Occhiluce Senza voce soffusamente si disegna in mente, ora chiara ora più confusa, la raggiera dei tuoi occhi, la pupilla che allo sguardo come una magia ravviva la scintilla delle cose. Non hai sapienza tu della virtù che insegna l’eterno tuo occhieggiar da intimidita dentro lo spiraglio o dietro la cortina quando il mondo si contorce, s’aggroviglia. Cade il lampo, socchiuso l’uscio si richiude, ritorna dal cielo il buio e ad aspettare son qui, tacendo, io di nuovo la tua luce. (Da "L'eco dell'ultima corda", Lietocolle 2008)Vorrei dirti soltanto... Ma vorrei dirti soltanto che t'amo e vedere cosa vedono gli occhi, questi tuoi, quando ti dirò che t’amo. È sera in città e sarà presto notte e domani all’alba avrai un volto nuovo o il consueto, che da tempo conosco, rifiorito in un insolito sguardo. Io ti dirò che t’amo fra i passanti distratti del centro; m’ascolteranno i piccioni stipati alle grondaie, le gocce su noi, che cadono rade; m’ascolteranno in quest’aria invernale il tuo cappotto allacciato, il tuo profilo amato e sarà bello come il chiaro della luna, sarà la cruna d’ago a ricamare trine e stelle sui tetti delle case. Sulla città allora sarà notte, sarà una notte da amare. Il sogno Dall'uscio appena dischiuso il sonno ti ha colto stanotte come una nuvola, passeggera quanto basta perchè un lampo scolpisse la tua figura nell'ombra. Ho pensato al tranquillo essere altrove nel sogno tuo o d'un altro, in altre città; alla libertà della freccia scoccata in cielo a quell'attimo in cui è un volo leggero il desiderio più vero. Così per sempre nelle mattine che verranno sarà mio il ricordo delle tue palpebre chiuse, delle tue ciglia allungate come rami al vento, soffio di vita sulle vele, onde calde dal tuo petto. Stella polare Sempre dopo il tuo sguardo c'è un mare tragitto d'onde, fatto di strane euforie e di venti leggeri e di tempeste. La tua voce è la voce del sale, lieve, risorta dall'intreccio d'ombre a segnar vie e sponde, notturna stella polare (Natale 2006) La Notte Santa È un bocciolo appena questa Notte Santa e una musica celeste s’è diffusa nell’aria: col vento ch’è un fischio quasi sommesso e il vischio e la brina e il bue e l’asinello e una stella lontana che guida i Re Magi, c’è una madre e c’è un padre e una gioia che nasce. È un bocciolo appena questa Notte Santa: sarà un fiore immortale, un chiarore che abbaglia. Quant’Amore di Dio dentro il primo respiro, quanta luce sul mondo all’aprirsi d’un ciglio, quanta pace che regna nella Notte Santa! Oggi è nato Gesù, “Osanna, osanna!” Ti canto e con te canto Ti canto e con te canto quella bellezza che t'accompagna come una fedele ancella. Il tuo sorriso è la gemma scolpita nel ramo, nell'occhio divino che ci guarda. E t'amo quando da lontano il tuo passo di vento impalpabile, leggero s'avvicina. T'amo quando sulla porta il tuo volto s'affaccia quando la tua voce di cembali e di archi saluta e il mio nome ridendo chiama. È per questo che ti canto e con te canto la folgorazione dell'attimo che ti vidi la parola, la poesia che ora tu mi ispiri come una folata d'aria ch'esplode alla caldura come il mio ardire, amor che vinci ogni paura. Gli arcolai L'unica -dove, amica, saliremo- ultima meta ci vedrà vicini? Dopo ch'il viaggio porterà allo stremo ogni forza e volontà, oltre i confini, verrà quel tempo dei gabbiani liberi? In cielo correremo, ove cammini. Cader non si potrà. Sopra leggeri arcolai fileremo il corpo, lievi. Il vento d'autunno e la foglia "O diletta, tu, foglia d'autunno Ingiallisci e sovra a questo ramo Or tremi. Forse mi temi o temi Ch'il mio tenue soffio ti condanni?" Ed ella alzossi e come avvinta a un filo E dentro un vorticello appena appena D'aria, sì sospirando, al vento disse: "Cosa temer dovrei se quest'autunno m'ha invecchiato e son qui pronta a cadere? È di necessità ch'io infine cada, è per la pianta, è per le sue radici è per l'appartenenza a questa terra che a tempo lascio la mia vita ma io per rinascer già, vento d'autunno, ancor più verde a primavera, muoio…" Finis terrae Non torneranno invece coi venti settembrini né con quelli d’oltreoceano, né sulle case in stormi di ali o in nugoli di zanzare non torneranno a sciami, non torneranno dentro fiocchi di ore o cravatte di anni li aspetterai così con l’anima nell’ansia saranno come treni in anticipo sugli orari e coincidenze non capite non afferrate no, non torneranno e tu lo sai saranno nuvole di passaggio, saranno capi di bestiame da macello, saranno angeli con le trombe ad annunciare la fine del mondo, saremo noi saranno poi fiori nell’incendio estivo e conchiglie e figli e le nostre figlie e i morti e il sangue delle guerre e le attese e i sogni, saranno la bottiglia e l’onda rotta sulla punta a Finisterre. Non convenimmo Non convenimmo un saluto e fu spregevole lasciarci, o amica, da nemici. Come due relitti dove cova una fiamma, un’ira o forse un’incomprensione muta. Ed ora siamo qui tra i più infelici se questo struggermi è l’identico che opprime te. Hai lasciato la mia strada sgombra col cielo di nuvole scure. E l’alba non è più certa. Hai scelto per noi quella (poco romantica strada) della trafila burocratica. La parabola della lampada (Luca 8, 16-18) Non vedo la tua lampada, manca la luce qui nella tua casa. L’ospite non troverà la strada, l’ospite che inatteso ha bussato all’uscio della tua casa. Mettila in vista, la lampada, non sotto il secchio o il letto a nulla lì servirà… Vedrai allora la tua casa e le pareti ed il soffitto come mai l’occhio tuo l’ha visto, vedrai com’è accogliente la tua casa, gli ori la sua preziosità, gli intarsi del tavolo, i tesori ch’essa ha -e dei più rari; vedrai il pane e il vino e la dispensa ricca e la tua donna bella come mai l’hai vista e l’ospite sorriderà e distinguerà il tuo volto, il volto di chi tanto benevolmente l’ha accolto. Così tutto quello che ora è nascosto dal buio sorgendo alla luce sarà portato, e ciò che è segreto d’improvviso sarà chiaro… Se tanto hai, tu riceverai di più se pensi d’aver poco, lo perderai tu. Impronte nella neve Come le impronte chiare nella neve passa e ti sembra che abbia un frusciare e sembra di averla appena scorta e di averla toccata. Come le impronte chiare nella neve passa e lascia un segno che si scioglie di giorno e di notte, al caldo del sole come al chiaro di luna, la Felicità. Ed è il gesto pulito di una donna, la carezza serale al bambino; è il bacio e l’occhiolino d’amante all’amata. Ti colma sfiorandoti e passa. E non sai quando torna ma l’aspetti, sempre, come la prima volta. Dedicata Nel golfo d’ombra che scende col rigore dell’abbraccio dell’inverno sugli anni –lo specchio sotto ghiacciato di sopra la stria dell’unghiata del pattino, il sole buca un ciuffo candido, lo sguardo d’ovatta… Ti ritrovo in mezzo al ghirigoro che s’incurva come il ricciolo ignoto alla tua fronte, alla frangia in cui assorta ti fingo. Ti ritrovo in una vecchia carta della libreria universitaria con firma ed indirizzo e la tua Elle in calce. E mi riproverei a scriverti, penso, con l’inverno che si approssima al cristallo di questo Cielo che unisce e separa i destini - già ci provai con la scusa di dedicarti una poesia… Un giorno sarà il tuo specchio quel verso stretto, affatto bello. Al suo lampo improvviso tu allora mi apparterrai. Viale Fulvio Testi Tu andavi col passo del funambolo -sguardo alto ma non avevi nessuna anfora di terracotta in testa colma d’acqua, lungo le vetrate di sole il tuo oscillare attraverso il sogno, poco più d’un minuto… Lo tendo come l’elastico ora a memoria ma non si dilata la tua pelle fino ad oggi. E poi con un cenno della mano timido ambivalente ti voltasti a tagliare in due il traffico di Milano. Diogene di Sinope La mostrina sulla spalla discioglie il nodo, dell’altra marea raggio sceso alla notte per il cielo concavo . Non arde petrolio nella tua lampada divenuta presto le tue falangi, non riluce oltre gli arbusti, i roveti intricati dove il merlo, di giorno incespicando, ora di già s’acquatta e in eco si domanda: “Dov’è l’Uomo?”. A raccoglier moneta che rigiri più volte in aria volto e croce a caso a raccoglier sangue per questa guerra a contare le ossa nella terra. Meraviglia Dentro le pieghe della foglia -allacciate le braccia al collo, non so io, oggi, che dirti Meraviglia; in fondo all’occhio tuo io volo e mi strappa e mi porta il vento. L’incanto trasfonde incanto, Amore nel fumo denso. Leggeri L'altalena è il gioco più bello per i bimbi. Lanciano corde sul ramo e vi si appendono. Dondolare... Sembra di essere ancora alla culla a lasciarsi cullare. Leggeri come le parole di adesso, di poco fa. Per dondolare nelle vocali l'anima stanca e sognare nelle consonanti la felicità che ci manca. La stanza Aprir le tende, credo che allora sì, entri nella stanza un po' di luce, questa notte che ora si dischiude al suo tramonto, assurda fin troppo buia. È l'alba, svanisce ogni paura concentrata negli specchi, nel loro eterno riflesso. Aprir le tende, ecco che allora sì, la stanza di luce s'inonda scompaiono gli spigoli dal tuo corpo spoglio ed ogni ombra. Sirene Ah, le mie sirene, dolci ed avvenenti, agli scogli caldi stese, nel sole rilucenti, dolce abbandonar di morte dalle vostre reti fuggo, lieve rivelazione d'un sussurro tanto celeste e tenue. Ah, languidi echi, maliardi e osceni, svelate il nodo ai forti pugni di più tenaci catene, e a voi, cari compagni, eccovi traditi delle umane sorti i divini orditi. Che udir io possa, ancora, mie sirene nei canti vostri i vividi lamenti, i suoni amabili e fragili di risa: accanto a voi c'è l'illusion, l'insidia di mucchi d'ossi bianchi e scarni. Tende blu Aridità di sabbia e di cuore tende blu miraggi di nuova emozione il turbinar del vento sulle dune sulla pelle soltanto due lune nella notte senza stelle due lune. Arar con buoi tale polvere che rimescola il tempo secondo seminar nei solchi dei semi amoreggianti con altri desertici. Le tende blu miraggi di tristi conforti alle cupe ferite ed arsure tende blu sorrisi di scomparsi beduini blu dell'oceano infinito. Anche questo è un oceano infinito deserto. La vermena La vermena è nel sogno che ti cinge le tempie, quasi fosse una corona, e si annoia nella stagione scorsa: il ricordo -ahi, ecco cos’è!- sopito; in fine, catena che morde il passo ed il barbaglio è un attimo: il cerchio del tuo mondo solare, senza pioggia, dov’e raggio il metro; e una lampada e una tettoia. Il rosolaccio Nell'onda irrequieta dei capelli hai disposto ad ornarli il rosolaccio e ora mi guardi e sorridi e mi chiedi se tu somigli alla contadinella. "Rosso il papavero, verde l'erba…" comincia così la tua cantilena; "azzurro il cielo, bruna la terra…" sollevi alla falda il cappello di paglia: "se il mondo gira, giriamoci su se il mondo casca… non pensiamoci più" Fuliggine Fidarmi, (come potrei?) dei tuoi occhi che la fuliggine ancora svapora in macchie scure. La voce leggera, modulata appena, dentro il bagliore mi confonde; ed il vento sulle agavi rimescola il secolo. La tua voce, allo scarto estenuato dei cronografi, è il ferro rovente di uno sbaglio: fidarmi -come potei?- del tuo sguardo! Naufragi Le anfore d'argento schiumano sulla prora lunghi rivoli d'acqua: sporge la polena il duro seno a sfidare col petto l'onda crespa, i fiotti che s'arricciano. Ma il vento frusta la schiena arcuata delle vele, rosso sangue nel polso chiuso al laccio; ma il cielo scaglia fulmini e burrasca: sulla pietra la chiglia si sconquassa. Anima Cercava qualcosa per terra ed era importante trovarla, cercava e non la vedeva, cercava e non la trovava. Le mani poggiate per terra, tastava quel gelido suolo: cercava e la gente guardava, la gente curiosa guardava... Passava lì accanto un bambino (passò tra la gente curiosa, la gente che scoteva la testa, che in coro diceva: "Follia!") e senza domandare nulla, vicino gli s'inginocchiò. Accanto passava il bambino e senza ripeter "Follia!" e senza domandare nulla, vicino gli s'inginocchiò. Guardava la gente stupita, guardava e rideva stupita finché la ricerca, finita, fece sorridere l'uomo. Rideva la stupida gente, sorridevano l'uomo e il bambino: l'avevano tanto cercata, cercata e poi ritrovata, fra un cumulo d'anime perse. TEGLIO, fine dicembre Meriggio da dietro le cime: il sole giocoso con l'ombre a piacere suo le distorce, nel freddo pungente ed acre è tizzo violento di torce; e sono le parole vane, son nuvole di fumo in bocca, vaghe d'essenze lontane rovinando di rocca in rocca. Il passo ci serve più lesto che il sole per poco ci illude, soli lasciandoci presto in dentro al rimorso si chiude. Meriggio d'andare spedito: le salite verso s. Rocco, le genti che van dopo il pasto a scender tra prati e bosco e con loro noi, al camposanto, se si vuole, giù per di qua; pisolando il cane sull'aia si sogna l'Eternità. In prilli la luce nell'aria svelta rimbroglia i suoi lampi al giogo delle guglie molli, le ombre di colpo sui campi discendono lungo le valli. Meriggio al camposanto, infine: i rami scarni tesi al cielo ai marmi e alle pietre più dure, torti alla stretta del gelo, rivelano preci insicure ed il vento come la morte a caso le sperde e confonde. Conto le croci che smorte vi resero, o zolle, feconde! Ch'anco là una lapide c'è, laddove il selciato dispare, disceso lo spiano c'è una lapide da trovare. Meriggio da tempo svanito: nel vento già il chiaro dismaglia l'intreccio sottile di stelle; tu, luna, viva medaglia che sorgi di dosso le ville, mi dici non esser contegno nel cielo d'intenso violetto per te patire l'inverno. E io m'allaccio al tuo cospetto al collo la mia sciarpa blu, ripasso la strada che manca, che svelta rimonta su, verso casa, col passo che arranca. All'imbrunire, giunti a casa: nella cucina ancora sbuffa un grato calore di stufa; sul desco riscalda le ossa fumante una tazza di tè. Felicità, non che si possa in questa festa non amar che te. Sulla Croce Del pane che i demoni porsero ho ancora vuote le mani ed il deserto schiuse la dura roccia come accoglienti braccia. Dei regni ch’essi dispiegarono agli occhi miei evanescenti e a me furon promessi, -ma già lo sono ed indi contraddetti; della vertigine poi che scosse l’anima mia sul pinnacolo e la caduta e il volo degli angeli bramati, non ho che un ricordo sfumato perso, ma certo lo smarrimento dentro fu pari, quello, a questo. Al Cielo, a Te, Padre, grido: “Eloì, Eloì lemà sabactàni!” Apro finestre Apro finestre, varchi nel muro a contemplare stelle, a respirare cielo. L’aria sa di nuovo di fronde fresche che sibilano al vento. È primavera, sbucata d’improvviso tra i cespugli, al chiaro di luna, e di sotto ci giocano i gatti. È primavera, bucata dalla luna piena che fuma nuvole viola da una sigaretta spenta. Chiudo finestre, stucchi nel muro a non veder più stelle, a rinnegare il cielo: l’aria sa di nuovo di fuochi d’incendi dentro boschi. Alba S'ode di laggiù l'aria fremere in profumati giardini, i fiori dai calici riversi spargono canti roridi di pioggia. Il vento del mattino richiuse i nostri ombrelli in dita rosee d'alba e cullai l'anima tua nei calici, mi riversai nell'erba in goccia. Il sogno del marinaio La burrasca incombe e scuote come un lenzuolo il mare; il vento picchia forte sopra gli alberi la nave… “Madre, madre! Come salpò la nave avevi gli occhi chiari; nel porto il sole accecava i metalli. Madre, madre! Non piangere se il figlio oggi ti muore…. Ti porterò alla festa del paese e balleremo al fuoco senza sandali; solleveremo tanta polvere da ricoprire il cielo. Ti porterò alla festa del paese e balleremo al fuoco senza sandali; solleveremo tanto vento da scacciar le nuvole… madre, s’io torno, madre!” Il sogno del prigioniero Le mie giornate sorgono in strisce, sulla mano l’ombra del sole; e per la tromba delle scale precipitando il giorno muore. La parete è livida sporca, mio quaderno; e chiedo (negatami), supplico per una matita. Un tubetto di colore da spalmare con le dita. Nuvole oltre le sbarre parallele infinite… Il mese l’anno il secolo… Una clessidra senza fondo contiene il deserto biondo, e io rinchiudo i giorni nel mio pigiama a strisce. La sarta L’ago ripassa rapido alla mano: cucimi sul cuore la goccia rossa rossa e come un ricamo come il tulipano al cader della sera. Cucimi sulla pelle l’amore in grumi di stelle, stillicidi di formiche… Ch’io sempre lo ricordi: la notte non finisce quando sorge il sole. Taglia e cuci i giorni, in mille tasche nascondi il mio dolore. Nostalgia azzurra Il cielo s’arriccia in spire slegando nodi di conchiglia, con un lungo giro di fumo s’insinua nella mattina. Punge come spillo l’ineffabile amaro dello zucchero. La cortina di fumo svetta all’ombra della sequoia, ti nasconde, t’avvinghia ai rami. Treno nel filo d’una foglia sferragliando t’accartocci, cadi. Ripartenze Sopra la carta che l’attacchino stralcia s’apre la mattina, fra verde di fronde, nella scarsa luce della pioggia. Ho visto -nelle profondità, nelle pieghe abissali- l’incoscienza sfiorirti, l’incoscienza dell’antica ferita del tuo pugnale sulla mia essenza. Sfiorivi forse perché il mio animo si schiacciava a terra e ti tendeva dopo anni la mano… Ma l’occhio che scruta dall’alto verso il basso –ancora, come prima- mi conobbe? Fu che l’attacchino stralciò la carta e, sotto la spiaggia fine delle Haway col marchio Turisanda, cadde la tua incoscienza piatta e per miracolo la tua auto ripartì… Tracce di Musa Polvere dal mio pensiero piove sul cuore in fiocchi a stelle muore il mondo sul sogno di te si spegne. E non ho per seguirti ali -libellula lieve pei campi- né piedi veloci per correre inseguendo i tuoi voli ampi. Polvere dal mio pensiero piovi mi bagni. Non cogliere ghirlande Non cogliere ghirlande, non farlo per me, amore. Lascia che il vento passi e la luce trascolori e che il cielo rabbuiando rinneghi i suoi colori. Non cogliere ghirlande fallo per me, amore. Gli acrobati L’arte è mutevole nelle sue forme. Gli acrobati si sfilano le scarpe inutili al loro gioco. Passi lenti, che non fanno rumore. La fisarmonica all’angolo suona. Piroetta la capigliatura bionda dentro un giro di morte, un altro e un altro ancora. La bambina chiede alla madre com’è il mondo capovolto; la madre gli risponde: è uguale, come nello specchio… Un tale la guarda male. L’acrobata inarca la schiena, s’avvita nell’aria, cade sempre in piedi. La fisarmonica smette. L’acrobata si applaude la bambina resta col dubbio la madre sbircia allo specchio la sua immagine capovolta. Non svellere mano Non svellere, mano, il mio fiore sbocciato nell’umida sera come rosse labbra dischiuse nella pioggia incessante. Sfugge lungo il fiume un petalo e fu di chi ti precedette la sua stupefazione ingenua. Non svellere, mano, il mio fiore sbocciato con così grande pena, come l’ultima foglia sul far della sera… L’acquario Andiamo a fondo con tutti gli scrigni nostri; e la marea che chiama la luna si porta al largo la speranza, i sogni. Sul fondale dipinto boccheggiamo in policromie nuove ma ciascuna d’esse non serve a rivelare l’amo. Chi domani -o dopo- ostenterà il giallo e ricoprirà le scaglie di piume, chi tra un colore e l’altro dentro un fiume perderà la via e pulirà il metallo dei suoi spilli, in silenzio, di nascosto… Non ci sarà, per noi, alcun altro posto dove l’infinito sarà l’unico possibile scenario e andremo a fondo nel profondo dell’acquario. Mattinata di campagna Il sereno ti discosta dal lenzuolo chiaro dal caffè nero amaro, dalla scura imposta al davanzale. Ma col sole corri in prati, ahi quanti amori, tanti! Li lasciasti alla città… Il giovane falchetto volteggia sulla testa dei bimbi oggi in festa che giocano a stecchetto: “quello più lungo vince, il corto invece perde!” pel bosco si disperde il canto delle cince. “Pesca mammina cara, quello più lungo vince!” mentre che ti convince la Sorte a volte bara: nasconde nel suo mazzo di viole e rose fresche l’insidia delle esche, coprendo l’imbarazzo. “Ah, ma che peccato!”, dal pugno del bimbetto hai tratto lo stecchetto, quello più sfortunato… Oggi tu ridi e giochi, domani chi lo sa se i prati di città hanno gli stessi fuochi fuochi di gioia, lampi d’ogni felicità tu gioca per i campi : domani non si sa. Il biliardo Scorre, passa per dita adunche il filo compie il lungo giro della matassa, sale sciolto nella fatale presa. L'anno ti segna nel viso un solco, vedi? Non è come tu credi il sole, sole che fa della pelle grinze, o la saggezza -forse sì, quella te la concedo. Scorre, passa tra Cloto e Lachesi con Atropo che lo recide… Inutile è ripensarci come gomitoli stretti agli angoli d'un biliardo, come inghiottiti presto dalle buche per le sponde d'un mare verde prato. I cristalli rotti Le sfere di cristallo sulla credenza all’urto tenue dello spolverino frangono l’iride in taglienti schegge. La tua cura s’allunga, s’indigna, irata, alle cortine sgretolate. A che giova pensare al domani, a cosa sarà di noi? (A ciascun giorno avanza la sua pena). Regalami amore… Regalami, amore, le tue colline in fiore il sottile piacere della brezza nell’afa regalami l’azzurro vortice dell’acqua la nuvola alta, la sabbia della spiaggia i castelli dei bimbi, i castelli d’aria. Porgimi la guancia, la tua pelle di mela chiara; porgimi baci e abbracci, il collo candido come quello dei cigni Il sole e la luna hanno sempre cara la sacra tenerezza degli amanti, l’affinità dei loro sguardi. All’infelice Musa Ora non più, io non ti conosco Musa che Musa non eri se non nei pensieri miei lievi. Ci divide l’abisso nero il tuo fulgore s’è spento, non era vero. Come la stella vivi d’un riflesso… Ti vedo piccola giù nel bassofondo mi muovi a pietà, tra di noi l’Abisso. Dammi il tuo raggio di sole Dammi il tuo raggio di sole e quello che stringi nelle mani, una carezza; dammi il sorriso dammi il rimedio al dolore, alla tristezza che mi colma gli occhi, che segna la ruga amara profonda lungo la bocca. Dammi quel fiore che nasce nel pensiero, dammi la cura di un poesia d’amore ancora dammi parole parole, parole che agogno… La fronte da baciare con ritegno la luce, dammi, quando il mattino ti sorprende mentre dormi il più bel sogno. No me Il raggio di sole ancora illumina la tua bocca le tue parole, beato in eterno chi tu chiamerai: “Amore…” Sandy Sandy tu odi quanto dolce vibra il nome tuo nell'aria? E il disegno del tuo volto trovar posso impresso nelle mie pupille... Qual conforto alle mie pene ripensare al davanzale, al panorama ch'esso mostra col paesaggio collinare! Poi che dir del bel nasino che riluce nel profilo, delle labbra tue carnose mentre mordi una ciliegia... Oh bellezza tutto tondo, -così m'appari, lo confesso! (non nel senso di una palla ma perché beltà completa) coi miei versi ti saluto celebrando la mia Musa. Il violino segreto Suona la matta della piazza, suona, saltando, il suo violino; viola le stelle s’aprono al canto come corolla di fiore al mattino: suona la musica per gli innamorati sospira “Ah, com’è bello, ah l’amore!” Due giovani per mano danzano e sembra d’udir quella musica assente vibrare in loro. In piazza fin sul mattino sembra che suoni un violino. Ricchezze Se il cielo evaporasse nel coperchio l’idee di chi governa, non le giuste disinteressate ma quelle sopra i condoni edilizi, dentro ville sui lidi, le alcove ignote ai catasti; -e dell’euro non ci importa un granché: se lo si suda o si ruba ha la stessa puzza delle superate lire- temo che una nebbia ci velerebbe la vista per un intero secolo. L’unica idea economica attuale è di chi innanzi a te mendica una moneta, un pane una mano ed una coperta. A conti fatti la sua ricchezza almeno è onesta. Un incontro Ti ho incontrata l'altro giorno di ritorno da un viaggio lontano: MICA STRANO, ho pensato, sempre di corsa nel mondo. "Adesso scappo, la bambina... l'asilo non m'aspetta; accidenti al vento, la sigaretta! In tasca: dove diavolo sta l'accendino? Ma che casino! Perdonami un secondo, mi reggi la borsetta?" Ti ho incontrata lì all'incrocio in un giorno tuo solito di fretta. Corri, corri sei tutta rossa, t'affanni ma alla fine sei sempre qui. Inutile domandare dove sei stata. Mi sembra in Egitto, così conciata. SEI FELICE? "Scusa?!", mi dici. "Ah, mi spiace, sono le quindici e tre quarti..." E di nuovo parti. Mi levo il cappello, nessuno m'aspetta non sono mai in ritardo. Ogni volta ti saluto e me ne vo fischiando. La farfalla Un due tre... Vola la farfalla, si libra nell'aria da un petalo di viola; Quattro cinque sei... Con la sua tinta varia leggera mi s'invola sul bianco d'una dalia. Sette otto nove... E se per caso piove? Mi pare indifferente ai giochi della sorte... E se per caso muore? Mi pare che la vita sia un lancio di moneta Dieci, dieci, dieci... Come le cinque dita che conto nella destra, aggiunte alle altre cinque della mia man sinistra. Come tutta la vita che bella, brutta o varia benché poi ci s'affanna al dieci è già finita. Fuori Fuori è una notte disturbata dal fluttuar dell'acqua sugli scogli, sulla spiaggia. In trasparenza è una donna, se ne scorge la bellezza. Ancheggia di luminosità la luna dietro un velo di minigonna. Bastasse una parola Oh bastasse una parola, sbattere svelto di ciglio che l'iride disvela! La cercherei scavando negli abissi scuri, la cercherei volando dentro cieli chiari. Bastasse quella soltanto! L'avrei cara come un figlio, come la vela il vento... Al cristallo dell'ecanto Al cristallo dell'ecanto nei cespi -ed il biacco gli scivola vicino, il tuo sospiro dura a fatica, ed è il singhiozzo chiaro della rana nella belletta agostana, insecchita; e l'attendere impaziente che ti sconsola l'invisa discesa, taciuta, dell'aliante nell'erba. Che tu sia Che tu sia, per me, lo spruzzo inargentato dal raggio nell'azzurro rivolgersi dell'onda; e sulle mani la pasta molle del pane e lo zucchero, da suggersi le dita; che tu sia il tepore del mattino annidato nell'arcobaleno o il volgere del vento sul sereno rintocco delle campane (e la festa che tra noi mortali appare e poi scompare) che tu sia l'immagine - artefatta, fallace, vana della Felicità, ancora poco importa? Tempo Tempo tempo tempo Nella clessidra la sabbia, nel quadrante dell'orologio una lancetta e il cucù che suona e mi dice che tante, tante sono le cose che cambiano ma tu, tu non tornerai più. Tre secondi, due secondi, un secondo. È il tempo che conto scorrendo a ritroso le pagine scritte sul mio libro, le pagine strappate non le considero, e la mosca è da sempre un insetto noioso. Tzzz, tzzz, tzzz "Acchiappala al volo", mi dice una voce che non so più se è mia o quella di mia madre. Di mio padre. Vorrei solo pensare che tu non tornerai più per davvero e invece e invece ci spero. Acchiappo la mosca al volo... Tempo tempo tempo che sei fuggito via, il tempo solo d'una vita, d'una nostalgia. -Contro le barbarie di guerre e terrorismo- Dal balcone Al balcone verde di fronde di pino è l'aroma del caffè che vien da dentro l'alito del bacio tiepido dell'alba, molle bacio liturgico; e il cielo rosso l'antico graffio. Il giorno sgocciola brina: cantami, cantami diva l'ira sulle città buie, dentro gli antri scuri cantami, cantami ancora il chiarore delle esplosioni, la schiuma nella bocca dei morti, la rabbia di chi si copre gli occhi; non cantare, stattene zitta ora: al balcone viola del drappo del pino piange l'aurora, piange l'usignolo il suo ultimo assolo lamentoso. Così potrei dimenticare Così potrei anche dimenticare -nella polverosa ruota dei carri o nella combinazione degli astri - la pioggia sulle ciocche dei castagni, forte pioggia a rivoli per i fossi arsi al fuoco delle rose sgualcite. Ma il tuo catrame sulla mulattiera fermenta oscuro e rivela profonde tracce di te. La strada percorsa è segnata dai giri stridenti dei tuoi sorrisi. Ogni stilla di miele in cielo -voce, sdegno o gioia- appartiene a te. All’indietro non si torna e la rotta ci resta ancora ignota. Notti basse Notti basse sulle case insonni dove le attese sconfinano in sogni dove il poeta impugna lo stilo sbadiglia la luna appesa al suo filo. Tanto felice nel ritrovarti io mi perdevo nei mille tuoi gesti, femmina audace, tanto procace, la cenere infochi dentro la brace. Poi nel vederti le gambe snelle in aria agitarsi come farfalle io le sorpresi schiuse e ammiccanti del sesso cantare gli infimi canti. Notti basse su camere accese dov’è l’intreccio di mani protese, il poeta ripone lo stilo sbadiglia la luna appesa al suo filo. Dimenticavo le mie intenzioni in fondo alle tasche dei pantaloni e le tue labbra rosse e carnose mi sussurravan: “Fioriscon le rose”. Strana allusione al roseto in fiore nel quale entrare per pungersi il cuore, nella ferita il corpo oscillava e poi del tuo amore mi ripagava. Notti basse sull'anime intente quando il respiro si fa più pesante, quando il poeta perde la rima, curiosa la luna si fa più vicina. E colsi i frutti delle tue valli fui cavaliere di furiosi balli, mi sprofondai dentro mari profondi, vidi la luce dei bassifondi. Quando emergemmo dai nostri giochi e furono spenti tutti quei fuochi il poeta riprese la rima e scrisse del sole vicino alla luna. Ritratto Mani che cercano, dopo pregano fra graffi di gatto come fili sottili vermigli. Occhi sperdono faville, lampi confusi di stelle in direzioni varie. A dopo La volta dell’arco sul mare sospira nel vento di canti, non trovo laggiù cose amare, soltanto che sanno di sale. Respira la foglia nel vento giocando in folate a spirale, sospira il mio cuore in lamento dischiuso in un tenero male. Virgulto che scioglie il suo nodo in pallido raggio di sole, virgulto che albeggia nel vuoto giocando fra l’alba e la notte. Son chiuse le porte, son rotte in camera mia le persiane, rigiro nel letto il tormento: “A dopo, mio querulo male”. Sogno d’un clochard A sciami su dal cerchio che segna gli occhi infossati sotto l’arco delle palpebre, (violette- com’è tuo solito- dal trucco) a sciami sorge il luccichio d’ali delle vanesse che confondo spesso con lacrime di pianto o gioia. O con le stelle piegate sopra i campi viola o con la schiena che mostra i tuoi anelli quando s’incurva e di contarli non mi passa mai la voglia. Versailles sarà l’anno prossimo, Buckingham Palace il giorno dopo… In questo peregrinare conta solo l’oggi ed oggi siamo a piedi, senza fissa dimora. Ti costruirò un castello sotto il ponte ed il suo cartone si bagnerà di notte sotto la pioggia. Ai bordi della Senna oppure là, cosa c’importa? La miseria ha uguale maschera a Parigi come a Londra… Sogno d'un soldatino Prima fila, dietro il cannone: miccia fuoco bum si spara. Sopra il lampo corpi morti e l'alba è più lontana. Giubba rossa, giubba blu come giocare ai birilli, i soldatini cascano giù fra i tuoni e gli strilli. "Vorrei soltanto dire: sono stanco, non gioco più! Vorrei soltanto dare un bacio a chi amo e non mi vedrà più". Seconda fila! Giubba rossa, giubba blu. …………. (Acrostico) Solo le tue iridi azzurre mi parlano ignorando la vecchia polvere; sempre (come sempre) la tua bocca tace tormentata dal lucida-labbra ancorata alle parole solite, ora cercando gli sbuffi di fumo, ora le luci dell’alba. Ma non basta il secchio e la luna che vi si specchia dentro, sgranando gli occhi accarezzando con la mano stanca una certezza sempre più vaga. Trema nel rivo placido una scaglia d’argento: non è più tempo, non è più tempo ormai per dirci addio. Spuntano già sugli alberi le foglie. Orchesella Orchesella dentro le foglie secche non hai ali: come eviterai il passo dell’escursionista occasionale? Neppure ti si vede. Ma tu continui il tuo pasto. Orchesella, ti ho scoperta così per gioco, per puro caso… Che forse tu sei degna di poesia? Neppure sai cos’è! ma io continuo a poetar per te. Non avrai gloria per questo, certo. Né cambierai vita. Orchesella, via! Sei tu l’astuzia di cui s’allieta la noia mia. Il peso secondo la misura Basta poi guardarsi intorno per capire come il mondo gira, il peso che abbiam sul dorso varia secondo la sua misura. L’uomo che muore di fame nelle bidonvilles, nelle favelas l’uomo che invece stasera per disgrazia è incastrato a una cena. L’uomo che tutti i suoi sogni li scarta perché costano troppo l’uomo che non c’è più posto sulla crociera verso l’Egitto. L’uomo che l’acqua è preziosa e una goccia significa vita l’uomo che senza la doccia il mondo puzza, questo lo schifa. L’uomo che domani è festa e per campare non ha un impiego, l’uomo che il lavoro stressa, ma per fortuna poi c’è la festa. L’uomo che la libertà è vivere senza le catene quello che la libertà è solo far quel che gli conviene. L’uomo che sogna l’amore per guarire dalla solitudine l’uomo che, fuori la moglie, alla fine è una grande libidine! L’uomo inginocchiato in chiesa che ringrazia Gesù perché è vivo, l’uomo in silenzio che chiede di morire prima del mattino... Basta poi guardarsi intorno per capire come il mondo gira, il peso che abbiam sul dorso varia secondo la sua misura A "Le scimmie" (a L. P., 12/06/2002)) Mi hai detto soltanto che domani parti. Eccomi stasera coi miei dubbi e le promesse che mai facesti, né farai, ahimè, suppongo. Al tavolo sei più bella di quanto già sapessi. Che ci facciamo qui, noi, se io t'amo e tu no? Ti porgo dubbioso una rosa. Per strada, al ritorno, una rosa ci divide. III Il mio cuore a metà strada t’incontrò. Mi chiedo a metà di cosa, se d’un viaggio avventuroso o di una faticosa corsa. So dei miei vaneggiamenti, per te solo un soffio di polvere… - Da: Riflessioni postume - VII Sono tornato alla vecchia nebbia. Canta il gallo piroetta la banderuola. Il solito vento che ti dava noia, che non dissipa il dubbio e la nebbia… -Da: Riflessioni postume- Le parole del fiume Il sole dentro i boschi legava come i lacci gli alberi in abbracci e ti feriva gli occhi; e tu che camminavi diritta pel sentiero rassorta in un pensiero, andando non parlavi. "Oh che succede amica, che son questi silenzi?" e sotto i tuoi silenzi strisciava una formica "oh che succede cara, perché tu ti rattristi?" un gruppo di turisti gridava per la strada. Il fiume sotto il sole s'accende di scintilla d'acqua che bisbiglia in scrosci le parole: "non devi aver paura s'il tempo scorre forte la notte alle tue porte un giorno busserà; ma fino a che c'è luce tu veglia ed ama e veglia e l'ombra sulla soglia non ti sorprenderà". E mentre ti parlava lo spirito del fiume un passero le piume col becco si lisciava e mentre ti parlava scandendo le parole s'aprivano le viole agli occhi tuoi lillà. I tre specchi Tenni dentro lo scrigno chiusi i tristi specchi ove mirai con occhi grandi il lungo Sogno: nel primo è la dolcezza del nostro cielo azzurro che trema col sussurro del soffio della brezza; nell’altro invece il sole ricorda l’incertezza di quei momenti senza la luce, senz’amore: per guerra e per dolore la vita ci conduce. Non seppi dirti niente di quello opaco e rotto, il terzo specchio sotto il quale della gente nessuno si specchiò. Rimase nello scrigno col panno di velluto, rimase dentro l’occhio che mai ci calcolò. Se fosse l’incompiuto destino a noi dovuto, io dirtelo non so. Le Fenici Spiuma la lunga coda; e il riflesso del cielo infuocato al tramonto mi tormenta lo sguardo; e le parole grondanti -come la pioggia, di cenere il fiore che caldo germoglia dentro i varchi trepidanti di carne: rossa fu la fiamma che ci divorò entrambi con l’ira funesta che la Musa cantò e cantando ci escluse. Non furono per noi quei canti e gli alleluia e il frullo dei passeri, il fruscio delle serpi nei rovi il groviglio di nodi… se l’intrico dischiuse la selva in un attimo per noi al sipario e si fermò la fauna con la flora quell’attimo capovolse il Tutto e morendoci nelle mani risorgemmo. Un sorriso Ti guizza come l’anguilla lucida che sale e l’inghiotte l’onda nel balenio del sasso levigato l’occhio di lente ora azzurra ora verde al riflesso dello specchio; e non so la parola che provocò l’istinto di ridere col rimorso di dopo al tuo labbro. Cristallina l’acqua scorre ancora impetuosa in questa vita tormentata; il tuo riso per un attimo è il segno che dopo anni ancora attendo Sulle gore sui vortici del mulino sull’arrugginito stridio del gallo lanciato al vento dalla torre del faro… Ma il fascio gira fra scogli a vuoto e non trova, la luce, sosta: pace riparo all’immagine della madreperla che ancora balena sui tuoi denti, al guizzo lucido dell’anguilla dentro la tua anca fuggente. |