Romanzo di Jacqueline Miu
ICE AIM


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Leggere questo libro non costa nulla; se ti è piaciuto porta un tuo dono, un piccolo modesto ma ineguagliabile gesto d’amore “un peluche – un sorriso – narra a tua volta una fiaba – ricambia il bene” all’Istituto Tumori di Milano reparto pediatria www.istitutotumori.mi.it.
 

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01-03-2011

Titolo originale ICE AIM
Di Miu Jacqueline e Queen Combs

Dedicato alle nostre famiglie.

Quest'opera in tutte le sue parti è frutto di fantasia, pertanto il riferimento a luoghi, fatti o persone è puramente casuale.
Ringraziamo le nostre famiglie per averci supportati e i nostri amici per le loro idee ed il loro interesse.

Una spedizione di recupero, lo spettro di una base nazista al polo sud e la leggenda terribile e visionaria di una forza aliena, questo comprende la trama del romanzo che soddisferà la vostra voglia di mare, di avventura e di caccia al tesoro.


Introduzione

Il 17 dicembre 1938 partiva dal porto tedesco di Amburgo la motonave "Schwabenland" (...) la quale doveva raggiungere la costa del continente antartico il 19 gennaio 1939. Tale spedizione, denominata "Deutsche Antarktische Expedition" era al comando dell' Hauptmann Alfred RitscHer. A longitudine 0, a latitudine 70°, due piloti di idrovolanti fotografarono la superficie con apparecchiature ad alta definizione compiendo oltre 11.000 scatti e avvistarono una regione collinosa senza ghiacci, coperte solamente di conifere e piene di muschio, oltre 20 laghi con acque tiepide. (......) Scoperte che saranno successivamente confermate nel 1947 dalla spedizione antartica dell'ammiraglio dell'US Navy Byrd. Tale territorio già chiamato dagli esploratori norvegesi "Terra della Regina Maud" fu ribattezzata "Neu- Schwabenland". La suddetta spedizione tornò ad Amburgo nell'aprile del 1939 riferendo, tra l'altro, che la zona antartica era completamente immune da ogni affezione batterica: infatti il plancton vegetale lì presente aveva la funzione di un moderno antibiotico naturale ed universale capace di stroncare ogni tipo di infezione; e l'aria risultava completamente asettica, costituita da una miriade di micro-organismi giunti con molta probabilità sulla Terra dallo sconfinato spazio stellare e sopravvissuti lì per aver trovato condizioni simili a quelle proprie al loro habitat originario. Quindi lì era presente come una specie di efficace "calotta antibiotica". Questo perché la "Deutsche Antarktische Expedition" annoverava tra le proprie file esperti sia civili che militari, tra cui biologi, botanici ed esperti in idrografia, i quali erano stati preparati dalla "Società Tedesca per le Ricerche Polari", i cui componenti erano già stati altre 5 volte prima di questa in Antartide: la prima, nel 1873, col piroscafo "Groenland"; mentre l'ultima era avvenuta nel 1925 con l'ausilio della nave per rilevazioni "Meteor". Poi nel 1947 un certo Ladislao Szabo pubblicò a Norimberga un libretto in cui si affermava che un convoglio nazista, alla fine del conflitto, si era prima diretto verso la Patagonia argentina e poi aveva raggiunto l'Antartico dove era stata costruita in tutta segretezza la base sotterranea di "Neu-Schwabenland", la cui prima tappa era avvenuta proprio con la missione del 1938 di Alfred RitscHer.(.........)

….

Voci sostengono che i tedeschi scoprirono sotto i ghiacci, un canale sottomarino, una vera spaccatura che tagliava in due il continente antartico consentendo ai sommergibili di utilizzare rotte alternative in grado di collegare il Sudamerica alla Nuova Zelanda e quindi di raggiungere il Giappone senza incappare nelle cacciatorpediniere alleate. Il fatto potrebbe essere plausibile, perché per tutta la guerra vi fu un collegamento stabile via sottomarino tra la Germania e il Giappone, mai interrotto nonostante gli sforzi di americani e inglesi. Sempre le voci ben informate, ma qua siamo nel campo delle ipotesi, sostengono che questo canale, che taglia in due il continente antartico, in più punti emerge oltre a superficie del mare, costituendo in pratica un gigantesco sistema di grotte sotto la crosta ghiacciata. Qualcuno azzarda persino le dimensioni della più grande, che si estenderebbe per 50 km al di sotto della calotta polare e che al suo interno custodirebbe un lago di acqua allo stato liquido. Qui i nazisti avrebbero costruito la più impenetrabile base in loro possesso, la straordinaria Base 211 o "Nuova Berlino". Una vera città sotto il ghiaccio, alimentata in parte con l'energia geotermica, avrebbe costituito l'ultimo, estremo baluardo nazista contro l'invasione alleata Le testimonianze indicano che la Base 211 sarebbe stata iniziata nel 1942 mediante il trasporto di viveri e materiali ad opera di speciali U-Boot capitanati da ufficiali avvezzi alla navigazione polare, come quelli che prestarono servizio al largo della Norvegia.

(Sopra) Una foto degli Anni '40 che dimostrerebbe l'attività degli U-Boot tedeschi nella Neuschwabenland. (Sotto) Uno dei presunti ingressi a Neuberlin: della base segreta esisterebbero anche documenti e piani costruttivi.

Ma prima di narrare le gesta dell'Operazione High Jump, dobbiamo menzionare il caso del centinaio di U-Boot scomparsi senza lasciare traccia e di quanto raccontano nel loro libro "Oltremare Sud" gli storici Juan Salinas e Carlos De Napoli. Pubblicato lo scorso ottobre, il libro dei due argentini squarcia il velo su un convoglio di sottomarini partito il 3 maggio 1945 dalla Norvegia e diretto in Argentina con a bordo oltre cinquanta gerarchi nazisti, il convoglio, con il tacito consenso dell'Ammiragliato britannico, avrebbe raggiunto l'Argentina con l'appoggio della locale marina, dopo una battaglia che costò la perdita di cinque navi e 400 marinai. Perché però gli interrogatori dei marinai tedeschi furono falsificati dall'intelligence americana e messi sotto la dicitura Top Secret? Qualcosa di strano successe davvero, nelle acque dell'Atlantico meridionale, in quel maggio 1945. Se Hitler si era suicidato il 30 aprile, se il 3 maggio il convoglio con a bordo i 50 gerarchi si era imbarcato per la Norvegia e se la guerra era finita l'8 maggio con la resa dei tedeschi, perché il sottomarino U-Boot Type VII C denominato U-977, al comando del capitano Heinz Schaeffer, si immerse l'alba del 10 maggio da Kristiansand, in Norvegia, per riemergere in Argentina il 17 agosto? Una navigazione tanto lunga, di 104 giorni di cui 66 in immersione, per consegnarsi in pieno giorno nel porto di Buenos Aires ai militari argentini era plausibile? I marinai dell'U-977 erano pazzi, oppure? Il 10 luglio precedente, sempre in Argentina, si era arreso il sommergibile Type IX C/40 denominato U-530, capitanato dal cmd. Otto Wermuth. Un bel po' di tempo, per un mezzo che ufficialmente era in navigazione al largo di Long Island, dunque nei pressi di New York… Sempre ufficialmente, l'ultimo sommergibile tedesco ad arrendersi fu l'U-307, alle isole Spitzbergen, il 4 settembre. Perché tanto ritardo? Come detto, il numero di sottomarini scomparsi senza lasciare traccia, senza essere stati distrutti dagli Alleati, affondati o demoliti, è di circa cento.

Base 211 è il nome in codice di Neu Berlin, la principale base di una presunta e indimostrata installazione militare nazista, situata nel sottosuolo della Schwabenland (Nuova Svevia, in Antartide)[1], ma non esistono prove che supportino, in questa teoria pseudostorica, la reale esistenza dell'istallazione.

In base a dichiarazioni di autorità naziste, che ipotizzavano luoghi di rifugio sicuri per le loro forze militari nel corso della guerra, si presumeva la costruzione di città sotterranee e della Base 211 fosse iniziata negli anni Quaranta, anche per il fatto che sembra siano stati inviati molti U-Boot tedeschi nella zona antartica[2].
Secondo teorie cospirative indimostrate e prive di alcun riscontro storico, lo scopo dell'Operazione Highjump (una missione esplorativa e scientifica delle forze armate statunitensi in Antartide), sarebbe stato anche legato alla presunta ricerca delle ipotetiche ultime basi naziste in Antartide[3].
Altre teorie pseudostoriche correlano questa base agli UFO, alla morte di Hitler e alla costruzione del Quarto Reich[4].
Note [modifica]
1. ^ Modo Marrs, in books.google.it
2. ^ Modo Marrs, in books.google.it
3. ^ scribd.com
4. ^ beyondweird.com

... La nave "Schwabenland" era una particolare imbarcazione in grado tra l'altro di trasportare e lanciare il "Dornier Wal". Era montato su una catapulta situata sul ponte della nave e l'aereo poteva decollare direttamente da essa. Tale nave speciale fu preparata nei cantieri di Amburgo, arrivando a costare ben un milione di Reichsmark, quasi un terzo del budget totale messo a disposizione per la spedizione in Antartide. Da tener presente che i componenti della spedizione furono scelti e addestrati dalla "Società Tedesca per la Ricerca Polare". La nave si posizionerà a 4° 15' ovest e a 69° 10' sud.

...... Gli aerei Dornier Wal effettueranno nei giorni seguenti ben 15 voli e riuscirono a perlustrare circa seicentomila kmq, quasi un quinto della superficie dell'Antartide. Per confermare il possesso da parte tedesca di tali territori, furono piantate sui ghiacci centinaia di bandiere naziste dai due aerei denominati "Passat" e "Boreas".
......... Da considerare che documenti oggi declassificati riferiscono che nel 1940 ci furono ulteriori spedizioni segrete verso Neu-schwabenlannd in Antartide: come punto d'attracco furono utilizzate due delle tre baie a nord-ovest delle montagne Muhling-Hoffmann, comprese tra i 3° ovest e i 70° sud. Poi nel 1942 si iniziò la costruzione dell'enigmatica base segreta nazista "Base 211-Neu Berlin" e tutto il materiale necessario a realizzare tale base fu trasportata con gli U-Boot. Viaggio facilitato da un canalone naturale sottomarino che attraversava addirittura l'intero continente antartico. E' possibile che alcuni interrogatori degli equipaggi degli U-Boot catturati a fine guerra in Argentina avessero procurato agli americani importanti informazioni circa la posizione e la vera esistenza della base 211 in Antartide.
E forse proprio grazie a tali informazioni la marina statunitense lanciava tra il 1946 e il 1947 la più grande operazione militare sul continente antartico, che come vedremo avrà il nome in codice di "Operazione High Jump".
Deutsche Antarktische Expedition 1938/39
Expeditionsleiter Kapitän: Alfred RitscHer
Kapitän des Schiffes: Alfred Kottas, DLH
Eislotse Kapitän: Otto Kraul
Schiffsarzt: Dr. Josef Bludau, NDL
Flugkapitän: Rudolf Mayr, Fuehrer der Dornier-Wales Passat", DLH
Flugzeugmechaniker: Franz Preuschoff, DLH
Flugfunker: Herbert Ruhnke, DLH
Luftbildner: Max Bundermann, Hansa Luftbild G.m.b.H.
Flugkapitän: Richardheinrich SchirmacHer, Fuehrer der Dornier-Wales "Boreas", DLH
Flugzeugmechaniker: Kurt Loesener, DLH
Flugfunker: Erich Gruber, DLH
Luftbildner: Siegfried Sauter, Hansa Luftbild G.m.b.H.
I. Meteorologe: Dr. Herbert Regula, Deutsche Seewarte, Hamburg
II. Meteorologe: Studienassessor Heinz Lange, R. F. W., Berlin
Techn. Assistent: Walter Krueger, R.f.W., Berlin
Techn. Assistent: Wilhelm Gockel, Marineobservatorium Wilhelmshaven
Biologe: Studienref. Erich Barkley, Reichsstelle für FiscHerei (Institut für Walforschung)
Geophysiker: cand. Geophys. Leo Gburek, Erdmagnetisches Institut, Leipzig
Geograph: Dr. Ernst Herrmann
Ozeanograph: cand. Phil. Karl-Heinz Paulsen
I. Offizier: Herbert Amelang
II. Offizier: Karl-Heinz Roebke
III. Offizier: Hans Werner Viereck
IV. Offizier: Vincenz Grisar
Schiffsfunkleiter: Erich Harmsen
Schiffsfunkoffizier: Kurt Bojahr
Schiffsfunkoffizier: Ludwig Muellmerstadt
Leitender Ingenieur: Karl Uhlig
II. Ingenieur: Robert Schulz
III. Ingenieur: Henry Maas
IV. Ingenieur: Edgar Gaeng
IV. Ingenieur: Hans Nielsen
Ing. Assistent: Johann Frey
Ing. Assistent: Georg Jelschen
Ing. Assistent: Heinz Siewert
Elektriker: Elektro-Ing. Herbert Bruns
Elektriker: Karl-Heinz Bode
Werkmeister: Herbert Bolle, DLH
Katapultführer: Wilhelm Hartmann, DLH
Lagerhalter: Alfred Ruecker, DLH
Flugmechaniker: Franz Weiland, DLH
Flugmechaniker: Axel Mylius, DLH
Flugmechaniker: Wilhelm Lender, DLH
Bootsmann: Willy Stein
I. Zimmermann: Richard Wehrend
II. Zimmermann: Alfons Schaefer
Matrose: Heinz Hoek
Matrose: Juergen Ulpts
Matrose: Albert Weber
Matrose: Adolf Kunze
Matrose: Karl Hedden
Matrose: Eugen Klenk
Matrose: Fritz Jedamezyk
Matrose: Emil Brandt
Matrose: Kurt Ohnemueller
Leichtmatrose: Alfred Peters
Decksjunge: Alex Burtscheid

 

............  Nuova Svevia

La Nuova Svevia (Neuschwabenland in tedesco), è una zona dell'Antartide con una superficie di 600 000 km² compresa tra le latitudini 20°E e 10°O (situata nella Terra della regina Maud, rivendicata dalla Norvegia), fu rivendicata dalla Germania nazista dal 19 gennaio 1939 all'8 maggio 1945.

Storia
Come altri paesi, la Germania inviò diverse spedizioni in Antartide a fine '800. La prima spedizione fu guidata dal professore di geologia Erich Dagobert von Drygalski nel 1901. La spedizione composta da 27 uomini durò più di due anni, la loro nave Gauß, rimase bloccata per più di 14 mesi nella banchisa. Gli studiosi, geografi, magnetismo e la loro è dovuta la scoperta della Terra Guglielmo II. La seconda spedizione ufficiale (1911-1912) fu guidata da Wilhelm Filchner. Fece studi per scoprire se l'Antartide era costituito da un'unica terra. Con la sua nave, la Deutschland, penetrò nel mare di Weddell, allora inesplorato. La terza spedizione (1938-1939), guidata da Alfred RitscHer, col principale obiettivo di creare una zona per la caccia alle balene; All'epoca, l'olio di balena la principale materia prima per la fabbricazione della margarina e del sapone, quindi la Germania comprò 200 000 t/an dai norvegesi. Il 17 dicembre 1938, le nave Schwabenland partita da Amburgo con 33 persone a bordo. La nave arriva presso la costa dell'Antartide nel gennaio 1939 (4° 15´ O 69° 10´ S) e avvista la terraferma. Le settimane seguenti, i 2 idrovolanti Dornier Do J della nave, il Passat e il Boreas effettuarono una quindicina di voli, realizzando più di 11 000 fotografie aeree. Installarono una base temporanea e fecero sventolare 3 bandiere naziste. Al mese di febbraio, la nave ripartì per la Germania. Dal nome della nave Schwabenland (Svevia) prese il nome territorio esplorato (Nuova Svevia, appunto). Furono pianificate altre due spedizioni, per le estati del 1939-1940 e del 1940-1941 ; ma furono annullate a causa dell'inizio della Seconda Guerra mondiale. La seconda spedizione doveva studiare la fattibilità per costruire una base navale, probabilmente per controllare una parte dell'Oceano Indiano e del Canale di Drake, tra gli oceani Atlantico e Pacifico. Nessuno paese riconobbe le rivendicazioni tedesche, essendo tra l'altro il Terzo Reich fuori dalla Società delle Nazioni, e il Trattato Antartico del 1959 sospese tutte le rivendicazioni territoriali. Oggi la base tedesca Neumayer è situata sulla banchisa in prossimità di questa zona. Il nome Neuschwabenland (qualche volta chiamata "New Schwabenland" o "New Swabia") è tuttora ancora usato in alcune mappe.

 

Prefazione

Tutte le situazioni create per volontà di dittatori onnipotenti hanno sviluppato il più delle volte controcorrenti abili a difendere l'umanità da catastrofici equivoci o eventi. Nemmeno il più vanesio sogno riesce a superare l'immaginario leso di un uomo la cui volontà è di guidare sotto la propria autorità, il mondo intero. La mente di Adolf Hitler ha sommato le chimere di Napoleone e la crudeltà enciclopedica di Gengis Khan.
Una tra le storie che si narrano sul suo conto e quella che incide di più sull'immaginario collettivo è quella basata sul suo interesse spasmodico dell'occultismo. Hitler non amava il suo paese quanto se stesso e questo pensiero e ben spiegato dalla rigida disciplina con cui voleva che fossero eseguiti i suoi ordini. La sua predisposizione all'insano e la sua deturpazione morale gli aprirono le strade di tutta quell'oscurità dalla quale l'umanità aveva voluto fuggire nel Medioevo. La negromanzia e tutto l'aspetto decadente della magia lo accompagnarono nella scelta della simbologia che lo caratterizzò in maniera permanente. Furono proprio i simboli a fare credere a tutta la nazione tedesca che l'unità di una razza ariana prescelta fosse possibile.
Nonostante la sua scomparsa la sua impronta è indelebile sia dal ricordo dei sopravvissuti dello sterminio, sia dalle opere che tutt'ora lo rappresentano.
La sua mente non fu grande ma grande fu il potere del suo semplice linguaggio perché il suo essere arrivava molto più facilmente delle complicate parole dei politici, ai cuori della gente semplice.
L'uomo Hitler riuscì ad alimentare il fuoco dell'odio e del razzismo più di qualunque religione pagana e satanista.
Quel trasporto che metteva nel convincere gli animi delle sue gesta potrebbe oggi essere paragonato a un piccolo atomo di plutonio.
L'occulto e l'esoterica appassionarono Hitler a tal punto da mandare varie spedizioni in ogni parte del mondo che raccogliessero dati e reperti archeologici di varia natura.
La sua intelligence operava in tutti i settori scientifici e un possibile contatto alieno interessava sia lui, sia tutto quel team di scienziati che approfondivano e sviluppavano il campo bellico.
Si pensa fosse in possesso di una navicella aliena, navicella poi nascosta in una base segretissima a meno di duemila metri di profondità, in caverne polari introvabili dai radar e persino dagli odierni satelliti. Questa base è diventata una sorta di Arca del Reich inseguita da molti cacciatori di tesori. Finita, l'era dei galeoni scomparsi nei mar dei Caraibi con i loro carichi di Dobloni, finito il mito di Eldorado e delle miniere di Re Salomone, la Base 211 resta un'incognita appetitosa per tutti gli studiosi appassionati di scoperte sensazionali. Il libro non cercherà nessuna verità ne affronterà gli spinosi temi del nazismo ma sarà un occhio visionario su una dei tanti milioni di probabilità che potrebbe far scoprire il mistero di questo sito chiamato Neu Berlin.


Siti dove consultare altro materiale sulla Base 211:
http://books.google.it/books?id=0mxngsSl-iQC&pg=PA119&dq=%22base+211%22+antartica&cd=1#v=onepage&q&f=false 
http://it.wikipedia.org/wiki/Base_211
http://www.youtube.com/watch?v=rmkCHxKIzYk&feature=search 
http://www.youtube.com/watch?v=gVMQQnBAhmw&feature=related 

 

Anticipazione

Le vicende narrate sono prestazioni d'intelletto e i riferimenti a fatti o nomi di personaggi solo opere di fantasia.
Non si desidera assolutamente sfruttare oltremodo i simboli nazisti che con indecoroso significato hanno marchiato la vita d'innocenti. La simbologia è mera utilità usata al fine di rilevare la caparbietà dell'edera chiamata nazismo. Non vogliamo farci coinvolgere dalla storia al punto di incastrare un romanzo in temi che solo i veri testimoni potrebbero raccontare.
Nostro riconoscimento va a tutti quelli che con significante appoggio hanno contribuito alla realizzazione dell'opera.
Qualunque cosa noi abbia portato a termine fino a oggi, è umile atto di fede.

Miu Jacqueline & Queen Combs 2010

 

L'inizio della fine …

                                                                                                                     Se puoi accettare l'impossibile,
                                                                                                                     allora puoi permetterti la verità
                                                                                                                     e se la verità non ti fa paura,
                                                                                                                     nemmeno la morte potrà spaventarti.


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L'inspiegabile segreto della Base Akura

L'ultima tempesta di neve aveva cancellato la via che portava gli ospiti della base alla piccola pista di atterraggio, sedici miglia a sud tra le punte del ghiacciaio Endros.
La tempesta aveva ulteriormente abbassato le temperature già rigide e dal piccolo villaggio non più un regolo di fumo o qualche automezzo che dimostrasse ancora un che di presenza umana. Il buio artico stava mostrando i suoi denti aguzzi e la luce sembrava come il ricordo di una felice infanzia.
Dentro gli edifici, i mobili guardavano muti ai vetri ghiacciati e sulle pareti congelate mappe di ogni genere segnate da tratti colorati di pennarelli indelebili.
Centinaia di fogli sulle scrivanie e cibo sui tavoli abbandonati parlavano di una lunga assenza di quelli che tempo prima si affollavano nei locali caldi per commentare il diario di ricerca giornaliero.
Il locale bar e il locale mensa sacrificavano al soffitto inerte l'icona dei tavoli imbanditi per qualcuno che non era mai arrivato, i pezzi di carne dello stufato avevano la patina bianca da congelamento e il liquido rosso nelle bottiglie sparse o versato nei bicchieri pieni fino all'orlo, stava lì come un martire a cui avevano dissanguato la vena.
Due cento metri est, verso la stazione radio anch'essa paralizzata e indotta a morte per assideramento, lasciava che le follate di vento portasse copiose montagne di neve sugli oggetti inanimati e quell'innocente velo bianco cercava di marchiare col proprio blasone l'arredo abbandonato al triste destino di eterna inutilità.
Ovunque il silenzio dominava come un monumento funereo la cui disciplina unica era ascoltare il vento.
Sarebbe potuta sembrare una trappola per il turista spettatore ma la colonia scomparsa non era il risultato di una fuga di massa né di una catastrofe improvvisa.
Sotto la pavimentazione, accatastati tra le scatole del magazzino, decine di corpi tutti mutilati e privi delle parti alte del tronco si esistevano alle tenebre come se fossero stati sortiti per un disgustoso minestrone.
Tra le ossa e tra i muscoli rinsecchiti, c'erano fogli di carta stampata con preghiere ebraiche e riti di esorcismo, tutta una massa cartacea incollata alle mascelle o ai nervi esposti degli strati interni delle povere vittime. La cosa dubbia era il motivo per il quale l'intera squadra aveva portato con sé quelle orazioni sacre.
Sulla parete nord un'iscrizione tremolante:

Ti ordino, Satana,
nemico della salvezza dell'uomo:
riconosci la giustizia e la bontà di Dio
che con giusto giudizio ha condannato
la tua superbia e la tua invidia.
Esci da N., servo [serva] di Dio,
che il Signore ha creato [creata] a sua immagine,
ha arricchito [arricchita] dei suoi doni,
ha adottato [adottata] come figlio [figlia]
della sua misericordia.
Ti ordino, Satana,
principe di questo mondo:
riconosci il potere invincibile di Gesù Cristo:
egli ti ha sconfitto nel deserto,
ha trionfato su di te nell'orto degli ulivi,
ti ha disarmato sulla croce
e, risorgendo dal sepolcro,
ha portato i tuoi trofei
nel regno della luce.
Vattene da questa creatura, da N.:
che il Salvatore, nascendo tra noi,
ha reso suo fratello [sua sorella]
e morendo in croce ha redento [redenta]
con il suo sangue.
Ti ordino, Satana,
seduttore del genere umano:
riconosci lo Spirito di verità e di grazia,
lo Spirito che respinge le tue insidie
e smaschera le tue menzogne.
Esci da questa creatura, N.,
che Dio ha segnato con il suo sigillo.
Abbandona quest'uomo [questa donna]:
Dio l'ha reso [resa] suo tempio santo
con l'unzione del suo Spirito.
Vattene, dunque, Satana: vattene
nel nome del Padre X e del Figlio X e dello Spirito X Santo.
Allontanati per la fede e la preghiera della Chiesa.
Fuggi per il segno della santa croce di Gesù Cristo,
Signore nostro.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Tutti:
Amen.


La porta che non recava altri segni o lettere o parole incise, sembrava più il coperchio di un sarcofago che una rimarchevole decorazione per l'ingresso a qualcosa d'importante.
La verità era che nessuno avrebbe mai saputo della loro sorte e nessuno sarebbe venuto a cercarli.
Sebbene fosse la più avanzata del momento, la Base Akura aveva avuto il monito di non superare i confini del campo durante l'inverno ma il team troppo soddisfatto degli sviluppi positivi cui era arrivata la loro indagine, decise di sabotare il programma, continuando le trivellazioni nella zona considerata top secret.
Il Giappone attendeva speranzoso la scoperta del luogo mistico, dove il Terzo Reich ex buon alleato, aveva iniziato a riformulare la propria crescita missilistica e di nuovi congegni da guerra, ma a un certo punto lo schema pionieristico di quel ritrovamento smise di far gioire il personale dell'isola e sul continente.
Ma a un certo punto della missione, la centrale operativa della Base Akura, smise di mandare dati e le comunicazioni s'interruppero improvvisamente.
L'anima del computer centrale sembrava defunta e le linee telefoniche satellitari inutili come spazzole per uomini calvi, tutte le vie d'accesso per e dalla base ostruite dalle perturbazioni che portavano le temperature a quasi meno ottanta gradi sotto lo zero.
Nessuna spedizione di soccorso sarebbe partita per i prossimi mesi e se qualcuno fosse stato in grave pericolo di vita, doveva cavarsela da solo o aspettare l'arrivo della primavera che quell'anno avrebbe tardato di circa quaranta giorni.
La zona stava per essere interamente coperta dalla neve, tra metri di ghiaccio sopra i tetti della stazione di ricerca, una vera lastra difficile da rimuovere.
Sotto la pavimentazione e sotto lo strato di corpi accatastati come in un buon vecchio frigorifero, c'era una grossa pietra circolare del diametro di circa otto metri.
Inciso sulla pietra scura e di origine meteoritica, un pentagramma e al suo centro tre numeri 2 1 1 .
Tra i tre numeri incluso l'inizio sequenza e la fine, era stata scolpita una croce uncinata.
Si raccontava tra i superstiti della seconda guerra mondiale che l'ultima base voluta da Hitler avesse un forte potere magnetico ed esoterico.
Alcun superstite sarebbe ritornato in Giappone per raccontare la fine di tutti i ricercatori della Base Akura interamente ricoperta dalla neve e quasi introvabile nell'immenso deserto di ghiaccio del Continente Antartico.
La cosa più interessante che colpirono gli scienziati giapponesi furono gli ultimi dati captati dal satellite Toshi che rilevò poco prima del silenzio nella Base Akura, una serie sconcertante di gallerie sotterranee che giravano intorno ad un unico punto di calore, proprio sotto la base.
Le funzioni di tali gallerie restarono misteriose così come quella costante fonte di calore che non proveniva dal cuore di un vulcano sotterraneo o di un geyser.
Quando i giapponesi provarono a rintracciare i resti della spedizione e della stessa base, ritrovarono delle colline deserte e inacessibilità dove scavare, persino con le attrezzature più moderne avrebbero impiegato più di sei o sette mesi e a temperature eccessive per disseppellire le carcasse degli edifici o per trivellare i pozzi di accesso alle gallerie.
Nel dicembre 1994 il tenente colonnello Mitzu Tanaka tentò una spedizione al polo sud che fu l'ennesimo completo disastro ma durante un suo messaggio diretto al quartiere generale sulla portaerei Iko è captato da un sottomarino atomico americano, affermava di aver trovato l'ingresso alla Base 211 e di non riuscire a emergere a causa di un filone di gas che aveva ostruito le gallerie sotterranee dove si erano persi tutti i membri della spedizione. Certamente non fu l'ultima spedizione su quel continente maledetto ma tutte le altre, incluse quelle di altri paesi, non ebbero successo.
Base Akura sembrava destinata a morire definitivamente ma due anni più tardi, settembre 1996, sedici uomini di nazionalità tedesca e due giapponesi scavarono sotto la vecchia stazione radio. Arrivati sotto l'edificio, trovarono un canale di drenaggio vuoto che proseguiva per mezzo miglio verso ovest, la fine dell'accampamento.
La cosa straordinaria non era l'uso del condotto che trovava ragione solo in spiegazioni illogiche ma delle porte che presentava ogni cinquanta metri.
Dato che tutta la parete era congelata e, tutte le attrezzature del mondo, non avrebbero potuto aprire nemmeno una di quelle porte, la spedizione si riservò di ritornarci con viveri e dispositivi capaci di coordinare un lavoro non più impossibile. L'idea era di riaprire e ripulire Base Akura e di scoprirne i segreti.
Ma un incidente aereo fermò una delle ultime spedizioni al sito e la Base Akura con le sue misteriose gallerie sotterranee scomparve.

 

                                                                                                                        L'uomo allora guardò nell'oscurità
                                                                                                                        senza temere nulla
                                                                                                                        e poi vide una luce
                                                                                                                        e quella lo fece tremare.
                                                                                                                        Certi mali hanno appetito di fede
                                                                                                                        mentre certi altri si accontentano semplicemente
                                                                                                                        di qualunque emozione gli offra lo spirito umano.



1

Carcasse tra conchiglie

La mia casa è sempre stata il mare e proprio il mare, mi ha insegnato la maggior parte delle cose che conosco, molte delle quali, non si trovano nemmeno sui libri.
La mia natura selvaggia la devo alla diffidenza con cui bisogna trattare l'uomo perché il mare non mi ha mai tradito, ma molti sono stati i marinai farabutti e disonesti da cui mi sono dovuto difendere.
All'età di dodici anni scappai da casa, i miei, erano gente per bene, dei veri puritani, avvocati cui la gente affidava la propria vita o la propria fortuna, ma io avevo capito che con loro mi sarei annoiato e fortunatamente trovai un vecchio lupo di mare che mi prese con sé sopra un peschereccio che alla sua morte ereditai.
Ricordo benissimo gli anni di gavetta e di vesciche sotto le mani con cui pulivo di tutto, stiva, pesci, e vestiario. Non avrei mai pensato che per fare il marinaio avrei dovuto imparare a fare anche la brava massaia. So di essere stato un cattivo figlio ma mia madre se mi vedesse oggi sarebbe orgogliosa di me. No, i miei non li rividi più, seppi della loro tragica morte in un incidente, da un conoscente che sapeva tenere la bocca chiusa altrimenti … La mia fortunata o sfortunata infanzia è dovuta al fatto di un piccolo discorso che sentì fare mio padre a mia madre una sera tardi, quando litigarono a causa mia. Io ero nato perché caso volesse la gravidanza di mia madre, aveva superato i tre mesi e oramai accettarono la cosa come si accetta un sushi mediocre. Ma non me ne andai perché arrabbiato per questo stupido motivo, credo che un genitore impari ad amare suo figlio anche il più indesiderato, giacché lo stringe tra le braccia.
Comunque le loro fortune andarono allo stato perché nemmeno una cellula in me stesso, avrebbe mai reclamato qualcosa che non fosse frutto del proprio lavoro.
Non credo di essere scappato per la mancanza d'amore ma per l'asfissia con cui un certo tipo di famiglia tende a premere sulla mente giovane e sull'immaginario di un ragazzo il cui sogno è vivere in mare ed io l'avevo capito da subito.
Nel giorno del mio ottavo compleanno mio padre mi portò sulla barca di un cliente, quando fummo in mare, rimasi sul ponte a fissare le onde che si spaccavano contro lo scafo come se fosse un miracolo quella sfida tra uomo e acqua.
Al ritorno lo supplicai di fare una vacanza su un catamarano, una grossa imbarcazione che zio Charlie si era appena regalato e ormeggiato alle Bahamas ma mia madre fu subito presa da un attacco di panico che spaventò l'intera famiglia. Dovetti rinunciare ai miei sogni già da subito. Per quattro anni quello che contava per loro era il mio andamento scolastico che sfruttavo come piano di riserva nel caso le cose non fossero andate come avrei voluto. Grazie all'ottimo rendimento le mie mance erano cospicue, abbastanza da sveltirmi la fuga e la voglia di cominciare la vita che sognavo oramai da qualche tempo.
Conobbi Capitan Butz al porto, e per convincerlo a prendermi con sé gli offrì tutti i miei risparmi. Mi prese con sé forse perché non aveva figli ma quando salì a bordo dell'Insane Gloria, una velocissima vecchietta di dodici metri che mordeva il mare come una ragazzina, mi fece giurare di diventare un marinaio perché non aveva senso che rischiasse la vita per qualcosa di meno importante.
Per oltre dieci anni ho tenuto la testa bassa, e quiete tutte le mie illusioni del cuore, per oltre dieci anni incameravo dati e notizie come una mente bianca, dove Charlie scriveva le sue memorie aspettando come un fido adepto di imparare ad ascoltare il mare. Il mio mentore diceva, il mare ha un suo linguaggio, per molti, sconosciuto ma per te figliolo, deve diventare più facile di quello che sei abituato a usare con gli umani perché solo questo potrà salvarti la vita quando lui deciderà di farsi valere con la forza.
"Diventerai un grande pappagallo!", mi prendeva in giro Capitan Butz quando mi osservava preso, dall'ondeggio del mare come se tra le sue onde ci fosse qualcosa di più proibito di una donna nuda.
"Perché?", gli domandavo.
"Perché un giorno tu saprai qualcosa del mare che nemmeno il mare stesso, sa.", poi si metteva in bocca una mezza sigaretta senza filtro e se ne andava canticchiando come se potesse vedere davanti ai suoi occhi il mio futuro.
A me bastava sentirmi come un re, un sovrano che navigava nella sua Camelot, il suo regno blu senza confini e sempre seguito dagli occhi vigili delle stelle e libero come gli albatri sopra le vele.
Prima di morire, mio padre, quello adottivo che mi aveva insegnato la vita in mare, mi disse di trovarmi una compagna ed io gli risposi che gli ero grato ma la mia compagna l'avevo già trovata.
"Chi? La conosco?"
"L'Insane Gloria e ti assicuro che gli sarò fedele come le sei stato tu."
Lui mi sorrise soddisfatto e prima di stringermi la mano chiuse gli occhi e fu allora che vidi le sue profonde rughe scolpite dal vento e dal sale, le sue labbra perforate dai peli della barba bianca e le sue mani callose che avevano lottato con le tempeste più agghiaccianti.
Fu così che Charlie parti per l'Eden dei marinai. Gettai il suo corpo nel mare e gli misi nel taschino un pacchetto di on tabacco perché senza, non avrebbe avuto la pazienza di espiare i propri peccati e poi di solcare libero da essi, il mare del cielo.
L'atto di proprietà della barca fu trascritto da un notaio con un grande cuore, cui Charlie regalava da una vita il pesce fresco; qualche mese prima che mi lasciasse solo a dirigere il timone della sua amata.
Quando l'Insane Gloria divenne mia, mi sentì per la prima volta di avere sposato una buona causa.
Ero un marinaio e non sapevo pregare per la buona sorte quanto per un venticello dolce che guidasse la mia ragazza verso un orizzonte zeppo di stelle.
A trentacinque anni suonati avevo imparato dall'immensità dell'acqua che faceva più paura un'onda calma che due spinte di una veloce tempesta.
Aveva girato il mondo e conosciuti posti belli e posti, dove nessun essere umano dovrebbe mai metterci piede.
Con i soldi guadagnati e quelli che Butz aveva tenuto da parte in vecchia scatola di Corona, avevo concesso un lifting alla mia piccola, a partire dal motore e da un paio di vele color azzurro chiaro che specchiavano i raggi del sole nei giorni di bonaccia.
Dopo un mesetto passato a Puerto Rico in compagnia di una favolosa mulatta che sapeva bere e vincere a poker più di un dannato bastardo come me, decisi di ritornare alla cara vecchia terra, all'isola di Andros, la meno frequentata dai turisti e dai cacciatori di relitti, dove mi ero preso una baracca proprio vicina al pontile.
Erano anni che pensavo di prendermi un cane e forse era la volta buona che Modo, il mio vicino mi riceveva con uno dei cuccioli della sua Lola, una bastardina incrocio con un labrador che sapeva pescare meglio di noi due messi insieme.
La piccola che mi aspettava sul molo si chiamava Ciucca, Modo aveva girato il mondo e sapeva che sbronzo in italiano aveva anche quel sinonimo e quando il cane trovò la lattina di birra rovesciata e se l'era scollata tutta, il nome gli venne spontaneo.
Avevo trovato la compagnia di un'anima allegra che speravo con tutto il cuore non soffrisse il mal di mare.
Dieci giorni di pacchia al sole mi erano bastati per riposare la mente e la prima meta dopo quella piccola vacanza era una grossa pesca di gamberi nell'imprevedibile Mare di Bering.
Stavo caricando i sacchi di viveri e qualche cassetta di frutta quando vidi il mio amico Modo accompagnare al molo un gruppo di sconosciuti, due con i volti ancora innocenti mentre gli altri due sembravano dei criminali appena usciti da galera.
La giornata era troppo bella perché me la rovinassi in compagnia di quattro sconosciuti che avevano voglia di giocare alla pesca pesante come quella del Marlin.
Molti di loro si ubriacavano molto prima di prendere l'amo in mano e la maggior parte faceva una gran fatica a tenerlo a lenza per più di dieci minuti.
Cercai di non fissarli troppo e tornai al mio lavoro felice di non dover scarrozzare quattro cacasotto di città pronti a farsi arrivare la balia appena si fosse scheggiata un'unghia.
Modo, uno dei più grandi studiosi di storia moderna ed ex professore, era diventato mio amico dopo una scazzottata contro due energumeni da cui si era fatto prestare qualche centinaio di dollari bahamiani.
Modo si era ritirato dall'insegnamento perché aveva scoperto che nella pubblica istruzione come in quella privata, tutti erano solo incarichi politici per gente corrotta.
Modo Akahuba era figlio di pescatori e il vivere in mare aperto gli era una sorta di seconda pelle. Il pescatore più colto dei tropici.
Lui quanto me, se non più di me, conosceva e temeva l'umore dell'oceano e rispettava le leggi della natura quando questa voleva governare il suo regno, senza i servigi dell'uomo. Insomma da sempre l'uomo non ha mai vinto sul mare nemmeno quando sono migliorate le navi e la tecnologia. Le onde anomale sono sempre dei mostri e le tempeste sfiorano i gradini più bassi e più bui dell'Inferno.
La faccia dei quattro, era mutilata da un rossore innaturale e si capiva che l'uso postumo delle creme protettive si era rivelato inutile. Le bolle che avevano sulle guance e sul naso li rendeva ridicoli ma solo per il fatto che le loro pelli completamente bianche stavano lì, belle esposte al sole come un uovo buttato in una padella.
I poveretti non sapevano che sull'isola anche col nuvolo ci si arrostiva uguale se non peggio di quando il sole mostrava i denti.
I due leoni perché, così volevano apparire i primi due yankee con gli occhi ridotti a una striscia scura sotto la palpebra si avvicinarono alla mia barca, abbastanza da essere presi in considerazione, anche se avrei voluto evitare qualsiasi tipo di conversazione non programmata.
"Lei è Capitan Hook?", disse uno dei due, il più giovane che sembrava una carota attizzata col fuoco e dal forte accento irlandese.
"Chi lo cerca?"
Domandai dalla coperta senza nemmeno alzare la testa dalle faccende domestiche che mi premevano più di quei mozziconi di città.
"Capitan Hook?"
La sua insistenza era irritabile, quasi quanto il suo accento. L'accento però mi faceva pensare alla punta di un gessetto sopra una lavagna, fastidioso e terribilmente incisivo, quanto una coltellata nelle orecchie.
"E' lei Hook?"
La cosa che sbagliò fu quando mise il piede sulla mia barca senza alcun permesso, il fucile era troppo lontano ma l'arpione era in bella vista, lo presi di mira e la mia sottile e benevola voce fece il resto. Un sottotono più bassa avrebbe spaventato persino il povero Modo che mi conosce dai grugniti più che dalle parole.
"Qualcuno ti ha insegnato l'educazione o devo pensarci io, fuori dalla barca e te lo dico con la migliore intenzione. E no! Non sono Hook! Io mi chiamo Hooc e riprova a dirlo, solo appena sarai in grado di pronunciarlo correttamente, mi sono spiegato?"
Non mi piaceva sembrare una bestia ma con certi tipi, era bene impostare da subito la prima regola che per me era quella del rispetto.
Modo gesticolava, gridava in due lingue diverse di cui alcuna sembrava l'inglese, gli altri si fermarono e il ragazzotto intimorito più dalla mia faccia completa di barba e occhiaie che dalla mia stazza, scese cercando di pararsi la faccia con i palmi alti.
L'estraneo perse il suo profilo mascolino per battere in ritirata e nel peggiore dei modi.
"Scemo, se ti dovessi sparare, lo farei mirando alle tue palle mica ai quattro denti che strofini ogni mattina col tuo bel spazzolino elettrico, quindi mi dici perché tieni le mani alte?"
Una delle due donne, la più carina perché l'altra aveva i capelli bianchi e corti, cosa che la faceva sembrare una professoressa rigida e bacchettona, si avvicinò a Modo e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio dopodiché mi venne incontro a mani alzate come se temesse che sparassi pure a lei.
"Mister Hooc, mi scusi, non volevamo sembrare dei tronchi d'albero, noi come vede siamo gente comune abituata più alle carte e ai computer che ai discorsi in amicizia. Mi lasci salire, vorrei chiederle un'informazione che a quanto pare solo lei è in grado di darcela."
"Nessuno sale sulla mia barca senza un mio esplicito invito e sinceramente oggi non ricevo visite, sono in vacanza. Per richieste turistiche Modo saprebbe accontentarvi meglio di me, è un vero intenditore delle Out Islands, credetemi. Il Paradiso tropicale e il più bel corallo rosa lo troverete vicino a Eleuthera ma se volete una vera e propria chicca, fatevi portare a Harbur Ireland, sabbia rosa e mare come acqua da rubinetto per non parlare delle conks che arraperebbero il più difficile collezionista. Mi raccomando di stare vicino alla riva perché ogni tanto i barracuda tendono ad avvicinarsi troppo e non sono pesci simpatici."
"Grazie per il suo pratico consiglio turistico ma noi siamo qui per farci portare qualche chilometro più lontani dalle Bahamas."
"Modo è bravo anche in questo."
"Intendevo Antartide."
"State scherzando vero? Siamo a giugno e lì c'è l'inverno capite? Forse no. Comunque io poi ho la pesca in Alaska che non intendo rimandare."
"Vede noi abbiamo fatto una scoperta e credo che potremmo essere i primi a mettere i piedi nella base creata dai nazisti nel '37 e poi sparita da tutte le carte. Non vogliamo rischiare di usare un altro tipo d'imbarcazione perché sono molti i falchi che attendono questa scoperta per fare dei profitti loschi."
"Grazie per quest'anteprima rivoluzionaria ma non sono interessato."
"Modo ci ha detto che vorrebbe rimettere in sesto il motore della barca, noi possiamo offrirle qualcosa in più per far si che la sua bella imbarcazione ci porti a destinazione e ci riporti vivi in meno di un mese."
"Ma chi vi fa i calcoli? L'azienda che vi rifornisce di carta igienica? La fuori ragazzina, c'è l'inverno australe, le chiappe vi si congelerebbero anche sotto strati di vestiti e tutto questo, se non si trova un mare forza dieci incazzato e strafottente dei vostri progetti illuminati."
"Mi scusi ma so anche questo, quello che non so è se le voci sul suo conto sono vere? Loro dicono che lei è l'unico pazzo a potersi avventurare fino lì per poi tornare indietro vivo."
"Sì, una volta per qualche scommessuccia l'avrei anche fatta ma ero più giovane e sicuramente più idiota. Oggi mangio soia e cerco di stare attento ai grassi, certe follie le lascio a quelli più giovani di me. Andate, divertitevi e moltiplicatevi, amen!"
"Non è così! Vede, nessuno vuole portarci e chi sarebbe in grado di farlo chiede somme assurde e questo farebbe cattiva pubblicità all'impresa. Noi le offriamo centomila dollari subito e cento al ritorno."
La manina della moretta prese ad agitarsi, una sorta di segnale per la donna più anziana che aprì il suo borsone da mare per tirare fuori dei pacchetti da cento dollari ancora profumati di nuovo.
"Così poco denaro per così tante vite da riportare a casa? Oh signori non disturbatevi preferisco i gamberi di Bering, il lavoro è il miglior modo di rischiare la propria vita. A me non piace rischiare per divertimento e voi questa cosa potreste farla fra cinque o sei mesi quando il freddo avrà rallentato un poco della sua morsa."
"Non è possibile, abbiamo studiato la cosa e abbiamo solo due mesi e mezzo per recuperare i dati dalla Base prima che questa sia sommersa. Diciamo che il posto non è agibile al cento per cento e che le gallerie sono interminabili. Sei mesi fa un aereo civile, quello del team che aveva realizzato la prima spedizione si è schiantato tra la cordigliera delle Ande; del velivolo e dei trenta passeggeri solo briciole e qualche resto non più grande di un cacciavite. Ho pensato che il mare fosse il mezzo più sicuro ma prima dovremmo fare una puntatina all'Isla Stewart in Chile per recuperare dei dati da un amico."
Se la morettina avesse avuto le gambe coperte e il suo battito di ciglia non fosse convincente, giuro che avrei detto di no, ma il pantaloncino lasciava aperte le porte dell'immaginazione e posso assicurare che la mia è sempre stata molto fervida.
"Una puntatina nella Terra del Fuoco eh?"
La mia risata fu amplificata dal vento che mi faceva sembrare più l'arcidiavolo che un angelo del mare. Dopo il breve attimo di sincero divertimento e accortomi che non era uno scherzo decisi di parlare.
"Siete pazzi ma se mi diceste che avete scavalcato qualche onda oltre i sedici metri, perché sono queste le onde che usano affrontare i bravi surfisti mentre noi marinai guardiamo con terrore solo quelle superiori a venticinque metri, allora il mio potrebbe essere un sì, allora? Qualcuno di voi possiede la facoltà biblica di un buon navigatore? "
I loro volti erano masturbati più che dal sole, dall'innocenza totale.
"Voi pivelli non vi siete mai bagnati i piedi in nessuna tempesta, vero?"
"No." rispose con fare calmo e voce troppo dolce, la seconda donna che non aveva mai aperto bocca.
"Forse vi converrebbe affittare un sottomarino altrimenti il vomito vi si pianterà in gola e avrete la piscia nei pantaloni già alle prime avvisaglie di tempesta. Una tempesta nelle acque di Miami vorrebbe dire incontrare sei o sette metri d'onda se l'oceano è di buon umore, che vi dondolerebbe dolcemente fino a centrifugarvi le budella ma dieci o quindici metri d'onda, vi tirerebbe fuori il fegato e vi farebbe sputare l'anima che sarebbe già pronta per il creatore. Ma se l'oceano fosse cattivo vi assicuro che il vomito del cane potrebbe essere il miglior pasto che supplichereste di assaggiare in cambio di un mare calmo. Non mi va di farvela facile perché non lo è. Questo giochetto vale per l'andata e per il ritorno, se poi pensate per il ritorno di prendere un aereo, vi comunico che ognuno è libero di morire come gli pare e piace. Il freddo in quel dannato posto è proibitivo per tutti i motori e lì non si atterra e non si decolla per mesi. Si rischia di restare bloccati e quindi il vostro mese fa a farsi friggere solo in semplici congetture di sopravvivenza. Ditemi che avete un piano più serio delle parole che sventolate ora?"
Il secondo uomo che arrivava forse alla sessantina ma abbastanza asciutto da mentire se avesse voluto, sull'età, si fece avanti e mi mostrò un paio di carte.
"Non capisco?", gli dissi insofferente.
"Queste carte mostrano il luogo, dove due dei nostri aspettano rinforzi."
"E perché non mandate lì la guardia nazionale, il capo dei servizi segreti, la CIA?"
"Perché è una base segreta nazista dove nessuno ha messo piedi per più di settant'anni. Gli uomini che sono lì non hanno altre speranze che noi e sinceramente non mi va di sacrificarli alla causa come vite dovute per scoperte scientifiche, sono nostri amici, uno di loro era mio fratello."
Il tasto parenti, mi rendeva sentimentale ed ero già stato convinto da pantaloncini succinti che quell'intervallo lacrimoso fu decisivo.
"Se vi porto e ripeto se, ci saranno delle regole rigide, non mi va di fare morire nessuno sopra la mia barca e giuro che il primo, che disobbedisce a qualunque delle piccole clausole che v'imporrò, farà rotta di ritorno assieme agli altri, capito?"
La morettina si tirò giù gli occhiali da sole e sorrise con lo sguardo, a me sembrava solo un serpente che aveva trovato una cavia viva.
"Come dovremmo chiamarla Timothy oppure …"
Il ragazzotto che rischiava la sua virilità stava scherzando col fuoco.
"Oppure.", gli risposi, mostrandogli l'arpione ancora carico e dovette prendermi sul serio perché abbassò lo sguardo fino a grattare gli occhi sul pavimento non ancora lucido come avrei voluto che fosse.
Non so se era solo una vuota impressione, ma quei personaggi presentatasi in quel Paradiso Terrestre e per di più nella mia giornata di riposo assoluto, mi sembrarono solo delle carcasse nascoste sotto le conchiglie.
La mia prospettiva non era pessimista ma il mio intuito come il suo solito, sapeva anticipare i guai, prima che loro svelassero la loro presenza.
"Comincia la festa!", gridai a Modo che aveva capito benissimo a cosa mi riferivo ma lui non rise, semplicemente continuava a dondolare la testa, lui sicuramente pentito per aver dato spazio a quei sconosciuti ed io insoddisfatto del loro curriculum.


 

                                                                                                                                 Dove volano gli uccelli,
                                                                                                                                 quando scappano dal loro predatore?
                                                                                                                                 Perché volano in alto?
                                                                                                                                 Allora dovremmo cercarci un nido
                                                                                                                                 sulla vetta di un monte
                                                                                                                                 perché tra poco l'umanità sarà preda
                                                                                                                                 di qualcosa che lei stessa avrà creato.


2

La missione

La luce del giorno non bastava per illuminare le tante incertezze che si nascondevano in trincee buie della mia mente. Lo specchio del cielo assorbiva lo sguardo di un altro me che dal cuore osservava il transitare quieto delle nubi bianche e soffici come la spuma del mare. "Comincia la festa!", pensai senza esternare il dubbio che avevo di non fare una buona cosa. Intuivo come un deja vu, tanti guai sotto quelle maschere di gente innocente venute a farsi un giretto in barca.
Modo scuoteva la testa come se fosse contrariato della cosa ma quando gli dissi che l'avrei portato con me, il suo sorriso divenne una sorta di garza rinfrescante sopra una ferita arroventata. Il lurido bastardo sapeva che la gita gli avrebbe fatto abbandonare le pulizie che tanto detestava.
Cercavo di trattenere le parole, forse la fretta di criticare mi avrebbe messo in qualche brutto guaio e non avevo né voglia né forze, per entrarci.
"Non mi fido di loro, quelli dalla parvenza più giovane sembrano delle teste calde e i due più vecchi rubano la luce degli occhi ai corvi, guardali, ci stanno studiando da quando li hai portati qui."
Modo mi diede ragione ma avevamo molte cose da sistemare, una di queste e la più importante i cani che non potevano accompagnarci. Riuscimmo a trovare un dog sitter che per dieci dollari anticipati e altri dieci al nostro ritorno, promise che avrebbe servito ai nostri amici, solo carpaccio di conks.
"Signori prima di farvi salire c'è un altro problema!"
"Quale?", domandò l'anziano con forte accento newyorkese.
"Siamo in sei, più i vostri bagagli e i viveri ma se dovessi caricare altra gente, la mia barca non basterà."
"Tranquillo Hooc, con noi non verrà più nessuno. Quelli della base versano in condizioni estreme di salute."
"Attenti agli scherzi, voi potreste anche cercare di fregarmi ma vi assicuro che se non mi uccidete sarò io a farlo ovunque voi crediate di potervi nascondere."
"Che accoglienza!", sussurrò la donna che iniziò a ispezionare la barca come se l'avesse comprata.
"Ehi signora, qui nessuno controlla il mio lavoro, quindi adesso la accompagnerò alla cabina delle signore e poi tutti scenderemmo a terra per fare provviste."
"Davo un'occhiata, in fondo uno sguardo a questo cimelio li varrà centomila dollari oppure no?"
"Oppure no.", fu la mia risposta secca.
La dama si allontanò borbottando qualcosa in puro irlandese, cosa che ci teneva a sottolineare e il ragazzotto, presumo il figlio, la seguì sottocoperta anche lui sprezzante della mia sincera accoglienza.
Modo si prese due sacche e la spada che avrebbe dovuto difenderci dai diavoli.
"Quali diavoli Modo?"
"Quando parto per un lungo viaggio, immagino di dover incontrare un qualsiasi pericolo, ebbene con questa spada la cui lama ha più di mille anni e pensa è stata fusa nel fuoco dell'Inferno, noi sconfiggeremo tutti i nemici."
"Speriamo di non incontrarne amico mio perché qui di peggior nemico, io vedo solo il mare e poi il suo miglior amico."
"Il vento?"
"Il ghiaccio."
"Credi che ci faranno problemi?"
"La gente che gira con questa quantità di soldi, di solito si tira dietro sempre un sacco di problemi. Noi per guadagnare meno della metà dobbiamo combattere per dodici mesi con l'umore del mare e rischiamo la vita per una tonnellata di carne di pesce ma gente così va in giro a rischiare oltre la propria vita anche quella degli altri, ne convieni?"
Modo annuì e sul suo volto potei leggere un sincero atto di pentimento.
"Tim se vuoi li caccio via."
"Lascia stare oramai ho dato la mia parola ed entrambi abbiamo bisogno di un po' di soldi, fra qualche anno la tua barca cadrà a pezzi se non la sistemi."
"Già e dovrei dirti grazie per avermi preso con te."
"Io ti dico grazie per non avermi abbandonato con questi gratta culi di città. Birra?"
"Birra!"
Invitai i nuovi ospiti a scendere per prepararsi prima della partenza. Naturalmente le presentazioni furono d'obbligo così venni a sapere che la sirena si chiamava Eva, il cagnone giovane e rossiccio Bert, mentre i due anziani che non erano sposati ma solo colleghi di lavoro, Julia e Klupp. Notai i frequenti sguardi che si lanciavano come se nascondessero qualcosa perché io avevo intuito che mi nascondevano qualcosa ma speravo fosse una bazzecola sull'identità nascosta più che un atto da spie ai danni del mio paese.
Eva prometteva bene e come figurante in quella storia era assai brava, ma io avevo capito che chi prendeva le decisioni, era lei Julia, la mente senza voce o meglio il profeta tra gli altri tre, mentre l'altro, il vecchio dall'aspetto giovanile pareva una guardia del corpo più che uno scienziato. Quei quattro non impressionavano ne mettevano paura ed era questa la cosa che mi spaventava, il loro apparire innocuo.
Pregai Capitan Butz che la fortuna girasse per un po' anche dalla mia parte e che quei serpenti non si fossero dimostrati oltre che velenosi, combattivi. C'era una sorta di codice del guerriero mi pare giapponese che Capitan Butz mi leggeva ogni tanto, una sorta di codice di leggi che porta a essere vittoriosi in guerra. Questi giapponesi non avevano incontrato in molte cose la mia approvazione e il fatto di essere così belligeranti dall'antichità, devo dire che è una cosa che mi ha sempre infastidito. Tornando ai miei serpenti, speravo con tutto il cuore di sbagliarmi su di loro e cercai di credere alle buone intenzioni che sbandieravano a suon di dollari.

Scendemmo tutti a terra per fare provviste, caricare le attrezzature e i bagagli degli ospiti. Vietai la salita sulla barca fino al mio arrivo, penalità una partenza nulla, e devo dire che la cosa funzionò. Tutti loro temevano talmente tanto di non partire che rimasero seduti sulle loro belle valigie per un'altra, buona, mezza giornata. Non è, che gli lasciai arrostire solo per cattiveria ma per levare loro di dosso quella boria che sembrava non tanto finta quanto congenita.
Dopo un paio di birre con gli amici di Modo, spendemmo qualche dollaro in carne surgelata, fagioli in scatola, frutta in scatola, sigarette, caffè e otto casse di birra. La mensa sarebbe stata povera ma nutriente e buttai nel fuoco un altro centinaio di dollari in biscotti al cioccolato, quelli della Fitfig, la mia marca preferita.
Immaginavo già e non con poca ironia, i visi dei nordisti scesi per cena che dovevano sgranocchiare costine unte e pane raffermo.
Preso da cose meno dilettevoli, li lasciai riposare nelle cabine, anche se non saremo partiti che dopo altre ventiquattro ore di preparativi. Più che le carte, mi servivano le previsioni del tempo, un po' di fede, del buon vecchio whisky per la cura della mia anima che arrivata in prossimità del polo sud e a certe temperature, avrebbe avuto bisogno di un buon combustibile per farcela.
"La fretta è una cattiva consigliera Timmy! La fretta è una cattiva consigliera.", una certa vocina, mi ripeteva in testa le sue pregiate certezze.
Con meno di seicento dollari avevo riempito la stiva di combustile, con altri mille riparato il motore e con qualche centinaio comprato l'improponibile.
Dopo una veloce lezione di soccorso e sopravvivenza, formulata l'ipotesi di una mia presunta morte, feci promettere tutti loro di considerare come Capitano Modo, l'unico capace di riportarli a casa dopo di me.

Tre giorni dopo eravamo in viaggio e il mare calmo, sembrava una donna di zucchero pronta a farsi sverginare.
Per le prime due giornate nessuno parlò e ognuno badava ai fatti propri.
I quattro ospiti, venivano spesso sul ponte a parlare delle loro carte e inseguendo chimere con il loro portatile che masticava dati come un motore a vapore la legna.
Per un paio si volte cercai di sbirciare tra le loro cose ma Bert, il più furbo tra loro, si alzava ogni volta cercando di ostacolarmi. La mia curiosità era naturale se poi si trattava di questioni dove potevamo essere coinvolti io e la mia barca.

Capì che loro avevano già dimestichezza con una barca, dal fatto che lo stomaco di alcuno di loro era esploso come avrebbe dovuto, durante il mare mosso. Certe onde non si digeriscono con facilità e se la cosa si dimostrava, ripetitiva, lo stomaco dava di matto come se gli avessero messo dentro dei fili elettrici. Solo gente d'acciaio resisteva al tormento del mare in burrasca.
I miei ospiti reagivano come ragazzini sopra un green imburrato e preparato per le loro costose mazze. Fiutavo guai e non solo.
A volte sono proprio le piccole bugie a fare da focolaio alle grandi rivoluzioni così suggerì anche a Modo, la cui identità era rimasta nascosta, di seguire i loro discorsi.
Per quella banda di scienziati sia io sia Modo, eravamo solo due rudi e cinici lupi di mare col cervello come una tavola piatta e la lingua a stima di veleno e la mia fortuna era che entrambi sapevamo fingerci ancora più idioti di quanto la loro immaginazione si fosse permessa di credere.
Un giorno stavo osservando le nuvole che s'addensavano verso est e Modo si avvicinò discretamente per sussurrarmi qualcosa nell'orecchio.
"Mi sa che stanno confabulando qualcosa. Usano un satellite per cancellare le nostre tracce e vorrebbero boicottare il segnale radio per qualche motivo."
"Insomma vogliono a tutti i costi morire in mare?"
"Credo che vogliano arrivare da qualche parte in punta dei piedi."
"Chi di loro? L'idiota, la bambola, il vecchio o la faina?"
"La ragazza pensa che sia sbagliato ciò che stanno facendo ma l'altra, Julia mi sembra si chiami, le ha proibito di aprire bocca perché il vero risultato del loro lavoro, lo devono a uno di quelli scomparsi."
"Speriamo non abbiano armi, mi sembra di aver guardato ovunque tranne che in quelle otto casse di legno che hanno detto di essere apparecchiatura speciale per ritrovare il bunker."
"Ci penserò io."
"Non c'è bisogno.", disse la vocina di Eva che aveva sentito qual cosina delle nostre congetture.
Modo diventò rosso per la vergogna e con un colpo di tosse si volatilizzò nella zona della cucina, dove disse che avrebbe preparato qualche suo manicaretto.
"E così non siete stupidi come volete apparire?"
"Se non fossi stato stupido, non vi avrei preso a bordo."
"Allora grazie."
"Di che cosa?"
"Di averlo fatto."
"In pratica mi sta dicendo, grazie di essere stupido."
"Beh, è solo la logica del discorso ma molte volte, la ragione non serve a nulla. Guardi me per esempio. Sono laureata in medicina e fisica, sono l'unica ricercatrice nel campo delle cellule staminali indicizzate che sono quel tipo di cellule credute morte o pazze ma che possono convertire i dati del dna in valori ancora incomprensibili dalle scienze umane ma la mia bravura non sempre trova riconoscenza... "
La guardai come si guarda a un radiofaro dentro una fitta nebbia.
"Non ha capito nulla?"
Feci cenno di sì con la testa.
"Le cellule che si fingono morte o cancerogene posso assorbile il dna di altre specie viventi e questo matrimonio genera a volte una cosa incomprensibile."
"Ma a cosa serve, a che scopo?"
"A conoscere elementi alieni?"
"Ah."
"Non crede agli alieni."
"Una volta ho pescato un polpo di quasi dodici metri."
"Io ho analizzato campioni alieni presi da un meteorite."
"Pensavo che per fare un salvataggio servisse gente capace di arrampicarsi sui ghiacci e non un dottore che analizza campioni di cellule aliene."
"Io sono la più ignorate tra i tre, Julia è il meglio di tutti i matematici viventi, lei si occupa di codici e le assicuro se le necessitasse un satellite, non importa di quale nazione ebbene avrebbe l'appoggio giusto in qualunque impresa."
"Compresa una guerra."
"Compresa una guerra."
"Accidenti."
"Eh già, sono i tipi come lei che fabbricano o disinnescano armi d'impensabile portata. Poi c'è suo figlio Bert, ebbene Bert è un virologo mentre Klupp, cavolo, Klupp è il nostro dottor Frankenstein."
"A cosa vi serve un uomo che mette insieme pezzi di gente morta?"
"A riportare in vita."
"Chi? Cosa pensate di fare perché sono in tempo a tornare indietro?"
"Mi ha capita male. Noi stiamo per fare la più grande scoperta archeologica di tutti i tempi e per lei vorrebbe dire tanto denaro da ricomprarsi una bella barca."
"Cosa le fa sembrare che io rottamerei l'Insane Gloria, la mia ragazza è la più bella del mondo, basta un po' di lifting ogni tanto al motore ma per il resto ve la scordate una nave così pronta ad affrontare mari avversi. Con le grosse navi c'è sempre una piccola probabilità di salvarsi il culo davanti a onde di venti metri ma con una così piccolina e veloce, vi assicuro che avete qualche probabilità di vivere."
"Hooc? Ha mai incontrato onde così alte?"
"Sì, avevo tredici anni e ci salvammo per miracolo io e Butz. L'uragano aveva alzato il mare di una decina di metri ma la dannata onda che ci arrivò incontro aveva più di ventidue metri, non ho mai pregato tanto come allora. Mi caccai nei pantaloni e piansi come se mi avessero preso a pugni. Quando hai davanti un mostro così, ti assicuro che nulla nella tua vita conta di più di ogni respiro che rubi alla morte."
"Capisco."
"No, tu non capisci ma è meglio così. Questo tipo di prove non sempre si superano."
"Ma siamo nelle giuste mani no?"
"Siete una banda di pazzi capaci di superare a quanto pare anche la fine del mondo."
"Noi lo speriamo ma ci sono gli imprevisti e quelli necessitano più che microchirurghi, semplici coraggiosi."
"Sei perspicace, forse ti salverei ma quando fai la saputella, ah, mi passa facilmente la voglia."
Eva rise con gli occhi e col petto, quel dondolio di seni mi sembrò meglio di una birra dopo una giornata di lavoro.
Modo cercava di nascondere la faccia corrucciata dietro una grossa cima che stava arrotolando sul braccio, io lo capivo ma gli feci l'occhiolino per dirgli che tutto era sottocontrollo. Quei quattro raccontavano meno di quanto avevano in mente di fare e questo non mi piaceva, non per il posto, dove saremo andati a finire.
Il mare stava crescendo la barca ballava come se avesse perduto il controllo del ritmo.
Bert uscì in coperta ma non per vomitare come avrei pensato ma per fumarsi una sigaretta.
Il sorriso che teneva scolpito in faccia, avrebbe autorizzato chiunque ad alzargli un pugno ma io mi divertivo perché per quanto facesse l'eroe, sapevo che certe cose del mare, il meschino, non le aveva vissute, era pur sempre un uomo dietro un computer e non un marinaio. Modo comprese in qualche maniera i miei pensieri e mi offrì una sigaretta.
"Non promette nulla di buono il tempo?"
Non capivo bene, dove volesse parare Modo con quel discorso, ma gli andai dietro.
"Credo che presto balleremo un po', è pronto Bert per il nostro primo uragano insieme?"
"Non dobbiamo mica fidanzarci.", sbofocchiò lui gettando più di metà sigaretta in mare. Diede una veloce occhiata al cielo poi entrò rapidamente in cabina.
"Questo non ha mai visto una di quelle giuste, la Ventimetri."
"No Modo, credo proprio di no. Ma guarda il colore del mare, sembra stia bollendo sotto l'orizzonte."
"Credi che arriverà?"
"Ci vogliono circa dodici ore per uscirne e siamo a carico pieno, dico che sarà difficile ma non impossibile. Aumenta i giri, cerchiamo di superare la baldracca prima che lei ci si faccia con le mutande."
"Dici che è brutta?"
"Sicuramente per avanzare come un siluro non è una tempesta del cazzo. Hai controllato le casse?"
"Non ho avuto tempo. I signori volevano il caffè dopopranzo e tu ti sei dimenticato di comprare una lavastoviglie."
"Tranquillo Modo da domani i gentili ospiti faranno anche le pulizie."
"Ha! Questa me la voglio proprio vedere!"
"Allora scendi con me così ce la gustiamo in due."

Non fu uno spasso ma molto di più. I volti dei quattro cambiarono colore per un paio di volte per poi fissarsi definitivamente sul pallido.
"Stai scherzando, ti diamo centomila per fare da governante, da massaia e da Capitano!", sbraitò il cagnone con i capelli rossi.
Julia mi osservava col viso incendiato da un'espressione che poco tollerava l'intelligenza ma urlare, credo, non era da lei così ordinò con voce tenera ai tre di ascoltarmi.
"Io non lavo i piatti sia inteso.", la piccola Eva abbracciò il pensiero di Bert.
"Signori chi non pulisce, farà tornare a casa tutti. Questo era il patto. Io ordino e voi eseguite è così che funziona."
Klupp stava per rispondere quando Eva si fece avanti.
"Rischi di non avere tutti i tuoi soldi al ritorno perché ti decurteremo anche queste piccolezze."
"Chi ti dice che tornerete?"
Adesso i volti tornarono a essere torvi e insoddisfatti mentre Modo se la spassava sicuramente dentro se stesso senza dare alcun segno di coinvolgimento.
"E tu giapponese, non hai nulla da dire?"
"Chi io?", aggiunse Modo fingendosi di ritorno da un ritiro spirituale.
"Io dico che Capitan Hooc non è da sottovalutare poi c'è una piccola tempestuccia in arrivo ed io vi consiglio di stargli vicino come dei bravi figli perché se qualcosa non andrà per il verso giusto, lui e soltanto lui, potrà salvarvi!"
Di colpo il silenzio divenne rilassante e amichevole. Klupp versò per tutti due dita di gin e dichiarò pace tra le parti.
"Certo che daremo una mano, qui dobbiamo vivere insieme e aiutarci nel momento del bisogno."
Sì, pensai io, e tu sei il peggior avvoltoio della nidiata, meno male che madre natura ha badato, a tenere nascosti certi pensieri, diedi una veloce occhiata ai seni di Eva che li metteva in bella mostra come se fossero mele sul banco del mercato e poi presi per il braccio il fido Modo che doveva rimediare a certe ispezioni del carico non ancora ultimate.
"Hai mezz'ora prima che questi si scollino il secondo bicchierino, sono tutti abituati sia al mare sia al bere quindi datti da fare e scopri cosa si stanno portando dietro."
Non mi lasciò finire che l'amico scomparve sottocoperta.
Il motore stava reggendo bene la fuga verso il mare aperto ma le nuvole c'inseguivano e sebbene non sembrassero veloci, la pancia gonfia del mare dimostrava il contrario.
"Il mare numera cadaveri che nessuno potrà mai contare.", la voce di Julia mi colpì come un proiettile.
"Ma i loro spiriti spingono le onde e le vele dei vivi."
"E mettono a prova gli animi dei valorosi."
"E' brava."
"Sono solo circostanze."
"Quindi è stato marinaio?"
"Mio padre, sì."
"Adesso capisco."
"Se fossi stato un uomo, forse sarei diventato un marinaio ma mia madre voleva che perfezionassi la logica dei numeri infiniti ed io ho seguito la sua influenza, certe volte mi pento."
Aveva uno sguardo freddo che stregava, i suoi modi ammalianti e la sua voce sottile mi ricordavano un po' il profilo mitologico della Medusa.
"Una donna come lei poteva mandare qualcun altro in capo al mondo, cosa c'è che merita di essere scoperto di persona?"
"Una cosa cui l'umanità non può assolutamente rinunciare."
"Cosa?"
"Scoprire un mistero a volte vale quanto la cura del cancro."
"Io pensavo che una vita umana salvata valesse più di qualunque grande tesoro mai scoperto."
I suoi occhi divennero imperscrutabili e ambiziosi.
Aveva il dono di mettere l'altro a proprio agio ma la stessa cosa la facevano i predatori prima di spuntare dal nulla per azzannarti il collo.
"Il prezzo di una vita umana si può sempre spendere quando la causa coinvolge il benessere dei più."
"Insomma, non esistono una bilancia né un equilibrio?"
Julia si accese una sigaretta e fissò le stesse nuvole che guardai io prima, per molte ore.
"Vuole una sigaretta?"
"Grazie ma le mie non hanno il filtro."
Lei fu svelta a capirmi e spezzò la sigaretta in due, il pezzo giusto lo accese in bocca poi me lo passò, incurante della macchia di rossetto che aveva lasciato intorno. Era bella, e doveva esserlo stata molto di più da giovane. Lei possedeva quello che a Eva e ad altre mancava, il carisma, la cosa che attizza un uomo fino a mandargli la mente in briciole.
"Sa Timothy, posso chiamarla Tim vero?"
Io annui con la stessa gentilezza con cui mi fu posta la domanda.
"Sa Tim, giunti alla mia età si ha la presunzione di capire le cose ma certe volte, ci sono eventi che svirgolano da tutte le leggi planetarie che hai faticato per tutta una vita a imparare. I miei cinquantatre anni mi offrono prospettive nuove ma limitate a funzionalità non più organiche quanto percettive. La donna invecchia prima e la sua mente resta accesa come una torcia che finisce col consumare il legno in mancanza di altro combustibile. Io vorrei solo capire se il risultato di una vita di ricerche può avere il senso di esistere."
"A cosa si riferisce?"
"Mi dica lei, mi trova ancora bella? Lo so, sono diretta e non mi offende dicendomi la verità."
"Sì, credo che sia e che sia stata una bellissima donna, ma sembra che legga nel pensiero, almeno questo io l'ho pensato qualche momento fa."
"Lei fa domande più intelligenti di quello che maschera il solito capitan Hooc? Diciamo che io so come lei sa qualcosa in più di me."
"E come fa?"
La sigaretta stava per terminare e arrivai a sentire il gusto del suo rossetto, fu quasi come baciarla, come sentire un organo sessuale in bocca e lei capì, sono certo che comprese il mio imbarazzo.
"Magia, caro Tim. Nel gioco dei numeri, nel gioco infinito dei numeri ci sono alcune probabilità che questi in qualche modo e per qualche causa anomala indipendente dalle leggi naturali, si sposino perché identici."
"Sa che non la seguo. Mi sono fermato alla magia. Mi scuso per la profonda ignoranza e la ringrazio per la sigaretta ma adesso vado a svolgere il lavoro per il quale mi ha pagato."
"Io credo che alcun soldo potrebbe obbligarla a fare qualcosa contro la sua volontà."
Quella frase fu come una freccia scagliata contro il cuore, io sentì la punta e il dolore dell'impatto. C'era qualcosa di strano in quell'essere che cercava di conquistarmi pur sapendo che io avevo qualche riserva sul suo conto.
Come dicevo la pancia del mare si era gonfiata. Le onde picchiavano lo scafo con troppa forza per essere solo una tempesta di media intensità. Certi urti avrebbero fatto pensare a un dinosauro d'acciaio che cercava di entrare nella pancia della nave. La spume ghiacciate ci inghiottivano nella grande bocca d'acqua per poi essere risputati in superficie come in un gioco dove noi eravamo le cavie di Nettuno.
Modo correva in tutte le direzioni e come secondo spettava a lui tutti i maledetti lavori, incluso quello di occuparsi dell'equipaggio.
Passarono due ore e Klupp bagnato fradicio, arrivò preoccupato alla postazione di guida. Gli consegnai il timone dicendoli di seguire la rotta, io sarei sceso a controllare che la barca non ingoiasse più acqua di quanta poteva bere.
Non era vero, io dovevo occuparmi delle casse del cui contenuto non sapevo ancora nulla.
"Dondola piccolina, dondola piccolina.", la cantilena di Modo stava irritando Bert che raggiunse il suo amico per discorsi più illuminanti.
Ero sotto e al buio, nascosto dal rumore del motore che lavorava per portarci lontano dalla tempesta. Cercai la porta magica, quella che si apriva sul mondo proibito del bagaglio di quei quattro finti argonauti.
Ero sicuro che tutta la loro disciplina nascondesse qualcosa di poco chiaro ed ero altrettanto sicuro che quella stranezza, non resterà all'oscuro per lungo tempo. Credo anche che non sarei stato felice di quella rivelazione.
Nonostante fossero dei provetti organizzatori, sulla mia barca non potevano che essere dei principianti. Tolsi la sicura e il meccanismo elettronico con un semplice gesto del pollice, questo trucchetto l'avevo imparato da Modo dopo una scommessa, dove si era giocato la barca ma io in cambio gli chiesi di insegnarmi qualche cosa che mi sarebbe tornata utile nella vita. Dopo quella volta, Modo divenne come un fratello maggiore che avrebbe sacrificato la vita per me e solo per non avergli preso la barca.
La nave dondolava e s'inclinava in modo spaventoso e detto da un marinaio non poteva che significare qualcosa di terribile. Le onde avevano aumentato d'intensità e ogni tanto ne arrivava così potente da fare borbottare le paratie.
Speravo con tutte le forze che nulla ci ostacolasse il viaggio ma intuivo che sin dall'inizio quel viaggio era una cosa sbagliata.
Aspettavo, contavo poi mi alzavo per andare a cadere sempre più vicino alle casse che erano state legate con doppio giro di fune di nailon e non una qualsiasi ma una Brawburg, un tipo di corda che nemmeno con la sega elettrica riesci a tagliare in poco tempo. Il loro contenuto doveva essere prezioso quanto le loro vite poi ne arrivò un'ancora più grossa che ci ribaltò tutti quanti.
Dovevo risalire. Lasciai le casse per una prossima nuova visita e risalii per governare la nave.
"Klupp? Dov'è Klupp? Bert? Chi diavolo governa la nave?", urlava Modo preoccupato.
"Cosa è successo?"
La pioggia sparava raffiche ghiacciate e il vento ci spingeva sempre secondo i suoi capricci come se si fosse messo d'accordo con Nettuno per rallentarci la corsa.
"Modo che c'è?"
Ma Modo non mi sentiva e cercava di controllare il timone, sebbene la sua forza non fosse più forte dell'acqua che stava per arrivarci addosso.
Le onde crescevano, si alzavano fino a raggiungere la cabina, ma Gloria reggeva tutto quel vafanculo di tempo che cercava di esserle ostile.
"Si tesoro, tu sei più forte vero? Tu sei la mia bambina e questo è solo un patetico temporale per te, vero?"
Accarezzai il timone come un bambino stringe il manubrio della sua prima bicicletta, ma c'era qualcosa di forzato e di diverso che m'impediva di governarla.
"Che accidenti sta succedendo?"
Chiamai Modo che arrivò ferito a una spalla e fortunatamente la ferita non era grave.
"Modo dov'è Klupp? Perché ha lasciato il timone in mia assenza?"
"Non lo so. Era già sparito prima che arrivassi qua.", si legò la spalla con un pezzo della maglia che avevo lasciato di cambio in cabina e si mise al timone."
"Tu reggi bene perché adesso dovremmo ballare per un po', io vado a scoprire cosa c'impedisce la manovra. Attento solo a quelle alte, sembrano calme ma sono le più bastarde, ci fa alzare poi ci piega sul fianco fino a farci ingoiare tutta l'acqua salata che si porta dietro."
Modo non si sarebbe mosso di una virgola e nemmeno se stessimo affondando ed io non avessi ripreso il commando.
La mia mente bolliva come una pentola a pressione e se avessi avuto Klupp giuro che lo avrei colpito.
"Kluppoooo dove cazzo sei?"
Gridavo tanto che riuscivo a mantenere lo stesso tono della tempesta, mi spaventavo da solo e sinceramente avrei voluto spaventare l'idiota che aveva abbandonato il commando lasciata in governata la nave e tutti quelli che si trovavano sopra. Quando entrai nelle loro cabine, trovai una massa di gente in festa che fumava e beveva davanti a un portatile acceso.
"Stai perdendo acqua e come vedi qui, è tutto perfettamente asciutto."
La voce di Eva non fece che alimentare i miei nervi che cercai di controllare prima di fare una strage di cui dopo mi sarei sicuramente pentito.
"Klupp, sei già in pigiama? Comodo?"
"Sì grazie.", ripose lui che si fumava beatamente la pipa davanti a un libro consumato che pareva non destasse in lui molta attenzione.
"Che cazzo ci fai qui? Ti ho detto di governare la nave?"
"Lo so."
"E allora cosa lo so? Perché cazzo hai abbandonato il timone, tu dovevi aspettarmi cazzo, hai capito dovevi aspettarmi."
Ero fradicio, infreddolito e incazzato ma loro mi squadravano come si guarda un animaletto che rischia di annegare perché non sa nuotare.
Julia chiuse il quaderno, dove aveva continuato a scrivere fino al mio arrivo. A guardare il suo vestiario, non temeva questa tempesta, la lunga vestaglia di pizzo blu la diceva lunga sull'atmosfera che si era creata in quel nido diventato quasi un club per gente esclusiva.
"Tim, non è come lei crede."
"Mi dispiace Julia ma si ricorda la prima regola? La regola che se uno di voi non ascolta un mio qualsiasi ordine, il viaggio è kaput."
"Ma Tim, Klupp non ha disobbedito ad alcun ordine anzi, lo ha rispettato nella migliore delle modalità."
Credo che se mi avessero fucilato in quell'istante non avrei percepito il male che sentivo in quel momento.
"A quale gioco state giocando? La nave è incontrollabile e il timone bloccato."
Il sorriso di Bert arrivò al momento giusto per il mio pugno che voleva sfogarsi.
"Prova a rifarlo e ti rompo tutte le duecento ossa del corpo."
Bert stava per partire all'attacco ma Julia lo fermò.
"Basta comportarsi come bambini. Bert? Ti sembra il momento di ridere, adesso ti alzi e spighi al Capitano cosa succede alla nave, mi sono spiegata?"
"Sì.", disse lui malvolentieri.
"Che mi devi dire tu, non sei l'uomo che ho lasciato al timone.", e puntai lo sguardo inferocito su Klupp.
Klupp non batteva ciglio e continuava a fumare il suo gingillo.
"Va tutto bene.", e m'indicò il tavolo.
"Per te, per voi va tutto bene? No, che non va bene, tra poco andremmo a vedere le alghe sul fondo e a baciare il culo ai gamberi, che ne dite di questa?"
"Ma no, Capitan Hooc, hai capito male, La tua barca è governata da questo programma che Bert ha partorito per noi in meno di dieci minuti e che Julia ha trasmesso a qualche satellite, per essere sicuri di non perderci.", la tuta rosa di Eva, era sicuramente un indumento improponibile ad un uomo che scopava da mesi l'aria salata del mare e non il corpo di una donna.
"Che cosa?", balbettai io per l'ennesima volta in imbarazzo davanti a tutti loro. Era una situazione penosa in cui mi ero ripromesso di non ricaderci più.
"Un programma automatico ha accesso alla nave che viene governata in modo più sicuro dai due satelliti più vicini."
"Sì, credo siano proprio sopra la nostra testa.", affermò Julia mentre mi versava una tazza bollente di caffè.
Come vede, né Klupp né Bert le hanno disobbedito, diciamo che abbiamo voluto darle un po' di soste in attesa che quest' uragano si calmi.?"
"Mi dite chi siete e come mai non avete paura? Io sono sgamato ma temo il mare come se ci fosse un Dio nascosto laggiù, uno che ti osserva e ti mette alla prova?"
"Questo non è il momento di morire. Tutto qui.", disse Klupp.
"E chi vi dà questa certezza, il computer, i satelliti?"
"Siamo persone positive e con pensieri costruttivi. Lei dovrebbe sapere che non è nostra volontà distruggere la sua nave o voler morire in mare per un aver ignorato gli ordini. Noi sappiamo rispettare la posizione che occupa ciascuno di noi."
Julia si limitava a parlare sottovoce come se avesse un microfono che avrebbe potuto amplificarle la voce. Ma io quella voce la udivo da dentro come se captassi le sue onde cerebrali anomale e spaventosamente potenti.
"La prossima volta che vorrete fare di testa vostra. mi avvertirete prima? Qui non si salva nessuno solo perché masticate numeri e processori, l'acqua è l'entità più bastarda che io abbia mai conosciuto e vi assicuro che sarà per parecchio tempo il vostro unico Diavolo."
Era prima volta che vincevo un round contro di loro.
"Adesso per favore mi sboccate il timone, vorrei riuscire a soffrire meno il mal di mare che mi sta dando questo modo di direzione impersonale."
"Ma?", disse Bert che non aveva inteso bene cosa volessi dire.
"Ci vorrebbero ore se non mesi o anni di simulatore per farla affinare la percezione di equilibrio in mare forza dieci. Quindi mi libera il timone, per favore o potrei vomitarle sulle belle babbucce di pelle? Quando non guido, soffro il mal di mare."
Abbandonai la cuccia dei lupi per abbracciare la mia cara Gloria che combatteva da sola le onde dell'uragano.
Mi era rimasta impressa nella mente la loro reazione alla mia battuta, non era gente di spirito e questo m i disturbava, a casa mia chi non era di spirito o era falso o peggio, traditore.
Avere fiducia poteva essere rischioso. Il fatto che fossero intelligenti, molto intelligenti, era fuori discussione ma questo significava che io potevo essere solo parzialmente utile, in fondo sapevano pilotare la barca, quasi quanto me, forse non erano abilissimi ma in acque normali se la sarebbero cavata anche con l'assenza di capitano.
Più si andava avanti in quel viaggio più le cose oscure diventavano ancora più buie.
Certo che i soldi mi facevano comodo ma se il prezzo era la perdita dell'Insane Gloria o la vita di qualcuno di noi, forse il gioco non valeva la candela.
Misi un vecchio cd dei Temptation nel lettore riparato da poco e con l'aiuto di Modo che conosceva dei tipi giusti sull'isola di Eleuthera che col magico tocco di un cacciavite sapevano aggiustare qualunque cosa, credo anche un missile se ne avessero avuto uno sottomano. La musica era la mia medicina. Avevo imparato ad apprezzarla quando il capitano Butz mi intimava a lavare tutta la plancia e non per due volte, cosa che a me sembrava assurda ma fino a quando lui passava un guanto bianco e questo restava chiaramente immacolato. Oh, come lo odiavo a quei tempi e come lo apprezzo ora che è scomparso. Lui lasciava la musica ad alto volume e se ne stava lì a prua, a fissare l'orizzonte come se fosse in attesa di qualcosa.

Gloria, la mia piccola, la mia adorata nave, reagiva bene al twist del vento e delle onde e il mio ego ristabilita, la calma, tornò a elaborare i dati per un arrivo sicuro nella Terra di Nessuno.
"Perché Insane?", la figura di Eva spuntò dal buio come un fantasma pronto a colpire l'immaginario stanco dell'insonne.
"Mi hai spaventato."
"Non credevo che qualcosa potesse spaventarla?"
"Le assicuro che io ho paura di molte cose."
"Allora non è il rude eroe che gira armato solo del proprio orgoglio."
La ragazza cercava di giocare col fuoco ma la mia micia si era consumata col "Sì" che avevo pronunciato il giorno in cui mi offrirono l'incarico.
Mi domandavo cosa cercasse di dirmi con le sue continue offerte di dialogo.
"Vuoi fare del sesso Eva?"
"Scusa?"
"Vuoi fare del sesso con me? Altrimenti non mi spiego la tua presenza qui alle due e mezzo del mattino."
"Sei malato oppure ti droghi?"
"Mia cara ragazza, io sono un uomo semplice, lavoro, cibo e qualche inganno carnale, non mi complico mi creda, con i giochetti tortuosi in cui voi donne di solito riuscite a coinvolgere l'altro sesso."
"Sei troppo vecchio per me."
"Sai, credo che tu sia la più vecchia donna che io abbia mai avuto, le precedenti non contavano più di ventidue o ventitré anni. Dicono che per i denti vecchi serva la carne tenera e a me piace seguire certi consigli."
"Mio caro Capitan Hooc ero venuta per portarle un segno di pace, un aiutino contro i miei amici che si sono permessi di baloccarsi con la sua amata barchetta. Il sesso con lei sarebbe appetibile solo dopo una buona sbronza e qualche piccolo allucinogeno, a quel punto la potrei vedere come un giovane abbronzato e con tutti i muscoli a posto."
"Cos'è che non hanno i miei muscoli?"
La barca si piegò di quasi centoottanta gradi e la donna mi cadde addosso. Tre secondi dopo un'altra onda ci gettò dalla parte opposta. Eravamo appiccicati contro la parete quando alzai la manica del maglione.
"Cosa c'è che non va nei miei muscoli?"
Lei mi spinse come uno straccio e facendo leva sul gomito che aveva piantato nel mio stomaco, si tirò su.
"Mi riferivo ai muscoli del cervello.", e sparì dalla porta mentre io le gridavo di fare attenzione perché le onde erano gigantesche.
Mi era sembrato di sentire un "vai al diavolo" ma era solo un'impressione. La mia ironia non era facile da comprendersi e Modo era l'unico che se la sghignazzava seduto in fondo e al buio.
"Che farai mai alle donne?", disse lui ridendo di gusto.
"Vai a controllare che non sia caduta dalla barca, almeno non prima che io abbia capito, quanto mi desidera."
"Quella cerca solo una pausa di riflessione tra tutta la matematica che ha in corpo. Quando tornerà in città, si appiccicherà a qualche uomo ombra che non la disturberà mentre faranno sesso, insomma qualcosa di pacifico come una pillola, la metti in bocca, un sorso d'acqua e via."
"Parole vere amico mio. Noi siamo lupi di mare e il sesso non ci fa sembrare porci, al più dei maniaci."
"Corri, non perdere tempo, vai dietro e chiudi tutti in cabina, non ho voglia di farmi il bagno per recuperarli.

La tempesta si placò ed io mi addormentai sul timone come un sasso. Stavo facendo un sogno strano, mi sentivo leggero e volavo sopra una foresta con alberi dal fusto altissimo contento come un bambino. Era parecchio che non allontanavo da me la frustrazione di certi momenti passati con i miei ospiti e quel attimo di abbandono era arrivato come premio a molti attimi di silenzio che avevo ingoiato come pietre. Insomma, galleggiavo sopra un bosco pieno di verde e di luci cullato dall'aria fresca di un'alba irreale, colmato dalle mie innocenti fantasie quando un urto o qualcosa somigliante a un brusco impatto con qualcosa mi risvegliò. Era un coro di grida isteriche amplificato da una sorta d'isterismo delle due donne, che avevo avuto il coraggio di prendere a bordo; sinceramente mi riusciva difficile immaginare Julia che urlava come qualunque compagna della sua specie.
Invece avevano ragione a urlare perché la tempesta non si era placata e, noi, non so com'era successo, stavamo cavalcando la più grande onda, che occhio umano abbia mai avuto la sfortuna di vedere. Modo anche lui mezzo assonnato venne da me correndo per domandarmi con uno sguardo cosa stesse succedendo. Avevo ancora i postumi del mio sogno fantastico e quella leggerezza dell'essere che mi riempiva di fugace soddisfazione. L'arbitro della ragione aveva vinto la contesa col miraggio e una sorta di punta tagliente si conficcò nel mio istinto di sopravvivenza. Non avevo bisogno di guardare fuori perché il mio istinto percepiva l'assurdità della situazione e la sua intera drammaticità. Modo aspettava irrequieto una mia risposta, i suoi occhi non del tutto ben aperti cercavano la mia solita battuta sulle donne e sul malcostume che avevano solitamente d'urlare. Avrei potuto sfidare il più acuto degli indovini perché la mano unta del dio Nettuno mi aveva aperto gli occhi sul cuore e da quel momento tutti battiti avevano moltiplicato il loro ritmo per la paura. Certo di capire l'impossibile e non lieto di raccontarlo alzai semplicemente la mano verso la spalla destra del mio amico invitandolo a girarsi.
"Guarda!", gli dissi indicando la poppa della nave.
Lui rimase sorpreso e muto pur cercando di controllare l'attimo di terrore. Non aveva nemmeno la forza di balbettare una sola parola. Tutto il suo autocontrollo sembrava ridursi a un fragile tremolio che sembrava sincronizzarsi con il rumore crescendo del bestione sotto di noi. Cercai sottovoce di tranquillizzarlo ma mia voce non copriva minimamente il rumore di quel mostro che avevamo sotto i piedi.
L'oceano, il gigante sotto i nostri piedi, era diventato nero come la pece e si era ingoiato il cielo e tutto il resto del mondo. Sembrava che l?inferno fosse sceso per noi come per tutti gli uccelli e gli essere viventi, cercando di portarci sotto, trascinati dalla sua indescrivibile forza e custoditi nel suo pugno come in un nido sicuro che assomigliava più a un palazzo imbottito con la dinamite che alla furia di una grande bocca d'acqua. Il Diavolo aveva varcato l'Ade e salendo aveva trovato le nostre povere anime pronte a fargli da spuntino per la sua ira. Le acque bollivano e il vento agitava quelle forze oscure che si erano lanciate contro di noi.
Il mio cuore iniziò a battere talmente forte che mi sembrava di sentirlo volere uscire dal torace. Quel muscolo mi precedeva perché con la mente ero già all'inferno ad assaggiare le balle di fuoco dei mostri. Mi ero già sentito così molto tempo prima, e avevo pregando Dio di non rivivere più un'esperienza del genere. L'incubo peggiore di qualsiasi marinaio, lo scongiuro del navigatore, la maledizione di tutti gli uomini di mare stava disegnando la sua traccia sui nostri destini se mai fossero ritornati al mondo per parlarne. Tremavo. Tremavo più di Modo e mi vergognavo di questo come di una colpa spregevole. Dentro me stesso, supplicavo, scongiuravo l'anima di capitan Butz di soccorrerci, di allontanarci dalla bocca dell'Inferno che stava ci assaggiava con la punta della sua lingua salata, le nostre più intime paure. Le mie mani sentivano il formicolio dell'adrenalina che scorreva nelle vene.
L'impotenza era come un paletto confitto nel cuore. Ci saremo mai salvati? Il mostro sotto di noi era la stessa Morte che si era organizzata per venirci a prendere.
Poi ci alzammo e la pendenza della prua ci faceva scivolare incapaci di resistere ancorati a mobili, ancora meno saldi di noi.
"Stiamo navigando a culo all'aria e tra poco Modo, dieci trilioni di tonnellate di acqua ci passeranno sopra la testa! gridai, Chiudi quella porta e prega il Dio delle sabbie morte che nessuno si becchi da qui a due ore, la nostra fottuta anima."
"Cazzo è la cosa più sconvolgente che abbia mai visto e se dovessi morire Capitan Hooc dell'Insane Gloria, posso dire che è stato un onore averti avuto come amico."
Mi strinse la mano poi andò a legarsi al mobile di ferro dove tenevamo tutte le carte nautiche. Anche lui capiva che c'era rimasto troppo poco tempo per organizzare qualsiasi cosa. Se solo non ci fossimo addormentati forse, l'avremmo vista quella cosa orribile in lontananza, appena in tempo per girare la barca. Sebbene fossimo di religioni diverse entrambi, ci facemmo il segno della croce poi a occhi chiusi aspettammo l'inevitabile.
"Reggiti forte, quelli in cabina dovranno arrangiarsi, se ce la facciamo oggi, giuro che darò via tutti i soldi ai poveri, forse questo viaggio non era da farsi, l'avevo detto io. Comincia la festa!"
Rimisi su il disco dei Temptation che con il loro ritmo sembravano capaci di potere sfottere l'onda assassina.
Chiusi gli occhi e dopo un sorriso alla tomba d'acqua spalancata andai ad afferrare la sbarra di ferro sotto il timone.
L'onda a un certo punto si piegò su se stessa e il rumore dell'acqua che ci ingoiava, sembrava quello della bocca dell'Inferno che si stava aprendo a noi poveri diavoli.
Credo di non aver voluto pensare a nulla ma mi apparvero gli occhi in lacrime di mia madre, mia madre anziana e questo e non il mare, mi fece davvero paura.
Il suo tanto amore, il suo troppo amore, mi angosciava anche adesso che ero diventato adulto. Meno male, pensai, era meglio essere sotto che aspettare che l'onda ci investisse, era molto meglio combattere con le ultime forze per emergere dalle profondità oceaniche che vedersi sopraffare dall'impotenza e dallo spavento.
Tra i bracci della morte si smette di aver paura. Tra i bracci della morte, l'animo torna alla pace e la ragione prende il sopravvento. Avevo avuto la mia felicità e in qualche modo avevo superato prove nella vita da altri considerate terribili. Ero sopravvissuto alla morte forse per troppe volte e non avevo mai disprezzato il mare, nemmeno quando mi aveva messo alla prova come un nemico. Ero un uomo completo che conosceva solo il miracolo dell'alba e del tramonto e un viaggiatore innamorato di ogni piccola stella nascosta dal firmamento di grandi pianeti. La congiura delle parole contro il tempo era finita ed io avrei trovato riposo assieme alla mia barca sui fondali, questo era l'onore con cui qualsiasi marinaio avrebbe cercato di essere sepolto. Mentre il mostro ci stringeva facendoci girare come poveri animali su un fragile spiedo, sentivo qualcosa dentro che cercava aria come se temesse di soffocare. Era ancora la paura, la bestia peggiore persino del mare in rivolta che con i suoi ramponi prendeva il cuore e tutto il resto di me sfuggito all'autocontrollo. Un'immagine sfuocata mi ritornò in mente ed era una baia nel ghiaccio con pareti rosse altissime e quel rosso non era che il sangue congelato di corpi gettati come manichini in pozzi profondi.
Eravamo sottosopra e la barella della salvezza divenne un bagliore, una luce che s'intravedeva dalla cabina e verso dove avremmo dovuto nuotare, ma nell'apnea arrivò una seconda agghiacciante ondata, anche lei apocalittica che ci riportò a galla.
Un minuto dopo, la barca galleggiava in superficie sebbene ferita e con qualche ammaccatura qua e là. Il mare ci dondolava con una forza sovraumana ma era nulla confronto ai due mostri che ci erano passati sopra. Forse era il caso di dire una preghiera o forse bisognava tenersi saldi a qualcosa prima di avere altre sorprese del genere. Ma il mare sembrava aver fermato il gigante che spingeva le acque fino al cielo.
Lasciai che Modo sbrigasse tutta l'ispezione mentre io andavo a controllare i passeggeri.
Appena arrivato sotto, trovai la cabina aperta. Julia ed Eva erano in piedi zuppe e tremolanti che sistemavano la loro apparecchiatura e qualche misero foglio, bagnato fradicio.
Gli occhi di Julia parevano intossicati dall'incubo che non aveva mai vissuto sino allora. Klupp si teneva stretto alla gamba del tavolo balbettava parole in una lingua che non sembrava irlandese.
"State tutti bene? Dov'è Bert?"
Eva e Julia si guardarono mentre Klupp, zoppicante dalla paura, mollò la gamba del tavolo per avvicinarsi alla porta.
Nei suoi pensieri Eva, si trovava a otto mila miglia di distanza, concentrata sulla vita di sua sorella che stava per dare in adozione il bambino non ancora nato. Per tutta la sua adolescenza era stata segnata dagli eventi che Doris sapeva fare precipitare vertiginosamente a causa della droga.
Il suo nipotino era già malato di AIDS e Doris aveva smesso di prostituirsi per la cocaina da meno di due mesi, due mesi prima del parto.
A Eva, ogni volta che guardava la sorella, veniva da vomitare, si domandava con quale coscienza quell'essere che aveva il suo stesso sangue, stessi genitori e stessa educazione, scopava per bombardare il nascituro di tutta la merda che uomini malati nel corpo e nella mente sparavano da un cazzo mai lavato.
Il piccolo avrebbe fatto la fine che si meritava Doris, invece Doris era immune, immune all'obiettività, ai sani principi e persino all'affetto che di solito la madre riversa su suo figlio. Aveva scelto di partire anzi di scappare prima di vedere la troia regalare l'unico bene per cui sarebbe meritato combattere.
"E' una scelta sua, Eva, noi non possiamo farci nulla."
"Adottatelo voi, adottiamolo insieme, sono un professore universitario, questa cosa conterà pure per i servizi sociali. Non abbandoniamolo, ti prego mamma.", ma sua madre perdonava tutto alla sua Doris.
La povera piccola Doris che era stata violentata a quindici anni dallo zio Arthur.
Ma la verità era che lei gli aveva preso il cazzo in bocca la sera che zia Jane era uscita con i suoi cugini e quando tornò a casa, li vide entrambi sul divano, dove lei lo cavalcava agitandosi come una furia per il piacere.
Quell'evento distrusse due famiglie, le vite di tutti quelli che videro la scena e dimostrò la predisposizione di Doris per certe cose.
Zio Arthur, si fece più di due anni di galera perché era stato denunciato da Eva per molestie, e non dai genitori di lei solo perché Arthur era il fratello di suo padre e questo fatto risultava molto indigesto.
Da allora Doris aveva trovato la scusa per non andare più a scuola e per trovare la sua strada nella vita ma lei, la strada la conosceva benissimo.
Si era fatta tutti i buttafuori delle discoteche più conosciute per poterci entrare gratis e quando iniziò a sniffare, dovette pagare in natura anche gli spacciatori.
Quando ammise di essere incinta, tutti noi la pregammo di abortire, prima di fare del male al nascituro ma lei lo volle con tutte le forze perché era il modo migliore per farci soffrire, ci disse quando le negammo i soldi per la dose.
Oramai l'evento era prossimo ed Eva non aveva modo di cambiare gli eventi, la cosa era che non poteva cancellare la sua famiglia ne farla sparire dalla faccia della terra.
Suo padre era quello che si poteva definire, un uomo senza palle.
Giurò a Doris e a se stessa che non si sarebbero più riviste perché certi mali non si possono cancellare e certi parenti non possono esistere, non quando permettono un sacrificio del genere ad un neonato.
Il male di Eva l'avrebbe perseguitata per tutta la vita come un cancro senza cura. I suoi occhi e i suoi modi erano l'unica cosa femminile che non aveva eliminato dal carattere.
Gli uomini non avrebbero condiviso quel dolore nascosto e nessuna felicità poteva valere sopra la vita di un bambino venduto per la droga.
Le sue lacrime serali furono sostituite da un odio forte e radicato verso tutta la famiglia. Quell'omicidio era una macchia che alcuno di loro non potranno mai levarsi di dosso.
Eva aveva paura solo di quella personalità nascosta che rendeva le persone irragionevoli e bestiali. Questo era il motivo per il quale aveva studiato con tanto sacrificio, per evitare che la sua vita venisse a contatto con certi mali umani che sarebbe stato difficile cancellare.
Quando Eva fissava qualcosa, era come un discorso lasciato aperto, dove non ci sarebbero stati punti o punti di domanda perché Eva era diventata brava a sfuggire al dolore e in qualche modo però il dolore continuava a perseguitarla.
Aiutai Julia a sedersi mentre Eva riordinava la cabina come se avesse dimenticato l'onda che le aveva coperto la testa.
Julia mi ringraziò sorridendo e appoggiata alla mia mano, chiese il favore a Klupp di preparare un buon caffè per tutti.
La mia domanda riaprì le loro menti.
"Mi dite dov'è Bert?"
Rispose Julia che cercava di tenersi le braccia intorno alle spalle bagnate.
"Era qui con noi quando ci siamo capovolti, ma la seconda volta che l'onda ci ha fatti girare, non c'era più."
Lasciai la stanza per correre verso la stiva. Speravo che non fosse caduto ne risucchiato durante il giro dell'ultima onda.
Ero arrivato sotto coperta quando Bert spuntò dal nulla e mi domandai cosa cercava nella cuccetta inferiore o nella stiva, dopo un evento del genere.
Bert mi guardò e sorrise poi allungò il passo e corse in direzione della cabina.
So bene che certe cose non si devono fare ma origliare in alcuni casi può salvare la vita di molte persone o semplicemente la mia.
"Tutto a posto di sotto.", stava affermando col solito accento strano.
"Ti ha visto qualcuno?", gli domandò Julia.
"No, il Comandante mi ha fermato sulla porta ma non l'ho nemmeno salutato per arrivare qua. Gli strumenti?"
Stavolta fu Eva a rispondere.
"Tutto perso tranne un portatile che era nella valigia stagna e il cellulare di Julia."
"Hai guardato il carico due come sta?"
Appena pronunciò la parola "sta", mi si arricciò la pelle. Solo una persona sta, qualunque cosa che non sia rotta, si dice che sono a posto e non che sta bene.
Dopo quella paurosa congettura decisi che era il momento di un caffè e quando arrivai in camera timone trovai Modo con una bella tazza fumante in mano.
"Questo è il miglior asciugamano del mondo, almeno quando tutti gli altri si sono stati inzuppati da milioni di tonnellate d'acqua."
"Parole sante, ma c'è qualcosa che trasportano e che non è semplice bagaglio."
"Che cosa intendi?"
"Credo che nascondano un animale o qualcosa nelle dannate casse."
Il mistero aveva perso tutto il suo fascino perché la paura di perdere la nave a causa di chissà quale esperimento clandestino e pericoloso, lasciva la spina della sua impronta nella carne fragile dei pensieri.
 

 

                                                                                                                                 Gli ideali sono quelle bandiere dello spirito
                                                                                                                                 che sventolano libere
                                                                                                                                 anche quando i forti venti dei tempi
                                                                                                                                 dell'esistenza, soffiano contro.

 

3

Le leggi dei santi, le leggi degli uomini e quelle dei diavoli.

Julia ricordava benissimo i suoi primi sette anni di vita. Tutta la sua esistenza era stata basata sulla disciplina e lo studio non era che la base per quel vertice di successo a cui sarebbe arrivata. Le inculcarono da piccola il fatto che questo era il suo destino, togliere pezzi d'incertezza dal puzzle dell'umanità per aggiungervi degli altri, quelli giusti, quelli che avrebbero caratterizzato il cambiamento.
Julia non aveva mai posto domande sul rituale così stretto di regole e corollari, il rito di addomesticamento, era questo il nome reale di quella vita trascorsa tra estranei benevolenti che le avevano aperto solo le porte della conoscenza tenendo sempre chiuse quelle dell'affetto.
Amare era un comportamento talmente illogico che non figurava nemmeno nelle spiegazioni dei libri di scuola. Solo il sesso e il corteggiamento trovavano nei precedenti animali qualche semplicistica teoria ma l'amore, quello non lo insegnava nessuno perché forse non esistevano parole adatte a spiegare gli irragionevoli moti del cuore.
Dopo i sedici anni l'influenza della scienza sui bisogni del corpo e dell'anima perdeva campo e fu così che i suoi tutori la portarono a fare apprendistato in un ospedale civile in Africa dove i corpi delle vittime, spesso bambini, erano usati per lo studio delle medicine di nuova generazione.
Lei stessa divenne una drogata del lavoro e prode fedele alla causa. In pochi anni era riuscita a prendere il controllo di tutto lo studio modificato della genetica e usare quella massa di cavie per la sua ricerca.
Più di mille bambini aveva drogato, sezionato e ammalato con ogni genere di malattia infettiva.
Quando rimase incinta, il protocollo di ricerca era già arrivato a un buon punto e l'embrione Bert si era stabilizzato nell'utero sintetico. Aveva partorito Bert a meno di un mese di gravidanza e il team era riuscito a sigillare l'embrione in un utero di cellule aliene che avevano randomizzato prima di cancellare gli errori di copertura umana dovuti ai calcoli scientifici marginali.
Julia non conosceva altra causa che la meta per cui aveva dovuto condurre una dura vita di studi.
Quando guardava in faccia un normale essere umano, lei lo osservava sempre dal punto di vista clinico, un caso che potrebbe studiare o meglio analizzare.
Il comportamento umano era interessante se vagliato dal punto di vista delle sue reazioni involontarie quelle che si trasferivano nel DNA e che facevano parte di quell'alfabeto con cui si voleva la sopravvivenza della specie.
Lei era il creatore e la mano della provvidenza che dettava con maestria e cura le nuove leggi genetiche per i futuri esseri umani.
Julia aveva catalogato tutti gli esseri umani che facevano volontariamente o involontariamente parte della sua vita ma con Eva, Klupp e Bert aveva istaurato qualcosa in più del solito legame medico paziente, una sudditanza cieca ma involontaria che non faceva parte del rituale logico del comportamento umano ma della trasmissione nervosa subconscia dove il più debole cede l'intera guida del suo essere alla mente più forte.
L'unico fuori dalle statistiche era Hooc Timothy che sembrava uno di quei personaggi con cui non perdere nemmeno un minuto della propria vita ma che lasciava perplessi quando trovava vie di scampo semplici e geniali, soluzioni a cui alcun genio sarebbe mai arrivato, nemmeno lei.
"Tu sei preziosa alla nostra causa perché unica superstite e unico punto di riferimento per una fede che durante i decenni è rimasta incrollabile."
"Se sono così importante perché volete che faccia cose che a volte disdegno?"
"Perché un leader deve essere capace di fare del bene anche attraverso il male e coloro ai quali, tu hai tolto la vita, possono solo ritenersi fortunati di essere stati usati per una causa giusta. I martiri hanno aperto per tutti noi, le strade della fede."
"Morire padre è una causa giusta?"
"Cara Julia, morire è solo un mezzo che traghetta lo spirito da una parte all'altra dell'universo, non bisognerebbe avere paura di morire e mai se la meta è la più alta in assoluto."
"Ma in definitiva, qual è la nostra meta?"
"Perpetrare il sogno di un grande uomo e renderlo unico e assoluto."
"A chi ti riferisci?"
"Al tuo vero padre. Tu sei quello che noi chiamiamo Messaggero e il Messaggero è destinato a mostrarci la via all'essere più illuminati di adesso. Tu sei il nostro traghetto e presto tu e tuo figlio Bert, ci darete quello che per decenni abbiamo atteso: il nostro idolo, la nostra causa, la nostra vendetta."
"E se mi succedesse qualcosa?"
"Sei troppo preziosa perché qualcuno riesca a parlarti o a sfiorarti, tu decidi e noi eseguiamo, tu ci guidi e noi ti seguiamo, tu puoi tutto perché hai un esercito nell'ombra che ti obbedisce ciecamente."
La normalità non era mai stata destino di Julia, e qualunque anima avesse avuto la donna dentro quella donna, fuori l'aveva distrutta.
Chi le aveva obiettato qualunque cosa durante il corso degli studi, sarebbe sparito o forse utilizzato come cavia da studiosi ancora più freddi di Julia stessa.
L'amore non era un mezzo o il fine, l'amore per la causa era tutto e il batticuore solo una perdita bianca che il sesso buttava fuori con grande disgusto della ragazza.
L'onnipotenza aveva sposato talmente bene la castità che il rigido protocollo educativo divenne anche principio di vita, principio di cui il padre adottivo sarebbe stato fiero.
Scorreva un grande sangue nelle vene di Julia Blake e nessuno avrebbe permesso che questo fosse versato senza aver tentato l'Impresa.
Erano passati parecchi decenni prima che il filo della matassa fosse sbroglio dai nodi. Dopo anni di ricerca e di lavoro aveva trovato il posto, dove tutte le sue domande avrebbero trovato risposta e dove i suoi tutori avrebbero rigenerato la loro encomiabile fede.
L'importanza della discrezione avrebbe allontanato, gli sciacalli, i servizi segreti e tutte le faine desiderose di scoop pubblicitario.
L'Insane Gloria non era solo il mezzo per traghettare il Messaggero ma il più sicuro travestimento di quattro innocenti scienziati a caccia di gloria.

Le ultime raffiche di vento avevano spazzato via le nuvole nere e la rabbia dell'oceano. La piccola Gloria aveva superato il male con qualche graffio e qualche cucitura. Il suo motore l'avevamo rianimato ma non era più lo stesso e qualche pezzo aveva urgente bisogno di ricambio. Quando la barca navigava senza singhiozzi per me era come vedere un bambino tornare a sorridere dopo una malattia.
Le ultime tre ore, Julia le aveva passate in coperta a guardare il mare cosa talmente semplice per me o per Modo ma sicuramente anomala per un tipo come lei.
Ogni tanto ci guardava come avesse in mano un bisturi e stesse scegliendo quale pezzo del nostro corpo amputare, altre volte sorrideva come se sapesse qualcosa a cui noi poveri e fragili idioti non saremo mai potuti arrivare.
Eppure nonostante la sua ossessiva e continua muta, quella donna mi piaceva perché nascondeva un lato debole di cui aveva sempre barricato le forze.
Non m'interessava scoprirlo ma credo che lei stessa lo temesse perché in qualche modo avrebbe messo in discussione quello che era o sarebbe diventata.
Bert passava il tempo a fumare e a fare calcoli come un automa cui non avevano insegnato altro che studiare.
In quella settimana di navigazione non avevo mai visto quei quattro ridere o giocare a carte, raccontarsi scemenze o semplicemente cenare denigrando il cibo che sicuramente non era della qualità cui erano sempre stati abituati.
Modo cercava di ispezionare le casse ma due di loro erano state svuotate e usate come paravento fisso per le altre, paravento fisso significava che avevano smembrato pezzi dei loro attrezzi per poi saldarli alle casse come dei spuntoni contro cui non si poteva avanzare. Quella barricata non mi piaceva ma era vero anche che non avevano minimamente toccato la barca per farlo, semplicemente avevano rafforzato le loro difese.
In una di queste ispezioni Modo sentì una specie di sussurro, qualcosa che conduceva a un respiro o altro ma sarebbe stato pericoloso farsi trovare spiando le cose altrui così una volta salito, mi raccontò la sua esperienza.
"E' meglio non rischiare, fra tre giorni arriviamo al posto dove devono ritirare i documenti o quant'altro e noi useremmo quel tempo, per ispezionare il carico. Se troviamo qualcosa d'irragionevole, andiamo via senza ripensamenti."
Trascorsero altri due giorni, dove la calma tra noi aveva delle vette di noia quasi assurde.
I quattro sembravano odiare la luce del sole e uscivano sul ponte solo dopo il tramonto e solo per osservare silenziosamente il mare.
Eva aveva smesso di farmi visita e la sua collezione di tutine aderenti mi mancava così come mi mancavano le idee limpide. Il fatto che avessi trascurato la forza della tempesta, significava che avevo impegnato la mente in cose meno importanti come il bagaglio che trasportavano.
Il mio essere temerario si scontrava con l'assurdità della situazione che stavo affrontando. Avrei dovuto ragionare sulle conseguenze e persino sulla natura di quel trasporto ma una sorta di curiosità o meglio, di forza sconosciuta, mi aveva obbligato ad accettare senza porre condizioni, se non le minime regole di sicurezza.
Non volevo credere che degli esseri umani potevano vantare capacità straordinarie come la lettura del pensiero o altre diavolerie, quello che so che quello non era stato il mio solito comportamento prima di una missione in mare. Di solito studiavo molto bene i venti e il percorso, non lasciavo interferire i passeggeri con il lavoro e meglio ancora non accettavo cose a bordo che non fossero prima ispezionate da me.
Mi venne in mente il viso di mia madre, quel ricordo triste e sfuggente che avevo avuto durante l'apnea quando la barca rovesciata aspettava solo di andare a fondo.
I suoi occhi sembravano vuoti forse come lo era stata la sua vita dopo avermi perso.
Mi sentivo in qualche modo colpevole della disgrazia dei miei genitori e forse non sarei stato in grado di salvarli se avessi vissuto con loro ma la mia coscienza non avrebbe avuto ragione ad ascoltare il pianto di certi fantasmi.
La Gloria aspettava come tutte le bambine ferite che il dottore la medicasse. Il motore si bloccava spesso e la vela non risolveva tutti i nostri problemi.
Tra le disgrazie che potevano capitarci la peggiore, era perdere il sonar e la radio, io fortunatamente avevo perso entrambi ed ero costretto a servirmi dei passeggeri che avevano piantato il loro computer e la loro scienza nel mio Olimpo del Navigatore.

Non dormivo più. Penavo come se mi avessero amputato braccia e gambe. Mi sentivo schiavo nel mio regno e con poche probabilità di vincere contro il nemico. La mia barca era governata da estranei e l'unico compagno di dolori era il fido Modo.
Modo, era il classico uomo molto intelligente che fingeva l'apatia intellettuale, solo per evitare scontri idioti con avversari che vantavano più preparazione di lui. Lui non aveva carisma perché era il carisma personificato.
Se una donna l'avesse scorto da lontano avrebbe pensato, che uomo brutto, ma una volta conosciuto il suo carattere si diventava dipendenti come di una droga, del suo modo di essere positivo e allegro.
Il professore, era così, che lo chiamavo quando avevo voglia di farlo un po' arrabbiare, nonostante fosse più giovane di me, il suo essere emanava una vecchiaia spirituale che io avrei paragonato a un nonno saggio, ma nonno.
Ascoltare le sue parole era come riempire un pozzo secco d'acqua fresca. Certe cose si sa, che s'imparano dai libri ma altre, se si è fortunati come me, da insegnanti che ti diventano amici ed io avevo trovato l'una e l'altra cosa. Il professore quando non era stanco di ricordare la sua vita, per l'altro, poco avventurosa, si metteva sotto a insegnarmi cose che mai avrei potuto imparare. Sapevo più cose io dei romani e degli ittiti dei ragazzi del liceo e sapevo calcolare i logaritmi con la stessa velocità di un secchione che sapeva qual'era la sua meta. Io invece, non cercavo mete ma solo il viaggio. Il viaggio giusto, quello che ti posta a vedere una meraviglia e che vorresti portarti per sempre dentro.
Ci raccontavamo vecchie leggende di mostri e di marinai coraggiosi e i nostri pochi ma veri momenti di gloria; eravamo gli ultimi di una razza in estinzione.
Il caffè aveva sempre lo stesso gusto di rancido da quando eravamo partiti. Stavo sulle spine come se una sorta di maledizione ci avesse colpito ed io ero l'unico incapace a leggere tra le righe.
Il cielo terso raccontava storie che noi impotenti inferiori non avremmo mai potuto comprendere, storie di ali temerarie capaci si sfuggire all'ira del mare e dei venti, di anime che fluttuavano sopra le nostre teste, capaci di percorrere migliaia di miglia senza l'aiuto della bussola o del radar.
Il mistero della natura restava una certezza ed io ero solito a usarla come ancora di salvataggio per quando le cose diventavano difficili.
Julia parlava sempre meno ma il vero cambiamento lo aveva subito Klupp che invece passava con noi parecchio tempo, chiacchierando del più e del meno; certe cose succedevano come se qualcuno leggesse nel pensiero, una sorta di lampadina immaginaria come quella che si accese, illuminando gli occhi di Julia.
Questo incubo sarebbe peggiorato se non si fossero presentati degli eventi inaspettati e incontrollabili.
Avevamo avvistato la Patagonia ma il mare non regalava un umore bello e condivisibile.
Il nervosismo delle acque in egual misura arrivò a riflettersi sulle nostre personalità.
Eva e Bert correvano dalla stiva alla cabina e dalla cabina alla stiva come se dovessero terminare il progetto della loro vita prima della fine del mondo.
Cercai di chiedere a Modo se ne sapeva qualcosa e mi riferì del cambiamento improvviso dei satelliti, cioè del fatto che stavamo navigando alla cieca da due giorni.
Il fatto che fossi molto incazzato contava pochissimo, poco rispetto al fatto che quella gente non si prendeva nemmeno la briga di avvertirmi di quello che stava succedendo.

Ci vollero meno di otto secondi per arrivare da loro ma trovai la porta chiusa e per obbligo più che per piacere dovetti bussare.
"Allora? Butto giù la porta in meno di tre secondi. Uno, du … e?"
Non avevo terminato che Klupp mi mostrò la sua faccia sorridente.
"Che fai mi tieni all'uscio, attento ancora due secondi e vi getto in mare con dieci litri d'acqua e due razzi. Mi credi?"
Il suo volto divenne serio e spalancata la porta si rivolse ai suoi amici.
"E' qui."
Adesso l'incazzatura era arrivata al culmine.
"Sì, sono qui e questa è la mia barca. Mi dite che cazzo c'è la sotto o vi butto in mare casse e bigodini? Mezzo minuto per parlare, oggi il mio ego ha dato forfait di eleganza. Eva mostrami quelle carte."
Le carte sul loro tavolo assomigliavano moltissimo alle mie mappe e alla via che conoscevo tra i ghiacci perenni.
"Chi cazzo vi ha dato il permesso di toccare le mie cose?"
Julia si permise di dare la risposta al posto degli altri sapendo che era l'unica che avrei ascoltato in quel momento.
"Io le ho preso, mi scuso con lei per il furto e per la bugia, mi servivano per ritrovare la strada e perché non volevamo dirle che avevamo un problema."
"Chissà perché non trovo nessun segno di pentimento nella sua voce?"
"Io non conosco verità indolore, lei si? Davvero è desideroso di capire e scoprire i nostri progetti? Forse lei potrebbe essere il primo e unico essere umano in gradi di decifrare la nostra insana assuefazione da lavoro. Poi riguardo alle casse, perché non me l'hai detto prima Tim, per me puoi scendere adesso e aprire tutto, questo ti ridarebbe fiducia?"
Quella donna era sfuggente e disorientante in egual modo. Il suo fare non era semplicemente diplomatico ma autoritario, non so come né perché si finiva sempre con l'accondiscendere alle sue parole. Lei girava la cosa in modo da aver ragione e farti sentire piccolo, tanto piccolo da maneggiarti i pensieri e renderti ridicolo anche a loro.
Lo so che non se l'aspettava ma tornai di sopra per fare il giro della barca e scendere sottocoperta. Lo feci velocemente per non dare loro il modo di comunicare.
Modo che mi vide in quello stato mi seguì con l'arpione in mano mentre io nell'altra reggevo un piede di porco.
Non chiedetemi cosa ci faceva un piede di porco sulla mia barca perché sarebbe una cosa fatta per umiliarmi ancora di più.
Una volta restai bloccato nel cesso e sottomano non avevo nemmeno un cacciavite, ero leggermente ubriaco e non riuscivo a buttare giù la porta, quel posto sembrava asfissiante.
Il mattino dopo giurai a Gloria che non sarei più andato in bagno se non avessi visto il piede di porco vicino al cesso.
La cosa forte, era che mi ero chiuso nell'armadio e solo dodici ore dopo quando la testa sembrava più leggera, capì che il bagno non si era ristretto ma la mia mente si era fermata alla prima idea che l'aveva attraversata. Il piede di porco era necessario come un simbolo alla mia idiozia e dopo ogni birra, quando mi chiudo nel mio cesso, capisco quando diventa il momento di smettere.
Scesi giù mentre si sentivano i colpi dei piedi di tutti e quattro che correvano nella mia direzione.
"Modo! Fermali!"
Modo si mise in posizione e tutto divenne una lotta contro il tempo.
Mi chiusi la porta dietro e poi iniziai a spaccare la barricata che vidi aperta da una parte.
Andai verso il tunnel che Bert e Eva avevano creato e arrivai in fondo alla barca dove una cassa un po' più piccola delle altre era rovesciata e col coperchio aperto.
Un sibilo mi ronzava nelle orecchie.
"Chi sei?"
Da fuori, le grida di Eva e di Bert coprivano lo strano rumore che avvertivo là dentro.
Successe qualcosa perché mi ricordo solo di essere caduto e di aver visto un'ombra passarmi davanti agli occhi.
"Se le dirò la verità lei la smetterà di esserci nemico?"
La voce di Julia arrivava in un posto lontano dove il mio essere non soffriva e non sentiva dolore.
"Vorrei che tu la smettessi di giocare con la mia testa."
Fu la prima volta che vidi ridere Julia, la prima in cui i suoi occhi avevano perso la furbizia e la serietà.
"Va bene, va bene. Adesso Klupp ti farà una dose di antibiotico, non sei allergico ai medicinali vero?"
Era una buona madre, almeno in quel momento Julia era una normale donna di mezz'età che esercitava un certo fascino sul mio intelletto laconico e bizzarro.
Non avevo ancora aperto gli occhi ma capivo bene cosa stava succedendo.
"Adesso voglio sapere cose c'è là sotto."
"E' il Messaggero."
Eva sorrideva come se stesse parlando di una brava bambina cui fare le coccole.
"Grazie per la risposta."
"Eva intendeva dire che Il Messaggero, lui è la nostra unica carta per aprire la base."
"Julia, se tu aprissi gli occhi scoprirei che mi stanno mentendo, quindi sciogliti un po' per favore."
"Capitan Hooc, io non sono capace di salvataggi miracolosi ma posso dirle che ho la Chiave di una scoperta scientifica."
"Adesso è vero ciò che dici."
"Se smettessi di giocare con la sua testa, non potrei più farmi conoscere, vede, certe cose le dico meglio col silenzio che con le parole. Ma c'è un problema, tutte queste avarie e il sovraccarico del sistema, hanno mandato in tilt la mia comunicazione con i satelliti."
"In teoria è adesso che dovrei cominciare a fare il mio lavoro.", dissi a tutti loro mentre mi alzavo dal divano pieno di mappe.
"Adesso devo capire, dove dovete fermarvi? A me servono un paio di giorni per smontare il motore e per aggiustare le falle."
La terra era selvatica e priva dell'affetto degli alberi. Certo che chi aveva azzardato la sopravvivenza in quel posto, aveva anche dimenticato di ridere. La scialuppa partì con loro quattro e con la mia promessa che non sarei andato nella stiva. Julia giurò che la cosa la sotto non era un mostro ma un animaletto necessario alla causa. Sapevo che fidarsi di Julia sarebbe stato come fidarsi di uno spacciatore ma non avevo il tempo di indagare, prima di qualsiasi cosa veniva la salute di Insane Gloria.
Quando restammo da soli, io e Modo andammo a frugare nella cabina. Non avevano lasciato molte cose in giro e persino i fogli dove Bert, Eva e Julia scrivevano continuamente erano scomparsi.
Una cosa strana era il piccolo disegno a matita che uno di loro aveva lasciato sul tavolo e raffigurava un'elica, o meglio una cosa che non poteva uscire dal cervello illuminato di uno scienziato. La traccia era stata incisa con la punta sino in profondità e con mio orrore quando la osservai con attenzione, scoprì che era una svastica.
Tutta la storia sembrava l'impronta di spionaggio di un qualsiasi film hollywoodiano corrotto dalla troppa fantasia.
Speravo e pregavo che quei quattro sciocchi non mi procurassero altri guai. La mia barca aveva sofferto abbastanza e non avrebbe mai più potuto superare lo schianto con un'altra onda anomala.
Le giornate non erano delle migliori. Pioveva e quando smetteva di piovere il freddo, si attaccava alla pelle come se assorbisse il calore dell'essere sotto la camicia. Io e Modo avevamo messo mezza barca sul ponte. Il motore, pezzi di motore, pezzi di ferro da saldare sulla bocca della chiglia appena sotto la linea di galleggiamento che avrebbero fatto da spacca ghiaccio. Le nostre mani non bastavano per la quantità di lavoro e come se non bastasse dal deposito, arrivavano dei rumori come squittii talmente forti da accapponare la pelle.
I vetri della plancia li sostituimmo con teli di plastica ripiegati e una sottile lastra di plexiglass che avevo usato per dividere il pesce nel congelatore.
Non erano riparazione che potevano reggere le tempeste o il freddo artico, ma speravo con tutto il cuore di tornare con meno delle ammaccature che stavo sistemando.
Era l'alba del terzo giorno quando i quattro tornarono dalla loro strana gita.
Modo era confuso ed io molto perplesso di questo anticipato ritorno.
"Presto! Presto! Partiamo!", gridavano Bert ed Eva, apparentemente senza alcun motivo, ma il motivo c'era e sarebbe sbucato da lì a due minuti sulla riva desolata della costa. Una ventina d'individui con i mitra in mano, sparavano raffiche a mio avviso contro i fantasmi, perché la barca con Julia, Klupp ed Eva, era già rientrata.
Quell'inutile scia di fuoco mi faceva in qualche modo irritare, una cosa era superare la tempesta, un'altra la sconosciuta guerriglia della Terra del Fuoco.
Salirono tutti e quattro aiutati da Modo e appena arrivati in salvo li vidi fermarsi a osservare i loro aguzzini.
"Che fate, voi siete pazzi? Toglietevi da lì prima che comincino con le bombe! Modoooo! Modooo dove sei? Andiamo viaa!"
"Nooo. No! Si fermi!", continuavo a sentire la voce di Julia che supplicava che restassimo sotto il tiro di quei pazzi.
"Cosa avete combinato? Volete farci affondare?"
"Guardi, là a ore undici! La barca!", mi pregò Eva con gli occhi spaventati come quelli di un canarino che aveva appena ricevuto la visita del gatto.
Io vidi qualcosa, una cosa che sinceramente avrei più che volentieri evitato ma era lì, una seconda barca, con due a bordo che sparavano a loro volta agli avversari.
"No, altri a bordo, proprio no. Mi sembrava di essere stato chiaro. Ma dove avete la zucca, nel forno microonde? Qui si mette male cazzo e cosa fate, mi portate a bordo gente armata? Modo spara verso il largo e non ti fermare finché non te lo dico io."
"No la prego."
E sentì il braccio di Julia sul mio stringere talmente forte da immaginare che lei fosse in precedenza alla donna che conoscevo, un uomo.
"Lui è mio padre! E' mio padre, Timothy capisci?"
Fermammo i motori giusto per il tempo di caricare il vecchio e l'altra maschera d'uomo che sembrava uscito da un ingranaggio in movimento, tanto era deforme.
"Ci potrebbero seguire?"
Domandai a Klupp che aveva mantenuto per tutto il tempo, il sangue freddo.
"Potrebbero, mi disse, ma non lo faranno."
"Perché?"
"Perché noi siamo più forti."
"Come più forti, qui non abbiamo armi e se ci beccassero? Mi dite che cosa state combinando?"
"Loro hanno i fucili e noi abbiamo la bomba."
"Chi? Il vecchio scorreggione?"
Da dietro le spalle arrivò la voce appena percettibile di uno che sembrava aver vinto da poco la morte.
"Il vecchio scorreggione sa maneggiare tutti i satelliti del pianeta e qualche testata nucleare di governi di cui lei non ha mai sentito l'esistenza. Sono solo bambini arrabbiati ma una volta andati via, stia tranquillo, che non ci seguiranno, non si insegue il Diavolo a meno che non si voglia andare all'Inferno."
Mi sentivo per l'ennesima volta in imbarazzo e quando mi girai, cosa che non potevo evitare di fare, vidi la faccia di un omino alto cinquanta centimetri appena sopra il metro ma i suoi occhi erano spade di cui non avrei mai voluto provarne la lama.
"Capitano Hooc le presento Her Professor Heinz Nutzel."
Julia non assomigliava per niente all'ometto di cui stringevo la mano, l'altezza di lei a confronto, era disorientante ma forse aveva preso tutto dalla madre, pensai come al solito erroneamente.
"Mi scuso per la figuraccia ma non credevo che Isla Stewart avesse un esercito tutto suo."
"Effettivamente queste zone della Patagonia sono disabitate ma noi abbiamo scelto questo posto perché ricco di minerali che le altre compagnie non hanno scoperto e qui nessuno ti disturba se fai esperimenti più o meno cristiani, vero Julia?"
Nonostante l'aspetto innocente della cosa quelle persone mi facevano sempre più una cattiva impressione, forse la loro intelligenza era usata per cose che non sembravano, destinate ai comuni mortali e nemmeno ai deboli o agli indifesi, la loro mente era un'arma che usavano per scoperte deleterie a quelli che come me campavano di duro lavoro.
Eva era l'unica a non sorridere della comitiva che si era ritrovata sana e salva sulla nave. L'uomo deforme non fu presentato, tanto che pensai fosse escluso dalla festa, ma non era così, anzi, forse era proprio lui il personaggio principale tra tutti i presenti.
Nonostante la mia simpatia per lei venisse a dosi e sempre secondo la smaschera che indossava, questa volta mi sentivo vicino al suo stato d'animo.
Bert sorreggeva la mano dell'omino deforme che nessuno mi presentava mentre Klupp restava sotto l'ombra di Filler che era diventato a mia insaputa, il capo missione.
"Ma non doveva salire più nessuno sulla barca?", chiese Modo.
"In teoria era questo l'accordo."
"E allora?"
"Che vuoi fare, vuoi abbandonarli in questo posto?"
"Sembra una cosa studiata apposta."
"Credo tu abbia ragione ma la miglior difesa è la porta aperta alla fratellanza e un occhio aperto dietro la schiena."
"Io non mi fiderei di chi si fa sparare al primo appuntamento."
"Io credo che siano stati loro a progettare questa sorta di fine del mondo, in un mondo che è già desolato. Troppo fuoco per una brace senza arrosto, ne convieni?"
"Capitan Hooc sei un genio."
"No Modo, sono solo un uomo che cerca di restare vivo il più a lungo possibile."

Le nuvole avevano occupato il posto del poco sole che ci avevano consentito la sosta nel canale, nubi nere e nebbia che si appiccicava alle cose come se fosse una vecchia coperta che aveva l'odore di vecchio.
I venti iniziarono a soffiare verso ovest e la navigazione sarebbe stata difficoltosa non per i cinque gradi sottozero che per me era dolce primavera confronto a uno tsunami, ma per i meno quarantuno che ci aspettavano dopo tremila miglia di digiuno di sole e aria tiepida.
Andare verso il polo sud in quel periodo era come andare verso l'Inferno col casco ma senza pattini.
La nostra, credo, rappresentava la spedizione più ridicola che fosse mai partita per la terra australe e con l'inverno boreale in arrivo.
I sei arrivati sul ponte aspettavano che succedesse qualcosa e quando il botto seguito da una grossa bolla di fumo si alzò dalle rocce spoglie della costa, lessi la soddisfazione sui loro volti illuminati da un fuoco interiore vanaglorioso come le loro personalità.
"I,i,i, io sono il dottor Filler, Johnattan Fii, Filer.", la mano tesa davanti ai miei occhi, tremava leggermente e non era per l'emozione, vidi che quell'arto aveva un arco prima della fine dell'omero come se il radio e l'ulna fossero stati assemblati al gomito intorno ad un asse circolare.
Sicuramente per lui, doveva essere molto penoso alzarlo come sicuramente dolorosa, poteva essere qualunque azione compiuta con quel corpo che sembrava uscito da sotto una pressa. L'uomo aveva il collo incassato nella scatola toracica e il busto dirottato dall'asse del bacino eppure tutta quella sciagura fisica che lo menomava non gli denigrava la natura intellettuale. Poteva sembrare un mostro ma il raggio di luce che lasciava trasparire dagli occhi denotava una forza interiore impareggiabile. Mentre ti parlava ti induceva in una sorta di stato ipnotico, obbligandoti ad ascoltarlo come se fosse un attore capace di catturare qualunque platea.
"Mi congratu, tu, lo con lei pe, per av, ve, ver su,pe,perato, l'onda."
"Lei è troppo gentile, è stata solo fortuna, una seconda onda ci ha urtati e poi rovesciati in superficie."
"Si, ca,pi,pisco, ma le,lei, ha ca,cal,calcolato be, ben,bebene su,su,sulla c,cre,cresta e qu,questo n,no,non è ca,ca,cas,casua,lità."
"Il dottor Filler vorrebbe farle capire che il suo intuito è frutto di anni di esperienza ed è proprio questo che distingue un buon marinaio da un eccellente marinaio. Il dottore si scusa per il suo modo di parlare, infatti non gli piace fare molto chiasso, come lui suole dire, ha avuto un incidente che gli ha distrutto la mascella e ora usa più lo scritto che il linguaggio orale."
Filler mi stava studiando come una cavia da laboratorio contaminata da chissà quale infezione, forse percepiva il fatto che non mi piaceva nonostante avesse un grosso handicap, non mi piaceva perché lo reputavo capace di usare quell'handicap come arma e come scudo.
"Ca,ca,pi,tano, be,bea,to l'uo, mo che ha cu,cu,ra de,del più de, de,bole nel gio,gio,rno de,della s,sve,ventura i,il Si,si,gnore lo li,be,be,rerà."
"Interessante, disse Modo, Salmo quaranta, la preghiera dell'infermo,ecco uno scienziato e credente. Che strano abbinamento"
Eravamo partiti in sei con una barca in buone condizioni, ora dovevamo raggiungere il polo sud in otto e con la nave in cattive condizioni.
Mi sentivo per l'ennesima volta in imbarazzo e quando mi girai, vidi la faccia di un omino alto cinquanta centimetri appena sopra il metro ma i suoi occhi erano spade di cui non avrei mai voluto provarne la lama.
Mi preoccupavano quei repentini cambiamenti di piano e più delle nuvole m'impensieriva il vento che ci spingeva sul fianco opposto dell'onda che ogni volta che avanzava minacciosa ci colpiva sul fianco, lo stesso che io e Modo cucimmo alla meglio da dentro, con tavole e saldature improvvisate.
La barca avrebbe retto non più di due mesi in condizioni estreme e quella navigazione si stava dimostrando disperata. Il carico non si era per niente alleggerito e le altre due casse portar tate dai nuovi arrivati non erano manna dal cielo ma problemi.
Ricapitolando, il gruppetto dei quattro era diventato già di sei elementi e vorrei dire che nemmeno uno su tutti mi sembrava normale, uno di loro era un adoratore dei nazisti o comunque aveva qualche interesse in materia e questo significava avere uno o più, pazzi flippati di degenerazione storica che tenevano nascosto un animale forse selvaggio o peggio con la rabbia.
La situazione stava passando da confusa a smaterializzata. Nulla sarebbe rimasto sotto il mio controllo e forse non lo era già più. Sulla mia barca saliva e scendeva la gente a suo piacere.
Modo era lì al mio fianco, muto come un pesce che ascoltava con il suo spirito sagace, tutti i nostri discorsi.
"Credo che morirò."
Gli dissi sottovoce accettando gli eventi oramai per me incontrollabili.
"No, non credo.", mi rispose guardando le nuvole che s'impastavano tra loro in una sorta di melassa grigia e leucemica.
"Ma non ho paura sai, non ho paura della morte e di quelli come loro, io ho paura di non potere mantenere il mio giuramento, ho fatto la promessa che non avrei lasciato distruggere Insane Gloria nemmeno da un uragano. Questa barca significa tutto per me, è stata il mio professore e dovrà andare a un ragazzo che amerà il mare come l'abbiamo amato noi, Modo, uno fuori dalla propria generazione di smidollati e col sale in vena, il sale degli oceani che riempiono la nostra materia grigia."
Gli ospiti trasportarono il dottor Filler nella cabina ma prima chiesi loro di riunirci per capire bene quali fossero i nuovi programmi e le mansioni dei nuovi arrivati a bordo.
La faccia di Eva cominciò a diventare cupa come se stesse guardando in faccia la morte, ma lei la morte la portava dentro, in un pensiero piantatosi nell'anima come un tumore.
"Timothy, posso parlarle?", disse sottovoce guardando in tutte le direzioni e sperando che nessuno la ascoltasse.
Feci cenno di sì con la testa.
"Fra dieci minuti, vicino alla parete delle mappe, là nessuno potrà ascoltare, quella è la parte della nave che io chiamerei insonorizzata."
La mia risposta fu come una liberazione per la ragazza che di colpo cambiò la luce della pupilla nocciola che da opaca divenne brillante e vivace.
Eva come Julia aveva il suo lato oscuro che la rendeva ambigua ma la giovinezza le concedeva ancora qualche asso nella manica e un asso nella manica, certe volte, poteva salvare la vita.
Sentivo il bisogno urgente di scoprire il perché di tutti quei misteri, tanto più che continuavamo a navigare quasi alla cieca, anzi solo usando i satelliti di Julia e questo a casa mia e poteva significare solo che io ero stato espropriato dal comando in un modo molto elegante.
La mia più grande frustrazione è sempre stata quella dell'impotenza, non potere reagire a situazioni che precipitavano e che richiedevano qualcosa in più del classico sangue freddo.
I mostri che eravamo, non potevano di sicuro che superare quelli idolatrati nei film commerciali, gente come me che si fidava di personaggi ambigui dava spazio all'espressione della follia.
Chi mi garantiva che durante il sonno Bert o Klupp o persino Julia non sarebbero entrati nella plancia di commando dove avrebbero trovato la mia testa comodamente appoggiata al timone, puff, uno sparo e spenta la luce, spenti tutti i pensieri?
No, nessuno poteva garantirmi nulla perché anche se avessi verificato i loro documenti, non avrei mai potuto scoprire se erano, o no falsi.
 

 

                                                                                                                                    I tuoi pensieri potranno diventare imprese,
                                                                                                                                    se nutrite col coraggio e la fede.


4

L'Impresa

Certi giorni la mia pelle bruciata dal sole era capace di assorbire la benevolenza del vento come se fosse la cura di mali umani che la mente non era in grado di gestire. Aspettavo qualunque cosa capace di levarmi di torno quella gente e le loro imprese segrete. Avevo certe ferite nell'orgoglio che tacevo per non ammettere lo sbaglio di averli presi a bordo. Ogni uomo dovrebbe avere la possibilità di cambiare e senza doverne fare un atto di stato. Ero un leone io ed ai leoni non piacce segnare gli eventi senza un ruggito.
Il mare con la sua crespa superficie di spume, si mescolava a tutte le tribolazioni in cui maceravano i pensieri che quel dannato viaggio mi stava dando.
Bert col suo solito muso da volpe mascherata, si era presentato per due volte, cosa insolita e poco piacevole, dato che non mi piaceva ed ero certo di non piacere a lui, per la solita storia delle mappe. Ma se loro avevano i satelliti a cosa dovevano servire delle povere e vecchie mappe di carta?
Trovai risposta alla mia domanda grazie a Eva che arrivò puntuale e con due tazze di caffè bollente. Se non fossi stato un buon cristiano, avrei pensato che la donna fosse stata mandata dalla combriccola per versarmi qualche notiziola capace a farmi stare calmo per un po'.
"Dieci anni fa ho perduto una sorella."
Lei si era seduta per terra come se il contatto con la terra la rendesse meno debole.
"Eva perché sei venuta? I tuoi amici lo sanno?"
I suoi occhi fissavano la tazza di caffè per cercare di leggere il mistero del fondo senza usare altro mezzo.
"Io non sono un bravo con i discorsi e tanto meno con quelli scientifici, nell'ultimo periodo non sono nemmeno un bravo marinaio ma questo lasciamolo correre."
"Mia sorella è morta dieci anni fa. Sai, era una ragazza solare e molto bella, se avesse voluto avrebbe avuto i migliori ragazzi ai suoi piedi ma lei non voleva un ragazzo, uno immaturo con cui condividere i sogni, l'andare al cinema e le prime palpatine, no, lei aveva preferito nostro zio, un povero uomo che lei usò per apprendere la via del piacere proibito."
"Tutti noi abbiamo qualche scheletruccio nell'armadio."
"Lei è un eroe e che cosa avrà mai nell'armadio? Qualche amore illuso, qualche prestito non pagato? Lei è così tutto d'un pezzo da risultare, noioso."
"Io, un eroe? Mi guardi bene e poi, si osservi bene, la differenza tra noi è un abisso, dove nessuno penserà mai di mettere dei ponti, io sono, dove ho sempre voluto essere e qualunque cosa abbia fatto non era in cambio di un premio, lei invece è qui per il premio. Quale? Beh, io non lo posso sapere ma deve anche reggere il prezzo che dovrà pagare:"
"Quando mia sorella fece quello che fece, io decisi di nascondermi nei libri, volevo poter credere che l'uomo o l'umanità intera non fosse una bestia consumata dal piacere effimero e dal fremito della carne."
"Scusi ma cos'ha contro il fremito della carne? L'amore fra un uomo e una donna sono piccoli piaceri che rubiamo alla morte, senza questi nemmeno i bambini nascerebbero e forse questo pianeta sarebbe dominato solo dalle scimmie."
"Doris era il mio idolo. Quando è crollato l'idolo è crollato il sogno. Come le dicevo tempo fa sono brava con i numeri, con l'analisi comportamentale e persino con il sacrificio ma c'è qualcosa che mi manca …"
"A me non sembra che le manchi nulla."
"Invece sì."
"Cosa?"
"Il coraggio."
"Beh per essere in squadra con questi mercenari che si moltiplicano come le locuste mi sembra che abbia abbastanza fegato per fare qualunque altra cosa."
"Grazie. Ma non sono qui di spontanea volontà."
"E' grande e vaccinata se vuole, la riposto indietro."
"Ho bisogno di soldi, di tanti soldi."
"Eppure voi medici, scienziati siete ben pagati. Oppure lei è il tipo di donna che vuole comprasi auto e aerei da sola per gridare a tutto il mondo di essere arrivata al successo con tutte le sue forze?"
"Devo solo comprare un bambino."
"Accidenti, non sapevo di parlare col Diavolo. E così invece di farlo, cosa che richiederebbe troppo sporco lavoro e contatto intimo, decidi di andare al supermarket degli infanti e ne scegli uno, beh, è molto più comodo, ti capisco."
"No cazzo!"
"Ahi! Ahi! Ahi! Le belle donne non devono parlare come i marinai. La mia era solo una spicciola considerazione ma ti assicuro che la tua confessione ha trovato davanti uno che non giudica e che non vuol essere giudicato."
"Ma se mi hai appena chiamato Diavolo."
"Tutte le donne sono come il diavolo e ogni cosa che pensano o che fanno a volte è proibita o comunque che porta sulla via della perdizione. Auguri per te e per il tuo bambino. Io torno al lavoro."
"Non hai capito nulla. Il bambino è mio nipote, vedi Doris non l'ha mai voluto e l'ha messo in vendita perché è già molto malato e nascerà con grossi problemi ma è mio nipote e non voglio abbandonarlo."
"La buona samaritana. Potresti trovare qualche difficoltà a essere capita, il mondo gira su un asse e nessuno per atto di fede lo sposterebbe per te."
"Chi se ne frega, basta che io posso accudire una creatura che porta anche il mio sangue nelle sue vene."
"Ma perché non provi a pagare Doris così sarà lei a crescersi il figlio?"
"Già fatto. Ma con i soldi si è comprata dieci dosi di droga purissima che le è durata due mesi circa e dopo eravamo punto e daccapo mentre l'accordo è saltato. Finiti i miei soldi e quelli dei miei, è andata a mettere il piccolo in vendita. La meschina ha fatto cose improbabili persino da dirsi, mentre era ancora incinta e l'idea di aver ucciso il suo bambino non la preoccupa."
"Troppa pena e troppo danno."
"Che significa?"
"Che ti giuocherai la stima e la fiducia degli altri. La gente non sopporta gli assolutismi o gli estremi e tu in questo momento sei un estremo."
"Non m'importa, ho fatto una scelta e vado avanti per la mia strada."
"Questo ti fa molto onore ma dovrai farne di cose indigeste per meritarti il premio."
Eva abbassò gli occhi ma sul fondo della tazza non c'era più goccia di liquido.
"Che cosa sai di Adolf Hitler?"
Il mio tempo a regime d'indipendenza stava per scadere e molti sarebbero arrivati per controllare me o lei.
"Tutto e nulla. I terroristi non mi affascinano."
"Quest'uomo, il dittatore o come diavolo lo chiami tu, è un terrorista, uno che ha passato qualche decennio a fingere di immolare la propria persona, per il bene della razza umana. Non sto a spiegarti tutta l'evoluzione spirituale e filosofica che lo avevano portato a scindere bene e male in un unico campo di interesse, il suo. Lui voleva benedire ogni giorno la mortale specie come un papa, i figli di Cristo. Lui si sentiva la mano di Dio, un dio guerriero e giusto ma d'altro canto il tempo non gli risparmiava la vecchiaia e cominciò a interessarsi di scienze occulte nella speranza che il suo ego visionario ed eccentrico potesse scoprire l'elisir dell'immortalità. Insomma trovò una porta oppure un oggetto, qualcosa d'irremovibile dal sito, dove si trovava e quel sito lui decise ampliare anche a costo di perdere la guerra che stava diventando planetaria. Il posto aveva il nome di Base 211 e la sua natura sarebbe rimasta segreta a tutti perché ubicata nel cuore di uno dei continenti più misteriosi e ostili. Noi stiamo andando proprio lì ma qualche anno fa un aereo, con a bordo una squadra che ci anticipava nelle ricerche si era schiantato nel cuore della Patagonia. Su quell'aereo c'era la Chiave, la Chiave per il Messaggero. Se noi siamo qui e perché tu hai reso possibile il recupero di quella Chiave."
"Un tantino complicato per un semplice marinaio. Comunque non capisco perché me lo stai raccontando ora? Ti sei pentita o cosa? E a proposito cosa state trasportando nelle casse, che animale mi ha aggredito?"
"Non mi sono pentita ma ti dico solo, tieni gli occhi aperti, a me non piace uccidere la gente ma qui ci sono persone che non si farebbero scrupoli per una morte in più. Cosa trasportiamo? Noi trasportiamo una sorta di meccanismo che dovrebbe aprire la Base. Non so dirti se è un essere che hanno creato in laboratorio o un animale ben addestrato, quello che so è che stiamo andando a buttare giù la porta dell'Inferno per prenderci niente di meno che il Diavolo in persona. Se dovesse succedere qualcosa, tu saresti capace a tornare indietro? Mi riferisco al fatto che stiamo navigando guidati dai satelliti di Julia?"
"Per riparare il sistema servirebbe un software nuovo e costoso, ma posso localizzare qualunque posto della terra semplicemente leggendo le stelle come i vecchi marinai di una volta, il mio professore non aveva tutte quelle cose moderne a bordo, diciamo che mi sono perfezionato dopo la sua morte ma grazie alla gavetta, sicuramente non potrò perdermi nemmeno se lo volessi."
"Adesso sto molto, molto meglio. Lascia stare le casse, ti prego. La creatura che i miei colleghi, si portano dietro, è innocua ma insidiosa. Quando arriveremo a destinazione, la tua nave sarà alleggerita da tutto il materiale che oggi ti crea problemi, inclusi i passeggeri e Hooc, stai attento a Filler, lui e nessun altro è il più pericoloso."
"Klupp felice di vederti!", esclamò spaventata e sorpresa Eva.
"Che ci fai qui?", disse l'uomo che stava misurando i nostri animi interferendo con la pace emotiva che si era stabilita tra me e la ragazza.
"Stavamo bevendo un caffè e ascoltavo il racconto del nostro Capitano sull'onda gigantesca che lo travolse su questa barca quando era ancora un ragazzo."
Il volto di Klupp non si era rasserenato neanche un po'.
"Vieni, Heinz ha bisogno di te e in verità anch'io, c'è qualcosa che non funziona nei passaggi."
"Capitano, come vede, sono una persona molto richiesta, grazie per il caffè e per il bel racconto, non fosse che sono solo una specie di cuoca cellulare, una che scompone e ricompone la materia, potrei anche dire che lei oltre che onesta è una persona molto valorosa."
Prima di uscire la donna mi fece l'occhiolino e allora compresi che il suo animo stava combattendo per la causa giusta ma ahimè, con le armi sbagliate.
Modo era entrato anche lui mentre gli altri due uscivano dalla cabina. La mia faccia disorientata lo colse di sorpresa.
"Cos'è successo?"
"Stiamo navigando con una bomba nel culo e dobbiamo inventarci un modo di stare a galla senza l'ausilio delle loro attrezzature."
"Bomba?"
Quando si spaventava, Modo sembrava un bambino e non uno qualsiasi ma uno tenero e fragile che ti avrebbe tenuto volentieri la mano pur di non smarrirsi nella tenebra dell'incertezza.
"Tim, non è per citare anch'io la Bibbia come quel poverino un poco storto che è appena salito, ma oggi viene come burro sopra un'oca grassa, questo pensiero. Tieni lungi da te la bocca perversa e allontana da te le labbra fallaci. Dai Proverbi 5,11 e credimi le parole sante non giudicano l'anima del perverso quanto le sue azioni."
Stavo per rispondere male e affrettatamente al mio amico ma mi avvidi perché io avevo avuto il torto di giudicare incorruttibili le azioni di una persona che non conoscevo neppure.
"Dubiti delle parole di quella donna? Eppure credo che sia solo una vittima delle circostanze. Invece voglio dirti che sì. Sì, siamo sopra una bomba. Abbiamo sette nazisti da quanto ho capito, una Chiave che apre una base militare nazista, un Messaggero che è un fottuto animale a quanto pare pericoloso e chissà quale altro malato piano escogitato tra queste fragili pareti di legno."

I giorni passavano ma con la sveltezza con cui avrei voluto vederli finire.
La convivenza era stranamente armoniosa e molti dei miei passeggeri restavano rintanati nella loro cuccetta, ammassanti come grilli sotto le frasche secche di grano e buoni, stranamente buoni.
Il pescato aveva migliorato il nostro menù fatto di scatolette, e riuscimmo ad acciuffare e pescare un grosso mola mola o pesce luna che tagliammo e piazzammo sopra un improvvisato barbecue per circa sei giorni.
Eva che si era dichiarata già dalla partenza una vegetariana convinta non assaggiò nemmeno una briciola della squisita carne che noi altri, avevamo mandato giù a grossi pezzi presi con le mani come se fosse pollo arrosto e per giunta, condito con la miglior salsa Huritaschi, la stessa che Modo preparava da dieci anni di nascosto perché temeva che qualcuno gli rubasse l'ingrediente segreto.
La povera creatura non aveva sortito pietà da parte di nessuno a parte Eva, e quando la issammo a bordo, i tre metri di pesce non erano forse abbastanza per la fame di commensali così esigenti.
Credo che se ci ripensassi mi verrebbe da vomitare, il loro modo di mangiare e di masticare mi faceva pensare a qualche animale carnivoro che non pensava molto ai convenevoli.
La cosa dolorosa fu vedere Julia accanirsi sul suo pezzo quasi crudo, perché lei lo preferiva crudo, con una ferocia sbalorditiva.
Era questo il velo che vedevo sopra il viso elegante di una donna che poteva sembrare una regina.
La sua allure si era disintegrata già al secondo boccone e Heinz sembrava soddisfatto dell'appetito della figlia.
Non avevo mai osservato da vicino la fame degli altri e non pensavo che la gente di città abituata al cibo surgelato e alle tagliatelle da microonde potesse trovare gustoso il pesce appena pescato. Pesce che sapeva di pesce e odorava di pesce, non come gli alimenti inodori e insapori venduti dai mega ristoranti e spacciati per freschi.
Quell'evento diede l'iniziò a una sorta di festa che si prolungò sensibilmente, mettendoci tutti, un poco più a nostro agio.
Il disco dei Temptation fece il suo esordio in mezzo a gente che della Motown non conosceva nemmeno la parola. Klupp ed Eva ballarono mentre Modo e Filler discorrevano dei Proverbi come se fosse una sfida milionaria, il ricordarli per nome e per numero.
"Le acque furtive sono dolci, il pane preso di nascosto è gustoso.", lanciava Modo con la bocca sporca di briciole di pane dolce.
"Da, dal ba,ban,nchetto de,lla fo,f, ollia ma as,co,colta ques,sta,l'in, in,genuo c,cre,crede qu,qu,a,anto gli di,di,ci, l'a,co,ccorto co,con,ntrolla i pro,p,pri pa,pas,ssi."
Filler non si sforzava di ricordare, quanto a parlare perché i ricordi di quell'uomo erano così nitidi che sembrava stesse leggendo da un libro che aveva davanti e non dalla memoria.
"Non sono certo ma credo sia la Prudenza."
Modo più di tutti era stato ipnotizzato dalla personalità di Filler e Filler faceva di tutto per compiacerlo come un padrone che tirava di tanto in tanto un biscotto al cane.
Gli occhi del dottore erano troppo ben nutriti di scienza per farlo sembrare un povero essere umano sciancato.
I racconti della tribù erano innocenti e tremendamente noiosi.
C'era chi parlava degli anni della scuola, chi raccontava del suo primo amore o della prima sbronza o chi come Julia e il dottor Filler, contemplavano silenziosamente paesaggi della memoria che a noi non si sarebbero mai rivelati.
Forse furono i primi sei giorni di quiete trascorsi insieme, momenti quelli, in cui ognuno si dedicava al proprio lavoro ma non disdegnando di tanto in tanto un caffè in compagnia.
Mi veniva difficile da credere che preso ognuno per conto proprio, il giudizio lautamente positivo non si sarebbe più espresso.
Con quel tipo di gente ogni ragionamento era fuori dalla dimensione reale perché la loro realtà rappresentava solamente l'impresa, quella meta prefissata che gli aveva portati sulla mia barca come se fosse stata non una casualità ma frutto di uno studio lungo e perverso.
E quello fu il momento della mia illuminazione. Io non ero la loro ultima possibilità, io ero la loro unica occasione e che differenza c'era?
Dovevo scoprirlo.



                                                                                                                                                  Chiudi gli occhi
                                                                                                                                                  e lascia che sia il tuo cuore
                                                                                                                                                  a guidarti verso la meta,
                                                                                                                                                  altrimenti la tua anima camminerà sempre
                                                                                                                                                  verso il falso traguardo dell'egoismo...


5


Il rito del balbuziente a Padre Mistero

I riti sulla nave da quando eravamo partiti, erano più o meno gli stessi.
L'alba del capitano iniziava alle quattro e mezzo del mattino mentre per gli ospiti alle nove meno un quarto.
Nell'ultimo periodo qualcosa però era cambiato, a parte il nostro abbigliamento che doveva sopportare temperature più rigide ma nel consumo di caffeina e tabacco che diminuivano dalle scorte più dell'acqua.
Fumavamo tutti o per ingannare il tempo o per il piacere di sentire qualcosa di caldo che faceva contrasto con l'aria gelida che respiravamo.
Persino il mare cambiò odore e il cielo a un certo punto divenne terso come uno specchio.
Il vento finalmente ci spingeva come se un buon Dio avesse ascoltato la preghiera di un povero marinaio che voleva solo ritornare a casa e con la sua barca, sano e salvo.
L'umore degli ospiti era positivo e la più illuminata, era Julia, che sembrava avesse trovato il senso di quella marcia attraverso il nulla.
Stavo per rubare ai sogni gli ultimi secondi che me la trovai davanti e se prima, la cosa, poteva essere simpatica, quel giorno vederla non rallegrò per niente il mio spirito.
"Tim? Timothy, è sveglio?"
Alzai il capo dalla plancia e finsi uno sguardo benevolo ma giuro che dentro me stesso, di benevolo avevo solo il respiro che tra me e lei, in quel momento, era un muro di benedizione.
"Adesso sono sveglio. Che cosa c'è miss Julia?"
"Tim, ho bisogno che mi faccia un piacere."
"Che ore sono?"
"Le quattro e credo, quattro minuti."
"E non potrebbe svegliarmi tra mezz'ora, mi mancava la fine del sogno?"
"Tra mezz'ora rischiamo di scontrarci con qualche iceberg."
"Iceberg? La rotta?"
"Beh, ecco il problemino, ho perduto i dati del satellite, anzi è il satellite che sta aggiornando i programmi e per dieci ore potremmo navigare alla cieca."
"Alla cieca?"
"Sì Timothy ma non è grave?"
"Non è grave?"
"No ,perché i satelliti sono macchinari stupidi e quando si aggiornano basta poco per riagganciarli, la mia idea era di togliere forza al motore e di spingerci col vento tra il ghiaccio."
"Waoo, ma prima o dopo il caffè?"
"Waoo cosa sarebbe? Cosa c'entra il caffè?"
"Non ha mai fatto esclamazioni tipo Waoo? Se devo morire almeno un caffè prima di chiudere gli occhi. Qui si finisce congelati in meno di quattro ore, si soffre meno dicono."
"Affascinante ma credo che siamo sulla via che lei ricorda meglio di chiunque altro?"
"E cosa glielo fa supporre? Qui il ghiaccio ha tutto la stessa faccia."
"I calcoli fatti da Bert sulle sue mappe. Siamo arrivati Timothy e credo che anche senza satelliti troveremo l'ingresso."
"Le mie mappe? Avete di nuovo preso le mie mappe?"
"Ma a fin di bene naturalmente e per sveltirle il lavoro. Lei ci dovrebbe considerare come degli scarsi apprendisti che cercano col comune aiuto di vincere le avversità."
"Questo viaggio renderà pazzi tutti noi! La natura di questo posto è infame e impietosa, due aggettivi che credo abbia formato molti del vostro gruppo. Il mare al polo sud non è più mare ma morte e lei mi sta dicendo che ci ha sveltito il viaggio verso la morte?"
"Su si alzi, non è ancora sveglio, adesso Eva le porterà del caffè e Klupp arriverà con le coordinate. Il professor Heinz ed io cercheremo di trovare il guasto al sonar, credo che sia un regalo che lui vuole farle in cambio della gentilezza che gli ha usato pescando quel pesce e prendendolo a bordo. Non credeva che la sua bella azione sarebbe passata inosservata?"
"Mi compiaccio per la vostra gentilezza ma giuro che non vedo l'ora che vi leviate dai piedi. Sono stanco mi creda e molte delle disgrazie che non ho ancora vissuto rischio di ritrovarmele addosso, tutte insieme."
"Siamo quasi vicini alla meta, tra poco mio gentile capitano troveremmo la porta del paradiso o dell'inferno se preferisce."
"A me di tutte queste cose non importa nulla, basta che lasciate in pace me, il mio amico e la mia barca."
"Lei è sempre libero di fare marcia indietro, noi non siamo qui a puntarle una pistola alla nuca."
"Ma nascondete troppe cose."
"Le cose che nascondiamo sono solo i gioielli della mente e noi, Tim, non siamo gente che va a caccia di fortuna ma di illuminazione."
Certe parole fanno breccia nel cuore di un uomo ma altre lo mettono in allerta come una base militare minacciata d'attacco nucleare. Io mi sentivo nella seconda ipotesi.
"Colpito e affondato, madame. Ma il mio caffè?"

Le cose possono andare solo in due modi se vuoi, uno buono e uno cattivo. Se avessi dovuto scegliere il modo sbagliato, avrei rischiato di cadere in mare, di vedere Modo cadere in mare oppure vedere Insane Gloria affondare; tutte congetture che ferivano profondamente la mia anima, messa a dura prova dai miei strani ospiti. Per mantenere il controllo sulla nostra sorte avrei continuato a fare l'idiota accondiscendente sempre nella speranza che quei pazzi fucilati, non avessero deciso di disfarsi di noi all'improvviso.
Klupp mi stava incollato come un adesivo ed era il peggior compagno di viaggio che un marinaio potesse avere, non solo mancava del senso dell'umorismo, non partecipava al rito del whisky dopocena ma passava da momenti di mutismo assoluto ad attimi di conversazione totalmente improntata sulle equazioni immaginarie rivolte ai meccanismi della genetica ed io, lo lasciavo fare sempre con l'idea fissa che appena avesse smesso, avrei mandato giù più birre, possibile, per dimenticare la sua compagnia.
Il freddo superava le mie attese e i canali di passaggio iniziavano a restringersi pericolosamente. La nostra barca sebbene robusta non era adatta a fare la spacca ghiacci ed ero sicuro che molto presto saremo rimasti intrappolati in mezzo alla banchisa.
La banda di scienziati aveva iniziato a spacchettare il pesante bagaglio che si ammassava nel deposito.
Le loro apparecchiature e le loro slitte in titanio avevano disegni avveniristici e sicuramente brevetti ancora non depositati. I soldi non dovevano mancare a quella spedizione e forse avrei dovuto chiedere molto di più dei duecentomila che sarebbero serviti solo a riparare la povera Gloria.
La mattina del Martedì, cominciammo il zig zag tra le pareti di iceberg alti come montagne e pericolosi quanto uno tsunami. Il timone era stato riparato e cominciai a credere che il guasto era stato causato e non era un semplice incidente.
Quelle acque non erano più come me le ricordavo ma la terra bianca a trecento chilometri da lì, quella sì mi era rimasta stampata nella memoria.
Il mio ricordo lavorava intorno a una strana spedizione con Butz ma c'era qualcosa di anomalo nelle date, nei personaggi e nel trasporto.
A volte, nei sogni, ricordavo un aereo, un grosso aereo che si schiantava e un viaggio tra le pareti di ghiaccio che portava in un punto bene preciso del lato ovest del polo sud.
Non ricordo per quale motivo ma io ero stato ferito, c'erano delle voci costantemente presenti intorno a me e una voce sottile di una ragazza molto giovane e molto bella che mi teneva sempre la testa sulle sue gambe e mi cantava canzoni in una brutta lingua, una lingua di cui faticavo imparare le parole.
La cosa anomala che ricordavo era la presenza dei miei genitori e non di capitan Butz, ma queste coincidenze, forse non erano che frutto dell'incidente stesso.
La cosa certa che stavo andando verso un punto ignoto di quel paesaggio bianco, animato da una certezza folle e da un terrore smisurato, il terrore che, un altro si fosse impossessato del mio spirito.
Filler stava sempre fuori ad annusare l'aria come se avesse la sicurezza che avrebbe raggiunto la meta quanto prima.
Tra lui e Modo era nata una sorta di storia d'amore, Modo lo stimava e non solo perché recitava a memoria quasi tutti i versetti della Bibbia ma perché s'intendeva di storia quanto e meglio di lui.
Quel matrimonio spirituale mi faceva venire i brividi ma arrivava in un momento dove le cose non dovevano subire cambiamenti radicali altrimenti sia io sia lui avremmo rischiato di essere inutili e fatto una brutta fine.
Chi non vedevo spesso era proprio Eva che lavorava sul progetto senza mai uscire nemmeno per condividere un caffè col capitano.
Avevo la netta impressione che Julia, gelosa del nostro rapporto, l'aveva allontanata per non rischiare qualche confessione sconveniente e oramai inutile.
Il viaggio non poteva più subire alcuna interruzione, eravamo già entrati nella terra della morte e l'unica cosa da fare era studiare come uscirne vivi.
Julia era suo solito vegliava su tutti coordinando i lavori ma era sempre Filler quello che metteva l'ultima parola.
Tutte le casse furono trasportate fuori, pezzo dopo pezzo tranne due, due che rimasero nella stiva e di cui non volevo scoprire il contenuto.
Ci sono cose nella vita che un uomo deve sforzarsi di scoprire e di capire ma quando queste cose sembrano, in qualche modo ostili bisogna cercarsi un buon riparo ed io sulla barca non avevo alcun riparo. Preferivo lasciare a loro la decisione e la responsabilità del mostro che trasportavano.
Se quello fosse stato un sogno, avrei tanto voluto svegliarmi. Troppa gente che non era quello che diceva di essere e troppi eventi di cui tenere le redini.
Mi sentivo più vecchio dei miei e la spossatezza aveva invaso come un morbo alieno e devastatore, non il mio corpo ma tutta la mia mente. Arrivai persino a pensare che mi stessero drogando, col caffè così chiesi a Modo di preparare solo lui le bevande e senza usare nulla dalle provviste dei passeggeri.
Prima del tramonto c'era un rito cui assistevo involontariamente, una celebrazione che Modo interpretava come propiziatorie e di buon auspicio ma che a me non piaceva minimamente.
L'uomo deforme prendeva un libro, un grosso libro scuro e leggeva ad alta voce ripetendo due o tre volte lo stesso passaggio come un prete quando pratica un esorcismo.
La sua litania era lunga il doppio, primo perché balbettando, ci impiegava più tempo e poi perché la sua invocazione sembrava a tratti una canzone con precise pause e lunghezze di rima.
Quando ebbi l'occasione di vedere fuori gli altri della squadra, chiesi il significato della cerimonia. Come risposta, ricevetti un sorriso poi girai il capo per vedere il volto di Eva, e vi lessi tanta disperazione negli occhi. Mi poteva bastare quella percezione di caos, in fondo le conversazioni tra tutti noi si erano ridotte a pochi saluti di cortesia e null'altro.
Perché facevano tutto quel chiasso, solo per essere ascoltati dal vento? Chi e cosa cercavano in mezzo alle montagne di ghiaccio dove nemmeno i satelliti avevano occhi?
L'aria pungente ogni tanto curava la mia asfissia domande, milioni di quesiti cui avrei tanto desiderato avere la risposta.
Dopo l'orazione di Filler e quando tutti quanto entrarono per la cena, andai a cercare Eva giù al deposito.
La sua cera non era delle migliori e le occhiaie sembravano quelle di una donna malata.
"Eva che ti succede, per caso non stai bene?"
"Tim, sanno che sei qui?"
"Certo che no."
"Mi dispiace."
Indossava la tutina rosa che la faceva sembrare una coniglietta di playboy, anche se nella sua testa abitavano una decina di astronauti e qualche giovane Einstein.
"Mi dici cosa ci fai qui da una settimana a questa parte, non riesco mai a scendere che trovo Bert davanti alla porta come un segugio che protegge la proprietà di un capo mafia."
"Beh, i tuoi pensieri si avvicinano sempre a qualche verità, lo sapevi?"
"Mi dici cosa ti succede? Non mangi da parecchio, ti stai sacrificando per la causa sbagliata, come farai ad allevare un bambino conciata così?"
"Hai ragione, ma hai sempre sostenuto che senza sacrificio non hai ottenuto nulla. E' il mio turno e questo purtroppo è il mio lavoro."
"Il tuo lavoro fare portierato a un deposito? Lascialo fare a Klupp o a Bert, mi sembrano fisicamente più adatti al digiuno."
"Avrebbero voluto credimi, loro avrebbero dato qualsiasi cosa per essere al mio posto."
"Non ti capisco, come sempre. Vedi, tu sei il genere di donna che uno non riuscirà mai a scoprire chi è veramente."
"Voleva essere un complimento."
"No. Un complimento sarebbe stato se fossi andato via per tornare con un piatto di pasta e fagioli, molto proteico e molto nutriente."
"Grazie lo stesso, ma non posso. Devo stare attenta e non mi servono distrazioni, tra poco potrò andare a dormire."
"Mi dici perché tra poco e non adesso?"
"Perché tra poco si addormenta."
"Chi Eva? Chi?"
"La mia creatura."
"Cosa?"
"La cosa che custodiamo qui dentro, è una mia creatura. Io sono come dire, madre di uno strumento."
"Grazie ma mi devo ripetere, come il solito non ti capisco."
"Mi hanno scelto perché ero l'unica capace di aiutarli nel loro programma. Io ho creato quello che loro definiscono la chiave per il Messaggero."
"Massaggerò di chi? La chiave per cosa?"
"Domanda intelligente. Ricordati solo quello che ti ho raccontato giorni fa e capirai da solo. Adesso devi andare via, se ti ritrovassero con me, le cose potrebbero prendere una brutta piega."
"Perché? Magari, sono qui solo per corteggiarti?"
Infatti, quelle furono le ultime parole prima che il brutto muso di Bert facesse capolino all'ingresso.
Per evitare qualsiasi tipo di problema, chiesi a Eva di schiaffeggiarmi e lei fu geniale per non dire intuitiva, c'è qualcosa di sopranaturale nelle donne, qualcosa che sfugge a noi uomini così presi dall'agire e poco riflessivi.
Lo schiaffo arrivò freddo e forte, proprio in mezzo al viso.
"E adesso porco dei miei stivali levati dalle scatole, non sei il mio tipo e se ti becco un'altra volta a chiedermi di bere con te o di fare qualsiasi cosa per te, te la vedrai con Bert."
Bert arrivò sospettoso e abbastanza teso.
"Eva che succede qui?"
"Nulla, nulla, ho messo l'abbigliamento sbagliato e il nostro capitano hmm, ha fatto un pensieruccio come dire … romantico."
Bert mi guardò con arroganza come se non temesse più nulla da me.
"Allora?", mi chiese spingendomi contro il muro.
"Allora cosa?", risposi ma mentre parlavo, sentivo la punta della pistola premermi le palle e il dolore arrivò istantaneo. Ero molto più alto di lui e ben piazzato ma l'acciaio vince la convinzione umana dell'essere indistruttibile. Quando il colpo spinse il dolore nella fitta rete dei neuroni spinali verso la bocca, dovetti aprire le labbra senza però riuscire a liberare alcun suono.
Mi piegai sulle ginocchia cercando di trattenere le lacrime.
"Cazzo!"
Fu l'unica parola capace di irrompere il velo di pena che mi aveva attanagliato tutti i centri nervosi.
"Ecco appunto, se vuoi continuare a essere un uomo prendi di mira altro un altro tipo di donne, quelle della tua specie."
Favoloso l'accento dell'energumeno cambiò da irlandese a vichingo anzi, tedesco.
La cosa non ebbe ripercussioni su nessuno, anche se credo che tutti ne stessero parlando perché per un po' nessuno venne più a portarmi il caffè o il saluto.
Il primo che rividi casualmente, anche se credo che la casualità non avesse nulla a che fare, era il Professor.
Heinz venne prima dell'ennesima alba ghiacciata, infagottato come una gallina con la pelliccia di visone, a chiedermi come stavo.
Quella parodia doveva avere un senso altrimenti, fossi stato in loro, avrei lanciato il capitano fuori bordo e avrei pilotato io stesso la barca. Con tutte le tecnologie che avevano, avrebbero potuto guidare persino una portaerei o uno shuttle.
"Mio caro ragazzo fa così freddo eppure pensa, ci sono state persone che hanno vissuto per parecchio tempo a queste temperature."
"Chi siete voi veramente?"
L'uomo mi sorrise e non era un sorriso falso o che nascondeva qualcosa di meno veritiero del semplice piacere istaurato con l'interlocutore.
"Credo che il suo animo sia troppo buono per certi eventi."
"Sono un uomo forgiato col sacrificio, ce la farò, mi creda."
"Non ne dubito. Lei ha la stoffa di uno che potrebbe sopravvivere a mali peggiori di quello che pensa di affrontare in questo momento. Noi siamo il male in egual misura con cui l'umanità premia certi criminali e certi altri no."
"Siete tutti così bravi a sviare i discorsi che quando parlate pur affermando la verità, non si arriva in alcun modo a capirvi."
"Grazie per il complimento. Ma credo che lei abbia capito tutto e forse ricorda più di quanto le mie parole potrebbero aiutarla."
"Non mi sembra di avervi conosciuto."
"E' certo?"
"Sì."
"Eppure nei suoi sogni, questo posto le sembra famigliare?"
"Non credo. Io l'ho visto con Butz e ricordo bene il tragitto perché …"
"Perché le è stato ripetuto all'infinito finché la sua mente l'ha assorbito del tutto."
"Se pensa di fare esperimenti su di me sappia che non ci casco."
"Lei non è un esperimento caro Timothy, lei è uno dei nostri. Non si è mai domandato perché i suoi genitori nonostante tutto non l'abbiano cercata? Perché nessuno ha arrestato Butz e perché il tuo nome non era tra la gente sparita?
"No. I miei erano avvocati ed io beh, ho desiderato altro che avere un posto comodo in un ufficio."
"Non mi riferivo a questo Timothy. Tu non sei scappato, hai semplicemente intrapreso la via, una cosa che ti era stata insegnata da piccolo e i tuoi non erano avvocati ma generali e di un esercito sconfitto ma fatto di gente fedele. Noi siamo le ultime retrovie di un grande credo e abbiamo usato tutti i mezzi per difendere questa nostra armata dalle spie e dai nostri nemici."
"In definitiva cosa siete?"
"Noi siamo i seguaci della Grande Causa e il Maestro ci guida verso la rinascita."
"Filler?"
"Her doctor Filler, porta il Dna e il cuore del nostro prediletto mentore, Adolf Hitler. Prima che lui morisse, abbiamo eseguito un trapianto di organi, cuore, cornea, fegato, polmone, reni e midollo, Her Filler ai tempi si era offerto come oggetto di questo stupefacente esperimento, era già un emerito medico ma al suo risveglio divenne La Parola, cioè chi ci avrebbe guidato verso il Predestinato."
"Quindi, non è Filler il capo?"
"E' solo il padre."
"Il padre di cosa?"
"Della Chiave."
"Che cosa volete da me mister Heinz?"
"Her Hooc, voi siete la Chiave."
"Non capisco. V'intestardite con il fatto di volermi conoscere ma vi sbagliate su di me. Io sono solo un marinaio. Io non vorrei nemmeno essere qualcos'altro. Inoltre dentro la mia testa non ci sono equazioni per bombe nucleari o formule sullo sviluppo del volo spaziale. Io sono e non lo dico per modestia, l'uomo più ignorante di questo mondo e mi piaccio così. Lascio a voi dottori le scoperte scientifiche a me basta imparare dal mare tutte quelle cose che oggi mi consentono di sopravvivere. State prendendo un grosso granchio. Non capisco. Se poi vorreste entrare nel mio cervello, troverete solo molto buio, un muro oltre il quale fa male persino il ricordare; certe cose meglio non buttarle per aria."
"Forse è solo impaziente di scoprire quelle cose che ora si celano nell'oscurità dell'incoscienza. Her Tim, siete il figlio del Maestro ma dal momento che non sei puro al cento per cento, perché Her Filler non è del tutto Adolf Hitler perché il nostro idolo è stato contaminato da quel che restava del corpo del dottore e per ripulire la stirpe ci sarebbe voluto ben altro che un trapianto. Ma Filler ci ha concesso un bene maggiore, un bambino, un essere col sangue ancora più puro del suo ma nemmeno il piccolo sarebbe stato come il donatore ma lui sarebbe potuto diventare il genitore del Predestinato."
"Voi siete pazzi. Molto pazzi e con troppa immaginazione."
"Non è immaginazione la scienza, vede lei è quello che noi chiamiamo frutto dell'empatia e del sacrificio. In un certo senso è frutto dell'amore."
"E mia madre chi sarebbe, una cavia da laboratorio pure lei?"
"Le somiglia molto sa, è testardo e buono allo stesso tempo come lei e come lei non esprime molto spesso le emozioni ma sa essere di grande conforto quando le situazioni diventano difficili. Mia moglie vi ha trasmesso questo dono, essere intelligenti ma forti. Credo che a questo punto sia tutto chiaro."
"Lei e io?"
"Sì. Sei mio nipote Timotheus Hoocbard Konstantin Ludwig Nutzel III."
"La dottoressa Julia Hoocbard era tua nonna, riposi in pace e lei, è stata la mente del programma BASE 211, quello che ci renderà nuovamente forti e pronti per affrontare il mondo."
"Julia?"
"E' tua madre. La tua madre naturale. Forse nei tuoi sogni ti ricordi di lei, era così giovane e tu così piccolo ma averti lasciato alla custodia della finta famiglia, serviva a te come esperienza necessaria a superare certe prove."
"Spiegati meglio. Questa follia rischia di dilagare come l'onda d'urto di una bomba."
"Tu sei il discendente di Adolf Hitler e non solo, tu solo sai la combinazione numerica della fortezza B.211. Tua nonna era un genio, un vero talento della matematica. Lei più di sessant'anni fa era riuscita a tradurre un pezzo di metallo con rilievi di origine aliena, ebbene quel linguaggio è una combinazione per una cassaforte di origine sconosciuta oggi ma ben nota ai nostri antenati che durante la liberazione avevano bruciato tutte le carte che riguardavano Base211. Noi dobbiamo arrivare al cuore della base per aprire il motore della centrale e rientrare in possesso con tutta la discendenza del nostro Maestro di tutto quello che ci è appartenuto in passato."
"Solo una curiosità, perché B 211?"
"L'insenatura dove ci guiderai è come il petto di una donna e Julia aveva pensato che la "B" fosse la lettera che più assomigliava alla zona di attracco dei sottomarini."
"E Bert?"
"Diciamo che è il numero due venuto male."
Quindi il genio che Bert aveva ereditato dalla nonna, o da mia madre e mio padre, non serviva a nulla. Loro non avevano bisogno di uno che leggesse il linguaggio comune ma uno che sapesse cosa significa quello alieno.
"Ah. Se io sono la chiave cosa, altro vi serve per essere felici?"
"Ci serve il Messaggero, vedi seppur tu sia perfetto non sei immortale e per evitare che ti succedesse qualcosa abbiamo pensato ad uno scudo. Avrai a tua disposizione una difesa adatta al compito che ti sarà assegnato."
"Quale?"
"Ma naturalmente fabbricare tanti piccoli Adolf Hitler Hoocbard Nutzel."
"Avete già scelto con chi?"
"Tutto a suo tempo Tim, tutto a suo tempo. Adesso lascia stare il timone, Bert ti darà il cambio e vai da Julia che non vede l'ora di abbracciare la sua creatura."
Se mi avessero preso a pugni nello stomaco e mandato all'ospedale con dieci costole fratturate, non mi sarei sentito male come mi sentivo in quel momento.
La mia mammina nazista mi aspettava col mio longilineo paparino che si era fatto trapiantare tutti i pezzi del Diavolo in persona; sarebbe stato curioso osservare a mia volta quei due animali da laboratorio come guardavano o studiavano le mie reazioni da povero comune mortale che si era dimenticato in questi trent'anni di studiare ingegneria aerospaziale o fisica nucleare o biogenetica.
Modo era come sparito e non volevo che gli fosse capitato qualcosa ma quando arrivai vicino alla cabina, lo notai sul ponte che giocava a scacchi con Filler e Bert che correva nella mia direzione sicuramente per prendere il posto assegnatogli da Heinz.
Tutto era stato studiato da anni, ma che dico, da decenni, fino nei minimi termini.
Io ero il risultato di qualcosa e tutta la mia discendenza era il mezzo per arrivare a un altro risultato ancora più improbabile.
La cosa che mi spaventava di più di tutto quell'incubo, era che esisteva un unico senso di marcia, oltretutto deciso da qualcun altro.
Quell'ubbidienza al volere altrui rappresentava la situazione da cui ero scappato in tutta la mia vita.
Bert, l'omone dal cervello pesante e dall'immaginazione limitata, lui dovevano scegliere per i loro progetti avanzati e i sogni d'onnipotenza.
Mi ero iscritto da troppo tempo all'albo dei saggi per desiderare la vita sopra un trono costipato di rivalità e macchiato dal sangue d'innocenti, morti per una causa sbagliata prima ancora di avere dichiarato guerra all'umanità.
Avevo il miglior sangue nazista nelle vene e non stavo facendo salti di gioia, questo no, che non era nei loro piani.
Forse Filler si aspettava l'abbraccio del figliol prodigo e mamma Julia un bacio di perdono sulla fronte, ma tutti quegli estranei che cercavano di riempirmi il vuoto di quarantatré anni di solitudine, dove si erano nascosti?
I miei mostri non avevano coscienza, i mostri di tutti quelli incubi, che raccontavano di posti stretti e bui, di numeri di una Cabala segreta sussurrati nell'orecchio da una voce dolce, in quale angolo remoto del mio essere aspettavano di risorgere?

Prima di salutare i miei nazi genitori, idea che mi dava il voltastomaco ma che mi lasciava illudere su un futuro senza re del trapianto perseguita tori, dovevo riuscire a prendere Modo in disparte per parlargli; avevo bisogno del consiglio di un buon amico e in quella contaminazione di posizioni e incarichi, nessuno era più quello che diceva di essere. Solo la povera Eva era la vera aliena tra tutti noi, lei che aveva aderito a quell'incosciente progetto solo per assicurarsi un nipote già destinato a morire.
Ero preso da un attacco di panico e cercavo di trovare la soluzione facendo l'unica cosa che riusciva a distendermi, guardando il mare.
Fingevo di non notare alcuno di loro sebbene la barca non fosse così grande da non poterli vedere quando uscivano per una cosa o l'altra.
Guardavo il mare, blu profondo e scuro che risucchiava ogni perplessità umana per lasciare la coscienza libera da tutte le prigionie di cui si diventa in qualche modo dipendenti.
Klupp oltre che Eva era quello che mi lasciava più perplesso. Se Julia era mia madre e Filler mio padre, Bert un pseudo fratello e Heinz mio nonno che posto occupava Klupp in questo film fatto in casa di spionaggio e caccia al tesoro.
Modo si era liberato dalla lunga conversazione con Filler, temevo che in qualche maniera lo storpio fosse riuscito a fargli il lavaggio del cervello.
"Modo, ho bisogno di te."
"Ciao. Senti che freddo e penso che farà ancora più freddo."
"Tra due giorni, qui le temperature scenderanno di altri venti o trenata gradi sotto lo zero e allora la nave s'incaglierà contro la banchisa. A quel punto, credo che il viaggio sarà terminato."
"Ma a quanto ne so dovremmo raggiungere un'insenatura o qualcosa di similare a un porto."
"Dimmi ma stai facendo la spia per Filler e la sua banda?"
"Mi prendi per scemo?"
"Lui mi considera una sorta di ritardato che gioca accettabilmente a scacchi. Diciamo che ha mangiato la foglia e sa che non sono l'uomo da temere in questa strana impresa. Mi ha fatto un sacco di domande, questo sì."
"Del tipo?"
"Da quanto tempo ci conosciamo, come ci siamo conosciuti e non riesce a capire come mai un tipo sveglio come te abbia un amico così diverso?"
"Ti ha detto proprio così?"
"Proprio così no ma ha lasciato intendere due cosette poco simpatiche sul mio conto."
"Loro non si aspettavano che tu venissi con noi e non hanno fatto in tempo a svolgere dei controlli. Quindi dobbiamo prepararci."
"Per cosa? Un'altra onda?"
"Niente onde."
"Meno male perché non ho voglia di fare bagni così lunghi e per giunta in acque così gelide."
"Dobbiamo prepararci per sbarcare e poi ti devo dire due parole che cambieranno il tuo senso di percepire e raccontare la storia."
"Tu che t'intendi di storia? Pensavo che la odiassi?"
"Se ascolterai le mie parole sicuramente anche tu odierai un po' la storia."
"Impossibile odiare ciò che si ama."
"Sei sicuro?"
"Se ti dicessi che sono il figlio innaturale di Hitler?"
Modo sorrise abbozzando un sorriso ambiguo e poco convincente.
"Dai e i cavalli volano sopra l'Antartide."
"Non tutti ma qualcuno è capace."
"Smettila di parlare per enigmi."
"Non c'è nessun enigma, dimmi solo cosa pensi di Filler?"
"In modo scientifico o cristiano?"
"Reale."
"E' un grande figlio di puttana e con la mente, beh la sua mente sembra quella di due geni. Conosce tutti i passi della Bibbia a memoria e il Talmud, parla sei lingue incluso il giapponese e conosce la ricetta dei tagliolini Hork, meglio di mia madre. La cosa che mi disturba è quel suo accento tedesco che non riesce a nascondere, anche se cerca di usare l'irlandese mescolato all'inglese. Quando sposta le pedine, parla di formule chimiche come se ogni mossa avesse una precisa formula nella sua testa, capace a costruirci qualcosa.
Mastica matematica e le leggi della fisica come tu conosci le stelle quando ti orienti senza bussola. Ma credo che sia un farabutto perché i suoi occhi sono acidi e pieni di una luce fredda che metterebbe paura a un cinghiale. Che poi cosa interessa a un tedesco il Talmud, che sia un convertito o vuole nascondere le spoglie da figlio di Davide?"
"E' mio padre."
"Ma non avevi detto che era Hitler che fai marcia indietro?"
"Lui ha fornito il materiale per un trapianto di organi, lui è quello che umanamente resta di Hitler."
"Non ci credo ma guardando a quanto è deteriorato quell'uomo, non si può dubitare che gli sia successo qualcosa d'importante. Lui non si sente mica portatore di handicap, anzi sembra che siamo noi altri degli inferiori pieni di difetti, probabilmente ha hanno rubato tutti gli specchi di casa e la sua bellezza interiore crede sia capace di miracoli."
"Comunque è una storia brutta e questa missione, loro se la stanno studiano da più di quarant'anni."
Fumavo cercando di capire da quanto tempo non mangiavo perché rimediare alla mancanza di appetito, non era per niente facile.
"Senti, non vorrei sembrarti paranoico ma io non vedo che un branco di trafficanti che pensano di trovare l'oro al polo sud."
"Da un punto di vista semplicistico dovrebbe essere così ma il loro credo sia l'ultimo azzardo alla fortuna."
"Che quelle casse contengano armi e stiano dichiarando guerra all'umanità?"
"Credo che sia così ma le armi non le hanno loro."
"E chi?"
"Nascoste forse dentro una base."
"Quella dove dovresti portarli tu?"
"Sì."
"E tu come fai a sapere di questa base."
"Mi hanno addestrato per questo, io ci sono già stato e sono l'unico capace di aprirla."
"Caspita! Sembra un film d'azione e fantascienza."
"Diciamo che vorrei scoprire cos'è prima che ci facciamo male."
"C'è il rischio che …"
"Dobbiamo stare attenti che qualcuno non voli giù dalla nave."
"Perché ci sono nemici anche tra loro?"
"Diciamo che questi non sono tutti una sacra famiglia."
"E chi potrebbe stare dalla nostra parte?"
Klupp passò dietro le nostre schiene e sentivo i suoi occhi fissi su di noi così diedi una gomitata a Modo che cambiò discorso iniziando a parlare del tempo.
"Si Tim, credo che gelerà tanto da trovarci tutti i ghiaccioli nelle mutande.", mi fece l'occhiolino e io guardai l'ombra di Klupp con la coda dell'occhio.
"Mi daresti un'altra sigaretta?"
"Certo ma fai attenzione perché stanno per finire."
Poi Klupp scomparve.
"Hai visto cosa portava in braccio?"
"Credo che fossero le tue mappe."
"Questi stronzi di tedeschi."
"Non vorrei fare una battuta cattiva ma … ma … lo sei anche tu!"
"Io non sono nazista e qualunque sia la mia origine, sicuramente non parteggerò mai la svastica. Comunque Klupp ed Eva sono gli elementi deboli, gli altri hanno vincoli di sangue e credo siano dalla stessa parte della barricata nel bene o nel male."
"Quindi le manie di Filler di recitare servono a cosa?"
Domandai a Modo che era ancora più turbato di me.
"Credo servano a ricordarti chi eri, vedi, lui viene ogni giorno, stesso rito e stesse parole, parole scandite come per i bambini piccoli."
"Filler vuole svegliare i miei ricordi? Heinz mi aveva accennato a qualcosa che la mia memoria non ha ancora ricordato, dei dati che mia nonna aveva inserito in me e che loro cercano di estrapolare."
"Tu sei il loro anello mancante con questa cosa che cercano. Tu non ricordi? Allora niente spedizione! Chiusa la baracca."

 

                                                                                                                                             Tutti cercano di dipingere il male
                                                                                                                                             come un mostro che fornica con la mente
                                                                                                                                             fino a farle sognare il proibito
                                                                                                                                             ma il male è solo una porta
                                                                                                                                             aperta dalla smania di conoscenza
                                                                                                                                             sul mondo dei violenti,
                                                                                                                                             dove gli uomini e non i diavoli
                                                                                                                                             sono quelli da cui difendersi.


6


La sete di potere è la madre di tutti i mali.

La nave era ferma. Ferma da due giorni e noi tutti impreparati al gelo che precipitava repentinamente. Se non fossimo partiti, sicuramente, la sopravvivenza sarebbe diventata difficile e adesso anch'io ero tra quelli che speravano di ritrovare una base, un laboratorio o qualcosa che ci assicurasse riparo nelle ore notturne.
Klupp era diventato l'addetto ai trasporti, benzina, motori e tre slitte, due di noi sarebbero rimasti sulla barca e sei sarebbero partiti.
In un discorso solenne Heinz chiese a Julia e a Filler di aspettare che fossimo tornati dalla perlustrazione, in fondo loro non sarebbero stati di alcun aiuto e se le cose non fossero andate per il verso giusto, la nave era comunque una difesa migliore del ghiaccio.
Avevamo più fucili che benzina e questo, non era che la buona notizia, la cattiva era che l'inverno stava inasprendo le sue forze e da quaranta sottozero, presto si sarebbe arrivati a sessanta, in meno di una settimana. La morte avrebbe spiato ogni nostro passo e messo alla prova il corpo.
Julia avrebbe cercato di riavviare il sistema e di mantenere calda la anima della nave, cosa assai improbabile, date le nostre limitate scorte di carburante.
Avevo cercato in tutti i modi di avvicinare Eva ma era assai difficile perché Bert la seguiva ovunque e per motivi di sollecito per un lavoro che lei doveva assolutamente terminare.
Eva era rimasta pallida e sofferente, sembrava tanto malata e la cosa che mi impressionava era il fatto di quanto gli altri la trascurassero.
Chiesi a Modo di mandarle un messaggio <FATTI TROVARE TRA DIECI MINUTI IN SALA MOTORI>.
Heinz e Julia stavano tramando qualcosa e temevo che le loro scelte stessero diventando sempre più pericolose.
Il conto alla rovescia per la partenza era già iniziato, Filler mi fermava ogni ora cercando di suggerirmi nuove immagini per ricordare il codice ma io arrivai a dirgli che se l'avesse fatto per una volta ancora, l'avrei ucciso.
Ero solo e temevo di non trovare uscita né dalla situazione né dal mare dei ghiacci che odiavo, quanto si odia una prigione di cui hanno buttato via la chiave.
Per affrontare i periodi più difficili e riuscire a guardare al futuro con ottimismo sempre che alcuno avesse deciso di fare saltare in aria Insane Gloria.
Le ombre nella sala motori, faceva sembrare qualunque corpo animato o inanimato un mostro. Se fossi stato un trafficante di droga sicuramente non avrei temuto più nulla ma ero un semplice pescatore e temevo il male come un innocente che non cerca la tentazione per imparare a vivere.
"Ciao Timothy."
"Buonasera Julia."
L'ombra era la cosa che indossava meglio, forse era lei stessa un diavolo e come tale, solo la notte poteva renderla veramente preziosa.
"Aspettavi qualcuno?"
"Solo la Provvidenza."
"Mi sento in colpa per non averti parlato finora ma credo che tu ti sia fatto una ragione. Sei molto di più di quello che ho immaginato che riuscissi a diventare senza il nostro aiuto."
"Sono solo un marinaio che crede che il bene trionfi sempre."
"Sì, sì, è il tuo animo incontaminato a parlare, vedi, da piccolo eri così buono che ti levavi di dosso la camicia per darla ai ragazzi più poveri del quartiere, ti ricordi? Anzi credo che tu stesso andassi a cercarli per offrire quello che potevi. Per noi invece, questa cosa era un male perché nascondeva il tuo spirito vero e tutte le vessazioni di un popolo scampato allo sterminio."
"Non sapevo di un popolo nazista povero e maltrattato. Anzi non sapevo di un regno nazista sterminato dal nemico."
"Noi eravamo ricchi, eravamo la storia, noi stavamo costruendo un mondo nuovo, migliore e senza le barriere sociali che ora divorano la gente. La nostra coscienza ci ha tenuti uniti come una religione cara agli oppressi. Tu rappresenti la nostra nuova fede, la nostra stella e da adesso in poi non sarai più solo."
"Se … e fin adesso?"
"Non ti sento?"
"Stavo dicendo che potrei non ricordare."
"Ricorderai. Lo stress t'impedisce di pensare. Ma ricorderai e tornerai a essere dei nostri."
"Che fortuna … Non credi che io abbia già un'età accettabile per sapere quello che sono e cosa voglio diventare?"
"Non sono stata una madre normale e non saprei nemmeno interpretare certi atteggiamenti che dovrebbero venirmi spontanei come ad altre donne ma credo che tu sia stato come dire, il mio più grande amore."
"E Bert?"
"Oh lui? Beh … Una seconda soluzione. Nel caso tu non ce l'avessi fatta; devi comprendere che la nostra vita è stata sacrificata alla causa."
"Quale madre lascia alla sorte la vita di un figlio ancora incapace di decidere? Mi hai buttato via per rendermi consapevole di cosa? Di un mondo che va avanti mentre la storia cerca di uscire dal fango. Voi siete la storia e siete destinati a scomparire."
Julia dondolava la testa in segno di negazione. La sua serenità poteva anche sembrare un segno di follia ma era una pazzia conscia che la ragione riteneva necessaria per attuare i piani demoniaci che avevano in mente.
"Anch'io avevo detto a Filler che era troppo presto per lasciarti ma loro hanno vinto sulle mie perplessità."
"E avete realizzato Bert."
"Era un progetto che garantiva la sicurezza. Noi tutti esistiamo per assicurare la discendenza dei migliori."
"Io sono solo un marinaio."
"Tu sei l'eletto."
"Non sono un ingegnere."
"Credi? A sei anni facevi i calcoli infinitesimali a memoria e sviluppavi i logaritmi senza scriverli. A nove anni avevi costruito il tu primo bio motore, così lo chiamavi."
La lama della verità raggiunse con la sua punta la profondità fragile del cuore.
Gli occhi si chiusero per ricordare un ragazzino vivace e chiacchierone che portava in giro la testa di un dinosauro di carta chiamandolo Biomotore.
"Tu stai ricordando?"
Io non le risposi ma la vidi molto felice e molto agitata, tanto preoccupata da fuggire dalla porta per cercare uno dei suoi discepoli.
"E non temi di ricordare tutto?"
Non avevo ancora aperto gli occhi che gustai il suono dolce di quella voce.
"Sei qui?"
"Sono sempre stata qui ma era meglio che restassi nascosta."
"Non ti sentivo da molto e non sapevo come stavi. Come stai Eva?"
"Non tanto bene ma cerco di resistere."
"Sei ancora convinta che il tuo assistere a questa missione sia importante?"
"Sono convinta di dover rimediare a certi errori e se non riuscirò a tornare indietro per il piccolo … non importa, sicuramente qui devo finire un lavoro."
"Che lavoro Eva? Che nascondi nelle casse? Che cosa ti hanno promesso?"
"Solo soldi. Io ho fatto uno sporco lavoro solo per soldi."
"Cosa c'è nelle casse? Che cosa nascondono ancora?"
"Adesso te lo posso anche dire, in fondo siamo arrivare e non c'è più il rischio di rigetto."
"Un'altra infelice scoperta."
"La chiave."
"Che cos'è la chiave?"
"Una creatura."
"Un altro mostro, come me e come Bert."
"Come Filler. ", disse lei.
"Che significa come Filler?"
"Non è come Bert o come te."
"Un mostro?"
"Una cosa nuova. Un essere ma … diverso."
"E cosa dovrebbe fare questa cosa? Come sarebbe questa cosa? Organica? Meccanica? "
"Difficile dirlo a parole. Ma servirebbe a ristabilire il legame."
"Con chi? Con cosa?"
"Gli incroci della stessa specie e soprattutto tra consanguinei creano spesso mostri ma la nostra Musa è diversa."
"Se le parole fossero armi, voi avreste già distrutto il mondo."
"Sai, è una femmina! Abbiamo voluto che fosse una bella femminuccia e lei, non ha smentito le nostre attese. Sai perché si chiama MUSA, Timothy? Perché la nostra cara Eva è stata capace di separare le cellule di due individui per creare il dna completo solo di uno dei due. Il nostro dottor Filler è semplicemente una preziosa cassaforte molecolare. MUSA che significa molteplici unità semicellulari asessuate, è il nuovo tempio dell'avvento. L'unico problema che rischiava di mettere in forse la missione era la lontananza di Filler che come me, era stato oggetto di grave incidente aereo. Musa ha bisogno di frequenti trasfusioni di sangue per regolare il suo umore, per farla semplice. La nostra bambina ha una crescita lenta e piuttosto problematica ma ogni giorno ci rende fieri di lei. "
La voce di Heinz mi spaventò a morte ma vidi gli occhi di Eva calmi e capì la trappola. C'erano anche Bert e Julia a questo colloquio mentre Eva aggrottava la fronte appena sentito il discorso sulla bellezza di Musa.
"Tu!"
"Non ti ho tradito Tim."
Julia chiese a Eva di uscire per parlarmi.
"Se vuoi capire, dovrai solo chiedere, non c'è bisogno di raggirare l'ostacolo."
"Sapevate che le bugie hanno le gambe corte."
"Qui nessuno ti vuol mentire e abbiamo troppo poco tempo per convincerti che non sei uno di noi ma tu sei tutti noi."
"Non c'è strada di ritorno da questa cosa?"
Bert dondolava la testa e quel suo sorriso idiota era già lo schiaffo che si meritava.
"Vedrai che ricorderai tutto e poi non sarai più così arrabbiato."
"Io non sono arrabbiato, sono deluso e non da voi ma da me stesso. Sapevo dal primo giorno che sorta di gente eravate ma speravo di sbagliarmi. Io non sono fatto per questi intrighi perché non mandate avanti Bert?"
Filler arrivò portato in braccio da Klupp e in quel momento capì che Klupp era figlio di Filler ma non di Julia.
"Timothy?"
"Quanti mostri metti al mondo? Non sei stanco di vederti specchiare nei mostri?"
"Io ho solo figli sani, non vedo mostri qua dentro."
"Comunque il ragazzo ha ragione dobbiamo spiegarci meglio e raccontando tutto quello che abbiamo in mente di fare. Se lui deve essere il nostro Messaggero che sia trattato da tale, altrimenti è inutile stare qui a offendere la nostra e la sua mente."
Heinz fissava Filler come un puma, un piccolo topolino scappato dalla gabbia.
"Va bene ma potrebbe essere troppo presto e il suo ego precedente non avere il sopravvento sull'attuale personalità."
Heinz guardò Julia che fece spallucce, insomma io ero la loro cavia da laboratorio che non sapevano se liberare o no dal peso della malattia che lo affliggeva.
Loro parlavano, aspettavano, s'interrogavano mentre io cercavo di vedere dove si era nascosta Eva che non vedevo più.
"Aiuto! Accidenti!", si sentì gridare e la voce era di Modo che sembrava fosse stato punto da uno scorpione.
"Presto! Fate presto!"
Eva era partita con una slitta e un paio di grossi zaini. Se credeva di farcela doveva avere o una meta fissa o qualcosa in più di una tenda per passare la notte altrimenti sarebbe morta assiderata nell'inverno polare e sotto uno strato di neve così alto che l'avrebbe ricoperta in un paio d'ore.
Guardavo fuori e l'aria pungente era diventata irrespirabile. Erano quasi meno quaranta gradi e prima di mezzanotte sarebbe scesa ancora.
Nessuno la seguì e la cosa divenne ancora più interessante perché tutti loro, esclusi io e Modo si chiusero nella cabina per decidere.
"Eva è sparita con Musa!", gridava Bert angosciato per la perdita di chissà quale altro mostro della famiglia.
I piani cambiarono e cambiò anche l'umore della truppa.
Julia e Klupp cercavano un sistema per trasportare Filler facendo attenzione a non esporlo più di tanto alla fatica del viaggio. Filler restava sempre un prezioso rimpiazzo nel caso, i suoi figli fossero tutti morti nell'impresa.
Faticavo a capire cosa cercassimo veramente, si fosse trattato solo di una base nazista che potevano recuperare da un rudere abbandonato da più di sessant'anni?

La neve scendeva bella e ricca come una regina. Il buio era un blocco di ghiaccio impenetrabile e l'asfalto gelido alzava tutto un muro intorno a noi e null'altro se non il cielo, respirava la desolazione che ci chiudeva come un anello prezioso dentro il proprio regno. Il male in quel posto forse non era nemmeno il gelo e il buio che penetrava nel torace, tra le coste come una lancia con denti aguzzi e affamati di respiri caldi.
Ogni sforzo e ogni fatica, noi le sentivamo il doppio. In mezzo alla neve nessuno impara a camminare, è solo un lento trascinarsi i piedi come se la consapevolezza dell'oblio fosse una barriera invalicabile. Qualsiasi meta in mezza al nulla diventa semplice chimera, qualsiasi desiderio di un posto e di un pasto caldo diventa miraggio e noi, sepolti fino alle ginocchia e più, avanzavamo nella nostra trincea di peccati come se cercassimo dopo questo grande sacrificio, l'angelo salvatore.
Il corpo resisteva a fatica alle percosse del vento, nemmeno la sigaretta restava accesa per più di mezzo secondo, troppo, troppo freddo.
Klupp era sdraiato con Filler in braccio e sembravano due fidanzati che nascondevano il segno della tenerezza dentro i fitti strati di pellicce che Heinz aveva rimediato dal guardaroba personale.
Le tute offrivano abbastanza riparo ma i piedi erano quelli che soffrivano di più.
Eravamo scesi dalla barca tutti quanti tranne Modo che sarebbe rimasto di guardia e per ogni emergenza.
Sulla prima slitta stavano Filler e Klupp, ed io ero la guida, mentre sulla seconda slitta c'erano Julia e Heinz con Bert che faceva da guida.
La cosa che mi faceva impazzire era che non avevamo alcun piano sicuro e tanto meno uno di riserva. Tutti noi, fuori dalla nave eravamo solo l'ennesimo pasto per la morte o dei vanesi che cercavano semplicemente di sfidarla.
Io non ricordavo nulla ma avanzavo nella speranza di liberarmi da quelle catene ereditarie e dalle colpe di aver aiutato gli ultimi nazisti a risorgere.
Se mai era esistito un momento in cui credere che fossi nella merda quello era il migliore. Tutti gli tsunami del mondo non potevano competere con l'arroganza rivoluzionaria di un esercito di resuscitati dalla storia.
I flash di memoria non erano arrivati puntuali come avrei sperato e avevo iniziato a credere che mia nonna avesse deposto i suoi insegnamenti nel nipote sbagliato.
Sarebbe stato troppo semplice attraversare la tempesta di neve e superare il gelo senza intoppi.
Bert marcia stringendo il fucile come se l'avesse potuto salvare dai denti della tormenta. Gli altri sopportavano stoicamente quasi vedessero già incoronati i propri sogni.
Ognuno usava uno spirito diverso per avanzare, io pensavo alla scelta di Eva, alla sua voglia di scappare e a Modo che avevo abbandonato sul ponte della nave con una pistola e tante promesse.



                                                                                                                                                Solo i tuoi ideali
                                                                                                                                                ti possono salvare
                                                                                                                                                dalle tempeste della vita
                                                                                                                                                ma nulla ti può salvare dal Diavolo
                                                                                                                                                che ti guida la mano contro un amico.


7

Volo senza paracadute

Avevamo tante corazze sull'anima da cui nessuno di noi si sarebbe più liberato. La mia stanchezza era diventata incurabile e il morale faticava a superare la soglia dell'accettazione di se stessi.
Camminavamo da più di otto ore e sfido chiunque provare a cercare una qualsiasi meta in mezzo a una furiosa tormenta perché quando la neve smise di cadere, la temperatura precipitò come un corpo lanciato da un aereo e senza paracadute.
Bert che sembrava fin troppo sicuro di se tanto che fece bloccare la slitta in un pezzo di ghiaccio galleggiante.
Se la Provvidenza fosse esistita, gli avrebbe spinto mezzo metro a lato verso la bocca del mare che attendeva come una puttana con la sottana alzata solo da una parte, le sue prede. Ma non ebbi tanta fortuna perché un'ora dopo, tutti noi eravamo nuovamente in marcia, verso un dove, un posto, non ancora nascosto in mezzo a quell'eterno Nulla.
Filler ed io non tenevamo fucili. Lui continuava a leggere dal suo libro a voce alta e quel canto mi sembrava così brutto da chiedere a Dio di anticiparmi la morte o rendermi sordo.
Era l'inizio del tramonto quando vidi una cosa che mi sembrava famigliare, sembravano statue gigantesche, qualcuna si era salvata dall'essere ricoperta di neve perché più esposta al vento e alla luce del sole delle altre.
Quei mostri grotteschi e grandi da sembrare colline avevano musi lunghi come i cani e l'oscurità imminente affilava le loro ombre come spade pronte a combattere. Davanti a tutti noi a ore dieci delle luci, luci artificiali che a me sembravano icone con aure sante verso cui indirizzare fiduciosi l'anima.
Non poteva essere un miraggio perché seppur il buio nascondesse bene la forma delle cose, i bagliori di quei fari seguivano contorni di quelli che parevano edifici.
In meno di dieci minuti, uno squadrone di soldati ben equipaggiati ci venne incontro. Non era un incontro fortuito e il primo a essere portato in salvo, al caldo fu Filler come se noi altri, potessimo resistere di più al freddo oramai prossimo a congelarci la carne.
Due squadroni di circa ventiquattro persone correvano per la stazione e nonostante la struttura da fuori sembrasse molto vecchia, gli automezzi e tutto il resto era molto moderno. Troppa gente, pensai, in un posto così piccolo.
Julia sorrideva come una bambina cui avevano tolto il moccio da naso col fazzoletto di seta mentre Heinz, sorrideva come una iena davanti a una fresca carcassa.
Klupp e Bert salutarono un uomo che poteva sembrare un militare graduato, anche se la tuta mimetica li faceva sembrare tutti quei uguali poveri fuchi addestrati per mantenere in vita una stazione di ricerca utile per chissà quale attività scientifica.
Non fu difficile capire che i corpi speciali non appartenevano solo all'esercito tedesco ma anche a quello giapponese. Certo che la torta da spartire doveva essere molto grande visto il grande dispiego di uomini.
Fui accompagnato dentro un fabbricato che si nascondeva tra costruzioni più grandi e più illuminate.
Nessuno mi parlò e tutto quello che avrei voluto chiedere, mi rimase dentro come una pietra sopra un pozzo.
Filler stava confabulando qualcosa e doveva essere talmente importante da aver riunito giapponesi e nazisti sotto la stessa bandiera.
Potevo immaginare, fin, dove poteva arrivare il loro sforzo, ma intuivo altresì che quella base non era BASE 211.
Non avrei mai pensato di lasciare il mare per fare da guida tra i ghiacci a sei nazisti fissati con delle idee strampalate, ma lo schiarimento di forze armate mi aveva fatto capire che nessuno è immune al proprio orgoglio.
Bert era entrato nella mia baracca senza nemmeno bussare.
"Che c'è la mammina ti ha buttato fuori?"
"Sei solo un cretino ma dicono che sei utile e voglio evitare altri commenti."
"Per così poco, ti facevo un genio di poche parole e leggermente misantropo non un cafone appesantito dal proprio ego frustrato."
"Se non la smetti, finirai col cacciarti in tanti di quei guai che mi pregherai per venirne fuori."
"Se io ti dovessi pregare allora, vorrà dire che la situazione non sarà solo pessima ma cattiva per tutti."
"Devi venire con me, Filler ti deve parlare."
Il suo accento irlandese che cercava di coprire quello tedesco era nauseante.
"Perché parlate tutti con accento irlandese?"
"Perché siamo cresciuti a Dublino, sai non erano periodi, dove propagandare la propria fede nazista."
"Ah, una fede?"
"Sì."
"Siete proprio fissati, ma tu che sei un ragazzo così intelligente perché continui con le fissazioni del vecchio storpio e della bella megera."
"Ti riferisci a nostra madre e a nostro padre?"
"Se ti fa felice accettare i mostri come tuoi genitori, sì."
"E' vero che tu sei solo il surrogato di Filler quindi pensa come penserebbe un surrogato e smettila di fare l'eroe perché non lo sei."
Bert aprì la porta e mi aspettò sull'uscio.
"Comincia la festa!", gli dissi divertito mentre nei suoi occhi si leggeva l'impazienza.
"L'impazienza, è un segno di debolezza, amico mio." Disse tirando fuori i suoi denti bianchissimi che sembravano più il ringhio di un cane che il sorriso di un uomo.
"Io non sono tuo amico! ficcatelo bene in testa!"
"Ma!" volle rispondere lui ma a quel punto, il grido di Bert non lo poteva sentire nessuno perché il vento viaggiava a un volume molto più alto.
Rivedere la sacra famiglia unita, era un po' come ritrovare all'inferno tutti i miei nemici.
Non avevo idea a cosa potevo servire io che conoscevo solo la posizione delle stelle quando navigavo senza bussola.
La storia della base nazista era diventata una pagina reale della mia vita, passo che avrei cancellato subito e volentieri ma che capivo sarebbe stata una cosa difficoltosa. In quel momento ero circondato da un esercito di mercenari e nazisti febbricitanti per chissà quale prossima scoperta e di cui forse io ero la chiave.
Filler mi aspettava seduto sopra un trono fatto di decine di tubicini che portavano liquido di genere diverso ad aghi infilati sottopelle.
I suoi occhi bruciavano di una sorta di gioia insana che io in teoria avrei dovuto condividere, almeno per salvarmi la pelle.
"A, a, bbi, bbiamo t,trovato un'al,tra po, po, rta, fo, fo,rse gli e, es, pe, pe, rimenti di, di Heinz no, non so, so,no a, a, ndati a bu, buo, on fi, fi,ne e tu se, sei ri, rim,masto un li,b, bro si,si,gil, la, lato che po, potrà essere in a, al, lcun mo, do u, tile alla no, no, nos,stra ca, causa ma con, co, nfido in un tu, tuo p, pro, rossimo re, recu, cu, cupero di mem, meoria."
Mentre lo ascoltavo, immaginavo un gatto che parlava al pesce dentro l'ampolla e sinceramente mi parve di sentire alla fine del suo discorso un altrimenti, condizione sine qua non per restare vivo.
Di Eva non mi parlarono sebbene le loro facce stessero trasmettendo una trepidazione continua e d'innegabile nervosismo.
La creaturina di cui ignoravo le sembianze, serviva come servivo io e sicuramente c'era parecchia gente la fuori sotto sessantacinque gradi a cercarla.
Il campo base era diventato una fonte inesauribile di rumore; ovunque si trivellava sezionando edifici congelati dove si sospettava ci dovessero essere anche dei resti umani che però non furono trovati.
Dopo due giorni di buchi che non mostravano l'ingresso che Filler, Bert, Heinz e Julia giravano e studiavano ogni centimetro quadrato della base come se fossero dei cani da fiuto.
Pensavo continuamente alla mia barca e alla sopravvivenza di Modo. Anche volendo, non potevo scappare, quei miei pseudo parenti erano come i vampiri e la loro corruzione mentale superava notevolmente la pietà umana di cui credo non conoscessero nemmeno il significato. Tentare una fuga sarebbe stato come dare loro il pretesto per un nuovo esperimento umano oppure un safari dove ero io la preda e non un animale.
Come tutti i pezzi del loro puzzle, la mia figura per quanto importante, poteva essere sostituita ma ci sarebbe voluta un'altra spedizione, sicuramente un altro figlio capace di ricordare i dati che la nonna nazista aveva scritto nel mio DNA e che non aveva preservato in altri dopo la sua morte. Il rischio di una seconda missione sarebbe stato maggiore e col tasso di fallimento molto più alto.
Decisi di giocare bene le mie carte e di assecondare ancora per un po', quei mostri; nutrivo la speranza di uscire vivo da quella faccenda che avrebbe potuto ispirare un qualsiasi moderno racconto dell'horror.
La vita in quelle casette che io denominai lattine, era una lunga preghiera di soccorso perché la noia più che la paura della morte uccideva lentamente, i miei pensieri.
Quando pensavo a Eva, sentivo molto di più l'oppressione del muro ghiacciato che mi chiudeva dentro come una vecchia e opprimente prigione e ovunque lei si trovasse, speravo fosse in salvo e molto più al sicuro di me.
Le visioni che avrei dovuto avere non c'erano e avevo persino smesso di sognare da quando eravamo arrivati alla Base Akura.
Tutti i soldati che si davano da fare intorno a me parlavano lingue diverse ma nessuno di loro l'inglese. Il giapponese o il tedesco si mescolavano in un grido continuo di voci o di lamenti. Il lavoro sottoterra era diventato difficoltoso e molto certosino. Alcuni ingressi bisognava fare attenzione ad aprire perché si rischiava il crollo di tutta l'area. Da quello che avevo capito la Base che cercavamo si chiamava Base 211 e noi in quel momento ci trovavamo nella Base Akura che sicuramente aveva un collegamento con la prima. Sotto i nostri piedi si diramavano decine se non centinaia di gallerie naturali lunghe più di trenta o quaranta miglia.
Quando arrivò la bella notizia, io fui l'ultimo a sapere, meno male che Filler ci teneva che io fossi presente al grande evento così fui portato da due ragazzoni col muso lungo nell'ultimo fortino del campo, dove la trivella aveva riportato in superficie pezzi di carne umana congelata e una pietra di natura meteoritica che portava strane incisioni sul margine.
"Sicuramente è un pezzo di una cosa molto più grande.", raccontava Heinz a tutti i presenti che cercavano di capire cosa fosse.
Julia invece s'interessava del materiale biologico ritrovato che mostrava il mezzo cranio umano con i capelli lunghi e l'occhio chiaro aperto.
La materia cerebrale aveva l'aria di un sasso che si poteva bucare a piacere fino a farci un ciondolo. Ma Julia lo teneva in mano e lo osservava con una sorta di ammirazione e delizia demoniaca come se volesse asportare i ricordi da quell'occhio vitreo spalancato fino all'inverosimile e che lasciava intendere il terrore che una povera donna doveva aver vissuto.
Il macabro trofeo divenne l'offerta, il premio, il tesoro per quei mistici esploratori dell'Inferno.
La pietra invece sembrava avere una particolarità che a me scappava ma che non sfuggì a Heinz. In meno di cinque minuti, il reperto fu chiuso in una borsa termica e portata alla prima baracca che fungeva da laboratorio sebbene metà delle sue attrezzature non fossero più utilizzabili dopo il congelamento.
La loro ilarità divenne contagiosa tra tutti i soldati e la scoperta sebbene importante per me, non aveva aperto, alcuna nuova porta per la missione.
Filler, l'uomo deforme dalle idee diaboliche cercò una spiegazione alla fossa di corpi che giacevano a meno di ottanta piedi sotto di noi; corpi tutti stropicciati come se fossero stati investiti da qualcosa che aveva giocato con le loro ossa così come i bambini giocano a Shangai.
Per scongelare tutte le persone del primo blocco ci sarebbe voluto un mese di lavoro e stanze adeguate cose che a noi mancavano.
Filler decise di scavare attraverso i corpi per sbloccare lo strato di ghiaccio che c'era tra noi e la pietra che si pensava un reperto archeologico antico ma rilevante.
Ero certo che la mia famigliola mi nascondeva qualcosa che sicuramente non avrei nemmeno compreso, ma l'agitazione che li animava aveva cominciato a disturbare non solo me, ma anche i soldati che si rifiutavano di torturare quella massa di cane umana buttata nella caverna come offerta per i pesci.
Da quando li avevo conosciuti, ero diventato un raffinato ascoltatore e visto che la mia progenie avrebbe portato il sangue di un dittatore quale migliore causa se non quella di combattere in casa e sul nascere quel cancro invisibile.
Se avessi trovato una formula o rimediato dell'esplosivo, sicuramente la cosa avrebbe avuto la fine che si meritava ma avere un'arma più grande di una colt, significava avere un nascondiglio che loro non avrebbero potuto trovare perché Julia oramai usava tutti i satelliti per grattare ogni centimetro di suolo e se avesse voluto, avrebbe scoperto persino di quale colore erano le mie mutande.
Non temevo la morte ma avevo paura della fine che avrei fatto, se fossi diventato un vegetale pronto a essere spolpato dalle loro menti ingorde.
Volevo sfuggire a quell'esperimento prima di scoprire che sarei stato spezzettato per chissà quale altra giusta causa in nome di un Reich defunto.
Nonostante la mia feroce insonnia che mi perseguitava come un boia con la sua ascia affilata in mano, la notte del macabro ritrovamento feci un sogno terribile, in quell'incubo, Julia guardava nella testa vuota di Modo mentre io ne reggevo il cervello.
Mi svegliai in preda ai brividi e alla nausea ma non ebbi il tempo di riprendermi che un boato come un pugno dritto alla pancia del mondo ci ingoiò l'udito con tutto il suo fragore.
"Correte dannazione! Correte tutti!", ripetevano la voce della gente che filava verso l'uscita del campo base con le torce in mano e i mitra puntati verso il basso; solo le armi erano l'unica campana d'allarme, in quel silenzio postumo al rumore.
Cercai i guanti prima di unirmi a quel branco disordinato di menti assalite dalla paura. Dentro di me ridevo perché alcun cataclisma poteva valere quanto la potenza di uno tsunami; quei ragazzini non avrebbero superato l'onda nemmeno se questa non avesse superato i sette metri cioè l'altezza minima per un surfista professionista.
Ero sempre stato un tipo ordinato e meticoloso forse per questo motivo mi ero salvato da quelli eventi tragici che mi avevano attraversato la vita. Capitan Charlie mi diceva che ero un osso troppo duro persino per i lupi che correvano affamati d'inverno; era un sottile complimento il suo ma sapevo che a volte quel lato ruvido del mio carattere avrebbe alla fine, incassato i suoi colpi.
Riordinai i pensieri e cercai di comprendere di cosa avevano paura quei militari addestrati per combattere anche contro Cerbero stesso se fosse stato necessario.
Ma la natura è il peggior mostro che noi si possa temere quando decide di sostituirsi a Dio nel farci pagare per i nostri peccati.
Il secondo boato arrivò più spaventoso del primo e tutte le nostre attrezzature furono risucchiate in una voragine che sembrava non poter contenere il proprio perimetro.
Tutti noi stavamo correndo in direzione della valle ma la terra tremava come un setaccio, dove i grani di farina più fini sarebbero caduti sul fondo scuro che si mimetizzava in fatto di tenebra con la lunga notte polare.
Durante la fuga mi venne spontaneo pensare a Klupp che sembrava essere stato inghiottito dal nulla. Bert non faceva parola di lui e nemmeno gli altri così mi dovevo accontentare di supposizioni. Le mie gambe correvano come se fossero state alimentate da un vagone di zucchero mentre il fiato contro quella temperatura che avrebbe buttato giù un elefante in meno di otto secondi, era sconfitto in partenza.
Insane Gloria la mia piccolina, mi mancava e mi mancava il mare che non macinava come noi umani l'orgoglio e la presunzione.
Doveva esserci un limite per certi esseri che immaginavano di dirigere il mondo come un'orchestra cui spremere le energie per una causa molesta e volitiva.
Nessuna vita potrebbe dirsi superiore all'altra solo per governarne le potenzialità. La morte ha sempre il sopravvento che sia di buona o cattiva pasta l'essere in questione.
Io avrei voluto sveltire le pratiche con Lucifero perché se non ci fosse stato scampo a quelle ricerche delittuose, l'umanità avrebbe trovato governo sotto un angelo ancora più nero di quello cacciato da Dio.
Eravamo tutti fermi sull'orlo di una straordinaria voragine, tutti figli di un silenzio cannibale e subdolo mentre di tanto in tanto, pezzi di struttura bianca cedevano al baratro e un altro di noi cadeva, lasciandosi dietro il suo urlo di fragilità.
Quelli che morivano erano sempre i più giovani e i più inesperti, ragazzi che combattevano non l'onore o per la gloria ma per sporco denaro che non avrebbe mai parlato del loro sacrificio.
Quel buco che osservavamo con le torce e l'ultimo faro rimasto attaccato al generatore del fabbricato ovest illuminava solo gli strati superficiali del mostro.
Sei cento piedi appena s'intravedevano della sua ugola nera mentre se ci fosse stata una giornata soleggiata, il mostro di ghiaccio avrebbe mostrato qualcosa di più dei suoi segreti che noi cercavamo di rubare dall'alto.
Trasferimmo tutte le cose rimaste nell'ultima baracca sperando che la voragine non decidesse di aprirsi nella notte.
Dei trentadue soldati ne rimasero quindici più noi altri ma senza Klupp che nemmeno Bert o Heinz o Julia, sapevano dove fosse sparito.
La mia idea era che era andato a cercare Eva perché senza la Chiave la loro missione valeva quanto un bastoncino senza leccalecca.
La Base Akura non nascondeva solo un segreto ma un vero baratro di segreti. Mentre ci allontanavamo la mia torcia illuminò un punto dalla parte opposta del buco, un punto ad appena venti metri sotto il suolo. Qualcosa di grigio come una massa di ferro o una coda usciva fuori dal ghiaccio.
Il freddo opprimente ci costrinse a rientrare ma quella scoperta valeva l'intera disgrazia, almeno era stato questo il pensiero di Julia prima che entrasse nell'edificio dove l'atmosfera sembrava caraibica.
Il pezzo di pietra non era un reperto primitivo ma un elemento linguistico avanzato. I pezzi decorativi che lo ornavano seguiva una scia di punti che convergevano verso una linea avvolta a spirale il cui centro potevamo immaginarlo posto sul rimanete grosso portale crollato con altre diecimila tonnellate di neve e ghiaccio.
Mentre Filler, Julia e Heinz studiavano da vicino la pietra avanzando decine di ipotesi io mi accorsi di sapere per intero il suo significato.
Un ricordo e nulla più, una matrice nella memoria che parlava quello stesso linguaggio e che mostrava l'immagine intera di un coperchio, un immenso coperchio di ghiaccio scuro che un oggetto simile a una punta d'acciaio aveva inciso.
Non c'era nulla di umano in quel messaggio. Non c'era alcun invito benevolo a perseguire nella ricerca dell'ingresso. Io stesso temevo quello che parlava dentro di me perché emetteva suoni alieni del cui orrore non sarei mai in grado di scrivere.
Se qualcuno mi avesse indicato come un tipo suscettibile avrei detto che è un pazzo ma certi rumori nella mia testa cominciavano a logorare come si logora la cinghia del motore dopo anni di funzionamento. Per anni avevo taciuto a me stesso quella voce, per anni avevo cercato il modo di chiuderla in una stanza dell'intelletto dalla quale non farla più uscire ma l'energia emanata dall'oggetto nelle mani di Julia aveva aperto senza riserve i posti segreti dove avevo nascosto le mie paure di bambino.
Era notte fonda, tutti ci eravamo addormentati pigiati alle pareti della struttura come cuccioli smarriti aspettando l'alba o un brandello di luce che ci aiutasse a risolvere la situazione, quando un gruppo di individui con strane tute e maschere sul viso fece irruzione spaventandoci.
"Chi è Filler?"
"L'uomo deforme sorretto da Heinz e da un soldato molto giovane cercò di mormorare qualcosa di molto confuso."
"Bene. Tutti gli altri si alzino e indossino le maschere che vi forniremo. Senza, morirete vi avverto."
L'uomo chiamò un altro dal suo gruppo d'intrusi che prese in braccio Filler e lo portò in una specie di cabina a uovo che scivolava sulla neve senza lame o sci.
Pensai a Capitan Butz che certi individui non li avrebbe sopportati nemmeno da morto e fu il momento in cui decisi di seguire gli insegnamenti del mio mentore.
Con molta probabilità ci porteranno in un altro rifugio più sicuro e più caldo di questo, di sicuro non hanno nulla a che fare con i nazisti,
pensai mentre m'infilavo la maschera e uscivo per guardare cosa stesse combinando quel battaglione di uomini sprecato per due miseri superstiti.
La mia meraviglia si perfezionò sulla tecnologia con la quale stavano sciogliendo il ghiaccio per fare una sorta di tappo all'abisso circolare di oltre duecento piedi e fu spontaneo il grido di soddisfazione che usci dalla mia bocca quando lo chiusero completamente e alcuni della banda ci correvano sopra con quei aggeggi a forma di uovo.
Siamo oltre la fantascienza pensai.
La mappa nella mia testa nel frattempo stava prendendo forma e già si vedevano le gallerie che correvano sotto i nostri piedi per centinaia di miglia.
Julia, l'unica che non aveva battuto ciglio, era corrazzata emotivamente persino contro un attacco nucleare e quella fragile femminilità era solo un ago di siringa pieno di veleno. Mi aveva studiato per ore finché prima che ci portassero via, riuscì a leggere in me una sorta di cambiamento, cosa che mi era sfuggita e che non ero bravo a nascondere.
"Tu hai ricordato tutto vero?"
La sua voce s'insinuava nel mio orecchio con un sibilo da serpente.
Io agitai la testa in segno di negazione ma la vipera aveva capito tutto, tanto che gli occhi le brillavano come fiaccole calde, unica cosa che la rendeva umana.
"Né Heinz né Filler lo sanno vero?"
Io la spinsi verso la porta, dove vennero altri due sconosciuti a prelevarci. Ognuno di noi fu chiuso in un uovo che iniziò a scivolare sul ghiaccio come se fosse in assenza di gravità. La corsa che si rivelò come un vero e proprio volo finì davanti a un grande edificio completamente rivestito di ghiaccio da dove usciva gente con le stesse strane tute e le maschere sul volto.
In quei brevi ma tosti, momenti di panico, il mio pensiero si concentrò su Eva, sulla donna fuggiasca e sulle poche possibilità di sopravvivenza che poteva avere in un posto come quello. Pensavo a lei e all'essere che nascondeva come un ladro, un prezioso fucile, chissà se l'avrei mai rivista e in condizioni meno avverse?
I rapitori che sembravano un esercito. Non si capiva bene, di quale nazionalità fossero, anche se ogni tanto ci passavano accanto come degli automi capaci solo di eseguire gli ordini e nulla più.
Avevano una strana premura nel buttare del ghiaccio liquido sull'edificio come se stesso estinguere un fuoco. La velocità di quelle azioni stava significava che l'urgenza di finire era prioritaria e i pochi guardiani che badavano a noi prigionieri aspettavano con gli occhi, o quello che potevo indovinare ci fosse dietro la maschera, fissi sulla struttura. Quella che prima sembrava una specie di edificio era diventato in meno di cinque minuti un cono di ghiaccio e mi domandavo il perché il quella cosa strana quando un urlo terribile arrivato con una follata di vento ghiacciata rispose alla mia domanda.
"Viaaa, tutti dentroooo!", una voce arrivò dall'edificio che pareva avere amplificatori potenti e mi domandavo se non era una balera a cosa potevano servire all'aperto.
Ma il ringhio o quel suono tremendo che risvegliò il sangue nelle nostre vene ci spinse verso una porta che si apriva come un ponte levatoio e che era di spessore impressionante. Sarà stata di un centinaio di tonnellate o più e alta due volte lo scafo della mia barca, una nuova domanda sorgeva nel mio povero cervello, chi ci doveva entrare di così alto da dover fargli un ingresso di più di sedici metri?
Tutti eseguimmo volentieri quegli ordini. Fummo spinti dentro e senza molto garbo perché appena l'ingresso si chiuse e due sbarre d'acciaio uscite dalla montagna di ghiaccio lo sigillarono, si udì un urto violentissimo come di un aereo che andava a schiantarsi contro la porta.
La cosa là fuori, cercò di abbattersi contro di noi per un paio di volte ancora, ma l'insuccesso credo, la allontanò e questo si capì dal fatto che le sirene dentro il complesso, smisero di urlare nei nostri timpani e i rapitori si tolsero le maschere rivelando il proprio volto.
La mia sorpresa non fu poca nel vedere che quelli che ci rapirono, erano la copia esatta di quelli che m'incaricarono di questo viaggio. Sulle vie interne del complesso, maestoso e ricco di piazze e di locali, circolavano come maschere di un triste teatrino un sacco di Julia, di Filler, di Heinz, di Klupp e … di me.
Quei cloni mi spaventavano più del mostro che avevano rinchiuso fuori. Come mai il mostro non ci aveva attaccato prima? Che cosa aveva a che fare con quella strana base posta al centro del continente e congelata dall'esterno come un cono gelato la cui identità restava sepolta nei ghiacci?
Mi sentivo solo come se fossi stato abbandonato dalla civiltà o come se ci avessero cancellati tutti prima di copiarci in scala.
Quei tutti me affaccendati con i visi incollati a una maschera senza espressività mi sfioravano le spalle come se io e solo fossi uno di loro mal riuscito, un ingranaggio difettato, sicuramente sostituibile in quella società di esseri automi che nonostante il letargo caratteriale conoscevano molto bene la paura. Pensai che non tutte le speranze fossero perse. Dei miei amici per modo di dire, non c'era traccia e persino i soldati che trovammo al campo giapponese erano spariti.
"Sig. Hooc?"
Mi girai verso la balconata interna e vidi un volto conosciuto. Era Filler ma un Filler molto più giovane e privo di tutti gli handicap che lo rendevano una bambola molliccia e bisognosa di continuo sostegno.
"La prego non si faccia attendere, si unica a noi. Lei qui, è necessario, più di chiunque altro ed è davvero tanto tempo che noi tutti la aspettiamo."
Non volevo deludere questa loro entusiastica cortesia e raggiunsi uno degli ascensori scortato da un Bert che a differenza del vero taceva, mancava di abbronzatura e non dava cattive occhiate.
"Ecco il nostro Messaggero!", disse cercando di sorridere e stringendomi con forza sovrumana entrambe le mani. Aveva la pelle del volto tirata come fosse appena uscito da una sala operatoria dove il lifting gli aveva congelato il volto e l'aveva reso immune a qualunque espressione dello spirito.
"Ancora con questa storia!"
"Vede lei è la nostra guida, le sue conoscenze ci libereranno dal peso di un'estenuante prigionia in questo deserto di ghiaccio."
"Non capisco?"
"Adesso, la condurrò in un posto, dove sono certo che ricorderà tutto. Credo che stia apprezzando la nostra base e spero che questo nostro aver voluto anticipare i tempi, sia un punto favorevole al giudizio finale che vorrà placidamente dare. Noi abbiamo eseguito al meglio gli ordini lasciati nonostante qualche piccolo problema e mi riferisco allo Sckohgit, davvero antipatica quella creatura."
Seguivo meno della metà del discorso fantastico e quell'essere che avevo davanti, non si capiva a quale gioco giocasse.
"Sckohgit?"
Filler si girò per guardarmi e i suoi occhi perfettamente blu mi raggelarono, non per il colore, ma perché dentro aveva una luce malata e aliena, una luce fredda che comunicava una cosa sola, morte."
"E' stato il primo e unico sbaglio del Portale. Non eravamo preparati ad affrontare gli errori e non ci aspettavamo a dei dati imprecisi, noi obbedivamo ciecamente alle istruzioni del Messaggero e solo dopo la scissione ci siamo inventati questa barricata, nonostante lui possa assorbire il freddo per sopravvivere, non riesce a demolire la struttura perché teme la cosa più ovvia di tutto questo."
"Un essere inventato da voi che teme qualcosa?"
"Sì. Non è stupido mi creda, è solo arrabbiato perché è un non voluto. Il Messaggero non aveva lasciato direttive per lui e la sua natura non è ben accetta, a volte assorbe l'intera energia della struttura e temo che presto riuscirà a trovare la forza necessaria per sopraffarci, per quello speriamo che il Messaggero ricordi, per salvarci tutti."
"Così come avete creato questo mostro di sicuro riuscirete anche a ucciderlo che ci vuole?"
"No! Non è lui il nostro problema. Come dicevo lui teme qualcosa e più precisamente le malattie. Noi siamo stati vaccinati alla nascita ma lui non ha alcuna difesa contro i virus che potremmo trasmettergli con un semplice starnuto. Io mi riferivo a quello che aspetta tra i ghiacci di essere liberato, se non lo uccidiamo, lui ucciderà noi."
"Ragazzi ma io cosa c'entro, sono un semplice marinaio? Lei che è Filler, il vero unto dal Padre, l'erede di tutti gli ariani dovrebbe saperlo."
Filler finse un sorriso che restò forse nella sua impressione come un tatuaggio lavato dal laser ma con la matrice sottopelle.
"Io sono ciò per cui sono stato creato. Il Messaggero ha le risposte e saprà come dovremmo difenderci dal dormiente. Nessuno che entri in questo posto è un semplice essere umano, mi creda."
"E sarei io? Io non conosco nulla se non come riparare la mia barca e alcune scorciatoie sulle mappe marine. E' vero ho anche un debole per la birra danese e il tabacco cubano ma chi non ha dei piccoli difetti? Ma dove sono gli altri? Intendo le persone che erano con me e l'altro Filler che le somigliava ma che non era proprio in forma …"
"Io amo coloro che mi amano
e quelli che mi cercano mi troveranno."
"Questo è uno di quei giochetti che Filler faceva con Modo."
"Proverbi 17."
"Ma allora sei il vero Filler?"
"Sono figlio del Messaggero."
"E chi sarebbe il Messaggero?"
"Tu."
Non ne potevo più di quei giochetti con mille pedine clonate da una sola figura, non ne potevo più di fuggire dai fantasmi di quelli che mi avevano buttato su quel continente ghiacciato per cercare una base nazista che doveva per un qualche motivo, restare sepolta per sempre.
Io non ricordavo i dati che mi avrebbero portato fin dentro quella casa di tesori nascosti che ad altri facevano gola più dell'oro. C'era una voce dentro me stesso che mi diceva di fare attenzione, di non credere alle loro promesse e ai loro discorsi, quella non era gente che ringraziava una volta ultimata l'operazione, di sicuro se fossi stato un clone anch'io mi avrebbero eliminato senza battere ciglio.
Per salvarmi sarei dovuto scappare da quella piramide in mezzo al nulla costruita per difendersi chissà da quale mostro ma il pensiero della mia Insane Gloria e di Modo, mi davano abbastanza coraggio per tentare qualche ultima carta.
Quello che sapevo di certo che non ero furbo, non potevo barare con gente che aveva calcolato fin nei minimi dettagli le loro mosse ma potevo stare attento ai particolare e al momento giusto … scappare.
Essere il Messaggero doveva avere una certa importanza quindi potevo essere considerato un intoccabile, una sorta di totem che avrebbe gli avrebbe aiutato nella loro impresa. Dovevo capire meglio di cosa si trattava.
Le evasioni mentali di Julia e di Filler non aveva spiegato il fine della missione né riuscivo a percepire dei doni in me che mi avrebbero reso il Dio dei nazisti.
Quel posto in fondo al mondo, costruito con capitali colossali, pensavo avesse una destinazione del tipo "Il concepimento dell'Anticristo.".
La speculazione ovvia non aveva materiale per una confutazione meno indubbia di quella personale. Navigavo anzi meglio galleggiavo come una zattera in assenza di vento sopra acque poco profonde ma molto più insidiose dello stesso oceano.
A un certo punto gli occhi di Filler divennero piccolissimi e la rampa dove camminavamo iniziò a dondolare, prima lentamente poi ebbi molte difficoltà a stare in equilibrio.
Qualcosa fuori dalla struttura colpiva con furia devastante e il rumore era spaventoso come se un tornado fosse penetrato dalle mura e noi eravamo lì nella sua balia, indifesi.
Guardavo Filler nella speranza di vedere la tranquillità nei suoi occhi ma stavolta tutto era cambiato, il viso contratto significava che era molto più preoccupato di me.
La cosa sbatteva incessantemente con odio e con prepotenza, l'intesa base era un fremito di piccoli esseri che correvano verso un rifugio sotterraneo dove Filler mi chiese di accompagnarlo.
"Tanto non reggerà a lungo, probabilmente sa che sei qui!"
Lo guardavo con una certa confusione.
"Perché quella cosa dovrebbe sapere di me?"
Il suo mezzo sorriso fu la logica risposta a una domanda illogica.
"Tim, certe cose esistono e basta. Penso che tu sia un uomo di fede, ebbene come ti spieghi il credo o la speranza? La forza di certi sentimenti è insita nel loro stato e non nella ricerca che facciamo per capire da dove scaturiscono. Ciò con cui abbiamo a che fare è come … fammi pensare, è come una vecchia dottrina, una religione senza discepoli."
"Perché quando parlo con voi, non trovo mai chiara alcuna risposta?"
"Perché se ti dicessi, c'è un mostro la fuori, un alieno arrabbiato che ha bisogno di te per recuperare le proprie forze, tu mi crederesti?"
"Credo di no ma se lo vedessi …"
"C'è un tempo per tutto. Sai noi non siamo i suoi nemici ma semplicemente dobbiamo tenerci lontani da lui finché tu non avrai recuperato la memoria. I codici, i sogni sono fondamentali per recuperare i codici della madre. In quei codici c'è tutto il nostro futuro, compreso il tuo."
Quelle parole sapevano di astuzia terminale. Non ero più confuso ma mi conveniva farlo credere almeno finché non avrei deciso come tornare indietro, anzi meglio dire, come evadere da quello schifo.
Il mio ego conosceva da sempre una felicità semplice che vantava un breve riposo dopo pesanti traversate e una birra in compagnia di qualche vecchio buon amico.
Non mi erano mai piaciuti gli sbruffoni e i progetti spettacolari, quelli che la gente offre come prototipo di un'insana ricerca di sé, di un aspetto appetitoso ma un midollo da puzzare oltre gli strati abbondanti di profumi costosi.
Non ho mai avuto nulla di cui vantarmi se non della proprietà dell'Insane Gloria che vestiva più di ogni altra cosa il mio carattere.
Le cose ottenute col sacrificio sono le più preziose e questi uomini volevano riscattarsi da una guerra persa semplicemente leggendo nel mio cranio codici segreti.
La felicità quegli esseri non la conoscevano né potevano mai arrivare a comprenderla perché più che i loro sogni, loro seguivano una filosofia e si sa che le filosofie, se di dubbia mandata portano alle guerre.
Il mostro continuava la sua crociata, ogni colpo sembra un detonatore che faceva esplodere una montagna di dinamite.
Camminavamo sulle rampe che portavano verso gli ascensori col timore che da un momento all'altro la struttura si sarebbe squarciata come un castello di carte attaccato dal fuoco.
Quel porto mi dava la nausea, era pieno di fili d'acciaio che sorreggevano centinaia di rampe sospese nel vuoto e che portavano verso altre strutture blindate da dove stranamente non usciva nessuno per mettersi in salvo.
La cosa sembrava acquietarsi ma quando pensavamo di essere arrivati davanti agli ascensori una forte ondata di vento gelido ci investì in pieno. Prima di perdere coscienza ricordo di aver visto nel buio delle luci, delle iridi fluorescenti che tagliavano l'aria polare, diventata padrona e senza molto sforzo, di una base militare.
Avvertivo in me una presenza ancora più cattiva di quella che stava penetrando in quel luogo di soldati. Era come se avessi sostituito Ripley e come lei, temevo di concepire un alieno che avrebbe guidato le sorti di quei mercenari verso una rivoluzionaria salvezza.
In un certo senso ero fottuto, due volte, la mia nave e il mio amico potevano essere in fondo al mare o peggio, bloccati nel ghiaccio e senza via si scampo e la fuga nel buio antartico non poteva che generare un ennesimo morto.
Avevo affrontato mali peggiori e muri d'acqua da credere che ci fosse stata l'Apocalisse, ma non avevo affrontato il nulla, il vuoto e soprattutto la vanità umana che in certi casi è la peggiore prigionia in cui uno possa trovarsi.
In fondo ammiravo quella cosa che combatteva solo per se stessa, io non ero più in grado di farlo e qualcosa della sua forza espressiva mi ricordava me quando avevo davanti al muso duro del mare.
Io non sono mai stato un soldato e non avevo mai nemmeno provato a esserlo ma questo non significava che sarei stato inerte per molto.
Tutti gli esseri dotati di una benché minima intelligenza, si cercherebbero una via di scampo alternativa.
Il mio aguzzino non era il mostro dentro la struttura ma quello che portavo dentro e di cui non sapevo nulla.
Non avevo ancora chiaro il progetto dei nazisti. Se io fossi stato un altro dei loro cloni, sicuramente ero l'ultima via di salvezza.
Comunque fossero andate le cose e chiunque mi si fosse messo davanti, dichiarandosi il padreterno, credo che l'impassibilità sarebbe stata la mia migliore mossa. In mezzo ai matti non è cosa utile fingersi un medico. Mi mancava il mare e quel delirio di mostri e non, rendeva difficile la realizzazione di un piano logico.
Tutti i dati in mio possesso erano materia di elucubrazioni, condite da una fede verso il dittatore più delirante della storia.
Ogni passo avanti, erano mille indietro.
Il vento che sembrava un mostro, pareva avere capacità intellettive e da come si muoveva nell'area, più che voler distruggere tutto e tutti, sembrava cercasse qualcosa, qualcosa che gli apparteneva …
 

 

                                                                                                                                                  Peggio del canto di un cigno
                                                                                                                                                  c'è solo l'ostinazione di un ardire
                                                                                                                                                  che non si possiede.


8


Dove tutto sembra, ma nulla lo è.

Ero chiuso in una stanza circolare fatta da finestre azzurre e tutti questi infissi davano su una specie di alveare, pieno zeppo di neonati.
I neonati che urlavano erano prelevati senza molta delicatezza, da una pinza metallica mentre quegli rimasti, venivano imbottiti con una secrezione lattosa tramite endovena.
Sembrava un alveare di giovani api, una struttura perfetta che non necessitava maggiori attenzioni di quelle che già aveva.
Non capivo perché ero stato portato lì; i miei ricordi non riaffioravano e quella struttura mi sembrava una specie di fabbrica di mostri o cloni, come preferite, film che avevo più volte visionato in televisione e che sinceramente non mi sembrava proiettato sul futuro.
Quello che vedevo in tutta l'improbabile non era molto peggio di quello che pensavo volessero fare con quei bambini.
L'emicrania continuava a colpirmi con flash luminosi che lasciavano spazio solo a un imbuto buio dove non scorgevo via d'uscita.
Forse ero svenuto perché sentivo come se viaggiassi in un sogno dove L'Insane Gloria aveva la stiva carica di pesce e il mare alzava onde dolci come le donne di Guadalupe. Avevo dimenticato le ultime avventure e chi fossero i miei compagni di viaggio, avevo dimenticato l'inospitale posto, dove eravamo approdati. In me convinceva solo una lieta sensazione di benessere che mi proteggeva da qualcosa nascosto nel mio capo, qualcosa che faticavo a trovare tanto bene era nascosta.
In questo sogno mi sentivo onnipotente, non una cosa come sparare fulmini o volare anche se nei sogni ci si può alzare da terra anche sprovvisti di ali, ma una sorta di forza genetica che avrebbe potuto ostacolare cose come le malattie o la morte.
Era davvero inspiegabile quell'emozione che mi toglieva di dosso ogni frustrazione, se fossi stato un pesce, avrei creduto di avere delle scaglie d'acciaio e se fossi stato un uccello, avrei potuto volare fin'oltre l'atmosfera terrestre.
All'improvviso invece di volare stavo precipitando in un buco profondo e ghiacciato, sentivo i brividi di freddo e le raffiche di vento congelarmi i pensieri in testa.
L'imbuto che da bianco diventava azzurro blu mi risucchiava e più scendevo, più mi accorgevo di occhi enormi intrappolati nel ghiaccio che avevano lame al posto dell'iride calda.
Fu così che la paura sostituì il benessere di prima e il terrore del buio divenne un male fisico, un male peggiore delle fauci di uno squalo bianco o dell'apocalittica onda tsunami pronta a sommergerti.
Mi sentivo come una nave che affondava nelle acque gelide dell'oceano. Tutto quello che avrei voluto in quel momento, non era solo di svegliarmi ma di ritrovarmi sulla mia barca sperando che Modo fosse ancora vivo e soprattutto in salvo dalla follia di quegli pseudo scienziati macellai che ostentavano controllo su cose che nemmeno loro stessi conoscevano molto bene.
Il mio corpo era diventato un pupazzo stanco di trasportarmi ovunque senza lamentarsi, forse era giunto il momento di rendersi conto che non ero più un ragazzo. A un certo punto mi accorsi che ero sveglio ma che stavo sognando. Più che sogni erano dei fotogrammi che servivano a qualcuno o a qualcosa. La mia mente era diventa come una scatola di ricordi dove ogni tanto, si poteva pescare qualcosa di straordinario e quelle visioni mi sembravano davvero uniche.
In alcune di queste, c'era un posto, un posto molto freddo e mi ricordo che aveva immense pareti blu scuro e tra queste pareti c'ero io che leggevo dei numeri oppure gli decifravo, difficile da capire perché il tutto era avvolto in una sorta di fumo o di nebbia dell'inconscio dove proteggevo questi dati.
Mi ricordo invece benissimo, e questa cosa è più di una sensazione, di una tastiera di pietra e tutti i segni incisi sopra erano una sorta di codice che conoscevo. Il codice non era numerico ma fissato su delle vocali, anzi su delle tonalità di voce e questa tastiera assieme ad uno input oculare, apre il tunnel.
Nel mio sogno, la Base211 era un'isola sotterranea, un continente sommerso con centinaia di gallerie profonde più di ottocento metri che nascondevano armi di ogni sorta e altri segreti militari dai tempi di Hitler.

Persi conoscenza e credo per parecchio tempo. La testa mi doleva, forse ero stato drogato e le braccia mi tremavano come se fossero affette da convulsioni. Un fischio sottile e costante mi feriva l'udito, forse per questo mi ero svegliato, il fischio sembrava lontano ma non si capiva se fosse stato una sirena oppure un'altra cosa.
Non sapevo se era semplicemente un brutto sogno, non avevo più nulla di tangibile con la realtà, avendo perduto quasi tutti i miei compagni di viaggio. Avevo la vista offuscata ma quella in cui mi trovava aveva tutta l'impressione di essere la stanza di una nave, una vecchia imbarcazione dove parecchie mappe giacevano alla rinfusa sopra una scrivania di legno.
Dovevo essere l'ospite d'onore perché sopra una poltrona di pelle usurata c'erano: un vassoio con un bricco di caffè, un piatto di uova sicuramente fredde, biancheria di cambio.
Stavo per approfittare di quel amabile gesto quando il fischio divenne una esplosione assordante.
Guardai verso la porta. Forse non era chiusa. Girai la maniglia. La porta si aprì verso un troppo stretto perché fosse il corridoio di una nave...
Mi trovavo quasi certamente nella pancia di un sottomarino. Avevo iniziato a camminar verso l'uscita quando vidi che non avevo le scarpe, corsi indietro ma la stanza si era chiusa. Il pavimento ghiacciato non era il massimo e la sensazione di sentire esplodere la testa non mi era passata.
Ovunque guardassi non c'era anima viva. Tutti spariti. Eppure qualcuno mi aveva portato la sotto. L'esplosione e il fischio ora erano diventati silenzio assoluto.
Stavo per arrivare nella camera manovra ma a parte il semi buio solo una tappezzeria di ragnatele e una sorta di muffa bianca che aveva congelato l'intera struttura. Tornai verso gli alloggi, volevo raggiungere quello del comandante e poi la camera lancio addietro.
Sotto i piedi sentivo una sorta di sostanza soffice che assorbiva l'impronta come se non opponesse resistenza al mio peso. Se fosse stata sabbia o fango no mi avrebbe fatto orrore ma quella cosa sebbene volesse apparire benigna era una specie di sanguisuga che cercava di afferrarmi mentre correvo oramai in un disperato vicolo cieco.
Avevo fame e rimpiangevo non aver mangiato prima di avventurarmi in quella carcassa arrugginita che mi faceva da prigione. Ero passato da una base segreta attaccata da un mostro invisibile a una struttura incagliata nel ghiaccio chissà da quanto tempo.
Sulla strumentazione di bordo con un po' di fatica, ero riuscito a vedere lo stemma della marina americana, quel sommergibile non era poi così vecchio come sembrava.
Non avevo il tempo materiale per le congetture del caso; sentivo a fatica la circolazione arrivare alle estremità inferiori, ma potevo facilmente immaginare che la base in cui mi trovavo prima di addormentarmi non era frutto dello spirito nazista ma una sorta di museo segreto di vecchie armi abbandonato dagli americani per motivi che potevano essere semplicemente politici.
Certe strutture giacciono sepolte dalle sabbie del deserto o dai ghiacci perenni perché non trovano fondi capaci di tenerle in uso, erano anni che molti giornalisti di grido scovavano intrighi alla corte del Senato dove la politica investiva in strutture morte, solo per recuperare da false società offshore un giro fittizio di fatture.
Quell'impiego segreto e secretato, di denaro pubblico era stato fonte di dibattito e di un losco giro di estorsioni. Sicuramente la base in cui mi trovavo era servita a qualche ricerca per un po' di tempo poi l'avevano abbandonata o meglio dire sigillata fino a prossimo uso. Dovevo considerare che gli stessi che avevano disarmato la base l'avevano consegnata ai nazisti. Era possibile che uno di loro fosse un governatore, un senatore o persino uno dei segretari alla Casa Bianca. Certi mali riescono a progredire solo quando hanno un efficace agente che li sviluppa.
Mi ricordavo che sull'articolo del Miami Herald, lessi del deputato Bill Curray, un turpe individuo che depredò due depositi di armi per rivenderle all'Iran non fosse assieme alle armi vendette anche la figlia ancora minorenne. Insomma la ragazza che fuggi prima di essere consegnata al suo sceicco, anzi al suo cliente, andò dritta, dritta, alla sede del Herald dove raccontò tutto nei minimi dettagli.
La lotta politica che si era scatenata tra le fila dei repubblicani fu sicuramente una pessima pubblicità, tanto da minacciare tutte le loro candidature alle elezioni.
Trovai un varco che sembrava più uno squarcio proprio nella camera lancio. Questo aveva più la parvenza di essere un sottomarino non colpito in missione ma distrutto in terraferma proprio perché non riprendesse il largo. Qui la muffa bianca non era arrivava.
La lamiera piegata aveva un'apertura devastante e il buio non mi lasciava capire quanto alto sarebbe stato il mio salto. Un paio di flash disordinati e affiorò alla memoria la visione di una gigantesca lastra di pietra, una placca circolare, incassata nella roccia, incisa con dei numeri o meglio con dei tagli verticali che mi dicevano qualcosa, qualcosa che non ricordavo bene.
Tagliai un pezzo di maglione con una scheggia di ferro e improvvisai una sorta di pantofole per evitare di congelarmi le dita. La muffa aveva lasciato una sorta di spore o piccoli semi sotto la pianta dei piedi e sputai parecchie volte sopra cercando di levarle. Sembravano delle sanguisughe. Dopo un paio di strofinate ero riuscito a ripulirmi. Strano che nessuno mi desse il buongiorno, che fossi spiato?
Il buio della caverna era relativo. Delle luci blu e fiacche, sicuramente alimentate da un generatore di emergenza, piantonavano un sentiero sospeso una centinaio di metri, sotto il sommergibile.
Non c'erano corde e saltai, sperando di atterrare senza fratturarmi le ossa o peggio, senza cadere nel nulla tra i passaggi e le piattaforme sospese.
La profondità della gola era allucinante, un enorme buco nero che portava di sicuro al centro della terra e dove non avrei voluto scoprire cosa ci fosse nascosto.
I numeri a forma di linee verticali mi ritornarono in mente, una cornice ben ordinata che qualcosa mi suggerisce sia una sequenza. Qualcuno molto tempo prima mi faceva ripetere delle progressioni matematiche, dove i numeri diventavano simboli e dove i simboli diventavano chiavi.
Ma le chiavi per aprire che cosa?
Se io ero il Messaggero, sicuramente dovevo esserci già stato in quel luogo o in un posto molto simile.
Il principio di congelamento ai piedi cominciava a farsi sentire. Se ero diventato il pasto della morte, poco mancava per saperlo.
Il mio viaggio era diventato una sventura con un finale forse ancora più terribile.
Comincia la festa! E mentre pensavo a come uscirne, vivo mi vennero in mente delle preghiere che per me che ero ateo, non immaginavo dove potevo averle imparate. Inconsciamente sentì la necessità di recitarle, prima a bassa voce poi man a mano che avanzavo in quel posto sconosciuto, la voce alzò il suo tono diventando una recita potente, tanto energico, da trascinarsi un eco che vorticava in quel vuoto come un uragano pronto a colpire. Ma per colpire cosa?
La voce continuò con maggiore spinta a ripetere quelle preghiere mai uscite fino ad allora, dalla mia bocca.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli.
Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,
è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà nella gloria
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà. Amen.

Qualcosa come un vento freddo mi schiaffeggiò le guance. Ma la voce non volle soccombere alla paura e un nuovo rito di fede prese a parlare dalla mia bocca. Avevo l'impressione che le pareti di ghiaccio si lamentassero, un fischio sottile come il graffio di un gessetto sulla lavagna. Io che non ho mai avuto paura se non del mare, iniziavo a dubitare del mio autocontrollo perché la mia mente ascoltava un lento strisciare di qualcosa che saliva dagli abissi di ghiaccio. Ero io che stavo risvegliando qualcosa? Mi stavo nascondendo in una crepa buia ma la mia voce era un vero invito al predatore delle tenebre.
Non stavo uscendo dai guai ma mi stavo cacciando in un problema peggiore.
Le luci d'emergenza, piccoli punti rossi come gli occhi di un diavolo, non lasciavano percepire che una fredda oscurità in movimento, qualcosa come tante ombre che salivano composte e in silenzio.
Stavo per entrare in un tunnel, uno dei tanti che si apriva in quell'anfiteatro di macchine morte, quando mi resi conto che i miei arti non mi rispondevano e se ne stavano li, immobili come delle statue ubbidienti al suono della voce che iniziava una nuova recita.

Dio, creatore e difesa del genere umano,
volgi il tuo sguardo su questo tuo servo [questa tua serva] N.,
che hai plasmato [plasmata] a tua immagine
e chiamato[ [chiamata] a condividere la tua gloria:
l'antico avversario lo [la] tormenta crudelmente,
lo [la] opprime con aspra violenza
e lo [la] riempie di angoscia e di terrore.
Manda su di lui [lei] il tuo Santo Spirito
perché lo [la] rafforzi nella lotta,
gli [la] insegni a pregare nella tribolazione
e lo [la] circondi con la sua efficace protezione.

Ascolta, Padre santo,
il gemito della tua Chiesa in preghiera:
non permettere che questo tuo figlio [questa tua figlia]
sia posseduto [posseduta] dal padre della menzogna,
né che questo tuo servo [questa tua serva],
redento [redenta] dal sangue di Cristo,
sia tenuto [tenuta] in schiavitù dal diavolo.
Non tollerare che il tempio del tuo Spirito
sia dimora di uno spirito immondo.

Ascolta, Dio misericordioso,
la preghiera della beata Vergine Maria:
il Figlio Gesù, morendo sulla croce,
ha schiacciato il capo dell'antico serpente
e ha affidato alla Madre tutti gli uomini come figli.
Risplenda in questo tuo servo [questa tua serva]
la luce della tua verità
e dimori in lui [lei] la gioia della tua pace.
Lo Spirito di santità ne prenda possesso
e con la sua presenza gli [le] restituisca innocenza e serenità.

Ascolta, o Padre,
la preghiera dell' Arcangelo san Michele
e di tutti gli Angeli, ministri della tua gloria.
Tu che sei il Dio delle schiere celesti,
respingi la violenza del diavolo.
Dio di verità e di misericordia,
rendi vane tutte le sue insidie.
Dio di libertà e di grazia,
spezza le catene della sua malvagità.

Tu che ami la salvezza dell'uomo,
ascolta la voce degli apostoli Pietro e Paolo
e di tutti i Santi,
che, per tua grazia, hanno riportato vittoria sul Maligno.
Libera questo tuo servo [questa tua serva]
da ogni oppressione diabolica
e custodiscilo [custodiscila] indenne
perché restituito [restituita] alla serenità di figlio [figlia]
ti ami di tutto cuore,
ti serva operando il bene,
ti renda onore e gloria,
e tutta la sua vita sia un canto di lode a te.

Per Cristo nostro Signore.

Amen.


Un vortice di vento partito da chissà dove mi raggiunse urtandomi in pieno. Un urlo spaventoso paragonabile a qualcosa di potente e disumano percosse le pareti di ghiaccio.

Ti ordino, Satana,
nemico della salvezza dell'uomo:
riconosci la giustizia e la bontà di Dio
che con giusto giudizio ha condannato
la tua superbia e la tua invidia.
Esci da N., servo [serva] di Dio,
che il Signore ha creato [creata] a sua immagine,
ha arricchito [arricchita] dei suoi doni,
ha adottato [adottata] come figlio [figlia]
della sua misericordia.

Ti ordino, Satana,
principe di questo mondo:
riconosci il potere invincibile di Gesù Cristo:
egli ti ha sconfitto nel deserto,
ha trionfato su di te nell'orto degli ulivi,
ti ha disarmato sulla croce
e, risorgendo dal sepolcro,
ha portato i tuoi trofei
nel regno della luce.
Vattene da questa creatura, da N.:
che il Salvatore, nascendo tra noi,
ha reso suo fratello [sua sorella]
e morendo in croce ha redento [redenta]
con il suo sangue.

Ti ordino, Satana,
seduttore del genere umano:
riconosci lo Spirito di verità e di grazia,
lo Spirito che respinge le tue insidie
e smaschera le tue menzogne.
Esci da questa creatura, N.,
che Dio ha segnato con il suo sigillo.
Abbandona quest'uomo [questa donna]:
Dio l'ha reso [resa] suo tempio santo
con l'unzione del suo Spirito.

Vattene, dunque, Satana: vattene
nel nome del Padre X e del Figlio X e dello Spirito X Santo.
Allontanati per la fede e la preghiera della Chiesa.
Fuggi per il segno della santa croce di Gesù Cristo,
Signore nostro.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Amen.


Ma il grido che uscì dalle viscere della terra ebbe la capacità di spegnere anche le luci di emergenza lasciandomi completamente al buio. Il gridò andò a disperdersi nei vari tunnel che portavano chissà dove.
La mia mente stava interpretando delle scritture che io non credevo di conoscere e mi domandavo dove le avevo imparate e a quale scopo.

Qualcosa dentro la mia testa stava comunicando con il mondo dell'ineffabile.
Forse Modo era l'unico a conoscere il perché di quelle preghiere e se quello fosse stato il momento giusto di morire allora Dio non poteva che spalancarmi le sue braccia, tanta fede sembrava cacciare fuori col fiato la mia voce, spinto anche dal dolore che sentivo dai piedi semi congelati.
In quel momento ricordai le facce dei miei ospiti nazisti e cominciai a pensare che forse non ero solo e loro, erano lì nascosti da qualche parte. In tutta sincerità volevo ancora sperare di non morire sottoterra e cercando di sfuggire a qualcosa che stava lentamente ma inesorabilmente salendo.
Mi ero dimenticato persino ch giorno della settimana fosse e cos'era l'ultima cosa che avevo mangiato; probabilmente erano solo allucinazioni dovuti alla febbre e alla fame ma il mio istinto percepiva qualcosa di inumano che aspettava nel buio.
Respiravo a fatica e tremando poi qualcosa mi si piantò davanti, la faccia enorme di un essere che ringhiava, il ringhio più delle fattezze emergeva dall'oscurità e quando vidi l'iride senza luce fissarmi, iniziai a correre come un topolino che aveva visto sopra la sua testa, la zampa di un gatto pronto a colpirlo.
"Timmmm? Dove scappi?"
Non sapevo se quella voce fosse quella del vento o di un essere che gorgogliava parole appena comprensibili.
"Timmmmmmmmmm?!", come il rumore del motore d'un aereo nel momento del decollo, il suono tagliente vorticava tra i relitti e i ponti sospesi cercando nel rimbalzo di trovare il mio nascondiglio.
Poi una voce entrò nella mia testa per spingermi dentro i pensieri certe parole che era inutile ostacolare, loro entravano come se avessi lasciato aperta la porta dio casa.
Tim, se cerchi il Diavolo sappi che lui non è all'Inferno; inutili quelle preghiere per bambini, potresti fare di meglio, anzi potresti semplicemente stare fermo e aspettarmi. Noi abbiamo molte cose da dirci, cose che per certi aspetti sai già.

Mi sembrava di impazzire. Non ero io che parlavo ma quella luce che pulsava a ritmo continuo nel mio cervello che dolorante mi mandava flash di ricordi di un'adolescenza quasi dimenticata. Numeri e facce, questi erano i miei ricordi. Lunghe sequenze di numeri recitate in modo strano e con un tono di voce come se fosse una canzone. Poi capì il perché. La sequenza non era solo numerica ma anche musicale.
Note e numeri, un matrimonio perfetto come chiave di serratura per qualcosa che doveva restare chiuso.



                                                                                                                                                 Poi quelle voci ci dissero
                                                                                                                                                 di chiudere gli occhi e noi li serrammo.
                                                                                                                                                 L'ira di Dio divenne una vampata di fuoco
                                                                                                                                                 e noi potevamo solo sentire la sua collera
                                                                                                                                                 che come un tremendo vento spazzava via
                                                                                                                                                 tutte le cose animate e inanimate.


9


L'iride di Dio

La corsa attraverso i ghiacci e al buio, era stata faticosa e non priva di pericolo. La certezza di poter fare qualcosa di buono l'aveva spinta a spostare tutte le sue priorità e persino ragioni di vita. Lo studio non doveva compromettere quel lato umano, che sarebbe dovuto restare vigile e retto.
In fondo era stata tutta colpa sua, quel progetto che riportava l'ombra nazista sul cielo terso dell'umanità. Si era nascosta per tre giorni in una fossa che lei stessa aveva scavato, una buca profonda, un paio di metri e larga meno di due. La temperatura non era alta ma non sarebbe morta durante la tempesta.
Eva voleva spostarsi ma un vero rifugio non poteva che essere il posto più ovvio in tutto quell'Inferno di ghiaccio, la Base Akura o ciò che ne restava di essa. Aveva appreso che era stata abbandonata e sapeva anche che molti degli edifici rimasti sotto la neve erano pressoché, intatti; avrebbe fatto un fuoco e sarebbe sopravvissuta al buio dentro i tunnel. Proprio nei tunnel doveva liberare la creatura che riusciva a gestire solo perché la drogava con doppia dose di sedativo.
Eva conosceva bene le dicerie sulla Base Akura, conosceva anche il collegamento mistico tra Base Akura e Base 211 dove tutti si pensava ci fosse nascosta una nave aliena o qualcosa di simile. Non aveva che da pensare all'oggi, all'adesso perché il futuro, se non avesse reagito, sarebbe diventato una gabbia per tutta l'umanità. La sua dipendenza dalla morale non era stata scalfita dagli anni di lavoro nei laboratori nazisti, questo grazie a quelle salde convinzioni ereditate dal nonno paterno.
Musa era in uno stato di trace. Un'apnea totale che la isolò in un sottile bozzolo viscoso. Eva chiuse il bozzolo cercando di alleggerirne il peso portandoselo sul petto. Si sentiva un movimento dentro, un serpenteggiare di cose come tentacoli o animali striscianti.
I ruderi di Base Akura e la voragine sembravano i resti di un cataclisma.
Alcuni muri superstiti portavano iscrizioni di ogni genere, pezzi in latino o in lingue a lei sconosciute.
Sopra i resti di una porta di metallo, piegata a metà come se fosse stata masticata dai possenti denti d'un mostro, una striscia di smalto bianco con sopra la scritta Exorcizamus malum.
A Eva vennero in mente le preghiere. Camminava in quella desolazione e ovunque tra i materiali superstiti, c'erano resti di lettere e di frasi appartenenti alle comuni preghiere.
Sopra un bidone di plastica vuoto e rovesciato, c'era il Pater Noster in latino e sul coperchio la litania proseguiva in inglese.
Strinse ancora di più il fagotto pi mise il piede sopra una tavola di legno spezzata e senza sapere che sotto ci fosse il vuoto iniziò a scivolare giù in una gola profonda, Dio sa quanto.



La mia mente era catturata da certi simboli che apparivano e poi svanivano come se ci fosse, una mano sopra l'interruttore dei pensieri.
Balbettavo cose incomprensibili per il mio orecchio ma dentro me stesso capivo che erano delle preghiere capaci a tenere lontana quell'oscurità che mi blindava.
In un certo senso mi mancavano i miei ospiti. Meglio dei nazisti del Diavolo o di chissà quale altro mostro. Meglio Heinz e la sua inconsapevole natura di sognatore assassino. Forse il male non era tanto una forza quanto una barzelletta che cercava di impregnare il pianeta della sua ironia.

Benedetto il Signore Dio d'Israele, ...
perché ha visitato e redento il suo popolo,

e ha suscitato per noi una salvezza potente ...
nella casa di Davide, suo servo,

come aveva promesso ...
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo;

salvezza dai nostri nemici, ...
e dalle mani di quanti ci odiano.

Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri ...
e si è ricordato della sua santa alleanza,

del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, ...
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,

di servirlo senza timore, in santità e giustizia ...
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.

E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo ...
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,

per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,

grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge,

per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell'ombra della morte

e dirigere i nostri passi ...
sulla via della pace.

Gloria al Padre. Come era nel principio.

Quindi l'esorcista dice la seguente orazione:

Dio, creatore e salvatore del genere umano,
tu hai accolto con misericordia
questo tuo amato figlio [questa tua amata figlia]:
la tua provvidenza lo [la] custodisca nella libertà
che il Figlio tuo gli [le] ha donato.
Mai più abbia potere su di lui [lei] lo spirito maligno.
Fa' che prendano dimora in lui [lei]
la bontà e la pace dello Spirito Santo
ed egli [ella] non abbia più timore del Maligno,
perché Gesù Cristo nostro Signore è con noi.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Amen.


La mia voce tacque.
Nonostante il silenzio sentivo la presenza di qualcuno o di qualcosa.
Il buio sembrava moltiplicare i suoi tentacoli. Avevo paura ma non paura di morire. Il mio terrore era quello di non diventare qualcosa che io non sarei riuscito a controllare.
Io vedevo o percepivo una strana forza in quelle gallerie. Una forza che soffriva compressa tra muri di ghiaccio e di roccia.
Immaginavo la cupidigia degli esseri umani che avrebbero voluto non solo conoscerla ma studiarla e modellarla o meglio addomesticarla, come se fosse un animale poco intelligente.
Quell'assenza mi destabilizzava.
Avevo le vergini.
Chiusi gli occhi.
Poi arrivò la voce.
Prima un sommerso gorgoglio con espressioni vocali indecifrabili dopo invece pervennero parole o l'imitazione di essere perché il mio capo era capace di tradurle dai suoni originali.
"Sai chi sono io?"
Io feci cenno con la testa in segno di negazione.
"Io sono Dio. Quel Dio che pregate da millenni e che implorate, vi porti il dolore e la morte nel corpo."
"Dici di essere Dio allora chi e il Diavolo?"
"Voi."
"Perché sono qui?"
"Perché solo tu mi puoi farmi uscire."
"Se sei Dio perché non esci da solo?"
"Perché molte delle mie energie sono servite alla sopravvivenza e per certi ostacoli, sarebbe meglio farsi aiutare."
"Insomma ci usi per i tuoi comodi, arriva il tuo schiavetto che ti libera così prendi possesso del tuo regno che ad oggi, sopravvive benissimo anche senza di te."
"Io sono superiore alla vostra specie e il tempo per me, è solo una piccola difficoltà e non un nemico. Noi non moriamo."
"Eppure non sei autosufficiente."
"E se io mi rifiutassi?"
"Embè, ci sono infiniti modi per convincere una persona a fare qualcosa … e senza usare armi o fare versamenti inutili di sangue … alludo al … "
"Al ricatto!"
"Bravo! Tu afferri sempre le cose al volo!"
"Ho poco da perdere e la mia anima non vale il tuo gioco. Non hai capito che il mio vuoto non lo potrai riempire di promesse. Sono cosa? Una tua bambola? Un tuo servitore? Sono forse l'ultima buona intuizione di qualche sderenato discepolo? Nella mia testa non troverai aiuto né devi credere di farmi soffrire, facendomi sentire la mancanza di qualcosa. Io sono l'uno che non cede perché le cose più grandi di lui sono le leggi dell'universo. Vuoi spaventarmi, fallo pure! Sono cresciuto per stare davanti a onde paurose e per non piangere quando la morte ti assaggia l'alito, appena il mare ti passa sopra col suo corpo. Dio è una forma benevola di speranza e tu non sei quel Dio che noi preghiamo. Il nostro Dio è un vate che non mescola i figli al proprio sputo."
"Le sberle ai figli non rendono degeneri i padri. E tu come tutti i tuoi simili, temi qualcosa. Sei la parte debole e nulla si può contro il mio volere."
"Non aprirò quella dannata porta."
"Tu pensi, di essere giusto o peggio, oppure quasi perfetto, ma non lo sei. Io so che desideri la donna, lo sento dal tuo bruciare sotto le carni ma Capitan Coraggio trema per un poco di umore femminile. Oh, figli miei come siete deboli!"
"Consolati io non sono figlio tuo."
"Invece tu sei una parte di me."
"Detesto gli eroismi ma meglio morti che figli di un Dio impotente a liberarsi dai ghiacci."
"Nelle gallerie ci sono migliaia di feti uguali a te e concepiti dalla mia materia, i miei servi, i miei aiutanti, sono attenti e devoti. Morto tu, come si dice, avanti un altro."
"Se io, muoio, tu non esci, altrimenti ti saresti già liberato. Io solo dovrei conoscere le formule. D'altronde sono figlio di nazisti e la bontà non bussa alla mia porta come un ricatto. Sei sceso a compromessi con la mia specie solo per impotenza."

Il silenzio era tornato a regnare freddo in tutto il sotterraneo. Ero di nuovo solo. Se ci fosse stata una macchina del tempo ci sarei saltato dentro per ritornare alle conchiglie, al mio labrador e alla mia barca. Mi mancava tutto del mare persino il lato oscuro del suo umore e le sue reazioni violente alla presunzione umana.
Avevo fame.
La saliva nonostante il freddo mi sembrò secca. Pensavo continuamente a del buon pesce alla brace e magari due bottiglie di birra sotto il tramonto mentre l'Insane Gloria danza sotto una leggera brezza. La mia barca era il mio regno e mi trovavo nel posto sbagliato, al momento sbagliato e spiato da chissà quale forza aliena intrappolata tra i ghiacci.
Essere prigionieri sottoterra significa trovare argomenti più forti della ragione per tornare in superficie.
Argomenti che l'immaginazione usa tutti i giorni e che per necessità di pulizia mentale, sei costretto a scartare. Quegli argomenti potevano mettermi in condizione di lottare.
Non servono i grandi geni contro fragili mostri. In fondo qualunque cosa si nascondesse la sotto, era in trappola e doveva restarci.
All'improvviso una luce. Un'iride di fuoco come un fiume di lava si rovesciò dal picco sospeso nell'aria e quella che a me parve illusione divenne lo schiaffo di una lama di luce. Un bagliore accecante mi chiuse gli occhi. Sentivo il bruciare della pelle poi la luce si spense e arrivò un vento forte come quello degli uragani. Fui sbattuto contro le pareti. Più volte il mio corpo urtò la roccia come se fosse una bambola di pezza.
Qualcosa cadde sulla mia testa. Chiusi nuovamente gli occhi. Forse ero morto. Non c'era più dolore questo è sicuro. Non sentivo l'urlo del mio corpo ferito né la miriade di pensieri invasori che ultimamente sembravano appartenere a un altro me, sconosciuto.
Di colpo ogni mia presunta vanità perse la sua importanza e tutte le ragioni di vita si concentrarono in una scintilla che ormeggiava a parte in un angolo del mio rimanente essere. Quella scintilla era il codice, un testo, un programma o meglio un commando che emergeva indiscusso sopra ogni altra cosa che faceva parte di me.
L'io si era offuscato e l'ego divenne una sequenza di numeri chiari come se fossero stati scritti dentro con un pennarello indelebile e fluorescente.
Nonostante fossero assenti alcune volontà del mio essere ne vennero a galla certe altre che avevano una chiara parvenza aliena. Nella mia mente disegnavo grandi scenari di altri pianeti e dolorose torture indicibili perché non umane.
Ero un altro. Un altro stava prendendo possesso di me. Uno che non riuscivo a combattere. Uno cui la mia mente dovette soccombere senza alcuna minima difesa. Ero lì al buio, disteso a pancia su e da qualche prospettiva della mente riuscivo a vedermi come se i miei occhi fossero di un fantasma, un fantasma che stava osservando il proprio corpo.
I muscoli, le ossa e tutto il resto sembravano vestire un brutto prototipo che poco serviva alla causa.
Il buon Capitan Butz mi aveva insegnato una cosa che se sei distrutto, a terra e senza aiuto, l'unica cosa da fare e lottare con l'ultimo briciolo di tutte le tue forze perché la vita non ammette sconfitti; per la vita gli sconfitti hanno già una tomba aperta e nessuna folla intorno,per piangerli.
Sebbene inerte, ero lucido, e la teoria della trasmutazione sembrava la più appropriata spiegazione al malessere che aveva disorganizzato il mio essere.
Nulla in me rispondeva ai comandi. Nulla di quello a cui avevo dato un senso contava più. Ero lì dentro la mia anima a combattere uno spirito maligno che emergeva convinto di distruggermi.
La mia parte umana faticava a macchinare forze di difesa che poco potevano contro una mente capace di usare l'energia del pianeta come se fosse una bacchetta magica.
Se avesse voluto quella forza avrebbe potuto uccidermi ma non l'avrebbe fatto, lo intuivo, il mio essere custodiva i codici di quel sepolcro. Ma c'era qualcosa, una sorta di energia che combatteva contro un lato della mia personalità, quel lato dove risiedeva la fede, la stessa insegnatami da Charlie. La fede non mi ha mai portato su sentieri pericolosi e non sono stato un prete o uno che andava in chiesa, per Dio era il progetto, quel progetto per cui l'umanità avrebbe dovuto abdicare la violenza. All'uomo doveva bastare la violenza della natura che Né decretava la morte a proprio piacimento e giustizia. Se c'era una sorta di giustizia nell'universo, quella del nostro pianeta ovvero la morte, l'uomo cattivo o buona la doveva subire.
Certi spettri, certe ombre, non mordono come i ricordi.
I miei ricordi d'infanzia riaffioravano come da usciti dalla nebbia mostrassero al mondo il loro vero volto. Erano mostruosi. Erano criminali. Erano assolutamente incontrollabili. Prigioniero in me e di me stesso, ascoltavo inerme quelle voci, quei gorgogli senza senso che un senso avevano per il decifratore di codici che stava riaffiorando. Istintivamente, mi ritrovai a pensare a delle preghiere romane, le stesse, che Charlie recitava mentre puliva il ponte dell'Insane Gloria.
Da lontano, molto lontano mi giungeva il grido di una donna. Mi pareva di conoscere quella voce ma oramai cosa m'importava, ero morto. La voce si avvicinava e il mio corpo sembrava un monte che si era cementato alle zolle di ghiaccio sottostanti. Ero impotente. Disarmato. Indifeso.
Il buio tramava qualcosa ma non aveva più senso per me scoprire cosa. Un gorgoglio sommerso scivolava dalle gallerie fino a lungo le pareti e in meno di un attimo una sberla di vento arrivata dal nulla fece sbattere un corpo contro degli oggetti rumorosi, dei bidoni forse.
Qualcosa strisciava nella mia direzione. Procedeva carponi. Lentamente. Faticosamente. Una mano cercò di aggrapparsi alla mia carne. Era una mano piccola e sottile. Io immobile.
"Ho portato Musa. Non potevo più fuggire. E' il loro continente e da sola non ce l'avrei mai fatta. Tim? Hook? Mi senti?"
Io non la sentivo perché dalla mia testa arrivavano parole che mi uscivano dalla bocca come la recita di un robot. La cosa mi stava usando per estrapolare i codici.
Non avevo la possibilità di vedere cosa accadeva all'interno della galleria né di rispondere a Eva che giaceva al mio fianco dolorante ma non in catalessi.
Lei provò scuotermi. Meglio se mi avesse tirato in testa una pietra o uno di quei tubi di ferro, di cui la galleria era piena. Perché così tanti tubi di ferro? In quel dannato posto tutto restava una domanda senza risposte.
La mia bocca continuava a trasmettere suoni o forse note musicali o meglio numeri abbinati a suoni. La mia voce produceva una sorta di fremito come se la galleria fosse un gigantesco corpo riportato in vita o meglio un cuore ghiacciato e immenso che aveva ricominciato a battere.
C'era una parte di me che soffriva ma non potendo sentire il dolore, mi sarebbe stato difficile descriverne l'ampiezza.
In quella galleria c'era una strana e indefinibile energia negativa. Cose che volavano o strisciavano da galleria a galleria, capaci di stringere amicizia con la tenebra.
Eva era terrorizzata. Perché lei riusciva a vedere più di me quello che accadeva. Perché lei come spettatrice non era considerata da loro, un nemico. Le sue mani sotto la mia schiena cercavano appiglio per farmi alzare non ignorando la mia voce che continuava il suo sermone demoniaco.
"Ma tu non respiri! Tim, sei un morto! Un morto che parla!"
Forse i miei polmoni non erano pieni di ossigeno e il mio cuore aveva smesso di battere il solito ritmo. Ma c'era qualcosa in me che non aveva bisogno dell'aria, o del cibo o dell'acqua per resistere. In me c'era un'altra forma di vita capace di dominare il mondo che congiunta a un'altra cosa là fuori sarebbe diventata invincibile.
Avrei voluto gridare a Eva, fermami. Fermami. Ma lei non udiva la voce del mio vero io, lei restava a terra ad ascoltare le cose senza senso che il morto che aveva a fianco continuava a balbettare.
Qualunque cosa stessi diventando mi metteva paura.
Da sopra la galleria, una pietra come una grossa moneta quasi settanta piedi, incastonata nel dente di roccia, aveva iniziato a ruotare in senso antiorario, dapprima assai lentamente e con un rumore che poteva ricordare la punta del gesso trascinata sopra una lavagna, poi aumentando in modo spropositato la sua velocità. I suoi simboli s'illuminavano in alternanza alla mia recita, ogni formula rappresentava un giro orario o antiorario della pietra. Pensai a una grossa cassaforte ideata da un popolo primitivo ma ingegnoso. Chi o cosa aveva intrappolato quell'essere era stato astuto e preventivamente cauto. Chiudere qualcosa che potrebbe rappresentare una minaccia, non era solo una difesa ma un dovere. Possedere dei poteri non significa essere magici. Se la cosa non dormiva o non poteva essere uccisa di sicuro non significava non tenerla prigioniera.
Le sue stesse formule probabilmente. Probabilmente un altro come me che però era riuscito a catturarla.
La cosa dietro la porta aspettava da tanto tempo il mio arrivo ed io non avevo alcun modo per giustificare il crimine che stavo commettendo.
La pietra cadde schiacciando altre masse rocciose e macchinari rimasti lì da quasi mezzo secolo. La grossa bocca dell'atrio non mostrava nulla. Non c'era il mostro gigante né i suoi tentacoli possenti e velenosi. Nulla usciva da quell'abisso che aveva usato la voce nella mia testa, per chiamarmi. Forse m'ero immaginato tutto e le ferite alla testa, la fame, il freddo e milioni di altre ragioni tra cui la claustrofobia mi avevano guidato dentro un miraggio.
Il mio corpo non aveva modo di sentirlo ma si percepiva, come si percepiscono certe presenze invisibili agli occhi, un venticello caldo estraneo al mondo di ghiaccio di cui restavo immobile prigioniero.
Forse sarebbe stato meglio morire sotto una valanga d'acqua le volte in cui avevo affrontato lo tsunami. Il mare era stato la mia casa e il mare doveva essere la mia tomba. Per qualche ragione il dio Nettuno mi aveva allontanato dai cancelli del Paradiso dei Marinai. Eppure credevo di aver fatto un buon lavoro, tanto da meritarmi una bottiglia di Rhum nell'Eden con Capitan Charlie, il mio mentore.
Senza calcolare il tempo che passava l'assenza da me stesso, sembrava un purgatorio. Certi cose bisogna combatterle con le loro stesse armi. La mia morte non poteva recare danno all'umanità. Non sarebbe stato giusto terminare con disonore il percorso di un buon marinaio.
La mia vita meritava una vittoria e non sul mare, non sulle cose che avevo amato di più ma sui diavoli e sulle loro cause sbagliate e spinte oltre il limite, della ragione.
 


10


Soli ma non disperati

Ero immobile e tutto considerato quella assenza da me stesso non era un cattivo regalo della sorte. Il mondo fuori mi sarebbe sembrato un piccolo manicomio dove tutti dovevano recitare la loro parte.
Ad un certo punto percepì il movimento di Eva. Era lì con me eppure molto distante. Le sue mani presero ad accarezzarmi, indugiando sul petto e poi sul volto e poi ancora sopra i miei pantaloni.
Nonostante la sua tentazione non sentivo alcuna reazione del mio corpo. Ma lei non si fermava. Andava avanti finché si mise sopra. Era proprio sopra di me, con gli occhi stralunati, fatti e con una fredda luce dentro. Le sue cosce mi stringevano ma non sentivo dolore. Si strusciava e ammiccava scoprendosi i seni con gesti contrari penso alla sua precedente personalità. La ragazza mi stava violentando. Io ero pronto eppure non sentivo nulla. L'erezione di cui lei godeva io non la sentivo. Non sentivo né dolore, né piacere, né quell'urgenza che accompagna l'amplesso. Ero a sua disponibilità come un manichino che indossava un vibratore e non come un uomo capace di dare piacere ad una donna.
Mi aprì i pantaloni senza mai abbassare lo sguardo come se ogni parte del suo corpo avesse un compito ben preciso.
Tornò su di me senza biancheria e senza pudore. Mi afferrò le spalle e nonostante non avesse unghie capì che faceva pressione ancorata a un corpo che non mandava alcun segnale al mio cervello.
Lei invece si dimenava, dapprima con lentezza poi sempre più veloce e godeva di una cosa che io non sentivo. Avevo il mio pene dentro di lei eppure non sentivo nulla. Forse eiaculai perché ad un certo punto si lascò cadere sopra il mio petto, esausta e contenta. Si alzò sopra il mio corpo mostrando le sue cosce nude. Qualcosa le scendeva giù e non mi fu difficile immaginare cosa. Prese con le dita il liquido e lo assaggiò.
Quella donna non era la Eva che io conoscevo. Pensavo avesse finito invece si controllo dentro con le dita e poi mi si mise nuovamente sopra. La seconda cavalcata durò di più e nonostante il freddo era completamente nuda e sudata. Aveva sempre una luce strana nei suoi occhi, un bagliore diabolico e lussurioso. Quando ebbe terminato il suo gioco la vidi alzarsi nuovamente e senza pulirsi si rivestì.
Non ci furono baci tra noi e nemmeno il cenno di quella dolcezza tipicamente femminile.
Ero un morto col pene ritto dentro una caverna sperduta in mezzo al continente più freddo del mondo. Se non fosse stato che la situazione era più ironica che drammatica forse avrei preso a calci qualcuno o qualcosa. Più che disorientato mi sentivo usato e la cosa non mi piaceva. Non volevo eiaculare senza aver partecipato alla cosa.
Poi tutto divenne come annebbiato. L'oscurità mi vinse e pensai che fosse arrivata definitivamente la mia ora.
Morire dopo essere stato scopato non era poi così cattiva sorte. Ma morire usato da chissà quale entità questo rendeva la partenza una sorta di sconfitta senza diritto di replica.
L'oscurità può avere tanti nomi ma un solo peso e io quel peso lo sentivo dentro i miei pensieri ed ogni parte della mia anima che da li a presto se la sarebbero cucinata i diavoli.
Altre litanie entravano e uscivano dal mio raggio di pensiero. Esorcismi contro diavoli e preghiere, tante preghiere che io, non avevo mai recitato. Questa ossessione per la preghiera mi avrebbe accompagnato anche nell'aldilà anche se non riuscivo a capire perché. Perché sentivo voci sovrumane, perché conoscevo gli esorcismi e perché pregavo? Poi arrivarono i numeri, numeri che si sommavano ad altri numeri e procreavano codici che rimbombavano in questo mio sogno come colpi di canone.

Luce. Sole credo. Una luce talmente forte da insinuarsi tra le palpebre chiuse. Odori. Mi giungevano odori di varia natura, lozione maschile, profumo dolce da donna, fiori e persino di carne cucinata. Qualcosa mi scuoteva. Una mano. E poi la voce.
"Tim? Ci sei?"
Era la voce di Modo. Il mio amico Modo ce l'aveva fatta. Forse anch'io oppure eravamo morti entrambi in mezzo ai ghiacci come due relitti senza un capitano.
"Siamo morti?"
Se aprissi gli occhi lo capiresti.
"Dove siamo?"
"Apri gli occhi."
Ero in una stanza e presumo d'ospedale.
"Ma?"
"L'uragano ti ha colpito. Non sei voluto scendere dalla barca e un pezzo di legno ha pensato di caderti sulla testa. Meno male che sono venuto a cercarti. Ti ho portato a Nassau. Camera vista mare. Tutto pagato dall'assicurazione."
"Nassau? Ma eravamo in Antartide?"
"Non che io ricordi. Non abbiamo mai lasciato le isole. La tua labrador la tengo io finché non ti rimetti."
Poi entrò un'infermiera di colore e alta quanto una porta che ci disse che le visite erano finite e che il paziente doveva riposare.
Un legno in testa? Non ricordavo l'uragano ma ricordavo ancora bene Eva e la sua ambiziosa bramosia. Non ricordavo il legno ma ricordavo gli esorcismi. Perché dovevo ricordare degli esorcismi se non ero mai partito dalle Bahamas? E Eva perché ricordavo Eva? Perché ricordare un sogno in ogni sua parte se quel sogno era solo un'invenzione della mia immaginazione?
Modo ritornò verso sera con dei vestiti e una certa oscurità che si poteva leggergli sul volto.
"Sbrigati. Sei in pericolo."
"Ma?"
"Erano tutte balle. Ci stanno usando. Qualcuno mi ha imposto di venire qui e dirti sta balla ma io non ricordo né la sua faccia né il suo discorso. Tu sei ancora in Antartide ma vogliono qualcosa da te e lo otterranno con le buone o con le cattive. I tuoi occhi vedono quello che loro vogliono che tu veda ma Eva mi ha dato dei medicinali. Ti faranno bene. Bevi!"
Anche se fosse stato solo un fantasma mi sarei fidato sempre fidato di Modo. Non solo era un amico era quel genere di amico che si toglierebbe la vita per salvare la tua anche se avesse il metà del valore che consideri abbia.
Ingurgitai quelle piccole bombe gialle e rosa e la reazione che ebbi era la stessa di un rinoceronte che aveva incontrato un muro di cemento. Il dolore di testa arrivò senza farsi annunciare e le mie fantasie scomparvero. Ero ancora nella grotta ma un'altra di dimensioni inferiori alla precedente e Modo era li con me che mi stava infilando un giaccone dopo avermi curato i piedi che credevo fossero già in cancrena.
Il freddo fu presto dimenticato il mio corpo si abituò a quella copertura termica e i nuovi scarponi avevano un che di miracoloso.
Ricordai ancora il sesso con Eva.
"Eva? Dov'è Eva?"
"Non saprei. L'ho incontrata alla Base Akura e mi ha consegnato questo non prima di essersi raccomandata a fare attenzione alle porte."
"Quali porte?"
"Non saprei. Io sono entrato da un tunnel, sopra sembra esserci una base bombardata, ci sono solo macerie e dei corpi congelati ma è tutto un impasto che fa paura a qualsiasi uomo poco forte di stomaco."
"Non capisco cosa sta succedendo?"
Modo mi guardo tristemente e poi rispose con una profezia.
"E' la fine del mondo."
"Se dovesse avvenire per colpa mia sparami adesso altrimenti combattiamola."
"Da quello che ho capito ci sono cose su questo pianeta, anzi dentro questo pianeta che nessuno può combattere."
"Come lo sai?"
"Eva. Eva mi ha detto che secondo i suoi calcoli la cosa più terribile non è il mostro ma i suoi giochetti. Lui non ci teme ma ci usa da millenni o forse milioni di anni."
"Un mostro? L'unico mostro che conosco è l'uomo, tutto il resto è un circo delle pulci dove possiamo applaudire o lamentarci. Guardaci, facciamo la fila per due bottiglie di birra poi ci spariamo in faccia senza tanti saluti. Noi siamo i diavoli mica quella roba che vendono al cinema."
"Non temi quello che è sepolto qui dentro?"
"Temo la natura, temo l'universo ma la materia sebbene combinata all'energia è pur sempre materia. Noi che abbiamo visto onde di venti metri passarci sopra mi dici come possiamo temere il corpo di un mentecatto alieno?"
"Tu sai che io non ho avuto una madre ma sono cresciuto con un pastore battista, e lui mi insegno che il coraggio non ci tiene lontani dai mostri."
"Nemmeno la pura. Se vuoi vincere una guerra devi poter sacrificare qualche battaglia. Hai visto i nostri amici nazisti?"
"Macché! Sembrano tutti scomparsi. Tutti quanti inghiottiti dai ghiacci o chissà in quali di questi tunnel; ce ne sono una decina che non solo vanno avanti per centinaia di metri ma hai l'impressione che scendano fino all'inferno."
"Io sono il loro Messaggero, giusto, allora amico mio scopriamo qual è il messaggio che devo portare?"
Modo fece cenno di sì con testa. Sebbene cercasse di essere partecipe la sua mente era altrove.
Forse per fare coraggio ad entrambi scelse di stare in silenzio ma capivo che qualcosa gli faceva paura.


Stavamo camminando da sette ore. Tunnel illuminati da una sorta di cristalli naturali che non conoscevo ma dove l'uomo era arrivato da tempo perché le rotaie di un qualche mezzo di trasporto vecchio, molto vecchio, anticipavano la nostra camminata di almeno una cinquantina di metri, di più non si poteva vedere.
La nostra vista fu invasa da scene allucinanti come pezzi di vagoni volati per aria e incastrati per metà dentro il ghiaccio, elmetti con croci unciformi sparsi come briciole di pane, e pietre alte due esseri umani con varie scritte sopra e non in una lingua sconosciuta o conosciuta ma degli intarsi come dei tagli o delle linee, un codice per pochi fortunati. Eppure a me sembrava facile leggerlo e più andavo avanti più raccoglievo informazioni su quel posto. Passammo oltre quattro pietre, tre sulla nostra sinistra a distanza circa novanta piedi l'una dall'alta e l'ultima, la quarta assorbita dal soffitto come se fosse stata risucchiata.
Sulla prima pietra lessi questo ma non sono certo del tutto che i segni rappresentassero quello che la mia mente percepiva.
Pietra numero uno.
"Questo è il primo rifugio. Non cercate di tornare indietro, non avreste scampo."
Pietra numero due.
"La paura è l'ultima difesa e quello che serve è fede. Abbandonate ogni ossessione."
Pietra numero tre.
"Qui siete in salvo. Non è per sempre ma solo per qualche tempo."
Pietra numero quattro.
Beh, della pietra numero quattro non riuscivo a leggere proprio tutto perché più della metà dei segni erano stati inghiottiti dal ghiaccio.
Pietra numero quattro.
"La vostra resa sarà la vostra salvezza."
Penso che avanzammo per altro mezzo chilometro non di più quando arrivammo davanti ad una baia, una baia con al centro un enorme occhio di acqua blu scura. Davanti ai nostri occhi si aprì una scena degna dell'apocalisse. Centinaia di scheletri umani, tutti con ossa spezzate e crani sfondati da mostri d'dati in uniformi consunte aprivano un panorama vinto da grossi mostri d'acciaio. Erano dei sottomarini nazisti, sei o forse dieci o cento, la baia era lunga più di mezzo miglio e il buio aveva sommerso più della metà del tragitto. Quei corpi di guerra intrappolati nel ghiaccio facevano paura e sopra le loro torrette c'era un disegno ricorrente ed era una sorta di ringhio con denti aguzzi, segno non solo di presunzione ma anche di cattivo gusto.
Quell'altare alla morte doveva avere un qualche significato. Una base così grande non poteva avere avuto una triste sorte solo per caso. Dentro non c'erano segni né di violenza né di bombardamenti. Cosa o chi aveva fermato i nazisti e le loro armi?
I loro sottomarini sembravano innovativi per i nostri tempi figuriamoci per il 1944. I loro scafi erano lucidi e nulla sembrava aver intaccato la loro gelida bellezza se non la mancanza di qualcuno che li guidasse.
Ero certo di agire male ma il primo impulso non si può non ascoltare. Volevo entrarci. Volevo entrare nella pancia di quei mostri che aspettavano solo il mare.
Sopra la baia fissa nel soffitto una roccia che pendeva per una ventina di metri. Il mio spirito voleva che io indagassi dentro le navi ma la mia vista fu rubata da quell'impressionante cuspide fissa quasi per miracolo dentro il centro della caverna.
Se eravamo soli la dentro io non potevo saperlo. Ma vidi Modo inginocchiarsi proprio sotto la punta della roccia e ad occhi chiusi recitare come se fosse in trace: Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi. La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come quelli dell'orso e la bocca come quella del leone. Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità. E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia; e adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: "Chi è simile alla bestia? e chi può combattere contro di lei?" E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. Le fu pure dato di far guerra ai santi e di vincerli, di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. L'adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello che è stato immolato. Se uno ha orecchi, ascolti. Se uno deve andare in prigionia, andrà in prigionia; se uno deve essere ucciso con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi.
Poi vidi un'altra bestia, che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelle di un agnello, ma parlava come un dragone.
Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza, e faceva sì che tutti gli abitanti della terra adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata guarita. E operava grandi prodigi sino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva gli abitanti della terra con i prodigi che le fu concesso di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di erigere un'immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita. Le fu concesso di dare uno spirito all'immagine della bestia affinché l'immagine potesse parlare e far uccidere tutti quelli che non adorassero l'immagine della bestia. Inoltre obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d'uomo; e il suo numero è seicentosessantasei.

"Modo?"
Lo chiamai una decina di volte ma lui pregava per qualche inspiegabile ragione perché la dentro io non sentivo nulla di strano.



                                                                                                                                                      Vivo per vincere
                                                                                                                                                      e ad ogni sconfitta
                                                                                                                                                      divento solo più forte.


11


888

"Da qui non usciremo vivi."
Le parole di Modo non mi mettevano particolare paura ma vederlo così impaurito e così lontano dalla realtà mi disorientava. Forse lo avevano drogato prima che mi venisse a prendere e le droghe o gli allucinogeni potrebbero spiegare tutto.
Io invece continuavo a pensare ad Eva o alla donna che mi aveva usato per il suo piacere. Che mi fossi inventato tutto? Che fosse stato solo un sogno?
"Solo la fede potrà aiutarci. Solo la fede."
Mi avvicinai e lo presi per le spalle.
"Modo? Che ti prende? Noi non siamo diavoli ma nemmeno preti, la nostra fede non credo basterà per farci uscire da qui, torna in te."
Mentre lui recitava i passaggi dell'Apocalisse il mio mal di testa tornò improvviso e fu come sentire la lama di un machete avvicinarsi ai nervi della spina dorsale.
Urlai.
L'eco divenne un boomerang che mi colpì come un battaglio la campana. Poi ricordai gli scritti sulle pareti di Base Akura. Ricordai gli esorcismi e gli intarsi sulle pietre. Non erano incantesimi contro un dio pagano. Non erano formule magiche. Ma pareti. Erano i muri che contenevano uno spirito. Certi spiriti, certi esseri, mi spiegò una volta Capitan Butz, non hanno bisogno di una tomba o di una prigione perché loro possiedono forze maggiori di tutti i manufatti della terra. La preghiera era la forza in assoluto capace di bloccare il Diavolo ed era per questo che lui giaceva sotto le profondità oceaniche, non perché il passaggio tra lui e l'umanità fosse sigillato col cemento o col ferro o con porte d'acciaio ma da preghiere lungo tutto il percorso dell'imbuto.
La baia non era che un concentrato di preghiera, una sorta di libro invisibile e gigantesco capace di fermare qualcosa d'invisibile ma diabolico. Avevo l'impressione che quel coperchio fosse una fusione di un'antica fede, ancora più vecchia di quella cristiana che però ne aveva influenzato i dettami.
Modo pregava. Io lo fissavo ignorando l'ombra che si era avvantaggiata sulla baia prima illuminata quasi a giorno. Qualcuno o qualcosa era con noi.
"Buongiorno Her Hooc!"
La voce di Heinz mi rabbrividì non quanto vedere il profilo di Julia che mi fissava come una lupa certa di prendere la preda.
Sopra la torretta di uno dei sottomarini sei figure si mostrarono come se chiedessero il nostro benvenuto.
Modo aveva smesso di pregare per girare la testa e guardare nella stessa direzione dove io avevo puntato gli occhi.
Klupp, Heinz, Bert, Julia e il Filler ma quello con handicap e un'altra figura nell'ombra che di sicuro era una donna.
"Ti, timo,theus Hooc, cbard ?"
"Carissima famiglia nazista, eccomi. Mi cercavate?"
Heinz mi fissava mentre Filler disse qualcosa in una lingua sconosciuta alla donna nell'ombra.
"Vede Her Hooc, questa è l'avanbase 211, non è perfetta?"
"Chi siete voi e cosa volete?"
"Noi siamo i tanti, l'esercito, la sua mano destra."
"Di chi?"
"Tra poco lo scoprirà."
Una ragazza che non avrà avuto più di dodici anni si avvicinò a me ed a Modo. Non indossava vestiti, non si vergognava e sul suo volto nemmeno un cenno di luce umana. Camminava ad occhi chiusi come un robot previsto di un telecomando telepatico. Aveva i capelli biondi e lunghi fino ai polpacci e notai che le unghie delle mani e dei piedi superavano i dieci centimetri di lunghezza. La selvaggia di fermò davanti a me ed aprì gli occhi. Non aveva nulla. Né iride, né bianco, ne vuoto ma una sorta di cielo che lasciava scorrere nubi e le mescolava ad altre nubi come se dentro custodisse l'intero pianeta.
"Tim?" la voce di Julia aveva un timbro dolce e disorientante.
"Tim lei è la chiave. Musa ti aiuterà a ricordare. Adesso tu devi ricordare."
"La bambina mi diede la mano ed io gliela strinsi."
Modo si era bloccato ma sentivo che mi diceva di resistere, di scappare, di fare qualcosa. Invece io non volevo resistere, io volevo scoprire, volevo liberarmi di quel fardello che mi opprimeva dentro. Che si fosse liberato pure il Diavolo, si sicuro ci sarebbe stato un modo per rinchiuderlo se davvero esisteva.
"I cinque scesero dalla torre e vennero vicini a noi. Non avevano armi. Non né avevano bisogno in quel posto, lo sapevano loro come lo sapevo io.
"Hai mini hai, mini ini tai hai, uni i, uni o, uni ini ka i do. Tai mini hai mini ini hai tai, uni i uni o, uni ini ka i do."
La recita della ragazzina era un tranquillizzante, un canto ipnotico che trascinava il mio spirito in una bolla sospesa del tempo mentre qualcos'altro usciva fuori dal mio animo, un altro me più forte e più sicuro.
Iniziai a cantare con lei. Prima lentamente, poi più velocemente, inserendo nella sequenza dei versi dei numeri.
"Hai, mini 6 ini hai tai 66, uni i, 9 uni o 0, uni ini ka i do 179."
E tutta la sequenza ricominciava con gli stessi versi ma con diversi numeri.
La pietra del soffitto, la chiave di volta dell'intera baia fece un sussulto e vidi gli occhi degli spettatori fissarla con interesse.
Filler gridò e questa volta senza balbettare: Lui rivivrà!
Ma Modo cominciò le sue preghiere, gli esorcismi e Bert che capì quello che stava dicendo, fece un salto di sei passi e gli piantò una ginocchiata nello stomaco. Un grido di dolore e il mio amico fu a terra in meno di due secondi.
La ragazza si strinse a me ed io la abbracciai non come una donna, non come una figlia, non come un'amante ma come una parte di me che credevo perduta e qualcosa successe. Una luce. Un boato come se fosse crollata la montagna oppure il mondo. Noi ci mescolammo i respiri, le esistenze, i pensieri e tutta la mia vita divenne la sua mentre la sua innocenza assorbì cose che avevo dimenticato e che lei iniziò a recitare. Eravamo una sola voce. Una voce che apriva le viscere della terra. Nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto. Nessuno vedeva i nostri corpi uniti e nessuno percepiva la nostra forza. Eravamo prima un vortice, poi una fiamma e nuovamente un vortice. Le pietre si spaccarono e le loro scritte si sbriciolarono. La parete di ghiaccio davanti a noi crollò e per pochi metri i massi non travolsero gli altri. Sotto la parete apparve il coperchio di pietra circolare, questo a differenza dell'altro che avevo visto giorni prima non aveva né scritte, né graffiti. La sua nudità lo rendeva imponente e la nostra voce una volta che lo colpì innescò chissà quale ingranaggio che iniziò a farlo girare in senso antiorario.
Nonostante ripetessi come un automa le formule inculcatemi da piccolo, una parte di me raccoglieva preghiere cercando di difendermi da qualcosa dentro e non fuori dal corpo.
Musa si era come sciolta dentro la luce. Io mi sentivo ancora pesante ma potevo dire che i miei piedi non toccavano terra e gli spettatori a parte Modo che tremava come una foglia, sembravano sciacalli in attesa di carcasse.
Il Diavolo era libero. La porta cadde e l'occhio di roccia ancora buio mandò il primo segnale d'allarme, un odore di putridume e di morte che si mescolò all'aria che ci entrava nei polmoni. I nazisti tutti e Modo anche, vomitarono un liquido scuro, verde credo che sembrava cacca di animali liquefatta.
Musa che prima mi stringeva le mani era completamente svanita mentre io ero lì sospeso tra due mondi, il nostro e quello dell'ignoto che avanzava da oltre il portale.
"In nome di Dio resta dove sei."
L'esortazione di Modo provocò un segnale simile al ringhio di un grosso lupo o meglio al ruggito di un leone inferocito.
"Per Gesù, per tutti i santi in Paradiso e per i martiri, resta dove sei!"
Il ringhio divenne una risata dura, cavernosa che fece tremare la nostra carne e le nostre menti.
Dal buio del corridoio il nuovo mondo stava avanzando e noi eravamo lì davanti a lui, colpevoli d'averlo liberato e indifesi.
E quando tutto sembrava oramai volgere alla fine la mia mente divenne un peso buio come se mi qualcosa mi avesse usato come ancora per il regno delle tenebre. Nessun boato. Nessun terremoto. Nessun mostro. Solo silenzio. E buio.
E nonostante quell'attimo propenso alla catastrofe il mio pensiero ritornò alla ragazza dagli occhi d'oro, ad Eva e al suo corpo o al fantasma che riuscì a toccarmi il cuore.


Silenzio e buio. Nessuno osava fare un rumore e persino il respirare sembrava voler restare nascosto come se spezzato l'incantesimo, qualcosa ci brutto potesse avventarsi su di noi. Furono accese delle grosse torce ma non bastavano per illuminare tutta la sala.
Filler fu il primo del gruppo a spostarsi verso la caverna, gli altri rimasero fermi ad osservarlo. Dopo essersi arrampicato con fatica sui pezzi di roccia e ghiaccio caduti, cercò un posto abbastanza alto e vicino all'ingresso, posò con naturale difficoltà la sua torcia in modo che illuminasse un punto preciso dentro l'imbuto di tenebre e poi sfilò dalla parte interna del giaccone quello che sembrava un libro, un libro con la copertina nera. Filler lo aprì. Mi venne da ridere al pensiero di un balbuziente che recita poesie da un libro. La sopra sembrava un piccolo e deforme diavolo che era pronto ad un discorso per i suoi seguaci.
Ma invece di leggerlo, il libro, fece una cosa completamente disorientante. Emettere dei suoni, lunghi o corti e in sequenze come se seguisse uno spartito preciso. Ancora più straordinario era il fatto che la mia mente li capiva e li traduceva in parole. Quelle consonanti facevano parte del codice che mi avevano insegnato e che io e la ragazzina scomparsa nel nulla avevamo riprodotto con le conseguenze che poi si erano viste.
La sua orazione prevedeva un matrimonio di due consonanti, una pausa e poi altre consonanti evitando con accuratezza qualsiasi vocale.
"Ssssssssssssssssssssssssssssssstttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt, ccccccccccccccccccccccccccccccccccccchhhhhhhhhhhhhhhhhhhh,mmmmmmmmmmmmmttttttttttttttttttttttttttttttttttt,llllllllllllllllllllllllllllllllllllllssssssssssssssssssssssssssssss."
"Julia e Heinz e tutto il gruppo fissavano sempre la bocca di pietra scolpita da qualcuno con materiali e mezzi incredibili perché quella lavorazione non solo sembrava antica ma fuori dalla portata umana. Un disco di pietra circolare di quelle dimensione era difficile da riprodurre da una civiltà moderna figurarsi l'uomo primitivo. Certi aspetti di quella tana la facevano sembrare una prigione spoglia e senza molti comfort. Chiunque l'avesse creata aveva un buon motivo per rinchiudere qualcosa di particolarmente pericoloso.
Un momento di calma e la voce di Filler sembrò scomparire anche se noi potevamo osservare la sua bocca che continuava la sua strana orazione.
Il buio divenne un corpo solido che spingeva la lumaca della tenebra fuori dal guscio. Una cosa senza proporzioni si stava riversando nella baia. Noi tutti iniziammo a fuggire. Filler in meno di un secondo fu inghiottito i suoi amici fuggirono verso il sottomarino dal quale erano scesi.
La cosa si spingeva in avanti e non aveva una coda ma tanto di quel corpo da paragonarlo al letto di un fiume lento e profondo.
Quella massa non apparteneva alla natura. La sua libertà era un segnale di morte per molti di noi o forse per tutta l'umanità.
In qualunque direzione avessimo corso ci avrebbe raggiunto perché si gonfiava come una spuma capace di arrivare anche nei posti più piccoli.
Adesso capivo il perché degli esorcismi, delle preghiere e di quei segnali lasciati sulle pietre. Erano un: "Fate attenzione! Tornate indietro! Pericolo!"
La cosa ci venne addosso, entrò nei nostri occhi, nelle nostre narici, nei nostri polmoni, nei nostri intestini e poi ci sputò come bocconi di mela marcia e fu come nascere una seconda volta. Tutto il dolore della terra ci spaccava le carni e ci faceva piangere sangue. Mi pisciai addosso e il liquido che mi scivolava lungo le gambe mi bruciava come benzina accesa. Morire sarebbe stato un campeggio in paradiso a confronto ma lei ci voleva vivi, tutti e poi dimenticai anche il mio nome appena vidi i suoi occhi.

 

                                                                                                                                            Poi la Bestia t'inviterà al suo banchetto
                                                                                                                                            ma tua fede le dirà che sei sazio.


12

All you need is love

Tre mesi dopo …

Stavo mangiando un pezzo di cernia appena pescato e Modo mi guardava facendo un cenno al pesce avanzato.
"Già. Ma è la naturale fine di una preda."
Ci alzammo per seguire la linea dell'orizzonte che mostra la sua piccola striscia di terra.
Ero fiero di me. In molti lo erano e lo sarebbero stati. Lo sentivo.
L'insane Gloria correva sull'onda come una giovane pronta per il letto del suo amante ed io avevo la bramosia di un uomo che doveva concepire il suo sogno tra le braccia di quella specie che attendeva da troppo tempo il Messia.

Alla radio un coro di voci cantavano: All you need is love.
Davanti alla folla io mi alzavo senza volare. Qualcuno pensava a un gioco di prestigio o un macchinario guidato da un telecomando, altri ad un gioco di specchi e pochi ma convinti pensavano ad un miracolo. Allora mi alzai sopra le folle e parlai.
La mia voce era il vento. La mia forza era uragano. La mia fede tenebra. E loro all'inizio impauriti poi curiosi alzarono tutti e quanti le teste per ammirare quello che credeva di essere il loro Dio.
"Io sono il Messaggero degli Dei."
Un risolino partì da uno di loro e la mia mano lo fulminò. Allora gli uomini chiamarono altri uomini e la loro vecchia fede sostituita con la nuova.
"Chi sei tu?", mi gridò un ragazzino convinto di poter osare il confronto.
"Il re. Il tuo Dio. Il male."
"Noi non abbiamo paura di te.", gridò convinto di ridere della forza di chi non aveva bisogno di nulla per ergersi sopra le loro carni.
"L'avrete."
I miei occhi divennero pece e Modo portò davanti ai miei occhi un neonato. Lo guardai e anche lui divenne pece e la sua nuova vita era al servizio della mia. Una madre piangeva e gridava e imprecava contro di me e Modo la spogliò, la stuprò davanti alla folla e ne mangiò le carni come qualsiasi buon servitore farebbe per onorare il suo re.
"Banchettate dei vostri figli, e voi figli banchettate delle vostre madri, e voi uomini uccidete i maiali nelle pance delle vostre donne e andate a ingravidare le capre o le volpi e create la nuova specie che piaccia al Re dei Serpenti."
Qualcuno cercò con atto di coraggio di mandarmi contro le sue bombe e i suoi soldati. Povere carni macellate dove i miei corvi avrebbero pascolato lieti per mesi.. Il mondo si sarebbe preparato alla guerra. Ma io aspettavo il mio esercito da sotto le acque che presto avrebbero portato la parola del Nuovo Signore a tutte le terre emerse. Le guerre erano figlie mie come gli orrori delle ferite e dell'ira. Nemici e felici, così avrei reso gli uomini.
Ero stato un marinaio e poi divenni qualcosa che mi offriva l'intero pianeta. I miei seguaci iniziarono nel primo anno del Messaggero, a bruciare le chiese e tutte le tombe che esponevano una croce. I vecchi dei sarebbero stati dimenticati e gli altari avrebbero visto prostituirsi tutte le vergini coi vecchi padri per generare i miei futuri angeli e figli per la stirpe dell'oscurità.
In meno di sei giorni avevo generato tanta pioggia da far crollare i vecchi simboli della bugia moderna. L'umanità avrebbe avuto il fuoco solo per cucinarsi le prede e il buio costante rivendicò i sogni proibiti, tutti potevano tutto e senza regole.
Il mondo sarebbe morto e poi risorto. Ogni casa, ogni uomo, ogni cosa, ogni essere in cui entravo prendeva una parte di quella tenebra che mi aveva alimentato per millenni.
Io non ero il superstite di qualche razza aliena ma il criminale che una specie lontana decise di confinare nell'anima di ghiaccio e di pietra. Il mio castigo era vegliare per l'eternità sul sarcofago e sulla razza primitiva che mi avrebbe sopportato l'umore e la sopita forza. Quella assenza dall'universo e dal male mi aveva indebolito ma non inginocchiato, io Heh, avrei sostituito la pena con la vendetta e poco alla volta riabilitato la fama.
Il mondo degli uomini divenne una casa stretta ma divertente. Quasi tutti mi servivano con fedeltà e sentivo che alcuni di loro mi combattevano o mi sfuggivano, come la donna che cercava l'uomo in cui ero entrato, sicuramente per uccidere il male che s'era innestato nel suo spirito. La donna era Eva.
Allertai i miei seguaci che avevano compreso l'importanza di catturare viva una certa prigioniera. Lei era il mio anello debole e non perché ne temessi la forza, potevo stritolarla a mille chilometri di distanza e solo con il pensiero ma per una certa volontà che la rendeva indistruttibile. Aveva una fede intatta. Il suo peggior peccato ero io, erano i sogni che aveva fatto su Hooc, era il desiderio di fare del male al male.
Aver rinnegato la mia forma per adottare quella umana mi aveva reso sensibile a certe emozioni che prima non consideravo concepibili. L'oblio in quel posto mi aveva regalato un gioco con pedine sacrificabili e nessuno mi avrebbe mai più rinchiuso.
Prima o poi avrei trovato il modo per attraversare la galassia. Prima o poi avrei divorato i miei nemici come io stavo per divorare questo pianeta.


Eva stava per scivolare dentro un sonno profondo. Era stanca di nascondersi. Di provare paura. Di provare dolore. Era stanca di quella solitudine che mimetizzava davanti alla gente. La gente era diventata bugiarda, subdola, serva del buio.
Lei non era mai stata un angelo e non pregava per farsi perdonare i peccati ma concepiva il sacrificio come una salvezza dovuta a quei bambini divorati dagli adulti barbari. Il nuovo Padrone del mondo aveva decretato nuovo leggi ed era accertarsi di vivere la vita senza alcuna legge.
Viveva nelle cantine perché i diavoli non si nascondevano più dal sole anche se dal pallore dei loro volti si capiva che il sole era un evento naturale trascurabile e cancellabile. Di giorno tutti loro dormivano. Dormivano nei loro letti e nei loro mondi come prima. Di notte lavoravano o sbrigavano le stesse faccende appartenenti una volta al diurno. Di notte si aravano i campi e si raccoglievano i frutti della terra. Di notte si facevano partorire i bambini e gli animali e se il parto accadeva di giorno, i neonati di qualunque razza venivano abbandonati assieme alle loro madri. Lasciati morire senza cibo, né acqua in strada dove gli animali selvatici circolavano liberi ed affamati.
L'umanità era degenerata. Il senso della ricchezza si riferiva solo alle due cose considerate fondamentali dai diavoli: il cibo ed il sesso.
La fine del mondo non era una cronaca ma storia che assorbiva dai mostri gli ultimi passi dell'umanità.
Non mi spostavo perché temevo di essere scoperta. Di giorno c'era una sorta di polizia di Modo che cercava i superstiti ed era un esercito di ragazzi incontaminati da Hooc, dei puri che nella loro vita avevano commesso più crimini.
Certi esseri nascono per natura selvaggi e il Diavolo non ha bisogno di lavarli perché possiedono tutta la linfa infernale già nel credo.
Durante il giorno, mentre gli altri dormivano, io cercavo il nascondiglio del Re. Possedevo un'arma ma solo contro le bestie che oramai erano libere di dare la caccia all'uomo.
Quello che avevo liberato era un mostro che bene vestiva la predisposizione alla crudeltà dell'umanità.
Il Diavolo si era proclamato padrone del pianeta ed il suo esercito di nazisti e mostri clonati avevano raso al suolo ogni base e ogni paese che cercarono di difendere la libertà.
Molti uomini divennero seguaci dei mostri perché avvidi e pionieri di una fede che li ripagava con offerte generose di cibo e squallido sesso di gruppo o con innocenti che venivano sacrificati durante quei rapporti.
Sapevo che non potevo nulla contro la sua forza ma avevo imparato molto dalle antiche scritture e dalle pietre e dagli scritti che avevo copiato dalla base Akura e che avevo intuito mi sarebbero serviti.
Trovai un posto, a Hillpot, una cittadina di diecimila abitanti sopra una collina che fissava l'Atlantico. In mezzo al centro della città c'erano otto grossi edifici, tutti di circa dieci o quindi piani che rappresentavano l'orgoglio architettonico di una crescita vertiginosa dell'economia locale. Il pregio di quella città erano i bambini, molti dei quali si erano salvati per miracolo dallo sterminio attuato dal Diavolo. Gli innocenti erano la carne preferita per i banchetti orgiastici e per le messe in onore al Dio degli Dei. I bambini venivano stuprati, mangiati o divorati dai cani che di giorno davano la caccia ai superstiti. Sopra i muri della Città Nera, così veniva chiamata New York c'erano seicentosessantasei pali alti più di venti metri con sei teste di bambini o di neonati ciascuno. Nella Città Nera i Diavoli giravano anche di giorno perché la guardia al regnante prevedeva anche l'esposizione al sole. I suoi soldati giravano in uniformi naziste con i volti mutilati da tagli molte volte, auto inferti perché il dolore faceva parte del credo.
Hillpot era un villaggio ancora e abbastanza lontano dalla Città Nera da non essere considerato un covo di sopravissuti. Un prete era riuscito a nascondere dentro una miniera dimenticata persino dalle carte comunali del Maine, un centinaio di bambini e di credenti che non avevano mai smesso d'avere fede in un Dio buono ma assente dal nostro pianeta.
Il prete si chiamava padre Samos Cheyne, un ometto sulla settantina che diceva messa tre volte al giorno e che benediceva ogni frutto e ogni seme che diventata cibo dei suoi commensali.
Samos era un uomo che insegnava il coraggio e la resistenza con un sottile sorriso perché aveva giurato di salvare quei bambini dall'oscurità.
Il giorno in cui conobbi Samos ero ferita e disidratata. Ero rientrata con l'Insane Gloria ma nascosta dentro una botte dove per un mese non feci che resistere alla sete, alla fame, all'odore di piscio e altro. Lui non avvertì il mio odore perché le feci ed i topi e tutto il putridume rappresentavano la miglior espressione dei suoi sensi. Se non fosse stato così mi avrebbe trovata dall'odore perché noi donne l'odore lo usiamo per il sesso e per tutti quei stati d'animo che scombussolano gli ormoni. No, Hooc non mi trovò e nemmeno il mostro che viveva in lui.
Da quando era diventato padrone dell'umanità, Hooc non si mostrava mai alle feste proibite cioè alle feste della morte ma appariva come per magia come è giusto che un Dio compaia ai suoi fedeli e sostenitori; si rintanava come un serpente sotto qualche vecchio edificio o forse si liberava come tutti i mostri dell'immaginazione, del suo corpo, per viaggiare con la mentre dentro le perversioni umane e godere.
Samos prima che il regime di Hooc diventasse omofobia, veniva al porto per comprare l'ultimo pesce rimasto, quello che di solito gli serviva per sfamare i parrocchiani poveri, che erano diventati la sua famiglia ed i suoi unici parenti.
Quando Samos capì che il male aveva lanciato la sua offensiva si avventurava al porto solo una volta la settimana per rubare, o prendere il prestito al male, come soleva dire per farsi perdonare il peccato, davanti all'altare dove restava inginocchiato in silenzio per ore.
Era un uomo che credeva ciecamente in Dio e non aveva mezzi migliori per spiegare ai suoi credenti che nonostante quei tempi bui Dio fosse presente, se non la fede.
Mentre cercava dei resti al porto trovò anche me, sfinita, smagrita, credo morente. Mi portò sul suo furgone e si prese cura della mia anima affinché non si fosse smarrita, nonostante le ferite mortali del corpo. Ma Dio un miracolo poté compierlo con me. Perché dopo due settimane di brodo di pesce e mele cotte ero in piedi e forte come se fosse rinata.
Abitavamo nelle gallerie che da sotto la chiesa, oramai ridotta a macerie, portavano alla miniera. In meno di un mese si erano organizzati con sentinelle e soldati pronti a difendere gli altri con la loro vita. Nonostante non fossimo diavoli, eravamo costretti a nasconderci come muridi, fiutando il pericolo da ogni ombra e sospettando di ogni volto nuovo che entrava a fare parte della piccola comunità.
Padre Samos aveva un buon fiuto e prima di portare una nuova famiglia sotto, la metteva alla prova; una prova di fede che solo lui sapeva in cosa consisteva ma quello che era certa era la sua efficacia. Se solo uno dei vampiri di Hooc fosse arrivato al nido tutti sarebbero stati spazzati via in meno di un'ora. Padre Samos per tutti gli altri era morto nell'incendio della sua parrocchia e dato che il villaggio era formato da parrocchiani credenti e virtuosi, la sua identità era rimasta segreta per il resto del mondo.
Raccontai agli altri chi ero e cosa avevo fatto. Raccontai loro dell'esperimento e di quello che avevamo trovato al polo sud.
Non sapevo in quale misura potevo essere utile ma sapevo che dovevo anzi potevo fare qualcosa.
Quando creai Musa, mi riservai una copia del suo embrione, un clone. Un clone che mi sarebbe servito nel caso Musa si fosse ammalata o fosse morta durante il trasporto.
Quando tutti ritornarono alla nave mi accorsi che Musa mancava o meglio, c'era una immensa lastra di pietra trascinata da sette slitte. Ricordo che l'essere che avevo creato era immune al freddo, alle nostre comuni malattie e persino al dolore ma non era immune alla morte. La combinazione dei due geni, quello alieno e quello umano le aveva regalato la mortalità e questa speranza era l'unico stimolo che mi faceva ancora dormire di notte perché l'insonnia era diventata mia sorella e nemmeno le pillole, difficili da reperire, sostituivano la pace dello spirito.
Vivere al buio insegna molte cose. Insegna a camminare facendo leva non sulla vista ma sulle percezioni. Insegna a percepire le emozioni dal semplice tono di voce e capire chi e cosa sta dicendo; questo processo aiuta molto nel caso ci si trovi di fronte al nemico.
Nonostante il divieto di Samos, io iniziai a uscire di notte. Volevo raggiungere casa mia e mettere ordine alla scienza, laddove la scienza poteva ancora correggere i propri errori.
Mi ero allenta per qualche settimana dentro i tunnel con una vecchia bicicletta ed i miei polpacci erano pronti per affrontare la lunga strada verso Long Island.



13


Il bambino di Doris

Abitavo in una camera in affitto, nulla di pretenzioso, stavo mettendo i soldi da parte per una buona causa. Per restare invisibile agli altri dovevo spostarmi di notte e possibilmente in mezzo a loro perché di giorno avevano addestrato i cani, animali affamati da settimane, a inseguire l'uomo per mangiarselo. Sulle strade c'erano carcasse umane piccole e grandi, pezzi smembrati coi segni delle zanne o peggio esseri agonizzanti con ferite profonde dove i corvi beccavano come ad un banchetto.
L'ultima scena che vidi di giorno, quella che mi fece decidere a viaggiare di notte era di una donna incinta che correva per strada supplicando aiuto mentre due uomini con le loro bestie la inseguivano, incitando i loro animali a mangiarsela. Lei inciampò e cadde stremata ma il primo cane le si piantò sopra la pancia con le quattro zampe e prima di sentirla urlare il suo muso le aveva già strappato meta volto. Soffriva ancora quando il secondo le aveva strappato il feto aprendole la pancia a morsi, per poi portarselo sanguinante pochi metri oltre e divorarselo.
Eravamo diventati come il cibo in scatola e nessuna bestia avrebbe mai potuto raggiungere l'orrore che Hooc aveva riportato sulla terra.
Di notte le strade era illuminate solo dai falò. L'uso dell'elettricità era consentita solo a certe fabbriche e nella Città Nera perché li vivevano i capi ed ai capi non dovevano mancare le comodità.
In tutto il mondo la gente si riscaldava e provvedeva alla vita come meglio poteva. I medicinali come l'uso dei telefoni o una semplice lavatrice erano un lusso. Gli ospedali erano loro come loro le scuole e loro l'istruzione dei piccoli. I ribelli mal organizzati venivano spesso presi e poi torturati, potevano considerarsi fortunati quelli uccisi sul posto.
Loro controllavano le telecomunicazioni, i giornali e i programmi televisivi. La lussuria era il codice primario per quella invasione dello spirito. Violentare una ribelle in piena piazza era un premio per la città intera e non solo per quello che l'aveva scovata. La poveretta dopo lo stupro collettivo veniva messa ai disposizione degli animali che se non la violentavano, la divoravano non lasciando molte volte, nemmeno le ossa. Le bestie umane erano degenerate al punto di rifiutare qualsiasi comandamento di civiltà.
Molti non avevano mai visto Hooc ma parecchi erano quelli che indicavano Filler, Heinza, Bert, Klupp e Julia come i suoi ministri. Modo invece era l'ombra del Diavolo. Lui sapeva come mimetizzarsi per sembrare uno dei ribelli. Lui recitava le sacre scritture a memoria e i fedeli arrivavano a considerarlo un profeta e non si rendevano conto di vendere al male non solo la propria pelle ma anche quella della propria famiglia.
Modo si travestiva ed i suoi giochetti divennero famosi nell'ambiente. Lui solo poteva incontrare Hooc personalmente. Lui sapeva in quale galleria si nascondesse il suo padrone e per quanto tempo.


La mia peripezia notturna fu inverosimilmente semplice. A nessuno interessava il ragazzo con i jeans strappati e la pistola dietro la schiena. Era diventata una moda comune esibire la propria arma e non 'cerano più leggi a proibire la resa dei conti. Chiunque e in qualunque momento era libero si spararti per antipatia o solo per indossare il suo vestiario. La regola del più forte era diventata la regola della preda e del cacciatore.
La mia camminata non aveva destato alcun sospetto ed a parte due vecchie zavorre sicuramente prostitute che mi presero di mira, offrendomi sesso gratuito ed altri sporchi giochetti, arrivai sotto casa che era già alba e tutti gli esseri erano scomparsi dalle strade.
Certa che il mio appartamento non fosse d'interesse nazionale per qualcuno entrai senza sorprese. Forse si erano dimenticati me ma ero certa che la speranza non poteva rappresentare una certezza. Cercai i soldi, sarebbero serviti tanti soldi e poi il thermos del college, quello dei Ghostbusters di cui ero una fanatica sostenitrice. Sarebbero serviti loro ad aspirare la forza aliena che aveva invaso il pianeta.
Nel appartamento di sopra delle voci iniziarono a gridare. Dei cani, probabilmente avevano assalito i loro padroni. Il ringhio di cani feroci si era mescolato a grida di dolore e questo mix mentre mi nascondevo sotto la botola dietro al frigorifero. Qualche minuto dopo qualcuno camminava nel mio appartamento e poi arrivarono anche altri passi. Sentivo scatole che cadevano, ansimi e altri oggetti di vetro che si sbriciolavano come se la rabbia non fosse bastata per quella caccia al tesoro. Spararono alle finestre, poi al frigorifero e poi alla mia intera collezione di cd di musica classica. Dopo aver fatto scempio di tutti i ricordi della mia esistenza se ne andarono non prima di avermi lasciato un piccolo regalo.
JEKB, dell'acido ostipinato e derivante dalle cellule embrionali aliene, capace di bruciare senza fiamma oggetti e persino corpi. Si poteva ottenere una combustione da una goccia soltanto e ne bastavano meno di cento per cancellare un corpo umano oppure il mobilio di un appartamento. Quell'acido aveva dato vita a Musa ed anche quello era una delle mie colpe. Qualcosa mi diceva che mi stavano cercando.
Si diceva in giro che Hooc era capace di leggere nella mente della gente a chilometri di distanza e sicuramente aveva capito che ero viva e non solo, che lo stavo combattendo.
Molta della nuova gente non era nemmeno americana. I confini del paese non esistevano più. Non esistevano più confini in tutto il mondo e le genti oramai mescolatesi avevano perso le loro tradizioni, le loro regole sociali, le loro mete. Tutti divennero cattivi e randagi. Popoli che spodestavano altri popoli, invasori ed invasi. L'incertezza e la paura erano la chiave dominante del Nuovo Ordine. Uomo mangiava uomo e non per saziare la propria fame ma soddisfare la crudeltà a cui erano incitati gli spiriti seguaci della nuova fede.
Le lingue non erano inglese francese o cinese, ma dialetti appena comprensibili che usavano miscugli di parole straniere.
Il male poteva avere il volto di un adulto o quello di un bambino.
Sebbene quell'infezione fosse mondiale, ero certa che colpendo al cuore del virus, molte cose si sarebbero aggiustate anche se il passato non poteva più essere cancellato.
Colpire al cuore il Diavolo significava: uno, che c'era almeno una probabilità di scovarlo, due, di essere abbastanza vicini da colpirlo e tre, di assicurarsi che nulla o nessuno potrebbe essere nei paraggi per aiutarlo.
Se quell'essere è stato sepolto per millenni o milioni di anni, significava che un punto debole l'aveva e anche se non fosse stato mortale c'era la possibilità di rispedirlo all'Inferno, così come successe agli antipodi dell'umanità.
Stavo per uscire dalla botola quando due voci molto conosciute arrivarono proprio dalla cucina. Erano quelle di Bert e di Julia, l'amata mammina nazista. Non capivo le loro parole ma erano adirati per qualcosa che non trovavano.
"Sei venuto qui tre volte e mi dici solo ora che non hai trovato nulla?"
Il timbro di Julia era diventato un tuono.
"Non ha nascosto nulla. C'erano solo libri e dischi. Non possedeva nulla."
"Le foto?"
"Cosa?"
"Le foto della sua famiglia idiota?"
"Le abbiamo bruciate?"
"Sei un deficiente."
"Non c'era che la foto di un neonato."
"Ah si?"
"Si?"
"E chi era il bambino?"
"Suo nipote credo."
"Allora che aspetti?"
"Eh?"
"Andiamo scemo."
"Dove?"
"Chiunque abbia il bambino ha anche quello che noi cerchiamo."
"Sì?"
"Sì. La nostra scienziata è molto vulnerabile. Il nome?"
"Di chi?"
"Del bambino, idiota."
"E' il figlio di Doris, la sorella di Eva. Leo Prine."
"Leo Prine?"
"Sì."
"Bene, portiamoci i cani, ci sarà un banchetto. Anche se Heh pensa il contrario, lei è morta e tutti i suoi miscugli."
"Attenta … lui, sai potrebbe sentirti."
"Ho dedicato a lui la mia vita e non è tradimento essere felice che lei sia morta in quel maledetto continente. Io sento che la desidera, la sogna, come se il miscuglio mortale gli avesse lasciato dei ricordi, dei bei ricordi di una donna che non conosceva nemmeno."


Mentre stavo lì al buio, consideravo quante cose erano state stravolte da solo essere in meno di un anno. Un mondo intero ridotto a vivere di notte, un mondo intero affamato di sangue e violenza, un mondo senza regole e sembravamo tutti tornati all'età della pietra.
La pace che vivevano i pochi superstiti di Samos, era una condizione precaria e provvisoria. Nonostante le gallerie preservassero gli uomini dal freddo e dalle piogge, l'esposizione dei bambini all'umidità e all'aria viziata, procurava continui malanni difficili da curare per la scarsità dei medicinali. Le farmacie erano blindate e i furti ridotti ad attacchi che culminavano con l'uccisione del povero ladro o dell'intera banda. Si era sparsa la voce che i ribelli avrebbero avuto bisogno di nutrirsi e di curarsi così i neri presero le precauzioni.
Centinaia di migliaia di cani feroci uscivano dagli allevamenti e la loro natura era incontrollabile persino dai padroni che usavano fruste elettriche per tenerli a bada.
Il tempo non aiutava come non aiutava la pioggia, oramai crudele alleata dei diavoli.
Erano passate ore e decisi di uscire. Delle gocce di JEKB, mi avevano distrutto le scarpe. A piedi nudi sotto la pioggia non era davvero il massimo. Buttai il naso fuori dalla botola. La stanza aveva un odore acre come di vomito e a parte delle macchie scure ovunque, non c'era latro del mio passato. Tutto cancellato.
"Tu chi sei?"
La voce arrivò come un tuono e mi spaventai a tal punto da cadere giù dai gradini della scaletta di legno. Una torcia puntò dritto sui miei occhi e pensai che era arrivata la fine.
"Tu chi sei?"
La voce del ragazzo che parlava nella mia lingua sembrava calma ma io sapevo che i cacciatori di ribelli si fingevano buoni, proprio per catturare con facilità le loro prede.
"Mi chiamo Eva Treways."
"Va bene Eva Treways, sali."
Non avevo scelta così pensai che sarei stata fortunata se mi avessero uccisa subito, senza torture e senza violenze. Non volevo che sapessero di Samos e della miniera. Il tempo stringeva e pensavo ancora a come suicidarmi in caso mi avessero chiesto sotto tortura degli altri ribelli.
Le dittature possono prendere varie sfumature ma le facce dei dittatori cercano sempre un rango nella bellezza perché arrivata in cima alla scala, casualmente la luce della torcia illuminò il viso del ragazzo e mi sembrò uno di quei partecipanti a Mister Universo, tanto era attraente.
"Per favore uccidimi.", gli dissi con un filo di voce che lo disturbò non poco.
"Ma sei pazza?"
Mi aveva aiutato a salire e poi spenta la torcia si diresse verso le finestre senza vetro, camminando sui cocci che facevano un tremendo rumore sotto le sue scarpe. La notte senza stelle rendeva il mondo ancora più buio. I rumori della notte e della gente che usciva erano gli stessi di una qualunque giornata lavorativa con la differenza delle voci, dei volti e degli abiti.
Mi sorse spontaneo un dubbio.
"Perché non mi uccidi subito?"
Lui tornò indietro e mi si piazzò davanti. Era abbastanza alto da fare paura.
"Perché vuoi essere ammazzata?"
"Ma tu non sei uno di loro?"
"Se lo fossi stato non credo ti avrei chiesto come ti chiami. Ai neri non importa chi sei, ne cosa sei. Se sospettano di te non c'è un tribunale che avvalga le loro accuse o la tua difesa. Sei spacciato e basta."
"Chi sei?"
"Michael Kennedy."
"Nome importante per un ragazzo che gira da solo in una città infestata e armato solo da una torcia."
"Vedi, qui ti sbagli."
"E' vero, i miei hanno ereditato la fama ma la fortuna di sopravvivere. Sono stati tutti bruciati vivi come i campi di mais dopo la raccolta. Io ero in ritardo al raduno di famiglia, mi trovavo nelle grotte dei Carpati e l'aereo sarebbe dovuto arrivare a prendermi il giorno dopo. Nascosto a quasi un chilometro sottoterra, non avrei sentito nemmeno una bomba nucleare, figuriamoci un colpo di stato o peggio l'avvento dell'Anticristo. Quando tornai in superficie, i miei compagni di viaggio erano scomparsi ma i loro viveri ed i loro zaini, con i passaporti, i soldi e i cellulari erano rimasti per terra, nelle tende.
Un colpo di vento aveva spazzato via dieci persone senza che queste avessero avuto il tempo di lasciare un segno. Io ho camminato per giorni fino al primo villaggio. Ho mangiato solo frutta e resti di cibo. Il mondo conosciuto era scomparso e di giorno non incontrai nessuno. Questo per tre giorni, il terzo arrivai in una grossa città con un'auto rubata e mi ero accorto dalle scritte sui muri e dai cadaveri che qualcosa non funzionava. Poi in un centro commerciale, sempre di giorno vidi una sorta di trasmissione, credevo fosse uno scherzo, con gente vestita da nazisti che torturavano un prete ma lui non fu l'unico, migliaia aspettavano il loro turno dentro recinti per bestie. Filmavano persino le violenze sui bambini e le loro cruenti morti. Vomitai per ore. Non trovando armi presi solo un coltello da caccia ed un arco. Sono sempre stato negato con le armi. C'erano dei ribelli che mi affiancarono ma morirono prima arrivassimo al porto di Costanza. I cargo caricavano ancora merci e trovai uno che salpava per gli Stati Uniti. Di notte il mondo diventava una specie di termitaio sommerso e senza divieti. La gente si uccideva per meno di una parola e inneggiava il Diavolo che era tornato sulla terra. Non ho mai avuto fede ma ho visto cose che nessuno farebbe mai ad un uomo.
Arrivato a New York e dopo peripezie assurde persino da raccontare riuscì a raggiungere la tenuta dei miei. Ho invidiato per parecchio tempo le persone che vivevano solo in un monolocale. La casa dei miei era come una bara sigillata e mi faceva paura semplicemente guardarla figuriamoci entrarci."
"E sei entrato?"
"Sono dovuto entrare. Speravo che qualcuno dei miei fosse vivo e fosse ancora in possesso delle sue facoltà mentali. Io avevo altri due fratelli ed una sorella. Tutti più piccoli di me. Ebbene mi avvicinai alla finestra della sala, era giorno ma le tende della finestra erano tirate, cosa abbastanza strana dato che mia madre odiava il buio e viveva con le tende tirate e le finestre aperte anche d'inverno; le piaceva, diceva lei, vedere le stagioni e godere della pioggia se pioveva o della neve se nevicava, altrimenti per lei sarebbe stato anche inutile vivere senza godere dello spettacolo. Le tende erano tirate ma arrivato alla seconda finestra trovai uno spiraglio. La casa sembrava quieta. Tutte le cose al loro posto e mi orientai verso il tavolo che il nonno ci aveva lasciato e dove aveva brindato con Rob Kennedy, prima che morisse, una struttura creata per farci stare dieci famiglie. Come ti raccontavo, tutto sembrava al suo posto ma il tavolo mostrava delle masse oscure che avevano preso il posto dei soliti sontuosi cesti di fiori. C'era gente, credo i miei perché riconobbi mia sorella Carroll e mio fratello Richard che stavano sdraiati e nudi, abbracciati a qualcosa, qualcosa di grande. Quella cosa richiamò la mia attenzione. Era un corpo, un corpo umano privo di testa e quando osservai meglio, privo di altri parti del corpo. Le sue interiora erano sparse ovunque e il sangue, nonostante il buio, il sangue li vestiva come una seconda pelle. Mio padre era il proprietario di una grossa farmaceutica e le sue direttive sono inopinabili quando si tratta di volere qualcosa. Feci una cosa che mi chiese tutto il coraggio che avevo nel corpo; provai a chiamare il suo ufficiò dove una segretaria lussuriosa ed addormentata mi rispose. Finsi di essere lui e le chiesi di prepararmi una valigia con la nostra più potente droga, una sorta di allucinogeno inventato e studiato per i corpi speciali durante i loro blitz contro le armate islamiche. Lei mi rispose che l'avrebbe preparato per la notte ma io sentenziai che doveva prepararla in meno di due ore. Non potevo sapere che di giorno, solo i ribelli osavano muoversi, il resto del mondo con le sue fatiche appartenevano oramai alla notte. Lasciai la casa quasi subito e per paura di essere scoperto dai mille inservienti che viaggiano per casa ognuno con la sua mansione. Come vorrei essere stato figlio di una semplice coppia di insegnanti."
"Oggi anche quelli sono come i diavoli. Non c'è stato uomo a non essere colpito da questa infezione mentale."
"Dici che ci hanno manipolato le menti?"
"Credo che siano riusciti ad entrare nella testa della gente, liberando le loro inibizioni e le loro volontà da qualsiasi freno o regola che sia."
"Comunque di giorno non c'era nessuno. A volte sentivo l'abbaiare dei cani ma era una cosa sempre molto lontana. Trovai una jeep e due fucili. Mio padre ha sempre adorato uccidere gli animali, cacciava persino gli elefanti e questo era solo uno dei suoi giochi proibiti. Al sessantesimo piano della GlobalKeyWellness nessuno e meno male, avrei sparato a chiunque. La valigetta era sulla scrivania e la presi ma Kat, la segretaria di mio padre vedendomi, non so perché si mise a gridare. Io le sparai un colpo nello stomaco e lei invece di urlare di dolore, rideva. Capisci? Rideva e mi mostrava la sua fica mentre moriva. Scappai era già il tramonto e dopo essermi nascosto dentro un bidone della spazzatura vidi della gente uscire da questo complesso, pensai che forse qualcuno era morto e avrei trovato un facile rifugio. La jeep è andata bruciata."
"Adesso capisco. E allora cos'hai nella tua valigia?"
"Sai che mi ero dimenticato."
Michael prese la valigia e l'aprì.
"Cavolo ma non c'è quello che ho chiesto!"
"JEKB!"
"Cosa?"
"Quello è JEKB."
"Cos'è? Non è la droga che fabbricavamo per l'esercito."
"Di più. E' un'arma che stermina con poche gocce e non lascia traccia."
"Non ti capisco? E tu come fai a saperlo?"
"L'ho inventata io."
"Non ci posso credere."
"Proviene da dna alieno. Nemmeno la nitroglicerina o l'acido è così potente. E' come un raggio laser ma senza raggio e senza laser. E' inodore ma se te la versano addosso ti sciogli in meno di due secondi e senza lasciare una traccia sul pavimento se non l'alone di una leggera combustione."
"Perché lo fanno? Allora il mondo è fottuto, tutti noi lo siamo. Sicuramente lo stanno fabbricando ancora."
"No. Credo che serva a qualcuno, come medicina."
"Non capisco."
"Tu credi nel Diavolo?"
"No. Dovrei?"
Feci cenno di sì con la testa.
"Dovresti."
"C'è un essere che non è del tutto alieno e non è del tutto uomo che per sopravvivere ha bisogno della sua medicina."
"Ma tu, chi sei?"
"Io sono quella che ha aiutato alla liberazione di quell'essere. Questo Diavolo, o Heh, o come vuole farsi chiamare è per metà un marinaio, un brav'uomo ma con discendenza nazista e non solo quella, a quanto pare i nazisti sapevano da parecchio tempo dell'esistenza aliena ma non conoscevano il modo di liberarlo. Quando lo trovarono, ritornarono alla prigione dove era stato rinchiuso credo dai suoi simili e lo liberarono. Questo è tutto. Per uccidere l'alieno dovresti esserlo anche tu ma noi abbiamo un vantaggio."
"Noi? Ah, no signora sognatrice, io non c'entro nulla. Voglio solo mettermi al sicuro in qualche buco ed aspettare gli eventi.
Quelle cose la fuori sono cattive e violente. Io non sono un tiratore scelto e tu non sei un esercito per poterli ostacolare.
"Smettila. Se hai avuto il coraggio di entrare nella GKW, non puoi non avere il coraggio di lottare per quelli che restano ancora sani."
"Come mai non è successo a tutti noi?"
"Non lo so ma credo sia questione di geni, di messaggi; se l'alieno fosse stato operativo al cento per cento, cioè anche nel possesso del suo corpo allora saremmo stati tutti spacciati invece qualcosa in lui non va come dovrebbe. E' più potente di noi sia fisicamente che mentalmente ma la sua forma originaria è stata alterata forse a causa del troppo tempo passato in prigionia. Almeno questa è una mia teoria."
"Per adesso non avendone a disposizione altre, dobbiamo basarci sulle tue."
"Sì, purtroppo. Adesso prendi una fila e legati la valigia intorno al corpo. Serve che tu abbia le mani libere."
"Non so, potresti essere una di loro."
"Allora sparami!"
"Troppo facile. Potresti essere una cacciatrice di ribelli ed io il prossimo pranzo dei tuoi cani."
"Oppure tu potresti esserlo, forse io ho molto più da perdere."
"Tipo?"
"Una famiglia, degli amici …"
"Tu conosci altri come noi?"
"Sì:"
"Allora andiamo da loro, cosa aspetti?"
"Devo essere sicura che non sei contagiato. Che hai fede."
"E come farai? Io non ho mai creduto in Dio."
"Ma oggi credi nel Diavolo, no?"
"Sì. Sì ma è così lontano dalle nostre possibilità di ucciderlo."
"Ci sono molti modi di uccidere un essere e non deve accadere necessariamente adesso."
"Lui sta dando la caccia a quelli che esprimono la loro resistenza, non è infallibile ma è organizzato e i suoi mostri, i suoi ministri si avvalgono della tortura come testimonianza di credo e non come mezzo per estirpare una fede diversa dalla loro. Non credo comunque che una donna possa riuscire a fermarlo a meno che non abbia dei superpoteri."
"E chi ti dice che io non li abbia?"
"Mah, ti conosco da poco ma posso dire con fermezza che mi spaventi, forse quanto loro. Che prova vorresti?"
"Una cosetta facile. Nel nostro cammino verso la casa, perché ho intenzione di portarti in un posto sicuro, tu dovrai trovare dei ribelli, anche uno solo, e portarlo con te fino alla meta. Se lui muore ne cerchiamo un altro. Questo ribelle te lo cucirai addosso come una seconda pelle, altrimenti non se ne fa nulla. Se mi uccidono ti do il permesso di frugarmi e portarti via quello che ho addosso. Nel caso tu non sappia cosa fartene di queste cose, ti prego di consegnarle direttamente nelle mani di padre Samos, potrai trovarlo al porto. Ti auguro di avere fortuna."
"Sembri seriamente convinta di quello che fai. Perché?"
"Perché non c'è nemmeno la più lontana possibilità di adattarsi a questa situazione. Io rivoglio il mio pianeta, le mie depressioni mensili e gli hamburger con le cipolle."
"Ma gli hamburger ci sono anche adesso."
"Sì ma credo siano fatti con carne umana o di animali misti, vedi, i neri non sono molto schizzinosi quando si tratta di alimentazione perché l'alieno non si alimenta ma deve alimentare il corpo che lo ospita. Per questo non è infallibile Michael, mangia, dorme e respira come noi. Forse è capace di qualche magia in più ma per il resto è umano."
"Ok. Ho afferrato il concetto. Trovo un ribelle, lo obbligo a venire con noi e poi tu mi dici dove andiamo?"
"No."
"Che fai giochi?"
"No. Non ti dirò, dove andiamo ma ti accompagno. La strada è lunga e se tu avessi la tentazione di diventare uno di loro me ne accorgerei. Voglio essere sicura di te al cento per cento. Il nido è pieno di bambini, tantissimi bambini e se loro morissero sarebbe finita."
"Va bene. Ma adesso andiamocene. Qui scenderà sotto lo zero e sinceramente ci sono posti migliori dove nascondersi."
"Hai in mente qualcosa?"
"Hai presente le rovine delle chiese?"
"Aha."
"Loro non entrano dentro le rovine e nemmeno negli scantinati delle chiese. Non hanno paura ma una sorta di fastidio. Gli ho osservati. Persino i loro cani stanno alla larga. Cavolo, mi sembra di vivere su Marte."
"Il bello del non avere le leggi è proprio desiderarle."
Michael, mi guardò come se non mi capisse. Ma come poteva, in fondo io avevo stravolto quelle regole, io avevo scavalcato la fede per compiere un atto di scienza ritenuto da altri impossibile ed ora? I miei passi erano in perenne conflitto con i dubbi e le speranze, cose che uno scienziato non dovrebbe usare contro se stesso.
Dovevo capire dove avevano portato mio nipote e riprendermelo. Qualche asso nella manica non mi mancava e con un po' di vento a favore le vele della ragione ci avrebbero portato nella direzione giusta. Prine, doveva essere la famiglia adottiva di Leo e sicuramente era già parte dei neri. Il piccolo si sarebbe salvato solo se la famiglia l'avrebbe ritenuto importante per la propria causa quindi avevo il cinquanta percento di probabilità di ritrovarlo vivo.
Al mio accompagnatore non avrei detto nulla, almeno finché non avrò avuto la prova della sua fede.

 

14


La scienza di Dio contro la scienza dell'occulto

Una volta un poeta scriveva: … per sentire l'amore basta trattenere il respiro, più sentirai dentro che ti brucia più il tuo sentimento sarà grande.
I miei sentimenti erano oramai cenere di carta bruciata dove avevo smesso di scrivere per paura di essere scoperta. Chi amavo o cosa non aveva più alcuna importanza, il mio spirito si era liberato da certi pesi che non conoscevano misure in natura.
Volevo diventare grande ed eccomi, una donna senza coscienza che aveva regalato il mondo intero a un fantasma e al suo circo di mostri.
Pur non essendo nella mia natura diventai sospettosa. Certi luoghi, certe sfumature le percepivo in maniera diversa da prima. Ero cosciente di dover combattere ogni forma di male da me creata e per farlo dovevo trovare un laboratorio, con o senza aiutanti. Le altre cose non erano prioritarie. La sopravvivenza lo era. I bambini lo erano. Il mio corpo e il mio animo da troppo tempo soli stavano cercando di reggersi sopra impalcature in mezzo a delle rapire. Non possedevo nulla a parte la mia conoscenza, la mia tristezza e la mia solitudine. Guardavo Michael e vedevo un giovane uomo che percepiva la realtà in maniera meno drastica della mia ma era molto meno motivato a combatterla. Non so nemmeno se mi piaceva quel ragazzo. Mi mancava Hooc, il vero Hooc e il suo sarcasmo. Non sono mai stata una donna perfetta ma certe cose si sa, vanno secondo il cuore e non secondo la ragione.
Michael non riusciva a sparire nella notte perché troppo alto ma fu abbastanza furbo da nascondersi sotto il cappuccio di una felpa che nonostante fosse nuova sembrava più vissuta di lui. Eravamo entrambi sporchi e con evidenti segni di stanchezza sul volto.
Se dovevamo fare paura a qualcuno di sicuro sarebbe stato solo a noi stessi. Arrivammo alle macerie della Domus Dei, una possente chiesa cattolica che a parte qualche buco nel perimetro si reggeva ancora sui mattoni rossi e sulle navate gotiche. La grossa campana di bronzo, ferita nell'orgoglio ma non nel corpo, giaceva su un fianco sopra un Cristo di legno schiacciato dal suo peso senza alcuna pietà. La stranezza ma non l'impossibilità del fatto mostrava tante piccole schegge di legno che sfaldandosi avevano composto altre minuscole croci. Stranezza ma non impossibilità. Certi eventi posso apparire innaturali ma in fondo se si doveva analizzare bene la realtà, si viveva di fatti innaturali ma veri. Il male non era più una peculiarità latente del pensiero ma una forza presente tra l'umanità. Quella dimora del credo cercava ancora di opporre resistenza all'oscurità. La blasfemia non aveva vinto del tutto nonostante le ferite mortali inflitte al corpo di pietra. Le fila di panche sembravano sbranate da centinaia di proiettili sparati senza bersaglio e molti altri buchi come il vaiolo si erano piantati nell'altare. Il male aveva colpito mortalmente il corpo santo e disegni osceni con croci rovesciate infestavano il resto del ferito di pietra.
La notte impietosa aveva rovesciato nuovamente il volto del mondo che coi suoi vampiri, uomini senza legge si risvegliava per decretare violenza sopra ogni giustizia e buon passo dell'io.
La torcia di Michael seguiva una traccia sotto il pavimento che ebbe successo appena la luce scomparse sotto il primo gradino.
Scendemmo per due o tre minuti circa e da li seguimmo un corridoio anch'esso buio fino alla stanza si presume, delle cantine o dei sacri sepolcri.
Noi trovammo un sepolcro sconsacrato, con la lapide spaccata e la bara ridotta a piccole schegge di legno mescolato a del vecchio tessuto. Del morto solo ossa strappate allo scheletro e gettate nella stanza come poveri semi di melone sputati dalla bocca di un ingiurioso.
Avevamo fame e senza recar danno all'illustre defunto, facemmo un fuoco col tessuto e il legno rimasti. Michael tirò fuori dalle tasche dei pezzi di pancetta e una mela che per il momento sembrava il più grandioso banchetto della mia vita. La pancetta non necessitò di molta cottura mentre il pezzo di mela lavò bene i denti catturati da pezzi invasori abbastanza fastidiosi per una che era abituata a lavarseli almeno tre volte al giorno.
Oh, com'era bello pensare alla doccia calda e alla pasta dentifricia. I tempi della civiltà erano una sorta di ricordi d'oro a cui aggrapparsi con tutte le forze. Credo di aver dormito per un'eternità e senza sogni. Mi svegliai con la testa appoggiata sulla spalla di Michael che grazie al cielo non fece alcuna strana allusione, sebbene il suo odore fosse come il richiamo di un leone in mezzo alla foresta. Ci eravamo coperti con la sua felpa e credo di aver dimenticato il freddo appena il suo braccio mi offrì il petto caldo come cuscino per la notte. Mi addormentai al ritmo forte del suo cuore e mi piaceva credere che un altro superstite di quella tragedia stava condividendo la mia stessa causa. Odoravo a fumo e a polvere vecchia. Michael si era alzato prima di me per uscire e lo rividi solo dopo qualche minuto. Guardai nel mio zaino per verificare se il thermos non fosse sparito. Quando arrivò sembrava ben contento di affrontare la giornata.
"Forza, vai a far pipì. Ti ho lasciato la torcia per terra in corridoio. Dietro la scala, sarai al sicuro. Forza, abbiamo molte cose da fare. Hai del caffè in quel thermos?"
"Hai guardato nel mio zaino?"
"Di più. Ho letto il tuo passaporto. Sei fotogenica. E mi sono permesso di mettere al sicuro un flacone di JEKB."
"Cosa aspettavi per dirmelo?"
"Te lo sto già dicendo."
"Va bene, lascia stare."
"Cercavo una sigaretta. Non fumo mai ma ci sono momenti in cui hai bisogno di qualcosa che tiri su il morale anche del semplice fumo di semplice tabacco."
"I tuoi saranno stati orgogliosi di te, non fumi, credo tu non beva nemmeno e a quanto pare sei uno sportivo."
"Sono o meglio ero un pacifista e questo non dona molto alla carriera di un politico."
"Dovevi fare il politico?"
"Volevano farmelo fare ma poi hanno desistito."
"Perché se non sono troppo invadente."
"Perché amo fare altro. Poco banale e non convenzionale."
"Tipo?"
"Tu cosa dici?"
"Non saprei, il Musicista?"
"Acqua."
"Il cuoco?"
"Acqua."
"Il … medico?"
"Fuochino."
"L'infermiere!"
"Acqua."
"Medico per animali?"
"Sono un fisioterapista per i ricci."
"Eh?"
"Per i bambini con handicap. Noi al centro li chiamiamo ricci, perché arrivano impauriti e molto timidi. Col tempo imparano ad apprezzarci e si affezionano a noi come noi a loro."
Guardai Michael e capì che avevo ancora molto da imparare dal genere umano. Nonostante una condizione sociale perfetta, lui era sceso in trincea a combattere e non una battaglia da poco ma una guerra contro una malattia che priva i bambini di una vita normale. Ecco perché non poteva diventare un'anima nera, la sua illuminava come un esercito di angeli e quale forza potrebbe distruggere la sua fede quando il suo credo lotta ogni giorno per la speranza?
Lo fissai come si fissano le belle statuine di porcellana tant'è che si accorse della cosa e in cambio mi sorrise. Intimidita abbassai lo sguardo, non volevo credesse di essermi innamorata o altro. Aveva il dono di comunicare con gli occhi, quel ragazzo. Sapeva dare tenerezza o coraggio a seconda dell'intensità con cui ti fissava e avevo capito che ne aveva un terzo, uno che parlava senza dire parole lasciando solo al silenzio il potere di decifrarlo. Forse gli piacevo forse no ma era difficile capirlo quando si chiudeva in se.
Rubammo una vecchia Lincoln verde alla prima stazione di servizio, una decina di scatole di caramelle, delle torce, delle batterie e uno zaino pieno di merendine. Prima di andarcene lui lasciò un centinaio di dollari alla cassa, e vidi che il rotolo da cui sfilò la banconota era molto grosso. Lui girò il capo come se avesse bisogno di confessarsi. La giornata non brillava di sole ma la pioggia era fine e non infastidiva il cammino.
"Mio padre avrà quasi un milione in cassaforte, per le emergenze."
"E tu?"
"Solo centomila. Non si sa mai chi ti capita e cosa vuole venderti, anzi potrebbero servire per riscattare la nostra vita in casi estremi."
"Già. Il Diavolo ha invertito il mondo ma ha risparmiato le banche."
"Perché sovvertire una massoneria che prima di lui serviva lo stesso scopo? Ho conosciuto delle amici di mio padre che asserivano di partecipare a delle messe nere con tanto di sacrifici umani. Sono certo che nessuno dei miei ha mai usato la stregoneria per i propri fini, eravamo famosi e ricchi molto più di altri che ci invidiavano la posizione sociale."
Caricammo l'auto con tutto quello che poteva servirci, alimenti, aspirine, cioccolato e birra. Le pattuglie della morte, i cani addestrati a rintracciare i civili durante il giorno non giravano in quella zona e questo era già un mezzo miracolo. Non superammo il primo chilometro che raffiche di mitra colpirono la ruota anteriore. Dovemmo abbandonarla in una scarpata della statale e nasconderci in un granaio aspettando sera.
Eravamo zuppi e infreddoliti. Tagliammo per il bosco in direzione, centro città. Volevo arrivare al porto e lì aspettare padre Samos. Sicuramente ci saremo inventati qualcosa. I mostri esistono e siamo noi ad averli inventati, erano le parole del mio insegnante di chirurgia generale, dottor Marvenn.
Speravo che l'embrione resistesse almeno un paio di giorni ancora e non mi fidavo ad aprire il thermos rischiando l'unica arma che credevo l'umanità avesse per salvarsi.
Girammo per i sentieri dei cacciatori. Certe case in mezzo al bosco ci mettevano talmente paura da girare molto alla larga. Era meglio il freddo della paura. Michael era infaticabile e si poteva leggerli in viso che stava soffrendo, per qualcosa, per qualcuno. Come io gli nascondevo qualcosa, ero certa che pure lui nascondesse qualcosa a me. Anche se avevo deciso di fidarmi, mi promisi di tenerlo d'occhio, non per me ma per i bambini di Samos. Loro non dovevano conoscere il nemico né temere di essere uccisi. Volevamo risparmiare a quella minima parte dell'umanità, la crudeltà il cui principio regnava sotto il nuovo Asmodeo.
Trovammo una fabbrica abbandonata, un rudere dove nemmeno i teppisti sarebbero entrati tanto era lercio e privo di qualunque interesse. Il tetto come le pareti era precario e due o tre stanze al primo piano sembravano davvero ben isolate. Ma noi invece di salire, scendemmo. Trovammo il vano di un ascensore senza ascensore, le scale erano state coperte dai muri caduti, dove i fili d'acciaio penzolavano recisi come un filo di cotone che incontra un paio di forbici.
Legata la stoffa della camicia intorno al palmo scendemmo non meno di sei metri. Arrivammo a quelli che presumibilmente erano stati i parcheggi sotterranei, una zona piena d'auto immobili come le statue di un cimitero. Se le auto erano lì do'era la gente che le aveva portate?
Dalla zona parcheggi attraversata lentamente come se contassimo quei morti di metallo, arrivammo ad un altro ingresso senza vano ascensore ma con dei gradini che salivano solo per un piano. Una specie di intermezzo o di uffici fuori dall'iter impiegatizio obbligatorio. L'ufficio era formato da una sola stanza e con altre due porte, presumibilmente i bagni. Dentro a fare bella mostra di se una decina di terminali e sedie appena sotto scrivanie piene di polvere. Tazze piene di muffa, cibo ancora incartato e macchie di sangue, lo scenario sembrava triste ma non deprimente. I corpi erano svaniti. Forse trasportati altrove. Avanzando trovammo un buco proprio al centro della stanza di dimensioni importanti. Qualcuno lo aveva scavato ma non dal di sopra per scappare, da sotto per entrare. Guardando dentro si poteva vedere che lo scavo arrivava dal terreno e non dalla zona macchine. Una galleria, meno impotente di quelle dei metrò ma pericolosamente grande, si perdeva nel buio per centinaia di metri.
Michael fissava il vuoto come se fosse in mancanza di idee.
"Due anni fa io ed altri inventammo il siero terminal, un metro per misurare quanti anni resta ad ogni persona da vivere. L'esame prevedeva una piccola puntura e in meno di venti minuti avresti saputo con scarsa probabilità di errore, quanto ti rimaneva da vivere."
"E ha funzionato?"
Michael era sempre più perplesso sulla galleria dinanzi a noi.
"Sì. Peccato che una volta messo sul mercato, gli avvoltoi della farmaceutica ci avrebbero speculato sopra."
"E che ne avete fatto?"
"E' li, bello e impacchettato in attesa di momenti migliori per la storia dell'umanità."
"Tempi difficili questi eh, intendevo, anche per gli scienziati?"
"Quando è l'impossibile a governare direi che i tempi rivendicano altri pesi ed altre misure."
"Tipo?"
"Se il male ha una forma avrà di certo dei limiti che non è necessario conoscere ma percepire. Ogni forma di vita su questo pianeta ha una sua prerogativa e una sua utilità. Le forme parassite, le più aspre e longeve non sono immortali ma più ostiche."
"Stai dicendo che sapresti come fermare il Dittatore?"
"Penso di aver avuto un'illuminazione."
"Quando, adesso?"
"Sì. Guardandoti."
"Me?"
"Ci sono altri qui?"
"Perché cosa ho di strano?"
"Tutto Michael. Tutto. Non è un fatto organico. Il male è un fatto mentale e ha presa solo sui deboli. Tu non sei debole e questo li ha fermati. Sicuramente c'è dell'altro ma lo capirò. Devo capirlo."
Una bocca calda si piantò sul mio mento. Un bacio. Mi diede un bacio forte e con lo sciocco, per esprimere la sua gioia. Io rimasi come un blocco di pietra.
"Ma dai non farne un dramma. Mi piacciono i geni. Vorrei fermare questi mostri e ho capito che tu hai le armi per farlo o quanto meno ci credi."
"Sì ma senza baci Michael."
"Baci? Quale bacio? Intendevi questo?"
E un braccio forte come la testa di una ruspa mi strinse la vita e vidi solo un torrente di capelli piegarsi sopra i miei occhi. La sua pelle pungeva ma la cosa era tollerabile più del bruciore che lasciarono le sue labbra sulla mia guancia. Prima di alzare la testa appiccicò la punta del suo naso sul mio lasciando che le sue iridi scavassero dentro le mie pupille come dei possenti caterpillar.
"Falla finita sorella, non ti aspetterai un bacio d'amore?"
"Eh? No. Ma certo che no."
Ero disorientata e non sapevo più nemmeno io cosa aspettarmi. La realtà era oscura quanto e più del futuro pertanto farsi dei progetti o delle illusioni era quanto mai inutile.
Michael aveva già dimenticato la distrazione emotiva. Non pareva il ragazzo che prendeva alla leggera le emozioni sebbene sapesse nasconderle bene. Capire una persona in così poco tempo poteva sembrare una cosa irragionevole ma nessuno sul pianeta aveva più a combattere con la ragionevolezza. Essere superstiti di una civiltà è una cosa ma martiri è un'altra e sinceramente non capivo quale delle due era la parte più trascinante.
"Che facciamo restiamo qui immobili per una vita o andiamo dove dobbiamo andare?"
La sua voce mi sveglio dalle mie elucubrazioni mentali.
"Andiamo!"
"Dove?"
"Al porto e poi a cercare Leo."
"Perché al porto? Sarà sorvegliato e non poco. Di notte ci sono loro e di giorno avranno lascito liberi i cani. Detesto quegli animalacci idrofobi."
"Senti li c'è una cosa che ti piacerebbe e non poco."
"Cosa?"
"Devi seguirmi e fidarti. Ti piacerà!"
"Lo giuri."
"Andiamo."
"Sì ma prometti di non baciarmi più?"
"Ma io, io non ti ho baciato, sei stato tu a farlo e non capisco perché. Certe effusioni emotive meglio lasciarle agli altri."
"Perché Eva, tu non sei come gli altri?"
"No. Non lo sono. Vorrei davvero esserlo ma non lo sono."
"Questa tua corazza di ferro sul cuore mi piace, in fondo non sei né vecchia né brutta. Potresti avere qualche chance con un uomo."
"Mi prendi in giro sgorbio?"
"Sì. La devi smettere di sottovalutarmi e di sottovalutarti. Se fossimo dei perdenti ti assicuro che non saremo qua."
"Allora andiamo a morire per qualcosa che valga la pena."
"Non possiamo semplicemente andare e basta. A morire … beh, sarebbe triste morire prima di non aver amato una donna, di aver avuto un figlio, e di aver cambiato il mondo."
"Non ti sembra di chiedere un po' troppo al tuo destino, ragazzino?"
"Amare è un dono che si è liberi di elargire e se non si vive per questo dono mi dici per cosa vale la pena vivere?"
"Sai Michael, dovevi fare il prete."
"Sai Eva, tu hai paura di amare o peggio, non hai mai visto chi ti ama perché la tua cecità mentale ti ruba le migliori emozioni, le migliori idee e penso, pezzi del tuo futuro."
"E dici che dovrei sbatterti sul pavimento per dimostrare a me stessa quanto io sia capace di provare emozioni? Non ti sembra una critica priva di fondamento la tua? Forse io custodisco le emozioni come qualcosa di prezioso e non un fenomeno per platee."
"Dico che dovresti frenare certi aspetti del tuo carattere e liberarne altri, altrettanto belli."
"Che ne sai tu di me?"
"Poco o abbastanza per dirti che non sei sola e che sono qui. Per ascoltarti o per abbracciarti se ne avessi bisogno."
"Stai facendo terapia con me?"
"Sei il riccio più chiuso che abbia ma avuto come paziente. Hai troppa considerazione di te stessa, mi riferisco alla te stessa studiosa e hai pochissima considerazione del tuo lato sentimentale. Prima di andare via Eva, dimmi quanti uomini hai amato? Quanti ti hanno amato?"
Scendere nella galleria fu facile, la difficoltà sarebbe stata schivare le macerie che facevano presenza come in un museo della decadenza. Qualcuno viveva in quel posto. Gente che aveva trasferito mobili e oggetti personali sottoterra. Grandi teli sporchi fungevano da muri e laddove masse umane dormivano nascoste da coperte putride e maleodoranti, c'erano anche fili di nylon stessi per appenderci il cibo. Carcasse di ratti sventrati messe ad essiccare, intestini appoggiati come lane in attesa di essere consumati e teste di gatti, di cani e persino di bambini, impalati ancora prima che si chiudessero gli occhi.
La vita era diventata un delirio che nessun diavolo sarebbe stato in grado di controllare. La natura, gli animali, gli uomini, l'intero pianeta sapeva di morte. Mi sentivo come chiusa in una grossa incubatrice dove molti come me venivamo pescati per essere mangiati crudi. Mi sembrò di rivivere la scena del film la Guerra dei Mondi, dove noi potevamo appellarci solo alla sorte per sopravvivere.
Camminammo per circa se chilometri e mi resi conto che Michael zoppicava. Non parlava già da un po' e la cosa mi avrebbe dovuto preoccupare.
"Michael?"
Lo chiamai sottovoce e temendo di risvegliare qualche indesiderato ospite di quelle gallerie.
"Vai avanti e non ti fermare.", fu la sua risposta. Aveva la voce dura come quella di un uomo ferito.
"Sei ferito?"
"Non fermarti. Per favore smettila di parlare e cammina, velocemente."
Fuggire da una galleria per entrare in un'altra galleria era un gioco d'azzardo. La nostra corsa sebbene silenziosa in mezzo ai rumori d'acque che fluivano verso canali più accessibili e a squittì che deglutivano facilmente il buio, stava diventando pericolosamente esposta agli attacchi dei neri.
Michael cadde a terra. Non capivo. Non si era lamentato di nulla. Lo aiutai ad alzarsi e con la sua e la mia torcia in mano cercai un riparo che la provvidenza m'indicò in una stanza posta a lato ovest della galleria, sicuramente un magazzino di servizio che gli operai conservano per facilitare la manutenzione. Trascinare Michael non fu facile. La porta era di ferro e per buttarla giù serviva un gorilla. Lasciai Michael a terra nuovamente ma prima di appoggiarsi urlò. Puntai la luce sul suo volto stravolto dal dolore e poi sul suo corpo. Il bagliore scese davanti fino alle caviglie senza mostrare nulla di apparentemente strano ma poi illuminai la schiena e vidi un coltello senza manico piantato tra le costole sotto la scapola sinistra.
"Michael!"
"Levami per favore quella cosa che ho nella schiena."
"Non posso, moriresti. Forte ti ha perforato un polmone, non saprei. Qui non riesco a medicarti devo aprire sta dannata porta."
L'ultimo sforzo di Michael prima di svenire fu di scagliarsi contro la pancia piatta dell'uscio. Riuscì ad entrare.
Lasciando accese le due torce si poteva vedere un muro con degli utensili, due grosse torce un tavolo e una panca. Il cemento per terra era meno impolverato dei mobili così distesi Michael su un fianco e sopra la mia camicia. La sua ferita aveva bisogno di essere medicata e preso un respiro gli tolsi la lama che non gettai via perché mi sarebbe tornata utile. Il taglio era profondo ma per sua fortuna la punta dell'arma non aveva lacerato né arterie né tessuti viventi. Era un vero miracolato. Gli cucì con ago e filo il taglio e bagnai la ferita prima e dopo con la mezza bottiglia di gin che trasportavo nello zaino. Fortunatamente gli antibiotici non scarseggiavano sebbene erano stati presi per aiutare i bambini di padre Samos. Ho creduto fosse giusto aiutare Michael perché da sola nel mio progetto non ce l'avrei mai fatta. Avevo due cose in mente, recuperare e salvare Leo e mettere in gioco la mia mente di scienziata, creando un nemico per l'alieno che si era impadronito di tutti noi.
Pregai per Michael quella notte e nonostante la febbre forte ero certa che la sua tempra avrebbe vinto sull'infezione. Lo lasciai da solo il giorno dopo. Aveva bisogno di cibo vero per rimettersi e sparai a un corvo che servì ad arricchire il nostro banchetto. La zuppa di legumi era meglio di niente e la carne arrostita al gusto di gin del povero uccello sembrava infondere coraggio alle mie idee più che confuse. Patire la fame era una cosa dura ma patire l'assenza di speranza rendeva i nostri spiriti dei poveri infelici. Rifocillato il corpo e ricostruito lo spirito badai per una settimana alla ferita di Michael.
Una notte si svegliò per andare fuori a fare pipì e vergogna dosi di me mi chiese di tapparmi le orecchie.
" Sono nudo."
"Stavi male."
"Quindi mi hai visto nudo."
"Ti ho visto ferito. Diciamo che la nudità era l'ultimo tuo elemento ad incuriosirmi."
Lui mi sorrise.
"Ne sei certa?"
Gli lanciai una camicia.
"Puoi sempre coprirti le spalle."
"Mi preferisci senza niente?"
"Ti preferisco in piedi."
"Come vedi non sono morto. Adesso girati."
Era nuovamente in piedi e sebbene il dolore non fosse passato la sua mente era lucida e la sua fame gridava di voglia di tornare in forze. Mangiammo gli avanzi dello zaino e stufi di fare i carcerati in quel dormitorio improvvisato uscimmo nuovamente nella galleria, sperando non ci fossero altre sorprese.
Un'ombra nera ci stava seguendo e temevo fosse uno di quelli che aveva ferito il mio compagno di viaggio. Michael non sarebbe mai riuscito a correre sebbene si sforzava di mantenere vivace il passo. Ero certa che la galleria dovesse finire prima o poi ma avevo bisogno di tempo per calcolare più o meno la direzione verso la quale era orientata. L'uomo ci raggiunse e lui come noi, abbracciava un fucile sicuramente col colpo in canna.
Era uno dei neri, il marchio uncinato sul braccio spiegava tutto e la sua età non giovane come la sua imponente statura diceva parecchio sulla personalità che avrebbe dovuto avere nella società, prima dell'apocalisse. Stavo per sparargli ma Michael mi fermò.
"Guardalo. Se avesse voluto spararci lo avrebbe fatto prima. Poteva spararci alle spalle e inchiodarci prima di arrivare fino a qui. Guarda i suoi occhi …"
Lo sguardo dell'uomo era mite. Poteva essere una trappola ma se fosse stato così da un momento all'altro un centinaio di neri ci sarebbero saltati addosso per ucciderci. Ma nessuno a parte il gigante venne a reclamarci come prede.
"Cosa vuoi?"
L'uomo aveva il taglio di capelli ben curato e la barba fatta.
"So chi sei. Lui ha chiesto che ti cercassimo. Ti teme."
"Lui?"
"Ti manda un messaggio. Tim non è morto."
Non credevo alle mie orecchie ma l'onnipotenza di quel essere era giustificata. Il suo potere di manipolare i pensieri era strabiliante.
"Tu cosa vuoi?"
"Io non sono come loro. Non sono né carne né pesce. Devi salvare mio figlio. Non deve guastarsi come tutto il resto. In me c'è ancora fede e tu la rappresenti. Portati via mio figlio e io vi aiuterò con medicinali e viveri."
"Chi mi dice che non sei una spia? I neri sono capaci persino di mangiarsi i loro piccoli."
"Io sono un uomo d'onore almeno lo ero. Ero un giudice degli uomini e padre di sei splendide creature. Quando Heh è arrivato molti di loro si sono perduti, sparpagliati, alcuni trasformati ma Joe, il più piccolo è diverso. Se lo cacciassi morirebbe di fame, ha solo nove anni. Voi dovete proteggerlo perché gli altri hanno capito che non è come tutti loro. La sua luce è troppo evidente."
Michael avanzò verso di lui con il fucile puntato contro la fronte dello straniero.
"Se fosse una trappola?"
L'uomo lasciò a terra il fucile per parlarci a mani nude.
"Uccidete pure mio figlio se si trasformerà ma prima vi pregherei di conoscerlo. Joe?"
Da dietro l'ombra dell'uomo uscì un ragazzino molto magro e con dei grossi occhi blu. Nonostante l'altezza del padre lui era molto minuto e i capelli lunghi fino sotto le spalle lo facevano sembrare una ragazza. Aveva un volto perfetto e luce negli occhi, la stessa che avevo letto nelle pupille di Michael appena lo conobbi.
L'uomo alto parlò a Joe in una lingua che a noi sembrò russo o qualcosa di simile. Il bambino non parlava ma piangeva, non voleva abbandonare il padre.
"Mio figlio è di madre russa e capisce la vostra lingua ma non parla da quando sua madre è morta. La nostra famiglia, noi, siamo diventati degli animali e non possiamo perderlo senza combattere. Trecento metri a destra c'è una porta, è quella d'uscita. Se cercate di uscire dalla città voltate a destra se invece cercate il porto basta proseguire per un paio di chilometri, sentirete il mare. Vi ho lasciato viveri, medicinali e due èpistole sotto dei vecchi cartoni di sigarette. Di notte molti di noi preferiscono le cantine e presto tutte le città si trasferiranno sottoterra. Heh vi cerca, se dovete nascondervi andate in mare. In mare non riesce a controllare, non so perché. I suoi aguzzini battono le coste ma a largo non sono molte le imbarcazioni che osano sfidarsi. E' guerra aperta tra la gente. Abbiate cura di mio figlio."
L'uomo baciò la tempia del figlio e scomparve nell'ombra, portandosi il fucile. Il ragazzo ci guardava e Michael lo prese per mano, cosa che feci anch'io.
Trovammo due zaini pieni di cibo e medicinali di varia natura. Sopra i due fucili c'era una lettera con delle cartine. Era il percorso sicuro dentro la città nera, dentro il santuario del Diavolo.



15


Il mondo alla rovescia

Eravamo in tre. Tre superstiti sotto il sole di città semi addormentate che aspettavano il tramonto per risvegliarsi. Ovunque l'incuria aveva fatto crescere le erbacce e la spazzatura cresceva sui corpi dei non sepolti mentre il vento scarnificava gli odori come un coyote senza branco.
Molti edifici erano diventati delle tane cieche, finestre e porte inchiodate con ogni genere di materiali, e scritte oscene come un rotolo di bestemmie, sfilava in ordine sparso sulle strade e nei vicoli.
Ogni città era stata bombardata col male, ogni cosa possedesse un cuore o un fiato era diventato una preda e solo quelli che vivevano sotto aspettando la notte, si potevano chiamare ancora uomini ma solo perché stuzzicati da piccole memorie senza forti radici.
Tutto quello che non scarseggiava era il superfluo. I grandi centri commerciali con le porte sempre aperte, mettevano in mostra abbigliamento, gioielli e persino elettrodomestici che nessuno avrebbe più usato.
In un epoca dove i mostri parlavano alla televisione e dove il proibito faceva regola, la vita del buon costume era finita.
In un piccolo negozio di mobili, una vetrina era dedicata a due poltrone bianche, peccato che in entrambe riposassero con le teste tagliate e assenti, due corpi di bambini non più grandi di sei o sette anni.
Nella pozza di sangue sotto i grossi piedi di legno, dei vermi bianchi, ghiotti e grassi, danzavano ignorando l'orrore che i piccoli piedi da parecchio in rigor mortis, gridavano dalle falangi tranciate sicuramente con qualche rudimentale lama.
La sofferenza aveva smesso di fare rumore e la platea era formata solo dalle ombre dei rami che gli olmi appoggiavano ogni tanto al vetro. Non c'era più posto per i sogni. Nemmeno per la speranza. Tutte le fedi erano diventate una e nessuno immaginava più il cielo come un nido d'angeli. Nessuno a parte i sopravissuti sparpagliati dalla caccia di quei mostri senza dogma.
Camminavo cercando di non fissare lo sguardo su alcuna turpe vestigia del nuovo mondo ma nonostante l'immaginario tenesse a freno le sue abili visioni mi accorgevo che qualcosa o qualcuno osservava il mondo attraverso i miei occhi. Ero stanca. Non vedevo via d'uscita. Arrivati al porto nessun'anima sembrava interessarsi alle barche o ad altro. Chiesi a Michael di cercare l'Insane Gloria e la trovammo nascosta sotto una ventina di reti gettate sopra e scheletri di gabbiani seccati dal sole. La barca era sicura e portai Joe sotto coperta con la speranza che fosse stato un buon rifugio per la notte. Gli occhi estranei dentro la mia testa continuavano a frugare nei miei ricordi e nella mia memoria. Hooc o chiunque avesse preso il suo posto mi cercava, lo sentivo.
Provammo a cucinare ed era la prima volta dopo molto tempo che assaggiavo delle verdure fresche e uova. Joe si addormentò con la forchetta in mano, povero ragazzo non era stato preparato dalla vita per una cosa simile. Michael invece aspettava che gli medicassi la ferita. Ci parlavamo poco e solo quando era necessario. Si tolse le bende sporche e gli feci un'iniezione di antibiotico seguito da una bella dose di antidolorifico. La luce nei suoi occhi era più fiacca ma non spenta. Quando incontravo i suoi occhi sentivo un messaggio emotivo carico di domande ma ero meno fragile di quanto immaginasse. Crollare per me significava una cosa tragica e definitiva.
"Devi dormire!"
Il suo tono era perentorio ma feci finta di non sentirlo e andai verso il bagno, avevo bisogno di sentire l'acqua sulla pelle. Lui mi seguì con gli occhi così come faceva da ore così come fanno i lupi d'inverno quando aspettano che la preda esca dalla neve. La doccia funzionava e anche se l'acqua era ghiacciata mi resi conto che era acqua dolce e non acqua di mare. Persino lo scivolare del sapone sulla pelle mi sembrava un atto sessuale, il delirio dello stresso stava smaltendo le ultime difese dei miei pensieri. Avevo gli occhi chiusi quando due mani mi afferrarono il viso per trascinarlo fuori dall'acqua. Avevo il suo mento in bocca e il suo petto che mi schiacciava contro il vetro. Volevo dire di no, potevo dire di no ma non lo feci. Sarebbe durato quello che sarebbe durato perché era davvero difficile impedire al corpo di Michael di travolgere il mio e quando sentì le sue labbra nella mia bocca ebbi l'impressione di essere risucchiata dentro un vortice di tenerezza più forte delle mie frigide ammucchiate di negazioni.
Ero la donna perfetta nel momento perfetto, almeno queste parole sentivano le mie orecchie mentre le sue gambe decidevano come mettermi o cosa dovessi fare. Fu doloroso poi piacevole poi di nuovo doloroso e poi straordinario perché il suo momento di piacere venne spedito ai ricordi e sostituito da una seconda volta ma ancora più travolgente di prima.
La sua ferita si era aperta durante le innumerevoli richieste alle sue braccia di fare fronte a un'esigenza naturale come il concepimento del mondo. Ogni battito del suo cuore sparava fuori dal torace e sembrava così forte da farsi sentire quando respirava prima di ogni apnea che prendeva per baciarmi. E smetteva di respirare quando si fermava per farmi capire il suo desiderio finché le sue e le mie gambe grondarono di sperma.
"Adesso torna a lavarti, mi sussurrò spingendomi fuori dal letto, io vado a guardare Joe e poi sistemo nuovamente il letto. Ti prego non parlare di questo, non dire di no e soprattutto lasciami apprezzare tutto quello che sei."
"Perché cosa sarei mai?"
"Più di quello che credi Eva e non ho voglia di credere che tu sia destinata a qualcun altro."
"Solo per essere stati insieme …"
"Non è una richiesta di matrimonio ma una dimostrazione di fiducia. Se ti dicessi che t'amo mentirei ma non posso negare quello che sento."
Stavo uscendo ma mi fermai.
"E cosa senti?"
"Mi fai venire i brividi e io non riesco a controllarli. Non ho intenzione di fare il leone in calore ma se ti da conforto puoi pensare che ogni tanto mi fai sentire così."
"Hmm, per così poco?"
"Ah, cattiva ragazza, vai a lavarti perché ho intenzione di farti dormire poco e solo quanto ti sarà necessario per provare a tenermi testa."
"Non esagerare."
"Già. Non ho esagerato ma avrei voluto. Sai quante volte un uomo potrebbe possedere una donna?"
"Due? Tre?"
"Se lei restasse così, come te, nuda e sull'uscio del bagno ti assicuro che avrei la brutta o bella visione di infiniti orgasmi del tuo uomo. Noi desideriamo quanto la nostra testa vuole e non quanto il nostro pene può."
"Questione di forza di volontà, interessante …" e vidi che lui era diventato nuovamente eccitato. Scappai in bagno.
Sarei dovuta essere felice ma non lo ero. Non ero soddisfatta di me. Avevo fatto sesso, sì del buon sesso ma con la persona sbagliata. Nonostante Michael fosse un uomo intelligente e la sua natura lo facesse sembrare il difensore dei deboli, io mi sentivo plagiata da altri pensieri.
Eravamo usciti dal porto appena prima dell'alba ma il mare aveva qualcosa di strano, qualcosa che si poteva appena percepire. L'odore del vento era dolciastro e persino il colore delle acque era scuro tendente al porpora. Se fosse stato un film horror si poteva credere che qualcuno avesse sgozzato seicento milioni di americani e tutto il loro sangue si fosse mescolato al mare. Mi ero preparata ad affrontare il piano dei nazisti partendo dall'embrione ancora ben conservato ma ero sprovviste d'idee davanti ai rapidi cambiamenti a cui l'umanità stava andando incontro.
Solo il cielo seguiva le nostre mosse e immaginavo di vedere degli occhi alieni che ci spiavano da lassù. Avevo le braccia di Michael strette intorno alla vita che mi trasmettevano energia e benessere. Decisi di non pensare ai sentimenti e di accomodare le mie emozioni in una realtà dove l'amore avrebbe avuto bisogno di un miracolo per sopravvivere. I tempi del buio rubando le gioie a tutti noi.
Joe dormiva profondamente da quasi mezza giornata. La cosa non mi preoccupava, sapendo che i bambini si stancavano facilmente e soffrivano per gli affetti perduti più degli adulti.
Per rasserenarlo, Michael improvvisò una canna da pesca e con qualche piccolo insetto rimediato nella stiva, la giornata del bambino era già ben organizzata. Dopo la una piccola merenda a base di quarto di mela e carne secca di tacchino, tutti restammo sul ponte a fissare l'amo che Joe lasciava ondeggiare per lunghi minuti di apnea finché qualcosa abboccò. La sua forza era impressionante e il ragazzino sarebbe finito tra le onde se Michael non lo avesse sorretto e si fosse fatto trascinare con la schiena fino a fissare i piedi contro il parapetto senza mai mollare la canna. Cominciarono a tirare su la lenza agitandosi e gridando per lo sforzo. Una massa informe che sembrava un coagulo di sangue venne su sbattendo e urtando contro la barca. La sua forza era impressionante e la sua altezza superava di gran lunga quella di due uomini. Sarebbe stato facile soccomberle se Michael l'avesse trascinata sul ponte ma lo vidi fare una cosa inaspettata, coi piedi ancora contro il parapetto e la bestia a mezz'aria pronta a cadere sulla barca, alzò con la mano libera l'arpione e puntando verso quella che poteva sembrare una bocca.
Il mostro cadde in acqua ma invece di liberarci di lui ce lo trovammo sotto la pancia della barca, infuriato più di prima.
Forse ci saremo ribaltati se qualcosa non l'avesse fatto desistere e non era il secondo colpo di arpione sparato di Michael in profondità ma il muso d'acciaio di un mostro ben più terribile. In emersione si notava solo la lunghezza spropositata del sottomarino ma se fosse l'avessimo visto in secca di sicuro ci avrebbe messo molta più paura.
Qualcuno dalla torretta ci faceva dei segnali e non mi fu difficile vedere qualcuna delle mie vecchie conoscenze, due di loro erano Modo e Bert mentre in mezzo a coronare quella certezza c'era Julia. Il meccanismo di autodifesa si era inceppato. Loro, lo so, mi stavano divorando e sicuramente mi avrebbero volentieri uccisa non ci fossero stati ordini contrari da parte di Hooc.
Ma nessuno di loro venne a prenderci. Ci scortarono per un po' come se dovessero lasciarci liberi come se non avessero nulla da temere.
"Cosa sta succedendo?"
Michael era perplesso più di me ma la cosa sorprendente era il volto sorridente di Joe che fissava il sottomarino sicuro che fosse innocuo.
Non mi ero del tutto ripresa dalla notte passata con Michael e una sorta di sonnolenza mentale poteva essere la probabile causa del mio ritardo di reazione.
Né Modo né Bert volle avvicinarsi all'Insane Gloria e c'era solo un motivo per non farlo.
"Michael butta giù la scialuppa!"
Michael non voleva credere a quello che aveva udito.
"Buttala giù! Dobbiamo scappare!"
"Perché?", si avvicinò abbastanza per leggere il terrore nel mio sguardo.
Joe mi prese la mani tra le sue.
"E' troppo tardi."
"No? Cosa stai dicendo?"
"Che è troppo tardi bamboccio, la voce di Joe era roca e cattiva, signorina Eva, c'è un mostro nella mia testa e gli occhi di Joe cambiarono improvvisamente il colore."
"Michael prendi la medicina?"
"La medi?"
"Michael, Joe non è Joe e se non ti sbrighi qui finisce male, molto male …"
Ma prima che io finissi Joe che non era mai stato un grande interlocutore e di grande compagnia si avventò su Michael per morderlo dritto alla giugulare. Se non avessi tirato una legnata in testa a Joe di sicuro Michael sarebbe morto.
Eravamo di sotto. Io presa a prepararmi un caffè, Michael imbottito di antibiotici e sotto sedativo e Joe con la testa fasciata legato al lettino del capitano con fili bianchi di nylon trovati per caso sotto lo scafale del cucinotto. Il ragazzino si era addormentato ma le mie intenzioni per lui non erano delle migliori, se Hooc in qualche modo riusciva a vederci attraverso lui voleva dire che dovevo temere per l'incolumità di padre Samos e della comunità di sopravissuti.
Avevo considerato l'acido ma dopotutto era solo un bambino maneggiato dal male e ucciderlo doveva essere solo un atto di disperata sopravvivenza degli altri.
Ero rimasta da sola e pur sapendo cosa sarebbe stato meglio per tutti decisi di rischiare e di tornare indietro. Avevo il tempo di cercare Samos e di consegnargli i farmaci e l'acido. Sicuramente dentro me stessa c'era il bisogno fisico di un qualche sostegno alla missione che mi accingevo a intraprendere.
L'Insane Gloria restava sempre una delle cose più amate da capitan Tim e il fatto che la usassi io aveva un certo legame con i suoi ricordi. Una parte di lui era rimasta li con noi, tessuta alla struttura e al legno, a sbirciare dentro lo sconforto delle nostre anime, padrone assoluto dei nostri mortali destini.
Dovevo tornare indietro per cercare dei buoni marinai capaci di raggiungere base Akura. La risposta a quella oscurità doveva trovarsi tra le pareti di ghiaccio di quel continente buio e inospitale.

Dopo sei ore di viaggio ero ritornata al porto. Era nuovamente giorno e sul molo non c'era anima viva. Dei gabbiani affitti sostavano sui pali di cemento del vecchio faro ma nemmeno l'ombra di un essere umano. Invece di ormeggiare gettai l'ancora a duecento metri da riva, per sicurezza. Portai con me lo zaino rivestito da notevoli quantitativi di plastica e implorando fortuna di non trovarmi in acqua i denti di uno squalo, iniziai a nuotare.
Ero stanca e non avevo percorso nemmeno i primi cento metri. L'acqua aveva una calma innaturale e le onde sebbene dolci mi mettevano paura. Chi pensava che l'Inferno era una bolgia di rumori e di schiamazzi, si sbagliava. L'Inferno era una fragile prigione posta in equilibrio sulle trasparenze dell'essere. Eravamo noi, il genere umano il filo dove il destino da buon acrobata cercava di sopravvivere. Ma se noi tutti avessimo ceduto al male anche il nostro destino l'avrebbe fatto e la fine sarebbe stato un immenso oceano privo di vita che lambiva le rive di una terra regnata dagli scorpioni o dagli scarafaggi.
Trovai padre Samos nel solito posto che fingeva di essere un vecchio lebbroso preso dalla sua lenza danzante in mezzo alle onde. Quando mi soccorse ero mezza morta, meno male che lo zaino e tutto quello che era al suo interno si era salvato dall'acqua.
"Vieni a casa?"
"No. Mi riposo poi torno sulla barca, ho un'idea.!"
Gli raccontai cosa avevo in mente di fare e non mi sembrava entusiasta.
"Se è vero che lui ti cerca vuole dire che ti teme o almeno c'è qualcosa che potrebbe renderlo vulnerabile. Forse non sarebbe male farti seguire."
"E come?"
Ci faremo aiutare.
"Faremo?"
"Le medicine le mandiamo ai ragazzi ma io vengo con te."
"Perché?"
"Perché vengo con te?"
"Sì."
"Perché ho mezza idea di come aiutarti."
"Ma se tu non sai nulla di genetica."
"Ma io parlo spesso con Dio. E tu?"
"Ah, già. No, credo di no."
"Dove c'è Dio c'è sempre una soluzione mia cara e questo macabro delirio che ha preso il mondo potrebbe finire."
"Oramai si è ben ramificato il loro credo."
"Ma anche l'edera se strappata smette di esistere."
"Potrebbe ma dobbiamo navigare."
"Io credo sia meglio arrivare alla Città Nera, da sotto, intendo dire dalle nostre gallerie."
"Tutti sti chilometri e quando li avreste scavati?"
"Mia cara, non hai ancora capito?"
"Cosa Padre Samos? Cosa devo avere capito?"
"Che il tuo è solo un sogno. Tutto questo è un sogno. Noi non siamo reali e quello che ci succede qui non è quello che si verifica dall'altra parte."
"Non capisco."
"Quello che hai avuto la sensazione di vivere per tutti sti mesi sono solo nella tua immaginazione. Non esiste nulla di tutto questo. Ma se vuoi combattere la tua guerra io posso accompagnarti e farlo con te. Mi guardi come se fossi un pazzo Eva, ma non lo sono. Diciamo che la tua mente mi ha creato come via d'uscita da tutto l'orrore che hai pensato di vivere."
"Ma Michael, Joe, mio nipote?"
"Hai bisogno di amore e chi non l'avrebbe. I tuoi soldati ti sono fedeli ma sappi che per chiudere con questo incubo non hai nemmeno bisogno di arrivare alla Città Nera, basterebbe che tu ti risvegliassi dal coma."
"Io sono in coma?"
"Sei quasi congelata e Musa non è che una creatura di passaggio per quello che vive in quella prigione di ghiaccio. Uccidi Musa e lui dovrà trovare un uomo, un mortale in cui incubare un altro se, più resistente e forse immortale."
"Ma come faccio a …"
"Non saprei. Posso solo seguirti nei tuoi paini e darti una mano ma credo che il vero problema sia fuori da tutto questo. Il pericolo è dentro di te …"
"Musa!"
"Tu e Musa siete una cosa sola e quando lei prende il controllo tu sei solo un pezzo di carne alla merce della ragione altrui."
"Io sono prigioniera di me stessa? Forse sto impazzendo."
"Basta fare una prova. Se qualcuno ti uccidesse tu non moriresti."
"Non capisco e allora perché tutto questo?"
"Forse questo potrebbe essere il futuro, quello che attende l'umanità se Hooc arriva a quell'essere."
"E i nazisti?"
"Sono solo il mezzo. I folli cercano sempre progetti altrettanto folli per usarli come dimostrazione di forza."
"E Hooc?"
"Tu sei Musa e Hooc il papà di un bambino alieno che avrà la memoria di un essere mai morto in tutti questi milioni di anni."
"Sembra una follia."
"Cosa non lo è? Anche la creazione e la più piccola cellula di vita lo sono rispetto all'universo di pianeti completamente deserti."
Mi alzai e iniziai a camminare verso il molo.
"Eva dove vai?"
"Sto tornando alla nave. Qualcosa mi verrà in mente dopo e non mi interessa se sogno o meno, io devo andare a combattere quella creatura con le sue stesse armi."
Il mare era insolitamente caldo e l'acqua sembrava avesse perduto il suo peso. Nuotare era come volare per me stanca di sogni che non portavano più ad alcuna meta.
La stranezza fu non trovare nessuno sull'Insane Gloria e ovunque io cercassi non c'era traccia di Michael o di Joe.
Mi sentivo sola e molto stanca. Le mie risorse e tutte le energie le avevo spese in quell'impresa che era destinata a fallire perché ero un vegetale con l'immaginazione libera da qualunque prigione.
Forse mi addormentai o forse le vertigini della spossatezza fisica mi fecero cadere svenuta ma al risveglio, ero nella cabina e stavolta qualcosa di molto insolito era accaduto.
Ogni mobile, tavolo, ogni pezzo di barca libero da oggetti, recava una lunga scritta quasi illeggibile. Parole in una lingua che all'inizio mi sembrava sconosciuta ma che poi riconobbi fosse latino, si articolavano apparentemente in modo illogico ma dopo qualche momento e qualche pausa di riflessione capì fossero preghiere. Una barca insolitamente decorata in mezzo ad un oceano calmo come il bagnetto di un neonato e io a cercare di capire perché mi trovassi li.
"Ciao Eva."
"Padre Samos?!"
"Dovevo venire."
"Ma come ha fatto? A nuoto?"
"Cara, guardami, sono un vecchio abbastanza inutile a me stesso, diciamo che la tecnologia è stata una bella conquista per noi animali a sangue caldo." e mi indicò un fuoribordo di cui non volevo conoscere la provenienza.
"Per la fede di Maria! Queste sono preghiere che si usano negli esorcismi! Ma quale Diavolo abita questa barca?"
"Credo il peggiore. Ci sono due uomini qui, Michael e il piccolo Joe, il male è in uno di loro."
"Allora non c'è bisogno che tu raggiunga la Città Nera o Antartide."
"Eh?"
"Ciao sorella."
Avrei voluto rispondere a padre Samos ma Joe era li davanti a noi e i suoi occhi avevano un colore innaturale.
Prima che io potessi rispondergli, lui alzò la mano destra e vidi volare una pallottola, mi era sembrato di vederla rallentare come se avesse voluto farmi capire dove avrebbe colpito. Girava. Girava. E avanzava. Padre Samos si buttò per coprirmi ma quella cosa diabolica lo aveva già superato e credo di averla sentita dentro. Niente dolore. Niente sensazione di paura. Nemmeno la caduta fu un evento spettacolare. Il corpo era lì mentre io lo vedevo da fuori come se la mia vista fosse legata solo a quella cosa che giaceva a terra.

"Zio?"
I passi di un uomo molto alto arrivarono proiettando gli scricchiolii del pavimento di legno in ogni direzione.
"Sì Michael?"
"Questo videogioco è penoso. Lei è morta e mi ha stufato."
"Era l'ultimo livello?"
"No, il penultimo. Ma non mi interessa più nemmeno se questa riuscisse a incontrare il Diavolo in persona. Sto gioco mi piaceva molto di più quando Hooc solcava le onde gigantesche. Le piace parlare troppo e mi sono stufato di capire perché deve salvare il mondo. In trenta scene ho dovuto sorbirmi i suoi pensieri e a parte la lacunosa scena di sesso che persino a un ragazzino come me non la farei vedere perché fa davvero ridere, "
"Allora molli tutto sul più bello?"
"Zio Hooc, ti dispiace se ti faccio una domanda?"
"Tipo?"
"Ok i cattivi muoiono ma cosa succede alla barca?"
"No, piccolo i cattivi non muoiono e la barca diventa qualcosa che tu nemmeno immagineresti."
"Tipo?"
"Tipo, dovresti giocare fino alla fine per capirlo."
"Non ce la posso fare. I livelli prossimi sono ancora più difficili e mi sento preso in trappola."
"Pensa che è proprio così che si sentono anche i protagonisti."
"E tu come fai a saperlo?"
"L'ho progettato io ti ricordi?"
"Già ma se ben ricordo non eri ancora arrivato alla fine."
"Diciamo che è stata la fine a trovarmi."
"Come?"
Zio si alzò e prese il cellulare dove compose velocemente un numero.
"Musa?"
Qualcuno dall'altra parte gli rispose in modo tale che lui si rattristò. Ripose il cellulare sul tavolino della sala e tornò da me.
"Credo che tua zia dovrà fare molto tardi stasera quindi possiamo giocare insieme."
"Evviva!"
Una donna sulla trentina entrò dalla porta di casa carica di buste piene di ogni genere alimentare.
"Ciao mamma, zio Hooc resterà per cena. Dobbiamo sconfiggere i cattivi."
"Ciao Eva." Disse Hooc cercando di alleggerire il peso di quelle enormi buste.

"Ciao fratellone come sta tua moglie?"
"Diciamo che sta come tutte le donne incinte al nono mese. Una pazza furiosa che ha ucciso ogni mia briciola di pazienza."
"Timmy?"
"Sì mamma?"
"Vai da papà e aiutalo a portare l'auto in garage."
"Allora fratellone vi siete decisi, almeno per il nome?"
"Non lo sappiamo. Sai continua a scacciare e Musa non ha tutta sta fantasia. Lo faremo dopo."
"Mi hai detto che non sta bene."
"Sta bene ma è molto stanca."
"Portare bambini in pancia per nove mesi stanca parecchio ma è una donna forte."
"Temo che non sia proprio così. Ha dei cedimenti che mi confondono."
"Tipo?"
"Di notte urla nel sonno e quando cerco di confortarla mi allontana. Sembra spiritata."
"Ma il bambino sta bene vero?"
"Sì a parte il fatto che sembra che abbia gli occhi aperti e che ci stia fissando."
"Cosa?"
"Mio figlio ha gli occhi aperti, lo so che è innaturale ma mi mette paura perché il suo sguardo sembra cattivo. Persino Musa si è spaventata."
"Ma il tuo lavoro come va?"
"Lavoro ancora per quella squadra di matematici tedeschi che mi chiedono di decifrare una specie di percorso di un gioco in scatola. E' come una mappa al tesoro che porta in un posto dove sembra ci sia l'Anticristo. Mi stanco parecchio e non riesco a essere forte come dovrei con lei."
"Ma il gioco come è andato?"
"Mi hanno detto che è molto interessante ma loro vorrebbero di più."
"Tipo?"
"Un neonato che risorge nel corpo di un altro, non ho capito molto bene."
"Quando dovete tornare all'ospedale?"
"Siamo in ritardo di cinque giorni."
"Non è grave."
"Forse lo sveglieranno se dovesse continuare a dormire."
"Come sta Modo?"
"Stanco. I debiti. La casa. Le assicurazioni."
"Vi lascio Insane Gloria per il weekend? Magari fate i piccioncini."
"E Timmy?"
"Per due giorni giocheremo a Black Triade."
"Musa, Hooc, Eva … che fantasia che hai fratellino."
"Talento naturale."
"Come fai a non avere paura? Certe tue idee mi fanno semplicemente venire i brividi."
"I mostri cara sorellina sono solo nella nostra testa."
"E sono anche nei tuoi giochi."
"figurati che ho delle vere mappe dove i nazisti posso aver lasciato i loro più potenti sommergibili prima che perdessero la guerra. Il signor Filler mi farà visionare delle fotografie, giusto per migliorare la grafica del gioco. Pare che in alcune ci sia Hitler in persone davanti ad un caveau alieno. Assomiglia alle cose che ho disegnato ma questo ha delle scritte di milioni di anni fa. Dio Musa, ti rendi conto una scoperta storica legata ad un videogame?"
"Preferisco il Hooc esploratore che il fantaprogrammatore che disseppellisse gli alieni in una base nazista."

 

16


La fine del mondo dentro un cubo di ghiaccio

Ero al telefono da due ore con Heinz. Troppo preoccupati i tedeschi per un gioco che avrei ultimato in meno di un mese e con brillanti innovazioni tra cui una piattaforma virtuale dove il giocatore arrivato all'ultima schermata si trova faccia a faccia con l'alieno e la sua sensazione è reale perché ad ogni colpo corrisponde una scarica elettrica. Non solo, avevo in mente qualcosa di straordinario per quello che riguardava l'intera figura dell'aliena, qualcosa di mentalmente over limits. Ma ero rimasto al fatto che il programma avrebbe intercettato l'ID del giocatore per proiettare un ologramma a dimensione naturale dell'alieno, consentendo così al giocatore di affrontare l'ultima sfida in un faccia a faccia con il male. La telefonata di Heinz aveva scombussolato un pochino le mie idee. Loro il progetto non lo volevano più. Gli chiesi perché? Se era una questione di soldi? E lui mi rispose che era una questione di fede. C'erano cose in me che non aumentava, secondo loro, la dose di genialità del programma. Non riuscivo a capire cosa volessero di più. Ero comunque un buon ingegnere ed economicamente parlando, il meno caro sul mercato.
Ero così preoccupato per il mio lavoro che dimenticai di raggiungere Musa in ospedale per il controllo. Invece di dirigermi verso il Saint Patrick andai al Cubo, la sede della Base211, in un immenso edificio di cristallo che teneva la sua punta perennemente tra le nuvole del Maine.
Il loro ufficio sembrava un grande e scuro vuoto. La straordinarietà della cosa non era nel fatto che mancavano mobili e altre suppellettili, a parte delle sedie nere, ma la sensazione di smarrimento e di vertigine che quel posto generava dentro la mente. Dietro le sedie, uno specchio che non specchiava nulla. Bel congegno. Un mondo senza cose da mostrare. Un vero ermetismo dell'estetica.
"Lei ha capito tutto e in meno di due secondi. Bravo Her Hooc."
"Signor Heinz, è un piacere vederla. Tutto bene?"
"La gamba dolorante come il solito ma si sa che noi vecchi dobbiamo ringraziare il cielo solo per essere vivi. Comunque ragazzo ottimo lavoro. Mi piace tutto ma ci sono delle perplessità."
"Quali dottore?"
"Vede, noi siamo degli scienziati e approviamo l'uso smisurato del suo talento ma abbiamo bisogno di prove."
"Scusi non ho capito. Prove? Quali prove?"
"Il suo progetto si sa, stravolgerà il mercato ma noi non puntiamo ai soldi. Come avrà intuito, i capitali che rafforzano le nostre intuizioni, non mancano."
"Non riesco a comprendere professore."
"Adesso Her Filler e Frau Julia le mostreranno delle vecchie diapositive. Ripeto, le sue intuizioni sono state geniali ed è andato così vicino alla verità da lasciare tutti noi sconcertati. Mi creda Her Hooc, noi non ci meravigliamo facilmente anzi è parecchio che non ci capitava una cosa straordinaria come il lavorare con la sua mente. Her Hooc mi dica, ha mai avuto paura?"
"No, direi di no."
"Non le è mai capitato nulla nella vita per cui temere, che ne so, una malattia, un incidente, un brutto voto da piccolo?"
"Forse una volta, il nostro cane andò sotto una macchina, per fortuna se la cavò con una zampa rotta ma quella volta avevo avuto paura di perdere una cosa cara."
"Ah, bene, bene."
"Lei ci conosce poco, giusto?"
"Abbiamo chiacchierato per telefono tante volte e ho lavorato seguendo gli indizi che mi avete mandato per mail. Naturalmente dimenticavo gli acconti."
"Naturalmente gli acconti, i suoi occhi scintillarono tanto che ebbi la sensazione di stare vicino a un essere repellente che io nemmeno conoscevo, io invece caro Timothy la conosco bene. So per certo che il bambino lo chiamerete Joe."
"Ma lei come fa a saperlo, nemmeno mia sorella …"
"Niente microspie, non siamo mica quei poveri agenti che lei vede in televisione correre senza un carisma naturale in loro aiuto ma solo uso della tecnologia. Chiunque allora, con qualche bomba e qualche arma può diventare un agente o meglio un mercenario per ricchi mandanti. A noi non interessano queste cose da cartone animato sebbene lei abbia programmato un vero e proprio quadro avventuroso di quello che potrebbe essere una missione disperata."
"Immagino …"
"Non credo amico mio che lei possa immaginare questo ma non ho dubbi di una certa predisposizione mentale a superare i limiti ed è proprio per questo che l'abbiamo voluta qui."
"Sa oggi non posso fermarmi, mia moglie …"
"E' tutto a posto. Abbiamo provveduto alla cosa."
"Non capisco. Avete visto mia moglie?"
"Lei e suo figlio stanno bene anzi benissimo. La aspettano sa?"
"Ma? Mia moglie ha partorito? Io non posso restare qui. Io devo andare, capite?"
"Si calmi Timothy. La prego non mi deluda proprio adesso."
"Ma siamo pazzi, io voglio andare a vedere mio figlio. Mio figlioooooo!"
"Vede figliolo, ma si sieda, certi uomini cercano qualcosa per tutta la vita senza sapere cosa, altri invece vegetano denigrando l'essenza stessa di cui sono fatti aspettando senza aver lasciato opera alcuna, la morte. Noi invece da generazioni oramai progettiamo, un mondo migliore, una vita senza dolore e senza malattie, la resurrezione di una forza che si pensava inesistente. Noi invece abbiamo avuto la prova di non essere dei semplici clandestini su questo pianeta ma i prescelti, i discepoli di un capo che saprebbe guidarci verso il futuro, cancellando dalle ambizioni umane, l'egoismo, la vanità, la superbia."
La figura che arrivò dall'oscurità era talmente ambigua che le mie percezioni la sentirono, da subito, negativa e pericolosa.
"Caro Hooc, noi abbiamo bisogno delle sue facoltà per trovare il nostro tesoro."
"Dai, non ci credo. Mi avete chiesto di progettare un gioco ed io l'ho fatto. Mi avete chiesto di usare le mie cognizioni di credo ed io l'ho fatto ma adesso pretendete che io diventi il protagonista di quel gioco per portarvi dove?"
"E' lei che deve decidere."
"Io voglio tornare da mia moglie!", lanciai quel grido liberatorio nella densità dell'aria come se fosse stato un'arma.
Era diventato sempre più buio e sempre più freddo. Heinz aveva un volto illeggibile. Julia sembrava una bambola catturata in bella posa da una vecchia foto. Bert e Filler mi fissavano come statue inanimate. Dovevo andare via e lo stavo facendo quando la voce calma di Heinz fermò il mio passo.
"Voglio che pensi Timothy."
"Devo andare da mia moglie e voi non mi fermerete."
"Ascoltalo Hooc." adesso Julia era passata alla persuasione ma era sempre immobile e molto distante da me. Erano tutti quanti distanti da me e con meno di tre passi sarei arrivato alla porta.
Da li all'auto una decina di minuti e fino all'ospedale, visto l'orario di punta del traffico e calcolati i vari semafori forse quaranta minuti. Volevo essere già li con mio figlio e con mia moglie.
"T, t .. ti … tim, tu, tu ci devi as, co, col, tare."
"Basta e non voglio sapere né chi siete né cosa volte da me. Il mio lavoro è finito, non m'importa dei soldi, Siamo a posto ma adesso io vado via e voi non mi fermerete."
"Caro ragazzo, non potremmo nemmeno se volessimo."
Avevo già la mano sulla gigantesca maniglia a forma di timone. Non mi sembrava di averla notata all'ingresso.
"Hooc!"
"Basta!"
"Un ultimo piacere e le giuro che potrà andare via."
Heinz stese la mano non in segno di amicizia ma per indicarmi qualcosa.
"Venga a vedere."
"Non ho tempo."
"E' una cosa da poco, una sciocchezza."
"Va bene ma poi basta!"
"Ho giurato e sono un uomo d'onore." I suoi colleghi non fiatavano, segno che erano tutti d'accordo tra loro.
"Si?"
"Vada davanti allo specchio."
"L'ho notato. E' uno specchio nero che non specchia nulla. Vede? Non mi riflette."
"Non è proprio così. Lo specchio è un normalissimo specchio."
"Non capisco?"
"Sente freddo?"
"Sì. Qui fa molto freddo."
"Anche noi e da parecchio."
"Cosa c'entra con me, con noi?"
"Si ricorda l'Insane Gloria?"
"Sì è la mia barca."
"In verità era un sommergibile inglese, uno di quelli che spiavano le nostre mosse durante la guerra."
"Non lo sapevo. Non me l'avevate mai detto."
"Non ce n'era bisogno."
"Cosa c'entra con tutto questo."
"Noi tutti siamo morti."
"Eh? mi avvicinai a Heinz e gli strinsi la mano, era fredda sì ma la sua forte stretta mi parve più che piena di vita, vede professore, com'è semplice dimostrare le cose."
"Sapevamo che sarebbe stato difficile per questo l'abbiamo portata qui."
"Perché? Qui cosa c'è?"
"La sua vita. Il suo passato. Il suo futuro."
"Questa è solo una stanza nera senza mobili con sei sedie e uno specchio giocattolo, ah, scordavo la maniglia a forma di timone."
"Mancava l'ultima cosa."
"Già. Fredda. Molto fredda."
"Sempre perspicace."
"Posso andare ora?
"Non capisci vero?"
"Ma cosa? Ma cosa devo capire? Che la vita non è mai come la sogni, come la vuoi? Che la gente passa più tempo a darti contro che starti di fianco? Che cosa devo capire che sono qui invece che con mia moglie?"
"Tim, Tim, Tim, Tim …"
"Heinz, Heinz, Heinz, Heinz."
"Timothy, chiudi gli occhi."
"Devo andare ragazzi, il gioco è stato divertente, grazie. Ci troviamo dopo, tra qualche giorno chissà."
"Tim, tu sei dei nostri."
"Io non sono dei vostri, sono solo un programmatore."
"Sei un ingegnere e piuttosto bravo."
"Ma questo lo sanno tutti."
"Ti ricordi qual è l'ultima cosa che hai fatto prima di venire da noi?"
"Certo ho … ho, caspita adesso ho un lapsus."
"E cos'hai fatto ieri?"
"Ieri ho … ma cavolo, sono stato così preso …"
"Come si chiamerà tuo figlio?"
"Non saprei, dobbiamo deciderlo … io e …"
"Eva?"
"Sì, Eva."
"Non so cosa mi prende ma sono certo che mi passerà appena esco da qua."
"E' questo il punto, Hooc."
"E' questo? Che cosa volete da me?"
"Sei tu che ci hai chiamati."
"No. No. Vi sbagliate. Io sono un programmatore e voi mi avete chiesto un lavoro, credo."
"Siamo tutti morti Timothy, esattamente sessantasei anni fa quando i nostri magnifici Classe 22 furono seppelliti dai siluri dell'Insane Gloria. Il nemico ci aveva seguiti fino al polo sud. Eravamo certi di non aver lasciato tracce né messaggi che potessero identificarci, ma uno di loro ci seguì. Eravamo pronti a vincere la guerra. Avevamo la scoperta del millennio e tu l'avevi identificata proprio vicino alla baia della Base 211. Tu ci fai rivivere di tanto in tanto nella tua memoria, ma oramai siamo rimasti intrappolati con tutti i marinai."
"Io sono morto? Voi siete folli."
Chiusi la porta dietro di me e vidi che nessuno ebbe il coraggio di fermarmi.



17


Vivere in un corridoio di luce … aspettando.

"Capitano! Capitano! Il Fuhrer sta arrivando e le navi sono pronte. Ordini?"
"Bravo Bert. Questa parte della guerra la vinceremo noi e tu sarai in lista per la prossima medaglia!"
"Grazie Her Kommandant."
"Mentre armiamo queste perfette macchine da guerra direi che possiamo tornare alla base e verificare gli incartamenti del sito."
"Ah, ma crede che saremo in mare prima di domani notte?"
"So che non vedi l'ora di combattere e questo ti fa onore ma abbiamo dei begli sviluppi che il nostro Fuhrer sarà contento di sentire. Heinz è sulla numero due?"
"No, her Hooc, Heinz è ancora al sito con la dottoressa Julia che sta completando il quaderno."
"Bene. Allora chiama il comandate Filler per il cambio e preparati per scendere a terra. Oggi diventeremo eroi. Vino?"
"Certo Her Hooc. Il laboratorio ha ricevuto ordini in merito."
"Chiama per favore Eva, dovrà accompagnarci, in fondo la scoperta è merito suo."
"Certo Capitano. Ma credo lei sia già sul posto."
"Allora che cominci la festa!"
"Javol!"
La scoperta di Eva fu un evento considerato da tutto il popolo germanico, sensazionale. Era una delle sensitive preferite da Hitler e si capiva questa predilezione del fuhrer dalla cortesia con cui le parlava o semplicemente la osservava. Era molto giovane e molto dotata, proprio per questo quell'ammirazione divenne in tutti noi una sorta di devozione trascendentale, una madonna dai poteri occulti che reclamava l'attenzione di tutti noi. Il sei novembre del 1942 iniziarono gli scavi nella grotta 3 SIS Est 44. I tunnel scavati arrivavano alla baia e sopra la baia trovammo un enorme forziere creato da una lastra di pietra circolare dal peso di oltre sessanta tonnellate. Nessun essere umano in nessun tempo avrebbe mai potuto alzarla e piazzarla a trenta metri d'altezza. Non solo, c'erano anche pezzi di qualcosa di cui ignoravamo l'utilità ma non apparteneva alla nostra tecnologia, confitti nel ghiaccio. Eva pur sapendo cosa nascondeva volle evitare il contatto visivo con la sua scoperta, le sue ragioni rimasero oscure e solo il Fuhrer conosceva la verità.
Il ponte di legno raggiungeva l'ingresso creando un piccolo terrazzo sospeso dove tutti noi ancorati con grosse funi, ammiravamo la scultura di quel coperchio vecchio più dell'umanità. Le incisioni erano primitive ma sconosciute e l'occhio centrale aveva un piccolissimo foro di cui nessuno di noi riusciva a indovinare l'utilità.
Eva era lì. Bella. Tranquilla. Silenziosa e fingeva di non vedermi ma sapevo bene che mi cercava dentro. Che mi desiderava. Che le mancavo. Certi posti rendono le persone indispensabili le une alle altre, soprattutto quelli che nascondevano un segreto alieno e una pericolosa flotta di sommergibili.
Tutti gli scienziati, i soldati, i comandati erano stati ipnotizzati dalla meraviglia che avevano davanti.
Per mesi avevamo evitato il contatto per volere del Fuhrer che doveva il primo a ispezionare a reliquia e averla li a portata di mano, non potendola toccare ma ascoltando l'energia con cui vibrava perché la pietra vibrava, ci rendeva ansiosi come ragazzini davanti a un nuovo giocattolo. Fissavo Eva distrattamente. Ma io mi ero innamorato della ragazza e non della scienziata. Era un essere minuto e delicato che mi cedeva parte della sua fragilità quando la stringevo tra le braccia. L'amavo al punto di diventare cieco in sua presenza e di dimenticare di esistere per qualche altro scopo. Volevo il suo corpo, il suo amore, i suoi figli, tutto quello che aveva da dare avrei voluto fosse mio. Mi sorrideva sempre mentre facevamo l'amore e mi guardava dentro come se potessi nasconderle qualcosa che lei non sapesse già. Lei era mia come io ero suo ma eravamo soldati. Lei sapeva che non avrei accettato condividerla con la carriera. Era brava. La migliore. Ma io la volevo tutta per me e feci di tutto per metterla incinta. Passammo due anni a immaginare la nostra vita da civili, in una casa vicino al Reno, un sacco di marmocchi chiassosi e un piccolo battello con cui fuggire nelle gite d'amore.
Nell'ultimo periodo mi evitò. Ero preso dal progetto dei nuovi motori alla flotta di sottomarini che incameravano l'energia direttamente dal mare. Saremo diventati imbattibili.
La straordinarietà delle coincidenze porta solitamente a disastri colossali e temevo che tutta quella fortuna avesse un prezzo.
Mancavano solo due ore all'arrivo del Fuhrer. Era tutto pronto ed Eva era già in contatto con l'entità. Quattro medici, tra cui il dottor Filler e la dottoressa Julie, la assistevano cercando di prendere appunti dai frammenti di parole che bisbigliava durante lunghi intervalli di silenzio.
Io ascoltavo. Interpretavo. La sostenevo ma c'era qualcosa, come una voce dentro la mia testa, una voce sconosciuta che disturbava i pensieri altrimenti sereni.
Lasciammo alla baia, solo venti soldati dei cinquecento destinati alle navi. Nella mia testa un vortice girava alieno assorbendo senza ubbidire ai miei fermi, tutti i dettagli di ogni pensiero. Quello stato mi trasmetteva una certa forza e accumulai tanta energia dentro da fiutare quasi i pensieri di Eva. Vedevo nella sua testa. I dialoghi con il buio e le risposte di questi. Il suo battito cardiaco e i respiri che portavano l'aria a nostro figlio. Era incinta. Mi spaventai credo perché chiusi gli occhi. Poi la forza mi abbandonò forse convinta di aver saputo tutto di me. Guardai le ore. L'orologio ascoltava la danza della lancetta ma io avrei voluto portarla indietro. Perché?
Anche il tic tac degli orologi dei miei camerati correvano con un messaggio oscuro ma nessuno di loro intuiva ed io stavo zitto perché volevo credere ad un cattivo presagio. Mi sembrava solo la disgustosa paura di un futuro padre.

"Heinz?"
Il mio vice si girò quasi intendendo la mia espressione di terrore ma era troppo tardi. Ci fu solo il tempo di vederla in emersione, quasi per beffarsi di noi. L'Insane Gloria un mostro silenzioso e a pieno carico di armi. Le sirene servirono solo a confonderci.
La corsa fu inutile. Solo due boati che fecero cadere il tetto dell'ingresso della baia sulle navi e poi il secondo. Lei non mi stava guardando. Nonostante tutto quello che stava succedendo era ancora concentrata sulla porta. Nemmeno quello che c'era dietro quella porta poteva fermare l'inevitabile. Avrei dovuto raggiungerla e morire insieme a lei e a nostro figlio. Avrei dovuto strapparla a quella cosa ma la mia ultima e involontaria mossa fu lo sguardo verso il nemico. Quella visione era molto chiara. Nessuna salvezza. Nessun superstite. Nessuna vittoria.
Volare non è la parola esatta quando si tratta di morte. Nemmeno camminare o correre. Forse fluttuare o meglio incamerare nuove nozioni di movimento diverse da quelle del principio, oppure galleggiare spostandoti ma senza corpo. La cosa dolorosa fu il boato prima del silenzio. Sentivo uno strano dolore ma non nel corpo. Il corpo non lo sentivo più. Il male era solo nella mia immaginazione. La mia mente era ferita. Mortalmente. La mia vita in una frazione di secondo e i miei sogni tutti. Una pellicola che dietro i miei occhi proiettava i suoi dati velocissimamente. Bloccato. Disarmato. Morto. Una fitta luminosa poi il buio. Fu come nascere ma al contrario.
Le cose cambiano. Evolvono. S'impastano tra loro generando memorie, illusioni e sogni. Nessuno galleggia da morto. Il tempo è fermo tra i corpi ammassati come vecchi sacchi dentro una cantina buia. Il freddo non congela la memoria ma la conserva. Io c'ero eppure mi mancava qualcosa. Pezzi di me smarriti perché legati alla vita. Io non vivevo più ma c'ero. Eravamo tutti li, tanto vicini che le ossa di alcuni erano finite sotto le uniforme di altri. La forza di quel silenzio solo il vento catabatico riusciva a vincere. Un vento cadente capace di soffiare a trecento chilometri l'ora cancellando dall'interno verso le coste tutta la speranza di vita. Io sentivo tutto ma nessuno ascoltava me. Quella solitudine divenne una trappola dove flash di luce si alternavano a lunghi e interminabili oscurità. A volte m'inventavo. Altre volte mi sembrava di sentirmi come una leggera bolla di sapone in un vuoto dimensionale. Non basta chiudere gli occhi per dire che è la fine ed è con questo pensiero che al fitta di dolore sopravviveva alle miei idee, a quello che ero stato, a quello che sarei dovuto essere. Un altro bagliore! I sogni vanno e vengono. Fermo qui a pensare. Piccoli ricordi. Nulla di fondamentale. Sono come un fantasma senza pace in mezzo ad un esercito di morti. Questa è una lunga veglia. La conta di nomi è interminabile. C'è qualcosa qui. Lo sento. Lo immagino. Forse è una bugia ma è sopravissuta ai tanti cataclismi di questo pianeta. Non teme il tempo. E' una compagnia la sua, quasi di conforto. Siamo gli ultimi e gli unici, sotto questo involucro di ghiaccio. Senza pace. Accidenti, ecco di nuovo il buio. Il freddo. La solitudine è un territorio senza strade e senza indicazioni. Perduto. Qui. Per sempre. Io e Lui. Qui. Ad aspettare. Qualcosa … Qualcuno …

 

18


La verità

"Siamo arrivati! Avvertite base."
"Sì dottoressa Rider?"
"Jim, per favore filma l'ingresso mentre Peter comincia a fotografare il sito."
"Sembrano solo un mucchio di pezzi d'acciaio."
"Certo Peter ma vedi la bandiera su quello li, porta la svastica, vuol dire che abbiamo trovato qualcosa di molto prezioso."
"Certo dottoressa Rider. Vuole che le chiami il colonnello Butz?"
"Sì. Dica pure mio padre che possiamo riscrivere la storia."
"Signori guardate che meraviglia, sembra tutto intatto. Insomma spostate duemila tonnellate di ghiaccio potremmo trovare una scatola e naturalmente la sorpresa.
"Allora Halma, ci siamo?"
"Ci siamo papà. Base 211 è sotto i nostri piedi."
"Ottimo. Mio padre era certo di quello che aveva visto e le sue annotazioni non potevano essere false. Dobbiamo scendere."
"Direi che puoi chiamare i tuoi uomini. Inizia la festa!"
"Appena i soldati punteranno il lautphere abbiamo meno di venti secondi per allontanarci. Il cratere potrebbe essere spropositato e noi risucchiati dentro."
"Va bene. Allontanatevi tutti dal campo!"
L'uomo con la macchina fotografica in mano cercava di ottimizzare il punto di fuoco ma il vento gelido non lo aiutava.
"E la chiamano stagione calda dottoressa? Fa un freddo polare."
"Cosa ti aspettavi Peter è il posto più freddo del pianeta in assoluto. Pensa che d'inverno qui trovi i meno settanta gradi."
"Sarà ma questo freddo è paralizzante."
"Devi solo fotografare il sito. Nessun altro lavoro faticoso per la stampa."
"Halma, lei da quanti anni insegue questo posto?"
"Pensa che quand'ero bambina ero affascinata di quante cose cercassero di scoprire i nazisti. Hitler era affascinato dal mistero, dalla stregoneria, dall'occulto e dalla fede. Un giorno una sensitiva gli comunicò di aver trovato sotto un pesante manto di ghiaccio un sito alieno e lui era talmente affascinato dalla cosa da spedire un vero esercito ad attraversare il polo sud per scavare in un punto prestabilito i tunnel di collegamento."
"Di collegamento a cosa?"
"E' questo il lato affascinante della leggenda. Di collegamento ad una struttura preistorica preesistente. Ma i nazisti non furono i primi. Altri in qualche modo ebbero la stessa, come dire "soffiata", ma solo loro, i tedeschi riuscirono a entrare."
"Come fa a essere certa."
"Quello che hai appena fotografato è testimonianza che loro erano qui."
"Sì ma non che avessero trovato chissà quale cosa fantastica."
"Hitler non avrebbe mandato un esercito solo per spostare dieci sommergibili. Qui è stata creata la storia del futuro. Avevano nozioni di ingegneria già avanzate per quei tempi e le loro ultime armi erano pronte per uscire dal porto ma ci fu un impedimento."
"Quale?"
"La guerra."
"Si sono suicidati?"
"Qualcosa del genere. Si pensa a una sorta di incursione nemica."
"E le loro armi all'avanguardia."
"Sono stati semplicemente colti di sorpresa. Erano così sicuri della loro forza che hanno abbassato la guardia. Un sottomarino inglese, un paio di siluri e il gioco è finito."
"Allora tutti loro sono ancora qui sotto."
"Più o meno e non solo."
"Cos'altro dovrebbe esserci?"
"Questo nessuno lo sa."
"E' un posto di morti."
"E di qualcos'altro, Peter."
Il cratere sembrava un buco circolare e senza fondo dove le pareti di ghiaccio aggiungevano al blu molte altre decine di sfumature, sulla terra altrimenti introvabili. Il vuoto sotto i loro piedi era d'impressionante profondità. I pezzi di metallo erano svaniti forse sciolti dal raggio che aveva scavato il pozzo.
La fibrillazione umana divenne una sete avida di curiosità. Settanta uomini, chi dietro ai propri macchinari, chi semplicemente spettatori piegati in avanti per misurare meglio la bocca del mostro steso sotto i propri piedi, ignorando la paura cominciarono a fantasticare sul favoloso ritrovamento.
"Dottoressa Rider cosa pensa di trovare qua sotto?"
"La vita Peter. La vita."
"Mi scusi ma sono solo un giornalista e si sa, noi siamo molto curiosi e molto stupidi quando si tratta di grandi scoperte e sopratutto di ritrovamenti grazie a sensitivi."
"Posso provare a capire questa miscredenza ma sono i risultati che contano."
"Ma dottoressa Rider, siamo a meno quaranta gradi sottozero, forse solo i licheni sopravvivono e i pinguini, a parte qualche rottame della seconda guerra mondiale non crede in un grosso abbaglio?
"Ma ci sono forme di vita che non sentono né il caldo né il freddo e nonostante questo sopravvivono."
"Umane?"
"La risposta è proprio nella sua domanda, Peter. Ci sono cose la sotto, che lei creda o no, che aspettano proprio il nostro arrivo."


Fine?


Leggere questo libro non costa nulla; se ti è piaciuto porta un tuo dono, un piccolo modesto ma ineguagliabile gesto d’amore “un peluche – un sorriso – narra a tua volta una fiaba – ricambia il bene” all’Istituto Tumori di Milano reparto pediatria www.istitutotumori.mi.it.

 


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