Quando un velo sottile
Quando un velo sottile ghiaccerà
quel vetro, anche il mio cuore
diventerà più freddo,
e l' unica fiamma che mi scaldava,
si spegnerà senza il respiro
delle mie illusioni.
Così ogni cosa diventerà più aspra,
più del sapore delle mie lacrime.
Ogni poesia senza più anima,
diventerà di pietra,
e muta alzerà la sua voce stanca,
per maledire la mia stoltezza.
Finché con sguardo assente, di nuovo,
alzerò le palpebre verso la finestra,
soltanto, per vedere il riflesso
della tua bellezza che col mio pianto,
si farà di neve.
Solo il tempo
solo il tempo di spostarti ti è
concesso, ma ogni istante
che trascorri ti trapassa tutta
l' anima:
tutto passa così in fretta
(pur se restano i ricordi).
Sta finendo una stagione,
incomincia a farsi strada,
il pensiero di cercare sopra il cielo.
Ma le ruote del tuo carro
che hanno strade molto lunghe
si trascinano nell' etere,
consumate dal tuo carico di sogni.
Poi gli orari, le futili abitudini,
e i mancati appuntamenti
diventano dettagli
di ogni attimo che hai perso,
e ora che ti accingi a intraprendere
una rotta fuori bordo, stai pur certo:
che il tempo non esiste,
se tu voli accanto a lei.
Ha toni alti
la solennità del tuo silenzio,
come in uno specchio
ha la voce tersa delle apparenze,
ma solo nelle geografie
dei miei pensieri, riesco a sentirlo
(quando mi accorgo che tu,
non ci sei).
Il tuo silenzio trattiene il respiro,
alza la voce,
ma non si fa ascoltare
(se non nei posti
dove non siamo mai stati).
Soprattutto non ha la purezza
della mia anima quando ti amo,
senza chiedere niente.
Dipendesse da me
l' aspetterei in eterno seduto sulla sabbia.
Che belli quegli istanti, che mi fanno
contemplare tutto ciò che vedo:
non bastano le ore a infrangere i sogni,
cullati dalle onde,
solo il suo silenzio, è più grande di ciò,
che ha dentro il mare.
Dipendesse da me continuerei a nuotare
nella plasticità di quel magma infinito,
per liberarla dalla rigidità del tempo,
e costringere le onde a disfarsi degli angoli
del mare,
perché durante le maree, ritornando
nel cerchio della luna, non potesse
poi scappare nell’ unico varco, che si apre,
nello spazio.
Tra le palme di un deserto
all' interno di un caveau, più prezioso
di un gioiello di valore incomparabile,
è custodito il suo cuore inespugnabile.
Chi ha coraggio può provare
a derubarlo, può provare mille chiavi
in una notte, o in mille notti,
se non s' apre la sua porta, spinga forte
ma stia attento
che qualcosa non lo inganni,
e se vuol fantasticare, pur chi trova il suo
cuore trasformato in un diamante,
non si illuda, che può essere
un miraggio, od il graffio del suo gatto!
Ma c' e ancora uno spiraglio,
tra gli enigmi e i pensieri chiusi a chiave
nei meandri della mente cerchi ancora,
un' altra chiave.
Pieni di luce
C'è odore di salsedine nell' aria,
è più facile parlare col vento, e i pensieri
mi dicono cose che voglio ascoltare,
c'è odore di salsedine nell' aria,
ogni cosa si impregna di un sapore diverso,
e i pensieri più deboli e stanchi
affogano sotto le onde, della risacca,
ciò che cerco è dentro me stesso:
pieni di luce sono ora i miei sentimenti,
come le luci del golfo di Cagliari,
e la mia anima, sembra il mare nell' ora
più calma dell' alba.
Per capirti
devo leggerti dentro, vagare
intorno alla mente, volare
col vento e asciugare tutta l'acqua
che ricopre i tuoi occhi.
Nella direzione che conduce al tuo
amore trovo, niente di niente.
Si tante parole vestite della luce
del sole, ma nessuna traccia, nessun
documento vergato dal rossetto
delle tue labbra,
Cosi inutilmente ora mi chiedo,
perché?
Ad ogni modo bentornati vecchi
smodati demonietti tentatori fatevi:
beffa di me!
E tu ridi pure quando ti dico che ti
voglio un gran bene!
I suoi occhi
I suoi occhi marroni e sensuali,
accendono la luce negli abissi
profondi,
i suoi occhi fanno cadere la luna,
quando si piega per guardare
il suo sguardo, e se cade lontano
dal mare, le sue ciglia, agitando
le onde, la riportano in alto.
Anche il mio sguardo è caduto
dentro il suo sguardo, e ha visto
pianure vellutate e maestose,
è rimasto incastrato tra gli occhi,
e le ciglia, in un mare di luce infinita,
ora ha paura e trema d’ amore,
ma non vuole più uscire.
Pronunciare le parole
è come seguire un sentiero in mezzo
al bosco, è come seguire
con lo sguardo il guado di un ruscello:
così sillabando
ogni parola, a poco a poco, riesco
ad arrivare al suo significato,
e nessun nome mi può essere celato.
Ma c’è un nome del quale, pur
leggendo una, o al più due lettere:
potrei dire a chi appartiene!
E se tu mi chiedessi, e io come
mi chiamo?
Senza indugio ti risponderei,
tu hai lo stesso nome di colei che
ogni notte illumina il mio cuore,
come le luci che cadono tra gli alberi,
in un sentiero in mezzo al bosco.
Quando la sera
ti prende per mano, e ti conduce
al mattino, e devi lasciare il sapore
dolce o a volte triste della notte,
quando inciampi in ogni cosa,
pure sull’ombra del tuo piede,
al punto che non ti è dato sperare
di conservare i tuoi sogni neanche
arrampicandoti fino all’ultimo
cassetto, tu incurante rialzati,
apri la finestra,
trasforma in ali le tue braccia,
vola più veloce di un astore, e cattura
con gli occhi una piccola luce,
sperando che la falena che gira
intorno alla candela, non diventi
preda di una rondine ingorda.
Quando piangi
cade il sale sulle foglie, scivola
sull’ erba, si mischia alla rugiada,
scende il fiume, e si riempie il mare,
così negli occhi là dove si bagnavano
le ciglia, si asciuga il fiume,
e si svuota il mare, se sbuffa
il vento, e si addensano le nubi:
quando piangi, e ti scendono
le lacrime.
Diversi gli occhi
Diversi gli occhi più profondi e chiari,
e lo sguardo più calmo e dolce.
Quasi che la notte avesse suggestione,
di questa nuova dimensione:
a guardarla meglio gli parve quel viso
più illuminato, e privo di segreti.
Anche la fronte in linea d’aria così
distante dalle ciglia era più carica, di luce.
Come se la geometria del volto
si esaltasse a mandare bagliori
abbacinanti, in ogni spazio di quel luogo,
come se il buio frettolosamente
si estinguesse facendo precipitare
ogni ombra nel buio, più assoluto.
Sei già nel vento
Sei già nel vento, sei già di un altro,
e mi rammarico perché di te:
non c’è più traccia, e perché ti sei già
data a nuovi abbracci.
Mi rammarico perché in questa sabbia
(dove rimugino e mi arrovello sopra
un arazzo di trame gialle), già
si disperde ogni granello, come il tempo
nei pomeriggi, dove stai sospesa tra l’ aria
e il mare, come una rondine che parte.
Mi rammarico non perché ti fai
desiderare, e perché mi è difficile sperare
che tu ritorni (e mi fa male).
Ma perché se ti nascondi in altre braccia,
non vedrai mai, quanto ti amo.
Non so dove Tu abiti
Non so dove Tu abiti, non so dove
cercarti perché solo altrove, ti posso
ritrovare.
Qualche volta io penso che Tu sia
nascosta nei circuiti della mente,
perché se i miei pensieri fossero
quelli di un accenditore di lampioni,
sarebbero capaci di accendere le luci
delle strade con la luce, dei tuoi occhi,
se i miei perfidi pensieri
fossero di una schiera di architetti,
coadiuvati da emeriti pittori,
non sarebbero dei folli se provassero
a creare una stanza con l’ impronta
delle labbra,
per baciare all’ infinito la tua bocca.
Potrebbero trasformare le pareti
in candide lenzuola dove avvolgere,
i tuoi sensi, ai miei piaceri,
sarebbero capaci di farla dimorare,
solo, dove Ti posso ritrovare,
in un posto bello da impazzire perché,
solo tu mi fai impazzire.
Il tramonto
Il tramonto lanciò il suo sguardo,
riconoscente, dietro le fronde,
prese la mira e poi colpì: bastò
un battito di ciglia a riempire
di rumore il suo piccolo nascondiglio,
e il sole cadde giù,
assieme a qualche foglia.
Fu tale fragore che fece piegare
i fili d’ erba, sul ciglio della terra.
Capitano di fregata
Sopra il ponte di una barca, senza scafo,
senza vela, senza vento, né tempesta,
tra la tolda e qualche nube,
la mia anima, come stoffa che non può
essere indossata,
è braccata da una ciurma di fantasmi,
che hanno il verso di un latrato.
Non avendo più il suo mare, non le resta
che scappare, non le resta che saltare
ogni steccato.
Capitano di fregata
l’ ha ingannata, son mastini quei fantasmi,
che hanno forme di demoni,
spietati, ma non basta a quella caccia.
Contro un corpo disossato,
empio e vano, è il suo vile tentativo
se il suo cuore innamorato è il nocchiero,
dei suoi viaggi.
Viene meno il respiro
Se non è un mare dentro un altro mare,
se non è un cielo che guarda un altro cielo:
col suo sguardo intenso,
e col suo sorriso.
Se non fosse vero tutto ciò che vedo,
se l’ ultimo cielo dovesse cadere,
lasciatemi entrare in quel mare incerto.
Gabbiano che segui, col tuo volo,
il moto delle onde,
dimmi se tornerà a brillare la luce,
nei fondali, dove si frantumano le stelle.
Voglio
ascoltare il canto d’ amore delle sirene,
voglio capire quando cade nel vuoto:
se ogni stella sospira,
se quando sprofonda nei tuoi occhi
profondi anche alla luna, viene meno
il respiro.
Il clown
Tutta irradiata sotto il naso scarlatto,
ecco la linea che espande il sorriso,
ecco nascosti nella sua giacca di paglia
tutti gli oggetti per i suoi trucchi,
ecco le calze bucate, le scarpe giganti,
grandi come i porti:
dove ha ormeggiato ancora i suoi sogni.
Poi la luce si spegne, la tenda si chiude,
la linea della bocca declina.
Nel camerino una valigia
(domani dovrà ripartire),
e il fazzoletto che pulisce il cerone,
solo lo specchio lo riconosce
quando ha smesso di fare il buffone,
e lo consola.
Dove i clamori, dove le risa,
dove gli applausi, di questi rumori,
solo il rumore, di strumenti silenti.
Ma ancora una volta, la prossima volta,
ecco la lacrima da cui sgorga magia,
è nel suo occhio che gira la giostra,
è lì che vedo altra gente, che vuole salire.
Poesia
Parli, parli, e io sto a sentire
tutto ciò che dici, e sto in silenzio
legato dalle tue molecole,
stregato dalle tue alchimie,
le tue parole sono atomi
che hanno sostanza di lune, e di luci.
Se le rimesti con la chimica,
delle tue magie, e le rigiri,
con gli inganni dei tuoi artifizi,
salgono in cielo. Ma quando fa,
troppo, freddo vicino
alle nuvole,
il vento dopo aver danzato
con le note d’ un flauto:
come in incantatore, le riporta a me.
Ho rubato ogni parola
Ho rubato ogni parola, la più arrabbiata,
la più insensata, sono entrato nei luoghi
più inaccessibili dell’ anima,
attraversando, terreni coltivati infestati,
di stramonio.
Ho convinto la sua essenza a stravolgere
il suo essere, e spogliarsi
del suo abito di seta.
Ho svegliato gli aggettivi dal torpore,
con forza rabbiosa e disperata, ho strappato,
da ogni pianta velenosa,
gli epiteti più ingiuriosi a mani nude.
Non mi importa se le spine mi entreranno
nelle vene, assieme a quel veleno,
per condurmi nella casa, delle streghe:
se saranno sufficienti a stravincere,
il suo ego.
Dove gli spazi
sono grandi ed infiniti, il viaggio
delle nubi, spesso colma un vuoto
enorme, in un cielo senza stelle.
Se non sento la sua voce,
solo il vuoto,
e un suono sordo viaggia, invece,
nelle stanze dei miei occhi.
Solo un’ ombra che mi aspetta,
lungo il molo di quel porto,
ma si perde nelle lacrime, del mare,
come un passo ormai stremato,
che si asciuga nella schiuma,
delle onde.
Io e te
Io e te lo stesso albero,
io il tronco, tu il muschio
avvinghiato al mio colletto,
io il ramo che si stringe
alla tua vita,
tu la linfa, che disseta,
io e te che ci nutriamo del sale,
della terra.
Questa lacrima
Sai chi ti ha amata più di me,
sai chi ha pianto più di me?
Questa lacrima che geme,
che zampilla dal profondo,
che ha più sale, che ha più acqua,
che è più grande, anche del mare!
Questa lacrima che disseta,
nel suo sguardo, il mio dolore,
e scava dentro al cuore
una sorgente, come un mare,
rovesciato, in un bicchiere.
Laconiche sono le voci dei sassi
e dicono cose che io non capisco.
Il fiume ora mi appare più nudo senza
le pudiche ombre dei rovi,
e degli ontani bruni.
Tra le foglie le poche rimaste vedo
sconsolata gracidare una rana,
e sento il fruscio dei rami lontani,
quelli rimasti, confondersi
col verso stridente delle civette.
Ma i ragni, i ragni, neri tessono
ancora le loro tele.
Ah vento perché non hai ascoltato
il pianto dei salici, che chiedevano
aiuto, quando tagliarono
gli alberi dalle anse del fiume.
Arriverai nel punto
dove albeggia l’ orizzonte,
la tua mente se ne andrà,
si eleverà da te, e il tuo corpo
ed i tuoi arti si vestiranno
con le piume d’ un gabbiano.
Nel turbinio dell’ aria,
non avrai necessità delle tue braccia,
ma di penne remiganti.
Ormai senza catene
la tua anima, nuvola tra le nuvole,
si affiderà alle stelle,
e si consegnerà, in eterno,
al cielo, e all’ avventura.
Attimi d’ autunno
Sopra il cielo un’ allodola disegna, col suo volo,
un pentagramma, ricamando la sua voce,
sugli sfondi dell’ autunno.
E’ solo un attimo!
Quando smette, ma il sole si è già spento,
già sgranocchio i miei ricordi, mentre il guscio
d’ una chiocciola, si è schiacciato sotto il peso,
d’ una foglia.
Lì vicino passa il treno, come il tempo,
non ha fretta,
sbuffa, stride, non si ferma, mugge ancora,
e non muore sotto il giogo delle ruote.
Intanto si allontanano i miei sogni.
E la brace, con la scorza di castagne,
quando sfrigola sul fuoco,
sembra soffi, sembra soffi come il vento
più inquieto, sembra dirmi: ancora un attimo,
ma è un inganno!
Già: l’ autunno passa in fretta, come i pugni
che han tirato, i suoi inganni, alla mia pancia.
Nei posti di ieri
Quando le nuvole sbagliano rotta,
per colpa dei venti,
non ritornano mai nei posti di ieri.
La luna si scorda i momenti che hai
trascorso con lei, i venti più freddi
si avvicinano nei posti dell’ anima:
con le onde si allontana l’ odore,
del mare.
Ma
la neve si scioglie, scende in silenzio
dai rami degli alberi, e dalle sue ciglia
cadono i fiori dei ciliegi.
Ti confida una brezza che la primavera,
è arrivata.
Come in una foto
Come in una foto in bianco e nero,
come la notte e la neve in un giorno
d’ inverno,
come nell’ anima, il buio e la luce:
il bianco ed il nero vanno insieme
stasera.
E la luna,
stanotte, ha già consumato, la notte.
Calda, immensa e feconda, è arrivata
a settembre vestita di festa,
con drappi di raso, e fili d’ argento:
ha lo stesso, tuo, sguardo di seta.
Ha lo stesso sguardo dei tuoi occhi neri,
ma nei tuoi occhi ci sono tinte più forti,
del bianco e del nero.
Come un prode marinaio
Era l’ ombra d’ uno scoglio
che assumeva le sembianze d’ una vela,
e si riempiva non di vento,
ma di fatti raccontati nella stiva
d’ una barca.
Or scarrocciano i miei sogni,
or si affidano alle onde, e alle rotte
dei delfini.
Son metafore i miei sogni,
sono anfore i pensieri, si dileguano
nel fondo d’ un abisso.
Ma poi tornano, e riaffiorano.
Anche il tempo,
trova il tempo di tornare, e risalpare
quando il vento leva l’ ancora,
come un prode marinaio,
che cerca ancora il grande amore.
Mi crollò addosso
E una luce in mezzo al mare,
mi crollò addosso, mi travolse
con tutta la sua dolcezza,
e per poco non mi uccise.
Quella luce greve poco più
che la piuma d’ un gabbiano,
e quell’ aurora deformata dal moto
leggero delle onde trapassarono
la mia anima, e seppellirono
tutte le mie malinconie.
Mentre torme di gabbiani,
a colpi d’ ala, e con i becchi,
facevano affondare negli abissi
più profondi tutto ciò che restava,
di quelle mie macerie.
Che t’ importa
se una nuvola, solo una nuvola,
solo per caso, nasconde un fetta di cielo:
se puoi osservare notti dove scorrono
ombre imbastite da luci soffuse,
e pezzi di mare ricamati di onde,
e di spuma.
Che t’ importa se una luce sbiadita,
un pochino sbiadita,
diventa l’ ombra d’ una nuvola bigia:
se sopra il suo viso volteggiano gocce
di limpida seta che, come ali bagnate
di vento,
vanno a planare nei suoi occhi infiniti.
Anche stasera
tira fortissimo il vento,
per farti ascoltare
il rumore del mare.
Questa notte le onde,
coi loro pennacchi
di schiuma,
scivoleranno
sulle ombre della luna,
col passo spedito
dei cavalieri erranti:
per difendere
i tuoi sogni con una dolce,
ninna nanna.
Il girasole
Guarda a oriente, o verso il mare,
segui il sole.
Aspetta il vento, e il profumo delle rose.
Gira gli occhi nei suoi occhi,
ruba l’ acqua del suo sguardo.
Stacca un fiore, che abbia il giallo.
Prendi il giallo ed un pennello,
mischia tutto nei tuoi versi.
Se ti resta la pazienza di tessere
una tela, verso sera, avrai dipinto
un acquarello.
Coi colori di Van Gogh avrai dipinto
un girasole, che si avvita,
con la vita, alla tua vita.
Come pagine d’ un libro
Le sue palpebre si abbassavano
e si alzavano come ali di farfalla,
e come pagine d’ un libro, di poesie,
si chiudevano e si aprivano
solo quando, si poteva leggere
il suo nome.
Così quando le ginocchia
sprofondavano nei sassi,
per il peso del suo sguardo,
e l’ eco che scandiva il suo nome
rimbombava nel suo cuore.
Lui implorava: “Se tu sei, la mia poesia”.
Io ti chiedo di seguirmi
lungo gli orli degli abissi,
se un giorno mai dovessi camminare
senza il fuoco dell’ amore.
Seduta sulla luna
In ogni dove, e dove si sprigiona
ogni luce, e ogni profumo, invano
la cercavo.
Riportala a me oh vento!
Imploravo per riuscire a ritrovarla.
Ma era come inseguire le sue lune!
Solo quando le ombre, delle onde,
si piegavano
ai morsi delle mie fantasticherie,
riuscivo a vedere le sue forme,
e le sue grazie, ma velate dalla spuma:
nella sabbia.
Eppure senza vento vidi salire
oltre le nuvole il sale del mio pianto!
Smisi allora di camminare.
E mentre aspettavo, confidando
nell’ ultima marea, la vidi che guardava,
verso il mare, seduta sulla luna.
Una strana sensazione
Nel fondo dissestato della strada,
con il fango ed il ghiaccio attaccato
alle suole delle scarpe inseguivo
con fatica i suoi passi, sopra i sassi.
Ma adoravo quell’ impegno!
Che lasciava una strana sensazione:
l’ anima e le gambe proiettate
in una stessa dimensione,
con i passi intervallati dai singulti,
del mio cuore,
ed i piedi, quasi accesi da fagotti
incandescenti, che scioglievano
quel ghiaccio, e imprimevano nel fango
i caratteri vergati d’ una lettera
d’ amore.
E c’ erano giorni
Visitare ogni luogo:
e non poterla incontrare,
abitare una stanza come fosse,
l’ ultimo posto del mondo:
e non poterla baciare.
Passare le ore cercando
parole insensate
che come schegge di stelle
sfuggivano il buio, per ritrovare
la luce:
e c’ erano giorni
dove anche gli echi di versi
inquieti dissipavano l’ aria:
senza poterla inspirare.
Soprattutto ritagli di rime,
modificate e scartate
sembravano, pietre nerastre,
che andavano ad ingrossare
la piena di un fiume senz’ acqua.
A lume di candela
Come una luce che cerca,
un’ altra luce:
questa notte cercavo
negli angoli più alti
della stanza,
e fingendo di dormire
dipingevo la mia insonnia
col colore, delle ombre.
Come la candela
che consuma la sua cera,
e consuma la sua luce:
a lume di candela
correvano, le ore!
Ma i sogni a mezzanotte
rincorrevano i voli,
mozzafiato dei ricordi.
Fior di loto
Provò di tutto, e per rubare
il suo miele, giunse perfino
ad aggiogare due api
con una coppa d’ argento.
Fu tutto vano
non si schiusero i petali!
Provò lui stesso ad entrare
nell’ acqua,
ma il fango lo faceva
affondare.
Mai raggiunse la sua bocca,
profumata di loto!
Così lui continuò a nutrirsi
della sua malinconia benché
il suo amore non potesse,
sfiorire.
L’ Alba
Com’ è schiva
quando sorge dal mare
e con flebile luce,
stende i colori,
e nasconde la luna.
O aspetta il mattino,
vestita di rosa,
e inzuppa di sole
le fette del pane
nella tazza indorata.
Così dolce,
e lontana, poco incline
agli sguardi,
non si lascia capire,
ma è l’ unica amica
che mi parla di lei.
Tra le canne arriva il vento
Quando pensi che l’ amore
non esista fermati, fermati
a meditare sotto l’ ombra,
d’ una pianta.
Stendi il corpo sopra il sacco,
dei tuoi sogni,
che tu stessa hai legato,
con un filo di speranza.
Vedi il bruco che è attaccato
sulla foglia d’ una rosa?
Aspetta,
e osserva come cambia.
Poi origlia fra i colori:
dalle canne arriva il vento.
Fatti brezza, soffia lieve,
poi riparti con due ali di farfalla:
sii gioiosa, fiduciosa, assediata
dall’ amore.
La bellezza è dentro te.
Dimmi o vento
Quando cadono le foglie, e le sollevi
con i tuoi soffi impetuosi, sempre,
o vento,
attendo con ansia, che tu ritorni!
Perché nel brancolante incedere
del tempo ti possa chiedere di andare
non in tutte, ma in una sola direzione.
Dimmi o vento
quando tutte le nuvole passeranno
avrai l’ardire di entrare nei miei deliri?
Saprai portare nel mio animo,
inquieto,
non il frastuono di una tempesta,
ma il trillo festoso di un’allodola?
Il mio cielo
senza lei
si spegneva
in poco tempo.
Per questo
rubai la luce
ad una stella,
e la misi
in un fondo
di bottiglia
trasparente.
Hai presente il cielo?
il cielo è un’ onda vaporosa,
il cielo è un petalo di rosa,
il cielo è la smorfia d’ un sorriso,
il cielo è tutto quello
che sta più in alto delle nuvole.
E quando,
la notte lo nasconde:
dopo l’ alba, riapre gli occhi
e poi riappare,
come scialuppa in mezzo al mare:
Così pure il tuo sorriso,
come un’ onda,
che disperde la sua schiuma,
che s’ infrange in uno scoglio,
in quel mare di sconcerto,
torna sempre a illuminarsi in un cielo,
a primavera.
Notte bruna
notte figlia della luna, tu che ostenti
le tue feste, che protendi alla mia vista
le tue luci:
son fantastici la musica, i tuoi canti,
fantasmagorici i tuoi balli.
Poi se aggiungi le parole strampalate
nelle insegne delle strade, e dei negozi
e sbeffeggi coi bagliori i miei dolori:
ecco allora che riaffiorano i ricordi,
ed aumenta la mia sete.
Brinda pure ai tuoi successi, notte bruna.
Ma dopo questa arsura fai che almeno
beva ancora l’ acqua fresca della luna.
Lungo i viali illuminati
Specialmente quando gli alberi dei pini
perdono le foglie, ed assumono
i colori dei ricordi,
specialmente quando il vento sbatte
la sua voce contro i muri screpolati,
delle case, e il tramonto si colora
con l’ argento delle ombre:
io, incomincio a passeggiare tra la gente,
(anche se altra gente infreddolita
resta a casa vicina al caminetto).
E quando si abbassano le nuvole,
ed inizia un pioggia leggerina,
pur se intorno vedo il nulla,
lungo i viali illuminati dai lampioni,
una luce già si sgrana, ma la vedo
più lucente del contorno d’ uno sguardo.
Invocazione al tempo
Oggi ti chiedo un favore,
senza fartene accorgere,
entra nella sua anima.
Rapisci col vento
la sua voce lontana,
trasportala in fretta
fino al mio cuore.
Poi tramuta il silenzio
in una dolcissima melodia.
Così che quando
all’ ombra delle lancette,
del tuo orologio, ogni attimo,
e ogni ricordo si sarà
addormentato,
il suono di un carillon
si propagherà, all’ infinito.
Stanotte c’ era più luce nel cielo
così i rametti dell’ edera per vedere
da dove quella luce arrivasse:
piantarono nel vecchio acero
mille piccole spine,
scalando il suo tronco con, piccoli,
balzi giganti.
Anch’ io dopo dieci, dopo cento
scalini finii per salire mille scalini
di sassi appuntiti
(per vedere fin dove giungesse
il mio passo da innamorato).
Ma lei non c’ era, non c’ era differenza,
fra il cielo e la terra, medesima luce,
medesimo vuoto.
Solo qualche rametto di edera,
con minuscole spine, si abbarbicava
nella mia anima.
Con il cielo, sopra il cielo
Stanotte ho visto il mondo alla rovescia:
il cielo è caduto sotto il letto,
la luna e le stelle intimorite,
si sono chiuse in un cassetto.
Io stavo con i piedi fuori dalla porta,
con la testa fra le nuvole,
e vedevo le finestre capovolte.
Per fortuna nella camera non piove!
Poi il sole ha fatto capolino nella toppa
della porta e le nubi son scomparse.
Con il cielo, sopra il cielo son tornate.
Ora nel cassetto solo odore
di lavanda ed un sogno son rimasti,
e nel cuore un mazzetto di vilucchi,
attorcigliati!
Nella ressa degli affanni
già si annidano i ricordi.
Come posso non pensarla,
come posso non cercarla.
Se mi ha punto la sua spina,
suo malgrado,
sento ancora il profumo
della rosa, che permane.
Della foglia che germoglia,
dell’ odore che mi inebria
fino all’ estasi.
sento, ancora, il gusto
intenso:
Come quando nella notte,
mi riscaldo con i sogni,
come quando addento
un pane caldo che ha il sapore,
d’ un sapore, che mi sazia.
E nel petto
i singhiozzi le bagnavano il cuore
e inventavano giochi d’ acqua pieni
di luce.
Intanto il sole che teneramente
inseguiva i suoi occhi
scioglieva il trucco, nelle sue ciglia.
Ma poche gocce di rimmel
iniziarono a scrivere altre parole,
d’ amore, quantunque il quaderno
dei sogni avesse ogni riga,
occupata.
Per un momento
Quando una piccola brezza
trasportò nella mia anima,
e in ogni poro della mia pelle,
l’ odore della sua bellezza:
per un momento,
solo per un momento respirai,
il suo profumo più intenso.
Poi i petali delle rose,
si staccarono dalle corolle,
e dove in eterno rifioriva
l’ amore il tempo non ebbe
più tempo, quando cambio
il vento.
Guardando i suoi occhi
mi lascio cadere in un prato di viole,
ubriaco d’ amore.
Non ci sono né chiavi, né porte,
nelle stanze del cuore,
né odori d’ asfalto, o di gomme
di camion, nelle strade sterrate,
solo l’ eco del canto
d’ un grillo trasporta le ore.
Ma sta finendo la notte e nel silenzio
anche la luna barcolla ubriaca,
d’ amore.
Prima che arrivi primavera
Accompagnati da due ali,
di seta,
volano i suoi occhi quando
il vento li libera dalle onde,
degli increspati mari.
E’ per quegli occhi che il sole,
d’ inverno,
aspetta
il passaggio delle rondini,
è per quello sguardo che si nasconde,
nel giaciglio delle nuvole.
Ma io,
per te, per i tuoi occhi,
per te amore mio, io credo
che potrei morire, prima che arrivi,
primavera.
Come
un’ ombra è quella nuvola,
è una casa senza porte,
neanche il vento vi può entrare.
Ma il rumore della grandine
mi intristisce,
ed il freddo dell’ inverno
impaurisce la mia anima.
Solo il silenzio portentoso
della neve sa inventare
i miei pensieri se la notte
ha il profumo, del suo corpo.
Stanotte
il mio sguardo inseguendo
le stelle,
si è meravigliosamente,
posato sulla tua fronte.
Ti prego resta così,
con gli occhi socchiusi,
i miei sogni
sono dentro i tuoi occhi,
non farli più uscire.
Il suo bacio
Il suo bacio, il suo leggero bacio
(pesante poco più che un petalo
di rosa),
in fretta lo travolse e dolcissimo
ascese dove l’ anima impalpabile,
si avvolge con i sensi.
Durò,
poco, l’ innaturale leggerezza,
che lo mandava in estasi:
insostenibile per lui fu il peso
dell’ assenza,
e il silenzio per poco non lo uccise.
Perché ogni volta che ripensava
a quella tenerezza
(che gli impediva di dormire),
le sue guance, che sapevano
di nuvole, si rigavano di sale,
quando le sue ciglia danzavano,
col pianto.
Andrò
dove le onde e le barche
non stanno mai ferme,
e ciò che troverò nel fondo
del mare,
lo stiverò nel profondo
dell’ anima,
assieme alle cose che mai
troverò!
Andrò nei Porti
a cercare un gabbiano,
che mi possa indicare
una nuvola,
con una specie di scala,
perché possa salire,
ancora di più.
Andrò
dove il posto più bello
è il suo sguardo vastissimo,
e là troverò
ciò che mai troverò:
quando cadranno due stelle,
nei suoi occhi
infiniti.
La sua foto
Se hai paura del silenzio
della terra, dopo il gelo,
se hai paura del rumore,
dopo il vento,
se hai paura che svanisca
il suo profumo
(è un peccato che un pensiero,
cosi dolce, resti chiuso
in un ricordo).
Cerca in fretta
nella mensola dell’ anima
una chiave per riaprire,
quel cassetto.
Dal suo legno ormai consunto
fai uscire le sue ombre.
Che sfarfalli tutto il tarlo,
che sfavilli ancor
l’ incanto e che duri,
questa notte in chiaroscuro.
Dalla carta
un po’ ingiallita
togli il corpo dalle onde,
e accarezza la sua pelle,
che ha i riflessi della luce.
Col chiarore della Luna
cogli
il fiore del sorriso,
prendi il vento per andare
a passeggiare,
lungo i viali dei ricordi.
Non si muove una vela
sta affogando anche il mare, oramai,
senza onde.
Senza più sorte, senza più forza,
un vecchio, forse un marinaio,
o uno che ama stare da solo, aspetta
il tramonto, ed il vento.
Ma non si muove una foglia.
Torni in fretta l’ autunno!
Se il vento vorrà:
le foglie cadute da un ramo saliranno
nel cielo per indicare una rotta.
Possa il cielo far brillare le stelle,
finisca il silenzio,
finisca il tormento, torni il vecchio
a essere riabbracciato, dal vento.
Torni il vento a scompigliare
i suoi capelli ormai bianchi,
torni presto a buttargli la schiuma,
negli occhi.
Quel vecchio vuole essere ancora una foglia
sempre in guerra, col vento.
Volgo lo sguardo
in direzione del cielo e un tenue
raggio di sole riapre le palpebre,
dei miei fradici occhi.
In quel caldo tepore vedo i gabbiani
che veleggiano all’ alba e si levano
i sogni,
vedo i ricordi che si alzano in volo,
assieme agli aironi.
Vanno insieme,
cercando le impronte che lei ha
lasciato inseguendo le nuvole.
Così quando i miei occhi di nuovo
si riempiranno delle cose che ha:
scrigni, dolcissimi,
diverranno le mie pupille.
Ma questa volta le dovrò sigillare
per paura che riaprendo le palpebre,
quei doni preziosi,
diventino ancora fugaci illusioni.
Le sere dei tramonti settembrini
nei giardini delle ombre,
hanno nuvole sottili come petali di rosa,
ma nel punto dove scivola una goccia,
s’ inabissa tutto il cielo,
dentro il palmo d’ una mano.
Nella piazza soleggiata del bar
sul lungomare,
la sera è già velata di rugiada,
e la luce che ha lasciato l’ abisso
in fondo al mare,
per posarsi col colore del corallo,
sulla bocca d’ una donna,
è oramai,
una foto in bianco e nero.
Se ti sembra che si stinga la camicia
disegnata con le foglie dell’ autunno,
se hai paura che svanisca
nelle spire della nebbia questo cielo
in chiaroscuro:
Non ti sfugga tra le dita
questa notte e la sua luna,
stringi forte la sua mano, nella mano.
Né la folle gelosia
Né il silenzio della notte,
né il vuoto di un abisso,
né la folle gelosia,
mi hanno ucciso,
mi hanno ucciso
i suoi aforismi impaurendo,
i miei spiriti più allegri:
quando,
il pianto si rapprese
dove l’ anima era fragile,
quando le parole
che appresi dai poeti
per dirle, che l’ amavo,
si dispersero nell’ aria.
Scolpisci le parole
Le strade che hai percorso a metà
della tua vita riportale,
ai tuoi passi
(per non dimenticare),
ma evitando di schiacciare
i fili d’ erba mossi dalle lusinghe,
seducenti, delle brezze.
Cammina,
abbandona
gli spigoli dei sassi,
libera la mente per entrare,
nel mare calmo dei tuoi sogni.
Scolpisci le indecifrabili
parole, e incidile,
col sangue vivo, nelle crepe,
dei muri della mente,
per non lasciarle, scarnificate,
alla mercé del tempo.
Era aprile
Come bolle di sapone
scompigliate dal fremito
del vento,
tra le nubi si nascosero:
era aprile, il primo aprile,
il giorno esatto.
Era notte nuvolosa,
era notte di bugie,
era notte anche di neve,
appena, appena,
mitigata nel buio della stanza,
da una luce di candela,
e i ricordi,
riflettevano,
sulle ombre della cera,
come sogni dalle immagini,
di seta.
E mai vorrei
fermarmi, e mai vorrei
che fosse inverno,
e mai vorrei che la sera,
declinasse questo tempo.
Invece giorni più freddi,
sono alla porta:
Frutti prelibati saranno
le sue labbra e la bocca,
perché acqua di fonte
berrà la sua voce,
ma raggi di filigrana faranno
prigioniere le sue parole.
Se la mia sete non consumerà
le foglie, di ghiaccio,
ammucchiate dal tempo.
Un pensiero moribondo
A che servono i pensieri, i più dolci,
i più amari, i più profondi, a che serve,
arrotolare le parole dei pensieri,
con la carta d’ un giornale,
a che serve respirarle, se poi il fumo,
di quel fuoco,
le dissolve nello spazio siderale.
A che serve imitare il saltimbanco,
a che serve un passo indietro,
un passo avanti,
se il tuo slancio originale resta in bilico,
in un filo.
Ma un pensiero,
moribondo, si trascina fino a un pozzo,
si abbandona alle sue lune, poi risale,
e si illumina di luce,
finché imprime, con l’ inchiostro,
la sua impronta nei crateri della mente.
Accompagnati dall’ eco del vento
cinguettano in coro i fringuelli.
Quest’ anno voglio ascoltare
i loro versi e il passaggio del vento,
senza la compagnia dei soliti
tormenti.
Per questa ragione,
per la loro salvezza, e per la sua salvezza,
vigilerò che alcuno non porti con sé,
né reti, né vischio:
Non permetterò che i ladri dei suoni,
strappino all’ anima,
gli spartiti che rallegrano, il tempo.
Mi accomoderò
sopra un pensiero per andare dove
il mare si congiunge all’ orizzonte,
farò finta di salire su una nuvola,
per vedere come il sole resta appeso,
sopra i vortici del vento.
Aspetterò che il remo d’ una barca
sollevi la brezza del mio mare,
per riempire di schiuma e di colore
la tesa dell’ aurora.
E pazienza se un petalo di luce,
cadrà nella mia giacca scivolando
dal bavero, alla manica
(l’ orologio mi ricorda che è arrivata
l’ ora, di tornare):
Tornare per qualcosa che svanisce
ma rimane,
che ha un odore vago di ginestra,
ma che rimane nella testa, se lei sarà
con me, dall’ alba fino a sera.
Non sono le parole
che mi uccidono, né quando mi colpiscono,
né quando mi feriscono, ma la luna
e la sua luce.
Guardando fra i cespugli d’ una duna,
io che vedo?
Vedo spine che hanno punte che feriscono,
mica i morsi d’ una vipera.
Solo quando arriva sera, quando guardo
il cielo appoggiato a una terrazza,
in compagnia della sagoma di un gatto,
sento un velo di tristezza,
perché vedo ormai la luna, e la sua luce
che mi guardano,
con un misto di dolcezza, e di indulgenza.
Solo quando avverto i loro sguardi
che mi scrutano i pensieri:
a me sembra di morire, perché sono simili,
ai suoi occhi, e al suo sguardo che mi ascende,
fino all’ anima.
L’ orizzonte
le onde assordanti, una luce lontana:
è facile per quei grandi gabbiani
sorvolare i porti, il mare, e le barche.
Seguire la lucina, d’ un faro,
scendere a terra, virando sul molo,
scrollarsi le ali dall'acqua salmastra.
E’ facile a quegli uccelli abitare
gli impassibili scogli,
che diventano vivi soltanto se
vi approdano, i naufraghi.
Io che indolente guardo ogni cosa,
sento rumoreggiare solo le onde:
quando ascolto la grondaia, del tetto,
che gocciola piano, sulla terrazza.
Ma nel silenzio di questo universo,
una goccia diventa un oceano.
Così cosmonauta dell’ infinito,
inizio a viaggiare tra le galassie
e a districarmi fra ammassi di stelle
Chissà se, novello Ulisse moderno,
riuscirò nelle notti d’ estate
a riempire con lo spazio e col tempo,
i fantasmagorici viaggi di ogni,
mio sogno.
Capinera
Una pioggia tesa e forte,
ti ha sorpresa,
sotto un cielo cupo e nero.
Triste e sola hai aspettato,
che passasse il temporale.
Con il peso delle ali sei,
entrata nel mio petto,
a ripararti.
Quanta forza avevi in volo!
Poco tempo sei rimasta:
hai deposto le tue note
e volando,
dalle ripe delle vene,
ormai piene come fiumi
che tracimano,
sei tornata alla tua casa.
Ma il tuo verso ha calmato
il mio respiro,
la bellezza del tuo canto,
ha sedotto la mia anima:
vibra ora nel mio cuore,
una dolce melodia.
Torna ancora Capinera,
torna ancora, lascia il nido
della siepe, delle more.
Dolce luna
Appoggiata a una montagna,
o vicina all’ orizzonte, nella notte,
fai sgorgare,
dal tuo altare luminoso,
le preghiere che si infrangono,
nel riverbero dell’ alba.
Quando corri dietro a un gatto
che insegue la tua ombra,
in un tetto o in terrazzo,
quando scappi dietro a un cane,
che ti abbaia:
fai sognare, i poeti ed i pittori,
e i ragazzi innamorati,
poi ti eclissi tra le nubi sparpagliate.
Torna presto, dolce Luna,
non resisto ai tuoi capricci,
torna presto a emozionarmi,
a mostrarmi le tue facce.
Sì ti prego torna presto perché,
ho voglia di sognare.
Ricordati di me
Quando ti sarai dimenticata
di ciò che passa, ricordati di me,
di ciò che ci sarà rimasto,
di quanto io ti abbia amata.
Anche quando il tempo
dissiperà le nostre smanie,
e i nostri sogni,
ricordati di ciò che è stato,
meraviglioso e puro.
E sappi che quando la mia voce
ti sembrerà diversa,
e ciò che passa passerà:
ciò nonostante io non smetterò,
di amarti.
In vicoli affollati
Quando i misteri e i dubbi
si perdono in un fumo
che non si dirada non bastano,
gli indizi, i segnali,
o i trucchi incantatori.
Silenzi arcaici e indecifrabili
scendono dal letto,
si confondono coi miagolii
dei gatti,
e poi spariscono in vicoli,
affollati.
Abbandonano di notte
ogni balcone e con lena
sonnacchiosa vanno sui tetti
appoggiandosi all’ ombra
della luna:
così stanno in equilibrio,
sopra i muri.
Laddove anche i gatti
risolvono gli enigmi ascoltando,
il sibilo del vento.
Era autunno
Era autunno e cadevano
le foglie come gli accordi
d’ un violino, in un letto
pieno d’ orli e di ricami.
E fra i rami,
sopra i tronchi dei castani,
una nebbia, fredda e scura,
già s’ alzava verso il cielo,
per andare a crogiolarsi
nella pallida, incantevole,
lontana, stanca luna.
Anche un raggio mattutino
si scioglieva in un sorriso,
e una goccia di rugiada
rotolando
sopra il vetro della stanza
si allargava come un’ onda,
trasportando la mia anima,
e la sua.
E ballando
si muoveva con la grazia
d’ una spiga, pur avendo
la sua blusa,
ormai inzuppata dall’ odor
di gelsomino,
che premendo le scarpette,
nelle punte,
si muoveva sulle gambe,
con la forza d’ uno Swing.
Ma le braccia e le sue mani
che acchiappavano,
anche l’ anima,
si slanciavano nel cielo
come l’ arco d’ un violino,
disegnando nella sabbia
il ricamo d’una danza,
vaporosa.
Così il mare sussurrando,
amabilmente
la sua voce, frastagliava
con le onde il girotondo,
delle orme.
Come le note d’ un pianoforte
Aspetta la notte, che s’ alzi anche il vento,
per mandare le tue voci piene d’ amore,
se ti sembreranno fredde e pesanti
coprile con una sciarpa, legata da un filo
di seta, e falle giocare con un aquilone,
avvicinandole al sole.
Aspetta la notte per slegare la barca,
che cali anche il vento, e soffici parole,
di neve,
cadranno sul mare.
Finché la schiuma davanti alla prora,
diventerà un suono così dolce
da riempire
di note gli spazi d’ un pentagramma.
Oh si che le sentirai luminose e calde,
le tue parole quando le luci d’ un faro
accenderanno i suoi occhi e come i tasti
d’ un pianoforte premeranno sul petto,
all’ altezza del cuore.
Abitavo dentro le sue pareti
fatiscenti,
in uno spazio angusto,
in un tugurio,
vivendo solo con lo stretto
necessario,
ma pieno di sogni,
e di illusioni.
Ora che ho lasciato
quel rifugio,
proseguirò il mio viaggio,
con una valigia più ricca,
di esperienze.
E quando concluderò
il cammino cercherò,
una dimora più spaziosa,
e più sfarzosa,
mi nutrirò ancora
di sogni e di illusioni,
e mi sembrerà,
di vivere in un Castello.
(in aria)
I sogni e la notte
I sogni e la notte per soffrire di meno,
purché le ombre prendano il posto
del sole, purché non si asciughino,
le corolle nei fiori,
purché non si strozzino le speranze,
nel cuore.
Meglio correre come le nuvole
nelle notti d’ inverno inseguito,
dai fantasmi,
invece che dormire senza sogni.
Meglio entrare nel giardino
del suo sguardo sorseggiando l’ aspro
sapore delle lacrime,
piuttosto che saziato da un dolce,
ma vacuo sopore.
Meglio ascoltare il canto lamentoso
di un pettirosso pur se ha la gola ferita,
da una spina di rovo.
Vedevo la notte
adagiarsi sul mare,
vedevo
il suo sguardo,
grande come la luna,
rapire i suoi occhi,
vedevo la luna calarsi
nel mare,
e la sua guancia,
appoggiarsi,
nella la mia spalla.
Soprattutto vedevo
le ombre,
e le onde macchiarsi,
di rosso,
quando il mare
flirtava con l’ alba.
Ma che meraviglia
Forse non è colpa nostra ma delle lune,
che con fare volubile,
ci prendono i cuori mandandoli in estasi,
e poi li dissolvono come piccole nuvole.
Forse è colpa d’ una luna più bizzarra,
di altre che scambiando
le nostre anime per bianchi narcisi,
le ha fatte sbocciare vicino a un pantano.
Ma che colpa hanno quei fiori,
se hanno lingue, al posto dei petali,
se la bruma della palude ora indossa il mantello,
di un alchimista.
Forse è colpa del mio, o del tuo cuore,
che non riesce a contrarsi quando si parla,
d’ amore.
Ma che meraviglia!
Quando nel mare increspato,
di tutti i miei sogni, il tuo sguardo sembra,
un’ alba che si accende nel buio.
Toc, toc
Da tempo i miei sogni oramai
si avvicinavano al cielo,
ascoltando soltanto rumori, striduli,
di fili di ferro.
Da quando io l’ amo, da quando
il tempo con lei si è spostato,
sempre, vado cercando
qualcosa che riempia la mia anima
non soltanto di pianto.
Ma stanotte il mio sonno,
si è fatto leggero come un eco,
od un bacio, e ha rubato
le voci attaccate alle note del vento,
e le ha riannodate alla cassa,
di un piano.
Toc, toc risuona forte il mio cuore.
Ora che la luna riavvolge
la notte coi suoi fili d’ argento,
sento che le stelle più non suonano,
a vuoto.
Sono un folle
o un ubriaco se ho la mente che veleggia
in un’ anfora di vetro,
se aspetto che le onde sopra ai mari
dei miei sogni si sollevino come le ali,
di un gabbiano.
Troppo,
vasto è ogni suo lato, troppo pigra
la mia indole per raggiungere,
i confini di quell’ inguaribile delirio.
Ma le luci dei suoi occhi,
così simili alla neve quando danzano
dentro i cerchi di una brezza:
già rapiscono il mio sguardo come un faro,
che si accende, in mezzo al mare.
Una matita
ha disegnato il profilo del viso,
le braccia, i seni e le gambe,
li ha fatti una luce,
una luce,
strappata a un tramonto.
E quando lei si è sdraiata
sull’ erba,
guardando nel cielo,
una goccia di acqua, di acqua
di luna, è caduta in un ramo,
dove
una gemma ha incominciato
a fiorire anche in questo triste
mese, di aprile.
Seguo con gli occhi
la pioggia che cade, e per non perdere
l’ anima,
brucio il dolore attraversando,
un sentiero di nuvole basse.
Crepitano, intanto i miei desideri:
li vedo sollevarsi nell’ aria,
mentre graffiano il cielo.
Faccio di tutto, il contrario di tutto,
faccio quello che la ragione
si rifiuta di fare,
così camminando accanto alle nuvole
asciugo col vento il suo madido,
pianto: “Che nessuno lo veda”!
Niente
Niente, nessuna immagine,
nessuna luce, nessuna
fantasmagorica visione.
E un pensiero,
un piccolo pensiero riverso,
lungo le righe di un foglio,
di quaderno,
così quelle parole,
mi apparivano ondeggianti
come onde senza barche,
ma le onde erano, bianche,
come il bianco di un sorriso.
Se tacessero le onde
solo nei tuoi occhi,
unici posti, dove troverei
tempeste, o mari calmi,
vorrei nuotare.
Se cadessero le stelle,
solo col tuo sguardo,
dove si specchia la tua anima
vorrei riaccendere,
la notte.
Così inizio
un altro giorno mentre
mi spoglio dei miei sogni.
Non bastavano
i baci, le carezze sulle guance,
i bisbigli nelle orecchie,
i colpetti sulle spalle:
occorrevano altri gesti, altre parole,
più audaci ed impetuose,
occorrevano nuovi luoghi
da esplorare,
nuove voci da ascoltare!
Fra colline di ciliegi profumati,
e di mandorli fioriti,
come le foto,
trovate in un cassetto,
scorrevano i miei sguardi,
nelle grazie del suo corpo:
ma le parole ancora non bastavano,
non bastavano gli infusi
dei vilucchi, e i profumi
delle rose a fermare, la passione.
Ebbro di luce
Quando quel cristallo
di ghiaccio si sciolse,
mi misi a nuotare
in un oceano di stelle.
Sospirando
abbassavo e rialzavo
le ciglia,
liberando altissime
onde:
così ebbro di luce
mi bagnavo nei mari
dove si formano, i sogni.
Adirate le nuvole
Adirate le nuvole, adirate le stelle:
con troppa foga ho camminato
nelle strade della luna.
Poi il cielo ha chiuso il suo spazio,
e mi ha messo alla porta.
Ora sono tornato, e ho riposto
i miei sogni in una valigia,
che porto ogni giorno con me:
che immensa fatica
per il mio cuore, stremato,
ma sapesse la luna quanto, io, l’ amo.
Amo i versi dei poeti
Amo le notti che si infrangono nei sogni,
amo le favole, e tutto ciò che è magico,
e leggero.
Amo il tempo, i fiumi, il loro incedere quieto,
il frastuono della neve quando cade,
dai rami, dei ciliegi, a primavera,
e il silenzio che si nasconde nell’ infinità,
nell’ universo.
Amo i versi dei poeti quando le parole,
sono ricoperte, dai rumori delle stelle,
soprattutto per le cose che ti posso sussurrare,
quando tu mi vuoi, ascoltare.
Le ombre della luna
E passata la bonaccia, le angustie
si trasformano in un mare,
tempestoso,
in un mare che ha sembianze
d’ un Titano con le orecchie,
spalancate.
Quel gigante e le sue onde
origliano i pensieri e scherniscono
lo spirito come piccoli folletti.
Ma al calare della sera
le ombre della luna si profumano
d’ unguenti,
e con mani gigantesche,
si dilatano sulle piccole ferite.
Una voce
Scivolando sulle pareti della stanza
sale su, come una piuma,
una voce modulata dalla simmetria
delle parole.
Dagli spigoli inesatti, dagli spazi
irregolari, viene fuori dal soffitto,
come spinta da una melodia
dolcissima.
Ora danza sulle nuvole con le geometrie
degli astri,
sparge in cielo, la sua musica,
poi si libera dei venti, e ritorna
dentro l’ anima, per riempire di emozione
la mia indole, poetica.
Esce fumo dal comignolo
Esce fumo dal comignolo,
anche il pioppo, vicino al suo ruscello
fuma ancora:
appena un filo, il suo respiro.
Ieri due emissari, con due righe,
hanno esposto, con decreto
che i suoi rami questo inverno,
bruceranno in un camino.
Così i racconti,
che hanno inciso i picchi rossi
sulle pagine del libro, diverranno
fumo grigio.
Anche il vecchio, non capisce:
ma corrobora il suo umore,
col colore delle albe e dei tramonti,
col rumore delle greggi,
e il profumo che esala, il suo tabacco,
dalla pipa.
Solo guardando
verso il promontorio là dove il sole
diventa più piccolo dell’ albero
del pino,
e gli steli delle pastinache si muovono,
come i fantasmi di un veliero…
io mi abbandono alle avventure:
ma non aspetterò domani,
per viaggiare.
Ora che le ombre del crepuscolo
incominciano a oscurare i fianchi argentati,
delle barche inizierò a remare
per andare, dove gli uomini,
che pescano i sogni e le illusioni,
indossano i maglioni blu dei marinai.
E pensi
Come quando s’ allontana
un amore e pensi, e ripensi,
a quel moto inquieto,
che ti serra la gola.
Come quando un aquilone
ti scappa dal filo,
e ti prende, quel cruccio infantile.
Poi una spina nascosta,
sotto una foglia di rosa,
ti punge la mano e pensi
che in fondo,
è solo una piccola goccia
di sangue, quel sangue, annegato
nell’ anima.
Risveglio
Dentro i miei sogni
prati, e ruscelli,
un’ aria leggera,
e tutto il resto
che sapeva di fiori.
E lei che ballava
tra fili d’erba,
mossi dal vento!
Quando un raggio
di luce, colpendo
lo specchio, si diresse,
verso i miei occhi,
e mi risvegliò.
I suoi occhi
hanno linee, hanno curve
che disegnano il cielo,
hanno i colori dei frutti,
del gelso,
quando sono maturi,
quando oscillano i rami,
quando incombono,
i venti!
Insaziabile i buio divora,
anche il tempo:
calano grevi le angustie
stipate, nelle notti infinite.
Ma i suoi occhi
hanno spazi vastissimi!
Scendono, scendono
i sogni come fiocchi di neve,
dai suoi occhi neri.
Solo un leggero prurito
di polvere mi irrita,
ancora la gola.
Quella collera sbrecciata,
dal cuore, dalle mani,
e da ogni cosa che può
fare male, ora riposa
nel museo delle parole.
Cerca o vento
con la seta di un tuo lembo,
i colori dell’ aurora,
ed avvolgi
la sua diafana bellezza.
Se non basta
il bagliore del mattino
a cambiare,
il suo pallore scendi,
o brezza,
nei singulti della gola
per rubare
il colore, del mio cuore:
fai
che arrivi alla sua bocca,
come un petalo di rosa.
Se quel rosso,
ancor non basta,
pianta un bacio nelle lande,
delle labbra.
Metti in fila le parole
Ogni nome non può stare mai da solo.
Metti in fila le parole dentro,
a un verso!
Fai seguire a una parola, una parola.
Al soggetto,
dai un verbo, e un complemento.
Ascolta bene, e se stona la tua voce,
torna indietro, ricomincia, e cambia accento,
quindi arriva fino al punto.
No!
Non lasciare mai da solo,
neanche il nome d’ una rosa,
neanche il nome d’ una donna, se fa rima,
con amore.
Con le tue piccole spine
Come siamo diversi, io e te,
io ti amo, io ti cerco,
tu mi eviti,
tu mi schernisci, e infine
mi ferisci
con le tue piccole spine.
Eppure così uguali, io e te:
come le gocce
d’ una stessa acqua,
e come i rivoli,
d’ uno stesso mare,
dove sedimentano
i dolci affanni, dell’ amore.
Di questa uguaglianza,
di questa diversità,
tu mi nutri, poi mi pungi
con le tue spine anguste.
Così viviamo
come due viandanti
che vanno nella stessa
direzione fino a quando,
non ci separa il vento,
freddo della tramontana.
Oggi il mare è molto taciturno
sembra che abbia perso la sua voce.
E sopra la terrazza,
davanti a una luna immaginaria,
il miagolio
d’ un gatto vagabondo
si sovrappone al rumore,
dei suoi flutti.
Se avessi le sue zampe,
potendo strascicare la risacca
fino ai piedi:
m’ aggrapperei a quelle onde,
e con circospezione
aspettando il vento giusto,
con una vela, me ne andrei
in giro per il mondo,
trasportando la mia anima,
raminga,
dentro a un mare in miniatura.
Tanto per dedicarle
il mio amore vado cercando parole,
tra sillabe e rime baciate,
dal sole:
ma al diavolo le trovo
coperte d’ inchiostro, sbiadito.
Sì vado frugando,
tra cianfrusaglie antiquate
e ammuffite!
Potessi trovarle nello scaffale
d’ una vecchia vetrina,
o nel tavolo d’ una osteria,
mescolate, a vino asprigno,
o a versi stantii di poeti,
un po' demodé!
Pur scemando i profumi,
e i colori, di tralci appassiti,
rimanesse, almeno per lei,
la purezza dei bei versi antichi.
Cade un pirata dall’ albero maestro Cade la neve, cade una foglia, cade una stella, cade un pirata dall’ albero maestro. Tutto ritorna alla terra, e al mare. Ogni cosa che s’ allontana ritorna, sempre, a chi appartiene. Io per nessuna ragione mai partirei, per allontanarmi da lei, mai potrei cadere da un albero maestro, in cerca di posti inusuali, e sconosciuti, e se immagino terre e mari lontani, e fisso i suoi occhi, non vedo isole o porti… che l’ assomigliano. L’ accento più dolce Oh eco dell’ anima mia, accarezza la tastiera d’ un Piano. Poi premendo più forte, sui tasti, ruba le note più gravi e trasportale, adagio nell’ aria, facendo, lentamente, vibrare il suo corpo, e il suo cuore. Che senza farsene accorgere il tuo respiro, trasformi l’ accento, più dolce, in un tenerissimo canto. Come nella stessa foglia Come siamo uguali, eppur così diversi, io e lei, io la amo incondizionatamente, lei mi ferisce, anche con le più piccole spine, di una superficie liscia. Io e lei la stessa…cosa, io e lei la stessa acqua dello stesso torrente, la stessa polpa dello stesso frutto, dove si sedimentano le più dolci, essenze dell’ amore. Così viviamo come nella foglia, di un fico d’ india, nello stesso greto. E ci muoviamo insieme nella stessa direzione quando ci spinge, il vento. Con queste differenze, con queste corrispondenze, lei mi punge con le sue spine, poi mi nutre, con la sua dolcezza Deboli lumi Con ugual raccapriccio scrutava in fondo alla mente, e vedeva agitarsi fantasmi, inquieti, che si trasformavano in voraci falene, e in deboli lumi in balia dei fronti del vento, e delle ombre blasfeme, del tempo. Così supplicava Medusa, di poggiare lo sguardo nella volta del cielo, per sottrarre alla luna, il suo manto di luce, e conservare i ricordi in un simulacro, di ghiaccio. Lungo i viali Né la luna, né le stelle, mi hanno insegnato a camminare lungo i viali degli incanti (dove il sonno mi ridesta, tutti i sogni), ma, i suoi passi cadenzati, col rumore del mio cuore. Nell’ ora dell’ aurora Tutti volsero lo sguardo verso l’ orizzonte, credo, per ritrovare il senso, più profondo, delle cose! Intanto il vento bussava forte dentro il mare e le onde spruzzavano cristalli di sale, che si scioglievano, nella bocca degli amanti. E non aveva niente neanche un letto per sognare, solo un comodo cantuccio, dove si era insinuata la sua pigrizia. Poi quando si liberò delle sue indolenze: che viaggio avventuroso intraprese la sua anima, prima di addormentarsi, teneramente, fra le braccia delle nuvole. Il mondo che frana i passi sepolti sotto l’ umida terra, le orme dolenti, pesanti, oramai ricoperte, dai denti del tempo, sotto i rami e le foglie. E fra non molto anche i ricordi, lasceranno i cassetti, vagheranno, più in alto, un po' vaporosi e distanti, e assai ben nascosti nell’ aria: Si potesse, costruire una scala, salir sulla luna, rovistare nelle stanze del cielo, e ritrovarli, quando arriverà l’ inverno. Lo dipinse di parole Come un naufrago implorante, supplicavo intercessione, alle spalle, alle braccia, e a ogni fibra del mio corpo. Fino a quando chiesi aiuto, all’ anima del mare: Che bagnando con l’ inchiostro l’ orizzonte lo dipinse, di parole. M’ abbandonai, così, sulle sue onde sillabando ogni lettera, d’ un nome. Misurerò i miei passi Oggi tempo permettendo, ma ne andrò a passeggio, per il bosco. Misurerò i miei passi, per ricordare la distanza, che li separa dalle stelle, ma quando entrerò nei sentieri che portano, quasi, fino al cielo dietro di me richiuderò la porta: Da solo voglio stare, solo con le nuvole, e con i miei pensieri. Così tempo permettendo, attenderò le stelle. Anche se il tempo mi sembrerà di ieri, perché, anche oggi sei dentro, i miei pensieri. Solo echi in lontananza Tanta pioggia in questo autunno, poco vento lungo i viali degli aceri, arrossati. Anche il tempo, e il suo ostracismo ha già eliso il profumo, della salvia. Solo echi in lontananza che rintoccano, da minuscole campanule. Cerco un refolo improbabile, che trasporti un’ idea, o uno spunto, un po' erudito… ma è all’ altezza, delle nuvole. Cerco e scavo inutilmente nella mente con il becco di una gazza, che ha trovato rovistando poca polpa dentro il guscio, di una ghianda. Dentro l’ anima incipriata ecco la maschera che ha preso le sembianze del suo volto, e ha osato recitare come fosse un attore consumato, una scena di passione. Non biasimatelo! Se ha provato a fare l’ istrione, se ha copiato un po' il copione, se sotto quello strato di cerone, che ha il pallore della luna, la sua pelle, ha il colore del suo trucco, se lui sogna il consesso delle stelle, poiché di lei si è innamorato. Le vedo quelle nuvole che passano attraversando, il cielo. Se ogni fiume fosse vuoto, dalle opulente facce riverserebbero tutta l’ acqua, che raccolgono dai calici dei fiori… Lei piange, il pianto delle nuvole, ma la casa è arida, ed ingrata, e ogni rivolo che le scende dalle guance si asciuga, nei gradini, sobbalzando, nella scala.
Come cavalli imbizzarriti Se il vento muoverà la staticità del tempo, altre parole si staccheranno dal filo antico, che le unisce, e superando gli steccati, e le schiavitù delle abitudini, come cavalli imbizzarriti, si lanceranno al galoppo nelle piste, delle nuvole. Nel crogiuolo delle cose Nel crogiuolo delle cose tutto brucia, e ogni cosa che lo attizza brucia il buio della notte, e lo consuma. Ma una brace avvampa ancora. La riaccende una brezza, mattutina dopo l’ alba, e la seduce. La ravviva tutto il giorno, fino a sera. E di nuovo, nella notte, la passione, brucia ancora nel crogiuolo, delle cose. Come specchi E la brina mattutina colpita dai suoi passi si rompeva in mille schegge, come specchi andati a pezzi. Sorrideva allora il cielo, guardando sotto il viale, di quei platani argentati: I frammenti che schizzavano nell’ aria, gli sembravano le sue stelle più lontane, o pezzetti, della luna. Si accese di blu Poi una luce dipinse di bianco la notte, l’ orizzonte si accese di blu, e le pietre mute dei monti, si misero a nuotare come delfini, per raggiungere le onde, del mare, e cantare canzoni alla luna. L’ alta marea, allora si alzò, anche dentro di me, riempiendomi l’ anima. Ah quante emozioni sa dare, la voce del mare… ma nessuna come te sa dipingere, il cielo. In questa notte così fredda i fiori che si aprono se non son rose, sono forse i petali della tua bocca, che ora si muovono? E i fiocchi che scendono leggeri, se non sono neve che si scioglie, o briciole di luna, sono forse, le tue lacrime che ricadono dal cielo? Se non son loro come farò, a trascorrere la notte sapendo, che il tuo pianto si è aggrovigliato nei gambi delle tife di questo, fiume? Come farò se le mie braccia non riusciranno a liberarlo dal velo scuro delle brume: allora nelle ombre del mio cuore terrò, ancora, le mie, e le tue, malinconie!? E’ una piccola crepa Dove non c’ è più il colore del cielo, dove degli alberi vedo solo scheletri neri… Tu mi cerchi malinconia, poi mi ricopri con le foglie del tuo vestito ingiallito, e fai che il tempo trascorra, nel vuoto grigio della nebbia, autunnale… Ma passano i giorni, e qualcosa a poco a poco, incomincio a vedere al di là del muro d’ombra che hai, costruito… E’ una piccola crepa che lentamente si apre nelle profondità di una palude… Da dove risale la luce sfarzosa, della luna. Io credo Quando piovono pezzi di stelle, in un cielo senza nuvole, quando la neve imbianca il bianco, dei biancospini, quando nel mare albeggia una rosa: io credo che tutto sorga dai sogni, anche, se presto si scioglierà la neve, anche se presto appassirà una rosa. Quando queste cose succedono a maggio, quando una farfalla scuote lo stelo, di un fiore, facendo cadere rugiada sulla tua bocca, e il tuo sorriso accende le notti, io credo che tutto sorga dai sogni. Nelle ombre dei monti che lambiscono il mare, le foglie degli alberi si staccano al vento, e s’ avvicinavano al cielo. Sono tante le notti che aspetto, ma le spume di sale non si sollevano ancora, ancora, non diventano stelle. Se tu non scioglierai la tua crocchia, non riuscirai a far muovere il vento, e le berte e gli albatri, senza tempesta non riusciranno a volare! Eppure c’è un’ onda che a me s’avvicina, dal mare. Forse dentro di me, ora s’ alzerà una bufera, forse nuovi fiocchi di neve ritorneranno, alle stelle. Com’è bello ascoltare il silenzio, quando il mare abbandona la sua ira furibonda. Com’è bello, ritrovare nella luna il suo sguardo assorto, dopo aver atteso, di notte, il ritorno delle onde: Vederle tornare trainate da una barca di pescatori, ma con le reti piene, solo di sogni. Vorrei anch’ io tornare, a sognare, curare col sale una puntura di rosa, e abbracciare le onde, come un corpo, di donna. Mai più Alzando lo sguardo, verso il soffitto tra la luce e le stelle, è là che vedo un sorriso. Ah il tuo sorriso! Quando sorridi diventa la stanza… piena, di stelle. Ma ti vedo lontana, come una luna, che spunta furtiva tra ombre inquiete, ed abeti argentati. Però, mai più, mai più, così in alto! Almeno, almeno a Natale, stai più vicina, non andare lontana.
I colori della sera Si perde il rosso del tramonto, fra il blu del mare e il verde delle alghe, si perdono i colori, della sera: Tra le ombre della luna, allora, cosa resta? Solo il suo nome, una poesia scarabocchiata, sopra il cielo, e l’ ultimo canto, d’ una allodola. Se potessi illuminare la vita che vivo sulla terra non prenderei le stelle che appartengono al cielo, né prenderei la luna che appartiene, al mare. Neppure all’ alba che appartiene all’ orizzonte chiederei, la luce, solo il suo sorriso, il suo sorriso sì, che lo ruberei per illuminarmi il mondo ma so che è impossibile perché lei appartiene, al sole. Si staccarono i pensieri dalla mia anima per andare a cercare, nella parte contrapposta al cielo, qualcosa di lieve, tipo un’ orma sopra un manto di neve, od accertarsi se, sotto la terra, si poteva trovare la luce, del sole. Non era vero, non c’ era niente! Perché solo i miei sogni, inseguendo i miei passi lasciavano luce, in ogni parte del mondo, e la mente volando nell’ aria, colorava lo spazio d’ un intenso azzurro, cobalto. Quel piccolo gesto Quando le luci un po' sfumeranno, quando anche le parole, crolleranno schiacciate da una coltre, di gesso, quando ogni cosa di te svanirà, sotto le travi delle nuvole… un gabbiano, distendendo le sue ali bagnate, di viaggio in viaggio, le riporterà in spiagge assolate, ma la magnetica luna le affogherà, nell’ alta marea… eccetto quel piccolo gesto, eccetto quella carezza, nei tuoi capelli. Accoccolato in un guscio di lumaca scivolare negli abissi della mente, e dopo un temporale risvegliarsi, per cercare, una certezza, una chimera, l’ impronta di una scarpa, o chissà che, nel groviglio delle foglie accartocciate, dall’ inverno. Sono tanti i miei pensieri e diffusi più degli alberi del bosco, e delle stelle della notte. Così è arduo risalire da quei tronchi scivolosi, che hanno solchi lunghi, come fiumi. E’ lontana dalle chiome, la distanza, sopra il cielo. Come quella del mio cuore, dalla testa, e dal suo cuore. L’ ultimo suo libro Oggi ha finito di scrivere l’ ultimo, suo libro: ha scritto tante righe, ci ha messo tanto tempo, e tanta lena, e del suo nome, e del suo amore, lo ha riempito. L’ ultimo pezzo ha terminato, l’ ultimo verso ancora a lei… lo ha dedicato, tra l’ incerto, ed il sospeso. Chissà se il prossimo suo libro, lo scriverà per lei, chissà se avrà paura, dell’ ultimo capitolo. Mi piace alzarmi presto la mattina guardare l’alba, e la rugiada cadere adagio sulle cose, vedere il cielo senza nubi, e il sole che si alza sulle onde, dopo un temporale, vedere sopra i vetri schiarirsi le pupille, quando evapora il pianto mattutino della brina, mentre l’ anima si asciuga dagli scrosci del suo pianto, e dagli assedi dei pensieri. Nelle lande dell’ anima quando s’ alza il silenzio, se un amore sfiorisce, anche un fiore appassisce. Ma assorto nell’ aria, il suo profumo persiste, la sua bellezza resiste. E un aroma dolcissimo, si espande nel corpo, attraversando le ossa, e la pelle. Anche oggi finirò per parlare d’ amore, supplicherò Dioniso inventore di tutto ciò, che pervade, che mi trasformi almeno per un’ ora, in un accanito bevitore. Che ogni goccia di mosto diventi una goccia d’ inchiostro, sopra quei versi! Che ogni parola che dispenserò per lei… sia ebbra di vino, e di poesia! Amore mio fermati andremo insieme sulle stelle, la notte è così bella, il colore della luna così chiaro, e i viali del cielo sono illuminati come le strade di Parigi. Tu volerai stringendoti alle ali del tuo cigno, io galopperò su un cavallo bianco tenendomi, al suo crine. E se arrivati sulle stelle io non potrò fare molte cose, perché le tue mani saranno sempre nelle mie, non importa: il tuo volto mi terrà occupato, e le stelle non si lamenteranno del silenzio, dei sospiri. Le stelle d’ agosto Tutte le stelle si accorsero, che piangeva, e che era innamorato, di lei… eppure nessuna si fece scherno di lui, quando inconsolabile, sillabava il suo nome. Così vicine alle rose, le stelle, in quella notte d’ agosto… e così serene, un po' lo calmarono. Sembrava, che ora, a quell’ uomo, il cuore dolesse di meno. Ti detesto non perché stai, un giorno, come nuvola altezzosa, ed un’ altro voli bassa come rondine di mare. Ti detesto non perché non ti abbandoni, o non ti lasci andare come foglia a un temporale. Ma perché tu non frughi, tra i miei versi. Fra migliaia di parole inadeguate, ormai desuete, troveresti i tuoi sogni, nei miei sogni… rimestati dalla luce, e dall’ odore dell’ inchiostro. Nella battigia Ancora le stelle mi suggerivano parole per lei, ancora la luna mi sorrideva, quando nella battigia, la sua piccola luce fece sbattere al mare le ciglia. Però quando la notte, fu quasi alla fine, di lei: solo il profumo che discernevo dall’ odore, dei vilucchi e dei gigli marini, oramai mi restava, ma era quasi svanito, e più non riuscivo a intrecciare le sue dita, alle mie. Solo quando incrociai, le falangi dell’ alba ancora mi illusi di poterla, baciare. Troppo fioca la luce Ah quella impudenza, quell’ agitato fervore, di allora… di quando pensavo, di acchiappare la luna. Troppo fioca la luce, nascosta nella cruna di un ago, troppo dura la china. Ah potesse, potesse a poco, a poco finire, o almeno attenuarsi questo intenso soffrire, retaggio di un amore, infinito. Emozioni Fu una lacrima un po' amara, scivolata come goccia di rugiada… su una spalla della giacca, fino al bordo della manica: a formare col suo sale una macchia che non c’ era. Ma era autunno e dall’ albero, le foglie che cadevano dai rami ricoprirono la giacca, e la sua anima coi colori dei coriandoli. Solo quando il mio sguardo si diresse, verso il suo… i miei occhi incontrarono i suoi occhi, solo quando a lei mi avvicinai… d’ acqua e sale si riempirono le palpebre. Solo quando, le mie labbra, si appoggiarono alle sue, tutta l’ acqua di quel mare trabocco dentro… alla mia anima. Non il vento di burrasca ma una brezza maliziosa, solo allora, addensò le nubi rosa avvinghiate all’ orizzonte. Pensa a una bufera Pensa a una bufera a una foglia che appassisce, a un singhiozzo, a una brezza, a un ramo che fiorisce, a un sorriso. Pensa a un pensiero che accarezza con dolcezza la tua mente: “Già lo senti come freme per portarti, in altre mete”. Liberalo, fallo andare sulle cose che ti affliggono, fallo andare a ricucire, emozioni un po’ sdrucite. E’ uguale a un filo che rammenda, e leggero più di un’ ala, di farfalla. Con troppa forza scorre il mio sangue, le mie vene scoppieranno di troppo amore, di troppa passione. Le mie vene sono come fiumi, le mie vene sono senza argine. Un giorno o l’ altro tracimeranno, per questo amore, per questa passione. E il mio sangue stracciando i delicati gambi delle rose, esonderà nella terra del mio cuore. Il suo volo ha ali vaste come il vento, ma la sua voce trilla, un infelice canto. E’ triste l’ allodola, che non trova semi nelle messi, né uva sotto i tralci, e troppo grandi sono diventate le radure intorno, alla sua anima. Estate Come ancelle devote, la luce di un faro, e la luna stanno ancora a guardarli, quando inizia l’ aurora: mentre con le note, di un flauto, si avvicinano a loro e poi senza voce, con la risacca vanno a nascondersi dietro il cielo ed il sole. Bussa adagio, allora, il vento alle porte del mare, ma sopra le labbra, le onde sollevano ancora cristalli, di sale, che si sciolgono in bocca. Può accadere di perdere i sogni se i tormenti, scavano solchi nelle pasture, dell’ anima, se una pioggia di grandine scalfisce lo specchio dei tuoi desideri, se una fosca perfidia riempie la tua lettiga, di foglie autunnali. Può accadere di perderli, inseguendo le stelle fino alle porte, del giorno, può accadere che puoi ritrovarli nel percorso tortuoso, del sangue più rosso, in un eremo, dentro il tuo cuore. Nella linea che congiunge il cielo al mare, più non sento la freschezza della brezze, niente vento, niente vele, tutto è fermo, tutto tace, ma col moto dei miei remi, se raccolgo spuma bianca dalle onde, tutto cambia… come se con le mie mani accarezzassi la sua pelle, come se laggiù, dal molo, si levassero i profumi dei limoni, come se anche il mare, si agitasse a quegli spasmi. Si dissolvono nell’ aria i pensieri e i desideri, ma nei sogni, le molecole si riaggregano, e trasformano in immagini, i pensieri. Questa notte, quando il buio, ha riacceso le sue stelle… ho sognato, ho sentito il suo respiro, ho ascoltato la sua voce. Ma la notte taciturna ed impaziente, fece perdere quel bacio, mai avuto, nell’immensità del cielo. Al suo posto dentro un quadro, un fiore, un tulipano, in un vaso di cristallo, che indossava la sua giacca, di un bel colore arancio. Mi ritrovai così nel buio di una stanza, ma i suoi occhi di mandorla, e di acqua cristallina annegarono, il mio sguardo… ma quel sogno, dolce sogno, fra i ricordi per sempre lo porterò con me, e lo decorerò con versi di tinta blu, indelebile. Di questi fiumi di questi alberi, di questi sassi, di questa gente, tutti hanno perso la memoria. Solo i bambini tengono a mente, i nomi e i suoni di antiche storie, quelle, che appresero dai vecchi di cent’ anni, quando un eco di tempi lontani fece, sentire remote storie di immote, voci, nelle gole di questi antichi, monti. Una immagine a metà Vedo un volto, vedo petali di rose, vedo fiori di ciliegio… e mandorli fioriti, vedo un occhio, un orecchio, un orecchino, vedo labbra e vedo te che vuoi baciarle, vedo lei che le ritrae, vedo te, che ti rivolti come un’ onda, dentro il mare in un giorno, di burrasca, vedo te che disapprovi le sue bizze e le sue lune, ma che l’ ami. Vedo dentro la tua anima, una fiamma, che illumina ogni spazio, di un’ immagine a metà. Solo quando il vento di ponente la trasportò, fino a me, come una fragile foglia, caduca… l’ anima tumultuosa divenne un giardino e si riempì, dei colori caldissimi e dolcissimi dell’ estate. La mia malinconia in fretta diminuì e si trasformò in un sogno, colorato perché lei si era nascosta, in mezzo alla mia anima. Così guardandola negli occhi, mi stupii della sua bellezza… Anche lo spirito del vento allora si meravigliò delle sua bellezza, e di averla fra i suoi doni. Mi sono chiuso dentro il suo vapore, trasparente, vivendo solo di illusioni. Era una nuvola, nell’ aria, la mia casa, poi si è sciolta in tante gocce di parole. Ma in quei giorni così dolci, così amari mi è sembrato di vivere nelle stanze, di un Castello. Per sfuggire all’ imboscata dei tuoi occhi… con le mani, mi sono appeso ad una nuvola, ma è stato tutto inutile, anche la luna mi guardava… col tuo stesso sguardo, languido. Cadono i cieli sopra le rondini, le scie delle stelle più non si sbrogliano dai fili d’ avena, e cade anche il sole in un campo di girasoli. Ma quando avrò visto, la luna cadere dentro il suo sguardo, ogni cosa che passerà davanti ai miei occhi, mi sembrerà, un’ inezia anche se: altri fatti mirabolanti forse, accadranno.
A maggio Stanotte ho sognato, che a maggio assieme ai fiori dei pioppi fioccava la neve, e da una siepe di rose si schiudevano, gemme che coloravano di bianco e di rosso sentieri brulli e assonnati. Era soffice, ogni cristallo, pareva un sorriso, e i boccioli appena sbocciati, sembravano, bocche desiderose, di baci. Cadevano, come stelle dentro una rete… i candidi fiocchi, ricamando un velo appena segnato dalle zampette di un passero che aveva, un’ ala ferita. Era lieve ma non come la sua pelle, la neve, non così morbida e le stelle erano uguali ai suoi occhi, ma non così luminose, e come in un minuetto si muovevano in cielo dieci nuvole bianche, ognuna danzando, con infinita dolcezza. Ieri ho avuto un privilegio raro sono entrato dentro a un sogno, non un sogno in chiaroscuro, ma un sogno vero. Ieri ho visto che i suoi occhi, si erano vestiti di una luce fulgida, e superba. Anche la mia anima si era chinata alla sua grazia… e pazienza, se in quel volto la mia audacia, si è fermata. Ma è durato molto poco, quel piccolo rammarico appena ho, ricordato quanta poesia mi regalò, il suo sguardo. Questo nostro amore era così fragile, così immateriale, che non poteva durare in eterno, ma dato che era così evanescente: per questa e per altre ragioni, rimase sospeso nell’ aria … fluttuando come un fiocco di neve, D’ incanto, di rapimento, e di tenerezze fu questo momento, poi come rapito da un lembo di cielo, dietro una nuvola, si dileguò. Quando rividi quel mandorlo in fiore, in un crescendo di convulse note, si ricompose il suono di un nome. Succede qualche volta che dal cavo di un tronco, l’ eco di una melodia risalga verso, il cielo. Quando il vento diraderà le nuvole, la bellezza della notte ci passerà davanti, come in passerella: lei si rifletterà nella sua luce, e io per adularla, più della luna, le donerò il mio amore, e un bouquet di rose. Niente era più uguale in quel cielo inzuppato d’ acqua, il sole a poco, a poco si scioglieva, e le nuvole diventavano di pece. Solo la sua passione, e il suo amore trafiggevano, la grandine. E io che desideravo tanto dedicarle, frasi che fioccassero di miele: trovavo, solo, parole che erano di ghiaccio, e che non valevano il suo amore … anche se giungevano dal cuore, anche se nelle mie vene alimentavano, un gran fuoco. Come un’ onda E’ come un’ onda l’ amore, come un’ onda s’ increspa, si spezza, e ai suoi piedi, si sbriciola. Una forza lo attira, lo tramortisce, lo riduce a brandelli, e lì muore. Ma a gocce risale, e distillato con le sostanze del cuore, ricade e si ricompone, e a lei s’ avvicina di nuovo che assorta, lo guarda. E’ forte e si confonde, col vento, la voce del mare, ma l’ onda, e l’ amore che l’ alambicco del cielo, raccolse, fanno lo stesso, rumore. Soprattutto la sera al tramonto, soprattutto se troverò parole nuove per te, soprattutto se sentirò ancora più forte, nei pini, il monotono canto dei grilli. Soprattutto se ti sentirò conversare, di me, con la Luna, allora non avrò più paura, di perderti, né del silenzio. Perché vorrà dire che anche tu, non ti sarai dimenticata, di me. C’è odore di salsedine c’è un molo, una barca, e sibila il vento facendo oscillare, le corolle dei gigli. Sfioro e percorro ogni cosa. Ma ciò che cerco è dentro, di me … Pieno d’ amore è il suo respiro, e la mia anima sembra il mare, nell’ ora più calma, dell’ alba. Come in un deserto pezzi d’ ombre senza forme, moltitudini di folle, senza corpo, labili incomprensibili lamenti che si addensano di sabbia, poi repentine: la sua grazia, che traspare, l’ avvenenza e una fontana ricolma, soltanto della luna, e della bellezza della notte. Tace ora la mia bocca, e trabocca, insipiente, di parole mentre bacia, la sua bocca. Il fornaio Quanti notti, quante lune, quante ore ha regalato, il fornaio, al mio paese, quante storie son passate nella rete del setaccio, le ha stipate, dentro i sacchi, le ha impastate di farina, d’ acqua pura, di buon sale, e di sapore, per la fame della gente. Mille pani sopra il panno, di broccato, più di cento nei canestri, mille pani nelle tavole. Sì che gli anni son passati, è più lento, ha già smesso di sognare, non le mani, di impastare e di infornare. Per fortuna sento ancora, nel suo pane, odore buono, anche il tempo ha più sapore. Tre parole Tre parole le ho rubato, tre gocce di rugiada (tutta l’ acqua dentro il sole), una barca, un marinaio, una vela che ho già issato, casomai dovessi andare … tre puntini in mezzo al mare. Tre parole che mancavano: una inezia, fra migliaia di parole (basta un soffio per disperderle nell’ aria). Tre sole ne ho rubato … alla mia anima, e le ho incise nella pagina, di un fiore. Mentre cammino in quel selciato nero Sembra più uggioso e grigio il tempo, in quella viuzza stretta, di finestre screpolate, e di portoni fradici, di umidità e di muffa. Imperturbabili le ombre delle nuvole, scendono, dai muri! Ma quando sui tetti di quei palazzi antichi il cielo stende il suo lenzuolo azzurro, e il mio sguardo si rivolge ai balconi, ricolmi di ellebori, di viole, e di piantine con rametti filiformi, ecco che mi viene in mente la primavera, e il giardino, di un Castello. Ritorna il sereno, mentre cammino in quel selciato nero! Malinconici ricordi Ritorneranno, si contorceranno, e passeranno, come il vento in un campo, senza siepi. Solo qualche fiore di gladiolo, e qualche filo d’ erba ancora, verde, per farli ripiegare. Io recluterò una banda di folletti, malefici ed urlanti, per allontanarli dalle mie vene, gracili. Ma tutto sarà vano! Malinconici ricordi, a me, ritorneranno come una palla elastica che oscilla, in una giostra Quanta differenza Fu una parola sussurrata, una parola qualunque, una parola senza senso, a farmi cadere, in un totale rapimento. Dopo di allora quanta, differenza, tra l’ ammenda ed il perdono. Quanto disavanzo tra l’ indifferenza e l’ amore, nella dolcezza di questo abbandono. Non ha tempo per andare Come è alta, come è cupa la foresta quando scendono le nuvole. Oggi un vecchio che non è mai stato giovane guarda in basso sopra i rami. Mai si accorse che il suo bosco era un grande mare verde … spira un vento che ha le fronde, come onde. Poi un rimpianto ed un ricordo, lo sorpresero quando vide la luna allontanarsi, dietro il fumo dolce, della pipa. Come ha voglia, ora, di andare, di volare, di viaggiare, di salpare con la barca o di avere come il falco agili, ali. Ma nel bosco la ghiandaia vola bassa ed i cervi che hanno aste lunghe come remi stanno diventando, assai, inquieti: un grande fumo nero e acre si sta alzando verso il cielo … ha già acceso il carbonaio una catasta, ora, non ha tempo per andare. Corri verso il mare allinea le ciglia dei tuoi occhi, verso l’ orizzonte, in quel momento farai nascere, l’ aurora. Col tuo sguardo, darai forma a quel cielo che si imbroncia. E le piogge, dell’ inverno, dissolvendosi nell’ aria, si trasformeranno in un grande, arcobaleno. E quando sarà sera i colori, del tramonto illumineranno, quel muro, sbiadito, e screpolato. Così nelle ellissi dei miei occhi, anche, l’ombra della sera, sarà meno cupa se avrà il colore, delle rose. Quando guarda verso il mare lei osserva, la risacca, le sue onde e i riverberi di luce, che si staccano dal faro. Non per fine, ma, per caso, vado errando in altri luoghi e i suoi occhi, questa sera, non li ho visti. Ma i bagliori del suo sguardo, coi sussulti, delle palpebre, mille volte, li ho contati, li ho contati fino all’ alba. Mi hanno detto che qualcuno ti aveva assai, lodata. Ieri in acque limpide e pulite, ti hanno vista stretta alle braccia, di un ruscello, Le sue onde ti hanno vista, e hanno visto che sei bella. Dopo un po’ si son calmate, dopo aver lasciato i sassi, mi hanno detto. Io non provo gelosia. Nessuno, più dello stupore del mio sguardo, è capace di lodarti. Ma non li capivo Quando la mia anima avvertì i suoi sospiri … lei era ancora lontana dalla casa, nel bosco. Infatti ben prima che io aprissi le ante, ben prima che lei si mettesse, a bussare la porta: fu la mia anima che si mise a origliare, ascoltando i suoi passi! Mentre, io, delle foglie che cadevano a terra, dei fili dell’ erba, e delle brezze del vento, anche i sussurri più lievi riuscivo a sentire, ma non li capivo. Ritornano le rondini Il tempo passa troppo in fretta, mi volto e non ho più vent’ anni. Ma a primavera ritornano le rondini e sui rami si aprono altri fiori, e ciò che se n’ è andato: ora è un albero, di mandorlo, che inizia, una bellissima stagione, se ogni petalo del fiore ha il colore dell’ aurora e del viso, di una donna. Se quell’ ala, vola alta fino all’ ora, del tramonto. Una nuvola diafana Ma forse non è colpa nostra, né di quelle lune che con fare volubile ci prendono l’anima, mandandola in estasi, e poi la disperdono come se fosse una nuvola diafana. E le nostre parole, che colpa hanno loro, se provengono da un fiore, che nella corolla, ha lingue di seta, ma orecchie di cera, al posto dei petali. Forse è colpa del cuore, che non riesce a contrarsi quando parliamo, d’ amore. O Stella senza nome O cielo senza stelle (quando lei non mi sorride) o mare senza spiagge (quando lei resta ferita dalle mie lune dispettose), o custodi della mente prendete, una candela e accendete i vostri lumi, dove i vermi hanno scavato, per rubarmi l’ intelletto. O Stella senza nome dimmi cosa devo fare, per non cadere nel fango liquefatto senza che la carne sia corrosa dalla torma degli insetti, in quel pantano. Stella senza nome dammi la tua luce per vedere, oltre la ragione. Ma se nel buio devo stare spegni ogni barlume perché, lei, mai più possa vedere, le mie intollerabili insolenze. Un sentiero di fiori Camminare in un sentiero di fiori, sentirne gli aromi, arrivare in un ponte, in un giorno di piena, e restarne travolto, ma spinto dai flussi, trovare una finestra in penombra, una porta socchiusa, ed entrare in un giardino incantato. E poi: respirando quei sensi, ricordarsi di lei. Come un pezzo di cielo senza più azzurro, senza più stelle, come quando nel buio, solo la luce di un faro discerne uno scoglio, da un’ onda. Come la luna in un plenilunio, sotto un lenzuolo di seta rossa, solo il velluto della sua pelle, illuminava il mio cielo. Poi come fa il mare che aspetta l’ alba per togliere il velo della sua cappa d’argento, senza più voce, senza respiro, mentre il lenzuolo scivolava sopra il velluto delle sue grazie ad una, ad una, improvvise le stelle si mostrarono a me, e io mi misi a cercare parole per solcare il suo cuore. Per issar le sue vele Sciabordano dentro i suoi occhi, più grandi del cielo, come pagine sparpagliate dal vento, le onde del mare, mentre al timone aspetta che il vento si alzi più forte, per issar le sue vele. Poi la vedo lontana, in acque distanti, dispersa in rotte di porti lontani, forse vuole inseguire, le onde appena segnate di bianco, per riempirle di pagine non ancora sbiadite dal tempo, ascoltando il rumore e il respiro, del mare. Il sole che cerco spalancando le braccia lo bramo la notte lo trovo qua accanto e lo vedo vicino e lo sfioro e mi scaldo in quel fuoco che incendia le mani, ma brucio più forte cercando nei fianchi o nella sua bocca … parole d’ amore e tutto mi infiammo ed anche il cuore diventa di fuoco lacerando le vene che fanno schizzare gocce d’ inchiostro per scrivere pagine di struggente passione per scrivere, t’ amo. I tuoi silenzi Quando la tua voce perderà di tono, e di misura, trascinando … le mie attese disilluse, fin dentro la mia bocca, e non riuscirò, più neanche a respirare: anche allora, pure solo attraverso i pori della pelle, io, aspetterò le tue parole … finché l’ anima, e le mani saranno ancora piene, dei tuoi silenzi. Perché nessuno lo veda Riscaldo la neve, che cade, come foglie secche, brucio l’ acqua come la sabbia, di un deserto. Crepitano le stelle, come castagne, nel cielo pieno di buchi, cospiro col fuoco, per bruciarne la scorza. Faccio il contrario di tutto, faccio quello che il sole non fa, ma cammino dentro le nuvole, per asciugare col vento il suo pianto, perché nessuno lo veda. Oltre la nebbia che nascondeva il cielo, che consumava il tempo, improvvisamente: un’ illusione, una speranza, e poi un brivido caldissimo … Come se nelle mie mani, a poco, a poco si stesse accendendo, un sole. Vento Troppo forte, troppo basso, stai passando. Stai rendendo inquieti i miei pensieri: troppe nubi stai mettendo nella faccia della luna. Se il maestrale, il maestro degli inganni, a folate, romperà, le tue bisacce: nelle sere del mio inverno solo i sogni, resteranno. I colori luccicanti dell’ aurora Quando il vento percuoteva, così forte dentro l’ anima … volavano i pensieri verso il mare. Un miraggio quella luce, impossibile fissare i colori luccicanti dell’ aurora. Ma il sole, appoggiatosi alle onde, già scaldava le mie mani, sulla pelle dei suoi fianchi, bianchi marmi levigati … mentre l’ anima si univa allo spirito, del mare. Le notti mi piacciono così, confuse ed animate, eppure soavi e delicate. Notti passionali come i petali dei fiori più sensuali, ma ricolmi di profumi, e di carezze, anche dopo discussioni infervorate. Notti come queste, che non riesco ad iniziare, se non si mostrano le Fate. Notti come queste che non riuscendo a conquistare la Figlia della luna rubo le immagini ai miei sogni, ed incomincio a sragionare come fanno un po’, gli strampalati. Anche se non è una scelta facile, anche se non è una sfida, anche se cammino in sentieri che non sono rose e fiori, ti assicuro che, per te, continuerò a camminare sopra i sassi. Anche se le suole dei miei sandali si stanno, consumando. Nel bosco Il sole regala tepore alle fronde delle piante, il vento trasporta le foglie per i giacigli delle lepri e dei cinghiali, e le querce offrono riparo, a tutti gli esseri del bosco. Intanto nell’ emporio, sotto gli ontani, si confondono, i colori delle ombre, con i ghirigori degli astori, e la ghiandaia vende una parte, della sua ricca mercanzia, al ghiro e al porcospino. Si fanno affari dentro il bosco, ma le piante e gli animali, si accontentano di poco. Ripresi ad andare Il capolino di un tarassaco, si staccò dal suo gambo, e il mio sguardo guidò dove i sogni, son sogni e le nuvole, nuvole. Ma nel cielo solo nuvole vidi. No non vidi i miei sogni, perché, forse, i miei sogni, solo nuvole, sono. Poi mi fermai a riposare, e ripresi ad andare, per tornare a sognare. Come quella volta il mio sguardo, lassù, quasi ad imprecare, quasi ad implorare, il vento pigro, e quelle nuvole, che sembrano fantasmi. Come quella volta rivolgo il mento, verso il cielo, e dagli angoli degli occhi, scendono lacrime più grandi, delle nuvole. Come quella volta, la rosa rossa, nel balcone, la innaffio di passione, e di parole per non fare, mai, appassire, questo nostro grande amore. Lievi come le nuvole Le nuvole si sono abbassate, vedo male nelle brume del nulla, ma nel bordo di un fiume, scorgo una luce, una pallida luce, sull’ acqua che fuma. Galleggia da tempo infinito il riverbero, di un giaggiolo, giallo. Come assomigliano al cielo, e a una stella, visti da terra, il fiume, e quel fiore. Tutto è più bello, anche la nebbia, quando i pensieri diventano, lievi come le nuvole! Aspetto l’ inverno perché mia piace sentire il rumore, delle foglie, degli aceri, che dai rami, si staccano, mi piace sentire, quel tonfo leggero. Più amabile sento, perfino la sua indifferenza. Aspetto l’ inverno, perché ho più fame, col freddo, perché torna qualche volta la neve, perché tornano i cervi, nelle radure, perché mi lascio cadere in quel giaciglio di foglie, che diventa ogni anno, più nuovo e più spesso. Aspettare le notti raccogliere stelle, attaccarle sui muri, assieme alla luna: ma come in un fragile uovo, caduto da un nido, restano vuote le stanze che ho dipinto d’ azzurro. E abulici canti si adagiano nelle mie braccia, che a brandelli si staccano, dalle pareti, tappezzate di fogli di carta, perché tu piccola capinera, stai volando, già, via. Aveva in mano un fiore ma chissà quale … tenuto da uno stelo, che le arrivava fino, al viso, se non lo piegava il vento. Lo stesso vento, che con una brezza, mi accarezzava il mento. Ma siccome, un’ ombra ricopriva, la sua faccia … riconobbi il fiore, non dalla sua forma, ma dalla sua mano, perché quando la baciai, di odor di rosa, ancora, profumava. Solo al mare succede di toccare il sole con le onde, e di allargare le sue tese azzurrine, senza farlo cadere, in abissi profondi, solo al mare succede di abbracciare i fianchi di una Donna, senza contrarre, le sue braccia robuste. Ma quando mette in musica, la melodia delle onde, quando la guarda, con gli occhi della luna, più non riesce a stare muto di fronte a così immensa, bellezza. Voci Voci trasportate da echi lontani rimembravano suoni, dolcissimi. Ma sotto le chiome degli alberi, attutite, dalla leggerezza dei fili dell’erba, presto, persero tono e potenza, e scomparvero, inghiottite dal fragore del vento. Solo lo schianto leggero, il sommesso scrollarsi di una farfalla, che si posò in un piccolo cespo, di rose, rimase nell’ aria. Ora sento ancora vibrare uno stelo, che è diventato, un rumore più assordante, del vento! Foglie d’ autunno La tramontana più in alto degli stormi degli uccelli migratori, ancor le trattiene, sospese, in cielo. Ma quando il vento sposterà le nuvole, e le foglie mi cadranno nelle mani, in quei piccoli margini accartocciati come nelle pagine di un libro, io apprenderò, di antiche storie. Così dopo aver letto versi nostalgici, dolcemente, le lascerò cadere sopra la terra, non per un addio, ma per dormire, un dolce sonno in lenzuola foderate, d’ ocra, e poi con loro passar, le ore. Il picciolo d’ una mela Una piccola fiammella o una fioca luce che si illumina, come un sogno, come un’ illusione che fruga nell’ immensità, di questa e di altre notti. Una fiammella per scorgere la luna, fra gli alberi del bosco, o nel chiarore asperso dell’ acqua cheta, del torrente. Un fiammella per scaldare la stella più lontana, di questa notte magica, che non finisce mai. Tutto in modo così lieve. Come accendere, con un gesto, il picciolo d’ una mela, come illuminare il mondo, e tenerlo in una mano, tenendoci per mano. I ricordi e le stagioni I ricordi sono pagine di un libro, sono l’ eco di una voce, il vento e la nebbia nel compluvio della mente. Sono il tempo, andato, delle camicie a fiori, le vele senza approdo della primavera e dell’ estate, sono l’ autunno quando cadono le foglie, sono il gelo che trafigge la mia anima. Ma in inverno davanti, a un camino, con l’ aroma forte, della legna dei miei boschi, si riscaldano i pensieri, si risvegliano gli occhi gonfi dei ricordi, e il cuore torna a bruciare, come quei ciocchi, che sfregolano di fuoco, di fumo, e di faville, che vanno a lambire quasi le nuvole, prima di spegnersi sopra la brina, mattutina Stesso cruccio ha il marinaio Ama il mare rigirare la sua vela, controvento, risalire dai suoi spruzzi sulle nuvole, ridiscendere e cambiare la sue rotte, navigando in ogni costa. Ama il mare, ritornare, ritornare dov’è stato, abbracciare antiche spiagge, riposare, poi inseguire la risacca, per cercare la sua anima. Cosa sia questa inquietudine non è dato da sapere. Senza tempo, per il mare, è l’ illusione, che riesca lì a fermarsi. L’ ho visto osservando le mie orme cancellarsi, sulla sabbia. Sì le onde lo riportano, col vento, tra il suo cielo e l’ orizzonte. Stesso cruccio ha il marinaio ancorando la sua barca, in ogni porto. Su una nuvola Se potessi essere l’ aquilone che tengo legato a questo dito, seguirei ogni traccia dei suoi, luoghi. Di lei, tutto, sarei pieno, e voi ci vedreste passeggiare sopra le stelle, o danzare su una nuvola, in una notte, piena di luce e di lune. Ah se veramente diventassi l’ aquilone, che tengo legato a questo dito, e ogni cosa di questo mi dovesse capitare, vi prego, dal mio dito slegate questo filo, prima che il vento allontani, questa brezza. I bisbigli più acuti Dei fili d’erba, delle foglie che cadono a terra, della neve che cade dai rami, o degli spifferi del vento (echi di suoni, di rumori lontani) che aprono la porta, socchiusa, della casa del bosco: “Cerco i bisbigli più acuti, per ascoltarne le voci, per riuscire a capire, i discorsi dell’anima”. Quelle voci che lei non riesce a sentire, perché deve ancora imparare a capire i respiri dei sensi … che nel suo cuor, si inabissano. Che peccato Tu mi guardi sembra quasi che mi chiami, per uscire nella strada, per cercarla. Che peccato non capire ciò che dici mentre raspi, sulla porta, e ti soffermi sul mio sguardo, e non riesci più a fermare il tuo abbaiare, con il vetro si appanna … con la bava. Tu mi chiami. Ma non scende più la neve, e anche il vento non si leva, per seguire col tuo naso, le sue orme, e il profumo della pelle … che peccato! Piccolo usignolo tu che, all’ aurora, fai sentire la tua voce, perché quando è notte smetti così presto, di cantare? Forse muti il tuo silenzio, in una nota, per mandarla là nel cielo, dove brillano le stelle? Sì è per questo che io amo il tuo canto e il silenzio della notte. E se fossi la tua pianta, dove canti là nel piano, sarei felice di ascoltare all’ infinito la tua voce, pur se il vento mi strappasse le radici dalla terra … perché un canto, nel silenzio dello spazio, nutrirebbe ancora la mia anima. Plenilunio Un giorno la sua ombra e la luna si incontrarono tra i rami, in pieno plenilunio. E quando svanì la diffidenza la sua ombra s’ innamorò, dell’ ombra della luna: “Non rumore, non frastuono disturbava quell’ amore”. Svanì presto ogni paura e smise di ululare il vecchio lupo: “Nessun urlo di ferocia, dalla stretta dei suoi denti, più, gli usciva dalla bocca”. Né i suoi morsi, né il ricordo del passato riuscirono a strappare la sua anima, alla luna. Nessuna poesia Quando altri scruteranno nelle pagine della tua malinconia, senza riuscire a consolarti, e cancellerai anche l’ ultima riga del tuo diario, perché hai scelto che io non possa sapere … se almeno ti sopisca il dolore. Nel tuo cuore mai più troverà dimora la voce delle mie parole, e io non riuscirò a fare nessuna poesia perché mentre ti giustificherai … tu mi starai dicendo, addio. Stanotte tra gli Olmi Cosa si può guadagnare a restare da solo sotto l’ ombra di un Olmo vetusto, cosa si può guadagnare ad ascoltare le voci dei rospi, i fruscii delle bisce, gli striduli versi dei rapaci notturni, lo stormir delle foglie tra le ombre e le luci soffuse, seduto sopra un sasso, nell’ansa di un fiume ? Forse hanno ragione la luna, e le stelle, che vicino a me, si sono sedute, occupando un ruscello, e mentre mi guardano … dicono: “Non andare veloce, non perdere il senso del tempo, rincorrendo sfuggenti chimere”. Osserva invece tra gli Olmi quell’ ombra furtiva e fissa nella luce di quei chiaroscuri, un fugace momento, un dolce pensiero, per tenerlo per sempre, con te. Le ali di un Angelo Intirizzito come un fiocco di neve aspetto, impaziente, che soffici mani si trasformino in ali e dita pietose, in piume di seta, per trasportare in vene oramai quasi secche, sostanze preziose: “Come nel mese di autunno in rami spogli di foglie e privi di fiori … la linfa e la vita”. Aspetto che pallide unghie diventino gemme, di Rose pronte a sbocciare, nel mese di maggio. Finché … le mani, e i loro esili pugni, premendo sul petto, laddove respirano i miei sentimenti, non faranno riempire d’ amore le stanze più riposte del cuore e il calore elargito dalle ali di un Angelo non farà ritornare, ancora una volta, la primavera, dopo l’ ultimo inverno. Se non ricordi cos’ è la felicità pensa a una bufera, poi a una brezza, a un singhiozzo, poi a un sorriso, a una foglia che appassisce, poi a un ramo che fiorisce. Pensa alla seta che rammenda, quella falla, o a una mano che accarezza, i tuoi capelli … è leggera forse più d’ una farfalla. E’ neve che si scioglie nelle mani, per diventare fontana d’ acqua fresca, quando intrisa d’ amore .. la sua bocca s’ incolla, nella mia. Ma presto la sua anima, evapora, s’ allontana … raggiunge quelle nuvole e come goccia di rugiada la ritrovo, pellegrina, in petali di rosa e in ali, di farfalla. Non potevo sapere che sarebbe piovuto, invece pioveva, e per non bagnare i capelli, e per non prendere il tram, misi in testa un cappello: “Ma la pioggia rimbalzando tra la calotta e la tesa, andava a finire proprio sopra i legacci delle mie scarpe”. Fu allora che la vidi passare, affacciata in quel tram, fu in quel momento che ripresi a tremare come quando con passione l’ amavo. Ecco allora che pensai che potevo riamarla, come quando, l’ amavo ! Ma diventavano sghembi i pensieri che infiammavano tutti i miei desideri: “E la pioggia che prima era lenta cadeva, ancora, sulle tomaie delle mie scarpe, diventando sempre più tesa”. Così assieme al disagio aumentava, il rimpianto. Vedrò passare il mio silenzio Quando si arrampicherà fino all’ ultimo mattone, quando raccoglierà il tepore del sole, e si farà ammaliare dall’ armonia del vento: come un ramarro, vedrò passare il mio silenzio, sopra un muro di assenzio e di terra inaridita. Ma gli basterà la voce, di un canto melodioso, per pronunciare, ancora, tenere parole d’ amore. Effimero pianto Quando la grandine cadrà pesante, nei freddi rami del biancospino, la pozzanghera diventerà di ghiaccio, e la libellula che ieri splendeva d’ azzurro giacerà ricoperta, da uno strato di sudicio fango: “Neanche il sole che riscalda l’ultima brina, la potrà salvare, e il freddo pungente della mattina forse, domani, metterà fine alla sua breve vita”. Ma io che aspetto il sereno, io che mi commuovo per ogni cosa spero che viva, e che il gelo sotterri non lei, ma i nostri dissidi, per non restare di sasso alle sue lacrime, quando mi accorgerò che le sue afflizioni durano il lasso di un breve spazio, e di quanto sia incerto il suo effimero pianto. Bassa marea Né il tramonto del sole, né il rumore del mare, niente e nessuno sapeva come fare per mitigare, la mia malinconia: “Intanto lei si allontanava lasciando intravedere solamente un puntino nella spiaggia”. Solo la luna … sapeva cosa fare ritirando le onde più lontane, per non cancellare i suoi passi dalla sabbia. Così fu bassa marea … e io trattenendo il mio respiro, e sopprimendo anche il mio ego, mi misi a inseguirla. Acqua pura E’ acqua pura che sgorga dal profondo, che disseta, che rinfresca, quella lacrima increspata che risale dal suo cuore, se è sospinta da una brezza che si attenua, quando arriva, nelle ciglia. Ricordati del cielo Se percorri solo lande troppo brulle e colline desolate di ginepri rinsecchiti, ed il cielo ti è scappato dalle mani … guarda, guarda verso il mare, vedrai le onde avvicinarsi alla Terrazza, e la luna galleggiare. Sali in barca, porta i remi dove pensi, che hai lasciato le tue reti, ricordati del cielo, torna a casa con le stelle … nella stiva. Dolci tentazioni Quando la chiamo e impercettibilmente, lei, risponde al saluto, quando bisbiglia qualcosa che assomiglia, a un lieve sospiro, ecco … che sento nell’ anima un caldissimo vento! E se proferisce parole … mille note di cento violini che hanno corde di panna, di fragole, di crema e cannella, mi entrano in testa … confondendo il sapore, e la mente. Sono squisiti profumi quelli che sparge nell’aria, dolci tentazioni le prelibatezze che emana e che mandano in estasi, tutti i miei sensi. Ma è il suo incantevole riso che più, di ogni cosa … rischiara la notte e dipinge di rosa, ogni ora del giorno! Sulla mia giacca I ciclamini stanno appassendo lungo il sentiero che porta, alla vetta, e già ci sentiamo più tristi e più soli, io e quel bruco che si è accovacciato, sulla mia spalla. E se il suo viaggio è soave sulla mia giacca, io voglio, invece, lasciare la strada più comoda, abbandonare l’ inerzia, e risalire, lungo tutto il pendio per arrivare fino all’ultima pietra, della montagna, e là riposare sdraiato (sulla mia giacca), per guardare le nubi giocare con l’ aria, e osservare quel bruco diventare, farfalla. Angeli Per evitare che il primo acquazzone di fine estate disperdesse le tracce della sua bellezza, gli Angeli si disposero in stormi allineati, e si bagnarono le ali coi riflessi dei suoi occhi disegnando, nelle volte meno accese, archi colorati … equidistanti, e luminosi. Lo capii quando sollevai lo sguardo e vidi due arcobaleni tendersi verso il cielo, mentre Lei apriva le sue palpebre, formando una perfetta ellisse fra Terra, e Paradiso. Più lontane sembravano le nuvole quando un gabbiano planò sul dorso della mano, strappandomi una briciola di pane, mentre da questo Porto guardavo, il pingue mare grigio, e il piglio astioso delle onde. In realtà speravo che il suo becco cercasse le mie dita per spingermi a volare: “Strano perché sapevo di non esser fatto, per viaggiare, neanche per volare”. Anzi sapevo che il suo sguardo lo potevo contemplare soltanto, da lontano, in direzione della luce di quel Faro, osservando l’orizzonte, seduto in questo Molo. Ma quando lei arrivò la guardai negli occhi e vidi il cielo e il mare, schiarirsi dentro la mia anima. Dopo di allora più non mi importò di non saper, volare.
Storie Storie complicate che compongo, e poi scompongo, prima che la notte mi seduca costringendomi, all’ insonnia: storie da dimenticare. Poi smetto di fumare, mi svesto del mio corpo, e penso a storie più normali, che mi facciano stare con chi voglio, fare quello che mi pare e che mi facciano volare: storie da raccontare alla mia anima. Solo allora mi addormento, e sogno … storie che sembrano reali. Per sfuggire ai miei tormenti ed ai mostri degli abissi ho provato a veleggiare dentro al guscio di una noce … Ma arrivato in alto mare, con gli spruzzi delle onde, son finito nelle fauci di uno squalo. E quel pesce con la testa da chimera, conficcando le sue zanne sul naviglio … ha spezzato la sua chiglia, e affondato la carena. Per fortuna sono uscito dalla crepa di una vela, e galleggiando sul gheriglio … navigando sottovento, son tornato verso lidi più tranquilli. I rametti dell’ edera Dalle piante del mio giardino i rametti dell’ edera si arrampicarono oltre le nuvole, per ascoltare le melodie e le arie del cielo … E lei che cercava salendo, mille scalini di sassi appuntiti ? Là era salita per toccare le stelle, dove anche altri tornarono, indietro … Sì quel giorno, successe all’ inverso, molte stelle, che fremevano in cielo, scesero a terra … Ora il cielo ha stelle meno stelle, ma solo una siepe di rametti di edera, oltre le nuvole, mi separa dall’ universo! Certi accenti Com’ è brutta la tormenta che nasconde il suo sorriso, come’ è brutto il temporale che confonde la sua voce. Anche il tempo, quando indugia nel suo umore, con le ombre della luna, lo detesto più del buio. Ma poi vedo il suo sguardo rinfrancarsi, la sua bocca, dolce petalo vermiglio, dipanarsi in un sorriso, come un fiocco di nevischio in un ramo, a primavera, ed allora mi ravvedo. Non il vento, non il chiasso, non il sale che si mescola al suo pianto può cambiare, ne son certo, certi accenti stampigliati, nei miei carmi, con inchiostro profumato, di verbena. Figure di sabbia E mentre il vento addensava nuvole bianche che andavano, a Est, nell’ aria sentivo un rumore, un soave rumore di Viole dentro il mio cuore. Poi lei arrivò, mi prese la mano, e io la seguii in spazi infiniti, dove le ore si trasformavano in sogni, e le farfalle in fiori che non appassivano. Ma in fretta i sogni svanirono: lei con le nuvole, riprese il suo viaggio, e io ritornai a disegnare figure di sabbia, con le ombre delle mie mani. Parlava alla terra Parlava alla terra come un dottissimo Maestro, le parlava di stagioni e di fatiche, di quando camminando sui solchi, degli aratri, carpiva le intenzioni dei venti e delle nuvole. Le parlava di raccolti, di cornacchie, e di pannocchie divorate. Mentre piegando la schiena sulla vanga, il tempo ed il sudore evaporava, in pensieri e in giorni, ormai dimenticati. Solo nelle ombre della luna riscrivendo, le sue storie sui tralci delle viti (storie di autunni, di feste e di bevute), ancora ricordava di domeniche passate, con gli amici, a parlare di ragazze, da sposare. Gli echi dei monti Quando trasportano i canti dei merli, gli sbuffi dell’ acqua sui sassi, nei fiumi, i delicati bisbigli dei fiori, nei caprifogli, dicono gli echi dei monti … che sono belle le voci dei boschi. A me, che ascolto, il respiro dell’ anima, ora che è arrivata l’ estate, e l’ autunno è ancora lontano, invece, mancano tanto i soffi dei venti, perché non sento più lo stormir delle fronde, nei pioppi, o il lieve rumore delle foglie, quando cadono a terra, dopo un viaggio nell’ aria. Stanotte voglio nutrirmi di vento e di nubi, come fanno quegli alberi altissimi che attendono il vento, per far danzare le foglie. Stanotte voglio farmi sorprendere da un temporale per cercare riparo nei rami più bassi, ma senza avere paura dei fulmini. Sì voglio il vento per spazzare le nubi, una luce soffusa di luna, e una pioggia leggera, di rugiada argentata per avvicinare la mia anima, al cielo. Quindi aspettare il mattino appoggiando la testa sotto il Suo mento, in un manto di stelle. Chissà a che pensiamo Viviamo, respiriamo, amiamo e poi piangiamo, ricordiamo e poi dimentichiamo: “Chissà a che pensiamo”. Siamo nuvole che si dissolvono, eppure quel cuore rosso sospeso in aria, sembra un quadro, attaccato a una parete, con un chiodo immenso, e forte. Forse son le sue ciglia che lievissimamente si muovono come tife trasportate dal vento, che fanno tempesta, nella mia testa. Oppure è l’ incoerenza delle mie percezioni, quando scambio il lillà delle malve col rosso vermiglio delle sue labbra, che procura una tal confusione, quasi fosse uno sgomento simile a un moto che fa battere il cuore. Sotto il cielo dei presagi Al venire della Notte in sentieri polverosi, io, mi faccio pietra dura, sotto il fango dei miei passi. Meno pura è anche l’ acqua della luna, e i pensieri che hanno preso il sapore della terra, son più amari, nel groviglio della mente: ma passeggiando dove brillano le stelle, ogni giorno, io, ti amo sotto il cielo dei presagi. Corre il vento sopra i suoi occhi attraversando le ciglia. Trancia le nubi fino a ridurle in milioni di bolle, frastagliate sul bordo: bolle su bolle, bolle di vapore, che sembrano vuote, ma che formano mari, che aprono solchi, dividendo le onde, di fronte al suo sguardo. Ma è una traccia lasciata nell’ aria, (lasciata da un’ orma uguale al suo passo) che segna una scia fino alla luce di un faro, che non appare lontano. La luce della luna sarebbe rimasta accesa almeno fino all’alba, se dopo mezzanotte l’ ombra di una nube, che s’ avvicinava cheta, cheta, nei dintorni del balcone, (lasciai la finestra aperta, per parlare con le stelle) non fosse caduta in mezzo, alla mia insonnia, e a un bel sogno che iniziava. Riempitemi quel secchio Riempitemi quel secchio, riempitelo fino all’orlo, fino all’ orlo, ma senza farlo traboccare. E se vedrete il riflesso del suo volto, e del mio volto, occupare ogni spazio del suo bordo, tirate, tirate, un sasso in direzione del suo centro, affinché un vortice mi inghiotta: “Che assieme alle grazie del suo viso sia costretto, per vigore dell’amore, a inabissarmi dentro i cerchi della luna”. Poi riversate il contenuto nel rizoma, nel rizoma, di una Rosa, così l’acqua sì corrotta diventi linfa, di quel fiore. Mia gattina E lascia che accarezzi sotto il mento la tua bella e graziosa testolina. Che paura, o gattina, che sgomento quando, con un gran balzo, una mattina hai saltato, da sopra, il davanzale. L’ altro ieri io ti ho vista in controluce sospinta dal tuo istinto un po’ triviale, appoggiata a una luna che seduce. Ti ho vista in quel muro, lo rammento, trasgredire ogni regola morale, cercando le avventure, là nel vento. Ma ora che sei tornata dolce micia, fai le fusa, che io sfiori le vibrisse dei tuoi baffi, e ti tenga tra le braccia. Ogni volta che guardi così intensamente nel lontano orizzonte, io mi perdo in quel mare in burrasca, le onde rapiscono la prua della mia antica barca, e quando le vele smarrite si riaprono al vento, il porto non s’ apre alla chiglia. Ma io non voglio tornare, né bramo, né soldi, né gloria. Niente vale la vista di quell’ orizzonte: “Quell’ orizzonte così uguale al tuo sguardo, così luminoso e profondo”.
Ci mise meno di un istante una favilla luccicante e profumata, di un buon profumo d’ acero, a dilapidare la sua luce, dopo che uscì dal buco del comignolo, per inseguire il vento: “Fu il tempo che ci mise, la fine di un bacio interminabile, a dissipare la mia infelicità e il tempo che impiegò a riscaldarmi, il cuore”. Tu sei nata questa sera Tu non sei nata una mattina da una goccia di rugiada scivolata nel bocciolo, d’ una rosa. Tu sei nata questa sera da una fonte d’ acqua fresca. Tu sei nata in questi versi dalla penna di un poeta, e dalla sete trasformata in un pensiero. Tu sei nata dal sapore che ha bagnato la mia bocca. Tu sei nata dal mio amore!
In mezzo alla laguna Quando sospesa fra il tramonto e il cielo volle illuminare le luci smorte della sera, la Luna, si sedette sulle onde; diffondendo sorrisi che illuminavano, di bianco, e che quando si allungavano sui giunchi e sui falaschi, parevano Odalische, che in mezzo alla laguna danzavano, ancheggiando. Inseguendo il vento che spostava i suoi capelli e disegnava graziosissimi arabeschi nel suo volto arrivai fino a quell’ angolo di strada e per non perderla per sempre girando e rigirando intorno alla sua vita la strinsi nei miei fianchi in un girotondo senza fine. Mi sentivo tanto triste Nella testa non riuscivo ad accendere la luce, solo il buio delle stelle, niente insegne nei negozi, niente circhi, niente clown, niente artisti nelle strade, niente luci lungo i viali, niente fuochi d’ artificio, e la luna, come acqua che si spezza, ogni volta frantumava la sua luce nel cemento, se la gente arrivava al Luna Park nella piazza, qua in paese. Per questo mi sentivo, mi sentivo tanto triste … poi ho provato ad avvitar le lampade, nel cielo, qualcuna ha funzionato e si è accesa, ma nessuna nella testa. Ora la gente mi tratta come un pazzo e mi sento un po' incompreso, disarmato, e un po' svitato, ma in fondo ciò non mi dispiace. E quando nel meriggio La vedete quella quercia nei pressi, degli anemoni? E’ dove scorre il sangue del suo tronco che vorrei stare, per vestire di corteccia la mia anima. Vicino alle sue radici, dovreste andare, per non cercare in luoghi sconosciuti e misteriosi! E quando nel meriggio dovessi uscire dagli orli delle foglie, per cercare l’ alba, là dove si risveglia il giorno, il mio respiro lo ritrovereste in un lembo di cielo, volando con lievi ali di farfalla: “Per ridiscendere la sera, nei pressi degli anemoni, sotto forma d’ inesauribili gocce di vapore”. La tua immagine Prima di imparare a disegnare, la tua immagine la pensavo nelle tele della mente, e ogni cosa la prendevo dai miei sogni: il tuo volto dalla luna, i tuoi occhi dalle stelle, le tue guance dai lillà, la tua bocca da una rosa. Poi come un’ allodola, in un prato, sei arrivata e ho imparato a raccontare con la voce temperata, di una brezza. Ora il mare, l’ acqua fresca, le cascate le dipingo tratteggiando, la tua anima. Ora il cielo, le sue stelle e la sua luna, le pitturo con la luce del tuo sguardo ed il fiore e il suo sapore, miscelato da buon miele, lo disegno, accarezzando la tua pelle. Il cielo senza nuvole Il cielo senza nuvole, il sole caldo d’ una primavera accelerata, e sul tavolo una cartina bianca, ed un pensiero che si stava componendo: “Di attimi che non volevo lasciare, di attimi, che dovevo, annotare di attimi che infine scrissi, col carbone d’ un cerino, per non perderli, in spirali di fumo e di catrame”. Con le parole che resistono alle insidie del tempo, con le parole che resistono al vento, quando anche le pietre si ribellano al loro antico silenzio. Con quelle stesse parole che tu chiami d’ amore, vorrei incollarmi (come quel muschio a quella roccia), alle tue labbra, e assaporare i tuoi baci, momento dopo momento.
Da quel fiume Ecco da quel fiume che scorre, in balia delle onde, da quel fiume che straripa e trabocca, dove il limo trasporta le parole del tempo ... vorrei farmi inondare. Da quel fiume che si eleva alle anse ben oltre l’ altezza dei fianchi, vorrei farmi attraversare, prima che arrivi alla foce … per riempire di parole questa bocca, inaridita dal vento. E l’ultima stella della notte dispose per lei che l’ aurora dovesse mostrare, che dove risiedono i sogni esiste ancora l’amore. Fu per questa ragione che gli aironi dispiegando le ali, scortarono i sogni verso orizzonte per radunarli davanti, ai suoi occhi: “Ma lui volle fare ancora di più, volle farle capire, quanto era vero il suo amore, anche quando le parole non lasciavano traccia o non parevano sue”. Il mondo che frana e i miei passi sepolti sotto il terreno … ma i denti del tempo non sono riusciti a saziarsi: di orme, dolenti, pesanti, celate, da foglie appassite, da putridi rami e dal fango … così le speranze si son liberate e hanno ripreso a cercare. Ora vagano in alto, come un eco lontano, e assai bene nascoste nell’ aria: potessi volare, salir sulla luna, rovistare, nelle stanze del cielo, e poi ritrovarle senza più, abbandonarle. A che serve ascoltare scrutare, aspettare, sognare e guardare lontano: se non c’è un porto, se non c’è il mare, né un’ onda veloce che a me la riporta. A che serve quel cielo, così sfavillante, in quell’orizzonte e in quell’ alba, se solo una piccola parte, del giorno, è per me luminosa, se nelle mie braccia, del vento, soltanto una piccola brezza a me resta. Non ti faccio vedere le nuvole muoversi, non ti faccio annusare i profumi dei fiori, non ti faccio ascoltare le onde del mare. Per queste cose io sento il mio cruccio, e di ciò mi dispiaccio. Eppure non taccio … anzi stasera proverò a sussurrare altri versi per te. Forse ti faranno sentire il mio cuore che batte … come una brezza che passa. Si sbriciola il dolore, si allenta la stretta nella gola: questo succede, questo … respiro, quando tu premi le tue labbra nelle mie. Così profuma una rosa, così si forma l’ universo dentro me, quando respiro il calore delle stelle. Potesse il tuo sole più grande di un cielo fare entrare una luce, nel mio piccolo cielo. Potesse un colpo scoccato, da un dardo dell’ arcobaleno, squarciare la luce per riscrivere, inseguendo le nubi, il tuo nome nel mio cielo scuro. Potesse la sua freccia appuntita squarciare ogni nube per dare respiro al mio petto ansimante. Il mio pianto commosso sarebbe non meno copioso di una pioggia autunnale. Vorrei che una barca mi portasse in giro per il mare, ma arrivato accanto all’ orizzonte, vorrei si sollevasse sulle onde fino all’ altezza delle nuvole. Là nel cielo, nei concerti della notte, dove si ascoltano le note della luna, dove si canta con la musica del vento, vorrei veleggiare per cercare le parole più belle delle stelle, e donarle a te. Sei arrivata quando non avevo che pochissime parole, poi guardandoti sorridere, il tuo sorriso è diventato, una parola. Così guardando anche i tuoi occhi, e il tuo profilo, le parole sono diventate molte, e tu sei diventata una poesia. Invano il velo di ghiaccio si scioglierà, se ogni goccia riscaldata dal sole non arriverà nelle vene del cuore, se i cristalli cadendo, dai rami, sopra i fili dell’ erba, non faranno sentire un leggero rumore di stelle. In fretta chiusi i miei occhi sperando che quel bagliore non si disperdesse, dietro quelle nuvole grigie. Ma al posto del sole, solo piccoli frammenti di luce riuscirono ad entrare, dentro il mio sguardo. Come i pezzetti del cuore di carta, che per gioco lasciasti cadere dalle tue mani, e che io raccolsi da terra per non farli volare. Ascoltami cammina prima che l’ acqua cancelli la traccia dei tuoi passi, nella scia della risacca! E’ solo un attimo quello che il tempo ti concede, ma può bastare, perché le tue orme non diventino conchiglie d’ una voce troppo flebile, che si perde tra la sabbia, in riva al mare. Poi fermati! Se in quell’ istante, le mie braccia diverranno onde più veloce io potrò raggiungerti e più forza avranno le mie braccia per riabbracciarti! Una giornata di lavoro dedicata al censimento dei cervi attraverso i bramiti dei maschi adulti in amore: spettacolo emozionante e unico, vissuto, nell’Oasi del WWF di Monte Arcosu (provincia di Cagliari), all’ interno della foresta di macchia mediterranea forse più vasta d’ Europa. Come il tuono Come il tuono dopo il turbine di luce … irrequieti attendevamo il suo frastuono … ma il suo passo cadenzato ancor esitava: “Che d’ attesa e di trepidazione correva il sangue, più agitato, innanzi che si mostrasse la sua groppa prorompente e il suo corno prepotente, s’ innalzasse oltre la siepe”. Eppur ogni cosa si fondeva nei giochi d’ ombra della sera, in quel tramonto dai bei colori d’ ambra, già prima che si vestisse di scuro la foresta. Poi in fretta la notte sopraggiunse per posarsi, fino all’ alba, nelle odorose fronde, dei mirti e dei lentischi … là sotto la lecceta; e il vento che indugiava nella fronte di belle Damigelle, con le chiome uguali a corone di ghirlande, se il profumo d’ elicriso ne spargeva il dolce aroma, lentamente s’ arrestò: “Improvviso il suo bramito, sigillo d’ una antica dinastia, squarciò il cielo, che tremarono le stelle”. In principio solo uno, poi un altro e altri ancora … si estesero quei suoni, in diverse direzioni. Finché vinta dall’ ardore di quella sublime esaltazione la voce d’ ogni cervo vincitore si placò, risucchiata dal morire delle ore: “Quando la luna, che illuminava il mio animo inquieto e i silenzi stupefatti delle donne, si nascose nelle ombre scalpellate dalle pietre dei graniti”. Ho il cielo sopra me, a giugno le stelle son più grandi, ho i suoi occhi accesi nel mio sguardo, e la sua fronte è trasformata, dalla luna in ritagli, di farfalle. Per dire di Lei Non basta all’ eco del vento la sua voce possente, per raccontare dei suoi occhi grandi. Non basta neppure accordare mille note di Viola al canto dei fiori. Eppure basta osservare, soltanto, un istante il suo sguardo dolcissimo, e vedere due macchie di papavero nero, dentro a un tappeto di candidi gigli, per dire di Lei … cose che l’ eco del vento non sa, raccontare. Come un passero frugo ancora tra i ricordi per cercare piccole briciole di te. A ogni sorriso A ogni sorriso si scioglie la neve, a ogni tua smorfia, se muovi le palpebre riverbera l’anima. Dalla tua bocca se muovi le labbra sboccia una rosa, dalle tue guance raccogli rugiada che può dissetare, e disseccare nel sale il tuo pianto. Ma a ogni tua lacrima che evapora in cielo, gli angeli a schiere scendono a riprendersi sembianze terrene. E il tuo cuore diventa una cella dove io sono tuo prigioniero. Tutto quello che appartiene a te tutto quello che c’è in te, ha qualcosa di Divino, qualcosa che va oltre l’ Infinito: Anche quando il petto non trattiene più il mio fiato, anche quando il cuore non trattiene più il mio sangue, anche quando tu mi spezzi in due; sento in me, qualcosa di straordinario, qualcosa che appartiene al Cielo. Quando ti scriverò una poesia senza metafore e senza paradigmi, quando non ti parlerò più di cieli, di stelle, di lune, di Universi e di essenze infiorescenti: Forse allora tu mi capirai! Quando con parole semplici e spontanee, riuscirò a scrivere una poesia, senza che tu senta l’ odore acre della carta e dell’ inchiostro scolorito dei miei versi: Forse il poco diventerà un sapore più grande dell’ Infinito, magma, e io finalmente riuscirò ad accarezzare la tua mano! Luce Quanto più amara sarebbe ogni mia notte, senza il suo buio. Per questo le sono riconoscente. A lei chiedo non le stelle, non la luna, non i sogni, ma solo il buio che genera luce.
Come calice il suo vino Forse tu non sai come ti amo, io ti amo per amore, ti amo senza spiegare niente alla ragione, ti amo come il cielo le sue stelle, come la luna la marea, come il profumo la sua rosa, come il calice il suo vino e l’ ebbrezza le sue feste. Sì io ti amo così, senza altre parole, senza nessuna adulazione. E se dentro la mia testa si espande l’universo è perché nella corteccia si è insinuata la pazzia, la più strana di ogni malattia. Si è per questo che ti amo alla follia. Cosa sarebbe il cielo senza una nube senza la pioggia i fiori sarebbero pallidi e tristi e il vento senza una nube non potrebbe viaggiare. Come i miei incubi diverrebbero sogni senza provare un po’ di paura, cosa sarebbe il mio cuore senza il dolore, con chi potrei condividere ogni amarezza, con chi potrei parlare per vincere la mia tristezza. Il mio cuore sarebbe più solo e la mia malinconia resterebbe un fiore arido e secco. Nelle tue mani è racchiusa la somma di ciò che ti resta, di ciò che ti sfugge. Quando scappano dalle tue dita le cose più belle, come è crudele il destino. Come è triste anche l’ onda quando il vento non sferza più il mare, come è piatta la vita, e anche il mare. Quando chiudi i tuoi palmi non vuoi farle scappare quelle cose speciali, ma a volte solo lacrime amare, intrise di sale, ti restano in mano. Apri la porta Apri la porta a chi ti bussa nel sonno, non aver paura di un sogno, lascia entrare quel caldissimo soffio: Vedrai le forme di un bellissimo Angelo dal viso dolcissimo, che si sdraierà nel letto accanto a te, e tu finalmente la potrai abbracciare, sopra lenzuola di candida seta; anche le sue ali si apriranno, ti stringeranno forte e il suo orgoglio si piegherà al tuo amore e alla tua passione. Poi chiudi la porta e non farla più uscire, fai che quella visione non resti soltanto una fugace illusione.
Per dimenticarla vado errando in ogni dove, poi mi fermo fino ai margini del nulla. Ma il suo sguardo mi tormenta anche dove, ogni cosa non esiste: Si rivela nel languore che produce nel mio cuore. Ogni vuoto in quel posto ha la forma profonda dei suoi occhi: E’ qualcosa d’ immortale, qualcosa che il tempo non attenua, e apre squarci d’ infinito anche dove la materia non esiste. Come sono lontane quelle stelle sembra che brillino di meno, e anche il sole si è nascosto, in un angolo del cielo: Oggi ogni cosa mi appare, e poi mi sfugge. Solo la luna con la sua pallida faccia, e i suoi occhi tristi, sembra che mi dica, aspetto te, sembra che mi dica, penso a te, ma non è vero. Ah come vorrei salire su una nuvola, per andare fra le braccia della Luna e lì morire. Ti ho trovata ma solo nei miei sogni, per troppo tempo ti ho tenuta, dentro me perché sei così bella, incredibilmente bella. Ma ora svegliami e poi scappa ti devi liberare dei miei incubi, e della mia follia. Sei il sogno di una vita, ma tu sei troppo bella, incredibilmente bella per restare prigioniera, nei miei sogni. Ma chi ascolta ogni mio spasmo forse il tempo che col vento spoglia un albero in autunno e nasconde le sue pene nelle pieghe della scorza. Nella superficie delle cose si riflette l’ amarezza, ma nel cuore si nasconde più profonda. E indelebili parole (di dolore) vanno a spasso nelle righe di un quaderno dentro a un guscio di castagna: Ma è farina che si sbriciola da sola, se chi sente non le ascolta.
Per Te Verrà un tempo, un tempo Buono, dove l’ asprigno gusto del dolore cesserà; l’ amarena si trasformerà in ciliegio e sopra ogni suo ramo il Cielo poserà il suo sguardo. Allora i sogni e le speranze, diverranno stelle, e il tuo Cuore indomito si riempirà di Luce. Scusami ti prego Le mie parole e le mie frasi spesso non sono molto accorte. Forse sono distratte e inafferrabili, ma sono prive di sostanza, vanno e vengono. Hanno la forma di una nuvola, ma non fanno che un rigagnolo, o qualche lacrima, che un torrente non fa a tempo a trasportare al mare. Basta un po’ di sole e il vento dopo un po’ le porta direttamente, al cielo, e là si perdono. Ho sfidato il fuoco più grande e ho spento le fiamme più alte, per entrare dentro il tuo inferno: Volevo capire la tua sofferenza. Ora non riesco a soffocare le fiamme che ho dentro di me, perché più le avvicino, più brucia il mio cuore e ancora di più, arde il mio amore, per te. Foglie secche si staccano da un Melograno, volano in mezzo alle nuvole e come piccole vele cercano approdo, negli angoli cielo. Ma i flussi del tempo le riportano a terra e le disperdono, quando il vento diventa più forte. In questo autunno, dove tutto si stacca dal mio fragile essere, dove ogni cosa diventa malinconica e pallida anche lei si divincola dalle mie braccia: Mentre le dita mi scivolano dalla sua mano, come granelli di sabbia, e io non riesco a fermarla per dirle, ti amo! Più volte ho supplicato la pioggia di spegnere le fiamme e le stelle, per rendermi cieco e non vedere niente; Ma la Sua Luce ogni volta ha riacceso i miei occhi. Più volte ho chiesto alla luna di calarmi in un pozzo, nelle concavità del buio, per non vedere nessuno; Ma il Suo Calore ha seccato anche il fango più denso e la fune di un Argano ogni volta, mi ha riportato in mezzo alla gente: E’ inutile il mio arrabattarmi. La Sua Luce ogni volta riesce ad entrare nei luoghi più oscuri della mia anima e mi fa prigioniero. E io ogni volta devo ricominciare, daccapo per non impazzire; Ma forse sono io che non voglio guarire. Cadono grevi gli aghi dei pini in autunno. E quelle foglie che trafiggono l’ Onesta terra non sono staccate dal vento, ma dalla sua Ira: Questa volta le canne dell’ Organo non cantano una sua melodia: Solo tetri lamenti provenienti da un cavo pantano, e note ossessive che scendono nella mia Carne, riesco ancora a sentire. Nella mia solitudine li avverto sempre più cupi quei suoni, opprimenti, che diffondono Tristezza e Dolore nella mia anima: Quando ascolto la magnificenza del suo Silenzio. La sigaretta fa male Ma metti che una sera ti prenda una vaga tristezza, quella cosa che io chiamo malinconia. Come faresti se non ci fosse il suo profumo a darti sollievo, se non ci fosse uno strato, di catrame indurito dentro il tuo petto a far scivolare l’amarezza per un amico che ti ha abbandonato o la sofferenza per una donna che ti ha appena lasciato. Solo una nuvola grigia che prende, le forme delle ali di un angelo e un bicchiere di Vodka che ti brucia la gola, possono far compagnia alla tua nostalgia, mentre sorseggi i rimpianti e le tue delusioni e immergi le labbra nella sua bocca sensuale con il bacio più avido e lungo che tu abbia mai dato. Ho messo le ali Ho messo le ali e ho provato a volare, nel cielo, vicino alle nuvole, ma la luna si è offesa abituata a ben altri usignoli, e anche le stelle si sono adirate e mi hanno detto di tornare da dove ero asceso. Ho oltraggiato parole, rime ed accenti che il sole ha bruciato, che il vento ha disperso nell’ oblio del silenzio, ma l’ ho fatto soltanto perché amo una donna. Il nocciola dei suoi occhi Il nocciola dei suoi occhi già si staglia nei riflessi dell’aurora, luce chiara che si allarga all’ orizzonte, e l’ essenza che si spande dal suo corpo spicca il volo nei miei sensi, sotto il cielo dell’estate. Poi lo sguardo, caldo pane profumato, nutre l’ anima affamata. Ma è il sorriso, che nasconde nella labbra, che mi sazia, perché parla quando tace ed illumina i miei sogni. E vedresti quanto, ti amo Troppo giustificata tua indignazione per capire che quelle leggerezze non le avevo fatte deliberatamente, troppo tardi, ribadirti che sbagliavo: Ma se tu credessi che … oggi ho abbandonato il mio sterile livore. Se tu credessi che per te offrirei al pubblico più vasto, anche la mia immagine, più fragile. Se tu credessi che per te mi spoglierei delle vesti più sfarzose ed eleganti, per indossare i tuoi tormenti, fino a ridurli in piccoli brandelli. Se tu credessi alle mie notti popolate dagli spettri. Se tu vedessi come soffro, forse, allora leggeresti quelle righe, e vedresti quanto, ti amo, e forse riusciresti a perdonarmi. Se facessi l’inventario Se facessi l’ inventario delle parole e degli errori che ti hanno procurato umiliazioni e disinganni, il mio risarcimento non equivarrebbe a un prezzo equo: Troppa la differenza tra il bene e il male, troppo iniqui i miei pensieri per non perdersi in piccoli frammenti , nel limo dove affondo, mentre cerco inutilmente nei sentieri della mente i ragionamenti più sensati ed avveduti. Improvvisi giunsero il vento e la tempesta nella distesa incastonata fra le braccia di un ruscello, poi l’ acqua riempì altri fiumi e tutta, nel fango, la sommerse. In quella piana tutto divenne grigio e malinconico, anche le nuvole scesero dal cielo, e la luna sconsolata pianse lacrime di gelo! No ancora il vento non si smorza, soffia più forte, l’ acqua corre sporca verso il mare, e nel mio sangue scorre sempre lo sgomento. Folletti smodati e irrequieti i miei demoni, mi inseguono, mi scherniscono e mi feriscono lacerando la mia anima, da quando la tempesta mi ha sorpreso. Sì io non sarò mai più lo stesso, e mai passerà il vento ed il furore per questo umiliato sentimento. Nonostante quella luna Anche in fondali profondi risplendono i suoi occhi, la sua pelle, raggiunta dalla schiuma delle onde, si veste dei colori della luna e il sale, che ricopre di sapore la sua bocca, trapassa le mie labbra. Poi come l’acqua, che si insinua negli scogli, la sua anima si fonde nella mia quando il suo corpo preme con dolcezza contro il mio. E la notte illuminata soltanto da una luce, nonostante tante stelle, nonostante quella luna, non riesce a dissipare le sue ore, accarezzata dal fremito del mare. (La felicità spesso non conduce alla felicità) Ti potrei ricolmare di ogni cosa fra le più belle, e perfino di più, tanto che dalla tua fronte mille effervescenti bollicine di felicità, ti salirebbero fin sopra la testa, diventando piccole stelle. Ma quando diverresti sazia di parole dolci e premurose allora per orgoglio, non sopporteresti, neanche la felicità e insultandomi e maledicendomi, ti metteresti a ironizzare per tutte quelle cose e per le mie sdolcinate sciocchezze. Solo per dirti che stanotte ti verrò a visitare, e nel sonno, come un subdolo ladro, ti verrò a derubare. Solo un sogno, però, cercherò di rubarti, un sogno, per poterti ogni notte, pensare. Ma sarà solo un istante, poi i sogni ed il tempo solo a te apparterranno e su di te veglieranno. A me basterà solo un momento di tenerezza, per continuare a sognarti. Prima di perdersi Come un eco che affida al vento le sue molteplici voci, prima di perdersi di ogni parola ogni singolo suono, tu mi parlavi, e mi dicevi, parole strane, da interpretare. Ma come fare! (Tu così bella e irraggiungibile): Se non sapevo se eri tu colei che supplicavo, se non sapevo ciò che tu desideravi! Così inseguendo una fiamma che continua a propagarsi, calpesto ancora rami bruciati e neri sopra la cenere dell’ erba secca. E per non scordare l’ odore acre di quelle foglie che un tempo erano parole dolci, per espiare tutto il male che ti ho cagionato, ora cammino, a piedi scalzi, sopra quei sassi aguzzi e roventi.
Bella ma triste Si perdono le onde nella battigia, la luce è vinta da una luce più forte e alle sue spalle il mare inghiottito dalla vastità dei suoi occhi, scompare. Tutto scompare, tutto si ritrae, tutto è offuscato dalla sua innaturale bellezza. Solo i suoi pensieri esistono, ma non dicono né di pianto né di allegria, forse è per questo che lei sembra più triste, forse è per questo che lei è ancora più bella, quando si abbandona alla sua dolcissima malinconia. Dille che io l’ amo Quando, domani, le passerai davanti non voltarti, non scappare, fermati, dille che io l’ amo. Dille che io l’amo più dell’aria, che mi soffia nei polmoni, più del sangue che corre trafelato, verso il cuore. Dille anche che sto male, ma che basterebbe solo un ciao, per guarire dal mio male. E non aver paura del suo sguardo, fissala negli occhi, dille che è più bella di quel mare che sprofonda nei suoi occhi, e se è vero che mi odia, dille ancora che io l’ amo. Diglielo tu per favore, oh mia poesia: I miei occhi non sostengono, il suo sguardo. Nel tripudio delle nuvole Continua a camminare in quei sentieri, ritroverai ruscelli e boschi conosciuti. Ma se acque trasparenti, e frutti succulenti, non basteranno a saziare la tua sete e la tua fame, né gli unguenti di quei luoghi a lenire la fatica, tu non stancarti. Inerpicati fino alle montagne e acchiappa il cielo con le mani. E nel tripudio delle nuvole, ascolta solo il vento, ritroverai te stessa e la tua anima Ah se quel corpo Ah se quel corpo di lacera carne, quel corpo che era di un uomo, quel corpo che ora ascolta il silenzio in una lurida stanza, dentro una giacca di lembi stracciati, quel corpo che più non riconosci, quel corpo che era di figlio, di uomo e di padre potesse risollevare le sue deboli membra, e legare coi lacci del suo misero cencio ogni osso corroso, della sua mano, per strofinarlo nel vetro appannato di quella gelida stanza. Forse il suo debole fiato, potrebbe bastare per sciogliere la coltre di ghiaccio che cela ogni egoismo, nelle crepe, dell’animo umano e la polvere riuscirebbe finalmente a levarsi. Allora potremmo vedere riflessa in quel viso scavato l’ essenza di ogni spirito inerme e la faccia più ottusa della nostra coscienza. Anima e vento Trasportato, dal vento come una piuma, sotto il cielo di una terra straniera, quando lui stesso era anima e vento, ora pigola, triste uccellino, in una gabbia di ferro il suo mesto lamento, dimenticato da un uomo che non sa più di essere, un suo fratello. Ora chissà quanto dovrà aspettare, che si trasformi in buon vento, quel vento, che le sue braccia si trasformino in ali, per solcare gli spazi liberi della sua terra. Ma un giorno ritornerà, volerà in alto, sopra il suo cielo, e canterà tutte le note delle sue melodie per farle discendere nell’arida polvere, e siano feconde. Poi il vento scemando, diventerà brezza, aprirà dei solchi in mezzo a un deserto, e con un solo respiro ne spargerà ogni buon seme. Angelo o Diavolo che tu sia, se fossi stata mia anche solo per un attimo, quel momento sarebbe stato eterno. Se fossi stata un Angelo, inseguendo il volo delle alzavole, avremmo superato le altezze delle nuvole, in cerca di avventure, per lasciare nei fetidi acquitrini i resti di tutti i nostri equivoci. Se fossi stata un Diavolo, io e te saremo sprofondati in mezzo agli acquitrini nel fango del peccato. E se fossi poi affogato, fra i profumi dei narcisi, e dei gladioli sarei morto soffocato, ma felice. Invece, in questo triste inverno, tu, mi hai mandato via. L’amore ha le ali di un colibrì Guarda il suo volo osserva le sue ali vibrare, vicino alle rose. Ascolta il suo piccolo cuore, sentirai che batte più in fretta delle sue magnifiche ali. Guarda il suo minuscolo becco, strappa uno stelo, in mezzo a spine appuntite, per regalarti un bocciolo: Chissà forse ti vuole mostrare che l’amore è grande, anche nelle piccole cose! Per ritrovar me stesso In quei giorni sempre uguali, incapace di trovare altro impulso alla mia pena, quel crogiolo, amalgamato alla mia inedia, pieno solo di un gran vuoto e senza luce. Nel pastone d’ acqua e pece, un pennello, una tela, e tenui tinte di acquarello, in un quadro mal dipinto, da un pittore senza ingegno. Solamente nelle stanze del mio cuore, trasportate dalle anfore del sangue, le emozioni a tinte forti, e le forme del suo corpo, per dipingere quel vuoto. Per parlare d’ amore Finché il dolore, dentro la gola, lacerava la voce, strappandola dal profondo del cuore, le mie parole languivano, sole, senza più tono, senza più meta, nella solitudine dell’anima. Poi si son liberate di quella prigione, si sono affidate alle ali per volare più vicino alle nuvole e quando si sono sospinte nella parte più azzurra del cielo, mi hanno raggiunto inseguendo la melodia dei poeti, e della loro poesia. Ora qualsiasi emozione, che arriva nel cuore diventa una voce e riempie, di luce, di stelle e d’ amore, ogni spazio nella solitudine dell’ anima. Come una sposa Hai lasciato che un albero ricolmo di foglie si vestisse di te. E ti ho vista in ogni sua fronda impreziosire i suoi rami, di gemme sensuali, di splendidi fiori, di frutti carnosi, di candidi petali. Ti ho vista, prima che ogni fiore diventasse suo frutto, prima che ogni petalo si sparpagliasse nel vento, prima che ogni foglia cadesse per terra, molto, prima che arrivasse l’autunno, a primavera. Poi il tuo sorriso si è aperto come una gemma, nel sole e le tue mani si sono ricoperte di fiori, come una sposa. In quel momento ho capito che nessun fiore, mai più, avrebbero avuto il dolce gusto di ogni tuo frutto, ma solo l’acre sapore della mia gelosia. Ho lasciato che il vento Ho lascito che il vento scardinasse il mio cuore per sentire la tua voce mutare il suo suono. Ho aperto ogni notte i cardini della mia porta per fare in modo che con altre parole il tuo monologo, trasformato in respiro, potesse diffondersi nella mia anima, come una musica. Ma un perfido gelo lo tramutava, in rancore, velando di nero, i vetri delle finestre, quando il vento lo trasportava dentro il mio cuore. E io ti amavo, e più ti amavo, tu invece mi odiavi, senza angustiarti, per quelle parole che mi bruciavano l’anima. Ora con il male che ho dentro … tu mi mandi all’ inferno, e il mio corpo si erode per troppo amore. Come in un sogno Come in un sogno, vestita di luce, e indossando il velo di un Angelo, si era messa, senza affondare, a danzare nell’ acqua, mentre il mio braccio sfiorava il palmo della sua mano perché, ancora, non mi abbandonasse. Ma le sue dita lunghe e sottili si allontanavano, dalla mia mano, senza lasciarmi alcuna speranza. Finché non la vidi salire, leggera, eterea e impalpabile in compagnia di una nuvola bianca. Allora capii che solo nei sogni, lei … mi apparteneva. E io, che mi disperavo, come una fiamma, ritornavo a bruciare. Vero amore è tenersi avvinghiati come le foglie dell’ edera che si avvitano intorno alla scorza di un albero per salire nei rami più forti, è non temere le piccole spine dei suoi rametti sottili. Eppure stretto al suo seno, io, tremo come una foglia, quando penso di averla ferita. Vero amore è impazzire d’ amore, guarire con la linfa che cola da quelle ferite e con la resina sporcarsi le mani perché neanche la sabbia scivoli via. Vero amore è superare le fronde più alte, senza avere vertigini, è osservare dal cielo un mare lontano, mentre gli sguardi si incrociano e le labbra si baciano senza saziare la bocca, senza staccare le braccia “onde del porto” che mai si allontanano. Continua la furia di questa pioggia rovinosa, che non si placa, che non finisce, che non si asciuga, che non si asciuga mai, neanche mischiandosi al vento e al fango del mio arido pianto. E io mi annichilisco se ripenso alle parole che alimentavano il dolore, ferendoti nel cuore già prima di colpirlo. Troppo ho cercato di capire ciò che non capivo, cadendo per questo nell’errore. E delle parole che vorrei dirti, nessuna è degna del perdono. Molte le ho spese invano, altre le ho sparse al vento, raccogliendo per questo solo tempesta. E ora che la notte sta per venire, ancora più crudele sento l’angoscia che mi opprime, perché la notte sarà più lunga del giorno che sta per finire, e mai cesserà se mai finirà questa mia interminabile afflizione. Mio perduto amore appoggia la guancia nella tua mano, reclina la testa verso orizzonte, dove si allontana il mare e allinea i tuoi occhi in direzione del faro, nel punto in cui, io son naufragato. Guarda laddove neanche la luna riesce a filtrare la luce, là si è arenato il mio fervore quando di sangue vermiglio le vene si son raggrumate: Basta un tuo sguardo per rimestare il sangue che si è rappreso, quando uno spasmo irrefrenabile ha attorcigliato ogni mia vena, come ogni ramo d’ un rosso corallo. Basta un tuo sguardo per ritrovare i rimasugli, della mia ispirazione, ormai dispersi in abissi profondi, come pezzi di acqua che tracimano in una brocca sopra una zattera, in preda alle rapide. Ti avverto Ti avverto nessuna indulgenza alla tua intransigenza e neppure al mio orgoglio. Dovesse la piega della tua mano cingere l’elsa d’ una spada tagliente, per brandirla in una contesa (l’ odio non ha pietà e non ha cedimenti), solo uno scudo per proteggermi il braccio, alzerei in mia difesa. Ne sono certo non riusciresti a tramutare il mio amore per te in rancore o in combattimento cruento. Il mio amore sarebbe uguale al tuo odio, intenso, impetuoso e senza nessun cedimento. La tua bellezza Nuvole, nuvole sempre le nuvole scendono basse a sottrarti ai miei occhi, e ogni volta il cielo muta le nuvole in radioso vapore disegnando il tuo sguardo con i colori argentati della sua mezzaluna. Il tuo essere, persino il tuo … ogni volta scappare, ritornano sempre a rifulgere nelle mie dissonanze, bagliori armoniosi che accordano il tempo e le sue asimmetrie. E io che non smetto mai di lodare la tua bellezza “stasi meravigliosa e muta” del mio spirito inerme, fisso dentro la mente, un’ immagine dolce nell’ultima luce di una candela, tra le ombre evanescenti della sua calda cera. Amore Amore che parola profonda risiede nel cuore. E’ una piccola goccia di fresca rugiada, l' amore, scivola dentro alla corolla di un fiore, si espande come onda che travolge ogni cosa, estingue la sete di mille farfalle senza chiedere niente, se non la lusinga di un battito d’ ali. L’ amore è una carezza che porgi a tua madre, assieme ai narcisi che le hai regalato. E’ una forte emozione l’ amore e ha la forma della piccola mano che chiudeva il tuo pugno intorno al suo dito perché tu volevi che restasse ancora a giocare con te. E’ una stretta d’ amore ancora più forte il ricordo di quella flebile mano che ti stringeva con forza per non lasciarlo andare da solo, tuo padre. Ora l’ amore è qualcosa che ti pulsa nel cuore e lo riconosci perché è uguale soltanto all’ amore. Come il mantice della fucina Nella vecchia officina dove fatica il mio cuore, le mie inquietudini e i miei sentimenti sono forgiati sopra l'incudine e l'aria insufflata dai tuoi sospiri soffia sul fuoco delle passioni come il mantice della fucina. Così a ogni percossa sopra l’ incudine, un pesante martello affonda ogni mia pena e cesella le forme della mia resistenza. Ma contro la forza di quegli strumenti a cosa vale o dolcissimo vento per la mia anima questa corazza se ciò che alimenta la mia tempra dura è sostanza piena della tua trascendenza ove l’ amore e la bellezza, invece che la vendetta, sono la ragione della tua stessa esistenza. Dietro il tuo sguardo Chi più del vento può ascoltare i sospiri della tua anima per consolarli, quando una brezza raccoglie i tuoi capelli di seta e ti scopre l' orecchio con una carezza. Chi più dell’ aurora può dare luce al tuo viso, quando un’ ombra si nasconde dietro il tuo sguardo. Chi più del mare può disporre alle onde di placare l’assedio dei tuoi tormenti, quando, insonne, aspetti la notte per vedere apparire una luna migliore. Chi più di me e di una poesia ti può confortare quando una lacrima scivola amara nella tua guancia. Quando il vento si alza dal mare le onde si placano, più tersi si mostrano gli occhi, la bocca si dischiude al sorriso, gli occhi si fanno calmi e più dolci. E il tuo volto in totale pienezza mi rivela un insieme di mille emozioni, tu che sei, molto più di ogni universo. In fondo al cuore In fondo al cuore una tormenta e un male orrendo, trasportato dal freddo intenso di questo inverno. Solo un giaciglio di arida paglia, ricoperto da foglie gialle, per alleviare ogni mia pena. Ma dentro l’ anima nessuna quiete, nessuna pace ai miei pensieri. Solo la voglia che la sua voce, quando la imploro, chieda al suo sdegno di riempire un bicchiere, con un veleno. Perché il suo orgoglio come un felino, faccia sfracello della mia coscienza. Intorno alla mia mente Disperavo oramai di rivederla ma scrutando per dieci miglia il mare, la vidi nella scia di un bel veliero che strambando prima a dritta e poi a mancina, navigava, senza ciurma, tra i vapori delle nubi e i riverberi del sole. Fu solo un attimo poi la vidi, andare, ancora, verso l’orizzonte, la vidi per una volta, sola, sopra le onde, finché svanì per sempre quando le palpebre, terrorizzate, si chiusero per non vedere, dove! Ma non furono né il mare o il veliero, la mia immaginazione o la sua esigua consistenza, che a poco a poco si esaurivano a far di lei bottino pieno. Era intorno alla mia mente che io percepivo la sua assenza, e l’ incommensurabile tormento del mio ego, laddove ogni giorno, fino a ieri, risplendeva la sua luce. Vorrei gridare al cielo Vorrei gridare al cielo quanto l’ amo ma non ho fiato sufficiente per portare le parole più in alto delle stelle, affinché più forte lei le senta. Così mi affido alle ali di un gabbiano per consegnarle al vento. Vorrei gridare al mare quanto l’ amo, ma il mare ha onde troppo alte, per attraversarlo. Così mi affido alla pinna di un delfino per condurre il mio urlo disperato in direzione dell’ orizzonte più lontano. Sono un’ isola i suoi occhi e lì vorrei fermarmi ma il suo sguardo è ormai troppo lontano, perché uno sciame di farfalle trasporti in quegli scogli le mie membra ormai spossate. Ora aspetterò impaziente che l’ Alba aprendo le sue palpebre propaghi la sua luce per guidare verso il mare la mia anima dolente. Il gattino e il ciclamino Stai attenta al tuo gattino, tienilo a freno, l’ho visto l’altro giorno (passeggiando per le vie della città) sbucare dalla nebbia, con la sua solita aria sorniona in cerca chissà forse di evasione, ma più probabilmente forse d’ un po’ di comprensione, mentre con la sigaretta in bocca (la solita marca) la camicia bianca e il panciotto (grigio fumo) assai inquieto calpestava addirittura i ciclamini. Ma forse non ha colpe (lo sai che ha pochi amici) oppure è innamorato, lui è come me (egocentrico, narcisista e megalomane) e per di più nervoso: Io che mi arrabatto a voler fare sensazione ad ogni costo, io che penso di essere il migliore, io che più passa il tempo e più non mi conosco. E’ una favola ma spero abbia un lieto fine (o almeno che restiamo amici) alle favole non si può mai smettere di crederci. Accenderò un fiammifero Accenderò un fiammifero, strofinandolo nel petto. Vedrai il mio cuore accendersi come una torcia di cera, e splendere i miei occhi di luce trasparente. Sarò luna, sole e fuoco, sarò l’ inverno più pungente, la primavera più abbagliante, e l’estate più rovente. Vedrai sciogliersi i ghiacciai, e incresparsi l’ onda di ogni fiume, ma tutta l’acqua di ogni mare, non riuscirà a spegnere il mio amore. Oggi ho visto sbocciare una rosa Anche se è così aggrovigliato il cespo che avvolge i suoi fiori non ho paura di cogliere le rose che adornano i suoi rami spinosi, non ho paura di ferirmi le mani recidendo i suoi steli. Ma oggi ho visto sbocciare una rosa più bella di altre, solo per lei ho paura di accarezzare il suo delicato bocciolo: Troppo ruvide son le mie mani, per non rovinare quei fragili petali, per non sciupare quel tenue colore. E se a lei non dichiaro il mio amore, è solo per il mio innato pudore. Se neanche il suo inebriante profumo, mi ripaga di una così dolente rinuncia. Profumi di Rosa Essenze di spezie respiro, nell’ aria, e mi imbevo di lei, quando si alzano in cielo i profumi di Rosa. Anche se il cancello è socchiuso, e la siepe è in penombra, io le respiro quelle piccole gocce di limpida acqua, inzuppate d’aromi, che mi sobbalzano addosso, quando la luna riflette il suo profilo nello scialle ricamato dalla brina mattutina. E io che mi asciugo nei suoi petali di seta, respirando quei profumi, mi sento più felice a ogni sospiro, mentre forte si fa il battito del cuore. Niente squarcia il silenzio della tua voce, nascosta tra le spine di un muro di rovi e io aggrovigliato a una rete di maglie sottili, sono incapace di trovare il coraggio di osare. Nessuna luce rischiara il mio cielo, confuso e perduto nel buio, di una finestra ormai quasi chiusa. E neanche quel sole asciuga il mio cuore, che fradicio d’ amore, fino all’ultima stilla, come onda del mare si sbriciola sopra gli scogli, bagnando i miei occhi. Dove il paesaggio si confonde con l’uomo … Sughera che abiti ogni giorno nel sole, solo di terra e di pioggia ti cibi, dando per poco, ogni cosa che hai. Tu regali l’incanto delle fronde spettinate dal vento, l’ombra ai viandanti, le ghiande agli armenti e a molti altri animali, poi offri nei rami contorti, ora fitti, ora larghi, riparo, anche, agli uccelli abitanti del cielo. E se il vento è più forte e ti sferza le foglie, la chioma… spingi ad Oriente, per ridare a chi riprende il cammino, una strada sicura. Sughera, linfa rubina, vestigia d’ altrui sofferenze e di conoscenza, dai tutto a ciascuno, perfino la tua pelle screpolata e rugosa, come quella avvizzita del vecchio pastore che austero attende i suoi buoi, laggiù, tra le querce. Solo tu mi hai fatto uscire dal buio, quando stanco e frustrato volevo andar via. Solo tu hai trasformato ogni parola in dolcezza, e ogni gesto in carezza, soffocando la rabbia che mi veniva da dentro. Solo tu ti sei abbandonata a tenerezze dolcissime, per vincere la mia malinconia. E quel bacio che ti è sfuggito di mano si è posato sopra il mio sguardo, riuscendo a calmare i flussi impetuosi della mia anima. “C'è una strada, che se la cerchi … trovi la bellezza dell’anima” Come sei bella Come sei bella, come hai dolce il sorriso, come sono belli i tuoi occhi, come son luminosi quegli specchi che riflettono i tuoi sentimenti dentro il mio sguardo, quando ti penso. E mentre con le mani, frugo nel muro d’ ombra, di un vicolo cieco, per cercare una luce, che mi faccia trovare una strada, sento la tua voce, che mi esorta a cercare la bellezza dell’anima. Riflessione sulla lettura di un brano del … Temporis partus masculus, di Francesco Bacone ... Indicibili sofismi Chissà perché per liberare i miei pensieri scrivo versi ridondanti di indicibili sofismi, e mi faccio catturare da passioni smisurate per futili e scontate frivolezze. Forse esagero con questo eccesso di parole che spinte da un vento favorevole mi fanno, viaggiare dentro ai sogni, fino ai margini del cielo. A me che pur non sono letterato né poeta piace aggiunger grazia e leggerezza alle cose che amo invero, intensamente, e se provo gusto a contemplar le cose belle ed attraenti non mi pare di commettere un esecrabile peccato. Se son schiavo del fascino delle parole, ma non son capace di indagare la natura, e i suoi dogmi, con dotte esposizioni, perdonate questa mia fastidiosa incompetenza! Le mie frasi anche quando sono un po’ arruffate, le scrivo con amore e per diletto: le riflessioni più colte e articolate sul pensiero e sul reale le lascio investigare a filosofi e scienziati.
Le foglie del tiglio Come sono romantiche le foglie del tiglio che spinte dal vento volano via, per inseguire il loro incerto destino, e cadono dentro a un giardino di nuvole. Anch’ io vorrei esser trasportato, come una di quelle foglie di tiglio, nel tuo giardino fiorito e riposarmi, sulle tue guance di petali rosa. Ma sarà inverno, mai arriverà la primavera, il freddo ti allontanerà inesorabilmente da me e io come un puntino resterò solo, in un orizzonte che non ha un continuo. Così di questa stagione a me resterà solo un dolce rimpianto, ma quando il vento si leverà, quella foglia di tiglio per sempre nel mio cuore si poserà, per rammentarmi di un dolce ricordo che mai svanirà. Il fiore più bello Il fiore più bello non ha petali, che profumano di essenze, neanche colori che a primavera accendono le luci di quei viali. Il fiore più bello non è una rosa, una viola o un ciclamino. Ma ha la forma della bocca, il profumo della pelle e il colore dei tuoi occhi. E il suo bocciolo, che sboccia dentro al cuore si nutre dalle radici della mia passione, e dal plasma del mio folle amore, in ogni stagione, senza mai sfiorire. Ho solo due alberi Non ho più vele per solcare i mari, non ho più terre da conquistare, non ho altre avventure da raccontare. Ho solo due alberi che reggono, un’ amaca per riposare, che mi fanno oscillare, più di una barca in mezzo al mare e che mi fanno toccare con una mano, terra fertile da occupare. E se ho voglia di raccontare, sopra le fronde … passeri curiosi, le mie lagnanze stanno ad ascoltare: Non ho più voglia di ripartire e poi, ancora, di ritornare. No dell’angoscia di perdermi, in acque profonde, ho paura quando chiudi le palpebre, e non riesco ad uscirne. Ma dello strazio per parole diseguali alla tua grazia, sì, mi tormento se intraprendo un viaggio intorno al tuo sguardo. Due mari nel mare Due occhi che guardano il mare, due mari, in un mare profondo, due isole sospese nell’aria, mentre l’ onda spruzza vapore di nuvole e sale per dare sapore, a ore un po’ scialbe, sono i tuoi occhi (quando il giorno perde colore). Due fari in mezzo, a quei cigli, che proiettano squarci di luce, dove volgo lo sguardo, sono i tuoi occhi (quando in fretta arriva il tramonto). Arcuate ciglia E naso e labbra e la luce di quel viso, esaltando gli occhi suoi, in arcuate ciglia, e appena abbozzato, il dolce suo sorriso, sono balsami che allentano ogni briglia. Persino il Sole, in codesta sua dolcezza, rincorrendo la luce dei suoi occhi puri, cerca il mistero di cotanta bellezza, nei lineamenti di quei chiaroscuri. Persino il Cielo col suo azzurro manto, pur biasimando la strana alchimia, loda lo sguardo del magico incanto, che nel cuor si congiunge all’anima mia: Se nell’ aria sparge, quelle chiome belle, e collo e capo, dolcemente reclina, più vicino alla Terra che alle sue Stelle, quando in penombra, la Luna si declina. Un Fiore e una Rosa un granello di sabbia e un miraggio, il metallo più fino e l’ oro zecchino, i fiori d’arancio e un bouquet di sposa, una donna e il suo cuore, sono parole che non stanno mai sole. Come farfalle volano assieme, e insieme scrivono, ancora, appassionate frasi d’ Amore. E io che mi accompagno a loro: In un calice d’oro, di quel fiore, berrei la sua essenza migliore, riposando sotto una Palma, in un giaciglio dai granelli d’oro. Ma solo nel calore della mia Sposa, e non al caldo del sole riuscirei a crogiolarmi di cocente passione. I raggi del sole che danno tepore al suo fragile cuore, dopo aver ricamato una soffice culla per farlo dormire, lo terranno sospeso per non farlo cadere. Poi dando cadenza al suo affannoso respiro, lo faranno chetare, senza interrompere il suo dolce oscillare. Ma quando i crucci del giorno lo faranno di nuovo agitare, quei raggi, in inverno, diverranno ringhiere per impedire che i suoi desideri si disperdano in mare, come foglie secche spazzate dal vento. Più di ogni Cosa E più di ogni luna che sa di maree, e più d’ una rosa che sa di rugiada, e più del silenzio, che sa di rumore, o di uno specchio, che sa dell’anima, più di ogni cosa, mille volte di più il tuo dolce sguardo, mi racconta di te. La mente tace Tace la mente per nascondere il suo muto lamento. Tace nel sogno, tace in silenzio nel sogno anche ogni brezza che non riesce a sollevarsi in quello spazio ristretto, se come Vele vuote di vento, cercano invano di prendere forma, le sue emozioni simili a ombre inquiete e deformi. Parla solo il mio cuore, scandendo stanchi sospiri. Ah se lei, se lei li potesse ascoltare! Allora si che potrei rianimare i palpiti pigri che sussurrano quelle sommesse richieste d’ amore. Nel mio posto di lavoro Quando arrivo nel mio posto di lavoro, sono come dentro a una Solenne Cattedrale, perché le mura maestose e silenziose sono guglie alte e luminose, perché le stanze hanno pareti chiuse da travi di nuvole celesti e il tetto azzurro e trasparente è sigillato con mastice di stelle. Così il mio ufficio è vicino ai monti ascetici, mentre i miei utenti sono le aquile, gli astori e i barbagianni dei quali non mi pesa, ascoltare i loro rochi e striduli lamenti. Della pioggia piuttosto, lo devo dire, le gocce intirizzite cadono grevi, sui tronchi degli aceri e dei lecci, (come gli accenti sbagliati in questi versi), ma stando bene attente a scivolare piano, per non turbare la quiete di tutta quella gente. Solo dei cervi sento gli acuti prepotenti, che si estendono ampi nelle chiarie del bosco, ma solo all’alba o all’ imbrunire tardo. Perché la selva di notte torna a dormire riscaldata dalla luce delle stelle e della luna. I suoi occhi Come una luce che squarcia una nube e di soppiatto si mostra alla luna, ieri, il suo viso si è mostrato al mio sguardo. Difficile era discernere da dove venisse quel caldo bagliore. Forse dalla sua fronte se uno spicchio di sole dipanava gocce di sale, per fare col suo raggio collane di perle. Forse dal suo sorriso se dischiudeva in boccioli rosa, le labbra soavi. Forse dalle lentiggini minute ametiste, che le impreziosivano il viso. Ma illuminato dal chiaro di luna, oggi, ho visto sbocciare un bellissimo Iris nel suo giardino. Anche i suoi occhi avevano lo stesso colore quando quella luce abbagliante, ieri, mi ha accecato la vista. Poesia Poesia dona con note sublimi e parole soavi, la tua melodia, innalza il tuo suono salendo le scale di mille violini, e conducilo adagio fin sopra le nuvole, sfiorando la luna. Sei bella Sei bella quando ridi con quella smorfia arcuata del tuo labbro, sei bella quando piangi, per quella inclinazione lieve delle palpebre, sei bella per quella linea che corruga appena la tua fronte. Sei bella, non perché sei bella, per una ragione che non ha bisogno di nessuna spiegazione, ma perché questi particolari esaltano la tua sensualità, come i petali screziati, la corolla di una rosa. Come le corde di un’ arpa, vibrano nella risacca le onde del mare, e diffondono attorno alla riva, assonanze armoniose. Poi assieme alla sabbia, silenziose, le onde ritornano al mare. Ma io ascoltando il mio cuore, onda dopo onda, riesco a sentire ogni singola nota di quello spartito. Con voce assordante Con voce assordante, mare, parli con l’onda e una barca sciaborda, poi con voce più calma parli col vento, e le sue vele conduci. E mentre l’onda ed il vento fanno feconda la tua vastità il mio intelletto si confonde osservando quelle vele tese verso ponente. Così solo scrutando il mio cuore, riesco a capire che cosa trascende la tua infinita misura. Solo guardando nell’anima riesco a vedere, più in la della tua sconfinata potenza. Ma non vagheggio cose più immense, perché, lei, senza neanche parlare supera la tua ridondante bellezza. Mi inquieta passeggiare Mi inquieta passeggiare per le strade, non riuscire a districarmi in mezzo a tanta gente indaffarata, che cammina fianco a fianco, che va in fila negli uffici, come formiche davanti ai loro nidi, o che fa a gara per entrare nella metropolitana. Mi opprime pure un senso di malessere, quando cerco invano un posto, dove possa con qualcuno chiacchierare. Non riuscire a ritagliarmi, in quella frenesia, che uno spazio limitato, aumenta lo sgomento di abitare, in questo caotico tessuto connettivo. Vedo ancor zampillare Ieri mi son rammentato di quando mio nonno e mio padre con la schiena ingobbita e la pelle riarsa bagnavano la terra secca con il loro sudore. Allora stringendo le mani nel ruvido legno di una zappa ricurva, ho piegato le spalle per scalzare la terra indurita, dai ceppi avvizziti, e farli nel vento ancor respirare: Se voglio offrire di nuovo agli amici, a novembre, il buon vino novello, devo smuover per tempo la terra. Poi attingendo l’acqua dal pozzo, con un brocca di terracotta, l’ho riversata con un secchio di latta negli arsi filari e ho sentito di nuovo, come una volta, pigolar l’usignolo. Ora appoggiato sull’orlo del pozzo vedo ancor zampillare, seduta sul fondo, l’acqua che bagna la luna e disegna coi cerchi, profili di persone a me conosciute. I germogli del pesco riscaldati dal sole sopra rami contorti, si schiudono al cielo per vestire di rosa le sue fronde scoperte. Anche il mio cuore apre all’amore se le sue lunghe ciglia e i suoi occhi dolci si posano teneri sopra il mio sguardo. Voglio Voglio di lei assaporare, il suo intensissimo sguardo, dissetarmi in quegli occhi soavi che parlano sempre di poesia e di dolcezza, mischiare adagio il sale delle mie intense passioni, con il delicato profumo delle sue dense emozioni, e gustarla giorno per giorno, senza farmi troppe domande. Poi il tempo deciderà. Piove a dirotto sopra i battenti. Anche i suoi occhi piangono a fiotti, rigando i vetri di quegli scuri, come i rii salsi la dolce piana. E come la foce raccoglie l’acqua, prima che la piena la butti in mare, scivola piano, nella mia guancia l’ acre sapore, delle sue lacrime. Parole dimenticate Parole ritrovate tra righe sbiadite e fogli ingialliti, dentro a un vecchio quaderno nascosto in soffitta, mi parlano ancora di giorni felici. Parole avviluppate da contorta grafia, e dipanate, con consunte matite, solamente dalla mia fantasia. Parole ingenue e infantili, che narravano di piccole cose. Parole da molto tempo celate, sotto polverosa grafite, mi fanno capire che allora e non ora, scrivevo poesie. Tra terra e cielo fluttuano celate in evanescenti bolle, le parole ansimanti dei vecchi. Voci donate, da un tempo lontano, e ricambiate con prodigo amore, ora sussurrano flebili affanni. Avviluppate da quel velo sottile, ci regalano ancora una volta, dolci palpiti di tenerezza, poi toccando una stella appuntita, restituiranno il respiro, al Cielo infinito, e l’anima si fonderà con la luce. Entrano dentro Quando respiro i profumi, della sua pelle voluttuosa, come polvere entrano in circolo i residui della sua sensualità. Le letali esalazioni fanno traballare ogni mia regola morale; ma non riesco a rinunciare, a quella boccata velenosa, pur se resta imprigionata, qualche molecola del male. Tra i rovi ho sentito una voce, che non riesce a scandire accenti e parole. Quel grido un po’ cupo, in mezzo a un groviglio di spine e di rami contorti, non riesce a districarsi per farsi capire. Si agita invano, per ricevere udienza, eppure trasporta, un messaggio d’ amore, quella voce che implora. Solo due gocce possono percorrere tutto il tuo volto, e turbare la mia mente inquieta, quando attraversano il tuoi bei lineamenti. Esse non viaggiano in un piccolo spazio, se sgorgano da laghi incantati, se seguono solchi celati tra pianure e colline, se tortuose si buttano in un mare increspato: I tuoi occhi, il tuo naso, la tua bocca, quando sono lontani, vagano in un mondo infinito, e il mio sguardo si perde nella vastità dell’anima! Si consumano le ore Sei un fiume in piena, che mi travolge, che mi sconvolge, che mi inonda di passione. Così aspettando che tu chiami, trascorro il tempo, desiderando di asciugarmi, nel calore del tuo corpo, ma in fretta si consumano le ore, intanto che supplico il tuo amore. I tuoi vecchi pupazzi Quando alzerai il polveroso coperchio, di quella scatola, sbiadita e lacera, i tuoi vecchi pupazzi, benché indolenziti dal lunghissimo sonno, di nuovo, assieme a te, cammineranno: I tuoi dolci ricordi, lasceranno l’angolo angusto, di quel ripostiglio e con te rivivranno! Così ogni cosa ricoperta, dal velo opaco di pulviscolo grigio, si illuminerà intensamente, come in un cielo pieno di stelle. E mentre la volta del cielo si farà più alta, tu finalmente diverrai bagliore, ove un tempo eri ombra. E per sempre il buio lascerà spazio alla luce. Violenta sulle chiome precipita la pioggia, nelle piante, scivola piano tra i pungenti ficodindia, e per scansare le sue spine, si divide in tante goccioline. Spaventata cade infine sulle foglie dell’ortica, restando imprigionata, nel freddo della notte, fino a diventare Brina. Anche ogni sua lacrima è diventata Perla, asciugata dal suo sale, e non riesce più ad uscire dalle quelle lunghe ciglia. Una stella è caduta nel mare Sporca di sale e di sabbia, si è nascosta impaurita in una conchiglia, per sottrarsi alla furia delle correnti, per sfuggire a Orche affamate e a Sirene impazienti, d’ indossare gioielli ed orpelli. Vestita d’ un guscio di madreperla è diventata ancora più bella, trasformata in una magnifica perla. Ora vaga trasportata da candide schiume, per mostrarsi a chi abita in mare, nelle notti vuote di stelle. Ora marinai sbigottiti e vele smarrite, dietro a una scia luminosa, seguono ogni sua rotta, portando in ogni Porto lontano, la sua luce e la sua dolce poesia. Se volevi andar via dovevi aspettare, dovevi aspettare che i fiocchi di neve si mischiassero alla paglia ed al fango, prima che al mare un rivolo d’acqua li riportasse, dovevi aspettare di farlo in un giorno più caldo, che fosse un bel giorno di primavera! Aspettare che il tepore del sole sciogliesse il freddo che mi assidera il cuore e ritornare, per ritrovare che tutto era ancor come prima. Anche la rondine ora è ritornata nel mio paese, ha mischiato l’ultimo fiocco di neve, con un filo di paglia e un poco di fango, e dopo aver riparato con quell’ impasto, una piccola crepa nel suo vecchio nido, garrendo gioiosa si è messa a volare, sfiorando le gronde dell’ antico granaio. E il Tempo Passa veloce e consuma in fretta ogni cosa, specialmente i giorni felici; pure le gocce salate dei Tamerici, cadendo sul fiume, li sbriciolano in mille frammenti, e persi nelle onde come cerchi di nebbia li vedo in lontananza, sfumati e sospesi nell’acqua, eppur li vorrei ancora afferrare, quei momenti di dolce armonia, perché diventino per sempre poesia, quei giorni felici delle mie nostalgie. E’ una manciata di sabbia E’ una manciata di sabbia sottile che scorre dentro la Clessidra del tempo, ma è cosi angusto il suo punto più stretto, che delle ore non s’ode il rintocco e il tempo pigramente trascorre: Ogni momento chiuso in quel lento lamento, vanamente protende verso un destino diverso. E’ come un deserto quel pugno di sabbia sollevato dal vento, che greve discende, che ogni cosa sotterra, senza lasciare traccia di niente, tutto è inghiottito dal tempo, nessun orizzonte, nessun mutamento. E’ forse il custode del tempo quell’Otre di vetro? Se niente si sente là dentro, se non solitudine, o solo un gran buio e l’ululato del vento! Solo una stella cadendo sopra quel vetro, e squarciando quel mucchio di sabbia, aprirebbe una strada in mezzo al deserto, per camminare finalmente verso una meta! Fantasia I pensieri sono farfalle Volano fragili i pensieri più arditi e anche i più delicati se con prudenza a loro non t’ avvicini. Come le ali delle farfalle, scappano via. E quando frughi nei meandri della memoria e trovi i più raffinati e i più eleganti, come tra i fiori le ali dipinte dei Macaoni, se non li fermi con la tua fantasia, svaniscono in fretta, quando scrivi canzoni o componi poesie. E anche se durano un po’ di più come la vita della Vanessa, se non li appunti nella tua testa solo la vanità di quelli ti resta, o al di più una frase inespressa. Ma se li acchiappi non vanno più via, anche i più strani e i più fantasiosi. Capinera Solo per lei sei salita, nella fronda più alta, accarezzando con le ali due piccole foglie come fossero guance, di un viso grazioso. Solo per lei cinguetti, anche la notte diffondendo, il tuo magnifico canto. Solo a lei e ai suoi occhi hai regalato la melodia, di una poesia, per donare, spasmi e sussulti d’ amore alla notte più silenziosa. Malinconia in mezzo al mare sei un’ isola sola, e pur di raggiungerti, io tornerei a salpare, fosse pur duro allentare gli ormeggi della mia vela, io tornerei per te a navigare. Forse, non riabbracciarti,è questo che vuole il destino e la mia voce che chiama, è uno Zefiro che mai non arriva e se la vela, di vento e di profumo di timo si gonfia, le onde mi vengono incontro portando, nient’altro che ricordi nostalgici, di giorni passati. Solo i delfini, dirigendosi verso i tuoi lidi, qualcosa trasportano, sono le note della canzone che ho scritto per te, così il mio sguardo, seguendo il volo dei gabbiani, disegna traiettorie che dipingono il tuo incantevole volto, nel cielo. Non parlo Non parlo e non piango, non perché non ho parole, non perché non ho lacrime, ma perché non riesco a svelare, crucci ed affanni. Come albero, sferzato dal vento, quando il midollo si spezza, io sono. Solo l'astore può udir delle foglie il loro sordo stormir, quand' esse rovinano al suolo, solo il cuore, può percepir nel silenzio, emozioni nascoste. E allora il pianto, e la linfa sgorgando da guance scavate e da vene sottili, fuoriescono bagnando, di gocce imperlate, l'erbetta e la terra. Vorrei chiedere Vorrei chiedere alle ali del vento, di spargere un seme perché nella terra vi trovi dimora. Vorrei chiedere al sole di donargli tepore, perché possa, in un solco, germogliar la sua spiga. Vorrei chiedere al tempo di generar la passione e al Cielo di darmi l’ardore, per dichiararti per sempre il mio amore. Lei Allentò le briglie alla sua giumenta, per galoppar più veloce nel vento, mi passò vicina, e sentii mancare il respiro, che una brezza rapì per accarezzare, le sue forme, strette, in una blusa di seta. Intanto veloci correvano i miei pensieri, come i garretti in mezzo alla pista, e lasciarono dietro a una nuvola di polvere grigia, un fugace ricordo, e un sorriso bello e radioso. Ed io per non perderli li rinchiusi, in una magica sfera, per contemplarli nelle nostalgiche sere, per quietarmi nei giorni più tristi, quando il mio cuore galoppa un po’ malinconico. In un fiore Oggi ho visto una farfalla posarsi, in un fiore e ho visto riflessi, nelle sue ali arancioni, i tuoi splendidi occhi marroni. E più li guardavo, più vedevo il tuo sguardo, brillare come un cristallo di neve, chiaro come l' acqua che la mattina, rispecchia il tuo viso, puro come rugiada che fila in un fuso, tessuti preziosi, per ricamare nei prati arazzi di fiori. E già sento diffondersi in cielo, i profumi sensuali di tutti quei fiori. Volgo lo sguardo Volgo lo sguardo in direzione del cielo, un tenue raggio di sole, apre le palpebre, dei miei fradici occhi; e finalmente, in quel caldo tepore, si riempiono, di sogni, di dolci visioni, e di ogni cosa di lei. Ma come scrigni preziosi, le mie pupille vorrei or sigillare, perché ho paura, che lei scompaia, assieme a quelle fugaci illusioni. Per la prima volta quando il suo sguardo intrigante mi ha catturato, ho capito il tormento che in me ha suscitato, quel piacere che mosse l’inebriante passione, mentre facevo la fila accanto a lei, alla Stazione. Ora se buio e silenzio, mi fanno spavento, se ad ogni fermata le lancette girano in fretta, se il tempo che passa è una vera disdetta, solo l’amore mi conforta di ogni sgomento. Quando piacere e tormento danno amarezza, perché il fumo acre dell’ oppio, spesso, tortura, quando i temporali portano pioggia e sventura, è sempre l’amore che mi dà riparo e quietezza. Perché nel viaggio che al Capolinea conduce, lungo i Binari della vita mia, mi farà compagnia, un profumo eccitante che ancora seduce. Il Cielo sgomento per quel tenero sguardo, lo nasconde al sole e alle stelle, coprendolo, in parte, col suo azzurro mantello, ma la Luna cadendo dal cielo, si tuffa nel mare, di quello sguardo lontano, e nel vuoto di quell’abisso, aggrappandosi, a ciglia nere e ricurve, sollevando i coperchi socchiusi, illumina quegli occhi velati, dall’ombra, di un malinconico pianto, riempendoli di luce e di sogni. Una pietra preziosa Se tu fossi, una pietra preziosa, saresti una perla, la pietra più bella, e di luce la più luminosa! Se tu fossi, un cristallo perfetto, non saresti perfetta, perché, non c’è perfezione senza difetto. Se pure tu fossi, una pietra perfetta, ma fossi diversa, non ti vorrei invero, questo bene perfetto, che mi inebria la mente, ma forse è per questo, che ti vedo perfetta, e di te ogni cosa m’ allieta! Le foglie del pioppo Come vi invidio, voi pioppi immortali, che nella sorte buona o cattiva, ineluttabilmente e irreversibilmente, da tempo infinito, dimorate, in quelle umide anse, per sempre avvinghiati. E quando spinti dalla brezza leggera, sospirando come giovani amanti, vi osservo toccarvi, coi rami, le fronde, mi dico: Perfino le foglie nel loro tremore in quei pioppi, sotto lo sguardo della luna piena, si sfiorano con delicato candore e sono felici. Nelle lusinghe del vento, come nelle bufere, appaiono unite, quelle candide foglie di pioppo, anime tremule, esenti dagli ingannevoli sensi che accompagnano me. Come sanno aspettare, pazienti, mai stanche, che il turbinio dei venti le accompagni, a un comune destino, mentre lei si allontana, ineluttabilmente e irreversibilmente da me. Corvo dall’ aspetto austero Corvo dall’ aspetto austero, corvo dal nero, e lucente mantello, perché hai ricusato, la tua candida veste, per indossare quello spettrale abito nero? Perché hai barattato, le tue antiche virtù, per far posto ad arroganza e ingordigia? Ora aggredisci le tue povere prede, derubandole con raffinata scaltrezza! E’ un rituale questo, “tu lo sai bene” che non fa parte del tuo antico lignaggio! Invero hai radunato, in rupi oscure e lontane, un consesso di commensali, torvo e malvagio, per ordire convitti di morte in lauti banchetti d’ orrore! Ma io lo conosco l’ arcano mistero, nascosto dentro quel tuo abito nero, in realtà c’è un uomo senza morale, che trasporta ogni suo bieco pensiero, volando impassibile con le tue ali nere. Ti prego Ti prego non chiedermi più, quando mi vedi, se sto bene e sono felice. Quando mi parli sento vibrare, corde intonate, ma per me, quelle note che si librano in aria sono spasmi crudeli, che mi spezzano il cuore, sono uguali a un tormento spietato o a un rimpianto per un bacio non dato, sono come un coltello affilato, che scorre sotto la pelle, cagionando una ferita, lunga quanto, una vana lusinga, sono fiotti di onde, dove si agitano invano i miei desideri, vanamente protesi, ad estorcere i tuoi sentimenti. Un soffio caldo E quando nel lungo declivio, un soffio caldo, col suo fallace respiro, sollevò, quella polvere grigia, e cancellò le sue orme scoperte, di nuovo, la perdei di vista, celata nel vento, da un velo sottile. Eppur che ancora cammino, nel cinereo arenile, con passi, ormai stanchi e disarticolati, aspetto che il vento buono, la riporti a riva, per inseguire, di nuovo, le sue leggere vestigia, e accostar, finalmente, quei fianchi sinuosi e lascivi. Questi versi Questi versi li scrivo per te, li scrivo, dopo averti ingannata, con frasi confuse e sconnesse, per risarcirti di vane promesse. Ora chiuse in un nodo, stretto alla gola, stanno quelle parole, come, recluse dentro ad un libro, dietro alle ante di una finestra, che nessun grimaldello riesce ad aprire, quando all’interno provo ad entrare, per srotolarle e riscriverle nel verso giusto. Così resto solo, unicamente a ciò che mi angustia, assieme alla certezza di aver sbagliato, e senza speranza che tu mi capisca. Scusami se meglio di questi, versi, non riesco ad offrirti. Scusami se parole più belle e più dolci non riesco a trovare, per farmi perdonare. Accendi il fuoco Accendi il fuoco dentro il tuo corpo, fai che passione ed amore, ti ardano dentro, e diano calore, al sangue freddo delle tue vene, fai che quel fuoco, ti sia sempre amico, per bruciare gli aridi rami, dove stanche, si adagiano foglie, troppo ingiallite. Disperdi la noia e l’indolenza, che sotto la scorza dormono pigre, uccidile come i tarli che si attaccano ai rami, fai che una fiamma ti dia nuova linfa, perché l’ inedia che ti avvolge e ti morde, giaccia sotto una coperta di cenere fredda. Ti aspettavo Ti aspettavo, ma tu non arrivavi, e già sentivo dentro il petto, il cuore, che scalpitava, contratto e trafelato. Mordeva il freno, egli, nell’incertezza, al pari di un giovane destriero, finché non si allentarono le briglie, e galoppando sopra i nervi tesi e a fior di pelle, i suoi garretti, facevano sentire ancor più forte, il batter degli zoccoli, nei sentieri induriti delle vene. Ti ho vista poi arrivare ed il mio cuore, si è calmato e rinfrancato, come un cavallo, condotto nel suo Box, dopo la corsa. In un buio tunnel Cammino sfinito in un tunnel, senza ombre né luci, sotto un cielo, sfrattato di sole e di stelle, non c’è presenza di alcuno e di niente in quel posto, mi accompagnano solo i cristallini e i pulviscoli neri di vecchio carbone, che sonnecchiando da tempo in quelle antiche pareti, quando li sfioro, si svegliano, e mi saltano addosso, mischiandosi, nella mia fronte, a goccioline di freddo sudore. Con la paura di andare verso l’ ignoto, ancora cammino, poi finalmente, vedo una spiaggia di sabbia bianca, in lontananza vedo deboli luci in scogli lontani, al chiaro di luna, ma quanto più mi avvicino, vedo qualcosa che riconosco. Ciò che ora vedo non è una spiaggia di sabbia bianca, neppure uno scoglio, al chiaro di luna, ma un sorriso di perle bianche, un dolce profilo e un limpido sguardo che si manifesta, quando mi guardano i suoi occhi marroni, lucenti e profondi come le luci di quei faraglioni. Sono quegli occhi la salvezza della mia oscura esistenza, ci entro fin dentro per riscaldarmi al fuoco di quel calore, e lavandomi nelle limpide acque del suo cristallino si scioglie la polvere nera, frammista al sudore. Anche i cristallini del vecchio carbone, scivolando, cadono giù e come i lumicini in un lungo viale, mi guidano, verso di lei, risplendendo di luce tersa, finché l' angoscia sparisce e io non torno più indietro. Pelle di luna Come è seducente il tuo corpo sinuoso, quando l’acqua scivola, fredda, nelle anse della tua pelle rovente, quando la tua pelle chiara, di notte, al chiaro di luna, riflette la luna! E’ come se nel buio, la luna cadendo dal cielo, abbracciando la candida schiuma, si fosse tuffata, sull’ onda increspata, accendendo i tuoi occhi, per illuminare il tuo sguardo, e per rischiarare la notte. E nell’ umida riva, il profilo, il tuo viso e le tue narici frementi, levigati e lucenti come un marmo bagnato, già mi accendono i sensi. Quante struggenti emozioni, mi danno il tuo volto e il tuo corpo, nascosti, sotto il velo sottile della penombra, e agitando il mio cuore in burrasca, ora generano ardite e incontrollate passioni, ora che vedo, sopra le dune, solo te e la pudica luna, che con la sua luce soffusa, avvolge nel plenilunio il tuo corpo, nudo. Svanì subito la nube Svanì subito la nube minacciosa, quando, lei, impercettibilmente rischiarò, col suo sorriso, quella minuscola, ombra scura. Bastò poco per rischiarare, la sua espressione a volte pensosa, e a volte seria: Fu sufficiente che se le sue labbra si dischiudessero, appena, in quel suadente gesto. Solo un sorriso delicato, dunque, le bastò per fa brillare, nella penombra il suo volto delizioso. E nei suoi occhi, nella sua bocca, nella sua perfetta dentatura, e in tutti gli altri gesti, vedevo le stelle e la luna allineate al sole ed ai pianeti! E io li scrutai, osservandoli, estasiato, nel suo sguardo luminoso! Quando resti sola Quando resti sola in mezzo alla strada, e ti assale il dubbio e il tormento e ti gira la testa, per non cadere prova a sterzare e prima che il pedale diventi per te troppo greve, raddrizza la ruota, e dirigi la rotta verso la lunga salita. E se le sue cime sono guglie appuntite, se hai gambe troppo deboli e stanche, che non reggono la tua fatica, regola il passo, abbandona l’ orgoglio, avvicinati ad una banchina, e accetta l’offerta di una borraccia, affinché tu possa lasciare, dietro alle spalle, la nube nera che ti minaccia. Il vagabondo Con una scusa ti sei allontanato, non so se sei scappato per conoscere pensieri diversi o per rimediare ad errori ed inganni. Non so di preciso per cosa l’hai fatto, perché non sei né un lupo né un vagabondo, eppure l’hai fatto e te ne sei andato come fanno i lupi e i vagabondi quando sono affamati o sono stanchi di restare nel branco. E’ strano perché non hai l’istinto di far male a nessuno; non hai neppure, l’attitudine a girar per il mondo, ma da quel giorno quanto hai camminato! Tu che hai l’istinto di un animale stanziale. Per un po’ hai vissuto, la notte, sotto un umido ponte, riscaldato soltanto da un cartone freddo e stracciato; poi sei rientrato e più d’ uno, ti voleva sbranare, così sei di nuovo scappato e ti sei rimesso a vagare, quando hai capito che c’è qualcuno più cattivo dei lupi. Così ora so, anch’ io, che non ti puoi più fermare perché anche tu, come il lupo e il vagabondo, insegui i tortuosi sentieri del mondo per saziare la fame e il sapere. (Il racconto di un medico sulla malattia di Alzheimer e una frase di Khalil Gibran, hanno ispirato questi versi … Digitando in Google la frase iniziale del racconto se ne potrà leggere tutto il testo: ... Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di ...) Aspettami Aspettami ancora anche se non ricordi chi sono, aspettami anche se vedi solo un’ ombra di me, aspettami anche se non mi senti, e non capisci più i miei gesti consueti, aspettami, ti assicuro che camminerò più veloce dei tuoi pensieri incompresi, perché non voglio lascarti un solo istante, da sola, neanche nell’ora della colazione. E seppure non ti saresti adirata, per l’inconsueto ritardo, se non capisci perché mi siedo con te, se non ricordi più niente di me, ti giuro che adesso, per te fermerò il tempo, le ore e i minuti! Perché ancora di più, ora, hai bisogno di me, perché ogni giorno di più, io ho bisogno di te, perché ricordo tutto di te, perché sei l’unico amore che ho voluto nella mia vita, perché prima di me, più di me, hai accettato tutto di me, perché ciò che ho, ho avuto, avrò e non avrò, sarà il mio cibo e il mio sostentamento! Ed ora che la tua memoria ricorda solo il silenzio, il trascorrere insieme del tempo, sarà l’unico conforto per tua malattia e l’unico verbo dei nostri discorsi. Ma la carezza della mia mano sulla tua mano, sarà per noi, un brivido più dolce, del vento fresco di una brezza mattutina.
L’asfodelo L’asfodelo s’è piegato, non so se l’ ha schiacciato l’unghia d’ una capra, scapestrata, o il piede d’ un viandante, poco avvezzo a trovarsi con i fiori sul suo passo. Ora spero che la foglia, che sul bordo della strada, riversata ho ritrovata, abbia voglia di mostrarsi, ritta, ritta, sul suo gambo, perché non è vero, come dice Omero, che lo trovi solamente, quando cammini, mesto, mesto, verso i prati dell’Averno . Invero io so, che il suo fiore dona un miele: che più dolce non c’è niente, eccetto che il sorriso del suo viso, e ciò basta per condurmi, dritto, dritto in Paradiso. Stanco m’ adagio Cadono ogni anno a migliaia le foglie, distesa amena di fiochi ormai marci, calda coperta, che riscalda la terra, cuscino di morbide piume staccate da rami a volte laceri e stanchi. Stanco m’ adagio anch’ io, in quel mantello, chiudendo le palpebre, per non pensare al tempo che passa, per non udir delle foglie il frusciare, per non vederle cadere a brandelli. E mentre nello strano sopore, passa il timore e passa l’inverno, già vedo nei rami germogliar nuove foglie, Ah! generosa natura, che ridai linfa a quegli alberi spogli, Ah! generosa natura, che del tempo che fugge, mai te ne dogli, e in eterno fai vivere anche una foglia! Stille di ghiaccio Per proteggere il suo cuore malato, e liberarlo, dalla coltre di ghiaccio, ho forgiato nella fucina, dell’anima mia, una gabbia di ferro. Finché il sole di maggio, e un esile raggio, aggirando l’ angusto graticcio, e le sbarre pur strette, lo ha sciolto in mille stille di ghiaccio, sottili: A nulla è servito tenerlo lontano da tentazioni e torbidi sguardi, se quelle premure sono state inutili, inganni. Papavero Papavero che lenisci, con la cura del tuo seme, le fitte e le angosce di ogni dolore, colora di rosso la linfa che scorre dentro le vene, della sua sbiadita pelle. Apri il calice del tuo fiore perché l’ ape col suo pungiglione, possa succhiare l’essenza del tuo nettare migliore, e iniettare fiale di zucchero e miele. Sostieni il peso delle sue fragili spalle come sostieni il peso delle farfalle, se un alito di vento le trasporta sopra la tua morbida veste. Abbraccia con i tuoi petali di porpora, la tua soffice corolla, perché lei impari a sentire ogni palpito del mio cuore. Deboli steli Sopra le sponde del pacato ruscello, che placido scorre sotto le fronde del carpino e del pioppo, oggi, ho visto fiori stupendi e di molti colori. Erano belli davvero, forse un po’ strani, perché staccando le radici da terra, sembrava che muovessero i piedi, se il vento spostava i loro deboli steli. Esili gambi quei fiori reggevano, e colori pur tenui ma belli, e altri fiori che avevano colori assai più brillanti e vivaci e più robusti sostegni, li tenevano per mano ben saldi; così a poco a poco e a piccoli passi, apparivano a ogni mio sguardo, quei gracili steli, più sicuri e spavaldi. E mentre il giorno diventava più mite, e il tempo passava felice, sei api da un favo vicino e tre farfalle dalle ali di rosa si alzavano in volo, per offrirsi a quei fiori, così fragili e belli: Ora mischiandosi il nettare e il polline, di quei rari boccioli, il miele avrà di certo un gusto più dolce, ora quel dolce sapore, ancora più forte, mi farà battere il cuore. Dalle finestre Dalle finestre aperte, aperte come orizzonti, vedi cose vicine e altre lontane, a volte evidenti a volte un po’ vaghe, quelle vicine, le potresti toccare, forse, allungando le braccia; quelle lontane le potresti raggiungere, soltanto, spalancando le sue ante pesanti, e poi saltando su un tappeto volante. Dalle finestre chiuse, chiuse come prigioni, quando richiudi quelle ante pesanti; non vedi mai niente, ma se spalancassi i tuoi occhi e poi li chiudessi: come fanno i bambini, per vedere se, dopo, succede qualcosa di sorprendente, sono sicuro che ogni distanza si annullerebbe, “anche la lontananza dal suo bel sorriso”. Un fioco lumicino Ti prego piccola candela, spegni! lentamente la tua luce, e consuma piano, la tua succinta fune. Sei un punto impercettibile, un fioco lumicino, ma ti prego, cerca in fretta uno spiraglio che illumini il lato più lontano della stanza! C’è troppa lontananza, tra la tua fiammella, me e i suoi occhi scuri. Usa con parsimonia la parte che ti resta della cera perché vorrei, nella penombra, avvicinarmi alla sua pelle chiara, per non restare solo e al buio, in questa camera ormai sempre più scura. Il ragno Ti ho visto stringere in bocca l’ asso di picche, e dal mazzo distrarre, con abile mossa tredici carte per disporle, sopra il tuo dorso, in ordine sparso. Forse le hai rubate pensando di essere più bello ed elegante, vestendo un abito macchiato di rosso! Eppur io non ricorro alla legge, per contestare il furto che hai perpetuato, ma ti chiedo comunque un favore: Esci, dal tuo buio pertugio, muovi veloci, le tue esili zampe con passi velati, cattura un truce pensiero che lento, s’ insinua! Tessi ti supplico un filo sottile, tanto sottile, quanto invisibile per scalare, con accortezza, l’irta parete della mia testa! Tessi, la trama del tuo scialle argentato, avviluppa quel tarlo con la tua tela, e dissolvi col tuo veleno la nube nera, che mi avvolge e mi oscura la mente! Tienilo in bocca quel bieco pensiero: Come l’asso di picche, stringilo con le tue forti mascelle, stringilo almeno fino al prossimo giro di carte, perché spetta a me, di sicuro, l’ ultima mossa e non la voglio sprecare. Dolce Dolce il tuo sorriso fa scintillare ogni tassello della tua pelle, chiara, la tua espressione intensa tutti li fa luccicare: Radiose perle, celle ricolme di miele e di nettare, fili di seta mossi dal vento, sono molecole della tua candida pelle. E il tuo morbido scialle, d’ incanto, illumina la sera e fa sorridere anche la faccia più seria della luna. Notte d’agosto Come è bella una notte d’ agosto, spruzzata di stelle, di grano rubato dal vento a un vecchio mulino, di rose gialle recise da un braccio geloso, ma forte, di chicchi e di petali che ora vagano e profumano in cielo in cerca di parole appropriate, di note intonate. Come è bella una notte d’ agosto, spruzzata di stelle, quando l’ onda del fiume s’ infrange, in candidi sassi, in un plenilunio di sfondi argentati, seduto fra amici, che mai ti tradiscono. Come è bella una notte d’ agosto, spruzzata di stelle, quando un cervo si staglia davanti alla luna e la sua ombra si fonde con la sua voce robusta; che alta s’effonde, dal guado più largo, fino in fondo alla valle, finché l’ultima stretta, non plachi la sua avida sete. Se avessi Se avessi, il tuo cappello, una tavolozza ed un pennello, il tuo cappello colmo fino all’ orlo, di un sol colore lo riempirei: perché il cielo buio della notte, d’ ambra lo ridipingerei, perché ogni giorno, metronomo del tempo, vorrei fosse l’ alba e mai la notte, in ogni stagione e tempo e per sempre. Corre veloce. In mezzo alle spighe dorate, di un campo di grano, sopra steli, più simili a selle che a fili d’ erba, mille papaveri in fila indiana, vanno al galoppo e vanno di fretta. Vanno veloci sospinti dal vento, quei cavalieri dai rossi mantelli, sono inseguiti da un uomo a cavallo, che trascina alle spalle qualcosa di fosco: E’ forse il tempo o un suo ambasciatore. Come corre veloce quel messaggero! che sinuoso si muove come un pitone, mai non rallenta, mai non si ferma, e restano indietro, i papaveri rossi, buttati a terra, da una falce tagliente! Oh maledetto tiranno dal nero mantello! Ora solo una scia di sangue vermiglio, segna la pista in quel campo di spighe, ora ogni fiore si seccherà, ma io d’ ognuno un petalo rosso raccoglierò; per custodirlo dentro ad un libro, come un gioiello dentro a uno scrigno, perché l’impronta delle sue vene screziate, a tutte le pagine, apponga un sigillo, per rammentarmi di ogni poesia, per inebriarmi in quella dolce magia, e solo allora il tempo si fermerà. L’ aroma del Caffè Prorompe in aria un aroma delicato, coinvolge tutti i sensi miei, quando nel Bar sopra il bancone, con ansia aspetto il primo Caffè della mattina, e quando sale in bocca la tazzina un vortice caldo, mi catapulta dentro quella ceramica pregiata. E vedo allora denti assai splendenti, in mezzo a visi e sguardi sorridenti, e vedo il colore di occhi marroni mischiarsi a chicchi fusi, al dolce e al velo della crema, ma soprattutto, sento il profumo dei gelsomini, dare sapore e corpo ad angeliche visioni. E quando sento una voce delicata: “gradisci … mezza minerale”? questa volta diniego l’ intenzione, per non cancellare dalle mie papille, il gusto lasciato da quel magico filtro. E’ una Dea. Quando la Notte s’ illumina, quando la rugiada riflette la Luna: Meravigliosi occhi, diffondono languidi sguardi. Son sguardi che accendono Stelle, forse di Diana o di una sua Ancella; seppur per cacciare la preda prescelta, la corda di lino non flette il suo arco, non scocca la freccia di tasso: La sua faretra è piena di petali, di gelsomini e di rose e ogni freccia è una spiga dorata che trafigge, solo se il cuore colpisce. E quando nell’aria, la sua spiga dorata, sparge il suo dolce profumo, l’ aroma mi svela ogni dubbio: Sono di Venere gli occhi, che diffondono i languidi sguardi, è Venere la Dea che accende, La Notte, La Luna e Le Stelle. Prima che la piena Chinandomi nella limpida acqua, sedotto dall’ ingenuo pudore del suo sguardo riflesso, voglio immergermi in esso, prima che, la piena del fiume abbandoni il suo letto e l’ onda gonfia di vento, frantumi i miei occhi in ruvidi tronchi; prima che, la mia zattera d’ ontani e salici, sospinta dai flutti, s’ infranga in scogli, troppo lontani dalle fioche luci del faro. E’ primavera Ai primi tepori la brina si scioglie, nel nocciolo fiorito, una rondine in volo, accarezza due piccole gocce, di ghiaccio fuso, che cadono sopra, l’angelico viso, e rapite risalgono vicine, vicine alle sue lunghe ciglia, per rifugiarsi, nella dolcezza, di quegli occhi puri. Guizza l’ acqua Sotto il dirupo, limpida e chiara guizza l’ acqua, spruzzata, da candidi sprizzi; ma più limpido e chiaro, si riflette il suo sguardo. Nel tortuoso ruscello, ora nuota la trota controcorrente, e l’ acqua risale, in cielo incantata, per contemplare occhi che sembrano stelle. Potessi raccontare Potessi raccontare dei giorni riposti, nell’ oblio delle reminescenze; solo dei giorni contati nel calendario dalla luna, avrei malinconia. Solo in quelli, dove s’ estirpa, la gramigna, per dare respiro all’ uva della vigna, m’ affannerei. Solo di quelli dove la zolla s’ apre, all’ aratro e allo zoccolo del giogo, e chiude all’ avena e al grano il seme; cercherei nella memoria il solco più profondo, dei miei più reconditi ricordi. Solo di quelli valicherei, le picche delle ringhiere e dei cancelli, per ascoltare nell’orto dei sambuchi, il verso soave delle capinere, e il canto melodioso dei poeti. Gli alberi e il vento Vi guardo, malinconico, triste… voi alberi, che offrite riparo alla gente che vive nel bosco. Di sicuro nelle cose di cuore, nelle tenere cose, avete più quiete e più sorte di me: Disturbati soltanto dal ticchettio dei picchi, dal canto soave degli usignoli e dei merli o dal bramito dei cervi in amore; quando ansiosi, attendete il soffio del vento per mandarvi messaggi d’ amore e discorrere in umide anse sinuose e cispose, di cose di cuore. A me i venti che s’ alzano fieri, danno tempesta all’ anima mia, appannano i sensi e la mente, buttano in faccia e negli occhi, la terra, impolverano anche il più dolce ricordo. I venti per me sono solo lamenti di addio, pallidi e ingialliti ricordi dissolti nel vuoto. E sotto ordinate cataste, da neri carboni, sono attizzate le mie folli parole d’ amore, che mute volano via, bruciate e disperse come cenere al vento. Il fiammifero di cera Per scansare l’orlo che s’apre nell’abisso, per ritrovare il sasso che regola il mio passo, per illuminare la notte, cerco la luce e frugo dentro al petto. Senza luna è il fondo che scandaglio, ma non lesina il suo aiuto, una tenera stellina, che cala il filo d’un piccolo cerino, e fino al cuore poi lo guida. Lo tengo in mano quel cerino: Anche un marinaio stringe forte il suo timone, quando salpa l’onda per andare incontro al suo destino. E prima che si consumi la sua cera, trovo nel cantuccio più nascosto, finalmente il sorriso del suo volto. D’ incanto s’ illumina il sentiero, e io ringrazio mille volte il cielo, per aver raccolto, quel fiammifero di cera. Fra corrugati rami Balenando fra corrugati rami, brillano di luce, fiochi barlumi, svelando percorsi celati dal buio, e sciogliendo la fredda coperta, da un velo sottile, imbiancata. Il sole ora scalda l’umida terra, frinisce felice la cicala campestre, il vento spettina dolce le foglie, e la perla che l’ anello incastona, è una gemma che l’ acqua accarezza. Dal sonno seppur assopiti, si svegliano i petali, ringalluzziti. I fiori e i boccioli s’ aprono al giorno, che schiude la vita alla gioia; s’ apre anche il tuo cuore, che s’ offre finalmente, all’ amore. Scorre veloce Scorre veloce e chiara l’ acqua nel ruscello, segue la sua strada in terre e rocce, assai scoscese e vanno al mare, le sue gocce. Ti ricordi la mattina di quel giorno? Strappando il fiore d’ un esile asfodelo, lo rubava al suo alto stelo, un vivace refolo di vento, la sua corolla alla corrente egli affidava, e più veloce d’ un pensiero poi lo spingeva. Pentita come quando d’ una bugia ti penti. Pentita come quando d’ una frase inopportuna t' addolori: Pentita torni indietro per raccoglierlo, quel fiore, prima che lo catturi il becco d’ un airone, prima che lo catturi in mare un’ anemone affamata. Nell’ argine del letto, piegando i tuoi ginocchi, allora l’ accostavi per strapparlo al suo destino. Gli occhi spalancati alla dolcezza del tuo gesto, e alla bellezza della tua immagine riflessa, di pianto m’ avvolgevano, e bagnavano di lacrime il ruscello. Giuliva adesso corre la corrente, ebbra di quel sale è la sua piena, e io mi struggo, di infinita tenerezza. Luce carente Scruto gli occhi tuoi scuri bramosamente; dall’ arco ricurvo, un dardo maldestro, io scocco con foga, nel rabbioso ponente, ma sfugge la mira all’ occhio mio destro. Se la corta candela,è di luce carente, se buia la strada diventa un capestro, indica la strada un sentiero maestro, quando le stelle e la luna cadono spente. Come un brigante che spietato saccheggia, bramavo rapire un bizzarro destriero, per ordire più veloce, sanguinosa razzia. Ora smanioso morde il freno un pensiero, e galoppa vanesio, perché ego vaneggia: ma non capisco quella, irrazionale pazzia. La tua fatica La tua fatica è la mia fatica la tua pena è la mia pena. Le tue paure sono le mie paure: quando perfide si insinuano, negli anfratti della mente. Potessero naufragare rapiti, dalle onde i miei e i tuoi timori, annaspare tra quei flutti e perdere, sia la rotta che il timone. Potessimo in un’ isola approdare, e la luce catturare, prima che l’ orizzonte la riconsegni al sole. Potessimo annusare l’ aroma di mirto, timo e rosmarino, prima che l’ arsura dissecchi, i rami di perastri e di ginepri. Potessero candide sabbie, dare vigore a ossa gelate, potessero, al mio cuore e alla tua mente dare calore. Le ultime luci Spegne il tramonto le ultime luci, ombre scure allungando le ali deformi, si proiettano inquiete verso la sera; per dare anima a forme ed essenze, per nascondere speranze ed inganni. Mi butto nel letto e una luce soffusa allunga le ombre distese delle mie stanche membra. Nella camera e in aria, sento odore acre di zolfo e di cera, la smorta luce della candela color cannella, sfuggendo ai miei polpastrelli e cadendo dentro i cassetti socchiusi del comodino, si scompone in lumicini di molti colori. Ora vedo fuochi sempre accesi, ora vedo sogni, illusioni, rimorsi, ma sento più forte il calore che danno ancora i ricordi e le loro emozioni. Apro tutti i cassetti, escon fuori i bagliori, e i caldi tepori che mi procurano; ansimante li rincorro per acciuffarli, in un baleno, il buio, della soffitta diventa un cielo cobalto pieno di stelle. Ogni stella che acchiappo è un riflesso di luce di vari colori, che sa dare ai miei sogni ancora i sapori, dei miei anni migliori: E se darà contorno a quelle ali deformi, sarà la mia guida verso nuove pulsioni. Amari sapori Si sciolgono in bocca gusti e sapori, d’ infusi di garofano e assenzio, ma non s’ assopisce il languore dell’ amaro boccone con quel liquore. Angosce e malori sono miscugli e grovigli, di fili spezzati, filtrati da un’ alambicco, ancora io cerco, e non trovo ragioni coerenti, alle tue parole strane e sfuggenti. Anche tu prodigo autunno provi a lenire le mie malinconie con i tuoi illusori sapori: Impresse nella polvere, le mie inascoltate parole, sono goccioline di pioggia leggera che non saziano fili d’ erba appena spuntati, quando s’ asciuga in fretta la terra, nei caldi tepori dei tuoi primi mattini. Boccioli di verdi orchidee, che sbocciano in primavera sono queste sussurrate parole, ma non germogliano, se tu non le ascolti. Frasi gelate Frasi gelate raggelano l’anima, se non si sciolgono ai raggi del sole, lacerano il cuore, acuminate e pungenti, come le spine dei rovi e dei biancospini. Nella stagione del vino e dell’ uva, sotto la loggia, nella fresca cantina, dove ribolle e fermenta con l’ uva anche il tormento, io proferisco parole scialbe e di rosso le coloro col mosto. Tralci avviluppati allo spago, acini aspri dal raspo strappati, buttati e pressati dentro la macina, sono i miei pensieri inquieti e intricati e aridi pampini cingono la fronte di Bacco. Svanisce la nebbia dove ogni cosa si cela; fra i rovi e i biancospini, un nido si svela, alla vista si insinua un delicato pensiero, che s' invola con voce sommessa: Usignolo che cinguetti ogni giorno protetto dai rovi, col becco ricuci, quelle ferite d’ amore, ma lascia aperto uno spiraglio nel cuore, perché vi passi almeno un raggio di sole. Effondi nel cielo azzurro la tua melodia, librando le ali più in alto di tutto il creato, perché diventi il tuo canto, divina poesia. Peonia Peonia che inaridisci, nei caldi giorni della torrida estate, cadono sparsi i tuoi petali rosa, quando la paura tutto inibisce, quando il tempo macera tutto, e ogni cosa sembra finire. Se è lungo il tempo per rifiorire, aspetterò che la coltre di ghiaccio, di questo stanco e rigido inverno, assieme alla neve, ritorni acqua che scorre libera a primavera. Lungo il sentiero di quell’ alta vetta, voglio scoprire l’ increspato cespo, verde diadema del tuo nuovo bocciolo: simbolo rosa di questa stagione nuova, pegno d’ amore per ogni donna. Si che raccoglierò i tuoi delicati petali, e dal distillato di quel dolce liquore berrò una pozione di roseo colore, affinché il tuo nettare mi dia nuovo ristoro. Dolce nocciolo Per liberarti dai pensieri più cupi, i soli capaci di assumere, forme di mostruose chimere, vagavo furtivo sopra quelle alte rupi. Tra vecchie mura e ruderi spettrali, alloggiati sotto scoscesi dirupi; tra ombre deformi ed infernali di querce ricurve dal tempo e dal vento, incurante di notte, volavo con ali d’ argento. Cercavo con ansia, in tutti i meandri nascosti, pensieri dolci e sublimi che prendessero il posto, per farti felice, di quelli più tristi. Con grande passione mi laceravo, fin tanto non ebbi questa sublime visione: sfiorando le fronde di un dolce nocciolo, che tratteneva in un ramo, indolente ma forse geloso, un candido e sperduto bocciolo, suo unico fiore, vidi far capolino reclinando quel ramo e ripiegando le ali, confuso e stanco, il tuo sguardo sincero e vi entrai dentro. Catturare finalmente potevo, ogni tuo brutto pensiero, e farlo finire se tutto era vero! Superando il lento fluire del tempo, passando in rassegna tutti i pensieri, un solo pensiero, uno riflesso nella tua mente, ma il più struggente sono riuscito a carpire, quelli più tristi in un attimo sono tutti svaniti, quando ho compreso che non sono mai esistiti. Quando il sogno è finito e dopo tanta fatica, ogni cruccio è sparito, solo una cosa ho capito: che ti voglio un bene infinito. Un pensiero che avevo tanto agognato, era nascosto, confuso fra gli altri, ma l’ ho scoperto e per te l’ ho rubato!, dopo averlo con dolcezza afferrato. Ricordi quel dolce nocciolo, quell’ unico fiore, quel candido sperduto bocciolo!? l’ ho raccolto e con quello ho colmato, con quel fatidico e romantico volo, un vuoto profondo che avevo nel cuore! Un mago un po’ strano Un mago un po’ strano, ammirando le bellezze di un placido lago preso da un dolce pensiero rubò di nascosto quelle cose rare, ammantate di arcano mistero, e per gioco ma forse più per amore d’ incanto le trasformò in un bel volto di fata. Così quando la bella dal sonno svegliata sollevò lo sguardo, alla sua vista, quel mago un po’ strano… stupefatto da tale prodigio, queste parole le rivolse incantato: I tuoi lunghi capelli, sono la treccia dove la barca si àncora, sono la coda di ninfee e giacinti intrecciati che sciogli con appena accennata carezza al primo sospiro di leggera brezza, per veleggiare nel lago, ancora, in un giorno di festa. Le tue guance, colorate di rosa sono l’alba che rischiara la dolce collina, quando l’ acqua del lago scende cheta a dormire e appena iniziata la giornata tarda divertita a finire. Le tue palpebre, mosse da lievi tremori e bagnate da candide schiume, sono ali di giocose rondini che si librano in volo, trasportate dal vento come leggere e soffici piume. I tuoi occhi, sono cerchi perfetti e lucenti dell’ arcobaleno che si cela nel buio lontano e profondo del lago, custodito con minuziosa cura da un vecchio drago, perché ad ogni scroscio si adorni in un baleno, di tutti i suoi sette colori, il cielo più oscuro. Del tuo dolce nasino, che guarda diritto e curioso all’ insù non ci sono parole che io non possa pescare per innalzarti ancora più bella fino alla luna o anche più su’. Le tue labbra, vermiglie e increspate; sono onde mosse da cigni neri che si colpiscono in fiero e mortale duello con fendenti di becchi taglienti. Il tuo sorriso, adesso lo vedo!è di bianche perle, levigate da ogni torrente e donate dalla precipitosa corrente, per illuminare finalmente di luce il tuo grazioso viso! Il tuo profilo, è gioco di linee perfette,è un arazzo di balletti eleganti, intarsiati con candido filo da una coppia di bianchi cigni che tramano in acqua con languidi occhi di giovani amanti. Le tue orecchie, sono il porto di musiche soavi, sono approdo sicuro di note intonate da archi suonate, dopo il canto intrigante di suadenti sirene, al ritorno da un viaggio nel limbo più oscuro: chissà invero, se un giorno sapranno ascoltare anche la dolce armonia di quel povero diavolo che ha declamato questa poesia! I tuoi neri capelli Raccogli con gesto grazioso e regale i tuoi neri capelli in un fazzoletto di seta gialla, fai poi roteare i lembi di quella stoffa, come fossero una giostra impazzita: voglio sentire la testa che mi gira stordita, come una trottola che gira infinita, sul filo che balla in un precipizio, finché priva d’ inerzia cada esaurita, in quella spirale inghiottita e poi per magia torni sul filo a roteare come fosse all’ inizio. Girando gli occhi all’ indietro, un po’ all’ insù fino al cervello, sento uno sciame d’ api impazzite che mi ronzano dentro la testa e in formazione superando i nembi più alti, rincorrono te e quei luccicanti lembi gialli, confusi per polline e miele. Prima che dopo ogni cosa diventi meteora, svanita e dimenticata, io seguo te e quella scia come fosse la coda d’ una stella cometa. Dentro la testa sento l’ infinito universo e mi scoppia la testa, d’ amore perso: vedo le stelle, in quel cielo terso, che si rincorrono in quell’ immenso spazio infinito, andando verso l’ ignoto o verso chissà, ma forse verso un destino meno perverso. Ecco mi dico, come è nato il firmamento e tutto il dolce creato: tu sei quella stella dove inizia la vita, che vola la più veloce di tutte le stelle, la più bella, la più splendente, che corre senza fermarsi neppure un momento. Ma tu stai adesso fuggendo in quello spazio: ti seguo poco distante quando ti vedo, mai tanto vicina, sperando che infine il mondo abbia al più presto una fine, per acchiappare finalmente quei lembi di seta fine. Anche se scappi dove c’è il nulla, ti giuro che andrò in quell’ infinito, fino a raggiungerti oltre ogni confine, oltrepassando ogni limite, dell’ umano capire e dell’ umano pensare, perché il tempo non avrà mai una fine. Naufrago Seguir il battito d’ ali delle farfalle, segnare la rota e finalmente salpare e solcare umide onde per navigare, lasciati gli inganni dietro fragili spalle. Naufrago, or m’avvicino a nuovo scoglio, il chiaro antico faro è un lumicino, il giorno ha ingoiato, il buio corvino, e appare in altro scoglio nuovo rigoglio. Già odo in alta rupe belar gli armenti, il falco pellegrino strider nella bonaccia, fra verdi muschi, licheni e picchi aguzzi. Muto il ricordo m’ abbandoni e taccia, tra onde sperdute e scure, e bianchi spruzzi, muto sprofondi nell’ oblio delle correnti. Nei tuoi splendidi occhi Quando, ammaliato da infinita dolcezza, mi perdo nei tuoi splendidi occhi, mi sento strano, solo e smarrito: alienato e vinto da questa magia. Quando, vedo i tuoi splendidi occhi, i riflessi sono come storditi, la vista si offusca dal bagliore di tanto splendore, e l’ emozione vince sulla ragione. Quando, vedo il tuo languido sguardo; sono travolto da ogni tumulto: gioia, tristezza, ansia, dolcezza, sorpresa, sgomento, tenerezza, sono i doni dei tuoi occhi dolci. Quando , veleggio in quel mare terso, in quell’ oceano dove son perso; le tue melanconiche sensazioni, sono compagne di uno stesso viaggio. Anche le travagliate emozioni, danno lo stesso messaggio, quando fanno il tragitto con i nostri sensi o quando le parole del cuore, fanno le rime con i versi d’amore. Quando, mi vince la tua bellezza, mi abbandono a ogni passione, sospeso a metà fra limbo e paradiso, e l’immaginazione soverchia, la più logica deduzione. Quando, ogni senso si spacca, si stacca, e dalla ragione, si slaccia, non è solo colpa del mio intelletto: anche lui è vinto in questo contesto, da questo splendore e da quel candore, che arriva dai tuoi occhi, direttamente al cuore. La sughera Parole nette e precise come ferite lasciano il segno. Come la scure dello scorzino quando, senza pietà e senza rancore, affonda l’ affilata lama, nelle dura e fessurata scorza, per aprire uno stradello, in mezzo a quella straziata pelle, e in quella linea è già scritto il destino. Del tuo improvviso inaspettato livore mi strazio, mai trovo ristoro, alle tempeste, alle tormente del freddo pungente, dell’ austero inverno. Non ho corazza, non ho coperte, se resto preda nelle gelide notti di formiche e di farfalle che in fila indiana e in processione, mi divorano affamate le ossa e la pelle per disporre le loro schiere. Ma non le ferite delle pene e le cicatrici della tua ingratitudine mi lasciano senza riparo, in preda a una strana inquietudine. Sono invece la tua risolutezza dura, simile a quella impermeabile scorza a negarmi illusione e fiducia; quando neanche l’ allucinazione smorza, un vento freddo che abbatte e sferza. Sono l’ acqua e la pioggia bagnate, che spengono ogni mio ardore che danno amarezza e dolore, affogandomi nelle lacrime di quel languore. Ma se devo morire d’ amore, arso d’ amore voglio perire, ucciso dal fuoco di quel dimentico amore, come la sughera muore sola, solo per mano di un crudele piromane in un rogo di immane calore. Dolce fiordaliso E’ forse un angelo che cinge la tua spalla destra con una morbida ala di seta e ti sfiora il profilo, fin sopra le tue guance arrossate, quasi fino all’ orecchio, finché caldo tepore spazzi ogni nube. Le tue palpebre, piccole ali di evanescenti falene, catturano sprazzi di immensa luce e nel cielo vibrano come strumenti accordati di cetre e di lire, che fanno sentire, musiche antiche, insieme a incantevoli flauti soffiati: dolci siringhe di zucchero e pan filato. Poi versi un po’ confusi, in alto nell’ aria librati, ti fanno volare melodioso usignolo, in un giardino di more e mirtilli, dove puoi fare come ti piace, marmellate di more e torte di mirtilli a forma di cuore. Se parole dissennate cadono nel vuoto, loquaci voci volano nel vento leggero, ti sfiorano il viso come dolci carezze; sbriciolati cristalli di sale, che bruciano gli occhi, son quelle lacrime, che generoso pizzo d’ ambra, finalmente sgombra dalle tue guance irrighiate. Io l’ho visto serafico, vezzoso, fasciare il tuo splendido corpo, con le sue calde e candide piume; forse è un angelo arcaico ma umano e potrebbe portarti più lontano, delle stelle del firmamento, forse guidarti fino alla luna , ma non potrebbe, con le dita farti toccare le soglie del paradiso. Stai attenta poiché io ben lo conosco, dolce fiordaliso, non so se lui e quell’ altro sono, la stessa enigmatica persona. Forse è il presente e il passato, delle tue irrazionali emozioni, spirito libero, che guarda al futuro, tra illusioni e speranze, o solo un uomo solo, con pregi e difetti di questo volubile mondo. Cammino renitente Cammino renitente in cerca del vero, fa freddo sul collo, alzo il bavero nero, cerco un pensiero, nascosto fra i cento, che fluttua leggero, sospinto dal vento, percorro un sentiero nel buio più spento, greve sento nel cuore, vivo il tormento, sferzante vento sento, in un albero, sui rami si staglia, un rosa riverbero: il vero, nel celo rosato e lontano, si cela al volo, di roseo gabbiano, ali librate in levitante cadenza, che sanno d’ infinita, somma sapienza. Insipiente, da un pantano infangato, ora vola in quell’ azzurro fatato; e vaga, con le ali della sua fantasia, sognando la dolce, sublime poesia. Mai così Mai così meschino è stato il destino, quando l’ arco teso l’ha innamorata, langue ora spersa in quel crudo catino, l’ anima lacerata, spenta e strappata. Di frivolezza si è persa e dannata: odora di zolfo, se brucia il cerino; così ardua e dura sarà la giornata, nel triste vaso di puro adamantino. Solo lacrime dolci, intrise d’ amore, spegneranno il fuoco in quel calderone, da fiamme alte e passione attizzato, ma della salvezza si sentirà l’ afflato, quando l’ amore vincerà sulla cagione, e quando invero passerà il languore. Sleale e bugiardo Sleale e bugiardo mi arringa, quando cammina di notte la ronda, par che di nero il cielo si tinga, in questa notte buia, mai così fonda. A mezzanotte la porta egli sfonda, parla, promette e poi mi lusinga, e veloce come rapace si fionda, mi prende al cuore, par che mi stringa. Alle sue voglie vuole ch’ io ceda, in una morbida stuoia sospinta, m’ accompagna solo la spenta luna. Per favore fate che lui receda, in questa notte mai tanto bruna, fate che ancor non l’ abbia vinta. Mi tenta La sua ala mi tenta indecente, la spalla sinistra or m’ accarezza con un colpettino evanescente, la sento colpita da calda brezza. Inizia la tresca, la dolce carezza, con fare insinuante e suadente, sfiora la testa con somma dolcezza, quel brivido mi oscura la mente. Quando la lingua diviene prolissa, onda smarrita mi sento nel mare, quando nel vento la vela si alza, mi conduce dove tesa s’ abissa, dove nel piano declina la balza, se svanisce la promessa d’amare. Quando sorridi Quando sorridi, vedo un oceano, quando porti quella bandana sento profumo di coste lontane, sogno spiagge, palme e mari gitani, odo musiche di violini tzigani, di calme acque, di placide onde, spruzzate da soffice neve che scende lieve dal cielo; delicati cristalli, sempre più fini, trasportati da generosi e curiosi delfini, fino al tuo dolce clementino sorriso. Sogno paesi lontani, pirati, ricchi tesori: angelica e intrepida, come la figlia di Barbanera, comandi un misterioso veliero di quattro vele, ogni tua vela mi da sicurezza, in ogni viaggio l tuo timone non sbaglia una rotta, il tuo sorriso è sciabola al sole lucente, che mi protegge, da corsari e briganti, quando; in quel galeone, vicino alla fosse, oltre ogni confine, attendo spaurito l’ agguato dei mercenari di Barbarossa. La poppa sinuosa e armoniosa,è verde collina, la brezzolina della mattina… l’accarezza leggera. La prua è dolce madre, abbraccia i suoi figli, se l’onda cattiva li vuole rapire, se di tuoni e saette, la burrasca spaventa … li accoglie nel petto. I tuoi quattro alberi, nella bonaccia sono vele che viaggiano lente, nello scandire del tempo, metronomo delle nostre veloci stagioni. Quello più avanti, il più stagionato, legno di frassino o tasso,è tagliato in inverno, ma è buono lo stesso, perché resiste nel tempo. Quello appena più dietro, ha colori più tenui, quelli dell’ acquarello, è l’ autunno …è legno di faggio, e precede l’ inverno, seppure di poco. Quello ancora più indietro, è pioppo d’ estate, il legno più caldo, caldo come il mio mare, il più bello del mondo, e di averlo a portata di mano, sono davvero orgoglioso e mi sento giocondo. Quello più alto è di legno più fresco, di primavera, sta in mezzo alle altre stagioni, porta nuovi colori, rinnova l’amore,è di sequoia perché mai esso muoia, ha il pennone più alto, per issare bandiera verso l’ azzurro, che fa battere il cuore, che fa pulsare le vene, in un magnifico cielo di stelle. Scendi da quel piedistallo Scendi da quel piedistallo, torna di nuovo sulla terra, torna fra noi mortali… etereo angelo bruno: liberati prima dell’ una e poi dell’ altra ala, unico vestito della tua pelle chiara. Falle cadere quelle ali, sotto le nuvole di quest’ alba screziata, d’ ambra e di rosa. Copri le nude forme con un celeste lenzuolo, lasciando si pure scoperti e nudi, la schiena e i fianchi, candide pietre cesellate da artisti sapienti, marmi tagliati nelle cave, dagli scalpellini del paradiso. La tua beltà rendi ancor più divina, ma torna essenza più matura, in questa cruda e rozza natura. Fai che diventino sassi pesanti, le ali, fai che cadano nel vuoto, in quel precipizio dove son caduto, ma dopo lo schianto, risalgano solo leggere piume ascese nel vento dai vortici delle calde correnti, perché mai io sia vinto dalla tentazione di volare, verso i sentieri della protervia. Caldo libeccio spira verso le piume, sparse dal vento in quello schianto, prima che si riconducano al cielo, ali spiumate di colomba, ghermita in volo da artigli di veloce e silenzioso rapace. Voglio guidare un branco di cervi dove la strada s’inerpica, dove c’è fango nelle tue orme, perché il calpestio di zoccoli duri, cancelli ogni traccia. Ti sia celato, di ogni superbia, il sentiero che sale in quell’ erta, imbiancata di neve sciolta in una sola stagione, dai caldi raggi del sole: vanitosa, nuvola sospesa in aria, ritorna indietro da quel sentiero, c’è ancora tempo per altre ali, c’è troppo tempo per aspirare al cielo. Vicino a un’ arcobaleno Vicino a un’ arcobaleno, nel cielo ancora grigio, volteggia alto un aquilone, tenuto al filo dalla mano di un bambino: quel filo lascerà, soltanto quando, l’ amore di una donna troverà; accanto all’ aquilone nel cielo… ora meno grigio, arriva un aeroplano, seduta dentro c’è una bambina, dal finestrino saluta quel bambino e vede l’ aquilone: chissà se un giorno, quella bambina, diventerà la donna del bambino. Chissà quante volte e già successo, e noi non lo sappiamo, a volte il destino è appeso solo a un filo, a poca distanza, a meno di un baleno, nel cielo azzurro… ormai, tra un aquilone, un aeroplano e un arcobaleno. E anche quando di questo null’ accade, di sicuro la fanciullezza è il ricordo più bello che ci resta e più ci aggrada, della nostra giovinezza. Un sospiro di vento Fammi sentire ancora lungo la schiena, quella brezza che soffia dolcissima fino al midollo. Fammi sentire quel sospiro di vento leggero, che accarezza in un campo le spighe d’ avena. Se propizio sarà stato l’ aratro, di buon raccolto sarà l’inverno, se foriero di tempesta quel vento, di raccolto vuoto sarà il granaio, ma pieno del mio dolore il baratro. Fai ancora che rischiari la mente quel vento, che spazzi ogni nube, finché non cada stremato satollo. Voglio vedere la neve sciogliersi al primo raggio di sole, perché diventi di nuovo vapore, poi ancora rugiada di delicate gocce, spruzzate dal vento, che si profila, invisibile, in direzione del tuo dolce profilo. Devo capire se in quell’ impluvio si è abbattuto un diluvio; se la dolce rugiada, che scende serena, è stata corrotta dall’ aspro gusto dell’ amarena, se lo scorrere lieve del fiume, rapisce il sale di quel mare lontano, fioco barlume di onde lontane. Fammi dissetare alla fonte della tua bocca, col distillato che sgorga dai tuoi umidi occhi. Fammi assaggiare quella mistura, voglio annusare profumi dalla la tua pelle di seta, essenze liberate da odorosi incensi, nelle tue guance di petali rosa e di bianche orchidee, dopo le angustiate, ammende dei sensi. Devo discernere, quale sia l’ effluvio, quale sia il retrogusto delle tue emozioni, e infine asciugarti con un fazzoletto di seta pura, quel velo sottile di malinconia e di paura, devo capire una volta e per sempre, quale è la cagione di tanto sgomento, quale è il tragitto che devo seguire, per riaprire il solco del tuo dolce sorriso, in questa notte buia di primavera. Misteriosa signora Notte, dimora di chi viene e chi va, dimora di persone, non sempre perbene. Chi vai ospitando dentro, il tuo abito, lungo e nero?! chi brancolando nel buio, si rifugia sotto le tue ali nere? Signora, è vero che: ubriachi, falliti, ladri e banditi, donnacce, barboni, nottambuli, peccatori, sono i tuoi figli prediletti, bella, suadente, signora nera!? Signora misteriosa, di te bisbigliando, dicono in molti: col suo sgargiante, abito da sera, tutto lustrini e paillettes, è un po’ frivola e sciatta, quasi cordiale, quanto intrigante, ma pronta a colpire, pronta a rapire, silenziosa e scaltra, come una civetta con la sua preda, chi partecipa alla sua festa. Signora misteriosa e scura, per me sei solo, una tenera madre, che accoglie amorosa, nel suo scialle nero, anche il figlio più brutto, il più cattivo, o fosse anche un feroce assassino. Incuti paura nel buio più fondo, ma invero sei tu che hai paura del buio: di restare sola nel buio, quando l’ alba scaccia le ultime tenebre, e le luci delle città vengono spente. Notte, sospirata e attesa, da tutti gli amanti: quando i lampioni dei viali, le luci delle vetrine, le luci dei night club, dove tutta la gente, è vestita a festa , vengono spenti, aspetti con ansia che il crepuscolo, ti preceda di poco, per offrire al mondo, un altro girotondo. Signora, adesso so’ perché hai paura che il buon giorno, laborioso e austero, disveli ogni cosa, togliendoti il velo. Hai paura che il giorno, sia la condanna, dei tuoi figli un po’ derelitti; e si erga a carnefice e giudice, poco indulgente, poco incline a far sconti, anche a chi sbaglia per troppo amore, o per troppo dolore, quando neanche il rimorso, vale il perdono. |