Poesie di Marco Saya


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nostre pazienze
tiro a caso uno dei tanti indovinelli
conditi nella mescola
di carte scrostate
rivolte in barba a Lune e Soli

(ci sei in quel letto
rettangolo o ring
degli accadimenti distratti
infilati per ricomporre nostre pazienze
la notte sogna con i saiwa del mattino)

e soli come pale di quel mulino
un po’ d’acqua solleviamo fradici
faticati delle domande
curvi come il punto
coloriamo pagine isole
sole tra bianchi disciolti
invadendo terre promesse

(ci sei in un posto vale l’altro
seguendo lo sciame di trame
all’unisono cadiamo su quelle bucce
bastava guardare dall’altra parte
dove la neve alta disegna come
spezzate sinusoidi)

lente corrosioni di contorni
visi in rifacimento del mai stato
perché guardare è non guardarsi
logorroiche prestazioni saltuarie
pur tuttavia random il contatore
lancia il game over prima di
svuotare la clessidra sfinita
da breve brezza come arcobaleno
arcuata.

(ci sei nel compendio del magma
compagno di un tempo ascritto
dal malvagio verbo tra palazzi
di vetri vitree riflessioni come
carie incise)

nell’incontinenza delle parti
residuati bellici frammisti
a petali di rosa devolvono
scorie di mal incerto storie
sciroppate tra quattro olive nere
con calici levati nell’angusto luogo
stie di incuranti umanità
un sorso qua e là
prima del rientro nella favola
fredda luce a perpendicolo
sul modello Gidea Ikea

(ci sei quando non ci sei
percezione dell’assenza
chè giocare a nascondino
conta sino al numero non scelto
e le pause disperdono l’amore
sino a esaurimento della pila)

Breve amore
Ti fumo distrattamente
e la cenere che (sola) cade
inesorabile accorcia
quel mozzicone d’amore
che ci resta e l’assenza del
fumo rimanda all’alone
cerchio bianco di sposa
un tempo innamorata
Spengo la sigaretta
La cicca consumata
calpestata dal mondo
abbraccia il posacenere
nell’ultimo respiro

Romanzo
La virgola di quel mentre
Confonde la frase
Sembra ricominci il gioco
Un punto ci aspetta
Una parafrasi ci salva
Il pacemaker di un vecchio
Conta le pause
Tra battiti d’ali
L’angelo sorvola
Il romanzo già scritto

Perché mai?
Perché mai dovrei crescere?
Un bambino vuole vivere l'eterno gioco
Il righello disegna angoli ottusi
Foglie morte vestono l'innocenza di una pelle liscia

Perché mai dovrei essere?
Chissà chi di anonime sembianze
Un vecchio grammofono riga il solito solco
Crepe di un soffitto che ci piove addosso

Perché mai dovrei amare?
Immagine speculare di me storpio
Candida illusione di un bicchiere pieno a metà
Sete interiore di vuoti da colmare

Perché mai dovrei vivere?
Gli altri hanno di nuovo deciso
Vecchia fiaba, un cucciolo senza Biancaneve
Sette vite sprecate per un gatto randagio

Perché mai è tutto così?
Succede il tempo che abbraccia la morte
L'infinito dell'orizzonte terra di nessuno
L'occhio non arriva ad afferrarne il confine

Il tempo
Le giornate che passano
Guardarsi allo specchio
Uno specchio che non ti guarda più
Questo maledetto tempo

Ore, minuti, secondi
Non si fermano mai
Le lancette di un orologio guasto mi illudono
Questo maledetto tempo

Segni sul viso
Vestigia di antica giovinezza
Ricordi che pesano
Questo maledetto tempo

Scorrono immagini
Ne catturo qualcuna
Altre mi evitano
Questo maledetto tempo

Cosa rimane?

Non passa mai...
Questo maledetto tempo

Fine
Tic Toc Tic Toc

La sveglia scandisce inesorabile il tempo
Secondo dopo secondo accorcia un istante già breve

Tic Tac Tic Tac

Passi risuonano sull'asfalto scivoloso del vivere
Metro dopo metro ci approssimiamo alla meta

Din Don Din Don

Mesti rintocchi di una campana a lutto
Salutano il nuovo morto

Ora so
Il fiore non guarda la natura
Le stagioni gli hanno rovinato
La festa di quel dì quando gioioso
Scherzava con l’amico Sole che
Gli ha ora voltato le spalle per un’aria
Nuova, melodia dispersa di polveri
(quali?...non importa...), che salite
al suo cospetto reclamano l’oscuramento...

Talvolta penso alle periferie
Favelas costellazioni di poveri
Che non hanno un sole che li
Possa riscaldare
Che non hanno una notte
Che li accompagni nel lungo sonno
Che non hanno nulla che
Li possa convincere a restare
Solo un pallone sgonfio
Regala un sorriso al piccolo
Ragazzino che gioca la sua partita...

Notte
Nel ritiro
Della notte
Vago errante
Inseguo la memoria
Che un altro
Ama
La mia morte
La regalo a te
Nel crepuscolo
sonnacchioso

Goccia
La goccia lacrima sul vaso
stanca di una lontana guerra
che divide il cuore illusorio
- le due metà - rinfrescano
l’antica distanza e lo scorrere
di quel rivolo bagna l’ultimo
amore rivolto su se stesso
in un prenatale ricordo

Marea
Sfiora la mano
Un brivido gocciola
La schiena un cubetto
di ghiaccio scioglie
l’arsura e il desiderio
appaga la marea si
dilata nell’oceano e
bianca schiuma
approda a riva

Chissà come mai...
Chissà come mai
quando scrivo che sono triste
tutti mi rispondete: “dai, su..., non essere triste!

Chissà come mai
quando scrivo che sono allegro
Tutti mi rispondete: “beato te, che sei felice!”

Chissà come mai
quando scrivo che sono innamorato
In coro mi rispondete: “ io mi sono appena lasciata!”

Chissà come mai
gentili poeti
le emozioni
non viaggiano mai
all’unisono ed è quasi
un disturbo sapere che l’altro vive...

E tutti dicono
E tutti dicono
Poi tacciono
Infine si nascondono

E tutti pretendono

Poi chiedono
con le palme tese
al crocevia dello scontato

Infine una delle tante croci
Suggella il fallimento
dell’illusione pagata con comodi ratei...

Pochi parlano con occhi aperti
Pochi ascoltano

Pochi accettano
la mediocrità
che vuole assurgere ad archetipo
di ogni tempo

Pochi salutano
l’umile albergo
dei turisti
occasionali.

Cade per caso
Sanguina il dito
impronta su carta
assorbente

Assorbe la linfa
una goccia scappata

Pesa di meno
la vita (ora)

Quell’attimo mi sovrasta
sorpassa il presente

Ritorno al mio dito

L’indice
indica il rimedio

Continua e straripa
Lago (rosso di sera)
dispera di guarire

chè il futuro non vede
e un’altra goccia
cade per caso
e piove la vita...

Finzione
È strano vedersi che vivi,
ti domandi perché sei lì…in mezzo agli altri (chi?)
Forse è tutta la finzione di un dio effimero
(prigioniero in un corpo acquoso)
Persino il tempo, pagliaccio neuronico,
è l’immaginazione di un frutto che, marcio,
si spiaccica nel ritorno all’humus di una nuova terra…

Interrogativo
Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato...
Una scissione? Le due parti si allontanano?
Il fisico saluta il costruttore dei ricordi per poi
morire in un ventre di un’altra...?
Un’altra terra?
Un altro oceano?
Un cielo che occhi hanno visto in tramonti
più o meno sempre uguali?
L’interrogativo si sarebbe sciolto a breve,
il tempo necessario per approdare
alla nuova riva.
Stremato decisi di abbandonare il corpo e
di consegnarlo al suo carnefice, la mia pila,
IO, un giocattolo con la carica a esaurimento.
Da bambino giocavo al dottore...
Ora un dottore diverso mi guarda per l’ultima volta
Prima di lasciarmi morire...o vivere.
Ma...perchè vivere ancora se tutto è vissuto?
O...perchè morire se tutto è già morto?
La dolce morte (vita) accolse tra le sue braccia
Le due parti e il malato terminale potè morire
O vivere...

Futuro
E cammino
Trasfigurazione di un dosso deformato dal sole
Crisalide che muore e non rinasce
Occhi velati, miraggio di un asfalto rovente,
Passeggio per dune deserte, la sete m'assuda.

E immagino
Sgraditi grattacieli, parallelepipedi deformi di antica memoria,
Sassi sperduti ora reliquie custodi di ceneri polveri
Ricordi di colori, albe, tramonti, giorni, anni, vite
Sempre uguali

Respiro vento caldo e la sete mi prosciuga

Solo
Sono rimasto solo
Minuscolo Dio, verme sopravvissuto a una terra di dannati
Esplosione di funghi accecanti e poi il buio totale
Cancella il tempo ogni presente, passato e futuro

E cammino

Solo
E questa maledetta sete che m'assuda sempre più

La fine del viaggio
La fine del viaggio avrà gli occhi di un tenero amante
o l’ingenuità necessaria del non vivere
per vivere?

Oppure il riflesso di una giornata piovosa
che non vuole schiudersi all’orizzonte?

Attesi saliremo i gradini del cielo
E alle porte del Tempio
Il Teschio di nuda verità
Dirà

Sosta ora alla fine del viaggio
distratto l’imprudente viandante e non sa
che scrutare attorno il mondo
che inizia con il nuovo giorno.

Non so come sarà
Ma so che sarà

Tra il silenzio degli ulivi
Qui, tra il silenzio degli ulivi,
l'azzurro del cielo abbraccia la valle
e un campanaccio da chissà dove
spezza la monotonia del ritmo
uguale all'incedere di quel pastore
e a un cane che da rituale abbaia
per dire che c'è e che ci siamo
anche noi nel descrivere
la saggezza della natura
così bonaria nell'umore
di una giornata serena
in attesa di quel lampo
di buio pronto a deturpare
il paesaggio nel nuovo
ordine delle cose

Sintesi
Quando il tempo assottiglia la foglia
chiusa tra le pagine di un vecchio album
che,giovani,riempivamo di belle speranze
allora il domani ci appare nelle vesti
di quella saggezza sprecata
nell'adolescenza del pensiero
che,fattosi adulto, riconosce
la futilità del proprio vivere

Attesa
Sentite gli umori del popolo
Oggi tace

Ascoltate le parole della gente
Domani sarà troppo tardi

Le piazze ora sono deserte
Un piccione becca un tozzo di pane
Un passante incrocia un turista disperso
Un palco vuoto aspetta che il vento
disperda le polveri…

Precarietà
Questo senso di precarietà
mi verrebbe da bisbigliare…
Perché tutto si tinge d’incerto?
La nostra vita ricerca il significato
tra strani geroglifici e la violenza del romanzo
urta quella pace (perché gioca a nascondino?) macchiata
da pensieri che s’incrociano,
sfuggono, non si guardano
Forse non si piacciono?
Forse aspirano a chiudersi nell’olocausto
di ricorsi folli e perdenti?
Forse abbiamo deciso
di morire così…rassegnati?
Questo senso di precarietà
mi viene da urlare…

la storia inizia indietro
la storia inizia indietro,
pianti neonati in una villetta sudamericana,
lumache alle pareti
bianche e scrostate
con l’atlantico ai piedi.
“dov’è papà?”,
“in giro per il mondo”, la tata mi sollevava
già sballottato di mano in mano

gli aquiloni, con quel vento lì,
un tiro alla fune verso l’alto.
manca la stretta sicura,
un dubbio che mi porto da sempre,
una risposta persa tra la sabbia fine.
“cosa aspetti a tornare a casa?”
corrono le piccole gambe,
corrono i giorni da rito uguali.

la finestra sorride al poco verde
- ora - stretto tra mura di polveri.
dov’è la ciclabile?”, e “quel tram che mi salutava?”
e "l’adolescente che scalava la vetta della vita?”
si affaccia da altri balconi,
la Milano volgare,
incancrenisce immagini
di figurine, copie di abitanti.

l’onda mi veniva incontro,
amica nel gioco dello spruzzo.
il Corcovado ci abbracciava
con il calore, colori della gioia.
non sapevo di povertà.
non sapevo di sifilide.
non sapevo di multinazionali.
sapevo di essere felice.

il grigiore di un open space
in finte periferie adornate
con lampioni simil Versailles, sparuti
come bianchi cigni stagnanti di contorno
a quattro sedie thonet da bar.
che ti va di prendere?
per ammazzare la noia
del pre solarium chè
nuovi raggi anticipano il sereno.

la strada saliva tortuosa,
un chiosco di banane - pit stop
anticipava la vista del Cristo.
le vie sono tutte uguali, oggi,
una foto sbiadita qua e là
segna un percorso di croci
e quel Padre l’ho perso
nell’infanzia della mente.

hai preparato l’offerta?”, ti chiede un estraneo.
hai fatto i compiti?”, ripeteva mia madre.
ora capisco la congiunzione degli intenti,
figlia della rabbia disperata
rassegnata al voto di castità
come appartenere, essere in questo mondo
e avvertirne il recinto
perché fuori è buio pesto.

il tempo aiuta a morire.
“che ore sono?”,
il ricordo è vita a ritroso
come quando torni sui tuoi passi,
come quando gli alberi
sfrecciano impazziti
perché i tuoi occhi
vedono frazioni di intervalli
e la storia inizia indietro.

Il mio funerale
Ci sono proprio tutti
Mi guardano
Anch’io li guardo
Alcuni sorridono sulla bara di legno a forma di chitarra
Così l’ho voluta, in autentico palissandro...
Li osservo
Mi ricordano
Pochi piangono

Rido

Ripercorro
Seguono il feretro
Un’orchestra dixi allevia la noia che mi pervade
Ho dovuto anche pagarli quei quattro musicisti da strapazzo
La mia Gibson riposa in pace
Almeno lei non sarà divorata dai vermi....

Come era permaloso
A letto.....così....così....
Sul lavoro uno svogliato
Come artista un fallito
Che begli amici...

Ed io rido

Ora li vedo davvero piccoli
Meschini
Futura polvere
Con i loro vestitini a lutto
Alcuni si fanno una canna
Altri ballano lo swing sciagurato.....di quei maldestri.
Ma non ho avuto il tempo di sceglierli!

E continuo a ridere

Il sorteggio mi è stato favorevole
Marylin mi aspetta per andare fuori a cena assieme

Poveri fessi
Ridete
Sparlate e...
Sperate in un buon sorteggio

Rotta di collisione
Sfioro un corpo
Silente l’approdo
nel porto del cuore
Pasticcia lo skipper
E il vento...
Cambia la direzione
Galleggia una bottiglia
Mi sporgo
L’afferro
Un altro corpo da sfiorare...
Rotta di collisione
Tra iceberg sparuti
Raggiungo il tropico
E l’infinito si allarga

Poetastri
Chiunque può sputare sentenze
Vomitorium di retorica ipocrisia
Mongolfiere appese a deboli fili
Poetastri vanagloriosi di poche parole
Artisti come ciccioline prezzolati
Una manciata di voti per un effimero regno
Scrivete di m.... e puzzate di finto
Cumuli di polverine edificate al vostro vate
Poetastri falliti borghesucci impigriti
Vivete la banalità di un tempo che vi fotte
E di cui non siete in grado di approffittarne
Un’insalatina verde è il Vostro Sapere

Poetastri del c.... l’Arte più non vi tollera!

Flash
Flash

Scopiamo! Alla grande! Il letto canta la speme di Eros.
Il Bastardo ritrova il sorriso malcelato nel rituale decò

Flash

La periferia incontra il centro dove cammino tra cubetti di porfido e la rotaia striscia il passaggio di un incontro molesto

Flash

Spengo la mente nel sonno bagnato
sogno di quel chip e l'insonnia risplende

Flash

Lei mi dice che l'amore sgualcito nel cassetto
necessita la candeggina il colletto della camicia

Flash

Accade lo spazio cerca l'angolo
Non trova pace
Il peacemaker esclude l'emozione
che nasconde il germoglio

Flash

Corpi,corpetti
Sinuosi balletti
Ombre cinesi
da dietro il calvario
un calvados sorseggia
la sete nel cristallo

Flash

Sperimento
mento nel dirti che t'amo
Si guarda attorno
il Bene disperato
Spera nel nodo
che stringe la mano
rassegna l'ultima stretta



Allucinazioni sparse - Omaggio a Gregory Corso -
 

Mi ricordo di quando gli occhiali
Erano un lontano ricordo e la vista
Già sfocata dalle pellicole della vita
Rendeva meno amaro il contorno e
L’incipiente cecità mi rendeva felice

 
Semplicemente il tempo precipita
Da quella carrozzella in cui adagiato
Guardavo il girotondo di farfalle e
Un carillon anticipava il metronomo
Che a 250 all’ora come un cuore impazzito
Scoppiava semplicemente...

Ho ancora la voglia di riflettere in un
Angolino nascosto dallo sguardo di sconosciuti
Che non capiscono il cammino di chi vuole
Solo (a piedi nudi) calpestare l’erba e sentirne
Il profumo di un aratro che passa


Perché è così difficile
del tutt’uno afferrarne il senso
E gridare al mondo che esiste
(Esisto) ma il mondo non ascolta ?

 
Sento di morire a poco a poco
Tanto ci mettiamo poi che ci si
Mette di mezzo questa maledetta
Tecnologia di cavi e tubicini non più
Rigettati da un corpo che assorbe un ‘immortalità
Non desiderata... 

 

Vorrei cambiare luogo
Vorrei cambiare logo
Il marchio mi brucia
Vacche profanate e...
Un tir ci conduce sull’autostrada...


Un poeta scrive con la penna che
Trema per il dire sicuro di cose tra
La diffidenza differenza di spessori
E l’accetta li rende così uguali...

 
La nevrosi mi affascina
Penso di essere sopra
Sopra a tutti passano i pensieri
Non incrocio menti
Forse sono a dormire!

 

E’ proprio vero!
Invecchiando torniamo crisalidi
Un po' cretine e la saggezza
L’abbiamo lasciata alle spalle
Un bambino ci ricorda che dietro
L’angolo c’è uno scivolo e
L’altalena ci illude per un attimo...


C’è troppa violenza per le strade
C’è troppa guerra di parole e di fatti
C’è troppa cattiveria - in giro –
Figlia di un padre egoista e di
Una madre puttana che ha venduto
Il proprio latte a vitelli clonati...

Non vi dovete stupire se affermo che
credete di vivere nel benessere di una truffa
Usuraia che vi chiederà tassi sempre più alti
E trascinerà i poveri resti nel limbo bivio
Bivacchi di barboni che vi nutriranno per
L’ultimo pasto
 

Se dovessi rappresentare il tempo che vivo
Sarei imbarazzato nella scenografia di una
Parete bianca che avvolge quattro cocci
Di bottiglia lasciati lì per caso da uno sprovveduto
Il cui alito confonde l’ordinaria puzza 

 

Il dettaglio non conta!
La misura... meglio se un’extra large!
Nasconde il particolare insignificante!
Una tasca bucata perde il resto!


Esplorazione di magma di lettere
Apostrofi di uno spazio che aggancia
L’inizio di una processione di croci
Il paese osserva da punti di domande...

Tra poco
A momenti
Attimi atrofizzati
Fermi alla fermata
Alla solita coda
Aspettando il turno
Saliamo impacciati
Il girone dei viaggiatori
Per scendere di nuovo
Stacchiamo un ticket
Una fetta di salame
Pronti a ricominciare...


L’amore pretende un dono
Che non posso regalare
Perché l’ho già prestato
Alla vita che non restituisce


Amo leggere chi ha lasciato un segno
Tra i vagiti del tempo colgo lo spunto
Per urlare silente dall’oggi plumbeo
E non scrive ciò che vede...

Comunico senza tanti fronzoli
Scappiamo da questo scempio
Distruggiamo il non senso
Torniamo a essere normali
Nella pazza incredulità
Riprendiamoci gli oggetti smarriti


L’altro giorno camminavo e camminavo
Nel frattempo riflettevo e consideravo
Tra un passo e l’altro lo sguardo chino
Cercava una giustificazione del presente
Giaceva sul ciglio della strada aspettando
il rosso del semaforo
Occhio di un io-Dio ferito e morente  

 

Da bambino non mi ricordo di
Giochi di balocchi con una Madre
Tante Madri attorno a me mi
Accompagnavano nel rituale di
Marciapiedi battuti da altri bambini
Per raggiungere la scuola più vicina
Dove Madri diverse ci educavano
Al disegno di un acquarello che
Non conoscevamo ma la tavolozza
Ci aiutava a edificare i colori di
Future vite dai contorni sfumati e irriverenti 

 

Sento che sono tempi difficili
Duri da accettare per un tiepido
Piatto di minestra alla sera quando
Le brutture della vita rimbalzano dallo
Schermo su i nostri occhi (non più stupiti)
E la digestione tarda a venire come
L’amore che fugge e non vuole più
Incontrarci...   

 


Perché devo leggere i grandi del passato?
Perché devo scrivere di paradisi perduti?
Perché non vivo il mio presente?
Perché cammino cieco e la paura dei nostri giorni
Arretra la storia che insegna a essere giudicata dopo...?
E’ questo? Dobbiamo aspettare cinquant’anni per
Rappresentare questa merda di tempo che pretende
Da subito cantori coraggiosi e non carte truccate
Di un poker-strip e i vestitini non si
Scrostano dal corpo?



La mattina inizia il dramma di un atto
così scontato e povera arte minimale
nei gesti di un fantoccio pedone che
si reca nei bordelli dove la recita di sè
plaude il significato privato dalla vita


Quante volte guardo fuori dalla finestra
E la tristezza m’abbraccia quasi a
Volersi scusare per il dolore (non mio)
Che reca al postino e recapita lettere
A caso di non desiderate nuove...

Mi piace improvvisare quel poco
Che rimane dell’esser libero...
La scelta di una briosche e un cappuccio
Quand’è caldo e con la schiuma!


Talvolta suono la chitarra
Talvolta il pianoforte
Talvolta il basso
Sempre le percussioni
Un’armonica a bocca
Quando penso a una pelle diversa
Sono bianco, pallido,
l’anima nera è sempre lì...
un colore nascosto
urla sommesse e strozzate
vogliono gridare ma non possono
l’involucro bianco reprime la libertà!

A cinquant’anni ti rendono la vita complicata
Cominci a puzzare e il pesce lo pulisci male...
Non sai più in quale pescheria soggiornare!
Per un drink ti guardano male perché non sei più un bianchetto...
Ti tolgono gli spazi, le panchine sono già occupate dai vecchi,
Sul bus non c’è mai posto a sedere, l’ufficio diventa un bugigattolo,
la donna ti lascia per uno più giovane e i figli ti chiedono i soldi!

Poveri stolti!

A cinquant’anni mi rendete la vita più semplice...
Libero...
Di essere solo
Di pensare
Di andare alla deriva con l’accompagnatore di turno...
Di dire di NO
Di crepare come voglio!

 

La depressione non guarda in faccia
Nessuno (un intruso) all’improvviso
Diventi tale da molestare la mente
Ora sana che non ricorda il bene
Che le hai voluto...

Rumori di urla ridda di ventriloqui
Tiro alla fune tra pace e guerra
In mezzo bambini come palle da tennis
Sballottati vincono e perdono
Il set si apre e appare il giullare
Trastulla con il gioco di tanti morti
Soldatini di plastica pronti a bruciare
Da fiammifero gettato lì... in mezzo...

 

Che schifo la mia strada apro il cancello
Erbacce mi guardano barbe incolte
Incrociano la polvere solleva lo sguardo
Tira a campare per adagiarsi su pelo
Un tempo lucido di quello incorniciato
Tra argentei riccioli ricco decoro su
- Mensola spolia -


Sta per succedere che apro il frigo
vuoto spessore di bianca plastica
riempio il mio teschio anche Lui
Vuoto e aspetta la prossima volta
Sta per succedere che scendo dal letto
Le pantofole in bagno sorreggono
L’anoressico smaltimento di rifiuti
La lampadina ha i fili scoperti
Sta per succedere che la notte
Anticipi i ritmi di un dopo come un altro
Mi sveglio quasi subito
Tempo buttato via...

Ho sentito dire che il senso dell’onnipotenza
Vuole diventare Dio e far parte di una pagina
Sgualcita di un libro di storia scritto dal suo
Facchino di fiducia che come strillone venderà
Qualche copia legata da spago rugoso prima del macero


C’era una volta il poeta e scriveva
Del suo tempo intriso di emozioni
C’è oggi un poeta che scrive del
C’era una volta perché il tempo
È sempre quello e le emozioni
Aspettano da qualche parte...



Perché pensare troppo?

Ora non ho in testa niente,
una zucca vuota e la strada
mi guarda dal balcone

Forse… sono io che guardo
la strada dal balcone
Che differenza fa?


Mi piace ricordare
un po’ di tutto
in questo stato confusionale
Intermittenze di tempo
e la lampadina s’accende
ma si fulmina, talvolta, e
il chip swiccia in off kè, ma xkè
mi metto a scrivere così, ora mi riaccendo,
passa la giornata, quella via è cambiata,
io cambio la moquette e il gatto la morde,
ho appena rimesso a nuovo il bagno.


Prima c’era il caos della solitudine che ordinava a suo
piacere e il vino mi piace rosso
(quello che fa sangue)


E continuo a recitare, intanto ingrasso,
sento i miei…, raramente, in ufficio
sento una canzone dei Pink e poi
ritorno alla Statale con la testa,
Capanna, Cafiero & company,
l’avventura del corteo infinito
che si scioglie come burro fuso
e le radio private, il sonno perso
nei locali e il cellulare vent’anni dopo
non squilla e la compagna del liceo chissà
che fine ha fatto e questo flusso mi snerva,
nulla cambia, il tempo si, passa in fretta, banalità
della routine che uccide l’inizio della passione,
poi torno a osservare la strada dallo stesso
punto in cui anche mia nonna si affacciava e guardo giù,
sempre i soliti bipedi che , ogni tanto,
alzano su la testa , che sguardi!,
amico Clint tira fuori la Colt,
il manifesto di Marilyn che sorride,
Harry ti presento Sally in DVD
(visto 200 volte per ammazzare la noia di una pasta in bianco),
Hendrix che cambio con Jovannotti per
poi tornare ai Dik dik e Guccini
insegna che al cesso dobbiamo trovare la pace

E parliamo un po’ di questa pace!
Guardo il TG e poi canale5 ,
tutti insieme appassionatamente un bollettino di morti!
Pazzi che riammazzano perché essere assistenti sociali
gli ha fatto perdere le buone maniere…,
madri che non ricordano il bastone con cui hanno
ucciso i propri figli e poi Vespa che analizza i dati coadiuvato dagli statistici,
gli strateghi della morte e l’audience sale e sale e sale,
il grattacielo graffiato da un aeroplanino che si schianta
e il settembre 2001 , un contatore che incrementa
morti su morti in giro per il mondo, onnivori all’assalto perché i frigo sono vuoti
e le patatine fritte hanno un gusto diverso dal kebab

Perché pensare troppo?

Ora ci sono, mi sporgo e i bipedi corrono,
cosa ricavano da questa fretta?
Niente!, accumulano la scusa
per non vergognarsi di questa
vita imposta!
Tanto la solfa non cambia!
Potrebbe mutare?
Si, con il contrario di tutto
Agire al contrario,
no invece di si,
si invece di no
Facile l’equazione
Corri alla metropolitana
Corri in bagno
Corri per il panino
Corri per timbrare
Corri per ubbidire
Corri per tornare a casa
Corri per un veloce happy hour
Corri per schiantarti su una qualsiasi strada
Corri, corri,corri,corri…
Rallenta, rallenta, rallenta,rallenta…
Fermati, fermati, fermati, fermati,
Ora!
Guardati attorno!
Sei finalmente solo
Ricomponi i tuoi frammenti
Assaggiali come se fossi
quel bambino che pensava
che sarebbe stato diverso il dopo…
Torna al passato…
Cancella dalla lavagna
lo sporco del gessetto
Quanta polvere in casa!
Ogni giovedì viene la filippina
Ma la polvere rimane
S’accumula, si deposita,
s’intrufola ,riappiccica alla pelle
tutta la città è inquinata,
ci confondiamo con le polveri delle fabbriche,
crepiamo con lo stesso odore,
gli occhi bruciano, sempre più rossi
accecati da troppa luce,
la metropoli è un solarium
(altro che i lampioni dei giardini di Versailles)
e il verde è grigio o grigio-verde


Tutto si confonde, ricapitolando
Frettapolverilucimorti
Non era poi così fuori l’imbrattatore di tele
e i girasoli non lo guardano più perché c’è sempre
Questa maledetta polvere che offusca


E come fa la filippina a pulire?
Questa è poesia, una lirica
che pulsa il ritmo del caos
E poi ti ritrovi alla fine,
un soffio e sei vecchio
vecchio,vecchio,vecchio,
e i giovani sono già vecchi
perché accettano di aspettare il proprio turno
al GS , aspettano le promesse di un lavoro che non esiste,
la pensione che dovranno pagare alla cupola del domani
e le valige non sono più di cartone ma le migrazioni
continuano e non si divertono, l’ansia della città non aspetta nessuno,
riempiono come stie i bar, come luoghi di lavoro, timbrano il piacere del chi sei?
Del cosa fai? Vivono, viviamo tutti ora, la sintesi del nulla,
e che cosa rimane? No Martini,no party!

Perché pensare troppo?   

Rozzano
Respiro Rozzano da circa tredici anni
Corpi cicatrizzati mi accolgono
per il consueto caffè mattutino
La disperazione sale all’alba
su volti che non conoscono
parole (vuote) di sparuti gabbiani
che sorvolano cime tempestose (arroccati nelle vostre torri di burro)
o di piccoli insignificanti amori-amanti
che non scalfiscono
l’obbligato niente
di cui si ciba quel bambino
tra Via dei Garofani e Via dei Gelsomini
I fiori finti del potere (accanto)
confinano con queste favelhas
Strano contrasto (questo)
di un fiorista che profuma
solo il suo baracchino
come un deofresh
per il refrigerio di ascelle
che la paura suda
e la sera si ribella di giungere...
Sebastiana è morta
uccisa dall’indifferenza
di chi ha sempre disprezzato
la vita sfortunata
per la quale non valeva la pena donare un fiore
Muore anche la poesia
capace di pulire le ali del potere
come quelle vespe fastidiose
che ti si appiccicano sulla pelle umida
pensando di farti un favore
Maledette zecche
Maledette parole
Non hanno salvato la vita
a chi voleva odorare
Il profumo vero
Di un fiore... qualsiasi...


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