Poesie di Piergiorgio Zambolin


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Il giorno sarà chiaro
Moriremo noi
e gli uccellini assieme,
e le mamme
ci aspetteranno nei giardini.
E dall'alto guarderemo i cimiteri
a primavera, e i grembiuli di scuola
volare.
Sarà sempre mezzogiorno,
e nell'orto
un odore di piogge cadute.
Il giorno sarà chiaro, le melanzane
pulite, felici le formiche
in fila.
Eccoci qua, penseremo noi
nell'attesa del pranzo,
non sapendo di essere, ormai
e finalmente,
scomparsi nell'aria.

Platero
Nevica dall'alba,
fuori della finestra è già bianco
il giardino condominiale,
ore sette di sabato mattina.
Radio ancora spenta, uscendo dalla grotta
delle coperte, annaspiamo
con la mano sul comodino, cerchiamo
le Avventure di Pinocchio, e i disegni
di quel Mazzanti Enrico e quella nostra
infanzia e quegli inverni.
Ma il secolo è passato,
e la nonna ,con i suoi rosari
e i suoi sorrisi, migrata in altri cieli.
Farfuglia nel sonno la moglie,
sogna, e rincorre
i primi amori, le primavere.
Veloce inventario delle mosse che verranno,
tra le pieghe di questa rinnovata,
mattutina disperazione, urge cercare
consolazioni.
Allora il progetto è:
trenta minuti di giornaliera ginnastica,
trenta di footing, un solo
bicchiere di vino a pasto,
aggiornamento professionale, sic.
E anche riprendere a studiar lo
spagnolo : aspettami Platero,
aspettami che scendo, la tua Andalusia
appare
spalancando la porta,
non nevica più.

L'addio
Ragnatele coprono i nidi
abbandonati
sotto il tetto della legnaia,
falene annusano segnali d'amore,
e fuggono a chilometri di distanza,
nel luglio
che sei via da me, per sempre.
Il sole è una stella tra le tante,
piccola e vicina. Aggrappati a lei,
ci muoviamo in elissi
verso la morte, nostra e di tutto.
… sullo sterrato,
il motocarro ansimava nel tramonto,
e noi tutti, tribù bambina,
correvamo a ginocchia nude,
eccitati, e persi
dentro la nuvola sollevata di polvere...
Continuare a stare qui in auto
davanti al suo cancello per
vederla al ritorno,
è ridicolo e
pietà
cade sull'asfalto,
povere stelle dell'alba
scompaiono,
lei dorme altrove.

E' il sette di luglio in via Volta,
naviga l'ora tra l'ultimo chiaro
e la quasi sera, sul ramo del pino
nel giardino del dottore
posando una luna a metà.
La porta di casa è aperta
dietro le tende di tela verde,
in cucina il papà, la mamma,
la radio accesa.
La strada è bianca, non ancora
asfaltata, i temporali lasciano dopo
belle pozzanghere azzurre.

Curvi sul manubrio
si pedala fino ai Rocco.
Tre nuvole piccole e rosa
si posano sulla spalla,
prima di sfilacciarsi nel tramonto.
L'orizzonte si adagia sulla siepe,
i fossi sono tutti scoperti,
le lucciole, esistendo,
fanno voli rotondi.

Compleanno
Cinque del pomeriggio,
settimo giorno di luglio,
gran verde d'alberi attorno,
arrivano campane dal paese,
il tour vaga tranquillo dentro
pioggia di Bretagna, in tivù.
Io presidio dalla nuova finestra
terrazza e pendio, controllo
more di gelso e more
di rovo, maturande.
Consola sapere che la luna
di nuovo è crescente, che stasera,
a nuvole fuggite o dissolte,
brinderò al suo falcetto giallo
posato sul pino.

A bordo
Siamo a bordo.
Questo pianeta ci illude
che andremo per sempre.
Compagni di viaggio il lillà,
il giuggiolo, la salvia
e una siepe..
….che da tanta parte
il guardo esclude.
Un universo ci tiene dentro,
ci mescola,
ci soffia via,
verso Vega ci promette
un arrivo.

Capra e cammelli
Una mosca giovane corteggia
l'orlo del bicchiere,
giace dentro la terrina
il cavolfiore
frantumato, e, all'ombra, il vino.
Ottavo giorno di Febbraio, ed è
un gallo, dal maso vicino,
a molestare la quiete.
Mezzogiorno è andato,
non arrivano le campane
del funerale, lavori
di restauro al campanile, carrucole
salgono al cielo.
Il mio amico, idraulico per mestiere,
ma cantore di chiesa, mi propone
la caldaia a pellets
per gli inverni a venire.
Anche di sottrarre erbe
a un campo per patate
di agosto
mi prende un pensiero,
dentro la branda pisolando.
Pisolando, sogno
una capra in piedi sul tetto,
poi anche cammelli:
da sopra i coppi
scendono dentro il deserto,
portano in groppa figure
di garza.
Splende il pomeriggio,
un insolito vento
intiepidisce il muro.

La bella vecchia signora, seduta
sul terrazzino fronte strada,
piano terra di condominio
anni cinquanta, fuma beatamente
la sigaretta del mattino. E' giugno
in città, gli esami addormentano
dentro le aule gli ultimi maturandi,
carrucole portano al cielo
secchi di malta, i muratori seduti
sulle impalcature, pensosi,
ne seguono il tragitto.
Lontano in campagna, io pedalo
sulla stradina color carota,
beato verso la casa dei nonni.
Le more sui gelsi succose
sono tutte in vedetta.

Maggio al tramonto
Il rosa del mondo, morente,
spalma i cementi dei palazzi,
attraversa il vuoto delle finestre,
si adagia sui pavimenti. Accende
il viso alle donne sui terrazzi,
perse in soliloqui
dentro un telefonino.
Sui fili della luce
corrono i messaggi delle rondini
che arrivano e non arrivano,
i loro giustificati ritardi
non apparendo sul giornale.
Ma terremoti immani e lontani
sbiancano i visi.
Scappano i bambini, si riparano
sotto il guscio azzurro
di un cielo.
Il rosa del mondo sbava
nella sera,
poi precipita dentro l'erba
al requiem dei grilli.

Le nutrie
Una mattina che il sogno
perdura,
attraversato è il cielo di settembre
da giavellotti in volo,
alati.
Cavalchiamo le nostre biciclette,
appaiati e sereni,
un fiume ci scorre a fianco,
gli anni che verranno ci precedono
a balzi e capriole.
I camminanti sull'argine salutano,
(o minacciano?),
agitando ombrellini da sole
ancora chiusi,
il mezzogiorno è lontano.
Abbandonate le pagaie,
dentro le canoe riposano
le vogatrici,
dondolando nel canneto.
Le nutrie alzano il muso allo spazio,
incontrano le scie, bianche nell'azzurro,
ricevono il messaggio.

Estate
Continuano le donne ad annaffiare
i gerani,
sulle terrazze del tramonto
esauste,
poi, sui tavoli di cucina,
le angurie vengono spalancate
con irreversibili
crack, e il sangue
gocciola sul marmo.
Contro la parete
umane figure stampa la sera
in torpido moto,
un cielo nero
suda
le prime stelle.
Basso tra le siepi,
arde
tra le chele dello Scorpione
Giove il pianeta.

Addio
Dentro un bel luglio appena nato,
la lente d' ingrandimento
sul francobollo appena emesso,
è il duemilasette
incredibilmente a metà.
Borbottano nel tegame pomodori
ritrovati rossi d'infanzia,
mentre la nonna sorride, guardando
altrove.
Bene, allora!: i pomeriggi
avanzano tranquilli,
l'erba regolarmente cresce,
fuori dai cimiteri di collina
sono tornate le cicale.
Io mi preparo a salire in soffitta,
a tirar fuori libri vecchi
e le statuine dei pastori.
Quindi, e poi,
rimetto il coperchio alla botola.
Non scenderò più.
L'inverno starà ben fuori, soffierà
neve e affanni.
Mentre
il tetto tiene, e io ho carta e matite
a sufficienza
per raccontare la vecchiezza.
Addio, dunque.

Corrono avanti gli anni
Corrono avanti gli anni e mi trascinano con loro.
Io mi aggrappo alle ringhiere sul baratro,
agli amori quasi possibili,
allo spigolo della credenza dei nonni.
E se saltano i tappi della luce, dentro il temporale,
accendo la candela e provo a scrivere.
Il pomeriggio si è fatto buio, piove
che dio la manda, brontolano tuoni
e vapori grigi salgono dalla valle.
Telefono alla Diana al mare, che mi racconti
il chiaro che c'è là, e come si preparano le erbe
che mi farò per cena.
Un altro Luglio se ne sta andando,
io ingrasso,
e ansimo se vado a piedi in paese,
dove ha chiuso il giornalaio
e non trovo il pane.

Il giro di boa
Luglio, mese amico, circondami
di platani e di cicale. Conserva
azzurra la luce dei giorni e per tre sere
fai salire una luna dal mare
prima che sia notte-notte.
Vino fresco di caraffa
a cascatella scende nel bicchiere,
in un mezzogiorno di osteria,
per noi che stiamo all'ombra.
Muretti con fiori protesi dalle crepe,
edere, glicine, un gelso carico di more.
E un tempo dolcemente
fermo.
Poi arrivano le campane, segnano
il giro di boa, annunciano il breve tempo
di un sonno, quando per fuggire di nuovo
è troppo tardi.

Lontanissima la sera
Non esiste più il parroco, ma esiste
il muretto e , sopra tutto, il cielo.
A cavallo dei "cormei" davanti la chiesa,
guardiamo passare i camion sulla statale,
ne aspiriamo le nuvole di nafta.
Sull'acqua dei fossi dalle rive
incerte
si agita un aprile alla fine.
Odori di Pasqua e grandi attese
sono passati di qua,
riempiendo di vacanza i giorni-orchidea,
spruzzando occhi celesti di madonna
sui prati,
inseguendo "birasangue" esploratrici.
Dalle crepe dei muri esce
una musica di organetto, e noi,
bambini della via Pal,
armati di archi, ci sparpagliamo
dentro il verde assolato,
ci fingiamo cacciatori.
Una bombata nuvola
si mostra a forma di mamma
dentro il grande vuoto. Azzurro
è il giorno, mite l'aria,
lontanissima la sera.

Solstizio
Attorno ci stringono le acacie,
ad ogni anno più alte, più cupe.
Romba, correndoci incontro,
il solstizio dell'estate.
Restiamo a bordo, nonostante.
Delle Perseidi lo sciame
ci aspetta al passaggio:
ci trafiggerà
dentro le notti d'agosto,
illudendoci noi di essere
in vacanza dagli affanni,
dai doveri,
di essere in fuga.

Dove fuggire?
Dove fuggire? Aprire quella bottiglia
tenuta preziosa dentro il baule?
Prima che il vino ossidi, magari in autunno
quando tutti saranno scappati dentro
i rifugi di città?
Quando qui resteranno aperte
le terrazze, chiusi gli ombrelloni,
e riposte le brande nei garage?

Il deposito
Gialli, i bus arrivano sul piazzale.
La porta spalancata dell'asilo
inghiotte mamme vestite da ufficio,
per il deposito e la fuga.
I bambini, trascinati,
incespicano sui gradini.
Dalle finestre si affacciano
le cuffie delle suore
La superiora fuma il sigaro,
chiusa dentro la torretta,
sul tetto.

Papaveri dentro argini
di un aprile a metà strada.
E neve di maggio, anime
bianche, già in volo
prima del tempo.
Dall'osteria in fianco alla chiesa,
escono sul piazzale odori di cucina,
di ragù, soffritto di cipolla.
Un camionista, due impiegate,
finito il pranzo, entrano nel pomeriggio.
L'uomo sarà in viaggio, onde radio,
asfalti.
Le ragazze
dentro i muri a fissare i monitor.
La finestra è aperta,
la sera è lontana, la fuga
è un progetto.

Looking for Salinger
( Un sogno )

Mi sveglio di colpo, ho sognato
che Salinger è nascosto da queste parti,
dall'altra parte del bosco,
dove una casa di pietra e legno
brilla dentro un bel sole,
con il camino che fuma
anche d'estate.
Allora recupero dal baule gli scarponi
e le braghe di una volta,
il binocolo del nonno,
poi la borraccia, una bottiglietta di grappa,
e il bastone di nocciolo.
Mi affaccio sulla porta di casa,
un prato di segale corre lontano,
si lega all'orizzonte, fino al burrone.
La mattina splende,
eterna incoraggia la partenza,
i pomeriggi, lontanissimi,
premono su altri emisferi.
Sto sulla porta,
ridicolo
dentro le mie braghe corte,
le nuvole guardano beffarde,
i monti attorno mi chiudono,
e mi abbracciano
come il rovere della bara.
Mi sveglio di nuovo, apro il balcone,
sulle tavole del pavimento
tremano
ombre di foglie mattutine.
Mi affaccio alla finestra,
e sono già vecchio,
così vecchio che,
realmente,
adesso mi sveglio.

Matrimoni di aprile
Muoiono di nuovo i pomeriggi, anche se,
ancora, un sole pietoso resiste
sopra le case basse
ad occidente dei nostri
sguardi.
Uscendo in corteo dai ristoranti
di campagna
dopo gli ultimi matrimoni di aprile,
seguendo scie di
asfodeli aspidistre azalee
ranuncoli assassinati
viole amarcord,
ci avviamo verso magioni
di brughiera,
a caccia di fantasmi architetti.
Incrociamo Thomas Hardy a bordo
del biciclo, nero
di temporali, cromato
di fanghi.
Con lui
a inseguire mogli fuggite,
tracce di parole,
valige abbandonate.
Sotto pietose stelle
ci addormentiamo in piedi,
alfine,
ben certi di rinascere in emisferi altri.
A bordo di nuove vite.

È di nuovo mattina
E' di nuovo mattina. Vivi e vegeti,
allunghiamo la mano
ad accendere la radio sul comodino,
aprile attraversa le fessure
tra balcone e muro, porta nella camera
beams di buona luce
e canti di uccelli vari.
Se ne frega di te l'universo,
scuotono piano le cime i pini,
si preparano ad uscire lucertole
dalle crepe.
Ti alzi, non ti alzi.
Conti gli anni, pochi, a venire.
Il libro della sera, sconsolato,
bacia il pavimento.
Musiche alla radio sono
finite. Un bel volo,
dalla finestra sul prato,
erbe veloci ti copriranno.
Se ne frega di te, di noi.
Esse emme esse a lei, tanto
per avvisare
del ritardo infinito.

Aprile
Un verde sipario di acacie
ci nasconde il condominio di fronte.
Seduto in cucina,
celebrata la cottura dei pomodori
trasformati in bella salsa,
sto,
dentro le sette di sera.
Mi fingo che gli anni non passino,
che la Terra non giri, che il cielo
sia pietoso,
che arrivino ancora i temporali.
Che atterri un'astronave,
che ci porti via che ancora dormiamo.

Pasqua 2008
Saliamo al cielo
all'ora di pranzo,
raggiungiamo l'astronave.
Prima di partire
dondoliamo sopra
la Pasqua,
i tavoli all'aperto,
le cibarie fumanti.
Sono una macchia bianca
in fuga,
gli agnelli sul prato.

Capodanno 2008
…il sogno….
a bordo di un campo di papaveri
planiamo
dentro l'anno appena nato,
entrando poi nella grotta
dove un ciocco a forma
di mucca
arde e va in cielo.
..la realtà…
facciamo la ginnastica,
le parole crociate.
..il futuro…
si chiudono ancora presto
le giornate,
c'è un rosa cupo nell'aria,
ma anche un'attesa di Luna,
e di altre anime
celesti.

I deltaplani
Sera d'estate.
Capriole di ghiri tra il noce
e il tetto di casa, dove
lastre di ardesia
sono toboga per la luna
quando scende.
Centenario, fa il tiglio
buona guardia alle erbe,
alle rugiade.
Più nere del buio,
tra i rovi dormono le more,
poi esplodono in galattici succhi,
quando,
dentro i boschi del Lefre,
si spegne un meteorite.

Così,
sulla veranda sono tornate
a bordo di piccoli venti,
le prime sere di luglio.
Sto,
dentro il sudario della branda,
in questo paese che fu di ciottoli
e fontane.
Nel non-profumo dei gerani,
e nel ricordo,
una Liliana ridente
trasmigra con gli anni,
e si confonde
in una Renata dal passo veloce,
sfuggente.

Noi,
bambini di ieri,
aspettiamo che un'estate,
come un tempo, ci corra a fianco,
ci consoli.
Che dai masi
le correnti profumate del fieno
portino a valle i deltaplani,
i beati muggiti.
Che la nonna,
scendendo da San Polo,
ci prenda ancora per mano.

A cena con la quinta bi.
Seduto spalle al muro,
convocati noi dentro la sala da pranzo,
stanno i nostri cappotti a piramide,
si raccontano inverni
dentro il buio velluto del guardaroba
(... anche nel sottoscala della mia
casa d'infanzia, la legna a piramide
sorregge il presepio
che la nonna è scesa a guardare..)
Ci stringiamo le mani,
cercando dentro gli occhi
delle nostre compagne
le mattine che furono,
poi le fughe verso casa,
inforcate le bici.
Il menù è scritto sulla lavagna.
Quando tutti, o quasi, ci addormentiamo,
guancia sulla tovaglia,
entra il cameriere-bidello
a ricordarci
che " è l'ora",
nel sogno
la scalinata della ns benedetta scuola
si riempie di allegre discese,
tutti precipitiamo
dentro il luminoso baratro
del pomeriggio.
Anche gli scoiattoli dormono
14 ore per dì,
nei boschi che circondano la scuola.


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