Ebbene, morii
Quando morii,
non ebbi l'idea
di che fosse l'Assenza:
forse la non presenza,
il non rimpianto
oppure il disincanto
da ciò che fu illusione;
un arrivo? Una partenza?
Oppure il rinvio
verso un'altra occasione?
È proprio laggiù,
nelle catacombe dell'anima,
fra le croci e le tombe,
nei pertugi segreti
dell'erebo
che le ombre parvero
indursi verso la luce,
ambiziose come sussurri:
silenzi violati da me
mentre morii.
Ebbene, morii,
ma non fu una volta soltanto,
ma un milione di volte:
una filza infinita di porte
e per dischiuderle,
neppure una chiave,
ché talvolta il passaggio
da un ardore ad un altro
non è che il presagio
d'un amore incompiuto,
sentimento svenduto
recitando un rosario
di fasulle orazioni,
mere intenzioni
di posporre alla fine
l'insensato miraggio di chi,
quando fui vivo,
mi uccise ogni giorno
e poi volse le spalle
quando morii.
-Dalla raccolta Le Catacombe dell'Anima,
Ed. Il Foglio, 2006-
Moderno Chisciotte
Sto qui cavalcando,
moderno Don Chisciotte,
per la mia Dulcinea,
esattamente agli opposti
d'un'ingiusta realtà,
sotto un sole
che squaglierebbe il cervello
a chi n'avesse uno.
Trasformo locande in castelli
e mulini in giganti
vagheggiando un sogno infattibile,
mentre duchi e duchesse
si beffano della mia follia.
Affonda la lancia,
oh Cavaliere della Bianca Luna:
io nulla rinnego.
Ah, Sancio, la Libertà…
-Dalla Raccolta "Le Catacombe dell'Anima", 2006-
Con gli occhi di un risorto
Se non vuoi dir che io sia vero
puoi dir di me che sono Inganno;
se vuoi negar che sia insincero,
puoi chiamarmi Confessione,
ma la delusione è esser vani:
che vuol dire accondiscendenza?
Eppure c'è chi pensa
che vi sia reale orgoglio
star nel mezzo di sconfitta e gloria.
Con gli occhi di un risorto
osservo Madre Verità
avvolta tutta intorno,
come l'aria che respiro,
da pura Vanità.
Vita, cosa sei?
Vita… cosa sei?
Forse un anelito torrido
come gli aliséi?
Oppure un rivolo, mai arido,
d'acqua diafana e calma,
benedetta dal Signore,
per sedare l'alidore
dell'assetata alma?
S'ode una bronzea campana
tintinnare tinnula,
e ci si bea al suo tinnìo,
ché pare d'ascoltare
cinquecento cherubini
dal vociar giocondo,
che danzando tondo a tondo,
con sorrisi ragazzini,
rifulgon più del Sole.
Vita… cosa sei?
Non certo la linea abbozzata
da fanciulli pellegrini
nel tratteggio di due date,
ma un fuggevole interludio
fra Mistero e Verità:
un passaggio transitorio
al di là dell'odio
e dell'umana vanità.
Perciò, campana scura,
con tripudio devi clangore
e che il tuo piglio sia a martello;
noi, quaggiù, con l'occhio terso,
non abbiamo più paura:
intoneremo senza piangere,
il tuo gaudioso ritornello,
con lo sguardo in su riverso
a quel turchino manto,
oltre il quale s'alza un canto
che ha sapor d'alba infinita,
poiché Lassù è la Vera Vita.
(Davide Vaccino)
NOTA: questa poesia è stata letta, e poi donata,
a Sua Santità Giovanni Paolo II, in occasione della benedizione, a Roma,
della "campana della vita",
realizzata dall'associazione "Raggi di Sole" di Vercelli
in memoria di tutti coloro che, per malattia o per incidente, sono
morti in giovane età. La campana
ora si trova presso la chiesa di San Pietro Apostolo,
nel quartiere dell'Aravecchia a Vercelli e la prima domenica di ogni mese, i
suoi rintocchi ricordano
chi se n'è andato troppo presto.
Esistere 2003 Un balzo ad occhi chiusi in un pozzo senza fondo: amplessi d’angoscia e baci di tenebra; palpiti, fremiti e freddo; sgomento… Sfumata eclissi di brame; dolente Via Crucis verso il martirio, fra voci-non voci ed oscure chimere; tormento… Questa è la vita: vero dolore in un mondo ch’è farsa; sentirsi virgulto di salice, mentre, intorno, tutto è vento.
Pregando a Ground Zero (N.Y. U.S.A.) Disegnaci a china, oh Maestro Divino, or che la Nebbia ci confonde col Nulla, e che l’Inferno si combina col Gelo: che possa “Amen” vergarsi “Mai Più”. Infiniti Riflussi Infiniti riflussi, verso la vespertina quiete, conducono, ancora, la psiche mia vagabonda, per eterni pensieri creduti dispersi nelle balze del tempo, a sfregiare il presente con torture passate e oggi risorte. Angosce, ossessioni e paure tornano, vive, a marciare al fianco e dentro di me, povero spirito: scorata anima e stanca d’amare. È La Mia Vita Fisso quel vuoto che ho tutt’intorno, e vedo soltanto pagine sporche di un passato tracciato con mano troppo leggera, con tanti errori d’ortografia. Segni rossi come il dolore rigano fogli ricolmi di pensieri sbagliati: è la mia vita, quella che ho scritto; disperati monologhi fra brevi silenzi e sprazzi fugaci di debole gioia; fiumi di lacrime raccolti in disordine in centinaia di otri - tutti i miei versi - da gettare nel mare, per confondere il pianto con l’acqua salata. Notte Horror… Lontana Il freddo del Primo Novembre aveva scaldato il tuo cuore, ed io ti tenevo la mano, ricordi? Rammento il tuo imbarazzo ed il rossore che tinteggiava le tue gote lisce d’aspirante ragazza matura: è così che dicevi? Suspiria ti faceva paura, ma io ti tenevo la mano, e tu la stringevi un poco più forte ad ogni colpo di scena, o quando la musica s’andava infittendo d’ansiosi, angosciosi presagi che poi svaporavano in turbinii di fumo… Quello, antico amor mio, era il tempo dei sedici anni: un gaio tassello di vita dipinto d’un colore diverso ora alquanto sbiadito… Oggi, si trema non più per un film dell’orrore, ma quando qualcosa t’inquieta, chissà… chi ti tiene la mano? Un Biglietto per il Paradiso Agnes aveva un passaporto e sulla bocca un bel sorriso: un battello l’attendeva in porto, con un biglietto per il Paradiso. La felicità costava un milione, le promise una persona, ed un viaggio su un gommone, l’avrebbe condotta da Valona verso il tacco di un Vecchio Stivale, dove avrebbe vissuto una vita normale. Agnes indossava il cappotto che le avevano donato i suoi nonni, come bagaglio un vecchio fagotto ed il candore dei suoi diciott’anni. Le vennero sottratti i documenti; venne rubato il suo unico fiore; vennero uccisi i suoi sentimenti; venne affidata a un protettore: la verginità, un pastrano e un bagaglio furono il prezzo per arrivare in Italia… Agnes, ora passeggia senza sorriso svendendo agli altri il suo Paradiso. Mazinga Contemplo il soffitto e m’affanno nel letto: vagheggio un remoto Natale bambino, e fra dolci, pastelli, castelli di Lego, pacchetti o fagotti dai mille colori, ai piedi dell’Albero, grande e possente, vedo Mazinga. Mia madre e mio padre osservano e dicono: «Guarda Mazinga, è quasi più alto di te!» Ridono. Contemplo il soffitto e m’affanno nel letto; non dormo; sbuffo; mi alzo, poi scendo in cantina; fra i ragni e la polvere, in un angolo buio, sciupato e fragile, riposa Mazinga. Sorrido… gli chiedo: «Ma davvero è già Oggi?» Morte di una Poetessa (ad Amelia Rosselli, poetessa, morta suicida) C'era un mondo da stringere forte, e schegge di vita da catturare; verdi prati su cui danzare, e un violino; e un pianoforte. C'era un cuore un po' ferito; un po' malato; un po' deluso, e un pensiero tanto astruso che non venne mai capito. Soli... non lo siamo un po’ tutti? C'era un angelo, che per volare, usava i versi, e non le ali, e lunghi silenzi, troppo uguali, erano un lago in cui nuotare. C'era un cielo, tutt’intorno, tanto viola da far paura, e una notte, tanto scura, che mai più si fece giorno. Soli... non lo siamo un po’ tutti? E tu, che cogliesti, come fiori, l’emozioni dei viventi, perché celasti la tua mente dietro all'ombra dei dolori? Credi a me e a tutti noi, che viviamo di poesia: vorremmo tutti fuggir via, ché siam poeti, non eroi, e se scriviamo di paesaggi luminosi come Soli, è perché abbiam coraggio, ancor, di vivere da soli. Notturno… sognandoti (acrostico) Adoro Lune Enigmatiche Sussurrarmi, Sornione, Irreali Alchimie: Misteriose, Arcane Ninfe Cantano, Invidiose, Notturni Inni. Ruvidi Cilici e Abluzioni di Cenere Ruvidi cilici… Baleni fulgenti, nell’algida notte perenne, sobillano l’agonia di stelle morte e silenti. Abluzioni di cenere… Come prigioni, le coscienze, plagiate, reggono dogmi dissipati in inganni vaporosi d’eoni. Con fragore pestifero, dopo migliaia di ere, risorge, nel cielo, Lucifero: oh, risveglio dolcissimo, in un’Alba Priméva dal sapore antichissimo… Di Uno Sguardo Rubato Informe, delizioso, frettoloso insetto di vento; lamento selvaggio, occulto miraggio; sentimento eccitato di pentimento fragrante d’orgoglio - puerile… senile… - mormorante: «Ti voglio». Alice all'Inferno Voci, venute dal nulla, cantavano vecchie canzoni e una Regina muoveva la culla regalando nuove illusioni ad Alice, caduta all’Inferno… Era nel cuore degli Abissi che si celavano i suoi desideri? E poi quanti doni, solo promessi, le erano parsi veri e sinceri, e destinati a durare in eterno… Ma il pozzo era alquanto profondo, o lei vi scendeva assai lentamente, nel tentar di raggiungere il fondo di quel regno presunto, fatto di niente, per non tornare a rivedere l’esterno… Alice… ora dov’è lo Stregatto? Bevi ancora un tè con il Bruco? E il Coniglio? E il Cappellaio Matto? Li hai tutti sepolti in un buco freddo e buio come l’inverno? Una Bestia bianca, oggi ti artiglia, e nei tuoi occhi non c’è più meraviglia… Una Bella Poesia (alla memoria di Dario Bellezza, poeta, morto di Aids) «Una Bella Poesia m’avrebbe salvato», asserì, sconfortato, un poeta malato, sorridendo nel dirlo e celando il rancore verso quel tarlo assassino d’amore. Frattanto, nel cielo, garrivan le rondini in una primavera pittata di carmini. L’affranto stupore dell’uomo stizzito eccedeva al dolore del corpo ferito: la mente frullava, insieme agli uccelli, ed egli sognava, ancor, sogni belli nel fondo d’un cuore ormai avvizzito d’ex pecora nera, ora di lupo smarrito, ma la penna gemeva, sugli ultimi versi, ch’egli, lasso, stendeva, d’amori diversi, lasciando fuggire, digerita dal Fato, la Bella Poesia che l’avrebbe salvato. Gente Perduta Gente, perduta in mesti o prematuri tramonti, feroci e struggenti di malinconia, e poi ritrovata scavando nella fossa dei ricordi, poiché la memoria e la fede sono miniere traboccanti d’oro. Anche per chi, come noi, è un veterano della sofferenza e del rimpianto, la speranza non è mai vana, giacché sappiamo che la solitudine è soltanto laddove c’è il silenzio, e che se la vita è una lotta strepitante contro se stessi, la morte è nient’altro che un saluto gridato più forte degli altri: un congedo da un mondo variegato di cause ed effetti, ed un punto d'arrivo verso la Vera Coscienza. Gente, perduta e poi ritrovata, perché veleggiando nei mari furiosi dell’esistenza, l’Infinito non è che una sfera, per cui navigando, indifferentemente, ci si allontana… e ci si raggiunge. Non Vivere (ad Alina) Francesina color cappuccino, sei dolce e tuttavia un po’ acida quando eludi la ressa con aristocratica incuria per poi parlarmi per ore del tuo desiderio di un villaggio globale sorseggiando un flute di Champagne sulle note di una fuga di Bach o citando Rimbaud; tu sei così come sei: troppo lontana dai rissosi bistrot frequentati da me, che spesso t’irrido, anzi, mi beo, qualora, accigliata, mi dici: «Mettez donc vos lunettes», allorché gli occhi chiusi li tieni un po’ anche tu… contraddirsi è l’arte più franca, in questo frenetico divenire d’istanti che romanticamente ami chiamare - con molta più poesia di me - non vivere, ma «Respirer le jour». Misticismo MMIII Orologio d’ogni vita; cuore pulsante al di sopra del cielo: ialino è il tuo manto che regge le stelle senza pur, tuttavia, il loro lustro velare. Antica luce di pace; perpetuo, incorporeo, compagno ed amico; eterna sublime certezza: vicina carezza distante dal tatto. Chiudere gli occhi, sedare i pensieri; morire? Sognare? Volar fra le braccia tue, ansiose, senza timore: vorrei essere Uno con Te; essere Spirito Santo; essere Amore. Quelli Fortunati Quelli fortunati, sono diversi da me: negli occhi lucenti hanno un lago tranquillo che rispecchia il sereno d’un cuore, nel petto, che non pulsa impazzito per le attese tradite. Quelli fortunati, sono diversi da me: il loro passo è veloce, non si voltano mai, e nei pensieri hanno stelle sfolgoranti di luce che gli attizzano i visi di quiete infinita. Quelli fortunati, sono diversi da me: hanno fra loro un’intesa che fomenta bei sogni e una pace, nell'animo loro, che li preserva dai ricordi di lunghe giornate sofferte rincorrendo utopie. Quelli fortunati, sono diversi da me: affollano i viali del mondo con una donna a braccetto e uno stipendio sicuro alla fine del mese, ciarlando d'amore e scambiandosi baci. Quelli fortunati… si sono accontentati. Visione dell’Ultimo Giorno Lande vaste e desolate, mi pare quasi di vedere, ed infiniti orizzonti abbracciare terra e mare: oggi la Bianca Colomba è tornata a volare sui deserti lordi dell’umano rancore, assassino dei nostri figli e fratelli, e spiegando le ali ricopre d’un misericordioso sudario i corpi straziati di madri e di padri che non sono più tali, giacché più nessuno è rimasto per piangerli, se non Ella stessa, con fiotti di lacrime amare dal purpureo colore del Martire Sangue che da ora, in eterno, l’incorona Sovrana d’un regno di polvere: Regina di un mondo - un mondo silente - senza ritorno e ricordo. Compleanno 32 (8 Settembre 2002) Un quarto di secolo e poi sett’anni ancora d’occasioni improbabili e tentativi gettati in nebbia e fumo; d’amari amori traditori e d’altri sognati soltanto; di burrascosi pensieri e d’inquietudine profonda, fra troppi sorrisi d'angelo che spesso ho fatto piangere e non ho meritato mai. Rimpiango gli abbracci che mille volte ho respinto, e tutti quei baci che non ho ricambiato, o quelle parole taciute che nessuno ha mai colto, giacché abortite nelle torbide acque del mio egoismo meschino. Troppa gente è fuggita lontano prima che aprissi il mio cuore, mentre ai miei cari ho elargito null’altro che gelo, per pura viltà. Oggi il Nulla - tutto ciò che possiedo - mi bisbiglia all’orecchio «Non voltarti indietro: potresti avere paura». Destino Incespicando puoi cadere disteso a terra e fermarti, rassegnandoti a vedere il mondo intero sfiorarti e camminare indifferente senza stare ad aspettarti, in un viavai di gente che non t’aiuta a rialzarti. Puoi bramare il successo; puoi berciare: «Io voglio tutto e lo voglio adesso!» gremendoti d’orgoglio, per aver mille servitori obbedienti ai tuoi voleri, o per quei fasulli amori che hai pagato come veri. Non importa dove siedi - nel fango o in poltrona - è quando t’ergi in piedi che diventi una persona sprezzante del capestro che ti ha legato al collo con inclemente estro Colui che ha il controllo di tutto ciò ch’è stato: Sua Gravità il Fato. Pulvis et Cinis Noi miriamo all’Eldorado sostenendoci a un bastone che chiamiamo Religione, illudendoci vi sia un guado che conduca all’altra sponda di questa vita invereconda. Non vi sono altre strade al di là dei grossi massi che sbarrano i sentieri delle squallide contrade calpestate a lenti passi zoppicanti eppure fieri. L’umanità è una scoria, lasciata al suo destino, tracotante sol di boria d’esser simile al Divino, ma siamo solo polvere: materia evanescente; noi siamo solo cenere… noi, non siamo niente. Disincanto Statiche passioni, foriere, soltanto, d’emozioni vaghe e bizzarre: la mia mente è un mare in burrasca che bagna l’incerto futuro con cascate di bruni pensieri. Il mondo è un oceano di nulla. Affacciato all’Universo, guardo la vita fissarmi negli occhi e fuggire. Eravamo Bambini La bici un poco pencolava minacciando ginocchia sbucciate sul sentiero imperfetto incorniciato d’estese risaie, e le ruote, dubbiose, tracciavano rivi sottili di polvere adusta ma profumata di campagna, al tuo incedere, assorta, in smaliziati pensieri, concedendo ai miei occhi centimetri di nivea pelle segreta - tanto vergine da sedurmi - svelata dai tuoi calzoncini nello slancio di pedalate birbanti: Dio mio, com’eri candida! Gl’infiniti garriti delle rondini in cielo; il click-clack dei lignei zoccoli che avvolgevano i tuoi piedi gentili, come un vecchio orologio ammattito scandivano i sussulti del cuore; il dolce sentore di quel groppo in gola che procura un’apnea d’amore, e i lunghi rifugi dentro i tuoi sguardi; i sorrisi maliardi e tuttavia innocenti, confusi fra mozze sbirciate falsamente nascoste da vera vergogna e imbarazzante, vermiglio pudore: c’era qualcosa ch’ardeva nell’aria campestre, bruciandoci l’anima, e noi, non sapevamo dargli un nome… Io Non So Sensazioni chiaroscure accendono e spengono, abbracciano e lasciano, il mio essere uomo: non so quel che mi resta da dare, né quel che ho ancora da prendere; un fuoco ghiacciato mi reclude in un limbo d’incertezze e misteri, ed io non so cosa fare: non so se rifugiarmi nell’odio; non so se pretendere amore. Ricordo, di quand’ero fanciullo, i pensieri innocenti e le corse nei prati: il bello d’essere al mondo senza domandarsi perché. Non so se legarmi al passato; non so se temere il futuro: il presente è soltanto illusione, uno specchio che mente riflettendo chimere e mostrando spudorate bugie: lo fisso e lui pare dirmi: «Guarda, sei vivo!». Chino lo sguardo. Rispondo: «Non so…» Io Stringo Stringo, e stringo, e stringo, e poi stringo ancora, sempre più forte, la falce di quelle condanne meschine che tu vorresti farmi scontare. Stringo, e poi stringo, e poi stringo, digrignando le fauci come una fiera, alle accuse insensate ed ai tuoi inutili inganni; taccio orgoglioso, ti scruto e poi godo della mia disperazione, nell'udire oscene parole d'offesa brillarti negli occhi con lampi di gelosia malsana. Ormai tu non sei più ciò che andavo sognando... e dunque lascia che s'abbatta su di me questa lama lucente: il mio sangue sarà una lacrima rosso rubino. Le Voci dei Morti Le sento fra gli scrosci d’acqua piovana sulla terra molle dei camposanti e fra le foglie ingiallite dei cipressi, in autunno. Le odo, fredde e gelate, sussurrare il passato, come fosse una fiaba, oscena e grottesca, da narrare ai bambini per non farli dormire, ché il sonno, talvolta, può essere eterno, e può condurre lontano. Sono le voci dei morti: brandelli di ricordi riportati alla mente dal vento d’ottobre; antichi lumi rossastri, scorti in notti rapite da pensierosa nostalgia. Piove ...e lacrime inumidiscono il mio risveglio come pioggia sulla terra ghiacciata nel mese di dicembre: inverno ed inferno d'ogni mia emozione; gocce d'amare sconfitte; piccole stille di malinconia. Dai vetri appannati, cristalli trasparenti riflettono angosce: io guardo di fuori e quello che vedo mi martella lo spirito, ticchettando decadenti note di fradicia tristezza. Si... piove... piove ancora... e bagna di dentro. Io Sono Io sono la radice dei sogni, l’amante di Calliope che si strugge - e distrugge - nell’ebbrezza dell’arte: ars mea, vita tua, oh, Mondo distratto! Io sono il vello del Cosmo, ctonio, terreno e celeste, l’orda ruggente - legio bellicosa - antagonista del Nulla: mors mea, ars tua, oh, Volgo vigliacco! La Signora Velata, la Signora, si muove trafelata nella Segreta Ora confondendo le sue orme con le notturne forme. Nascosta, la Signora, fra le selvose fronde, di scuro le colora, dal buio incoronata e del silenzio infatuata. Dietro labbra inesistenti, sorride la Signora, mostrando tutti i denti; il suo mantello è viola e l’aspetto esangue: c’è chi dice che consola come ardita meretrice, la sua ronca mietitrice, ma questa è una menzogna: pur spoglia di vergogna, se ci sfiora, la Signora, o c’ignora o s’innamora. Io Sono (parte II) Del vento gitano, Io sono lo spurio cantore, giocatore di certezze e d’azzardi: vi sorrido o derido? Fra sospetto e anarchia, Io sono ansia e terrore, voce di soprano e tenore che sussurra e vi urla: «Io sono e sarò, per sempre, Crepuscolo: non è mio dovere dovere invecchiare!» Avevo Avevo esplorato con te uno scorcio di passione pensando che fosse infinito ed alieno dal concetto di tempo. Avevo marchiato col fuoco le lettere del tuo nome amato sulla porta aperta del mio cuore credendo che quel giuramento reggesse per sempre, e scordando l’incoerenza del pensare «Io credevo...» Non siamo come la sabbia smossa dal vento di settembre? Avevo stipato i nostri sorrisi in un luogo sicuro e segreto, celato all'interno di me, - quelli altrui ignorando -: tanto, chi erano gli altri, senza di te? Erano i giorni in cui “io” ero “noi due”, e il sole splendeva brillando nei tuoi occhi soltanto… Com’è distante quel nono mese dell’anno: quant’è vicino, oggi, il rimpianto… Riposo Soldato! (a un amico) Assolato giorno di pioggia in un’estate ch’è tomba d’un’epoca: non c’è filo di vento e s’è spento pure un sospiro. Addio, compagno dei giochi di carte; antica memoria dei tempi di guerra; testimone, distante, d’esperienze e tragedie vissute cinquanta e più anni prima di me, combattendo anche per la mia libertà. Riposo, soldato! La tromba, sta intonando Il Silenzio… Ritorno da Sarajevo (versione rivisitata) Domandami il perché delle angosce, poi chiedimi a chi rivolgo, stanotte, i miei infausti pensieri. Vedrai: pur tu tremerai al crepitare dell’altero fuoco delle ombre che scorgo confuse, dipinte dentro i miei occhi al tormentato ritorno da un viaggio nei sensi. Ho un cielo nel cuore che ha viso di morte, il cui sorriso è una gabbia che costringe, me uomo, alla vita, e la sera si muta in un macabro spettro divorante, silente, i miei ricordi di bimbo, salvando, soltanto, quel desiderio, depresso, di pace spezzata che vedo riflesso nei miei sogni di vetro. Sì, lo So… (versione rivisitata) Si, lo so che stai dormendo, ma vedrai che non ti sveglio perché forse stai sognando un posto in cui si vive meglio. Sì, lo so che gli occhi chiusi li tiene chi non ha coraggio, ma fa niente: un po’ delusi lo siamo tutti in questo viaggio che qualcuno chiama Vita. Sì, lo so che i guai, ad aggirarli, non si fa bella figura, però so anche che affrontarli induce il cuore alla paura. Sì, lo so che vuoi che io ti dica che sei audace, forte e fiera, ma è una grandissima fatica parlar chiaro verso la frontiera che qualcuno chiama Morte. Perciò dormi, amor, riposa, io ti veglio, ma non ti desterò: nel velo bianco, tuo, di sposa i miei rimpianti avvolgerò. Sonetto per una Bambina Mamma è fuori, stamattina: è uscita e non s’è accorta che ha lasciato oltre la porta l’uomo nero e la bambina. «Ti voglio bene» lui le dice, e le chiede di giocare, ma lei cerca di scappare ché quei giochi non capisce e le procurano dolore… «Presto mamma tornerà», piange, involta nel terrore, nell’udire: «Vieni qua: non temere, dolce amore, fai felice il tuo papà…» Andando in Cafarnao Vieni: andremo a vedere quanto costa un sorriso di notte; se vuoi spegneremo le luci per guardarlo brillare e cadere come si fa con le stelle quand'è San Lorenzo, ed anche i nostri cuori, forse, faranno scintille per qualche momento; oppure, pagheremo di più, per farlo durare... vieni, che andiamo a sognare un amore sincero by night. Desiderio Vorrei camminare, baciato da un sole garbato, per calli cingenti distese di riso e di grano, rinvenendo l’arcaica saviezza degli avi nel tempo del loro eminente vigore; poi soffermarmi e mirarli innalzarsi a più alto lignaggio di quello d’un re, giacché, pur contadini, furono essi i veraci sovrani di questa madida terra benedetta dal loro sudore… Bramerei incocciarli lungo gli agri poderi - i visi abbronzati; gli occhi infossati - e riscoprire l’incanto che strega e che lega tali anime alla campagna (che sia l’Amore per Dio?) afferrando il nesso sublime fra Fede e Natura. Tutto è Gelo Questa vita è tutta gelo, e non v’è né focolare, o astri, su nel cielo, che la possan riscaldare. Tutto è gelo in questo mondo: ad ogni istante muor l’amore, ma l’assurdo è che in fondo per troppo amor spesso si muore. Poesia ruffiana E' mezzanotte e trentatre, e non è una rima cercata: è che sto pensando a te da quando t’ho incontrata, stamattina, fuor di Messa, rimpannucciata per la festa da non parere più la stessa, ed hai colmato la mia testa d’un forte, caparbio timore: ammalarmi, ancora, d’amore. Eri bellissima... Ma adesso sei splendida, mentre mi lascio cullare dalla tua essenza candida, e dai baci che posso sognare qualora sorprendo il tuo viso rispecchiarsi nel mio cuore, ridipingendolo d’un sorriso che lo ritempra di mite calore e d’un trasporto devoto e arcano che m’ispira ‘sto canto ruffiano. Quando Rinasceremo Quando rinasceremo, c’incontreremo, quaggiù, oltre i rivi d’argento, con occhi più lindi e ci guarderemo con fresche intenzioni: non più titubanze, non più diffidenze, né palpitazioni; rinnovate emozioni, impediranno all’amore di soffocare se stesso fra bivi – sentieri e forme – pitture dall’incerto colore, e come gigli dagli eburnei germogli rifioriremo. Se rinasceremo. Ricordo di un’estate La gioventù era un'onda impazzita in un oceano amico; pensieri s’alzavano silenziosi e sinceri: sembra ieri… E invece, bambina, la tua corsa veloce; il tuo allegro vociare; il tuo ansioso respiro, sono affogati rapiti dal vento, ma cari al mio cuore più di me stesso, tant’è che pensarti riaccende l’amore che ho per la vita; che ho avuto per te. E sarebbe un poema, che vorrei dedicarti, ma non sono capace: il pensiero si ferma incatenato al ricordo di quel luogo incantato, ancora una volta, stregato, a fissare quel sole, a guardare quel mare; ad osservare i gabbiani continuare a volare; e con triste ironia, mi viene da ridere nel vedere, pur senza di te, tutto il mondo vivere. Prometeo Tu rincorri sciamani in un mondo di uomini; insegui paradisi lontani per fuggire i tuoi demoni. Tu obbedisci a stregoni che, mascherati da preti, vomitano osceni sermoni farciti d’oscuri segreti. Tu persegui la luce brancolando nel buio, e m'addossi una croce innalzandomi a Dio. Ma io non sono un asceta: coi tuoi sogni ci gioco; sono solo un poeta: un Ladro del Fuoco. Era primavera Il Suo profumo era Primavera, quando mi amava, in gioventù. È una presenza fissa della sera, che sento seppure non ci sia più. Reca un’illusione che mi par certezza e come ai giorni verdi della pubertà mi sfiora soavemente e mi carezza per saziarmi di felicità. Il Suo sorriso era Primavera, e mi ha amato tanto, in gioventù. Mi consola quando l’anima dispera sospirando per qualche sogno in più. E a volta appare, fra i miei perché: ombra che sa di eternità; spirito che visse insieme a me un lontano amore e la serenità. Visione nata da preghiera; angelo fra gli angeli, lassù: il Suo respiro era Primavera; quanto l’ho amata, in gioventù… Il Diavolo Dentro Allo Specchio Negli uggiosi giorni di pioggia, - quando non so cosa fare - osservo il mondo che ho asperso coi miei pianti nascosti, e nel vederlo affondare, penso: «È un po’ colpa mia», ma non so se ci credo. Nelle ferrigne sere d’autunno, - quando non so cosa fare - cerco nel mio spiccio passato qualche frantume di vita, col timor di recare alla luce moleste emozioni confuse che non vorrei più sfidare . In ogni baleno di noia, - quando non so cosa fare - mi domando, dinanzi allo specchio: «Come posso cambiare?» e m’adiro al vedermi fissare dal mio stesso piglio stuccato, tanto che vorrei farlo a pezzi, quel muso di vetro, ma non so se rischiare. Scruto, dunque, in occhi di cristallo riflesso, l’incerto miraggio o l’errabondo barbaglio di un po’ di letizia, ma, con vampa impetuosa, uno spettro di cinica bocca beffarda e sguaiata, m’appare tuonando: «A che serve sperare? Non inventarti utopie e guarda, in silenzio, i tuoi giorni passare». Nel mio desolato deserto - quando non so cosa fare - cerco una stilla di forza per continuare a lottare.
A un’amica lontana Che gioia guardarti, Angelo Biondo, brillii lucevano, sul tuo limpido volto, in occhi di giada, in pace col mondo. Che bello parlarti, gradevole fiore, dei Poeti ogni Verso ti pareva rivolto, giacché infondevi fragranze d’amore. Al tuo fianco saggiai un sentore divino, a te confessai i miei celati segreti, mentre ignara, tu eri, del rio Destino che rapita t’avrebbe negli anni più lieti incupendo il tuo sguardo, ancora fanciulla, esiliando i tuoi sogni in un orrido Nulla. È brutta un’estate se ha colori slavati, e triste il saper che mai più raggeranno, così è aspro il ricordo dei giorni passati se si deve accettar che non torneranno. Che vuoto nell’anima, amica smarrita! Che fredda la notte, farfallina avvizzita! Che rabbia, nel cuor, nel vederti tradita da Colei che amasti di più… dalla Vita. Edgarpò (a Edgar Allan Poe) Moristi povero, fra i tremori della malattia, come un cane randagio, a Baltimora - mi pare quasi di vederti - lasciando qualche manciata di segni scarabocchiati su screziati fogli odorosi di vino scadente - forse lo stesso aceto che fu dato da bere a Gesù Crocifisso - ma quanta passione grondava, proprio come da un costato ferito, dalle gocce d’inchiostro contenute nel tuo calamaio… e quanta tristezza… quanta mestizia riflessa, deformemente ingigantita dal fondo d’un bicchiere proiettava in cinemascope la fatuità della vita, quarantasei anni prima dei fratelli Lumière. Tua è la sventura dei Grandi: donare irruenti emozioni col gelo del proprio dolore. Omicidio di Stato Li ho visti, sopra un furgone, sfilare tra i fischi della popolazione, a gruppi di venti, la testa era china, e gli occhi spenti: vivevano in Cina. Li hanno portati fuori Pechino, inginocchiati - poco più che bambini - il capo rasato, - la testa era china - gli hanno sparato: vivevano in Cina. Il sangue ha dipinto di rosso quel prato: lo Stato s’è spinto a perpetrare reato; con gli occhi spenti, - la testa era china - a gruppi di venti li ha uccisi la Cina. Un Lungo Cammino Laddove il sole scalda il cuore, un mio sogno arde d’impazienza e l’estate smarrisce quel sapore sapido di colpevole innocenza. Io conosco l’amaro che resta in bocca quando l’incanto cessa; quando, terminata una festa, si va diradando, piano, la ressa e il desiderio annega nel pianto, mentre la notte diventa mattino, e la vita torna ad esser soltanto un lungo, insidioso cammino: passi avanti e pensieri a ritroso, esuberanti flashback sibillini di un passato quieto e gioioso; ricordi distanti, tuttavia vicini, di giochi d’adulti, eppure bambini, mentre la strada era tutta in discesa, prima che diversi e spietati destini al nostro amore recassero offesa… e ciò che resta di quei giorni passati è un sentiero di memorie e ferite, e castelli sospesi per aria, incantati, ridotti a macerie dal tempo marcite; carcasse d’ombre, malinconici avanzi in cui spesso inciampo, pur di vederti, ma che poi calpesto, tirando innanzi, senza raggiungerti, senza riprenderti… Nel Silenzio il Tuo Respiro Quando i violini dei demoni, e le cetre degli angeli, si sciolgono nella discordante e struggente armonia d’un maestoso concerto, ecco il nulla; ecco il silenzio. Si zittisce il canto felice degli uccelli; s'arresta il germogliare dei fiori, o il nascere e morire del sole o delle genti; si dissolvono le stagioni, e il mondo si congeda da ogni suo colore affondando in un torbido abisso d’orribile quiete. Il tuo solo respiro, in questa notte freddamente spaventosa, come un languido orgasmo, riempie quel vuoto colmandolo di tutto. Attizzandolo di vita. In Delirio Scorta In un notturno delirio ti scorgo, e tu m’accogli amaramente, mentre il capo chino ti porgo e intanto mi dolgo miseramente. Quindi mi fissi con aura mesta: - scuri i tuoi occhi, bruna la testa - dopodiché m’imponi d’alzarmi con aspro cenno, senza parlarmi, e t’accomiati, mia principessa, figlia d’un Sogno ormai esiliato, bramata ma infranta promessa, oh, fior di speranza… essiccato. Faccio il Poeta Gli orrori della guerra, i pregiudizi religiosi, infangano la Terra d’istinti bellicosi… Olocausti fratricidi, malattie e povertà, assassini, suicidi e bugiarde verità umiliano la gente, contagiano il Sistema e minacciano il presente come un tragico anatema; in un circolo vizioso, droga, mafia e corruzione deturpano il glorioso onor d’una Nazione… Siamo solo uomini: ecco l’alibi perfetto per i nostri crimini. E io che faccio? Il poeta: piazzista d’emozioni, falsissimo profeta e venditore d’illusioni; inventor dell’acqua calda, accendino per il cuore, curioso che vi guarda, ruffiano e mentitore; strana specie d’animale, preda e predatore, un po’ intellettuale e un po’ calcolatore che scrive per diletto e per le persone sole; il mio peggior difetto è giocar con le parole, mentre il mondo muore in oceani d’indifferenza, ed orfano d’amore… Ma che ci posso fare, se ho scelto di sognare? Ciò che Vorrei Chiudere gli occhi è ciò che vorrei in questi momenti di buio sconforto e divenire farfalla che muore in un giorno, non foglia che cade e poi rinsecchisce o fiore che sboccia per poi appassire, né acqua che bagna o fuoco che brucia, ma vita che vola e sfiora la gente senza fare rumore, senza farsi sentire, senza essere vista, senza esser toccata: un palpito lieve che lambisce lo spirito, dà un bacio all'anima e poi se ne va. Prigionieri di Questo Mondo La vita è un refolo: a chi chiedere, dunque, il perché degli affanni? A chi domandare calore? Rendo alla notte gli amari terrori scorti in parvenze spettrali crepitanti in fiamme glaciali, che s’imprimono a fuoco nei miei ricordi, mentre rimpatrio dal mondo dei morti a quello dei sensi. Fantasmi ghignanti stridono come catene legando la speme di fuga al desiderio d’esistenza, sicché tutto si muta in doloroso castigo: un flagello che sferza, incrinando, le innocenti speranze, e come vento sussurra ai prigionieri di questo mondo: «L’Inferno può essere ovunque; il Paradiso… chissà…». Tristitia (filastrocca) Verdi prati celano alla nuda terra lacrime e sangue; foglie soffici curano le amare ferite d’un cuore che langue; rossa linfa di rosa, chiare stille di pianto: è questa la vita preziosa? È questa? Questa soltanto? Rossa linfa di rosa, chiare stille di pianto: è questa la vita preziosa? Dolore? Dolore e rimpianto? Cineree nubi annebbiano Le assolate giornate di primavera; dorate, le stelle, mascherano ogni afflizione la sera; nel grigio la mente riposa e un ago d’oro ne cuce l’incanto: è dunque la vita preziosa tutta racchiusa in un canto? Nel grigio la mente riposa, e un ago d’oro ne cuce l’incanto, è dunque la vita preziosa una triste illusione soltanto? Lamento Forse un giorno, dalla terra rifiorran, fra le marce foglie, queste mie corrotte spoglie di soldato morto in guerra. Forse a te, oh Patria cara, fra le verdi valli amate, tornerò, un dì d’estate, col tricolore sulla bara, per riposare in eterno, figliol Tuo dimenticato, sul caro suol materno, io, angelo immolato sugli altari dell’Inferno per Tua gloria aver lottato. Sonetto per Teresa Cuore tenero fra cuori duri, rosa bianca fra nere rose, fra le gemme più preziose diamante fosti fra i più puri. Tu, pilastro della Chiesa, casta sposa del Signore; sommo simbolo d’amore, Sorella nostra, suor Teresa, dedicasti la tua vita a lenir le altrui disgrazie con paziente e pio zelo, e con fede mai sopita dispensasti materne grazie prima in Terra, poi dal Cielo. Diversamente Uguali Uguali, diversamente uguali, siamo tu ed io, isolati da invalicabili muri eretti sull’assenza di parole. Uguali, diversamente uguali, eppure ugualmente diversi, ché mai suoneranno, per noi, le trombe di Gerico. Uomo a un Passo da Me Io ti guardo ogni giorno, papà, poco distante, a un passo da te, ma tu sei sempre troppo più in là: ci allontaniamo senza un perché. Il tempo passa, ci credi papà? E tu stai lì, ad un passo da me: vorrei che venissi un poco più in qua, ma forse non sai tuo figlio dov’è. Vorrei gridare; farmi sentire: farlo io quel passo in avanti; vorrei chiamarti e farmi vedere; vorrei sapere perché siamo distanti. Quando non parlo, tu sei silente e se io scappo non vuoi rincorrermi: mi dici che fuggo e poi ti lamenti, credendo che voglia solo nascondermi, ma se mi fermo e ti fisso negli occhi, tu abbassi la testa e un poco arrossisci: penso che in fondo siamo due sciocchi, ma non te lo dico, e tu non capisci. 26 Ottobre Baciato di notte era il chiaro di luna, sorridente nel cielo e sopra i sentieri; era dritta la strada; paura? Nessuna, in un cerchio di buio dai vaghi misteri. Carezze di vento rinfrescavano il viso nel ritorno al grembo dal quale eri nata; era troppo lontano – credevi – il Paradiso e vicina, oramai, la tua meta agognata. Un paese, una casa, e poi tuo fratello; tua madre e tuo padre, i visi a te cari; un mondo felice: il tuo posto era quello, oltre la via crudele, illuminata dai fari. Della tua breve vita i sogni infiniti; i compagni, gli amici: quante parole! Ci credi Ramona? Si sono smarriti Prima del nascere d’un nuovo sole. Infernet «Non parlare e non agire: non cercare di capire…» Videoconferenza del Nuovo Messia: il dio-computer dall’alto ci spia. Cybernazismo del Terzo Millennio, razzi-cinismo al silicio e selenio. «Non pensare di resistere: non sognare di esistere…» Vendiamo l’anima al Grande Fratello, e con un click ci spegniamo il cervello: noi, pseudonessuno del lager globale, siamo ghettoreclusi nella rete virtuale, schiavi marchiati dalla maledizione del moderno regime: l’evoluzione, erede legittima della stregoneria; www.inferno.gov: tecnocrazia. Il Momento dei Ricordi Chi non conosce quei giorni strani in cui passeggiando, di sera, sul viale, si prega s’affretti a venire un domani che sia, magari, un po’ più normale e il cuore si svuoti di ‘sta nostalgia che accompagna senza far compagnia? Spesso il silenzio ha la voce del tuono e ognuno s’aggrappa a quello che può: un viso, due occhi, un sorriso lontano, o appoggiandosi a qualche ma o però, e allora, da dentro, nasce un “magone” che fa tremar l’anima per l’emozione. Com’è difficile camminare e non voltarsi indietro… Ci sono tesori perduti per strada: memorie dorate, godute e smarrite; destini troncati da una gelida spada che pende spietata sulle nostre vite; ci sono persone che non torneranno; ci sono ferite che mai più guariranno, e ci si domanda se mai ci sarà un lieto fine, in questa esistenza che pare una fiaba lasciata a metà, priva di senso e di coerenza, dove si nasce per poi morire, e quando si vive si deve soffrire. Com’è difficile camminare e guardarsi avanti… nel momento dei ricordi, nel momento dei rimpianti… Uno.1 "Uno" è un uomo solingo con muti pensieri che gli cingono il cuore, e furtivi ricordi inzuppati da storpie emozioni che serrano, ancora, le frodate lusinghe d’amori illusori. "Uno" è un figlio del vento che corre lontano fuggendo da sé, ma voltandosi, spesso, verso un’aurora raggiante di luci distanti, sbiadite, e volte a ponente col fluire degli anni. "Uno" è un mezzo sorriso: una risata mozzata nell’istante più bello; un dissennato monologo camuffato in comizio: lo scroscio che sfuma del batter di mani d’una folla sfibrata in un brullo deserto. "Uno" ha soltanto i suoi sogni come amici e compagni: le voci che ode sono i suoi pianti e le labbra che bacia scenari dipinti d’un mondo affranto che congeda l’autunno riverendo l’inverno come un cupo destino, (perché) "Uno" teme quel gelo pungente che sopisce il dolore e rifugge la nebbia che divora il suo viso e lo muta in “Chiunque”; egli è il suo solo padrone, ed è "Uno" soltanto: se per caso si perde, non gli resta più nulla. Rivelazione Io sì! Ho ancora l’audacia di mangiare gli avanzi lasciati in balia delle mosche dopo un banchetto di mendichi senza provare disgusto o vergogna, poiché ho provato gli eccessi d’ogni Vizio e Virtù e sono stato accattone fra i Re ed Imperatore fra i più miserandi: Redentore e Anticristo in un Inferno di Angeli condannati al Paradiso. Ho bussato alla Porta e ne ho varcata la Soglia annientando la mia dignità, dimorando in città-cimitero, e percorrendo, andata e ritorno, il tragitto tra Cielo ed Abisso, svelando gli Arcani Passaggi incastrati fra la Vita e la Morte. Ho sorpreso Satana e Dio incontrarsi in un luogo ubicato nel mezzo di Fine e Principio e li ho uditi parlare con la medesima Voce: non c’è Salvezza uguale per tutti; non c’è Giustizia in ogni Perdono, né Malvagità in ogni Peccato; l’uomo è diverso dall’Uomo: nessuno è veramente Qualcuno finché non si confronta dinanzi al Non Ponderato, denudandosi d’ogni fierezza, per scoprire che la Vera Equipollenza è celata oltre se stessi. Ultima Lacrima (a Monica) Graziosa e gentile farfalla, nel burrascoso cielo sorpresa, dall'etere azzurro rapita, da gocce di pioggia ferita, cascasti in un pozzo, indifesa, annaspando per tenerti a galla... ciascuno ha un proprio Destino contro cui lottare ogni giorno; ognuno percorre un cammino verso una casa cui fare ritorno, ma non tutti, però c'arriviamo, ch'é facile, sin troppo, cadere nelle tenebre d'un nero profondo, derubati dai gai colori del mondo, oltre la speme di gioire o godere dei pochi amor per i quali viviamo. Cloto fila la tela cantando serena e Lachesi reggendole il fuso sorride - il Fato mortale stringendosi al seno - finché Atropo, crudele, i fili recide... così, farfallina dalle ali bagnate, in un pianto silente sei morta, ma la brezza, commossa, ti porta di nuovo in alto, con ali fatate. Non Chiudere gli Occhi Non chiudere gl’occhi: ho bisogno di te seduta al mio fianco come un angel di Dio; stanotte un demonio ha violato i miei sogni; non chiudere gl’occhi: ho troppa paura. Non chiudere gl’occhi: come gemme preziose li voglio ammirare risplender d’amore soltanto per me, oh mia Vita e mia Luce, non chiudere gl’occhi: ho terrore del buio. Non chiudere gl’occhi: guardami ancora, il tuo sorriso di madre può ridarmi la gioia; non fuggire lontano, casa tua è il mio cuore: un piccolo posto per accogliere te. V.S.S.T.P.S.A. Vederti, anche se non ci sei, in quell'angolo buio, che rischiari il mio cuore; saperti, sempre presente, quando vorrei che tu fossi vicina; sentirti, parlare e cantare, quando la mente ti vorrebbe ascoltare; toccarti, e poi carezzarti, quando ho bisogno di lasciarmi un po' andare; pensarti, la sera, nel letto, quando il sonno tarda a venire; sognarti, mentre sorridi, e intanto mi chiedi: «Posso restare?»; averti, al mio risveglio, quando ho finito, ormai di sognare. Io che ti sento ancora ...ed io che ti sento ancora vicina, sebbene tu sia... chissà dove sei? Ti sento, celata in slavate memorie umettate di fresche gocce di brina, origliare curiosa nei pensieri miei, traboccanti di pleonastiche storie posticce: palliativi bizzarri e vani per una ferita eternamente dolente che smembra il desiderio di gioia, trasportandomi in tempi lontani, eppure più veri di questo presente ridondante e slombante di noia. Il buio Benvenuti nel Crepuscolo dell'amore per la vita d'un uomo assai minuscolo: una meteora impazzita in un mondo ormai straniero, ciarlatano e menzognero. Saluti dal mio Inferno d'aborti d'illusioni divorate da un eterno morire d'emozioni e di speranze tutte rotte: maledetta sia la notte quando il Buio è solo mio... In punto di morte L'Eterno m'avvolge in un Carnevale di forme: orgia bizzarra d'un decrepito sogno; sorniona, la Notte, m'osserva con occhi di Luna nella madreperlacea estasi d'un incantamento di Grazie; suadente m'accoglie il Destino, e mi bacia la Brezza, rapita, seducendomi di malia: oh, mite padrona... eutanasia... Atsef Bianchi veli, quasi impalpabili, simili a strascichi d'abiti nuziali, roteano, e s'alzano, e planano nel notturno, rispettoso silenzio spezzato dai sibili violenti di Eolo, tra vecchie lapidi e croci corrose. Giammai, occhio umano, potrà osservare l'eteree danze dei morti! Oh, noi, meschini e mortali; fragili esseri al di là della fossa; poveri spiriti prigionieri di corpi ingombranti e malati di vita... giorno verrà che pur noi balleremo, simili ad ombre nascoste nel buio, sorridendo con ebeti ghigni di morte dei nostri antichi visi terreni, esposti in dipinti ingialliti, entro decrepiti vetri bagnati di pioggia e di pianto. Fiori di plastica e biascicate preghiere non ci consoleranno del nostro destino, mentre i vermi voraci, le larve d'amori consumeranno con le nostre ambizioni sepolte nel fango e nel perpetuo oblio, celate alla vista di chiunque ci amò. Invisibile Occhi neri mi sfiorano e poi mi attraversano come se fossi dipinto di trasparenza… Una dolce fragranza m’incanta e poi passa: vorrei fosse amore, la tua indifferenza… Haiku n° 1 Una tomba - giace, passo, un fiore. Haiku n° 2 Uomini – gocce dagl’occhi di Dio. L'essenza Vagabondare fra una stella e una croce: la Vita! Figlio della Guerra Bambino fuggito nel vento, ricordo i tuoi occhi innocenti, bagnati di un vuoto sorriso, istoriato, sul tuo pallido viso. Bambino sfuggito all’amore in essi vedo, ancor, con terrore il dolore di cui è fatta la guerra, specchiarsi nel sangue per terra. Bambino eternamente bambino, rinnegato figliol del destino; la tua bocca, per sempre silente racchiude il disdoro di gente che giammai è stata bambina, giacché ogni giorno cammina calpestando la vita e la morte, e giocandosi ai dadi la sorte. Il Vampiro (allegoria) È una notte fredda e scura: c’è un silenzio da paura; fra le lapidi d’un cimitero s’aggira, quatto, l’Uomo Nero. Sulle spalle ha un mantello; si trasforma in pipistrello; ha in bocca zanne aguzze e morde il collo alle ragazze; rapisce i bimbi dalle culle, succhia il sangue alle fanciulle; il suo ghigno fa spavento, il suo ansare è come il vento; un ruggito è la sua voce; odia il Segno della Croce; teme l’acqua benedetta, e chi lo vede fugge in fretta, perdendo il suo coraggio e precipitandosi al villaggio trattenendo il respiro, perché quello è un Vampiro. Ma invece non è vero, e chi lo dice è insincero: lui è un vecchio un po’ sdentato che fu, un tempo, innamorato; il suo mantello è un tabarro, e in gola ha un gran catarro; si sorregge ad un bastone, e se non saluta le persone è perché è un uomo schivo, sazio ormai d’essere vivo, giacché ha perso moglie e figlia: non ha più una famiglia; la sua unica compagna, in quel paese di campagna, è la quiete del camposanto, in cui si reca, ogni tanto, quando il giorno muta in sera, a recitare una preghiera e deporre alcuni fiori sull’avello dei suoi amori. Guarda (e Dimmi che Vedi) Guarda l’aurora che accompagna ogni alba, e dimmi che vedi… non v’è forse, nel vermiglio gioioso, una speranza? Oppure, in quella luce radiosa, un sorriso? Poi guarda il tramonto, ed osserva il pigro declinar dei colori: il cupo rossore che domina quel cielo morente che ha ceduto alla notte tutto l’azzurro mentre il sole, spossato, china il suo capo congedando ogni lume. Guarda, e dimmi che vedi… non è, quello, il nostro destino? Anche gli “Angeli” Crescono Spesso ci sono lontani ricordi d’una giovinezza andata smarrita che, legati, restano ai bordi d’ogni respiro e d’ogni vita come le barche dei pescatori, attraccate al molo in riva al mare: stanno lì, per noi sognatori, affinché possiamo sognare, ma intanto, le visioni di ieri, fra suoni ed accenti sussurrati, ci mostrano antichi sentieri; ci dicono che siamo cambiati… Lo sai? Anche gli “Angeli” crescono… E le madri, con cuor rassegnato, e coi capelli sempre più bianchi, domandano a Dio se hanno sbagliato - innalzando gli occhi un po’ stanchi - con quei figli dai troppi silenzi: lontani da esse, seppure vicini, ignorando che spesso tirano innanzi ma vorrebbero tornare bambini anche forse per un giorno soltanto: per rimediare a un errore passato; per un domani senza il rimpianto di quella vita che hanno bruciato… Mamma mia, lo sai? Anche gli “Angeli” crescono, e spesso le ali si fanno pesanti, ché non tutti, poi riescono, a volare in alto; ad esser santi. Anya Anya mi guarda negli occhi e poi sorride, di quel mio imbarazzo un po' fuori luogo. Anya mi scruta e poi sbotta: «Qualcosa non va?», e non so più cosa dire. Anya - non so se ci pensa - un po' gioca, un po’ celia, un po' flirta; spesso sbadiglia dei suoi passatempi e vorrebbe fuggire non troppo lontano: soltanto due passi un poco più in là. Anya, la vedo, coi giorni e coi mesi, a tratti più donna, e meno bambina, ma per quanto cammini, non conosce la strada: l'avvolge quel mondo rosa confetto, che la prende per mano, e la tiene con sé, a troppi anni distante da me. Tu Salvi la Mia Vita Tu salvi la mia vita quando le incompiute, mie, emozioni, annegano nel pianto, e soltanto il vederti, in certe sere troppo stanche, apre gli occhi del mio cuore, ché mai più vorrei dormire, eppur sognarti ancora. Tu salvi la mia vita, quando il mondo, mio, impazzisce, ed io vorrei morire, perché sto troppo male, e la certezza muta in dubbio, e la razionalità scompare, mentre vorrei sparire io, tuttavia, vivo ancora. Tu salvi la mia vita, quando sento pulsar forte i miei dolori nelle vene, e mi gira, tutta intorno, una dimensione ormai sfocata che non credo sia più mia, proprio mentre vorrei dirti: «Ti prego, salvami la vita». Strade grigie E percorro, avanti e indietro, senza meta, strade grigie, permettendo ai miei pensieri d’abbracciare strane idee per arrossire, poi, di esse. Tutto intorno è freddo e nulla; l’erba è vizza ormai nei prati, ma è lungo strade grigie che il mio piede lascia il segno fra i tormenti dell’inverno ed i battiti del cuore in un gioco senza nome che mi avvolge di paure. Cerco dunque, dentro il vento, percorrendo strade grigie, la tua voce, come l’orme che imprimo sull’asfalto, poi se odo il tuo respiro, o ti scorgo da lontano, la mia anima, sgomenta, pone fine al suo cercare, lasciando che il sentiero marchi solo il tuo cammino e accettando, rassegnata, che la nebbia ti catturi. Troppo presto scende la notte (ai “Raggi di Sole”) Talvolta, lestamente si fa sera, non solo sopra il mondo, ma anche dentro i cuori, e la tristezza diviene un’arcigna padrona, mentre le ombre del crepuscolo sfumano in pensieri sempre più cupi… sempre più bui… coprendosi di un manto di tenebra. Talora, si fa tardi troppo presto, e la notte ci sorprende facendoci smarrire il sentiero o la voglia stessa d’andare innanzi, ma tra il male oscuro d’esistere o un’esistenza oscura e malata, tra la violenza del morire e la serenità composta della morte, la vita ci osserva in silenzio ed è come gli astri del firmamento: alcuni nati per rifulgere nell’empireo, ed altri destinati ad essere stelle cadenti che passano veloci ma luminose, lasciando un segno meraviglioso in tutto il cielo, e poi svaniscono ai nostri occhi, ma non si dimenticano, così come perdere un figlio o una figlia, un fratello o una sorella; un padre o una madre; un parente o un amico: un qualsiasi sorriso, altro non è che guadagnare un angelo in Paradiso. Una Tua Fotografia Ho in mano una tua fotografia dove sorridi e, decisa, mi guardi: occhi maliardi donati ad un uomo bisognoso di vita. Ho in mano una tua fotografia dove sorridi e, pare, mi guardi: occhi bastardi venduti a qualcuno malato di te. |