Natale dell’astronauta Tu voli astronauta nel cielo: silenzio e pace è lassù in terra stanotte v’è gelo e nasce il Bambino Gesù.
Voli, e tra mille emisferi v’è un tenuto e strano bagliore di stelle lontane, misteri lo spazio ti svela nel cuore. Tu scruti nel bel firmamento e speri che sia giusta la meta, con ansia attendi il momento di scoprire un astro, un pianeta.
Sulla luna ti pieghi a un inchino ammiri l’immenso infinito e preghi il celeste bambino: “O umile e grande Signore che in misera grotta sei nato io riconosco di cuore che Tu, la mia mente hai guidato. Tu l’Universo hai creato dal cielo porti amore alla terra, la scienza che Tu m’hai donato rechi pace al mondo e mai guerra”.Laurea (dedicata a mio figlio)
Sempre sognai, quel giorno sospirato, vederti entrare, con la laurea in mano. Dicevo sempre a te: “Figliolo amato, il mio consiglio, spero, non sia vano”.
Ti ripetevo spesso: - Un bel sapere, vale più di ricchezza, o di tant’oro.- Sappi, che nulla vale un grande avere. Sol col saper, possederai un tesoro.
Ma la tua giovinezza esuberante, i consigli di mamma non sentì. In te la volontà, non fu costante. Smettesti di studiare, e finì lì.
Maestro grande, il tempo, è sempre stato. E mai, è troppo tardi a incominciare. Perseverante costanza, hanno donato quello che in verde età dovevi dare.
Ricorda, figlio mio, di trarre il bene di quel, che troppo tardi hai conquistato. Perché se fai valere il tuo sapere maggior la ricompensa, è al tuo passato.
Amor di maggio T’incontrai a maggio, era di sera, quando le rose fiorivano e l’amore. Mi avvicinai. “Sei come a primavera, ti dissi, io t’amo tanto qui nel cuore”.
Tu bella e gentile giovinetta chinasti il capo, pudica arrossisti, l’amor mio accettasti e quasi in fretta muovendo svelto il piè te ne fuggisti.
Siam ritornati ancora in quella via alberata e con i fiori di lillà tessendo insieme “sogno e poesia” di quell’amor ch’era sbocciato là.
A maggio, a sera, t’ho saputo amare m’hai dato amor sincero bimba mia ora con me tu salirai all’altare per essere per sempre sposa mia. Casa mia di Puglia Casetta solitaria di campagna che splendi al sole nella terra mia la cisternella a lato ti è compagna le rondini ti recan l’allegria.
Laggiù, lontan tra i pini è un casolare, qua lo zampillo d’una fontanella, cantan festosi intorno di cicale che fan la vita semplice e pur bella.
La bianca Chiesetta di rimpetto che sorge lì a due passi a te vicina fa vivere nel cuore un dolce affetto ricorda la preghiera mattutina.
Il lieve suono della sua campana che chiama a sera saluta a Maria, dona alla mente pace sovrumana, serenità e una dolcezza pia. Il tuo bel giorno (Ad una sposa orfana)
In bianca veste io ti vidi entrare nella grande Basilica, e all’Altare candido velo la testa tua cingeva e fior d’arancio. Il tuo bel giorno era.
Nel volto tuo, non traspariva mossa, eri felice, ma anche assai commossa. Accanto a te qualcuno ti sognavi, proprio i tuoi cari che tu tanto amavi.
Però loro dal cielo t’han veduto e di lassù gioito, hanno goduto, ti han benedetta e tanto pregheranno e per la tua vita i passi guideranno.
L’augurio, sposa, che il mio cuor ti dona è quello di esser sempre dolce e buona. Se non ti son mamma, è quasi uguale l’augurio di chi è madre molto vale. Il tuo compleanno Quando venuto sei, di pochi mesi, la casa mi allietasti bel bambino stringendoti con tanto affetto intesi gioia infinita dolce mio piccino.
Il viso tuo infantil di cherubino esser parea dipinto da pittore se ti baciavo il rosso tuo piedino gioivi mentre m’allegravi il cuore.
Strilli felici e primo balbettio, piccole risa piene d’allegria sembravan tali a lieto cinguettio d’uccelli in volo in festosa armonia.
Oh bimbo caro, per te sono stata due volte mamma, quando t’abbracciavo, baci, carezze, la voce ho ricordata dei bimbi miei ch’un tempo allevavo.
Per te, le braccia stanche ha ritrovato forza di gioventù, perduta ormai, la ninna con amore t’ho cantato dicendoti: ti voglio bene assai.
Quattr’anni hai oggi tesoruccio mio, sei angioletto, non conosci inganni, la nonna tua ha sol per te un desio che tu cresca buono nei tuoi anni. Io vedo ancora (Ad un amico cieco)
Nel verde della villa a una panchina stanno seduti nonno e nipotina. Il nonno è cieco, non può più vedere ne fiori e prati, il sol non può godere.
Domanda il nonno: “dimmi mia bambina il color dell’aiuola a noi vicina”. E lei risponde: ”ci sono molte rose con cento petali e son tutte odorose”.
“Ci stanno dei giacinti e un gelsomino, il biancospino è al bordo del giardino, e viole profumate e dalie blu, povero nonno non li vedi tu”.
“Ci sono farfalle posate sopra i fiori con le ali striate di colori, se potresti vederle, nonno mio, sarei felice, tanto tanto, anch’io”.
Il nonno stringe a se la nipotina: “Non darti pena”, dice, “ o mia piccina! Ogni dì della radiosa aurora con i tuoi occhi vedrò tutto ancora”. La mia compagna di camera Insieme abbiam diviso pene e affanni con tanto affetto e quasi un solo cuore, furono mesi non sono stati anni e noi l’abbiam condivisi con amore.
Non potevi ascoltare, non sentivi, volevo dirti che molto t’amavo tu stavi attenta ma tanto soffrivi, io lo capivo: in viso ti guardavo.
La gentilezza tua sì raffinata dimostrava la grande tua bontà che solo il Cielo a te avea donata con la ricchezza di gran carità.
Per me sei stata madre, amica, sorella nei lunghi giorni di comunità. Le rime mie per te non han favella per l’affettuosa tua fraternità.
Il ciel ti benedica amica mia, di te dimenticarmi non potrò sarai nel cuore della vita mia per il tempo che ancor’io vivrò. Le due noci Il grande noce i giochi tuoi accoglieva, della tua infanzia nella bella età eri contento quando fino a sera stavo con te e tu giocavi là.
Avevi il passo incerto, ancor bambino, eppur due noci in mano mi portasti, li avevi tu trovati lì in giardino sotto il gran noce dove tu giocasti.
Facendoti capir con voce e gesti a terra ti chinasti per poi fare due segni nel terreno e m’indicasti dove le noci io dovea piantare.
Due anni son passati e lì nell’orto due alberi fronzuti stan laggiù sono diritti e nessun ramo è storto due anni hai più di loro, non di più. L’uccellino amico Bell’uccellino che sul davanzale ti fermi per beccare ogni mattina sulla finestra mia dell’ospedale ciò che depongo, qualche briciolina.
Con quegli occhietti tuoi profondi e neri mi guardi e scruti in ogni movimento noi siamo diventati amici veri tu stai lì fermo, quasi sei contento.
Bell’uccellino sei più fortunato di me che qui mi sento prigioniera, tu godi il sole, sei da me amato come persona che si aspetta a sera.
E quando la mattina ti rivedo il cuore s’empie di felicità dimentico ospedale, tristezze e chiedo che tu ridoni a me serenità. Ottant’anni Sono passati, proprio ottanta anni da quando tu venisti al mondo. Piena di brio fu la tua giovinezza, o donna buona, sposa, madre e nonna.
Se pur le primavere della vita ti han dato gioia e serenità, molte tempeste si aggiunsero a queste con i dolori che l’autunno reca.
Ma tu allevando un figlio dopo l’altro sei stata forte. Con grande coraggio hai saputo affrontare la procella del mare iroso nella notte buia.
Oggi tu sei felice accanto a noi con sposo, figli, nipoti, in compagnia e insieme a tutti io pur voglio augurarti salute, molta gioia, e vita a lungo. Più non mi lasciare Quando il tuo cuore è oppresso da sconforto per l’oscuro mal che ti tortura pensa che pure Cristo in Croce è morto per amor tuo, per te, sua creatura.
Quando i tuoi occhi velati di pianto rivolti al Cielo chiedono mercé pensa che lui ti sta sempre d’accanto e addolcisce i dolor che sono in te.
Quando pensier molesto al tuo dolore cerca offuscarti il cuore e pur la mente pensa che Lui, il dolce Creatore, a te tende la mano sua benedicente.
E quando l’ombre fitte, quasi a schiera, della notte ti fanno rattristare prega: “Oh, Signore! Perché viene la sera? Resta con me, più non mi lasciare”! Sala operatoria Tranquillamente con serenità nella gran sala operatoria entrai. Mi dissero: Lei adesso dormirà. Poco più tardi io m’addormentai.
Camici bianchi, maschere sul viso gl’illustri professori eran in quell’ora pure se ascoso stava il loro sorriso buoni eran tutti e di gentil parola.
Prima che si chiudesser gli occhi al sonno io volsi al Ciel la mente e pure il cuore: Lavora Tu, per quello ch’essi fanno, lume nella lor mente dai o Signore!
Da’ lor salute e forza al sacrificio per quel che fan per tutti noi mortali che traggan dalla scienza il beneficio per trionfar col bene i brutti mali.
Tu che vedi, sai tutto e scriverai nel Libro d’Or, con santa Tua bontà, paternamente lor compenserai per quel che fanno per l’umanità. Maria Luce Ti chiami Maria Luce, bimba cara, e questo tuo bel nome luce dà, sei tanto buona, semplice e sincera, negli occhi tuoi risplende la bontà.
Ogni parola tua musica sembra e canto melodioso, soave ancor, ch’esprime del tuo parlare gentilezza e la dolcezza che racchiudi in cuor.
Sei bella da sembrare alba radiosa, che di rosa tinge il ciel turchino, e l’universo sveglia alla bellezza del sol nascente al giorno mattutino.
La bocca tua dischiusa al bel sorriso dona al tuo volto la serenità, possa tu sempre aver fortuna e gioia e per la vita ogni felicità. Le quattro stagioni
Primavera O primavera, o dolce signora, che al sol dischiudi balconi e finestre e svegli il passerotto di buon’ora e fai fiorire i prati di ginestre
tu porti l’allegria coi tuoi colori fai gli alberi di foglie rivestire ed i giardini di variopinti fiori e le aiuole fai tutte rinverdire.
Il mandorlo fiorisce al tuo apparire la rondine ritorna al casolare sotto il tetto si sente il tuo garrire mentre il nido sa lesta preparare
Estate Tra papaveri splendono al sole spighe d’oro, la messe è matura, i ruscelli profuman di viole splendida e ridente è la natura.
Nel mare, lontano da bufera, le barchette si vedono passare ricca pesca, e non vana chimera, il barcaiolo fa lieto cantare.
Lunghe corse tra boschi e tra parchi tuffi allegri nel mare azzurrino note dolci con suoni di archi fa godere il vecchio ed il bambino.
Autunno S’ode nell’aria odore di caldarroste cotte si pensa già al sapore del vino nella botte.
Dagli alberi le foglie già cadono col vento ben presto si fan spoglie il cuor si fa scontento.
E’ nebbia in sul mattino e vento maestrale e ciel color turchino deserto è già il viale.
Le rondini sen vanno a frotte in un sol vol ritorneran fra un anno col caldo e con il sol.
Inverno In breve la natura s’è fatta già di gelo, l’aria è fredda e scura il sol non brilla in cielo.
Stecchito è l’alberello immobil, come morto, non più robusto e bello com’era un dì nell’orto.
E squarcia l’aria il tuono e scrosci d’acqua e vento, né voci, né alcun suono, si sente in quel tormento.
Poi volteggiando a fiocchi candida vien la neve, s’alza fino ai ginocchi coprendo lenta e lieve
la terra addormentata, che al monte o giù in riviera attende sia svegliata da nuova primavera. Alle brave infermiere (dell’ospedale di Biella)
Si era all’alba ma il vostro dovere vi chiamava tutte a lavorare con tanto zelo, con tanto piacere, voi avevate solo un motto: Sola amare.
Come farfalle, tutte d’ugual colore, da un lettino all’altro correvate ov’era sofferenza, ove dolore, con quanta pazienza sostavate.
E nelle notti insonni con amore voi venivate accanto al capezzale quale conforto, quale gioia al core, davate alle degenti in ospedale.
Oh! voglio dirvi un detto mio sì raro che porto dentro me e che m’è caro: “Buone, cortesi, amabili infermiere voi mi sembrate degli angeli venute giù dal Cielo a confortare in bianche veste chi soffre all’ospedale”. Vattene non ho nulla Una ricca principessa passeggiava nel bel recinto di sontuoso parco attenta ella leggeva, assorta stava: sul libro era il pensiero e pur lo sguardo.
Quando, vecchia cadente e macilenta di là del muro chiese e supplicò, con mano stesa e la vocina spenta: “Dammi qualcosa oppure morirò”.
“Non ho una casa che mi può scaldare, di me nessun si cura, non ho pane, il gelo le mie ossa fa tremare muoio pel freddo e pure per la fame”.
“Vattene, non ho nulla a te da dare” sdegnosamente quella le rispose, e senza volger gli occhi per guardare girò le spalle e più non si scompose.
Quando si assise a tavola, però, la ricca tovaglia ed anche il pane di sangue intrisi vide, e ricordò la misera che aveva tanta fame.
Pentita un destrier veloce cavalcò, del pane e dei vestiti a lei recava. Da mane fino a sera galoppò e al limite del bosco la scovava.
In misera spelonca lei giaceva tra foglie secche e stracci per guanciale, supina stava, le braccia inerte aveva e gli occhi fissi senza più guardare.
Pianse la principessa e invocò perdono, ma il pentimento quella non vedeva, troppo tardi era ormai per alcun dono troppo tardi era ormai per chi piangeva. Stornellata salentina Salento in fiore, voglio cantar per te i miei stornelli con tutta l’allegria di questo cuore. Oh dolce Puglia, sei bella nel tuo immenso tavoliere tra i tuoi vigneti sei una meraviglia. Sol del mattino tra verdi mari e fra tramonti d’oro maturano gli olivi e i fior di timo. Terra incantata ricca di leggende e di castelli, sei antica e dai poeti decantata. Terra chiamata la piccola Firenze del Barocco per questo sei da tutti visitata. Quattro Colonne, Gallipoli, Castro e Zinzulusa, son belle come tante belle donne. Fiore che ondeggia, chiudo la stornellata e tanto vale quanto detta il cuor mio meridionale ma aggiungo un lieto e caldo ritornello Salento sei tanto caro e tanto bello. Care infermiere Mi svegliai in quel lettino bianco, e tutto bianco era attorno, nitido, pulito, come in una Chiesa, bianche pareti ed ogni cosa accanto.
Voi care infermiere a me vicine mi chiamavate nonna, mi aggiustavate il letto, e con affetto mi curavate come cosa vostra.
Buone, cortesi, amabili fanciulle, voi mi sembraste angeli venuti giù dal cielo a confortare in bianca veste chi soffre in ospedale. Festa campestre ai Piani Nella Chiesetta i mezzo ai campi d’oro la dolce Madonnina sull’Altare si festeggiava, ed un devoto coro unito al suon dell’organo cantava.
Fuori le bancarelle illuminate, giostre, sonora musica, allegria, vestite a festa, allegre e spensierate, ballavan le fanciulle in compagnia.
Si udiva di campane un tintinnio, v’era tripudio di luci, di colori, e stridor di cicale e cinguettio d’uccelli in volo e festa nei cuori.
E’ l’ora che si porta in processione la Madonnina tra candele e fiori, in ognuno v’è tanta commozione: è la Mamma che aiuta nei dolori.
Madonna delle Grazie, de ‘li Piani, ogni tuo figlio prega stretto a Te questo bel tempio con le nostre mani t’abbiamo eretto, accettalo con fé.
Le orme degli avi abbiam seguito che piccola chiesina aveano alzato in un sol patto, in un sol cuore unito, in Tempio te l’abbiamo trasformato.
La processione è chiusa, i mortaretti, sparano in aria con strani bagliori, Maria torna all’altare, i nostri petti depongono a suoi piedi i nostri cuori.
Le luminarie della Chiesa al tetto accendono, la notte scende quieta, modesto e suggestivo è il tempietto pace ci reca, l’anima si cheta. Ai miei figli Il vostro ingresso al mondo da me fu salutato con giubilo profondo regal dal ciel donato.
In culla in bianco velo mentre voi dormivate nuvolette nel cielo allor mi sembravate.
Il sorriso innocente, il vostro bel visino, dava alla mia mente qualcosa di divino.
Vi guardavo estasiata in cuor felice ero e con parola tacita io vi benedicevo.
E poi da piccolini crescere come fiori vi ho visti miei bambini cari, immensi tesori.
Con fede e con amore vi ho saputo allevare dandovi tutto il cuore immenso quanto il mare.
Allor la vita in terra dolori sol recava per la crudele guerra che tutti addolorava.
Il babbo militare che pur disperso era non vi potea badare non si sapea dov’era.
Ed io col pianto in gola avea per voi il sorriso la dolce mia parola per voi era paradiso.
Col bacio del mattino venivo a salutarvi nel piccolo lettino ansiosa di abbracciarvi. E dopo il “Padre Nostro” v’insegnavo a pregare perché il babbo vostro potesse ritornare.
Trepidavo se poi qualche lieve malanno veniva su di voi recandomi un affanno.
Sol mi sapea quietare se i cari miei bambini li vedevo saltare vispi come uccellini.
Ora per altra via mamma avete lasciato con gran malinconia ognun lontano è andato.
La vostra strada, o figli, or s’è divisa in due e in due seguite i cigli del bene e dei perigli.
Però di mamma il cuore vi segue, è a voi vicino, trema se un sol dolore colpirà un sol bambino.
Perché i figli per mamma, son sempre dei bambini non crescono, per mamma, rimangono piccini. Le umili rime Le umili rime, le parole sincere dettate da un vero dolore nascono semplici e vere fin dal profondo del cuore O bianca suora O bianca suora tu che al capezzale dell’ammalato, o di colui che muore, vegli pregando ansiosa di donare vita per l’uno, speranza per quel cuore.
Tu non hai sosta, sol ti sai fermare a incoraggiar di sera, o di mattina, la madre ti è sorella. Al tuo passare il bimbo trova in te la sua mammina.
Il vecchio vede in te la buona figlia che il sudore gli asciuga, o gli occhi in pianto, e con dolce sorriso lo consiglia di aver fede in Dio e non rimpianto.
L’uomo avvilito, afflitto dai malanni pregando insieme a te nel suo dolore riesce a sopportare pene e affanni e muore offrendo il cuore al creatore.
Tra le bianche corsie dell’ospedale nel morente tu trovi il tuo Signore morire in croce, soffrire, penare, e allor per lui t’immoli anima e cuore. Pianto dell’esule Sono partito dalla terra mia lontan lontano, in cerca di fortuna, lasciai il paese con malinconia dove c’è sole, mai giornata bruna.
Mamma lascia laggiù nel casolare afflitta desolata, pien d’affanni gli occhi suoi mesti vidi lacrimare dolce vecchia mia, bianca dagli anni.
Esule in terra d’altri mi trovai; altri costumi, non più la lingua mia, con ente sconosciuta m’incontrai quel luogo dava a me malinconia.
Il mio pensiero volo alla Chiesetta, alla piazza, dove giocavo da bambino, alla mamma che prega e sempre aspetta nella casetta mia col suo giardino.
O benedetto suol, terra natia, il core non ti può dimenticare passano i giorni e la nostalgia si fa più viva non ti può scordare.
Il cielo, il mare con la dolce brezza, del ruscelletto il dolce mormorio. Monti e prati fioriti come serra non possono finire nell’oblio.
L’alba e i tramonti della terra mia, ho nella mente, giorno dietro giorno scolpite al cuor. Son rime, son poesia che sol poeti e dotti scriver ponno.
Oh Italia cara! Tu sei viva fiamma che mai si spegne, resta viva in me perché due cose sole, Patria e Mamma, racchiuse son nel cuor con grande fé. Amica mia Amica mia, degli anni più belli ti ricordo seduta ad un balcone con i tuoi bimbi ch’erano gioielli mentre tu lavoravi il lor maglione.
Dovetti andare via molto lontano, lasciai paese, casa e compagnia, un abbraccio, una stretta di mano, il destino mi portò per altra via.
Ma tu gentile amica, bella e cara, per anni sei rimasta nel mio cuore ed anche se la vita è stata amara ogni ricordo lenito m’ha un dolore.
Fu lungo il tempo! E la nostalgia al paesello mi fece ritornare, ma non trovai la casa in quella via né più al balcone ti vidi riaffacciare.
Tutto cambiato e tutto nuovo era… E per un altro luogo, eri partita, lutto oscurato avea la primavera negli anni della tua giovine vita.
Sono passati ormai trentadue anni ma l’amicizia mi rimane in cuore e la mia mente, tra pensieri e affanni, mai ha dimenticato il tuo dolore.
Per tutto il tempo che non t’ho incontrata io t’ho cercata con fede infinita ora che finalmente t’ho trovata gioia sarà per la restante vita.
Proverbio antico d’anni tramandato dice:” Chi trova amico, ha un gran tesoro; se poi l’amico perso è ritrovato più che tesoro, questi, è argento e oro! La pupa (La bambola di stracci)
Piccola eri: in dono mi chiedesti una bambola bionda dagli occhi celesti.
C’era la guerra: soldi non avevo e la bambola comprar non ti potevo.
Una sera, alcuni stracci presi e con pazienza una bambola ti feci.
Il busto, la testa, le mani ed i piedini, feci con garbo, precisi e piccini.
Un po’ di canapa ed ecco i capelli ordinati e con riccioli belli.
Dipinsi nel visetto bianco due occhi azzurri ch’erano un incanto.
Due sopracciglia nere, un bel nasino, labbra e gote rosse da bambino.
Poi le cucii: una gonnellina rosa, con blusa bianca e giacchettina blu, le scarpettine fatte all’uncinetto e un cappellino con un fiore su.
Un po’ di lana in un materassino ed ecco pronto un soffice lettino, guanciale e lenzuolo ricamato compirono il mio lavoro amato.
E vi adagiai la bambola, ch’era tanto carina per attendere il risveglio di te mia piccolina.
E tu aprendo gli occhi con gioia mi abbracciasti. E m’hai detto sorridendo: “Mamma me la comprasti”? L’orfano Duole il cuor vederti così afflitto con gli occhietti velati di pianto, così triste tu sembri un derelitto.
Tu speri d’incontrare in ogni donna il volto caro, soave della mamma, ma lei sta ormai lassù con la Madonna.
In casa tua ora fa da padrona un’altra madre che mai ti sorride. La prima era semplice e pur buona
quest’altra, pur essendoti vicina, non bacia mai quel tuo bel visino perché non t’ama come la mammina.
Lei non ti culla stringendoti al petto, non ti racconta le belle novelle, ne ti rimbocca le coperte a letto.
Sii forte bimbo, trova conforto, pensa che mamma giace al camposanto ma lo spirito è con Dio, non è morto.
Di lassù, da quel grande giardino ch’è il Paradiso di tutti i mortali ogni mamma guarda il suo bambino.
Lei dolce dal Cielo prega e ti protegge e insieme alla Mamma celeste ai aiuta, ti guida e ti sorregge. Il fraticello Il fraticello con il saio scuro, come d’Assise il Santo Poverello, disse ai fedeli: ”Questo vecchio muro trasformeremo in tempio tanto bello”.
Come Francesco con gran carità chiese a noi nel nome del Signore con sua parola ottenne, e con bontà, unendoci concordi in un sol cuore
con il suo zelo grande e la preghiera offrì per noi, alla dolce Madonnina, il nostro amore e la fede sincera chiedendo grazie ferventi ogni mattina.
Noi villeggianti ch’abitiamo ai Piani pronti a quell’invito abbiam risposto con vero sacrificio e nostre mani perché più bello il tempio fosse sorto.
Ora laggiù tra la campagna in fiore la Chiesa splende e splende pur la Croce deh, benedici tutti noi o Signore accetta il dono, ascolta pur la voce
Ma più di tutto noi ti preghiamo di benedire il fraticello buono nella sua ascesa tendigli la mano fa’ che un dì, ti sia vicino al Trono. Auguri a una sposa amica O sposa, che coi bianchi merletti e un candido velo alla testa, salisti commossa a passetti le scale, nel dì di tua festa
tra fiori e profumi d’incenso, e all’altare nel grande Santuario tu fede giurasti al tuo Enzo mentre attorno ferveva gran festa.
La tua alba sia sempre radiosa e la via cosparsa di fiori il tramonto coroni te sposa di un’aureola di gioie e d’amori.
E’ una mamma che chiede al Signore quest’augurio, che nasce dal cuore, vivi a lungo felice o Maria col tuo sposo in perfetta armonia. Caro ricordo Borsa a tracolla, semplice, carina, e sotto un braccio un libro teneva lei veniva a trovar la sua mammina che ammalata in ospedal giaceva.
Era brava, gentile e confortava vederla entrare tra noi addolorate dal male, che molto si pensava soltanto a sofferenze di malate.
Rimaneva con noi e la sera sul sacco a pelo a terra si sdraiava, del sacrificio suo contenta ero rideva e mai si lamentava.
Il suo sorriso per noi era tanto, ci portava nel cuore l’allegria era per noi come un dolce canto che ci scacciava la malinconia.
Or tu sei donna, sei pure una mamma, anche se mi sembravi ragazzina e stavi con in cuor la dolce fiamma accanto al letto della tua mammina |