguardare. Vorrei, dal treno sbuffeggiante, osservare i pescatori tra i canneti lungo i fiumi attorniati da pescheti riprovar quella gioia un solo istante. Le scritte sopra i ponti ritrovare: Crati, Sinni, Angri, Basento, Cavone, e, poi, il Bradano e col magone i miei sogni interrotti rievocare di poter abitare lungo un fiume, e di pescare dall'alto d'un balcone o scivolar sull'acqua col barcone al chiaror d'un tremolante lume. Pensieri che scorrono, più atroci, come l'acqua che fila verso il mare, come gli alberi che sembrano girare per la campagna sempre più veloci. E mentre vago col pensier lontano guardo dalla finestra un ruscelletto che scorre lentamente dirimpetto e un bimbo che mi saluta con la mano. Brutium Hai gli occhi stanchi di chi piange da secoli le miserie di sempre. Cerchi con affanno di risalire una china che ti frana tra i piedi e ti ributta sempre più in basso. Lotti con rabbia, da un'eternità contro un mondo che in silenzio ti guarda Conchiglie Raccoglierò tutte le conchiglie che da bimbo ho buttato sui fondali del mio mare. Leggerò sulle vulve calcificate con la sabbia la mia storia interrotta quando le aurore mattutine erano tutte impregnate dal profumo delle alghe sparse sull'arenile pietroso e dai pesci guizzanti nelle ceste di vimini dei pescatori anneriti dal sole. Gusterò il sapore antico delle mie infantili illusioni e dei miei sogni ancora vaganti su una spiaggia, che non riesco più neppure a sognare. Proverò per l'ultima volta la sensazione di soffuso piacere della rena frusciante tra i piedi che accarezza ancora le mie albe senza tramonto. Conosci te stesso Berrei tutto il sale del mondo se questo bastasse a farmi conoscere me stesso. Cosa ti porti dietro Cosa ti porti dietro, ma che fai? Vedo dei soldi, dei monili d'oro, guarda che dove adesso andrai Non ti serve portare alcun tesoro. Tu continui a pensare ai tuoi bisogni, vorresti gioire anche all'inferno. Scrollati dal cervello certi sogni dove si va non patirai l'inverno. Non stai vedendo cosa porto io? Nulla, nulla mi sto portando dietro. Quello che ho è in fondo al petto mio: son le ricchezze che donerò a San Pietro. Tu adesso soffri di lasciare tutto ti preoccupi dei beni che tu hai delle tue ville, degli alberi da frutto, delle tue aziende con tutti gli operai; della tua servitù, che ti blandiva, del tuo Consiglio di Amministrazione, della tua bramosia, che mai finiva, di tutto accaparrare all'occasione. Anch'io per anni ho colto la ricchezza, fatta di solidarietà, frutto d'amore, ho rubato dal mondo ogni bellezza e l'ho custodita in fondo al cuore. Anche se or son nudo, amico mio, di questi tesori nessuno può privarmi, li può soltanto recuperare Iddio e per questo non ho da disperarmi. Dietro una dolina Ho sparato un colpo, giù dalla dolina, dove accovacciato e sudicio, mi sembra da una vita, me ne stavo col moschetto impugnato a guardia d'un confine segnato su una carta, ma ch'appartiene al mondo. Non ho mai saputo se ho colpito il bersaglio, ma l'eco di quel colpo, a distanza di tanti lunghi anni, continua a rintuonarmi nel cervello, e soffro. Soffro perché non so se il mio nemico è morto oppure è rimasto solo mutilato, non so. Il mio nemico... così m'hanno insegnato a giudicare quel povero Cristo che se ne stava impantanato dietro una dolina sul versante opposto ai nostri appostamenti in difesa d'un confine segnato su una carta ma ch'appartiene al mondo. L’ubriaco Un bicchiere di vino, un calice amaro, droga mattutina. Poi un giro per le piole fino a sera. Fitte alla milza, dondola per la strada, vomita sui marciapiedi, all'angolo delle sue rovine. Poi canta, libero, a squarciagola, urla alla vita, deride la vita, folle. Un urlo che si perde nei vicoli ciechi, tra l'indifferenza dei passanti, e la preoccupazione di qualche cane randagio che lo scruta. Quando al mattino... Quando al mattino m'avvio all'opra quotidiana, davanti a me lo spazio mi abbraccia all'improvviso e mi trascina. Dai casolari s'alza il primo fumo; la luce filtra ancora dalle finestre socchiuse e il contadin s'affaccia dalla nebbiosa stalla col suo secchio di latte. Quattro pioppi scheletriti si stagliano d'un colpo contro un cielo sereno: sembran pennelli d'un gigante intento a colorir di rosa il bigio cielo, che le montagne ricamano con l'ombra scura delle cime aguzze. In questa immensità, d'un paesaggio che scorre al girar del tachimetro della mia vettura in corsa, ogni giorno rinnovo la gioia di vivere e la pazienza di sopportare le avversità e gli affanni. E, pur coi suoi problemi, con le ingiustizie e gli egoismi (istinti atavici lenti a morire), si replica ogni mattino lo spettacolo, immenso e misterioso, di questa vita che sempre si consuma ...e si rinnova. Tornare nel nulla Tornare dal nulla nel nulla dei miei sogni, interrotti tanti anni fa su una spiaggia sepolta da ricordi incredibili di felicità mai più conosciuta. Farmi lambire i piedi, ancora, dall'onda scherzosa, che sa di gioie finite, di luci tremule, che accarezzano ancora le sere tra Reggio e Messina. Canti argentini nel buio di Chiesa Pepe, brusio di comari sedute nell'ombra a contare le cose del rione. Quel pettegolare sommesso, seduti sui gradini, sconnessi, ballerini, e le bimbe assonnate, con le teste appoggiate sui grembi neri delle madri, ormai sepolte in camposanto. Voci ancora vicine, conosciute una ad una, che mi scavano dentro, nel cuore, come un dolore, lento, di un dente cariato. Che strano calvario mi passa negli occhi, mi preme sul cuore: come un dolce languore che sale, sale dal nulla e si perde nel nulla, come un sogno mai fatto; come un'acqua caduta, d'un colpo, in un giorno d'estate, uno di tanti, passati, sognati, pigiati nel cuore, messi a tacere per sempre; come un libro invecchiato, scoperto per caso, e con tenerezza riaperto per ritrovar dentro emozioni d'un tempo passato, d'un tempo trascorso in silenzio, curato come un vecchio vestito da sposo, ancora incartato, ancora buono ad essere usato; come un giorno di festa, che passa veloce, che lascia un sapore d'amaro e di dolce, un sapore d'attesa..... un sapore di morte, che arriva d'un colpo: inattesa! Vivisezione Sguardi pietosi, invano! Oltre le sbarre d’una gabbia infame fedele, come sempre, tu l’osservi e non capisci. Egli ti porta i pasti e una carezza, a tratti, t’addolcisce la vita. Pensi che lui ricambi pari affetto e un lieve sussulto, un vano tentativo d’un leggero scodinzolar di coda, apre il tuo cuore quando al mattino appare nella tua stanzetta, che emana odori d’etere e di urine incontenute. Tu, ignaro strumento di sperimentazioni, guaisci lievemente mentre il capo ti penzola impotente. T’accorgi di soffrire e forse pensi che il tuo padrone possa alleviare le tue pene e ti senti al sicuro quando dalla gabbia t’estrae e sopra un letto di laboratorio, senza rimorso alcuno e senza amore, ti depone. La fotografia Tic, tic! Uno scatto, due scatti! Dall’inquadratura Il mare dietro: davanti dune e cabine abbandonate. Onde ghermiscono la spiaggia: pennellate spumose e alghe morte abbracciate alla rena. L’attracco dei battelli estivi è vuoto; deserta é la spiaggia. Poi il silenzio imprigionato dentro una foto in bianco e nero e i ricordi che sfumano con le nebbie dense all’orizzonte. Ideologia? L’hai vista tu mai la morte? hai mai avvertito il suo odore passarti da vicino? Hai mai sentito l’urlo disperato dei torturati a morte? Hai mai sentito sotto le tue suole il friar delle ossa abbandonate tra le zolle, sparse pei campi? Hai mai visto i corpi denudati delle donne abbandonate ai bordi dei sentieri con le vulve rigonfie vomitanti sangue? Che ne sai della tua dignità spogliata d’ogni traccia umana, della disperazione davanti ad una scodella colma d’avanzi d’un pasto formicolante vermi? Eppure tu continui a credere nei valori di una ideologia che spaccia la sua lotta come difesa dei valori d’una democrazia che semina guerra e disperazione là dove pianta le sue stellate bandiere. Il diverso La mia diversità, ieri normalità, mi far star male, non posso accettare questa novità che tutto si può fare senza più pudore, senza dover tremare. Capisco che il modello, quello mio s’intende, non è originale che è stato costruito seduti a tavolino da borghesi giansenisti e clerico fascisti. Ma che tutto si può fare, mamme artificiali o maschi partorienti, coppie libertarie famiglie omosessuali, sconvolge nel mio petto le mie regole ancestrali. Maschi impupettati, che profuman di mughetto, capelli colorati, fondo tinta in viso, rossetto sulle gote , vestiti variopinti con i tacchi a spillo. Scusate il mio disagio se rifiuto il modello se mi sento additato perché schivo l’estetista e indosso i pantaloni, se porto ancora i baffi e puzzo un po’ di maschio. Lo so, devo evitare la gioventù che avanza, che ride nel vedermi col mio vestito scuro e la cravatta antica. Lo so, devo evitare il giorno e le sue piazze, mi tocca andar di notte sfilando lungo i muri per non farmi vedere. Lo so, e già tutti lo sanno, ormai sono un diverso. La forgia L'acre odor dello zoccolo bruciato sparge attorno un odor dissacratore che affoga l'aria odorosa dei gelsomini in fiore. Batte col maglio il fabbro, batte l'incandescente ferro e sull'incudine lo sagoma a misura dell'ungula del mulo. Soffia, nel tetro antro, l'enorme mantice a pedale, spinto dal garzone solerte, e le scintille solleva dalla forgia e le sparge per l'intera bottega. Tenui bagliori a tempo illuminano i ferri abbandonati negli angoli e sui muri. Ombre d'antiche cose, come sogni interrotti e poi ripresi; come soffi di vento che a momenti disperdono la nebbia dei ricordi, accarezzano i sogni ormai sopiti. Fine Ali plananti sui mari della disperazione, là dove i delfini non guazzano più e le balene perdono l’orientamento arenandosi sulle spiagge cosparse di catrame. Sull’acqua galleggiano pesci boccheggianti che i gabbiani rigettano asciugandosi le piume nere di petrolio. Invano spiccano il volo: mentre sulle rocce agonizzano uccelli neri a cui neppure i gatti danno più la caccia. La nostra civiltà si consuma lentamente tra l’indifferenza dei potenti che lanciano anche nello spazio i resti della loro spazzatura. 25 Aprile 1977: Ore zero Cosciente come non mai vivo per la prima volta un rapporto tra pari. Ogni parola ha un senso ogni movimento un preciso significato politico. Si, l'oppressione e' finita! Mi sento uomo solo per il sesso diverso e non per l'inconscia sicurezza di supremazia che da millenni mi opprime. Mi sento uomo perché riconosco il ruolo d'oppressore affidato alla specie alla quale appartengo. Mi sento uomo perché ho capito che tale espressione é puro sciovinismo imbecille. Mi sento uomo, infine, perché percepisco chiaramente la tua lotta di donna. Che senso hanno le parole vuote di contenuto, le ipocrisie di un rapporto tra impari? Parafrasi vuote, occasionalmente curate di un conformismo borghese che é destinato a marcire. Vuoto il mio cervello dei soliti fronzoli colorati, con gesti meccanici freddamente predeterminati. No, mi rifiuto! sono in rivolta con me stesso, con il mio "io" che si agita nell'incompostezza della perduta supremazia. Tu, hai vinto, donna! Hai vinto il mio modello di maschio dominante che banalmente recita una parte che non gli é propria; che gli é stata imposta dalla violenza borghese. Hai vinto nel preciso momento che ho compreso la tua libera scelta per un incontro che di conquista non conserva altro che la matura consapevolezza di un rapporto tra pari. Hai vinto nel preciso istante che la tua pelle, tutto il tuo corpo, non subisce l'avvilente violenza di una carezza guidata dal mio istinto di maschio, ma ogni nostro momento rappresenta l'ultimo atto di una scena interiormente vissuta, di un dialogo vivo dove parole, carezze, baci, orgasmo sono la naturale conclusione del nostro libero arbitrio ad un rapporto tra pari. A piedi scalzi Terzo millennio: angoli di felicità persi in un occidente che sciupa il benessere e più non apprezza le piccole cose. Rubinetti che sgorgano incuranti della sete del mondo. Luci sfavillanti e centri illuminati a giorno mentre nei villaggi africani alle prime ombre ognuno ristora le membra in attesa dell’alba e del nuovo sole, che scaccia le tenebre ed il buio profondo. Orde viaggianti nel nulla: coi fardelli pesanti sul capo e a piedi scalzi. E quei passi nudi persi tra le dune, per strade polverose, vaganti per sentieri sconosciuti, mi tormentano il cuore mentre cerco nella scarpiera un modello di calzatura che s’intoni al mio vestito scuro. La mosca Ti scaccio, attorno mi voli, ti fermi a guardarmi dall'alto d'un quadro, mentre ti lavi; ritorni a poggiarti sui capelli arruffati; scacciata, di nuovo t'appoggi a un orecchio. Ti vedo, ti sento non vuoi andar via. Chi sei? Sei l'anima, forse, del bimbo ch'è morto? Del bimbo non nato ancor prima di me? Ci penso alle volte: un insetto, una bianca farfalla, un'ape ronzante. Un'anima persa? La vite Modula la tua perfezione sui difetti degli altri. Un nuovo nido Tra le ginestre salta un cardellino. Ciuffi d’erba coglie nel becco e poi lesto s’invola tra le acacie. Un nido forma tra i rami fioriti e tra le spine. Prime sessualità Canta ancora, la nenia al tuo bambino. Dondola pian piano Il pargolo adagiato sull’anca appoggiata sul cavicchio d’una sedia di paglia e l’altra dondolante sul pavimento. Fammi intravedere, ancora, come un tempo, con indifferenza, il candore delle tue cosce che s’allargano e si rinchiudono scoprendo a tratti le bianche mutandine che m’han fatto sognare approdi mai raggiunti. Sbircio ancora Il tuo seno prorompente col capezzolo arrossato affacciato dalla nera camicetta, lasciato volutamente scoperto dopo aver allattato il tuo bimbo. Quante volte ho spiato tra i rami del fiordangelo le tue grazie che con indifferenza mi lasciavi alla vista. E tu eri conscia delle emozioni che provavo e provavi, tu, mamma-bambina, che giocavi con indifferenza a svegliare le mie prime sessualità represse. Dio che pena Dio che pena mi fanno questi potenti di turno, piccoletti che vogliono sembrare giganti indossando scarpe col tacco alto o arrampicandosi sui gradini più elevati per emergere dal gruppo. Dio come sono patetici, tronfi del loro potere e dei soldi che hanno accumulato sottraendoli ai legittimi proprietari. Pensano di durare un’eternità, ma nel volgere d’una stagione passano ed avvizziscono come le foglie, e volano lontano dallo sguardo di chi li ha sopportati e di chi li ha mollemente adulati. Occhi di sole Un giocattolo giace per terra col cuore forato dalla pallottola d’un cecchino nascosti sui tetti di Sarajevo. Giace al sole con le spalle arrossate del sangue del bimbo assassinato. Occhi vitrei, privi di vita, osservano la fuga sotto il sole d’un popolo inerme che piange sommesso, mentre le bombe devastano il centro storico della città. Tutto attorno si gioca alla guerra: l’odio nasce a sei anni guardando la mamma distesa per terra con i seni scoperti e il pube violato e insanguinato. Il tempo non conosce più età: a dieci anni già uomini e manca il tempo per essere bambini. L’occhio va ancora alla culla, alla serena protezione materna, ormai persa da tempo. Dai palazzi distrutti, dalle case senza finestre, si osserva il filmato d’una violenza che non ha fine. Gli occhi si plasmano nell’accettazione della disperazione quotidiana. Un bimbo muore mentre ignaro si disseta sulle rovine d’una fontana rotta che versa sulla piazza acqua coi vermi; un altro raccoglie un pane, ancora tra le mani d’un uomo colpito a morte sulla piazza; un terzo gioca in silenzio, sparando tra le rovine con un fucile senza caricatore. E l’odio conquista la sua parte di ragione nella coscienza d’una generazione che cresce e si vota alla morte ancor prima d’essere adulta. Sguardi ormai senza futuro che annunciano, come nuvole procellose, giorni di tempesta senza più sole. Passerotto Tu, piccolo passerotto, raccolto tremante sotto un nido, col tuo beccuccio roseo proteso quasi a difesa d’un avversario che ti teneva in pugno avvinto, dove mai sei? Dove mai sei volato, dopo che di pasto satollo te ne stavi sotto un tavolo appoggiato a guardarmi con quegli occhini tondi e luccicanti? Ti ritrovai all’alba, freddo per il troppo pasto ingurgitato; tu, piccolo ancora implume, ma che occorrevi festoso, con brevi voli, tra le mie sporche manine e picchiettavi ai miei denti pensando fosse pane imbevuto di latte. Dove l’anima tua se n’è volata, dopo che il pianto mio ti seppellì sotto quei quattro sassi accanto all’uscio d’una dimora ormai dimenticata? Solo il ricordo stanco ti insegue, mentre forse volteggi libero nel cielo e sei felice. Pianto di bimbo Pianto di bimbo, garrulo, argentino, che riempie d'infanzia ogni riposto rifugio. Pianto di bimbo, gioia di una madre ad amorevol cure intenta ed a vezzeggiare. Pianto bimbo, dolce richiamo del tempo che passa, lugubre annuncio della morte che arriva. Pinocchio (Dedicata ai politici) Che pena mi fanno il Gatto e la Volpe, il primo senza uno zampino, la seconda tutta spelacchiata. Li vedo ogni tanto affacciarsi dallo schermo del mio televisore ripetere la solita canzone della politica da baraccone che non incanta più la gente. Ed ho pena per loro, imbonitori da fiera paesana, e tremo per me, ultimo testimone senza più platea, rimasto come uno spaventapasseri a cui il vento ha spazzato via la paglia e il cappello. Ogni tanto Ogni tanto volgo lo sguardo alla fonte e vo alla ricerca dei sogni che sono scomparsi nel nulla. Li cerco negli angoli bui, nei vicoli, che il sole più non carezza, nelle lunghe notti d’estate, tra lucciole e sonni sudati. Invano m’aggiro tra vecchie dimore ormai abbandonate, invano scruto i balconi serrati ed i vasi di fresie tutte seccate. Invano cerco un viso amato affacciato a un verone, che chiama e mi chiede qualcosa. Invano! Mi resta questa mia disperata ricerca di spazi dispersi nel nulla, di corse per campi e sentieri che sanno ancora di vecchi profumi aggrappati alle siepi di gialla ginestra, ridente su poggi e colline, di glicini abbracciati ai cancelli e di bimbe ridenti e chiassose coi capelli arruffati, spazzati dal vento. Poi vedo, d’un tratto, dei visi curiosi affacciati alla casa che amai, alla casa che serra ancora le voci più care al mio cuore ed un senso d’angoscia m’opprime, mi strazia i pensieri e m’offusca la mente. Un volo spezzato I tuoi sogni sono finiti sui gradini d’una scala inospitale. Hai nel cuore lo smarrimento, cerchi forse il calore del nido ormai perduto. Ti muovi quasi stessi nuotando, ma il cemento non risponde al tuo agitare inconvulso d’ali che non frangeranno, mai più, l’aria sotto il tuo breve volo dal tetto alla strada. Già altre volte provai a far vivere altri rondinini: fuori dal nido c’è la speranza di qualche giorno d’angoscia e, poi, la lenta agonia. Meglio abbreviare una fine che potrebbe essere orrenda se ti ributtassi su un tetto qualsiasi nella vana speranza che tu ritrovassi le tue sicurezze perdute, o ti lasciassi al gioco crudele dei gatti. Ma ora resta nel mio cuore il dolore d’aver distrutto una vita. Resta nel petto il tormento dei tuoi deboli artigli avvinti al mio dito, resta nella mia memoria il tuo vano stridio, quasi alla ricerca d’un aiuto che nessuno ha potuto donarti, ed il tuo agitar d’ali in una rapida agonia che ho voluto anticiparti per una forma di pietà che detesto e che mi farà soffrire nel tempo. Sillabo Sarà poi vero che ai poveri è riservato il cielo dopo le sofferenze terrene? Sarà poi vero che il Conte Ugolino farà giustizia dei tanti Ruggieri che infangano l'etica di queste povere spiagge dopo la nostra Resurrezione? Io oso sperare che la giustizia Divina non si farà condizionare dalle forze della conservazione. "U ruzzuliuni" (Al ruzzolone) Mi sperdevo in quella immensità di spazi verdeggianti, aspiravo, avido, un profumo di prato e di ginestre. Correvo, libero, mentre l'erba accarezzava i miei piedi scalzi e frusciando solleticava le mie gote arrossate, la mia fronte bagnata. Era il mio rifugio, mondo meraviglioso fatto di sogni e di avventure, dove i briganti coi lor mantelli neri custodivano tesori e prigionieri; ed io, cavaliere errante, impastando l'argilla, costruivo castelli e principi regnanti. Poi verso sera, quando con un sorriso il sol calava, ritornavo al mio nido povero di minestra, ricco di affetti, tutto sporco e sudato. Mia madre urlava parole dure, che non facevan male, parole amare udite mille volte, parole che oggi mi sembrano carezze. Una goccia di mare (A Suor Maria Claudia Russo) Dove mai sei, piccola madre degli oppressi? La tua gente continua a soffrire, nei vicoli dei paesi che ben conoscevi e i bimbi chiedono del cibo e dei giocattoli usati. Ancor oggi Le vecchie, accovacciate al sole, ricamando le bianche lenzuola di lino, ricordano le tue dolci parole di conforto e d’amore chiacchierando sommessamente ed ogni tanto segnandosi pronunciando il tuo nome. Il sole s’affaccia sui vicoli Tra le vecchie case Malamente arredate. Sulle finestre garofani e rose Sorridono Tra un vaso di prezzemolo E di basilico. Miseria e disoccupazione Ancora imperano impassibili E l’egoismo alza barriere D’odio e di dolore Tra la gente. Una piccola donna Visita premurosa qualche casa Offrendo del cibo E qualche indumento smesso. Una goccia di speranza In un mare di disperazione Che però allieva qualche piccola pena. Un minuscolo segnale di solidarietà! Il tuo esempio, Forse, non è stato vano? Una sera diversa Ti illudi che l'ombra che avvolge la terra bruna, dopo che il sole sfugge all'orizzonte, porti il silenzio, la serenità dell'anima. Falsi furono i poeti, falsi gli artisti. Arriva la sera, muore solo il giorno e le creature che vivono di sole cercan riparo all'ombra delle querce, nelle profonde tane. Ma se accendi un lumino nella notte, vedi continuità di vita attorno all'alone: insetti, coleotteri, predatori notturni che sorvolano il cielo lanciando urli agghiaccianti, frullare d'ali plananti del pipistrello che emette garruli squittii. Lontano il richiamo della volpe, il grugnito d'un cinghiale e, nella radura ombre di veloci cerbiatti sparire su pei grotti. La vita cambia solo il suo mantello: volta la pagina delle usanze sue ma continua senza mai fermarsi a scorrere, continua a trasformarsi e rinnovarsi. A Ungaretti Da Cima 4 del San Michele vedo levarsi il fumo dell’ultima granata che ha dilaniato il corpo d’un alpino. Tu guardi quel corpo immobile con gli occhi sgranati e la bocca aperta sull’ultima parola rimasta incompiuta tra le labbra. Lo guardi e pensi al fiume Nilo che continua a scivolare tra le bianche dune della tua Alessandria. Ti chiedi dei motivi inutili che t’hanno spinto ad impugnare un moschetto per uccidere un fratello che ti spara addosso da una collina vicina e che forse si sta anche lui chiedendo dell’inutilità d’una stupida guerra che non vi appartiene. Vangare Vangare la terra sotto il sole di marzo. Asciugarsi il sudore con la mano sporca di terra. Girare lo sguardo attorno per misurare il lavoro già fatto. Sentire dentro la gioia di se servire se stesso ed il mondo. Giorno verrà Giorno verrà In cui potrò vagare, senza meta o frontiere, di qua e di là del mare, potrò andare a respirare l’aria e inumidir la fronte alle sacre sorgenti dei lidi dei miei avi. Potrò calcar la terra ed ascoltare il rumor degli zoccoli delle vecchie greche di cui racchiudo in grembo I geni più antichi. Respirare l’aria ricca di sandalo e oleandri, asciugarmi la fronte con la paglia profumata raccolta qua e là tra le rocce sospese sul mare. Ascoltare la voce dei miei penati confusa alla brezza che arriva dall’Eubea o dalla Calcide e sentir dire: bentornato figliolo! La vecchia fontana Oggi la vecchia fontana rivive! L'intero paese è rimasto senz'acqua e con fiaschi e bidoni la va a ritrovare, le fa compagnia, come un tempo. L'acqua non scorre più via, inutile e sola. La vecchia fontana rivede qualcuno di nuovo scambiare qualche parola, come allora, quando l'acqua non c'era in tutte le case, e la gente faceva la fila, paziente, serena, e parlava, parlava... e non era mai sola! 6 Agosto 1945 (Anniversario Hiroshima) Il nostro mondo era sempre lo stesso: quello incantato delle favole! Non ci accorgevamo neppure della disperazione che aleggiava attorno e dell’urlo straziante dei nostri parenti che ci chiamavano. Noi guardavamo gli aerei tra le nuvole che brillavano contro il sole: si rideva e si rincorreva l’ombra bruna proiettata sui prati. Ma il nostro riso di gioia fu spezzato da un fungo di fuoco disegnato nel cielo, immenso, accecante, e dalla nostra pelle che volava a brandelli. La nostra felicità si sciolse in un urlo di terrore che rimane scolpito nella nostra memoria ed in quella dei giusti. A tutti A tutti, a te, a voi, a coloro che guardano e non capiscono, o non vogliono capire, a coloro che tacciono e vorrebbero urlare, a coloro che vedono e fingon d'esser ciechi. A tutti, a te, a voi, a coloro che ignorano di vivere per gli altri, perché senza gli altri non avrebbe senso vivere. A coloro che fingono di non capire il senso delle cose, a questi io dico: capite, urlate, guardate, vivete il senso delle cose che vi sono attorno e che vivono per voi. Alla botte Per un attimo, un solo attimo, ti prego, Dio, fammi tornare a vivere i miei sedici anni, sul dolce pendio fiorito de “la Botte”. Sentirmi accarezzare, di nuovo, la schiena dalla dolce brezza marina, rivedere i riflessi lucenti del sole sulle onde dello Stretto e il mio cane “Lupo” adagiato ai miei piedi. Io ti prego, Dio, ma tu non ascolti le mie parole, non esaudisci le mie preghiere. Ma io li vivo lo stesso, quei momenti, e irrido il tuo potere che lascia gli umani coi loro desideri insoddisfatti e le loro speranze irrealizzate. Amo tanto le bestie Amo tanto le bestie perché nel loro regno vince l’istinto ma regna l’equilibrio. Sarà difficile che un leone cacci ed uccida per togliere la vita o per piacere. Anche i serpenti, pur se velenosi, dopo aver inghiottito il topolino se ne stanno tranquilli a digerire anche se un altro roditore gli scorre da vicino o gli saltella scioccamente attorno. L’uomo, invece, è una bestia irrazionale, l’essere più dannoso del creato. Dopo la fine della evoluzione, quando ancora rispettava la natura, e dopo aver deposto l’abito bestiale, ha incominciato a uccidere la stessa specie sua d’appartenenza a volte anche per frivolo piacere. La guerra è l’espressione sconcertante di questa sua diversità di specie che tanti lutti genera nel mondo e tanti pianti nei cuori e nelle menti. La caccia per diletto, o per bieco e frivolo interesse, è poi l’aspetto sconcertante della suo istinto di razza prepotente. Solo la sua estinzione riporterebbe l’equilibrio al mondo e la natura in pace dalla sua nullità rinascerebbe. Autunno Occhi tardivi, stanchi, immagini perse all’orizzonte tra un rotolar di foglie e un dondolare stanco di rami quasi spogli. Nebbie diffuse, a tratti, a celar prati e boschi e laghi. Stormi confusi, a sera; voli radenti ed ondeggianti tra cielo e terra, a ricercare alberi spenti ed olmi ormai cadenti. Bianchi gabbiani Bianchi gabbiani, che sfiorate il mare, che nei suoi flutti poi v'inabissate e con un pesce nel becco rispuntate continuando sull'onda a veleggiare, vorrei un po’ con voi il ciel solcare e sperdermi sotto i raggi della luna, sonnecchiar poi ai bordi d'una duna, dal primo sole farmi risvegliare. Portatemi con voi, siate gentili insegnatemi ad affrontare la tempesta, fate che il cuore mio sia sempre in festa tra pesci, seppie, ostriche e mitili. Fatemi dimenticar tutti gli affanni che circondano la vita degli umani: la casa, i soldi, tutti i tormenti strani che ci affliggono sin dai primi anni di nostra vita, di nostra conoscenza, che ci fanno inseguire sogni arcani, costruiti in mondi a noi lontani e che regalano solo sofferenza. Portatemi con voi, sul mare mosso dove mi sferza il vento e l'onda nera ch'io ritrovi tra i colori della sera l'odor dell'alghe e un ciel tinto di rosso. Oh, caldo sole.... Oh, caldo sole, che il bel color riporti in mente del mio mare lontano, come t'amo e mi manchi. Tra le nubi, nere di bufera, tu schizzi, giallognolo e dormiente, come un serpe che guizza e poi si cheta. Fredde le membra, in questo mio secondo giorno di torpore, impaziente attendo che il ciel si rassereni, che il monte si schiarisca, come quando, passata la bufera, chiaro lo stretto siculo s'apriva e le due sponde l'iride abbracciava. Ora son qui, solingo a riguardare, dalla finestra chiusa, le montagne imbiancate, mentre rincorro ancor lieto e gioioso i miei sentieri, colmi di giovanili emozioni e di progetti, e i dì che ancor guazzavo a piedi scalzi in acque salse ancor tiepide e chiare. Ed era ottobre avanzato e il sole m’asciugava ancor la pelle! Or sui miei sogni saltellano i fantasmi, rei pellegrini vuoti di promesse che inutilmente regalano sorrisi svaniti nel mare dei miei giorni persi. Cerco... Cerco, in una ragnatela di strade, quella, polverosa e bianca, che percorrevo un tempo, coi miei calzoni corti e a piedi scalzi, costeggiata da acacie e siepi ridenti di more. E' una strada assolata, rotta da un concerto di passeri e cicale, d'abbaiar di cani, dal chiocciar di galline, dal gracidar di rane. Suoni indistinti, ormai, d'un tempo sconosciuto, quadro sbiadito e vago d'un vissuto ormai vuoto. Or, qui, seduto, tra la neve che cade, inseguo con tristezza un carrettino trascinato ad uno spago, rivedo con rimpianto un bimbo scalzo, sorridente, coi calzoni corti. Gli anni Chi sono io, povero pellegrino che in giro me ne vo trascinando un sacco colmo di cose inutili e precarie? Viaggio, cantando alla luna. che bizzosa m’irride e guarda e sogghigna e tace. Chi sono io, povero pellegrino, che m’abbevero all’acqua d’una fonte scarna, che balbetta bolle e scivola pigra tra i sassi della sua sorgente? M’accompagna l’odore dei fieni appena tagliati, che profumano di gioventù. Oh, Dio, come il tempo scorre! Ho travasato gli anni da una grossa damigiana ed ho riempito 75 bottiglie bordolesi. Ad una ad una le consumo, annualmente, ed allineo i vuoti impaziente. Sessantacinque sono già vuotate. Se arriverò a bere le restanti mi toccherà allor comprare un’altra damigiana piccolina. Cipressi Mesti cipressi, tremuli lumini accolgono il tuo corpo freddo, pallido, finito ! La terra scavata di fresco emana uno sgradevole odore, accoglie il tuo corpo e lo nasconde, mentre la neve ti regala un ultimo gioco di vita: farfalle bianche che si rincorrono in un cielo mesto del color di morte. Civiltà Una civiltà sta morendo: alla finestra del 2000 si affaccia una nuova cultura di morte. Là dov'era il grano ora sorge il deserto. I sentieri antichi sono spariti. Muri e muraglie non fermano più gli invasori. La morte arriva dal cielo seguendo i segnali che attraversano gli spazi siderali e s'infrangono sui ripetitori della televisione. Gli gnomi sono sconfitti dai giganti. La disperazione ha avuto il sopravvento sulla speranza. Contestazione Facciamo più rumore noi con il nostro silenzio che non le cannonate. Inutilmente sposterete i nostri corpi immobili dall’asfalto o ci inonderete con i getti violenti dei vostri idranti. Il nostro dissenso schiaffeggerà sempre la vostra strana giustizia tesa a ristabilire equilibri che la storia ha condannato per sempre. Rimpianto (A mia madre) Cosa mai dirò al mio cuore, ora che l’ultima goccia del mio amore s’è sparsa come un’ultima acqua caduta da un orcio spezzato? Rimane solo l’eco lontano di parole dette a mezz’aria che ricordo appena, confuse, frammiste al rumore ed al fischio d’un treno che andava. E quella stazione, ora vuota, senza più fazzoletti ondeggianti e lacrime sparse, e sincere, m’appare come un mondo perduto. Sembra un vecchio rifugio lasciato, tante volte pensato, con nel petto una certa speranza di tornare forse per sempre e vivere gli ultimi giorni sdraiato come un tempo su una spiaggia pietrosa al sole d’agosto, per accecare i pensieri, e scaldare un poco il mio animo in pena. Cos’è il tempo Il tempo è lo scorrere dei secondi, è il rimbalzar dell’ora sul desktop del mio pc. Scorre su e giù per lo schermo, rimbalza lento ai bordi del video e s’adagia pigro sulla barra degli strumenti. Il tempo è l’acqua che scorre veloce nella pianura e si perde oltre il ponte sulla ferrovia. Il tempo è il sonno che sfiora le membra e fa chiudere gli occhi, è il risveglio del mattino. Il tempo è il bimbo che nasce e l’uomo maturo che s’addormenta per sempre. Un orologio a cucù Lo guardavo sovente appeso a quel muro bianco e scrostato, allora, ancora giovanetto, durante i miei viaggi, dei quali ritardavo il ritorno. Ogni mattina una mano, con delicatezza, tirava la catenella del pendolo per ricaricarlo ed il cucù si affacciava e le porgeva un saluto. Poi, un giorno, quella mano si fermò per sempre. Anche il pendolo smise di scandire il tempo, ed il verso di quel cucù si è perso in qualche angolo, dimenticato come quella mano. Davanti al mio PC Me ne sto tranquillo nel mio regno, alla mia destra il mouse tra le dita, a portata di mano la tastiera e a mezzo metro il video acceso con aperta una pagina di word. Alla sinistra il mio televisore trasmette immagini di guerra! S’alzano lamenti di feriti, molti i bimbi piangenti e insanguinati: chi senza un braccio e chi senza una gamba, ma qualcun altro ancor più sfortunato perché ambo le braccia gli hanno già amputato. Io batto ritmicamente la tastiera e le parole costruisco. M’attardo a cercare un verso giusto che possa descriver l’emozione che s’agita nel cuore mentre ascolto mia moglie assai provata nel veder tanta gente mutilata e molt’altra che soffre in ospedale. Dio mio, la sento esclamare addolorata, e il suo dolore rimbalza sui miei tasti e m’accompagna mentre confeziono le mie poche parole che nessuno vuole più ascoltare. Il tempo dei sogni da un pezzo ormai è finito: un’era nuova e cieca annegherà ogni speranza umana, distruggendo la fede e cancellando i sogni e l’utopia? Alla deriva Alla deriva su una barchetta di carta spinta da un soffio di vento verso lidi a me ignoti. Volo in silenzio su un mare liscio come l’olio e scuro come la pece più nera. I pesci chinano la testa: invano cercano un cibo che possa sembrare appetibile e che ormai è diventato introvabile. Inutilmente il cielo, che vomita nel mare il pianto di un Dio che non perdona, cerca di rispecchiare i suoi colori che ormai sembrano spenti. Cremazione L'amico: M'han detto che vuoi farti cremare, quando esalerai l'ultimo respiro. Dico: sei mica matto per giocare a tutti quanti questo brutto tiro? Pensa a chi si reca al cimitero a pregar là dove sei sepolto, e sa che lì c'è solo un tizzo nero ed un pugno di polvere raccolto dentro un'urna d'argilla colorata. Eppure tu lo sai: chi resta in vita parla, sopra la tomba illuminata, con la salma e pensa sia assopita. Si illude che l'estinto stia a sentire; e gli racconta le sue disavventure o le cose che ha sentito dire, e lo fa con tutte le premure che si usa con una persona viva; ma se manca il corpo nella bara chi davanti alla tua tomba arriva rimane con la bocca un poco amara. La risposta: Vedo che sei il solito egoista come sempre pensi per te stesso, cerca di non perdere di vista il problema finale che è complesso. Quello che pensi tu non conta molto, dentro la tomba giace freddo un morto: se non ragioni così tu sei uno stolto e ti illudi di parlar col vivo a torto. Un morto, che si sta decomponendo, e se ci pensi dovresti aver ribrezzo di saper che un amico stia dormendo tra il liquame putrido ed il lezzo. Ovvia, perché ti ostini a non pensare al problema, e a come va affrontato? La morte è morte se ti fai atterrare, ma è morte pulita se tu sei cremato. Sacra è la cenere d'un caro defunto: nei tempi antichi veniva benedetto chi la teneva dentro l'urna appunto e la inondava d'incenso sotto il tetto, proprio dentro quelle stesse mura dove aveva vissuto chi moriva, ch'era convinto, con tale sepoltura, d'esser curato come persona viva. E poi, non pensi al lurido mercato delle luci, dei fiori, delle tombe mentre attorno c'è un popolo affamato che non gradisce d'ascoltar le trombe della tua dissennata vanità? Pensa ai problemi, quelli tanto veri di sottrarre la terra alla città per ingrandire soltanto i cimiteri. Guardati attorno, ai paesi in guerra, pensa lo scempio fatto dalle bombe, coi cadaveri sparsi intorno a terra o coi cani che scavan tra le tombe. Il morto le cure le gradisce mentre sta in vita, quando ne ha bisogno. Quando è morto sicuro non patisce, non culla nella tomba altro suo sogno. Dio non c'è Ma dove sta Dio quando uccidono la gente? Dov'è nascosto quando nel mondo lo sfruttamento dei minori falcia le vite umane? In quale nuvola si nasconde quando la cattiveria umana spazza via tutti i sentimenti umani? Questo Dio per nulla mi somiglia, è un Dio crudele che io non riconosco, un Dio che io ripudio. Se il male impera in questo mondo, se la giustizia viaggia solo su nel cielo, io che sto coi piedi sul terreno, odio questo Dio che sta a guardare, ignoro questo Dio che io detesto. Donare tutto l’amore Poter donare tutto l‘amore che si ha dentro, ad di fuori dei conformismi e delle regole che imprigionano i sentimenti! Accorgersi che il tuo amore è sciupato, inutilizzato, buttato via come l’acqua sudicia di una bacinella, mentre tante anime la berrebbero avidamente! Poter donare anche i desideri repressi, che rinverdiscono i pensieri e gli istinti e rendono piacevole un rapporto. Poter catturare gli aliti di fantasia che si dondolano malinconicamente sulla ragnatela dei sentimenti inespressi e dare sfogo alle proprie insoddisfazioni senza il timore del peccato. E son trent’anni E son trent'anni che ti sto lontano è germogliato ed han tagliato il grano il contadino ha già bevuto il vino la botte è vuota, vuota come il cuor. Il treno parte per il mio paese, io resto immobile qui, nella stazione, c'è gente che saluta, (piange il cuore!), loro ti rivedranno io non so più. Non mi ricordo ormai dei tuoi capelli, appena mi risuona la tua voce, sono passati ormai gli anni più belli, ed io son qui lontan, son Cristo in Croce. E' vero non mi sanguinano le mani, ma questa piaga aperta dentro il cuore, sanguina ancor di più del mio rancore. Rancore per un mondo ormai perduto, per i miei sogni nel mare sprofondati per questa vita persa nel frastuono degli alti forni, smarrita nel fumo delle sue colate. Il tempo passa è ver, ma che rimane di questa vita, ormai diseredata, di questo cuore che batte dentro un petto senza speranza, senza sentimento? Appena volgo lo sguardo alla sorgente non vedo più una madre sorridente, non vedo una sorella premurosa, non vedo un padre pur se prepotente, non vedo più una casa, ormai venduta. Quello che resta è qui, dentro il mio cuore: sono i ricordi. E' quelli non li vendo: son lì, come dei panni in un cassetto, a volte son lasciati abbandonati, a volte, pur se stretti, li rimetto. Egoismo Non offrirmi quel fiore, quel fiore d’amore, in questo mondo d’odio e di paura. Si spaccano le pietre rabbrividiscono per l’omicidio volontario della guerra irrazionale. Seccano le sorgenti, pur sempre vive, per i veleni che trasportano e che distruggono la vita. Si inaridiscono gli animi per l’ingordigia sempre più spregiudicata, per l’egoismo sempre più esasperato. Non offrirmi quel fiore, quel fiore d’amore in questo mondo d’odio e di paura. Enalotto Si attende con ansia l'estrazione. Si sogna, si costruiscono castelli, si pensa a tante buone azioni. Poi sul video scorrono i numeri e sfumano i pensieri. Si rinviano i sogni alla prossima estrazione. Bosnia Le trote guizzano saettanti lungo i corsi impetuosi dei fiumi bosniaci. In mezzo alle rovine della grande diga abbattuta colonie di pesci scivolano tra i sassi alla ricerca di cibo, ignari della odissea delle altre specie animali. I campi sono deserti, le case sventrate, mentre torme di cani annusano l'aria alla ricerca di cadaveri in putrefazione. Dal cielo sono scomparse le colombe e gli uccelli sono emigrati anzitempo in cerca di nidi sicuri per la procreazione. Aleggia sulla terra l'ombra furtiva della morte, annunciata dal saettar dei razzi, e dallo scoppiar delle granate in mezzo ad una popolazione incredula ed inerme, che attonita s'interroga del perché di queste inutili atrocità. Età All'alba le scale sembrano meno ripide, ma quando il sole raggiunge il tramonto ed anche le ombre sembrano più opprimenti allora anche discenderle diventa pesante. E t n a E' sera. L'ombra ha coperto d'un fitto mistero ogni angolo, ogni vicolo. Nel cielo si staglia coperta di neve l'Etna superba. Bagliori rossastri inondano lo spazio al di là dello stretto: lapilli incandescenti, come giochi pirotecnici, saettano verso il cielo. Un brontolio, quasi un sordo rumore, s'alza dalle viscere inquiete e si perde sul mare. Cala,dai fianchi scoscesi un fiume di lava, che spande intorno un aspro odor di zolfo e di ginestra bruciata. Europa Il ricordo della storia è ingrato: ingrato e stanco. Milioni di morti per difendere tante patrie che oggi non hanno più confine. Morti che gridano vendetta, reclamano giustizia, perché la loro sete di pace giace nel fango delle trincee del Carso, si sperde tra l'urlo della tormenta dell'Adamello o del San Michele, è sepolta nel limo del Piave o affiora ancora tra le onde del golfo di Trieste. Ancor oggi il solito burattinaio gioca al massacro con nuovi fanti armati che invocano la pace e continuano a morire per una patria che non ha confini. Evasione Andare a piedi rincorrendo la linea della spiaggia che si perde, tra cabine ed ombrelloni, in un confuso contorno all'orizzonte che fonde il cielo col mare. Sbirciare, tra i pennoni ondeggianti dei pescherecci all'ancora lungo il molo, il sole che filtra tra le reti tese a fianco dei canneti e che ricama d'argento i rigagnoli che si perdono lungo una pianura nebbiosa. Un fante austriaco Una mano appesa al reticolato, che ormai più non punge; l'altra allungata quasi ad accarezzare l'erba del prato; il corpo disteso tra i sassi, gli scarponi chiodati che splendono al sole, il suo silenzio desolante. Povero fante austriaco, senza nome, quanto somigli ai morti miei caduti per una Patria assetata di sangue contadino. Fermare il tempo Tante volte mi crogiolo nella mia pigrizia e spero così di fermare il mio tempo e d’allungare la vita. Che noia mi danno quelle persone che affermano di voler fare qualcosa per far scorrere il tempo senza pensare che ogni giorno che passa è una frazione di vita che se ne va. Capita a volte, e molti ne hanno vissuta l’esperienza, che un acciacco improvviso ti colpisca. Ed il male che t’assale t’assilla ed infastidisce enormemente e vorresti che il tempo passasse più in fretta per cancellare il dolore che t’affligge. Solo in questi momenti t’accorgi con pena com’è difficile far fuggire le ore ed osservi con rancore la lentezza delle lancette dell’orologio sul muro che sembrano vogliano indispettirti a non far scorrere il tempo. Fior d’angelo Ricordo una stradina che s’inerpicava fino in cielo. Da lassù il mare splendeva come un brillante appeso al collo di una donna. Una via lastricata da ciottoli e cinta da vecchie case; rallegrata da grida di bimbi e veroni imbiancati da mughetti profumati, abbracciati in stretti vasi di coccio. E, sui gradini d’una vecchia scala, un fior d’angelo che sfidava il cielo coi rami ricamati da petali imbiancati. Lo sfioravo al mattino, passando coi libri sotto il braccio. Poi uno stelo staccavo e lo fiutavo felice. A scuola, discreto, lo deponevo sul banco d’una compagna, che m’ispirava dolci pensieri. Ma, un giorno, non ritrovai più il fior d’angelo nel vaso e quella scala affondò nell’ombra, senza più un sorriso e senza più colore. Comignoli Silenti fumano i comignoli sui tetti bianchi di neve. Simili a vaghe ombre di vecchi sonnolenti spargono pel cielo bigio il loro alito acre di castagno Fuori dal mondo Un tempo ho anche dipinto: dipinto dei quadri di borghi sperduti tra i monti. Ho anche dipinto delle vecchie cascine, disperse in vallate gelate in pianure assolate. E strano: ci penso ancor oggi! In quei vicoli antichi regnava sovrano il silenzio, nessuna presenza allietava le casi e le corti. La pace, ricerca di oblio, la fuga dal mondo, da tutto, aleggiava in quel tempo, in quei quadri. E ancor oggi, come un’anima in pena silenzio e ristoro ricerco, solitario, al di fuori del mondo. Gelsomini Lungo la statale ionica, che da San Lorenzo va a Brancaleone, una distesa bianca fino al mare di bianchi gelsomini. Il sole già colora la collina ed un esercito di donne, ancora tutte arruffate e coi bambini coi i corbelli di vimini colgono in fretta le bianche corolle prima che il sole ne appassisca i petali delicati. Profumo e lavoro, delicatezza e sudore ricchezza e miseria s’intrecciano su questa terra amara che ancor oggi regala orrori ed odori in par misura. Il contadino Sotto il sole d'aprile o d'agosto, hai zappato le zolle indurite sotto un albero all'ombra nascosto hai asciugato le mani incallite; il tuo corpo hai nutrito con pane, cacio, vino e alcune cipolle, t’ha cullato il grè-grè delle rane riposando su un letto di zolle. Ma che vita Dio t'ha donato? Cosa avanza a cotanta fatica? Dopo aver per più dì lavorato non raccogli neppure una spiga. Sento tutti parlar di giustizia, di un’equa mercede al lavoro, io m’accorgo che solo mestizia tu guadagni e poco ristoro. La tua gente ha sempre versato alti costi in ogni stagione, i tuoi figli alla patria hai donato, e invano li hai attesi in stazione. Han pagato poi, nuovi prezzi: operai nelle grandi officine, costruendo sempre i soliti pezzi e sognando un coccodè di galline. Ancor oggi attendi che il conto qualcheduno alla fine pareggi ma t’illudono col solito acconto e la vita degli altri sorreggi. La sorreggi col tuo duro lavoro sempre curvo a scavare nei campi senza ferie, ne svago o ristoro col sudor sotto il sole e coi lampi. Il telefono Oggi un amico m’ha fatto una sorpresa: al cellulare m’ha chiesto come stavo perché notizie da un po’ più non gli davo e il mio silenzio turbava la sua attesa. Così, parlando un po’ del più e del meno, e degli acciacchi che avanzano con gli anni, (che non mi avean creato gravi affanni), gli ho riportato nell’animo il sereno. A dire il vero, m’ha fatto anche piacere, saper che tanti amici s’erano allarmati del mio silenzio, e un po’ preoccupati qualche notizia cercavano d’avere. Così, d’un colpo, (io che l’odio a fondo) ho valutato, purtroppo, l’importanza del telefono fisso, ché dalla tua stanza con internet ti fa abbracciare il mondo. Ed ho provato un piccolo rimpianto ché questi amici non posso or salutare ma con Lorenzo l’ho potuto fare e a lor dirà che li ringrazio tanto. Dubbio Pochi rintocchi, scarni, noiosi, stanchi, delle campane di Sant'Orso. L'alba é spuntata da poco. Guardo il cielo che già si tinge di giorno. Ma il mio è uno sguardo assente, che corre lontano e spazia nel silenzio in cerca di risposte che nessuno sa offrirmi. Penso intensamente a soluzioni a me chiare ma che per molti rimangono sfuggenti e che non riesco a chiarire. Forse rappresentano l'immagine della situazione d'indeterminatezza in cui mi trovo e che mi tormenta. Tristezza Il mio cuore é triste, triste come una sentinella che attende che finisca il suo turno di guardia in una notte di bufera. Il processo Io sono qui, e voi non ci pensate, ma questo processo sta per terminare. Voi siete in dieci, sembrate indaffarati, ma ognun di voi pensa all'indomani. Chi fugge dal lavoro, chi si sente realizzato, chi si vede snobbato, chi pensa d'esser Dio. E io son qui, penso agli affanni miei, a questa sorte che non ho cercato, che come una tegola sulla testa d'un tratto m'é caduta. Ma già sto costruendo il mio domani, e godo della delusion che proverete. Penso ai progetti che vi salteranno, tutti. Penso al colpo che riceverete quando vi porteranno a conoscenza che il processo con oggi s'è concluso per l'improvvisa scomparsa dell'unico imputato. Vedo la vostra rabbia per essere costretti a ritornare al vostro lavoro monotono e abituale, di rientrare nell'anonimato, di non poter di nuovo raccontare della mia faccia tosta, della mia presunzione, della certezza della mia colpevolezza. E mentre tornerete nel limbo dei comuni il mio spirito infin potrà volare libero in cielo senza le fredde sbarre che non lo potranno più fermare. Immagini I suoni della mia adolescenza, a me tanto cari, da me tanto lontani, mi ritornano in mente tante volte nel silenzio dei miei pomeriggi. Rivedo bocche tremanti, risento fischi distanti e cani ululare e il vento soffiare, le fronde stormire e i grilli cantare. I suoni della mia adolescenza me li porto nel cuore come ricordi stanchi: vecchie fotografie sempre più sbiadite, ma che conservano i tratti d'un tempo che mi appartiene. In fuga Spinsi la barca, gli uomini incitai: folle urlanti verso lidi senza un approdo certo io portai. Non era credo, non era ideologia: forse fu convenienza, conformismo? Il veleggiare senza vento in poppa se non si rema con vigor, con convinzione, si rischia di naufragare nell'indifferenza. Alla speranza, ai giorni della partecipazione, segue la triste realtà d'una resa senza condizione. Allor meglio la fuga, il riscoprire tutta una realtà fra quattro mura ed aspettare che finisca ognun la sua suonata e poter risuonar forse più forte di nuovo con la mazza su un tamburo. Indipendenza Ora i ponti stanno per essere tagliati. T’accorgi a un tratto che il tuo ruolo è finito! Basta con i consigli, lascia da parte gli inutili discorsi che restano a mezz’aria e si sciolgono come chicchi di grandine caduta in un giorno d‘estate. Ognuno va’ per la sua strada: i tuoi pensieri fermentano e costruiscono situazioni che nessuno più accetta. L’ascia cade sul ceppo; a volte taglia nel centro a volte solo lo sfiora. Il fiume della vita scorre, con le sue piene e la sua aridità e i sorrisi si fermano su sponde melmose ed affogano nel limo senza alcuna pietà. Invano tendi la mano, invano sorreggi e guidi: le tue parole si disperdono nell’inutilità del tuo rimpianto, nel silenzio del tuo risentimento. L'infinito Annegai nella mia pigrizia anch'io, quell'anno, convinto d'essere ormai promosso in italiano. Quella siepe mi bloccò il passaggio e quell'estate mi tocco studiare invece d'inseguir ozii di mare. E sognai anch'io quell'ermo colle e me l'immaginai disperso sopra un monte che ritrovai dopo tanti anni avanti pieno di gente e pieno di rumore. Inganno Tu mi accarezzi i capelli e mi parli delle tue insicurezze, come se io ti potessi liberare dalle oppressioni che affogano anche il mio essere. Vorrei poterti strappare all'inganno di un mondo che non ci appartiene. Religione Io dovrei credere a un Dio di mille colori, che diventa unica Verità in ogni continente? Io dovrei lottare per un Dio, che è l'unica Verità, trucidando il fratello che non si riconosce nel mio credo? Io dovrei subire una Verità confezionata nei laboratori di vili mercanti che contrabbandano per amore l'odio di religione e giustificano l'omicidio nel nome del loro Dio? Japigia Lungo la strada statale che da Bari porta al Salento li vedo gli ulivi da cent’anni abbracciati tra loro, con i tronchi contorti che ricamano figure grottesche di divinità mitologiche. Sognano, sulle radici assopiti, gli esuli d’Eubea che ripararono tra le sponde di identico mare in patria novella lontani dai tiranni invasori. Nuova linfa ristora i guerrieri Japigi che han deposto le armi, e il vento che spira dalle vicine isole greche porta a volte il profumo della patria lontana. E noi esuli, che trasciniamo i nostri corpi in contrade sconosciute, che la madre lontana sogniamo, allunghiamo la mano oltre il ponto a noi amico e con l'occhio spaziamo sulle vecchie dimore dei nostri Penati, e le ceneri care, frammiste alle zolle nelle urne sacrali, tra incensi e ginestre, ancora onoriamo. Gli ulivi ora scuotono i rami e la terra di semi oleosi ricoprono tutta, affinché il rito sia uguale, la fatica sia uguale ed il pianto ancor esso sia uguale, sia sempre lo stesso. La ghiandaia Nel cielo voli nuovi confondono la ghiandaia, appollaiata sulle querce antiche. Lancia un urlo verso le vette dove il suo compagno resta silente. La grande umanità La "grande umanità" non esiste più. Insieme al suo muro di Berlino é crollato il velo delle verità dell'ipocrisia ideologica. Immagini spietate, si affacciano alla finestra del 2000, immagini di vecchi senza speranza, di giovani senza futuro, di bimbi depredati della loro innocenza. Oh, Internazionale, Internazionale! quale barbarie stai rappresentando agli occhi attoniti di una intera generazione? La tua storia, grande storia, si chiude in miseria. Dei tuoi grandi ideali, del tuo solidarismo, rimangono solo turpi mercati d'organi umani, sottratti con inganno e violenza a corpi giovinetti d'innocenti. La neve Come lievi ali di rondine plananti, fruscii appena percettibili, s'adagia bianca sui tetti disegnando goffe forme di camini ed alberi nudi. Fantasmi irosi che danzano nell'inconscio della mia fantasia sempre inquieta, dei miei pensieri sempre instabili e sospettosi. Giorgio La Pira Quante volte quelle parole ho ripensato, buttate come un seme tra quei banchi da quell'omino, che non ho scordato, e che rivedo ormai con gli occhi stanchi. Parole, trascinate via dal vento, quando non si stava ad ascoltare, ma che son ritornate ogni momento se un dubbio mi stava a tormentare. Parole forti, contro ogni violenza, quella subita, nel periodo fascista, parole dolci, per invocar clemenza per quanti uscivan dalla diritta pista. Parole amare, per deboli e sfruttati, che non hanno alcun mezzo di difesa, parole severe, per l'indifferenza degli stati agli eccidi di gente povera e indifesa. Semenza, sì, era proprio semenza caduta in parte su un arido terreno, ma tant'altra ha generato conoscenza, amor per gli altri, ricerca del sereno nei rapporti interni alla famiglia, nelle relazioni umane tra le genti, nel rispetto per chi non ti somiglia, restando vivo tra gli indifferenti. Quelle parole oneste oggi risento e sembrano assordanti dentro il cuore, oggi, che tanti in questo firmamento non seguon più la strada del Signore. Per mano La tua mano, mamma, lontana, calda, stretta alla mia, per via, non mi abbandona, non mi lascia solo un momento. L'afferro ancora, qualche volta, quando la vita mi precipita addosso; ma quel gelido contatto mi tormenta il cuore, m'opprime la mente. L'ala rotta D'improvviso un colpo, due colpi! Un bagliore, giù, nel fosso, un dolore intenso, cupo, nel corpo e la terra s'avvicina. Un tonfo! uno svolazzar d'ali inutile tra l'erba alta. Il cielo su in alto, lo smarrimento, l'ansia, il dolore, la paura. Sgorga abbondante il sangue, dalla ferita aperta nel costato. L'ala penzola impotente e il cielo resta su in alto. Mentre altre tortore svolazzano nel cielo, ed il compagno manda l'urlo cupo nel cielo, guarda impotente le cime degli alberi ondeggiare, i campanili con le croci spente, le antenne che continuano a ondeggiare, i tetti coi comignoli fumare. Guarda impotente il cielo: più non potrà volare, più non potrà le nuvole sfondare, le valli, i fiumi, le case, i boschi dall'alto sorvolare; più non potrà dai rami i piccoli chiamare, più non potrà cantare. Una goccia Una goccia, una piccola, insignificante, una misera goccia se esposta al sole svanirebbe nel nulla. Ma cento gocce, mille gocce, miliardi di miliardi di gocce rompono i ponti e distruggono strade e villaggi. Eppure chi ha timore Di un piccola goccia? Un saluto Se mi porgi un saluto, al mattino, sii gentile, sincero. Il buon giorno che porgi a un passante, che tu incontri per caso mentre aspetta alla fermata del bus, od al bar sorbendo un caffè, non sia mai espressione banale ma un augurio profondo del cuore. Se ci pensi, la frase che usi, salutando un amico o il vicino, non può essere un modo di dire, una formale convenzione abituale imparata in famiglia od a scuola. Sii sincero con te stesso e con gli altri! Il buon giorno racchiude un augurio, un auspicio di un giorno sereno che dia gioia, dia pace, dia amore, alla gente che incroci al mattino. La cartolina Ho spedito una cartolina a un amico d’infanzia di cui da molto tempo perso i contatti avevo. Ed ogni dì aspettavo d’avere sue notizie, e gli occhi suoi pensavo, un tempo assai gioiosi, che pieni di sorpresa scorrevano in gran fretta a legger le mie righe, succinte e alquanto brevi, tracciate su quel foglio, chiedendo come stava o altre sue notizie che più non conoscevo. E ogni giorno speravo, aprendo la cassetta, anche con emozione, in un suo scritto, o in qualche sua risposta, un richiedere ancora di notizie e commenti sugli anni ormai passati per riannodare un filo che il tempo aveva rotto. Così sperando, un giorno, aprendo la cassetta, il mio biglietto deluso ho ritrovato con sopra un bollo ed una breve scritta che il cuore mi ha spezzato: “Utente estinto! Al mittente rinviato”. Tramonto Assaporare Un tramonto Da una balza sabbiosa E abbeverarsi Con i raggi infuocati Che s’adagiano Su un mare increspato Che lentamente imbrunisce E s’addormenta Con i sogni Che sfumano E si disperdono In un orizzonte Senza confini L’amore andato Aprimi e tue braccia e dammi tutto l’amore che ho perso in questi anni. Ferma quel maledetto fiume che trasporta al mare tutti i pensieri e le dolcezze che ho trascurato di darti. Perdona la mia sciocca ignoranza, la presunzione che il mio amore possa farti gioire anche se rimane inespresso nel cuore. Vieni, voglio ancora una volta sentire il tuo corpo vibrare come quando le albe erano più desiderate ed i tramonti odiati. L’aquilone Quanti messaggi volarono nel cielo, quanti sogni attaccati al lungo filo e gli urli che s’alzavano dal colle dove partivano stentando gli aquiloni. Povere cose, costruite a mano con dei fogli vecchi di giornale bloccati con rozza colla di farina sulle canne intrecciate ad orditura. E le code, lunghissime, a catena, pazientemente unite una ad una e messe al sole ad asciugare perché la colla rapida non c’era e mancavano anche i soldi per comprare la colla di pesce puzzolente che i falegnami usavano in quei tempi per incollare le tavole tra loro. E, poi, il pianto per qualche monetina per comprare un rotolo di spago per far salire in cielo l’aquilone, che ognuno costruiva su misura e colorava a volte con fronzoli fioriti o ghirigori fantastici e mostruosi. E quante prove e aggiustamenti al volo servivano per alzare in cielo quei nostri diversivi dell’infanzia, ch’eran legati allora alle stagioni come i frutti sugli alberi o sui rovi. Ma una volta nel cielo ad ondeggiare, si gareggiava dal basso urlanti e forsennati a guidare quel filo all’infinito, che non reggeva mai il tiro e si troncava, spezzando la gioia dei nostri sogni e la tanta felicità dei nostri cuori. Le foglie L’autunno è tanto somigliante ad una moneta fuori corso. Come le foglie, che i rami rifiutano di tenere allo stelo or che sono vecchie (che strana somiglianza con il genere umano!), così le strade ed i sentieri sono piene di gialle monete svolazzanti che nessuno più vuole. Quelle foglie, amate e curate a primavera, ora che c’è l’autunno son diventati inutili addobbi, insopportabili da vedere ed anche da tenere. Solo un bambino le raccoglie: e le osserva felice e ne apprezza il colore. E delicatamente li depone in un cesto, una sull’altra; e le cura e le stira e le accarezza quasi ad addolcirne l’agonia. Perdersi per strada L’iride riflette sassi lucenti e sparsi come ombre distanti, appiccicose e spente, come fantasmi assenti che tardano a tornare. Scruto, lo sguardo intorno tendo, e vago nel vermiglio dei rami già dolenti, spogli, che s’agitano incomposti cercando d’afferrare un sogno che s’è spento. Qua e là raccolgo, pigro, i segni d’un presente, voci e segnali assenti che sembrano tornare. Vuoto lo schermo, ormai! Lente parole scrivo che volano lontane e lasciano sospesi, sogni, pensieri e voci che portano l’angoscia, il vuoto d’un passato che stenta a ritornare, ch’è inutile aspettare. Acrobata Sputa sentenze! Rospi galleggiano in stagni putrefatti, saltano su rami morti che ruotano incostanti. Ecco, rigirano le carte, vuotano gli schedari e cercan di quadrare conti che sono uguali. Qua e là un passivo spunta, si spostano le cifre si tenta di inventare un artificio nuovo che possa pareggiare un conto che non torna. Inutilmente girano una frittata stanca, che rotola per l’aria ed incomposta cade su una padella piccola che non la può centrare. Lo scanno pesantemente afferrano e cercan di spiegare a chi non può capire delle ragioni inutili per non dover lasciare le posizioni comode che sono contrattate fuor da un arengo gelido gestito da lobbisti. Ecco, ora son contenti, una poltrona nuova è stata collocata nell’emiciclo. Dei nuovi glutei siedono, sprofondano felici e irraggiano sorrisi ai conti ritrovati che bravi trapezisti ancora han pareggiati. Le cicale dei piani Ascolto una vecchia cassetta pre-registrata nella pineta dei “Piani” di Galatina in un lontano mese di agosto che ho archiviato in qualche angolo oscuro della memoria. Il vento, mi sfiora i pensieri; il riso di mio padre esplode nel silenzio della calura estiva e mia madre (come sempre) canta all’acquaio. Sento il cinguettio dei passeri giungere dai nidi costruiti sotto la tettoia, e rincorro col pensiero l’azzurro del cielo che incorniciava la giornata di quella registrazione. Poi il salto improvviso del nastro ed un coro assordante, musicalmente ritmico, serrante, delle cicale abbracciate ai tronchi resinosi della pineta. E li rivedo, questi insetti rumorosi, e di cui mi son chiesto tante volte l’utilità, tambureggiare sui loro ventri con le zampe in eterno movimento. Ed i messaggi invano cerco di interpretare e capire. Mi rimangono solo i loro suoni e le tracce autunnali della loro pelle, immobile e malinconia, aggrappata ad un ramo silenzioso e le voci a me care, che non sono più, ma che mi addolciscono la vita. Dure a morire A volte guardo lo specchio e mi vedo. Mi guardo, mi scruto, mi chiedo: chi sono! A volte un’ombra mi appare, a volte una nuova coscienza! - Che strano, mi dico, eppure son sempre lo stesso -; ma nuove ragioni mi covano dentro, mi rodono, mi frugan la mente. Riguardo al passato, alle gioie represse, alle prime lezioni apprese tra i banchi di scuola da bimbi più svegli, cresciuti più in fretta. E quelle lezioni, spiegate in silenzio, ammantate di torbido sesso, di emozioni smorzate, di azioni proibite e negate, rimbalzano dentro come un vecchio pallone sgonfiato, che emette un sordo rumore ad esser calciato, e che mi sembra galleggi, ancor oggi, in mezzo a una pozza di sporca acqua rimasta in un angolo buio d’una strada, che non è ancora cambiata. Le frasche Lieve un rumor di frasche lungo la siepe il cuor fa sobbalzare. I fantasmi infantil tornano a tratti a martellarti il petto, brividi lievi di tremor represso. Un merlo nero vola improvviso dalla frasca lanciando uno stridulo richiamo alla compagna. Poi la selva guadagna per sviare il predator dalla covata. L’esodo Dov’e mio padre? dove le mie sorelle? non so che fine han fatto i miei parenti, per tetto abbiamo il cielo con le stelle si va senza sapere tra i tormenti. Si va senza più meta né speranza i serbi ci spingono ai confini, è morta l’ideologia dell’uguaglianza uccidono senza pietà vecchi e bambini. Ci trattano come carne da macello morta è l’umanità del socialismo nessuno canta più falce e martello s’afferma l’ ideologia dell’egoismo. Per anni abbiam vissuti da fratelli, il cattolico rispettava il musulmano, oggi invece trionfano i coltelli il fucile è comparso nella mano. L’odio ha preso il posto dell’amore, chi era amico ieri oggi sta in guerra, nessuno più si cura del dolore di chi è spinto fuor dalla sua terra. Le case sono state bombardate, nessuno possiede più un sol quattrino, anche le bimbe vengono violate da chi si dichiarava un buon vicino. Ora pian piano si completa il dramma, difficile sarà un dì la convivenza a chi è stato ucciso padre o mamma vendetta si farà senza clemenza. E l’odio genererà nuova vendetta, al sangue seguiranno nuove stragi, canterà lugubre a lungo la civetta, il Natale sarà senza Re Magi. Ma, pur tra le brutture, il mio cervello funziona come all’uomo si conviene non userò vendetta al mio fratello, non gli farò soffrir le stesse pene. Lo perdono, perché finisca tutto l’odio che la guerra ha generato, e non si crei ancora nuovo lutto e cessi questo rancore scellerato. Febbraio 1982 Trenta sigarette, amici miei, sono davvero tante da fumare ma ogni giorno con foga, come una locomotiva d’altri tempi che viaggiava spinta dal carbone, io m’affannavo ad aspirare e poi sbuffare, felice della tosse, del catarro, e della bocca appiccicosa e amara che questo vizio strano mi donava. Poi un dì molto freddo, tornando da Milano, dopo un convegno sulla nuova Europa, mi buscai l’ennesima influenza, con febbre e tosse e con una fastidiosa asma bronchiale, che per oltre un mese a restarmene a letto mi costrinse. E così mentre nell’ozio me ne stavo, tra cuscini, guanciali e borse calde, mi capitò di legger sul giornale alcuni annunci per smetter di fumare. Solo attaccando in petto dei cerotti, o degli anelli al naso o nelle orecchie, e sganciando dei grossi bigliettoni, che m’avrebbero le tasche alleggerite, qualcun aiutato m’avrebbe finalmente a sconfigger quel vizio tenebroso e consentito di ritrovare la mia libertà, mollando l’abituale fumatina che m’anneriva i bronchi e mi sfiancava se in montagna me ne andavo a passeggiare. Così, guardandomi un poco nello specchio, dissi a me stesso con fare deciso: Ma sei più forte tu o quel tabacco, arrotolato dentro una cartina, con un filtro giallo che non serve a nulla e che passare fa la nicotina? E così smisi, e son più di vent’anni, sfidando il vizio mio con la ragione. Ed oggi rido leggendo sul giornale certe pubblicità piene d’inganno perché dentro di noi sta sol la forza di smettere con un vizio un po’ “infernale” che ritrovar mi fece, oltre al rinnovo dell’armonia del corpo, nel conto in banca un paio di milioni che da quel giorno non ho più “bruciato”. Viva la libertà Viva la libertà! Via i mastini da Roma che imputridiscono gli scanni di Cesare. Lina Dove sarai finita, dolce amica mia, sbarazzina compagna mia di scuola con quel corteo di giovani per via attorno a te come una calda stuola Viaggiavi con un passo già da donna coi tuoi seni provocanti a quindici anni con le gambe poco coperte dalla gonna quando sedevi su quei vecchi scanni. Più d'un compagno t'aveva corteggiato, qualcuno anche carino e danaroso, ma tu gradivi questo squattrinato non tanto bello e forse un po' noioso. Lo preferivi per l'indiscrezione, forse perché sapeva scrivere poesie e poi per tutta quella sua passione a declamarle com’antiche elegie. Non lo so se anche tu mi hai amato, certo io tanto t'amai, da non dormire, posso solo dirti d'aver fantasticato su quei tuoi seni che mi facean morire. Mi guardavi con un sorriso strano quando venivo a casa tua a trovarti, un po' succinta, avrai atteso invano ch'io almeno avessi provato di baciarti. Forse una sfida allora mi lanciavi, una sfida al pudor ch'io non raccolsi, ti divertivi con garbo a provocarmi attirandomi a te stretta ai miei polsi. Non ebbi mai il coraggio di parlarti del sentimento nascosto nel mio cuore avevo tanta paura a contrariarti e mi consumavo in quel timore. Dove sarai amica mia lontana? Spero tu abbia avuto un buon cammino, che t'abbia suonato a festa la campana che ricco di doni sia con te il destino. Io sono qui a parlarti e l'acqua cade giù nella strada ed urla il temporale, io sono qui a pensar le nostre strade e giù si snoda triste un funerale. L’orologio Un giorno decisi di non più invecchiare e l’orologio cominciai a ruotare sempre all’indietro, sempre più veloce. Ero felice! pensavo di ritornar bambino e di trovare i molti amici e tutti i miei parenti che un dì m’avevano lasciato per non più ritornare. E mi convinsi tanto nell’idea che non m’accorsi del tempo che passava e della barba bianca che lenta diventava. Vita e morte Case, culle, giardini, soffiare del vento, un lento richiamo tra i rovi si perde, qualche lamento, lontano; un frignare sommesso, una lieta esplosione di riso genuino, un canto che aleggia soave; una nenia che lenta si smorza su una cuna, appesa a un trave, che dondola lieve col bimbo assopito, tranquillo, sereno, e una madre che veglia, felice, e guarda lontano, un po’ assorta, un aereo di guerra il cielo solcare con un sordo rumore di morte. Ma che nasciamo a fare?
Da piccoli
qualcuno
asciuga con gioia
e con dolcezza
le nostre lacrime.
Ma da vecchi
gli altri provano fastidio
e noia a farlo
e noi
non abbiamo più la forza
neppure
di asciugarle da soli. |