Poesie di Alessio Vailati


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Occhiluce
Senza voce soffusamente si disegna
in mente, ora chiara ora più confusa,
la raggiera dei tuoi occhi, la pupilla
che allo sguardo come una magia
ravviva la scintilla delle cose.

Non hai sapienza tu della virtù che insegna
l’eterno tuo occhieggiar da intimidita
dentro lo spiraglio o dietro la cortina
quando il mondo si contorce, s’aggroviglia.

Cade il lampo, socchiuso l’uscio si richiude,
ritorna dal cielo il buio e ad aspettare
son qui, tacendo, io di nuovo la tua luce.
(Da "L'eco dell'ultima corda", Lietocolle 2008)

Vorrei dirti soltanto...
Ma vorrei dirti soltanto che t'amo
e vedere cosa vedono gli occhi,
questi tuoi, quando ti dirò che t’amo.

È sera in città e sarà presto notte
e domani all’alba avrai un volto nuovo
o il consueto, che da tempo conosco,
rifiorito in un insolito sguardo.

Io ti dirò che t’amo fra i passanti
distratti del centro; m’ascolteranno
i piccioni stipati alle grondaie,
le gocce su noi, che cadono rade;

m’ascolteranno in quest’aria invernale
il tuo cappotto allacciato, il tuo profilo amato

e sarà bello come il chiaro della luna,
sarà la cruna d’ago a ricamare
trine e stelle sui tetti delle case.

Sulla città allora sarà notte,
sarà una notte da amare.

Il sogno
Dall'uscio appena dischiuso il sonno
ti ha colto stanotte come una nuvola,
passeggera quanto basta perchè un lampo
scolpisse la tua figura nell'ombra.

Ho pensato al tranquillo essere altrove
nel sogno tuo o d'un altro, in altre città;
alla libertà della freccia scoccata in cielo
a quell'attimo in cui è un volo leggero
il desiderio più vero.

Così per sempre nelle mattine che verranno
sarà mio il ricordo delle tue palpebre chiuse,
delle tue ciglia allungate come rami al vento,
soffio di vita sulle vele, onde calde dal tuo petto.

Stella polare
Sempre dopo il tuo sguardo c'è un mare
tragitto d'onde, fatto di strane euforie
e di venti leggeri e di tempeste.
La tua voce è la voce del sale,
lieve, risorta dall'intreccio d'ombre
a segnar vie e sponde, notturna stella polare

(Natale 2006)

La Notte Santa
È un bocciolo appena
questa Notte Santa
e una musica celeste
s’è diffusa nell’aria:

col vento ch’è un fischio
quasi sommesso

e il vischio e la brina
e il bue e l’asinello

e una stella lontana
che guida i Re Magi,

c’è una madre e c’è un padre
e una gioia che nasce.

È un bocciolo appena
questa Notte Santa:
sarà un fiore immortale,
un chiarore che abbaglia.

Quant’Amore di Dio
dentro il primo respiro,
quanta luce sul mondo
all’aprirsi d’un ciglio,

quanta pace che regna
nella Notte Santa!

Oggi è nato Gesù,
“Osanna, osanna!”

Ti canto e con te canto
Ti canto e con te canto quella bellezza
che t'accompagna come una fedele ancella.
Il tuo sorriso è la gemma scolpita nel ramo,
nell'occhio divino che ci guarda. E t'amo

quando da lontano il tuo passo di vento
impalpabile, leggero s'avvicina. T'amo
quando sulla porta il tuo volto s'affaccia
quando la tua voce di cembali e di archi

saluta e il mio nome ridendo chiama.
È per questo che ti canto e con te canto
la folgorazione dell'attimo che ti vidi

la parola, la poesia che ora tu mi ispiri
come una folata d'aria ch'esplode alla caldura
come il mio ardire, amor che vinci ogni paura.  

Gli arcolai
L'unica -dove, amica, saliremo-
ultima meta ci vedrà vicini?
Dopo ch'il viaggio porterà allo stremo

ogni forza e volontà, oltre i confini,
verrà quel tempo dei gabbiani liberi?
In cielo correremo, ove cammini.

Cader non si potrà. Sopra leggeri
arcolai fileremo il corpo, lievi.    

Il vento d'autunno e la foglia
"O diletta, tu, foglia d'autunno
Ingiallisci e sovra a questo ramo
Or tremi. Forse mi temi o temi
Ch'il mio tenue soffio ti condanni?"

Ed ella alzossi e come avvinta a un filo
E dentro un vorticello appena appena
D'aria, sì sospirando, al vento disse:

"Cosa temer dovrei se quest'autunno
m'ha invecchiato e son qui pronta a cadere?
È di necessità ch'io infine cada,
è per la pianta, è per le sue radici
è per l'appartenenza a questa terra
che a tempo lascio la mia vita ma
io per rinascer già, vento d'autunno,
ancor più verde a primavera, muoio…"   

Finis terrae
Non torneranno invece coi venti settembrini
né con quelli d’oltreoceano, né sulle case
in stormi di ali o in nugoli di zanzare
non torneranno a sciami, non torneranno
dentro fiocchi di ore o cravatte di anni

li aspetterai così con l’anima nell’ansia
saranno come treni in anticipo sugli orari
e coincidenze non capite non afferrate

no, non torneranno e tu lo sai

saranno nuvole di passaggio, saranno
capi di bestiame da macello, saranno
angeli con le trombe ad annunciare
la fine del mondo,

saremo noi saranno poi
fiori nell’incendio estivo
e conchiglie e figli
e le nostre figlie

e i morti e il sangue delle guerre
e le attese e i sogni, saranno
la bottiglia e l’onda rotta sulla punta

a Finisterre. 

Non convenimmo
Non convenimmo un saluto
e fu spregevole lasciarci,
o amica, da nemici.
Come due relitti dove cova
una fiamma, un’ira o forse
un’incomprensione muta.

Ed ora siamo qui tra i più infelici
se questo struggermi è l’identico
che opprime te. Hai lasciato

la mia strada sgombra col cielo
di nuvole scure. E l’alba non è
più certa. Hai scelto per noi quella

(poco romantica strada)

della trafila burocratica.

La parabola della lampada
(Luca 8, 16-18)

Non vedo la tua lampada, manca la luce
qui nella tua casa. L’ospite non troverà
la strada, l’ospite che inatteso ha bussato
all’uscio della tua casa. Mettila in vista,
la lampada, non sotto il secchio o il letto
a nulla lì servirà…

Vedrai allora la tua casa e le pareti ed il soffitto
come mai l’occhio tuo l’ha visto,
vedrai com’è accogliente la tua casa, gli ori
la sua preziosità, gli intarsi del tavolo, i tesori
ch’essa ha -e dei più rari;
vedrai il pane e il vino e la dispensa ricca
e la tua donna bella come mai l’hai vista
e l’ospite sorriderà e distinguerà il tuo volto,
il volto di chi tanto benevolmente l’ha accolto.

Così tutto quello che ora è nascosto
dal buio sorgendo alla luce sarà portato,
e ciò che è segreto d’improvviso sarà chiaro…

Se tanto hai, tu riceverai di più
se pensi d’aver poco, lo perderai tu.

Impronte nella neve
Come le impronte chiare nella neve
passa e ti sembra che abbia un frusciare
e sembra di averla appena scorta
e di averla toccata.

Come le impronte chiare nella neve
passa e lascia un segno che si scioglie
di giorno e di notte, al caldo del sole
come al chiaro di luna,

la Felicità.

Ed è il gesto pulito di una donna,
la carezza serale al bambino;
è il bacio e l’occhiolino d’amante
all’amata. Ti colma

sfiorandoti e passa.

E non sai quando torna ma l’aspetti,
sempre, come la prima volta.

Dedicata
Nel golfo d’ombra che scende
col rigore dell’abbraccio
dell’inverno sugli anni
–lo specchio sotto ghiacciato
di sopra la stria dell’unghiata del pattino,

il sole buca un ciuffo candido,
lo sguardo d’ovatta…

Ti ritrovo in mezzo al ghirigoro
che s’incurva come il ricciolo
ignoto alla tua fronte, alla frangia
in cui assorta ti fingo.

Ti ritrovo in una vecchia carta
della libreria universitaria
con firma ed indirizzo
e la tua Elle in calce.

E mi riproverei a scriverti, penso,
con l’inverno che si approssima
al cristallo di questo Cielo
che unisce e separa i destini
- già ci provai con la scusa
di dedicarti una poesia…

Un giorno sarà il tuo specchio
quel verso stretto, affatto bello.

Al suo lampo improvviso
tu allora mi apparterrai.

Viale Fulvio Testi
Tu andavi col passo del funambolo
-sguardo alto ma non avevi nessuna anfora
di terracotta in testa colma d’acqua,
lungo le vetrate di sole il tuo oscillare
attraverso il sogno, poco più d’un minuto…
Lo tendo come l’elastico ora a memoria
ma non si dilata la tua pelle fino ad oggi.
E poi con un cenno della mano
timido ambivalente ti voltasti
a tagliare in due il traffico di Milano.   

Diogene di Sinope
La mostrina sulla spalla discioglie
il nodo, dell’altra marea raggio
sceso alla notte per il cielo concavo .
Non arde petrolio nella tua lampada
divenuta presto le tue falangi,
non riluce oltre gli arbusti, i roveti
intricati dove il merlo, di giorno
incespicando, ora di già s’acquatta
e in eco si domanda: “Dov’è l’Uomo?”.
A raccoglier moneta che rigiri
più volte in aria volto e croce a caso
a raccoglier sangue per questa guerra
a contare le ossa nella terra.   

Meraviglia
Dentro le pieghe della foglia
-allacciate le braccia al collo,

non so io, oggi, che dirti Meraviglia;

in fondo all’occhio tuo io volo
e mi strappa e mi porta il vento.

L’incanto trasfonde incanto,
Amore nel fumo denso.   

Leggeri
L'altalena è il gioco
più bello per i bimbi.
Lanciano corde sul ramo
e vi si appendono.
Dondolare...

Sembra di essere
ancora alla culla
a lasciarsi cullare.

Leggeri come le parole
di adesso, di poco fa.

Per dondolare nelle vocali
l'anima stanca
e sognare nelle consonanti
la felicità che ci manca.

La stanza
Aprir le tende,
credo che allora sì,
entri nella stanza un po' di luce,
questa notte che ora si dischiude
al suo tramonto, assurda
fin troppo buia.

È l'alba,
svanisce ogni paura
concentrata negli specchi,
nel loro eterno riflesso.

Aprir le tende,
ecco che allora sì,
la stanza di luce s'inonda
scompaiono gli spigoli
dal tuo corpo spoglio
ed ogni ombra.

Sirene
Ah, le mie sirene, dolci ed avvenenti,
agli scogli caldi stese, nel sole rilucenti,
dolce abbandonar di morte
dalle vostre reti fuggo,
lieve rivelazione d'un sussurro
tanto celeste e tenue.

Ah, languidi echi, maliardi e osceni,
svelate il nodo ai forti pugni
di più tenaci catene,
e a voi, cari compagni, eccovi traditi
delle umane sorti i divini orditi.

Che udir io possa, ancora, mie sirene
nei canti vostri i vividi lamenti,
i suoni amabili e fragili di risa:
accanto a voi c'è l'illusion, l'insidia
di mucchi d'ossi bianchi
e scarni.

Tende blu
Aridità di sabbia e di cuore
tende blu
miraggi di nuova emozione
il turbinar del vento sulle dune
sulla pelle soltanto due lune
nella notte senza stelle due lune.
Arar con buoi tale polvere
che rimescola il tempo secondo
seminar nei solchi dei semi
amoreggianti con altri desertici.
Le tende blu
miraggi di tristi conforti
alle cupe ferite ed arsure
tende blu
sorrisi di scomparsi beduini
blu dell'oceano infinito.
Anche questo è un oceano infinito
deserto.

La vermena
La vermena è nel sogno che ti cinge
le tempie, quasi fosse una corona,
e si annoia nella stagione scorsa:
il ricordo -ahi, ecco cos’è!- sopito;

in fine, catena che morde il passo
ed il barbaglio è un attimo:
il cerchio del tuo mondo
solare, senza pioggia,
dov’e raggio il metro;

e una lampada e una tettoia.

Il rosolaccio
Nell'onda irrequieta dei capelli
hai disposto ad ornarli il rosolaccio
e ora mi guardi e sorridi e mi chiedi
se tu somigli alla contadinella.

"Rosso il papavero, verde l'erba…"
comincia così la tua cantilena;

"azzurro il cielo, bruna la terra…"
sollevi alla falda il cappello di paglia:

"se il mondo gira, giriamoci su
se il mondo casca… non pensiamoci più
"

Fuliggine
Fidarmi, (come potrei?) dei tuoi occhi
che la fuliggine ancora svapora
in macchie scure. La voce leggera,
modulata appena, dentro il bagliore

mi confonde; ed il vento sulle agavi
rimescola il secolo. La tua voce,
allo scarto estenuato dei cronografi,
è il ferro rovente di uno sbaglio:

fidarmi -come potei?- del tuo sguardo!

Naufragi
Le anfore d'argento schiumano
sulla prora lunghi rivoli d'acqua:
sporge la polena il duro seno
a sfidare col petto l'onda crespa,

i fiotti che s'arricciano. Ma il vento
frusta la schiena arcuata delle vele,
rosso sangue nel polso chiuso al laccio;
ma il cielo scaglia fulmini e burrasca:

sulla pietra la chiglia si sconquassa.

Anima
Cercava qualcosa per terra ed era importante trovarla,
cercava e non la vedeva, cercava e non la trovava.
Le mani poggiate per terra, tastava quel gelido suolo:
cercava e la gente guardava, la gente curiosa guardava...

Passava lì accanto un bambino (passò tra la gente curiosa,
la gente che scoteva la testa, che in coro diceva: "Follia!")
e senza domandare nulla, vicino gli s'inginocchiò.
Accanto passava il bambino e senza ripeter "Follia!"
e senza domandare nulla, vicino gli s'inginocchiò.

Guardava la gente stupita, guardava e rideva stupita
finché la ricerca, finita, fece sorridere l'uomo.
Rideva la stupida gente, sorridevano l'uomo e il bambino:
l'avevano tanto cercata, cercata e poi ritrovata,
fra un cumulo d'anime perse.

TEGLIO, fine dicembre
Meriggio da dietro le cime:
il sole giocoso con l'ombre
a piacere suo le distorce,
nel freddo pungente ed acre
è tizzo violento di torce;
e sono le parole vane,
son nuvole di fumo in bocca,
vaghe d'essenze lontane
rovinando di rocca in rocca.
Il passo ci serve più lesto
che il sole per poco ci illude,
soli lasciandoci presto
in dentro al rimorso si chiude.

Meriggio d'andare spedito:
le salite verso s. Rocco,
le genti che van dopo il pasto
a scender tra prati e bosco
e con loro noi, al camposanto,
se si vuole, giù per di qua;
pisolando il cane sull'aia
si sogna l'Eternità.
In prilli la luce nell'aria
svelta rimbroglia i suoi lampi
al giogo delle guglie molli,
le ombre di colpo sui campi
discendono lungo le valli.

Meriggio al camposanto, infine:
i rami scarni tesi al cielo
ai marmi e alle pietre più dure,
torti alla stretta del gelo,
rivelano preci insicure
ed il vento come la morte
a caso le sperde e confonde.
Conto le croci che smorte
vi resero, o zolle, feconde!
Ch'anco là una lapide c'è,
laddove il selciato dispare,
disceso lo spiano c'è
una lapide da trovare.

Meriggio da tempo svanito:
nel vento già il chiaro dismaglia
l'intreccio sottile di stelle;
tu, luna, viva medaglia
che sorgi di dosso le ville,
mi dici non esser contegno
nel cielo d'intenso violetto
per te patire l'inverno.
E io m'allaccio al tuo cospetto
al collo la mia sciarpa blu,
ripasso la strada che manca,
che svelta rimonta su,
verso casa, col passo che arranca.

All'imbrunire, giunti a casa:
nella cucina ancora sbuffa
un grato calore di stufa;
sul desco riscalda le ossa
fumante una tazza di tè.
Felicità, non che si possa
in questa festa non amar che te.

Sulla Croce
Del pane che i demoni porsero
ho ancora vuote le mani
ed il deserto schiuse la dura roccia
come accoglienti braccia.

Dei regni ch’essi dispiegarono
agli occhi miei evanescenti
e a me furon promessi,
-ma già lo sono
ed indi contraddetti;

della vertigine poi che scosse
l’anima mia sul pinnacolo
e la caduta e il volo
degli angeli bramati,

non ho che un ricordo
sfumato perso, ma certo
lo smarrimento dentro
fu pari, quello, a questo.
Al Cielo, a Te, Padre, grido:

Eloì, Eloì lemà sabactàni!

Apro finestre
Apro finestre, varchi nel muro
a contemplare stelle,
a respirare cielo.
L’aria sa di nuovo
di fronde fresche
che sibilano al vento.

È primavera, sbucata
d’improvviso tra i cespugli,
al chiaro di luna,
e di sotto ci giocano
i gatti.

È primavera, bucata
dalla luna piena
che fuma nuvole viola
da una sigaretta spenta.

Chiudo finestre, stucchi nel muro
a non veder più stelle,
a rinnegare il cielo:
l’aria sa di nuovo
di fuochi d’incendi
dentro boschi.

Alba
S'ode di laggiù l'aria
fremere in profumati giardini,
i fiori dai calici riversi
spargono canti roridi
di pioggia.

Il vento del mattino
richiuse i nostri ombrelli
in dita rosee
d'alba
e cullai l'anima tua nei calici,
mi riversai nell'erba
in goccia.

Il sogno del marinaio
La burrasca incombe e scuote
come un lenzuolo il mare;
il vento picchia forte
sopra gli alberi la nave…

“Madre, madre!
Come salpò la nave
avevi gli occhi chiari;
nel porto il sole
accecava i metalli.

Madre, madre!
Non piangere se il figlio
oggi ti muore….

Ti porterò alla festa del paese
e balleremo al fuoco senza sandali;
solleveremo tanta polvere
da ricoprire il cielo.

Ti porterò alla festa del paese
e balleremo al fuoco senza sandali;
solleveremo tanto vento
da scacciar le nuvole…

madre, s’io torno, madre!”

Il sogno del prigioniero
Le mie giornate sorgono in strisce, sulla mano
l’ombra del sole; e per la tromba delle scale
precipitando il giorno muore.
La parete è livida sporca, mio quaderno;
e chiedo (negatami), supplico per una matita.

Un tubetto di colore da spalmare con le dita.

Nuvole oltre le sbarre parallele infinite…

Il mese l’anno il secolo…

Una clessidra senza fondo contiene il deserto biondo,
e io rinchiudo i giorni nel mio pigiama a strisce.

La sarta
L’ago ripassa rapido alla mano:
cucimi sul cuore la goccia rossa
rossa e come un ricamo
come il tulipano
al cader della sera.

Cucimi sulla pelle l’amore
in grumi di stelle,
stillicidi di formiche…

Ch’io sempre lo ricordi: la notte
non finisce quando sorge il sole.

Taglia e cuci i giorni,
in mille tasche nascondi
il mio dolore.

Nostalgia azzurra
Il cielo s’arriccia in spire
slegando nodi di conchiglia,
con un lungo giro di fumo
s’insinua nella mattina.

Punge come spillo l’ineffabile
amaro dello zucchero.

La cortina di fumo svetta
all’ombra della sequoia,
ti nasconde, t’avvinghia ai rami.

Treno nel filo d’una foglia
sferragliando t’accartocci,

cadi.

Ripartenze
Sopra la carta che l’attacchino stralcia
s’apre la mattina, fra verde di fronde,
nella scarsa luce della pioggia.

Ho visto -nelle profondità, nelle pieghe
abissali- l’incoscienza sfiorirti,
l’incoscienza dell’antica ferita
del tuo pugnale sulla mia essenza.

Sfiorivi forse perché il mio animo
si schiacciava a terra e ti tendeva
dopo anni la mano…

Ma l’occhio che scruta dall’alto
verso il basso –ancora, come prima-
mi conobbe?

Fu che l’attacchino stralciò la carta
e, sotto la spiaggia fine delle Haway
col marchio Turisanda, cadde
la tua incoscienza piatta

e per miracolo

la tua auto ripartì…

Tracce di Musa
Polvere dal mio pensiero piove
sul cuore in fiocchi a stelle

muore il mondo sul sogno di te
si spegne.

E non ho per seguirti ali
-libellula lieve pei campi-

né piedi veloci per correre
inseguendo i tuoi voli ampi.

Polvere dal mio pensiero piovi
mi bagni.

Non cogliere ghirlande
Non cogliere ghirlande,
non farlo per me, amore.

Lascia che il vento passi
e la luce trascolori
e che il cielo rabbuiando
rinneghi i suoi colori.

Non cogliere ghirlande
fallo per me, amore.

Gli acrobati
L’arte è mutevole nelle sue forme.

Gli acrobati si sfilano le scarpe
inutili al loro gioco. Passi lenti,
che non fanno rumore.

La fisarmonica all’angolo suona.

Piroetta la capigliatura bionda
dentro un giro di morte,
un altro e un altro ancora.

La bambina chiede alla madre
com’è il mondo capovolto;
la madre gli risponde: è uguale,

come nello specchio…

Un tale la guarda male.

L’acrobata inarca la schiena,
s’avvita nell’aria, cade
sempre in piedi.

La fisarmonica smette.

L’acrobata si applaude
la bambina resta col dubbio
la madre sbircia allo specchio

la sua immagine capovolta.

Non svellere mano
Non svellere, mano, il mio fiore
sbocciato nell’umida sera
come rosse labbra dischiuse
nella pioggia incessante.

Sfugge lungo il fiume un petalo
e fu di chi ti precedette
la sua stupefazione ingenua.

Non svellere, mano, il mio fiore
sbocciato con così grande pena,
come l’ultima foglia
sul far della sera…

L’acquario
Andiamo a fondo con tutti gli scrigni
nostri; e la marea che chiama la luna
si porta al largo la speranza, i sogni.

Sul fondale dipinto boccheggiamo
in policromie nuove ma ciascuna
d’esse non serve a rivelare l’amo.

Chi domani -o dopo- ostenterà il giallo
e ricoprirà le scaglie di piume,
chi tra un colore e l’altro dentro un fiume

perderà la via e pulirà il metallo
dei suoi spilli, in silenzio, di nascosto…
Non ci sarà, per noi, alcun altro posto

dove l’infinito sarà l’unico possibile scenario
e andremo a fondo nel profondo dell’acquario.

Mattinata di campagna
Il sereno ti discosta dal lenzuolo chiaro
dal caffè nero amaro, dalla scura imposta
al davanzale. Ma col sole corri in prati,
ahi quanti amori, tanti! Li lasciasti alla città…

Il giovane falchetto volteggia sulla testa
dei bimbi oggi in festa che giocano a stecchetto:
“quello più lungo vince, il corto invece perde!”
pel bosco si disperde il canto delle cince.

“Pesca mammina cara, quello più lungo vince!”
mentre che ti convince la Sorte a volte bara:
nasconde nel suo mazzo di viole e rose fresche
l’insidia delle esche, coprendo l’imbarazzo.

“Ah, ma che peccato!”, dal pugno del bimbetto
hai tratto lo stecchetto, quello più sfortunato…
Oggi tu ridi e giochi, domani chi lo sa
se i prati di città hanno gli stessi fuochi

fuochi di gioia, lampi d’ogni felicità
tu gioca per i campi : domani non si sa.

Il biliardo
Scorre, passa per dita adunche il filo
compie il lungo giro della matassa, sale
sciolto nella fatale presa. L'anno ti
segna nel viso un solco, vedi?
Non è come tu credi il sole,
sole che fa della pelle grinze,
o la saggezza -forse sì, quella
te la concedo.

Scorre, passa tra Cloto e Lachesi
con Atropo che lo recide…

Inutile è ripensarci come gomitoli
stretti agli angoli d'un biliardo,
come inghiottiti presto dalle buche
per le sponde d'un mare verde prato.

I cristalli rotti
Le sfere di cristallo sulla credenza
all’urto tenue dello spolverino
frangono l’iride in taglienti schegge.
La tua cura s’allunga, s’indigna,
irata, alle cortine sgretolate.

A che giova pensare al domani,
a cosa sarà di noi?

(A ciascun giorno avanza la sua pena).      

Regalami amore
Regalami, amore, le tue colline in fiore
il sottile piacere della brezza nell’afa
regalami l’azzurro vortice dell’acqua

la nuvola alta, la sabbia della spiaggia
i castelli dei bimbi, i castelli d’aria.

Porgimi la guancia, la tua pelle di mela
chiara; porgimi baci e abbracci,
il collo candido come quello dei cigni

Il sole e la luna hanno sempre cara
la sacra tenerezza degli amanti,
l’affinità dei loro sguardi.    

All’infelice Musa
Ora non più, io non ti conosco Musa
che Musa non eri se non nei pensieri
miei lievi. Ci divide l’abisso nero
il tuo fulgore s’è spento, non era vero.

Come la stella vivi d’un riflesso…

Ti vedo piccola giù nel bassofondo
mi muovi a pietà, tra di noi l’Abisso.   

Dammi il tuo raggio di sole
Dammi il tuo raggio di sole
e quello che stringi nelle mani,
una carezza; dammi il sorriso
dammi il rimedio al dolore,
alla tristezza che mi colma
gli occhi, che segna la ruga
amara profonda lungo la bocca.
Dammi quel fiore che nasce
nel pensiero, dammi la cura
di un poesia d’amore
ancora dammi parole
parole, parole che agogno…
La fronte da baciare con ritegno
la luce, dammi, quando il mattino
ti sorprende mentre dormi
il più bel sogno.  

No me
Il raggio di sole ancora
illumina la tua bocca
le tue parole,

beato in eterno chi
tu chiamerai: “Amore…”   

Sandy
Sandy tu odi
quanto dolce vibra
il nome tuo nell'aria?
E il disegno del tuo volto
trovar posso impresso
nelle mie pupille...
Qual conforto alle mie pene
ripensare al davanzale,
al panorama ch'esso mostra
col paesaggio collinare!
Poi che dir del bel nasino
che riluce nel profilo,
delle labbra tue carnose
mentre mordi una ciliegia...
Oh bellezza tutto tondo,
-così m'appari, lo confesso!
(non nel senso di una palla
ma perché beltà completa)
coi miei versi ti saluto
celebrando la mia Musa.   

Il violino segreto
Suona la matta della piazza,
suona, saltando, il suo violino;
viola le stelle s’aprono al canto
come corolla di fiore al mattino:

suona la musica per gli innamorati
sospira “Ah, com’è bello, ah l’amore!”

Due giovani per mano danzano
e sembra d’udir quella musica
assente vibrare in loro.

In piazza fin sul mattino
sembra che suoni un violino.   

Ricchezze
Se il cielo evaporasse nel coperchio
l’idee di chi governa, non le giuste
disinteressate ma quelle sopra
i condoni edilizi, dentro ville
sui lidi, le alcove ignote ai catasti;
-e dell’euro non ci importa un granché:
se lo si suda o si ruba ha la stessa
puzza delle superate lire- temo
che una nebbia ci velerebbe la vista
per un intero secolo. L’unica idea
economica attuale è di chi innanzi
a te mendica una moneta, un pane
una mano ed una coperta. A conti
fatti la sua ricchezza almeno è onesta.   

Un incontro
Ti ho incontrata l'altro giorno
di ritorno da un viaggio lontano:
MICA STRANO, ho pensato,
sempre di corsa nel mondo.
"Adesso scappo, la bambina...
l'asilo non m'aspetta;
accidenti al vento, la sigaretta!
In tasca: dove diavolo sta
l'accendino? Ma che casino!
Perdonami un secondo,
mi reggi la borsetta?"

Ti ho incontrata lì all'incrocio
in un giorno tuo solito
di fretta. Corri, corri
sei tutta rossa, t'affanni
ma alla fine sei sempre qui.
Inutile domandare dove sei stata.
Mi sembra in Egitto, così conciata.
SEI FELICE?
"Scusa?!", mi dici. "Ah, mi spiace,
sono le quindici e tre quarti..."
E di nuovo parti.

Mi levo il cappello,
nessuno m'aspetta
non sono mai in ritardo.
Ogni volta ti saluto
e me ne vo fischiando.

La farfalla
Un due tre...

Vola la farfalla,
si libra nell'aria
da un petalo di viola;

Quattro cinque sei...

Con la sua tinta varia
leggera mi s'invola
sul bianco d'una dalia.

Sette otto nove...

E se per caso piove?
Mi pare indifferente
ai giochi della sorte...

E se per caso muore?
Mi pare che la vita
sia un lancio di moneta

Dieci, dieci, dieci...

Come le cinque dita
che conto nella destra,
aggiunte alle altre cinque
della mia man sinistra.

Come tutta la vita
che bella, brutta o varia
benché poi ci s'affanna
al dieci è già finita.

Fuori
Fuori
è una notte disturbata
dal fluttuar dell'acqua
sugli scogli, sulla spiaggia.

In trasparenza è una donna,
se ne scorge la bellezza.

Ancheggia
di luminosità la luna
dietro un velo
di minigonna.

Bastasse una parola
Oh bastasse una parola,
sbattere svelto di ciglio
che l'iride disvela!

La cercherei scavando
negli abissi scuri,
la cercherei volando
dentro cieli chiari.

Bastasse quella soltanto!
L'avrei cara come un figlio,
come la vela il vento...

Al cristallo dell'ecanto
Al cristallo dell'ecanto nei cespi
-ed il biacco gli scivola vicino,
il tuo sospiro dura a fatica,
ed è il singhiozzo chiaro della rana
nella belletta agostana, insecchita;

e l'attendere impaziente che ti sconsola
l'invisa discesa, taciuta,
dell'aliante nell'erba.

Che tu sia
Che tu sia, per me, lo spruzzo
inargentato dal raggio nell'azzurro
rivolgersi dell'onda;
e sulle mani la pasta molle
del pane e lo zucchero,
da suggersi le dita;

che tu sia il tepore del mattino
annidato nell'arcobaleno
o il volgere del vento sul sereno
rintocco delle campane

(e la festa che tra noi mortali
appare e poi scompare)

che tu sia l'immagine
- artefatta, fallace, vana
della Felicità,

ancora poco
importa?

Tempo
Tempo tempo tempo

Nella clessidra la sabbia, nel quadrante
dell'orologio una lancetta e il cucù
che suona e mi dice che tante, tante
sono le cose che cambiano ma tu,
tu non tornerai più.

Tre secondi, due secondi, un secondo.

È il tempo che conto scorrendo a ritroso
le pagine scritte sul mio libro,
le pagine strappate non le considero,
e la mosca è da sempre un insetto noioso.

Tzzz, tzzz, tzzz

"Acchiappala al volo", mi dice una voce
che non so più se è mia o quella di mia madre.
Di mio padre. Vorrei solo pensare
che tu non tornerai più per davvero e invece
e invece ci spero.

Acchiappo la mosca al volo...

Tempo tempo tempo
che sei fuggito via,
il tempo solo d'una vita,
d'una nostalgia.

-Contro le barbarie di guerre e terrorismo-
Dal balcone

Al balcone verde di fronde di pino
è l'aroma del caffè che vien da dentro
l'alito del bacio tiepido dell'alba,
molle bacio liturgico; e il cielo rosso
l'antico graffio. Il giorno sgocciola brina:

cantami, cantami diva l'ira

sulle città buie, dentro gli antri scuri

cantami, cantami ancora

il chiarore delle esplosioni, la schiuma
nella bocca dei morti, la rabbia
di chi si copre gli occhi;

non cantare, stattene zitta ora:

al balcone viola del drappo del pino
piange l'aurora, piange l'usignolo
il suo ultimo assolo lamentoso.

Così potrei dimenticare
Così potrei anche dimenticare
-nella polverosa ruota dei carri
o nella combinazione degli astri -
la pioggia sulle ciocche dei castagni,
forte pioggia a rivoli per i fossi
arsi al fuoco delle rose sgualcite.

Ma il tuo catrame sulla mulattiera
fermenta oscuro e rivela profonde
tracce di te. La strada percorsa è
segnata dai giri stridenti dei tuoi

sorrisi. Ogni stilla di miele in cielo
-voce, sdegno o gioia- appartiene a te.
All’indietro non si torna e la rotta
ci resta ancora ignota.

Notti basse
Notti basse sulle case insonni
dove le attese sconfinano in sogni
dove il poeta impugna lo stilo
sbadiglia la luna appesa al suo filo.


Tanto felice nel ritrovarti
io mi perdevo nei mille tuoi gesti,
femmina audace, tanto procace,
la cenere infochi dentro la brace.

Poi nel vederti le gambe snelle
in aria agitarsi come farfalle
io le sorpresi schiuse e ammiccanti
del sesso cantare gli infimi canti.


Notti basse su camere accese
dov’è l’intreccio di mani protese,
il poeta ripone lo stilo
sbadiglia la luna appesa al suo filo.

Dimenticavo le mie intenzioni
in fondo alle tasche dei pantaloni
e le tue labbra rosse e carnose
mi sussurravan: “Fioriscon le rose”.

Strana allusione al roseto in fiore
nel quale entrare per pungersi il cuore,
nella ferita il corpo oscillava
e poi del tuo amore mi ripagava.


Notti basse sull'anime intente
quando il respiro si fa più pesante,
quando il poeta perde la rima,
curiosa la luna si fa più vicina.

E colsi i frutti delle tue valli
fui cavaliere di furiosi balli,
mi sprofondai dentro mari profondi,
vidi la luce dei bassifondi.

Quando emergemmo dai nostri giochi
e furono spenti tutti quei fuochi
il poeta riprese la rima
e scrisse del sole vicino alla luna.

Ritratto
Mani che cercano, dopo pregano
fra graffi di gatto come fili
sottili vermigli.

Occhi sperdono faville,
lampi confusi di stelle
in direzioni varie.

A dopo
La volta dell’arco sul mare
sospira nel vento di canti,
non trovo laggiù cose amare,
soltanto che sanno di sale.

Respira la foglia nel vento
giocando in folate a spirale,
sospira il mio cuore in lamento
dischiuso in un tenero male.

Virgulto che scioglie il suo nodo
in pallido raggio di sole,
virgulto che albeggia nel vuoto
giocando fra l’alba e la notte.

Son chiuse le porte, son rotte
in camera mia le persiane,
rigiro nel letto il tormento:
“A dopo, mio querulo male”.

Sogno d’un clochard
A sciami su dal cerchio che segna gli occhi
infossati sotto l’arco delle palpebre,
(violette- com’è tuo solito- dal trucco)

a sciami sorge il luccichio d’ali delle vanesse
che confondo spesso con lacrime
di pianto o gioia. O con le stelle piegate
sopra i campi viola o con la schiena che
mostra i tuoi anelli quando s’incurva
e di contarli non mi passa mai la voglia.

Versailles sarà l’anno prossimo,
Buckingham Palace il giorno dopo…
In questo peregrinare conta solo l’oggi
ed oggi siamo a piedi, senza fissa dimora.

Ti costruirò un castello sotto il ponte
ed il suo cartone si bagnerà di notte
sotto la pioggia. Ai bordi della Senna
oppure là, cosa c’importa?

La miseria ha uguale maschera
a Parigi come a Londra…

Sogno d'un soldatino
Prima fila, dietro il cannone:
miccia fuoco bum si spara.
Sopra il lampo corpi morti
e l'alba è più lontana.

Giubba rossa, giubba blu

come giocare ai birilli,
i soldatini cascano giù
fra i tuoni e gli strilli.

"Vorrei soltanto dire:
sono stanco, non gioco più!
Vorrei soltanto dare
un bacio a chi amo
e non mi vedrà più".

Seconda fila!

Giubba rossa, giubba blu.

………….
(Acrostico)

Solo le tue iridi azzurre mi parlano
ignorando la vecchia polvere;

sempre (come sempre) la tua bocca
tace tormentata dal lucida-labbra
ancorata alle parole solite, ora

cercando gli sbuffi di fumo,
ora le luci dell’alba.
Ma non basta il secchio
e la luna che vi si specchia

dentro, sgranando gli occhi

accarezzando con la mano stanca
una certezza sempre più vaga.
Trema nel rivo placido
una scaglia d’argento:
non è più tempo,
non è più tempo
ormai per dirci addio. Spuntano già

sugli alberi le foglie.

Orchesella
Orchesella dentro le foglie secche
non hai ali: come eviterai il passo
dell’escursionista occasionale?

Neppure ti si vede. Ma tu continui
il tuo pasto. Orchesella, ti ho scoperta
così per gioco, per puro caso…

Che forse tu sei degna di poesia?
Neppure sai cos’è! ma io continuo
a poetar per te. Non avrai gloria

per questo, certo. Né cambierai vita.
Orchesella, via! Sei tu l’astuzia
di cui s’allieta la noia mia.

Il peso secondo la misura
Basta poi guardarsi intorno
per capire come il mondo gira,
il peso che abbiam sul dorso
varia secondo la sua misura.


L’uomo che muore di fame
nelle bidonvilles, nelle favelas

l’uomo che invece stasera
per disgrazia è incastrato a una cena.

L’uomo che tutti i suoi sogni
li scarta perché costano troppo

l’uomo che non c’è più posto
sulla crociera verso l’Egitto.

L’uomo che l’acqua è preziosa
e una goccia significa vita

l’uomo che senza la doccia
il mondo puzza, questo lo schifa.

L’uomo che domani è festa
e per campare non ha un impiego,

l’uomo che il lavoro stressa,
ma per fortuna poi c’è la festa.

L’uomo che la libertà
è vivere senza le catene

quello che la libertà
è solo far quel che gli conviene.

L’uomo che sogna l’amore
per guarire dalla solitudine

l’uomo che, fuori la moglie,
alla fine è una grande libidine!

L’uomo inginocchiato in chiesa
che ringrazia Gesù perché è vivo,

l’uomo in silenzio che chiede
di morire prima del mattino...

Basta poi guardarsi intorno
per capire come il mondo gira,
il peso che abbiam sul dorso
varia secondo la sua misura

A "Le scimmie"
(a L. P., 12/06/2002))

Mi hai detto soltanto
che domani parti.
Eccomi stasera coi miei dubbi
e le promesse che mai facesti,
né farai, ahimè, suppongo.

Al tavolo sei più bella
di quanto già sapessi.
Che ci facciamo qui, noi,
se io t'amo e tu no?
Ti porgo dubbioso una rosa.

Per strada, al ritorno,
una rosa ci divide.

III
Il mio cuore a metà
strada t’incontrò.

Mi chiedo a metà di cosa,

se d’un viaggio avventuroso
o di una faticosa corsa.

So dei miei vaneggiamenti,
per te solo un soffio di polvere…
- Da: Riflessioni postume -

VII
Sono tornato alla
vecchia nebbia.

Canta il gallo

piroetta la banderuola.

Il solito vento
che ti dava noia,

che non dissipa
il dubbio

e la nebbia…
-Da: Riflessioni postume-

Le parole del fiume
Il sole dentro i boschi legava come i lacci
gli alberi in abbracci e ti feriva gli occhi;
e tu che camminavi diritta pel sentiero
rassorta in un pensiero, andando non parlavi.
"Oh che succede amica, che son questi silenzi?"
e sotto i tuoi silenzi strisciava una formica
"oh che succede cara, perché tu ti rattristi?"
un gruppo di turisti gridava per la strada.

Il fiume sotto il sole s'accende di scintilla
d'acqua che bisbiglia in scrosci le parole:
"non devi aver paura s'il tempo scorre forte
la notte alle tue porte un giorno busserà;
ma fino a che c'è luce tu veglia ed ama e veglia
e l'ombra sulla soglia non ti sorprenderà".
E mentre ti parlava lo spirito del fiume
un passero le piume col becco si lisciava

e mentre ti parlava scandendo le parole
s'aprivano le viole agli occhi tuoi lillà.

I tre specchi
Tenni dentro lo scrigno chiusi i tristi specchi
ove mirai con occhi grandi il lungo Sogno:
nel primo è la dolcezza del nostro cielo azzurro
che trema col sussurro del soffio della brezza;
nell’altro invece il sole ricorda l’incertezza
di quei momenti senza la luce, senz’amore:
per guerra e per dolore la vita ci conduce.

Non seppi dirti niente di quello opaco e rotto,
il terzo specchio sotto il quale della gente
nessuno si specchiò. Rimase nello scrigno
col panno di velluto, rimase dentro l’occhio
che mai ci calcolò. Se fosse l’incompiuto
destino a noi dovuto, io dirtelo non so.

Le Fenici
Spiuma la lunga coda; e il riflesso
del cielo infuocato al tramonto
mi tormenta lo sguardo;
e le parole grondanti
-come la pioggia,
di cenere

il fiore che caldo
germoglia dentro i varchi
trepidanti di carne:

rossa fu la fiamma
che ci divorò entrambi
con l’ira funesta che la Musa
cantò e cantando ci escluse.

Non furono per noi quei canti
e gli alleluia e il frullo dei passeri,
il fruscio delle serpi nei rovi
il groviglio di nodi…

se l’intrico dischiuse la selva
in un attimo per noi al sipario
e si fermò la fauna con la flora

quell’attimo capovolse il Tutto
e morendoci nelle mani risorgemmo.

Un sorriso
Ti guizza come l’anguilla lucida
che sale e l’inghiotte l’onda
nel balenio del sasso levigato
l’occhio di lente ora azzurra
ora verde al riflesso dello specchio;
e non so la parola che provocò
l’istinto di ridere col rimorso
di dopo al tuo labbro.
Cristallina l’acqua scorre
ancora impetuosa in questa
vita tormentata; il tuo riso
per un attimo è il segno
che dopo anni ancora attendo
Sulle gore sui vortici del mulino
sull’arrugginito stridio del gallo
lanciato al vento dalla torre
del faro…
Ma il fascio gira
fra scogli a vuoto e non trova,
la luce, sosta: pace riparo
all’immagine della madreperla
che ancora balena sui tuoi denti,
al guizzo lucido dell’anguilla
dentro la tua anca fuggente.


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