Racconti di Giovanni Abbate


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Sono nato a Tripoli nel 1934. Sono venuto in Italia a causa della guerra e poi a Roma come sfollato nel campo profughi di Cinecittà.Mi sono diplomato ragioniere al "Duca degli Abruzzi" in Roma. Concorso. Scuole militari .Carriera militare quale ufficiale nel corpo dei bersaglieri. Andato in pensione sempre nella capitale dopo diversi trasferimenti in varie sedi d'Italia.Ultimo trasferimento,qui nel Pordenonese,paese di mia moglie. Frequento d'allora l'università della terza età ( UTEA ) di Cordenons(PN).L'anno scorso(marzo 2014),casualmente, mi sono iscritto a un corso di scrittura creativa. La nostra prof  PP. Busetto, cui va la mia eterna gratitudine, ha risvegliato in me questa attitudine poetica sopita da ben 62 anni quando da studente mi dilettavo a scrivere poesie. Sono riuscito a scovare due vecchissimi quaderni di poesie mai perduti. Non è singolare?Senza questa casualità non avrei mai avuto l'onore e il privilegio di entrare nel vostro club carissimi amici.

Leggi le poesie di Giovanni

Fuoco amico
Prima lettera ai miei nipoti.

Cari nipotini, mi sono trovato spesso in situazioni di pericolo con rischio della vita, pur senza averle cercate, pur essendo in tempo di pace. Voi non esistereste se il destino o la fortuna o il caso o altro non mi avesse fatto uscire illeso da certe azioni pericolose. Si vede che il mio angelo custode che deve essere pure il vostro, insomma una specie di angelo custode di famiglia, è stato attento ad impedire che io non fossi più di questo mondo.
Ora vi dico. Sapete che il vostro nonno è stato un militare, un ufficiale. Essendo tale è stato sempre un comandante e il suo primo comando è stato quello di un plotone bersaglieri.
Ma pur essendo in tempo di pace questo non toglie che un militare viene addestrato alla guerra per difendere il proprio paese. "Si vis pacem para bellum". Pertanto facevamo le nostre esercitazioni che alla fine si concludevano con azioni di fuoco vere e proprie dove si sparava per davvero:
bombe a mano, fucili d'assalto, mitragliatrici, mortai ,cannoni vari..ecc…ecc… dove se non stavi attento, per un motivo qualsiasi, potevi essere colpito a morte dal cosi detto "Fuoco amico". Abbiamo esempi terribili di fuoco amico nella prima guerra mondiale dove per sbaglio la nostra artiglieria , nell'azione di accompagnamento ha falcidiato migliaia di fanti che andavano all'attacco.
Veniamo al dunque e al primo caso: un esercitazione a fuoco di plotone.
Dopo l'avvicinamento e le varie fasi dell'attacco raggiungiamo la linea d'assalto e lì con tutti i bersaglieri già spiegati do l'ordine per l'assalto per neutralizzare e distruggere l'obbiettivo nemico davanti a noi con lancio di bombe a mano ( SRCM) e
raffiche di mitra ( MAB ). Nella bolgia del fuoco ad un certo punto mi sento colpire alle spalle, a ridosso dei talloni, da schegge di sassi sollevate da raffiche di mitra che colpivano il terreno ciottoloso dietro di me.

Mi fermo e contemporaneamente mi giro e vedo un bersagliere che terrorizzato e ormai fuori di testa era rimasto arretrato e senza rendersene si era posto alle mie spalle sparando raffiche a intermittenza, per fortuna dirette in basso, ma che facevano schizzare pericolosamente sassi da ogni parte. Allora lo raggiungo, gli tolgo l'arma e lo porto con me fino all'obbiettivo. Era stravolto e mortificato, lo abbraccio e gli dico: "Dai su che è andata bene, anzi ti ringrazio perché potevi ammazzarmi".
Veniamo ora al secondo caso.
Trattasi sempre di esercitazione di plotone, ma questa volta in bianco, cioè senza sparare. Dove era allora il pericolo? Vedrete! In quel periodo il plotone bersaglieri meccanizzato in qualsiasi azione si muoveva sempre trasportato su veicoli semicingolati chiamati Half-Truck: ruote di gomma davanti e cingoli dietro.
Un plotone ne aveva in dotazione tre, uno per squadra.

Ecco, nel mio caso, come si svolse l'azione. Alla fine dell'avvicinamento, raggiunta la zona d'attacco do l'ordine alle tre squadre di mettersi in linea con gli Halfa-Truck e di appiedare mentre i mezzi sono ancora in movimento. I bersaglieri allora, a grappoli con un volteggio da sopra le fiancate del semicingolato si gettaronono a terra prendendo posizione.
Io comandante che ero saltato giù per primo non mi gettai a terra ma continuai a correre precedendo il mezzo, sul davanti, correndo all'indietro e nel contempo indicando al pilota carro di andare a prendere posizione in un posto riparato da dove poteva anche svolgere azione di accompagnamento degli assaltatori con il fuoco della mitragliatrice Browning 12,7, montata in torretta. Ebbene questi, preso dall'emozione, era alla prima esercitazione, invece di frenare e deviare verso la posizione da me indicatogli, premette l'acceleratore e
mi punta addosso con il cingolato a tutta birra
investendomi. Ebbi subito la presenza di spirito di afferrarmi al rullo posto sul muso del motore ponendomi nel contempo con il corpo sotto lo scafo del carro , e, per attutire la botta, sbattendo velocemente piedi e gambe come se nuotassi una specie di dorso. Grazie a Dio pilota e carro si fermano. Esco fuori da sotto il carro e con un volteggio salgo sopra il carro e vado verso il pilota la cui seduta è molto in basso rispetto a quella del capo carro. Questi dandosi pugni sull'emetto singhiozzava disperatamente. " Ehi Salvatore”, gli dissi, ma lui non mi sentiva, allora lo colpii duro con il tacco del mio scarpone, la mia posizione era molto più alta rispetto alla sua, e finalmente rivolgendosi verso di me si accorse che non ero sfracellato sotto il carro.
La sua gioia era tale che non mi sentii di rimproverarlo. Allora lo apostrofai un po’ torvo e gli dissi. " Come ti chiami " e lui " Salvatore" .
"Con questo nome non potevi certo ammazzarmi, stai tranquillo" cosi dicendo lo abbracciai mentre le sue lacrime mi lavavano il viso.
Altri momenti di pericolo dal fuoco amico?
Altre bazzecole per modo di dire… come di quell'imbranato di bersagliere che nell'addestramento al lancio della bomba a mano SRCM, così si chiamava, la lanciò dritto sulla verticale della sua testa ed io che con un placcaggio, tipo rugby, lo scaraventai lontano dalla traiettoria della bomba che così esplode qualche metro più in là lasciandoci indenni.
E quest'altra dove me la sono vista davvero brutta.
Una partenza di notte su allarme della nostra Unità corazzata e meccanizzata. Un tourbillon terribile: moto, automezzi, carri armati, VTC, cioè veicoli cingolati per trasporto truppa e combattimento, cannoni, semoventi di artiglieria, reparti appiedati di corsa, che si muovevano da ogni parti per raggiungere la zona di incolonnamento e
schieramento, e tutto ciò di notte e con tutti i mezzi con le sole luci notturne di guerra. Una grandissima confusione, e mentre sto dando ordini per radio al mio plotone, un camion a fari abbaglianti accesi, il che era proibito, avanzava verso di me a tutta velocità. Il conduttore doveva essere fuori di testa. Tento di mettermi fuori traiettoria spostandomi all'indietro, ma un muro a secco molto alto mi blocca alle spalle e anche dal lato opposto c'è un altro muro parallelo al primo, l'automezzo ci
passava a malapena in mezzo rasente. Niente da fare. Che faccio. Ormai il camion è a pochi metri.
In un lampo mi appiattisco di schiena contro la parete sassosa e…quello mi striscia addosso sbracandomi la tuta da combattimento, montandomi con le ruote sulla punta degli scarponi pestandomi le dita. Battuta: meno male che ho un piede molto piccolo (40), se lo avessi avuto come quello di mio nipote Lorenzo che ha il 46 l'automezzo mi avrebbe schiacciato mezzo piede.

E' la prima volta in vita mia che mi sono trovavo in una situazione di pericolo mortale come quella e di cui ero cosciente. E percependo quella sensazione
ho avuto veramente paura. Me la sono fatta addosso? Non potevo permettermelo.
L'automezzo nella sua folle corsa mi aveva illuminato un varco attraverso il muro e così attraverso di esso ho potuto raggiungere zoppicando il mio reparto e partire per la zona di dislocazione della mia Unità. Non ho saputo più nulla di quel mezzo. Ne io l'ho mai chiesto. Ne mai qualcuno mi ha detto qualcosa al riguardo. Chissà se il conduttore di quel camion si era reso conto di quanto successo e della persona che
per miracolo non ha investito. Finita l'esercitazione, quando mi sono tolti gli anfibi
le dita dei miei piedi erano tutte peste e viola scuro.
Un ultimo episodio simile con un carro armato M24 che durante l'addestramento alla caccia carri mi venne sopra con il suo scafo.

" Ma te le vai cercando"….mi direste cari nipoti. Ad un esame superficiale mi si potrebbe considerare come una persona molto incosciente.
Eppure le modalità di esecuzione di ciascuna delle suddette esercitazioni e delle successive è stata da me attentamente spiegata ai miei bersaglieri in ogni dettaglio: misure di sicurezza,tecnica,rischi,ecc……. Sto molto attento affinché recepiscano bene la lezione perché il legame che ci unisce è come quello di un fratello maggiore verso l'altro più piccolo. C'è anche un affetto e li conosco uno per uno.
Ma anche in questo caso, come vedrete, non c'entra la preparazione di chicchessia, ma la casualità o fatalità. Quello che è successo non potevo assolutamente evitarlo.
Quel giorno il piano di lezione prevedeva la prima lezione sulla " Caccia ai carri": valori tecnici del mezzo, esercizi di confidenza, come farsi passare il carro sopra il corpo e applicare una mina magneti
sotto il suo scafo , salire e scendere dai fianchi del carro con un volteggio, buttarsi distesi in direzione dei suoi cingoli e poi all'ultimo istante con un rotolamento al centro sotto di esso .
Portai così il mio plotone in Comina dove ancora adesso c'è una striscia di atterraggio per aerei leggeri ( Pordenone). L'ufficio addestramento aveva predisposto che il carro e pilota si trovassero già lì. Arrivati sul posto vedemmo il carro su un verdeggiante prato. Schierai il plotone seduto a circa 10 metri dal mezzo e cominciai la lezione.
Esposi i dati tecnici del carro e poi passai all'attuazione del primo esercizio.
E' fondamentale nella mia professione di comandante dare l'esempio e fare l'esercizio per primi.
Si trattava di appigliarsi sul davanti del mezzo dove c'era una specie di occhiello per il traino e farsi passare il carro sopra applicando sulla pancia di esso la finta mina magnetica.

Passo alla pratica. Mi siedo davanti al carro con le gambe già sotto il carro afferrando l'occhiello con le mani. Do l'ordine al pilota di spostarsi avanti per circa tre metri e quindi fermarsi. Il pilota esegue e vedo il carro avanzare sopra il mio petto, poi di colpo il cingolo alla mia sx sprofonda nel terreno e sento lo scafo del carro che comincia a premermi sul torace. Velocemente mi sposto a dx verso il cingolo che non sprofonda. Il carro si ferma e spegne il motore. Silenzio assoluto!
Mi immagino lo spavento del pilota e dei bersaglieri che mi vedono sparire sotto il carro. Allora mi svincolo e svelto esco dal retro del mezzo e subito mi porto accanto al pilota disperato. " Ehi guarda sono qui. Sto bene". I bersaglieri non appena mi vedono urlano di gioia e mi si avvicinano toccandomi per vedere le mie condizioni.
La parte sx della mia tuta sul torace e sulle spalle era coperta di fango ed erba spiaccicata.

Tutti con le mani cominciarono a ripulirmi e da come lo facevano sembravano carezze amorose. Ero commosso e felice. Non proseguii con l'addestramento ma aspettai la fine della lezione. Giunta l'ora rientrammo allegri in caserma cantando " La bella Gigogin":….Rataplan! tamburi io sento, me ne vado alla frontiera, o che gioia, o che tormento, me ne vado a guerreggiar….a quindici anni facevo all'amore, dàghela avanti un passo……ecc,ecc.

 

CC119-Il pericolo e' la mia vita
Spesso sul canale Focus della TV mi piace vedere il
programma “ Indagini ad alta quota” che tratta di grossi aerei tipo Boeing delle flotte civili, in uso in molti Stati, che hanno incidenti spesso disastrosi con grande numero di vittime al momento dell'atterraggio.
Ciò mi ha richiamato alla memoria il seguente fatto
occorsomi quando ero ancora un giovane Sottotenente
dei Bersaglieri al 8° Reggimento Bersaglieri di stanza a
Pordenone.
Ero effettivo una Compagnia Bersaglieri,quale comandante del 2° plotone bers. mentre il primo era comandato dal Ten. più anziano e vice com/te di cp. Eravamo smistati un plotone
per aereo, quello del vice C/te di cp sarebbe partito pochi minuti dopo.
Come da programma dovevamo andare a Capo Teulada
in Sardegna ove è ubicato il Poligono militare interforze
per lo svolgimento di ogni tipo di esercitazione.
Ma questa volta al nostro addestramento Standard se ne
aggiunse uno particolare: il lancio col paracadute.

Appuntamento al Campo di Aviazione della Base di Aviano dove trovammo un CC119 venuto da Livorno, sede
dell'Aereo Brigata Paracadutisti della Folgore, con gli
istruttori e equipaggiamenti necessari.
Poche ore di addestramento prima della partenza volarono.
Per prima cosa ci mostrarono una imbracatura di quelle che indossano tutti coloro che operano a grandi altezze spiegandoci come si indossasse. Inoltre ci mostrarono e spiegarono gli altri componenti del equipaggiamento tra cui un giubbetto salvagente da mettere sotto l'imbracatura e vi
dico che non era cosa facile da fare. Poi il paracadute principale sulle spalle con relativo moschettone di aggancio e il paracadute di emergenza sul ventre davanti nel caso non dovesse aprirsi quello principale.
Descrivo inoltre la struttura interna dell'aereo: cavi coassiali su cui agganciare il moschettone e le cinture di sicurezza sui sedili e lo sportello in fondo alla fusoliera da cui ci si doveva lanciare.
Ripeterono questa prima fase diverse volte interrogando
qualche bersagliere qua e la.

Infine mi dissero di schierare il mio plotone in fila per tre
tenendo un certo spazio tra un uomo e l'altro e passarono
alla pratica utilizzando la mia persona.
Mi fecero indossare il salvagente sgonfio imbragandomi
con i due paracadute uno sul dorso e l'altro ausiliario davanti sul ventre. Fecero notare le maniglie di sgancio che bisognava usare al momento giusto in caso di pericolo soprattutto se il lancio, gioco forza, doveva avvenire sul mare. Cosa estremamente deprecabile, da evitare categoricamente, specialmente nel caso nostro per
aver avuto una così poco adeguata preparazione a causa del poco tempo avuto a disposizione. “ Tenetele ben strette
sono la vostra salvezza”.
Pensate che nel caso di lancio in mare il malcapitato
doveva togliersi l'elmetto, sfilarsi gli anfibi e poi sganciarsi all'altezza giusta prima di toccare la superficie liquida.
Cosa difficilissima anche per i più esperti paracadutisti come quelli della Folgore; l'acqua è talmente cristallina che pensi di essere a pochi metri e così ti sganci sicuro ed invece sei ancora a 30-40 metri, e precipiti come un sasso rimettendoci la pelle.
Stando così le cose il lancio in mare, laghi o qualsiasi altra superficie liquida è assolutamente da evitare.
Finalmente partimmo in direzione dell'aeroporto militare della Brigata Folgore nella sede di Livorno, dove scesero alcuni istruttori, rimasero con noi solamente due.
Riprendemmo la rotta verso Cagliari.
Quando fummo in prossimità dell'aeroporto militare di
Decimomannu, quando ancora eravamo sul mare, il
motore di dx del CC119 cominciò a scoppiettare dando colpi sempre più forti per poi spegnersi completamente; un filetto di fumo fuori usciva subdolo.
Sei segnali acustici brevi segnalavano l'emergenza, il
parà si mise in contatto con la cabina piloti del vettore.
Parlottarono ma non capimmo, ma l'intuimmo subito
quando il Folgorino ci disse di mettersi tutti in piedi e
di assicurarsi che il moschettone fosse fissato al cavo
coassiale della carlinga. “ Pronti al lancio in mare”, disse. Pochi secondi, un'altra telefonata dalla Cabina Piloti, diede il contro ordine.

“Sganciate i moschettoni e agganciateli alla maniglia di
trasporto del paracadute ausiliario.
Sedetevi sui sedili e fissate le cinture di sicurezza dei sedili,se ci sono. Anzi e meglio che vi afferriate con tutte le vostre forze alle centine e ai longheroni.”
I miei bersaglieri mi guardavano pallidi e ansiosi; io li rassicurai scherzando dicendo,”E' meglio scendere sul duro piuttosto che in acqua visto che molti di noi non sanno nuotare”.
Feci appena in tempo a finire la battuta che il CC119 si
buttò in picchiata sulla pista di atterraggio.
Scendevamo giù quasi in verticale!Pochi secondi che durarono una eternità. Pensavo che sarei morto insieme ai miei bersaglieri.
Pensai alla mia fidanzatina, Gabriella, ora mia moglie
conosciuta da pochissimo tempo e ai miei familiari che non avrei più rivisto.
Pensavo ai miei bersaglieri che conoscevo uno a uno,
come tanti fratelli, il mio cuore era uno spasimo.

Intanto il CC119 piombava giù a capofitto come un
Falcone pellegrino a 300 km orari e noi aggrappati come
disperati.
Pochi istanti dopo sentimmo l'urto delle ruote sulla pista che con un sobbalzo e un rollio si mettevano a
rotolare sull'asfalto. Sembrava che non si fermasse mai.
Finalmente a fine pista si fermò; urla di gioia per la fine dell'incubo e battiti di mano per il bravissimo Pilota.
C'era un principio di incendio sulla ruota sx, ma la squadra dei pompieri allertata in tempo lo spense subito.
Uscimmo fuori, in ordine, felici d'averla scampata bella.
Allora mi avvicinai al Capitano pilota e dopo essermi congratulato con lui gli chiesi il perché di quella terribile
picchiata.
“ Quando funziona un solo motore, il vettore non ha la
portanza sufficiente per atterrare. Pertanto per non farlo sbracare al suolo per mancanza di spinta occorre dargli maggiore velocità e ciò si ottiene facendolo picchiare con la maggiore inclinazione possibile per poi richiamarlo
all'ultimo momento”.

Bravissimo! hai reso bene l'idea.
Là all'aeroporto trovammo i camion che ci dovevano
portare al Poligono di Capo Teulada.
Fummo ben lieti, dopo una simile avventura, di andare per via stradale sentendo sotto il nostro sedere la solidità dell'asfalto. Pochi minuti dopo sarebbe giunto il Vice Comandante di compagnia che fu più fortunato! Volare sui CC119 era diventato un pericolo costante; erano sempre in avaria per un motivo o l'altro.
Finalmente qualche hanno dopo furono dismessi è sostituiti con gli Ercules CC130.

 

La necropoli etrusca di Norchia a Monte Romano
Premetto che questo racconto e tutta invenzione, sia i personaggi, sia i reparti militari cui accenno al fine di rendere plausibili gli avvenimenti. Pertanto qualsiasi collegamento è puramente casuale.
Questo racconto di pura fantasia nasce dal fascino che esercitano in me le rovine etrusche nelle quali si trova la nostra Base Logistica di Monte Romano dove andavamo per eseguire le esercitazioni a fuoco.
Tra i tanti trasferimenti mi sono ritrovato a Civitavecchia e prestavo servizio presso il 1° Rg Bers in Aurelia; ero il Comandante della Compagnia X ed avevo alle mie dipendenze il sergente Mariotto nativo e residente a Tolfa.
Mi colpivano di questo sottufficiale la peculiare parlata in
tolfatano: se il civitavecchiese rispetto al dialetto romanesco era greve, quello degli abitanti di Tolfa era ancora più greve.
Descrivere il significato di greve è molto difficile.
Si riferisce a un linguaggio ruvido e rustico in maniera particolare. Era uno spasso sentire parlare il sergente che mi era molto in simpatia del resto da lui contraccambiata.
Ma anche in italiano il suo eloquio era brillante e fascinoso.
Un giorno, in vena di confidenze, mi disse:
“Signor Capitano, vorrei dirle qualcosa di molto riservato, ma prima lei mi deve promettere di mantenere il riserbo come se fosse il mio confessore”.
Misi le mani avanti, “ Se hai rubato cose della compagnia o
altro materiale militare di qualsiasi provenienza e appartenenza e anche fuori dal nostro ambito, la finiamo subito qui perché non potrei esimermi dal denunciarti”.
“ Niente di tutto questo”.
“ Ebbene ti ascolto”.” Lei sa che il Comando mi ha distaccato, su mia richiesta ,quale comandante della guardia, alla Base Logistica di Monte Romano.”
“Visto che abitavo a Tolfa, abbastanza vicina, mi veniva comodo”.
“ Insomma andiamo al sodo Mariotto, non so ancora dove vuoi andare a parare”. “ Sono un tombarolo.........ma non si alteri......si lo sono, ma non come suppone lei, ma al contrario!”
Ero sempre più basito. “ Spiegati porca miseria!”
Allora mi spiegò che all'interno della Base Logistica c'era la Necropoli Etrusca di Norchia di cui molte tombe vuote si scorgono sulla riva scoscesa e tufacea del torrente Biedano lungo la ss1 bis che delimita la Base.
A Tarquinia patria etrusca, al suo Lido e ovunque nel
viterbese si vendono riproduzioni di oggetti appartenenti a questa civiltà: anfore, statuine, collane, bracciali, bassorilievi in ceramica o terracotta, vasi istoriati di bellissima fattura.
Aggiunse che andava in cerca di polli cui affibbiare i
prodotti di cui sopra facendogli credere che fossero originali.
“Ma è un comportamento scorretto”
“ E no, Signor Capitano, a mio avviso sono loro gli scorretti;
pensano di procurarsi oggetti, che credono di valore, per pochi spiccioli e poi vantarsene al proprio paese e dire che noi italiani siamo dei grulli.”Era fantastico Mariotto nello esporre la sua filosofia per come andavano le cose nel mondo.
“ Veniamo al sodo !“ E così mi raccontò come agiva per irretire questi grulli. Costoro erano soprattutto turisti; in particolare americani e russi. Andava al mare al Lido di Tarquinia e in costume da bagno si sdraiava accanto a loro ascoltando i loro discorsi.
Quando sentiva di aver trovato quello giusto, senza darlo a vedere si avvicinava e si metteva a parlare della Civiltà Etrusca e di molte persone che si erano arricchite con i reperti delle tombe. Quando si accorgeva che costoro molti interessati pendevano dalle sue labbra gettava l'esca. “Anzi vi devo confessare che io stesso sono un tombarolo e che sono in grado di procurarveli”. La trappola funzionava! Assicurazioni reciproche, strette di mano e si passava alla progettazione.“ Ebbene Mister Smith fatti trovare con la tua auto al km 1esatto della ss1 Bis di fronte a te, al di la del torrente,vedrai delle tombe sulla sua riva scoscesa e tufacea, sembrano vuote ma al loro interno custodiscono ancora,da secoli, materiale funereo molto prezioso. Portati inoltre un piccolo zaino.
Era notte avanzata e Smith si presentò puntualissimo.
Mariotto gli fece posteggiare la sua auto, e, quindi prendendolo per un braccio lo portò in un punto dove poterono guadare il torrente. Il sergente era munito di piccozza militare che al bisogno trasformavi in vanghetta e di due punteruoli di circa mezzo metro; ne diede uno
al compagno spiegandogli come dovesse usarlo.
Assicuratosi che questi avesse capito tutto lo portò, infine,
alla sua tomba preferita, opportunamente preparata, sempre la stessa da tempo.
Per tua conoscenza devi sapere che le varie tombe
hanno un nome, ad esempio la tomba della Civetta, del Fauno e così via.
“ Ebbene Smith, questa è la Tomba degli Allocchi!”
“ Wow! rispose l'americano.”
“ Comincia a sondare il terreno come faccio io”.
Cominciarono a sondare il terreno e Mariotto senza darlo a vedere lo portò li dove c'era il reperto sepolto che voleva che l'altro trovasse.
Tum,Tum, qualcosa rimbombava. Cominciarono a scavare.
L'americano inebriato mise in vista un bellissimo vaso.
Il sot/le gli disse di metterlo nel suo zaino e di andare via entrambi.
L'allocco, ingordo, voleva continuare a scavare, ma il sottufficiale che aveva previsto la cosa disse di aspettare un attimo perché aveva sentito un fruscio. Uscì fuori dalla tomba e avvertì il graduato di ronda, e cosi come avevano già concordato, gli intimò con il suo Walkie-Talkie. “Spara tre colpi di fucile”.( naturalmente a salve). Questi rimbombarono paurosamente per tutta la valle del
del Biedano.
“ Accidenti la pattuglia dobbiamo fuggire, rischiamo di essere uccisi, ma prima dammi il denaro convenuto”. Costui spaventatissimo gli diede la somma convenuta e abbrancato al sergente, in quanto non conosceva la strada del ritorno,uscì all'aperto......a veder le stelle.
Salì sulla sua macchina e …. corre ancora.
Alla sveglia, il sergente Mariotto, dopo aver terminato il suo footing all'interno della base, chiama il suo vice per farsi dare le novità, il graduato gli risponde che la ronda non è ancora rientrata, ma che stava rientrando proprio in quel momento.
“ Bene, ci penso io a parlare con Turiddu”.
“Ehi Turi veni a cca”.( Ehi Turiddu vieni qua).
“Ma comu fu che mi dicisti di sparari a salvu cu fucili”?,
interloquì il siciliano.( Ma perché mi hai detto di sparare a salve
con il fucile?)
“Unni stavo io e unni tu puntavi a scupetta ci avi nu stranu
fruscio d'arbulu e nun putia rischiari che tu mi ammazzassi,
ecco picchì te l'ho rittu”.( Dove stavo io e dove tu puntavi il fucile
c'era uno strano fruscio di alberi e non potevo quindi rischiare che
tu mi ammazzassi ecco perché te l'ho detto”.)
“ Bedda Madri di Dio”. ( Invocazione rispettosa alla Madonna)
“ Acqua in bocca e non ne parlare con nessuno, questo rimane un nostro segreto”.
Quando parlavo in italiano voleva dire che davo importanza e solennità a ogni questione.
Il siciliano non era stupido, ma voleva un bene dell'anima al
suo capo e quindi non voleva andare a fondo delle cose.
A onore del vero il giro di corsa all'interno della base serviva al sottufficiale per sistemare la tomba raggiungibile anche dall'interno.
Capitò pure un turista russo per il quale ripeté la stessa manfrina.
Nella tomba con Mister Popov, rinvennero due magnifici
reperti in bronzo: Un bacco che suonava il flauto con la testa
cinta di grappoli e foglie di vite e il ratto di Proserpina che mostrava la figlia di Zeus che si dibatteva stretta tra le braccia del dio Ades.
Popov era esultante; pensava che li avrebbe venduti al suo paese a peso d'oro, anzi cento volte di più.
Era così soddisfatto che non furono necessarie,come per gli altri, sparatorie intimidatorie.
Continuò la caccia, Mariotto come al solito si recò al Lido di Tarquinia, ma questa volta notò una bellissima turista del Nord Italia. Conversarono tutta la giornata appassionatamente.
Durante gli ultimi tre giorni di ferie che rimanevano alla
fanciulla , scopersero di essere follemente innamorati l'uno dell'altra e viceversa; un micidiale colpo di fulmine.
Elena, così si chiamava, partì per Legnano la sua città di residenza; Mariotto, poco dopo, sfruttando le sue conoscenze si fece trasferire in questa città dove era di stanza un reparto bersaglieri come la sua specialità di appartenenza.
Qui dopo neanche un anno sposò la sua bella e vissero felici e contenti.
E la tomba etrusca preferita dal sergente? Passò nel dimenticatoio con tutto quello che c'era dentro.
La boscaglia si sarebbe impossessata di tutto e i reperti sarebbero diventati sempre più antichi.
Fine della storia.

 

Incredibile ma vero
Quest'anno l'Italia ha commemorato l'anniversario delle Foibe. La relativa poesia si trova già nel nostro Portale Azzurro da qualche tempo.
Ebbene il 22 febbraio mi è saltato in mente di inviare per posta la suddetta poesia al Presidente della Repubblica.
Non me ne ricordavo più, anche perché gli avvenimenti susseguitisi a causa della povera Ucraina mi avevano fatto pensare che il Capo dello Stato avesse cose più importanti a cui badare, anzi quasi mi vergognavo di averlo fatto.
Ebbene il 31 marzo, verso il tardo pomeriggio, suona il mio cellulare.
Io pensando ai soliti scocciatori che ti vogliono propinare a tradimento qualche contratto, ho passato l'apparecchio a mia moglie perché liquidasse l'importuno.
“ Scusi cosa desidera” rispose lei con aria seccata.
“ Qui parla la Segreteria del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “
La mia consorte che si ricordava della lettera spedita, mi passò il cellulare e fu qui che io, classe 1934, che ne avevo viste di cotte e di crude e capace, dato il mio passato di militare, di reagire con fermezza in qualsiasi situazione, capendo chi fosse il mio interlocutore, rimasi basito, allucatu(siciliano ).
“ Ripeto,qui è la segreteria del Capo dello Stato (è una donna), parlo col Signor Abbate Giovanni?”
“ Si risposi”
“ Il Presidente Sergio Mattarella le fa i complimenti per la sua poesia Le Foibe la cui lettura lo ha molto commosso.”
“ Le rinnovo ancora le sue congratulazioni”
“ Grazie, grazie “ farfugliavo ancora più basito e con le lacrime agli occhi,”
“ Quale onore, quale onore.” ripetevo continuamente.
“ Ancora complimenti per la sua poesia” e chiuse la telefonata.
Ancora rimbecillito cercai di dare il resoconto di quanto mi era stato detto a mia moglie che si mise a ringraziare Iddio per non aver interrotto questo straordinario contatto.

11/aprile/2022


Enrico Toti
Scuola Truppe Meccanizzate e Corazzate -Caserta-
21° Corso Allievi Ufficiali(AUC). Anno 1958.
Spesso, per mettere in pratica la teoria appresa nelle aule, la Scuola ci mandava al campo di Persano a 4km da Eboli in provincia di Salerno.
Nell'ambito della squadra fucilieri bersaglieri ero porta armi fucile mitragliatore(BAR) molto pesante in rapporto alla mia stazza.
Le esercitazioni si svolgevano nella tenuta di Persano; un vasto e selvaggio territorio costituito da boschi fittissimi, tipo foresta pluviale, racchiuso tra il fiume Sele e il Calore.
Questa area era in passato la tenuta estiva di caccia dei Borboni che vi costruirono un Palazzo Reale progettato dal Vanvitelli.
Al momento la Reggia, così era chiamata, era la sede del Comando di una unità militare che stanziava nella tenuta sotto l'egida della Scuola truppe meccanizzate e corazzate di Caserta.
Durante l'esercitazione,con la zona illuminata dai bengala, avanzavamo sotto un fuoco d'inferno; naturalmente sparando a salve.
Ci trovavamo in un terreno acquitrinoso e fangoso.
Mentre mi alternavo con il fuoco e il movimento con l'altra mitragliatore della squadra alla mia destra, per proteggere l'avanzata degli assaltatori, improvvisamente sprofondai con le gambe nella melma fino all'inguine.

Per districarmi mi spinsi in alto con con grande decisione, ma così facendo mi si sfilò un piede dallo scarpone destro che con un plop rimase impilato e ancorato nel fondo melmoso; irrecuperabile!
Non potevo perdere tempo per recuperarlo,bisognava proseguire. Scattai in avanti, ma correre con un solo
anfibio mi sbilanciavo troppo, soprattutto a causa del peso del mio mitragliatore. Allora mi tolsi l'altro e lo diedi al mio collega portamunizioni e via di corsa scalzo.
Conquistato l'obbiettivo ci preparammo
per l'adunata sul luogo stabilito dove il nostro Comandante di squadra la avrebbe presentata al Comandante di plotone per dargli le novità;feci appena in tempo ad allacciarmi lo scarpone al cinturone che già eravamo tutti sull'attenti!Il nostro Capo Squadra ci schierò in linea di fronte e con questa successione ad alta voce gridò: “ Presentaat-aarm”. Quindi saluto militare ed esternazione a voce alta della novità avvenute durante l'azione.
Qualcuno ridacchiò ammiccando verso di me,allora il mio com/te di plotone Gigino Russo, notandomi scalzo, con i piedi infangati e un anfibio appeso al cinturone coi lacci di cuoio, “ Ma che hai combinato, mi disse”.
“Signor Tenente, risposi, durante l'azione, facendo uno
sbalzo in terreno acquitrinoso, ho perduto lo scarpone che si è incastrato in fondo nella melma senza
possibilità di poterlo recuperare; un piede si e uno no, non potevo correre,allora mi sono sfilato anche l'altro e l'ho dato in consegna al mio collega porta munizioni.
Dopo l'assalto me lo sono fatto restituire attaccandolo al cinturone. Ed eccomi qui!”
Guardandomi: “E bravo il mio Abbatino”, e poi rivolto a tutti e additandomi: “ Ohe guagliò avimmu n'antro Enrico Toti, sulu ca issu n'mece ra stampella ave vuttato n'coppo o nimmico nu scarponi!”
Un attimo di suspence, perché tra noi c'erano diversi commilitoni che non masticavano bene il napoletano, tra cui anche io.
Ma, un attimo, messo a fuoco il dialetto, tutti sbottammo in una fragorosa risata.
E così tutti pieni di allegria, io sempre scalzo,siamo ritornati all'accampamento dove facemmo una rustica doccia con l'acqua abbastanza calda; uscito fuori, avvolto nel asciugamano, trovai un paio di anfibi nuovi con relativi calzettoni che indossai subito.
Quindi mi recai alla mensa dove insieme ai miei commilitoni ho consumato un un rancio bollente. Eh si! perché faceva un freddo cane. Dimenticavo di dire che a fine pranzo i commilitoni mi sollevarono sulle spalle al grido di hip-hip-urrà, hip-hip-urrà, entusiasti per l'avventura vissuta.

 

Una super fantastory
invasione vedana della Terra
Covid-19

Prefazione
Gli Alieni sono gli abitanti del pianeta Veda(1) che fa parte di un sistema solare, all'interno della Via Lattea, distante anni luce dal nostro. Il loro pianeta e' stato colpito dal virus Covid 19 che fa milioni di vittime tra i Vedani.
Sapendo che i terrestri hanno lo stesso problema hanno raggiunto il nostro pianeta in missione esplorativa e sospesi con la loro Astronave invisibile sopra la terra si stanno organizzando per contattare gli umani in amicizia.
Premetto che avendo loro progettato da tempo questo passo hanno inviato sulla terra in incognito dei Vedani in modo che al momento giusto possano facilitare il contatto.
Al fine di meglio comprendere i dialoghi in diretta
nomineremo:
- Astrid l'alieno dell'astronave proveniente da Veda,
-Collins l'alieno infiltrato nella terra.

(1) E' un nome di fantasia.


Una super fantastory invasione vedana della Terra
Covid-19

Astrid :
“ A che punto stiamo laggiù sulla terra, come procede la pandemia che si è diffusa?”

Collins:
“L'infezione da virus Covid-19 si è ormai diffusa in tutto il pianeta, il numero delle vittime raggiunge milioni di unità.”

Astrid:
“ A che punto sono arrivati gli esperimenti per trovare un Vaccino.”

Collins:
“ Aspettiamo che il Leonardesco intuito degli Italiani riesca a crearlo, dopo di che ci organizzeremo per stabilire il contatto con loro.”

Astrid:
“ Dobbiamo neutralizzare i terrestri?”

Collins:
“ Ma che cavolate dici. Loro saranno la salvezza nostra e di tutti i sistemi solari simili nella via Lattea.

Astrid:
“ Nel nostro pianeta l'attacco del Covid-19 e altrettanto letale. Che dobbiamo fare?”

Collins il Vedano infiltrato sa tutto sulla politica terrestre
e vedana.
“Aspettiamo lo sviluppo degli eventi”.

Collins:
“ Comunque sai benissimo che è un grosso asteroide proveniente dal centro della via Lattea la causa di tutto ciò.
Esso si è diviso in due enormi meteoriti che descrivendo una traiettoria a otto(8) si incrociano proprio in mezzo ai due nostri sistemi diffondendo il letale covid-19 sulla Terra e su Veda.”

Astrid: “ Che succederà?”

Collins:
“ Aspettiamo che abbiano scoperto il vaccino e poi scenderemo sulla terra in amicizia.
Naturalmente prima gli altri nostri infiltrati si avvicineranno ai grandi capi terrestri per avvisarli che innanzi tutto non abbiamo nessuna intenzione aggressiva , ma che vogliamo collaborare con loro per sconfiggere il nemico comune, cioè il covid-19 e che desideriamo
organizzare con loro un grande Summit per la salvezza dei nostri mondi.
Noi abbiamo grandi capacità tecnico scientifiche come quella di viaggiare nello spazio utilizzando l'energia dei campi magnetici e la distorsione spazio temporale fino a raggiungere velocità prossime a quella della luce. Inoltre coi nostri raggi paralizzanti possiamo bloccare qualsiasi essere vivente o marchingegno meccanico, elettronico, informatico o esplosivo che sia aggressivo nei nostri confronti e poi dulcis in fundo abbiamo la capacità di rendere invisibili noi stessi e qualsiasi oggetto o cosa che vogliamo.
Loro invece hanno la capacità di lanciare missili armati alle medie distanze all'interno del loro sistema solare. Ricapitolando, sfruttando i nostri campi magnetici li porteremo alla distanza giusta per poter creare delle piattaforme che fungeranno da base di lancio per i loro razzi.
E' strano come questo sistema d'arma, per noi antiquato e del quale non abbiamo memoria da millenni.............
Non aveva finito di parlare che urlò di gioia:
“Gli italiani hanno scoperto il vaccino contro Covid-19.”

Astrid:
“Presumo che da questo momento le cose saranno molto più difficili; dovremo farci accettare e considerando il carattere diffidente e aggressivo per cui usano combattersi fin dai tempi di Caino e Abele, non sarà per niente facile. Potrebbero addirittura pensare che la Pandemia sia stata volutamente scatenata da noi per sottometterli. Diamoci da fare! E 'veramente dura! Penso che chiederanno in ostaggio molti di noi fino a quando saranno sicuri della nostra buona fede.
Ancora non sanno che geneticamente noi non possiamo sopprimere la vita di nessuna creatura vivente.”
Gli infiltrati Vedani che, ormai, avevano contattato, i più alti vertici dei vari stati terrestri dissero che appartenevano a una razza aliena totalmente somigliante a quella umana ma con qualche piccola eccezione: lobi degli orecchi attaccati al viso, maggiore calvizie specie tra le donne,mediamente più snelli. Il colore della pelle: tutta la gamma dei colori. Insomma multirazziali come gli umani.
Parlavano fluentemente tutte le lingue terrestri.
Finalmente i Vedani poterono contattare “de visu” i grandi capi terrestri e dir loro che erano venuti in amicizia per fare conoscenza reciproca e collaborare contro il grande nemico comune il Covid-19 che stava
distruggendo i loro mondi.
Chiedevano inoltre ai terrestri che cadesse la loro innata diffidenza nei confronti dei Vedani in quanto questi geneticamente avevano rinunciato a qualsiasi atto aggressivo che togliesse la vita a qualsiasi creatura vivente con cui venivano a contatto nel peregrinare nello spazio immenso della Via Lattea. Espressero il desiderio che i rappresentanti dei dirigenti terrestri o magari qualche capo li venisse a visitare nella loro astronave.
“ E' dove sta” disse qualcuno ironicamente.
“ E' invisibile, dissero i Vedani, ecco che ve la facciamo
vedere”.
E lì dove puntarono il dito si materializzò un enorme disco volante più grande almeno sei volte della più grande nave da guerra o turismo terrestri.
Dal centro della base inferiore scese un raggio luminoso che si allargava man mano che si avvicinava al suolo, raggiunto il quale, nel ventre dell'astronave si aprì un grande portellone, tipo quello dei nostri traghetti, da cui uscirono delle navette che si diressero verso coloro che dovevano entrare. Costoro molto perplessi, salirono sui veicoli che lì portarono all'interno.
“ Signori, siate i benvenuti”, disse il capo dell'astronave.

Mi chiamo Nestlik.Vi conduco immediatamente nella sala del Planetario. Ecco questa è La Via Lattea. Qui ci siete voi col vostro sistema solare e qui a diversi anni luce c'è Veda, cioè noi.
Tra i due sistemi viaggiando a grande velocità ci sono questi due meteoriti, staccatosi da un asteroide, che sono la causa della pandemia che si è diffusa mortalmente sui nostri mondi.
Questi due enormi sassoni si incrociano con un orbita a forma di otto 8; il punto di incrocio e' il nostro obbiettivo a distanze irraggiungibili per voi;
i nostri raggi paralizzanti sono inefficaci alle grandi distanze mentre il vostro sistema d'arma antiquato di lancio di missili balistici alle brevi distanze è molto valido. Parliamo di collaborazione; con le nostre capacità tecniche scientifiche possiamo creare delle piattaforme che vi serviranno come base di lancio dei vostri missili e con l'energia magnetica dei nostri motori e dei campi magnetici e gravitazionali diffusi nello spazio possiamo spostarle a grandi distanze fino a raggiungere il punto prefissato.”
Un terrestre chiese come funzionavano i raggi paralizzanti dei Vedani.

“Possiamo bloccare, come già detto, il funzionamento di qualsiasi sistema elettrico, informatico così come i vostri antiquati fucili ,mitragliatrici, cannoni,ecc, quanto basta per le nostre necessità.”
Passiamo al caso concreto; indicando un Parà terrestre,lo invitò a sparare delle raffiche col suo mitra. Questi impugnò il mitragliatore e fece per premere il grilletto ma nello stesso momento un raggio caldo e luminoso l'avvolse tutto. Niente da fare non riusciva a sparare neanche un colpo.
“ Così avverrebbe per qualsiasi altro vostro tipo di arma,anche il più complesso.
Colpire con i nostri raggi i meteoriti non trarrebbe alcun effetto mentre i vostri missili lo farebbero a pezzi.”
“ E' se noi non volessimo?”
“Potremmo paralizzare tutta la terra, città, uomini, macchine, motori ecc,ecc, e imparare come usare i vostri sistemi d'arma, ma sarebbe una mortale perdita di tempo che porterebbe alla scomparsa dei nostri mondi. Penso che siate d'accordo.”
Allora si alzò un portavoce del presidente USA che chiese delle garanzie così i Russi e i Cinesi.

“Molto volentieri rispose Nestlik. Cosa chiedete?”
“ Vogliamo degli ostaggi”
“ Vanno bene 100 Vedani”
“ Si risposero”
“ Noi faremo altrettanto, ma non come ostaggi ma graditi ospiti”
“ Bene tutti d'accordo.”
Intervenne un giornalista terrestre, “ Mi sembra un eccellente dialogo tra gente in buona fede.”
Questi rappresentò come qualche testa gloriosa dei servizi segreti in combutta con militari avessero sottoposto in un recente passato a un non piacevole trattamento tra cui torture, vivisezione, a non identificate creature arrivate erroneamente sul nostro pianeta dallo spazio extra terrestre.
“Grazie dell'intervento amico!, rispose il capo dell'astronave.”
Infatti Nestlik rispose che quanto sospettato dal giornalista non potrebbe avvenire in nessun caso, perché non appena un qualsiasi Vedano si fosse trovato in difficoltà il loro Centro SOS sarebbe subito allertato, non solo,ma lo
stesso si renderebbe invisibile ai manipolatori,
neutralizzandoli nel contempo.
Comunque mandanti e sicari pagherebbero molto cara la loro perfidia, perché in questo caso, riconosciuti colpevoli, verrebbero subito avvolti in un bozzolo di ghiaccio ad alta compressione e spediti nello spazio profondo in direzione del Sole.
Cosa non piacevole.”
Lo scambio degli ostaggi Vedani e Terrestri andò oltre le intenzioni che qualcuno aveva pensato.
Infatti questi anziché rimanere nei propri gruppi, si mescolarono subito tra di loro in un feeling di curiosità e simpatia, conversando tra di loro assetati gli uni degli altri.
Si guardavano e si toccavano per vedere l'uno come fosse l'altro.
“ Hahi! Hahi!, gridò qualcuno, non mi meraviglia se ci
saranno le prime unioni e i primi bebè di una nuova razza.”
A tutti brillavano gli occhi per come si stavano mettendo le cose.
Dopo di che i gruppi preposti si recarono nella Sala del Planetario per progettare l'intervento contro il Covid-19
che aveva lo scopo di distruggere i due meteoriti che si incrociavano con la loro orbita a otto(8) tra i due sistemi solari.
“ Noi penseremo al primo dissero gli Americani.”
“ Noi al secondo risposero i Russi”
“ Noi staremo di riserva per neutralizzare qualsiasi imprevisto interloquirono i Cinesi”
E' cosi tutti pieni di entusiasmo si diedero da fare per
organizzare l'operazione anti Covid-19.
Nel frattempo, visto che gli italiani, avevano trovato il
vaccino anti-Covid-19,occorreva provvedere alla vaccinazione dei due popoli.
Ma i Vedani avevano dei dubbi sull'efficacia di esso sulla
loro gente.
“ Cari umani, naturalmente conosciamo il vostro DNA e
sappiamo anche che e' leggermente diverso dal nostro.
Vorremmo pertanto provare il vostro antidoto su un Vedano infetto e vedere come funzioni. Speriamo bene altrimenti i nostri laboratori scientifici di ricerca dovranno studiarci ancora sopra.
Il Nostro Centro Sanitario ha iniettato in questo momento
il vostro vaccino su un gruppo di Vedani infetti che ci
siamo portati al seguito con le dovute misure di sicurezza.
Facciamo corna, amici, ed aspettiamo.”
La tensione era palpabile. Passò la notte in trepida attesa.
Il giorno dopo si notò un leggero miglioramento dei malati che continuò nel successivo e il terzo. Finalmente il quarto giorno erano completamente guariti!
Un urlo di gioia invase il disco volante.
Il vaccino dei terrestri funzionava anche sui Vedani sebbene con diverse ore di ritardo.
Ora bisognava portarlo su Veda.
Gli umani Usa,Russia,Cina e altri paesi fecero a gara per rifornire dei loro vaccini i Vedani. Questi decisero di inviarli subito sul loro pianeta con un astronave veloce.
Intanto si mise in opera la prima parte del piano: si caricò sull'astronave madre il sistema missili Usa, poi quello Russo seguito da quello Cinese con il personale civile e militare capace di farli funzionare. Al seguito gli ospiti terrestri che chissà perché erano aumentati di numero.
Pronti via e l'immenso velivolo spaziale si staccò dal suolo utilizzando l'energia magnetica creata dal suo potente motore. In poco più di un'ora raggiunsero la distanza giusta dall'orbita dei due meteoriti e in questa zona dello spazio costruirono tre piattaforme di lancio
(una per gli Usa, la seconda per i Russi e la terza per la Cina) sulle quali ciascun paese montò i propri razzi dopo averli controllati di tutto punto.
Sui diversi monitor della grande sala di controllo si potevano vedere in successione:la costruzione delle tre piattaforme, l'approntamento delle ogive e, molto ingranditi, i due enormi sassoni che si incrociavano tra di loro disegnando un otto(8).
Bisognava colpirli quando si fossero trovati alla massima distanza tra loro per non coinvolgere nell'esplosione l'altro, altrimenti ci sarebbero stati seri problemi.
Ad un tratto una voce impersonale giunse dal Centro
Controllo.
“ Usa siete pronti?”
“ Si “, fu la risposta.
“ Iniziamo il Countdown”.
“.............meno 5, meno 4, meno 3, meno 1..”
“ GO “
Sul grande monitor si intravvide la partenza suggestiva del razzo sotto la base del quale si sviluppò una tempesta
di fumo e fuoco. Dopo pochi secondi si mise in assetto
e prese la giusta direzione sviluppando sul retro una
scia di fiamme.

Si poteva osservare il tracciato luminoso della sua
traiettoria che man mano si avvicinava al bersaglio.
Erano momenti di altissima tensione al Centro Controllo:
gli operatori stringevano le mani sull'orlo del proprio
tavolo di lavoro così forte che le nocche erano diventate bianche e le mani bluastre.
Passarono dei secondi interminabili....poi un fungo rosso avvolto da un ammasso di nubi riempì i monitor; non si potevano ancora vedere i risultati,bisognava che la scena si schiarisse.
Finalmente il monitor divenne chiaro, tutti fissarono con ansia il punto zero e videro che un meteorite era scomparso.
Tutti batterono le mani soddisfatti, ma l'altro anziché essere stabile nella sua orbita si muoveva come un cavallo selvaggio imbizzarrito.
Ora toccava ai Russi, ma il loro compito era molto più difficile in quanto il loro obbiettivo non era affatto stabile.
Gli operatori si ripeterono un'altra volta e si arrivò al Countdown:
“ meno 3, meno 2 meno 1, GO “.
L'attesa spasmodica si protrasse ancora più a lungo data la posizione instabile del bersaglio.

Sul monitor apparve una palla di fuoco mista ad altissime nubi oscure.
Non rimaneva che aspettare, finalmente schiaritosi lo schermo si vide che il secondo meteorite era stato ridotto a un terzo dell'originale; un grosso frammento che vagava ancora nello spazio ma, per fortuna, con una traiettoria più stabile.
Allora subentrarono i Cinesi che fecero fuori l 'ultimo sassone.
L'aver approntato una riserva era stata una mossa vincente.
Parla Nestlik: “ Cari amici terrestri a questo punto il nostro sodalizio non avrebbe più motivo di esserci. Ognuno per la sua strada.
Ma tuttavia tutti coloro che lo vogliano potranno visitare il nostro pianeta e per chi lo desidera anche rimanere vista l'empatia che abbiamo notato tra i nostri giovani e i vostri. La nostra speranza e che si realizzi una nuova alleanza tra noi e voi per intervenire nello spazio per risolvere situazioni critiche come quella appena superata.
E' chiaro che sarebbe un'alleanza paritaria, una confederazione o qualcosa d'altro, dove i capi supremi Terrestri e Vedani si alternerebbero nel comando.

Ma sarete in grado visto che da tempo immemorabile siete sempre stati in guerra tra di voi?
Ogni Stato dovrebbe sancire sulla propria Costituzione il ripudio a qualsiasi guerra sia di offesa che di difesa.
Dovreste rottamare tutte le armi in vostro possesso, dalle pistole fino ai missili portatori di testate di gas tossici, a quelle atomiche e nucleari. Ci sembra un utopia o forse l'utopia siamo noi che da sempre non abbiamo mai usato violenza gli uni contro gli altri. Sappiamo che fin dai primordi ci sono stati tra voi umani di straordinaria intelligenza e umanità, come Socrate, Platone, Archimede, Talete, Pitagora, Galileo, Leonardo e tantissimi altri che non sto a enumerare; persone che hanno sacrificato la vita per il loro ideale di libertà e giustizia.
Ma un inviato dell'unico e universale Dio Buono, chiamato Gesù, che predicava: “ Amate il vostro prossimo come voi stessi, se uno vi percuote su una guancia offrite anche l'altra”, che parlava di giustizia sociale, di amore verso i più deboli e diseredati..... la malvagità umana lo ha crocifisso. Penso che molti di voi terrestri, presi da sano entusiasmo abbandonerebbero il proprio mondo e verrebbero a vivere con noi.

Ma così facendo lascerebbero il proprio paese in mano ai guerra fondai che approfitterebbero di questo vuoto.
Allora suggeriamo che costoro dopo aver terminato la visita di Veda rientrino sulla terra per perseguire come novelli Apostoli una politica di pace, solidarietà, amore per il prossimo scevri da ogni egoismo personale fino a raggiungere l'obbiettivo di una pace universale.”
Un terrestre domanda: “ Ma voi avete un Dio?
E questo Dio perché vi ha creati buoni e solidali, mentre il nostro ci ha resi egoisti e aggressivi?”
Risposta: “ Certamente il nostro Dio è un Dio buono.
Ma non sappiamo ne vogliamo giudicare relativamente al vostro.
Certo nel giudizio concorreranno tutti i seguenti fattori per noi in verità assurdi; abbiamo osservato che tenete conto di diavoli, demoni,satana, lucifero, e altri personaggi strani tipo gli Elohim e il Demiurgo.
Avete preti chiamati esorcisti che scacciano i demoni dal corpo di creature invasate.
Si parla dei quattro Cavalieri dell'Apocalisse.
Ripeto che da noi non esiste tutto questo; pensiamo che tutto questo non è solo superstizione, ma un malessere religioso ed esistenziale che non riuscite a superare.

E' un Dio molto strano il vostro per il nostro modo di pensare. Non sappiamo che dire e non vogliamo giudicare.
Speriamo che questa Pandemia da Covid-19 che abbiamo da poco superato converta la terra a quanto Gesù e altre persone di buona volontà hanno tentato di insegnare.
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Le parole che non ho mai detto.
Le parole che non ho mai detto. Se lo avessi fatto forse avrei conquistato il suo cuore. Non averlo fatto mi ha lasciato un rammarico giammai sopito:
un'esperienza di gioventù che mi ha lasciato per sempre un vuoto dentro.
Non mi sono mai perdonato questa timidezza.
A scuola nella mia classe mi ero innamorato di una compagna, Gioia, il suo vero nome, senza che lei lo sapesse.
Si parlava in gruppo, ragazzi e ragazze, interloquivo anche con lei, ma
solo nell'ambito di un ordinaria discussione tra compagni di classe.
Non ho mai avuto il coraggio di avvicinarla da solo a solo, tanto meno all'uscita di scuola. Mi bloccavo. Ma non perché ella fosse un tipo altezzoso o serioso. Anzi il suo viso esprimeva una dolce timidezza. Ero io che non avevo il coraggio di farmi avanti, mi sarei preso a pugni per questa mia debolezza.
Una volta sono salito sul suo filobus, seguendola in mezzo alla ressa di persone, ma tenendomi a debita distanza, per non farmi notare.
" Forza, mi dicevo, appena scende alla sua fermata scendo anch'io, la saluto e le parlo ".
Finalmente scese ed io, bloccandomi nuovamente, rimasi sul filobus come un allocco e non la seguii. La vidi allontanarsi inconsapevole verso casa mentre il mio cuore piangeva.
Scesi alla fermata successiva ove presi il mio filobus per Monte Sacro.
Non sapevo che fare.
Qualche giorno dopo a scuola il nostro professore, a lettere, ci propose il " Dolce stil novo ": Guido Guinizzelli, Dante, Petrarca, Cecco Angiolieri. Quella nuova corrente poetica che si traduceva in bellissimi sonetti, pieni di un amore sublime per la propria donna, mi riempiva di entusiasmo.
Scoccò in me la scintilla. Pensai a Lei, Gioia. " Ecco ora le scrivo dei sonetti
e poi glieli faccio leggere ". Come invasato cominciai a scriverli e pochi giorni dopo ne avevo fatti due : il primo intitolato " A Gioia ", il secondo
" Gioia,dolce fiore ".
Pensavo che in qualche modo sarei riuscito a farglieli leggere.
Ma anche così la mia timidezza o codardia non mi fecero attivare per farlo. Andò avanti in questo modo fino alla fine dell'anno senza nulla di fatto.
Durante le vacanze maturai la mia volontà acquisendo maggiore fiducia in me stesso. Si ormai ero determinato!
Sicuramente all'inizio del nuovo anno scolastico mi sarei fatto avanti.

Così ad ottobre, all'inizio dell'anno, entrai deciso in classe e guardai verso
Il gruppo delle ragazze. Ma lei non c'era. Chiesi dove fosse , ma non seppero rispondermi. Aspettai il giorno dopo. Non arrivò. Dopo qualche giorno andai in segreteria a chiedere e li mi dissero che non si era iscritta per la frequenza dell'anno in corso.
Non sapevano altro.
Precedendomi nella richiesta mi dissero che non potevano fornirmi l'indirizzo. Mi arresi e non la cercai più.
Fu per me una grossa sofferenza.
Mi chiedo ancora il perché di questo mio comportamento.
Eppure ero abituato a stare con le ragazze. Nel mio quartiere ne frequenta
vo diverse: giocavamo e scherzavamo insieme. Si andava a ballare ora in
casa dell'una o dell'altra. Avevo avuto pure una fidanzatina.
Forse che quando ci si innamora veramente, quando hai un feeling intenso
verso una donna, profondo, la paura di non essere corrisposto ti attanaglia
a tal punto di non avere neanche il coraggio di guardarla per non leggere nei
suoi occhi ironia o fastidio o indifferenza?
Questa mia amara esperienza mi ha lasciato un segno indelebile.
Ho imparato che se hai un feeling amoroso verso una donna, devi subito
dirle quel che ti viene dal cuore, al limite scriverle e farle leggere quel che senti, magari anche in poesia. Mai tergiversare!
Qualsiasi donna, ne sono sicuro, anche se non contraccambierà, rimarrà
comunque lusingata e si comporterà gentilmente nei tuoi confronti.
Finalmente per riscattare questa mia timidezza, pur dopo tantissimo tempo, ho deciso di raccontarvi questa mia storia offrendo a voi questi miei pensieri e questi versi.
Chissà, da qualche parte, la Lei con questo nome, potrebbe leggerla.

Aprile 2016

Leggi i sonetti : " Gioia " e " Gioia, dolce fiore ".

Una cagnetta e il suo cucciolo *
Negli anni 50 abitavamo a Roma in Via Monte Rosa ai limiti
estremi della periferia del quartiere di Monte Sacro chiamato la Città Giardino.
Ora di verde ne è rimasto ben poco divorato dalla speculazione edili
zia: ville con giardino attorno sono state trasformate in palazzoni rubando il verde disponibile.
Dopo la nostra palazzina si estendeva sconfinata la campagna ora
divenuta un intrigo di palazzi alveare,strade e vialoni senza costrutto:
il famoso quartiere Talenti.
Questa tipica campagna romana, era attraversata da marane sulle cui
sponde si ergevano fitti canneti, siepi di arbusti vari, tra cui cespugli
di more, e qua e là piccole macchie boschive con pini domestici e
piante di rovere. Noi ragazzi avevamo così a disposizione un enorme spazio che ci
permetteva la massima libertà e di fare bellissime escursioni
avventurose lungo le marane a caccia di rane, bisce, bacche e
frutti vari: mangiavamo more,frutti e rane arrostite su spiedi
improvvisati con stecchi di rami. Andavamo spesso a macchia Cesarina ( non so se esiste ancora )dove c'era un vascone dei contadini nel quale facevamo il bagno. Nel corso di una delle nostre scorribande, trovammo una cagnetta claudicante. Solerti,le costruimmo una cuccia tra i resti del cantiere edile sotto casa. La chiamammo Pipina. Era la nostra mascotte. Ce la portavamo sempre in giro. Poco dopo partorì una bella cucciolata di cagnolini. Il più carino, secondo noi, lo chiamammo Riki. Eravamo felicissimi. Ma tutto ciò dava fastidio a qualcuno che pensò bene di avvisare l'accalappiacani che se li portò via mentre eravamo a scuola. Grande fu la nostra disperazione. Una vicina ne aveva salvato uno,proprio Riki.
Così ci dedicammo anima e cuore al caro cuccioletto che cominciammo a portarcelo a spasso. Ma un brutto giorno anche lui sparì e non lo trovammo più.
Immaginavamo chi fosse stato e ci vendicammo:una piccola vendetta pensando a ciò che accade ai nostri giorni.
Di sera ci portammo alla porta del reo le cui ante avevano,
ciascuna, un pomello di ottone; legammo stretti i pomelli l'uno
all'altro con del robusto fil di ferro,suonammo il campanello
ripetutamente e quindi ce ne andammo. Fu un bel trambusto.
Dalla finestra urlavano, finché qualcuno li udì e andò a togliere il fil di ferro che teneva la porta chiusa, impedendo loro di uscire .

*Vedi sonetto “ Pipina e Riky “nella pagina di Giovanni dedicata alle poesie.
Dicembre 2015

Una intervista impossibile
Ho fatto uno strano sogno.Ero un giornalista di oggi che si muoveva in una dimensione" ultraterrena,dantesca,per rendere l'idea.Attorno a me andavano e venivano,in forma spet-trale,una moltitudine di personaggi del passato di ogni epoca,dai primordi ad oggi.
Si incrociavono,in silenzio,con lo sguardo fisso innanzi a se,senza che uno avvertisse la presenza dell'altro.Dal viso di alcuni traspariva serenità,di altri tristezza:serenità per una
intrinseca sensazione di soddisfazione,tristezza per qualcosa che tormentava loro l'anima.
Una sagoma mi venne quasi addosso e,in essa,riconobbi la figura del grande navigatore:
Cristoforo Colombo,il suo viso era triste e corrucciato.
"Mi scusi,gli dissi,sono un giornalista, vorrei intervistarla".
"Cos'è un giornalista,mi rispose,cos'è una intervista."
"Il giornalista è colui che diffonde ogni tipo di notizia su persone,cose,fatti della vita,
mediante una serie di domande che costituiscono appunto l'intervista."
"Bene è proprio la persona giusta per me."
Mi ascolti la prego.
Sono Cristoforo Colombo,vago,chiuso in un muto tormento,da cinquecento anni,e il mio essere quasi scoppia,per non aver potuto far conoscere al mondo la realtà della mia storia.
Menzogna e infamia hanno finito con il prevalere in un delitto perfetto,fondato su un'ope-
razione accurata e spietata di disinformazione.
Sono stati fatti sparire documenti e carte fondamentali,mentre ad arte sono stati lasciati
altri di ambigua interpretazione.
Sono stato denigrato e attaccato su tre punti:cultura,serendipity,pretese.

Sono stato fatto passare per un ignorante,del resto era plausibile,visto che ero un marinaio.
Eppure ho studiato a Padova contemporaneo a diverse figure importanti nel campo della letteratura,arte,scienze:Leon Battista Alberti,Pico della Mirandola,Toscanelli, il più acceso ispiratore e sostenitore della mia impresa e molti altri.
In particolare mi sono dedicato allo studio dell'astrologia,cosmografia,geometria,navigato-
ria.Ho posseduto una biblioteca molto estesa;certo non passione da illetterati.
Ho una grafia molto bella:curata,perfetta,di stile ecclesiastico.
A palazzo Pitti a Firenze c'è un affresco del sedicesimo secolo che mi ritrae mentre studio con la sfera armillare e il compasso.
Come si può così malignamente affermare che la scoperta del mondo nuovo da parte mia
è stata solo un fenomeno di serendipity? Avrei fatto la scoperta per puro caso. La verità è stata cancellata e oscurata con cattiveria per cinque secoli.
Già sapevo di un mondo nuovo,così come è dimostrato sulla mappa dell'ammiraglio mussulmano Piri Reis che chiama le coste ivi riportate "Antilia".
Dove si racconta che quei litorali sono stati scoperti nel 1485(890 era islam) da un infedele
chiamato Colombo.Questa carta si trova al museo del Palazzo Topkapi a Istanbul,è meno male ,perchè certa gente avrebbe fatto sparire pure quel documento che dimostra in maniera indiscutibile la verità.
L'ammiraglio Piri Reis chiarisce che i litorali indicati sulla sua mappa sono stati presi dalle carte di Colombo,che li ha anche visitati.In queste carte è indicato pure l'Antardite che sarà scoperto ufficialmente nel 1818".
"Ma ora parliamo delle esose pretese.
Alla vigilia della partenza per l'impresa fu stabilito il seguente contratto tra me e i reali di
Spagna:sarei stato vicerè dei territori scoperti,avrei avuto un titolo nobiliare ereditario e il 10% di tutti i metalli preziosi estratti nelle terre che sarei stato in grado di acquisire per la Spagna.
Rientrato dall'ultima spedizione mi sistemai a Valledolid con tutta la famiglia,non stavo molto bene e vivevo in uno stato di perenne frustazione e sconforto in attesa di un riconoscimento ufficiale di ciò che mi era stato promesso per contratto.
Non riuscivo a dimenticare il mio rientro ignominioso dal mio terzo viaggio,io,viceré
del nuovo mondo,mio figlio Diego e i miei fratelli,incatenati come impostori all'interno
della galera. Questo perché per certi disordini,opportunamente travisati, avvenuti a S. Domingo,ove ero governatore,i reali Fernando e Isabella,pensarono bene di inviare quale inquisitore un tal Francisco de Bobadilla, il quale, pur sentite le nostre ragioni,non si pose scrupoli di arrestarci e ricondurci in catene in Spagna.
Scusa questo mio breve sfogo. Al rientro,quindi, dell'ultima spedizione, dopo una lunga
attesa, riuscii ad ottenere un colloquio con il re Ferdinando dopo aver seguito,umilmente, la sua corte a dorso di mulo.Ma il re non si pronunciò.Alla fine desistii e lasciai perdere tutto quanto.
Queste sono state le esose pretese di cui fui accusato.Ma,dicono, che qualche cosina è stata ottenuta poi dalla mia famiglia."

"Ma una cosa che tutti hanno voluto ignorare è il finanziamento dell'impresa che, ufficialmente,come riconosciuto da tutti i grandi eruditi spagnoli ma anche lacchè italiani,sarebbe della Spagna.E' la più grossa bugia della storia:il vero promotore e sponsor dell'operazione Nuovo Mondo è papa Innocenzo VIII,il papa desaparecido.
Io ero il suo pupillo,ero la sua speranza per un rinnovamento della chiesa derivante dall'acquisizione delle nuove terre.La damnatio memoriae voluta dalla Spagna tramite i Borgia,nella persona di Papa Alessandro VI, subito succeduto al sacro soglio dopo la morte di Innocenzo VIII,avvenuta al tempo giusto per avvelenamento,aveva lo scopo di nascondere che tutto il denaro dell'operazione proveniva dall'iniziativa di questo papa. Hanno sempre fatto credere che solo la Spagna ha fatto tutto e che l'italianità di Colombo è stata solo una casualità.Se al rientro di Colombo dal primo viaggio,Innocenzo VIII fosse stato ancora vivo,le cose sarebbero andate diversamente.I reali in effetti non cacciarono neanche un ...maravedir.La moneta spagnola del tempo.
Tutto gratis! e per non darmi la giusta ricompensa ,visto che il mio potente tutore era stato eliminato dall'amico compatriota papa Alessandreo VI,cominciarono una campagna denigratoria nei miei confronti.L'operazione doveva essere tutta loro e non di Colombo e del papa Innocenzo VIII che aveva finanziato la missione per intero.Vediamo in particolare da dove provenivano questi finanziamenti.Metà della somma erano denari italiani provenienti da Genova e da Firenze.Banchieri e nobili imparentati col papa che tra l'altro, usufruiva degli introiti delle miniere di allume di Tolfa,vicino Civitavecchia. L'allume a quei tempi valeva come il petrolio oggi.
Vediamo l'altra metà:verrebbe dalla Santa Hermandad di Spagna,una specie di IOR del Vaticano di oggi,che aveva due amministratori: uno era Francesco Pinelli,nipote del papa, l'amministratore capo, l'altro ,sottoposto al primo,era Luis de Santangel. Ma,udite,udite,costui uomo di Fernando, era anche il ricevitore delle decime ecclesiastiche di Aragona per conto della Santa Sede, in funzione subordinata.Ma attenzione,Luis de Santangel avrebbe dato 1.140.000 maravedir per l'approntamento delle tre caravelle.Ma,il colmo dei colmi,la somma offerta era a titolo di prestito la cui restituzione avvenne subito dopo con i fondi delle bolle delle crociate,fatta dai cavalieri dell'ordine di Santiago.Si trattava della raccolta delle offerte del popolo umile e devoto dell'Estremadura alla chiesa di Roma.Questa somma insieme ai tanti sbandierati gioielli della regina è stata impiegata nella lotta contro i mori e non per finanziare la mia impresa.La Spagna e i suoi reali non hanno finanziato un bel niente.
Tantomeno che la regina avrebbe sacrificato i suoi gioielli per me."
"Ma il nostro colloquio finisce quì,ora devo continuare il mio travagliato peregrinare. Sta a voi italiani, far luce, con determinazione e orgoglio, sulla mia figura e quella del papa", così disse e andò via. Cosa dire,di fronte a un comportamento così immorale e predatorio. Che disgusto la ragione di stato dei potenti.E' meglio fermarsi quì.Purtroppo i nostri storiografi,oltre che conformisti, sono spesso pavidi e pusillanimi.
Spero che persone molto più valide di abbiano il coraggio e la capacità di affrontare
questo problema:cercare i documenti celati , reinterpretare quelli ambigui e confutare anche il conformismo anche di Wikipedia .
Che si possa realizzare quanto egli stesso ha scritto." La verità trionfa sempre " e " io
non resti confuso in eterno"
Un enigma, addirittura scolpito sulla pietra:sulla tomba di papa Innocenzo VIII in San Pietro in Vaticano sul marmo,tra le altre,è incisa la frase: " novo orbis suo aevo inventi gloria" che vuol dire:nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta del Nuovo Mondo. Ma l'epigrafe è stata incisa nel 1621 e si sapeva che il papa era morto un mese prima che Colombo partisse. Ma allora?Sicuramente si vuole fare intendere che il merito è suo,di papa Innocenzo VIII ,perché è lui che l'ha voluta e progettata con Cristoforo e
finanziata fin quasi al momento della sua partenza. Sembra che fosse suo figlio.

Bibliografia: Ruggero Marino-Cristoforo Colombo-L'ultimo dei templari-

settembre 2015


Flash di ricordi

Tripoli 1941,l'Italia è entrata in guerra,
Avevo all'incirca sei anni,io e la mia famiglia stavamo provvisoriamente in campagna per sfuggire alle incursioni aeree nemiche. Stavo bighellonando in giro su un terreno arido e sabbioso,ricoperto di arbusti,quando vidi alcune tende abitate da famiglie di beduini o fellah. Mi sono avvicinato circospetto per non farmi notare,non da loro, ma da mia madre che mi aveva proibito di frequentare gente locale che non conoscevamo.
Mentre mi avvicinavo,sentii ,ad un tratto, un rumore di sassi sbattuti venire da dietro un cespuglio,incuriosito, mi appressai ancora di più e vidi una bambina, accosciata come per fare un bisogno, che teneva due sassi,uno per mano,e li sbatteva l'uno contro l'altro come una mitraglia- trice:ta-ta-ta-ta.
Sbigottito rimasi impalato a guardare,quando improvvisamente la ragazza si alzò sollevando un braccio come per lanciare qualcosa.........un attimo...neanche il tempo di meravigliarmi e un sasso mi colpì in piena fronte.
Sorpreso ,più che spaventato,fuggii via e rientrai in casa tutto trafelato.
Pochi giorni dopo quando rientrò mio padre per un breve permesso,era soldato,mi spiegò che presso alcune tribù di arabi,come gli ascari,la gente, quando defeca, sbatte dei sassi l'uno contro l'altro perchè ha paura dei suoi peti:pensano che siano spiriti maligni.
................
Ricordo,inoltre,le imprecazioni di mio padre sotto il letto insieme a tutta la famiglia:mia madre,mio fratello ed io.
Era suonata la sirena dell'allarme,e,gli scoppi delle bombe furono così improvvisi e violenti da non aver avuto il tempo di correre nel rifugio.
Ecco qui di seguito quelle imprecazioni,simpaticamente colorite,in dialetto siciliano:" Buttigghia e sa soru!Si sbacantau u rinali!Che camurria è chista!Mi sugnu ruttu i cabbasisi!" ( Camilleri ...docet ) Cos'era successo? C'eravamo rifugiati sotto il letto. Nel muoversi sotto di esso,in mezzo a quella giungla di gambe e corpi,mio padre aveva rovesciato il vaso da notte pieno di pipì. E si!,perchè quella in cui stavamo era una casa araba in mezzo alla campagna:mura di fango pressato,solo una porta,niente finestre e nessuna comodità.Il gabinetto era fuori, all'aperto.
I bombardamenti aeronavali in città erano sconvolgenti e mia madre era quasi impazzita per la paura.Per tale motivo avevamo lasciato il nostro appartamento cittadino per venire in campagna più sicura,così dicevano.
E' meno male!
...............

cattedrale dove sono stato battezzato,ora moschea.Il mare,la spiaggia su cui erano montate tende che fungevono da ombrelloni che allora non esistevano,i giochi in acqua,a cavalcioni sulla pancia di mia zia,la sabbia dorata,la fertile terra rossa della campagna di Sukerjuma,cocomeri grandi come canoe;tagliati in grosse lunghe fette davano questa impressione. Le corse coi cuginetti in mezzo agli alberi e lo stupore del lento muoversi
dei camaleonti tra i rami,di come catturavono gli insetti con la loro lunga lingua.
Mi ricordo della mia maestra di prima elementare,che mi abbracciava e baciava chiamandomi il " suo bel topino" e della discesa in macchina,tutta curve ,dalle colline di Garian.La prima volta che le presi da mio padre perchè mi aveva sorpreso a giocare con la sabbia con dei bambini arabi giù per strada. La prima triste e cruda esperienza della morte al capezzale di una bambina morta per un infezione, mia coetanea e compagna di giochi :pallida e con i suoi bei occhi azzurri chiusi per sempre.
Il ruzzolone di mio fratellino dalle scale con il girello.
Poi è scoppiata la guerra,e,la nostra vita è cambiata!E' stato un inferno, il terrore,un incubo:bombardamenti da cielo e mare che sconvolgevano la città e la nostra vita.
Dormivamo vestiti e,al suono delle sirene, giù ,a scapicollo per i gradini, dal secondo piano fino al rifugio, in fondo allo scantinato delle scale. Mia madre non faceva che invocare S.Antonio e io che le dicevo di smettere.Mio padre non voleva scendere e rimaneva in casa.
sett 2015

Tutto è stabilito
Vi racconterò di un episodio che ha rafforzato il mio concetto sul destino:ognuno di noi ha un percorso di vita designato.Nessuna casualità.Questo è il mio pensiero:se è destino
che Tizio debba morire,ad esempio, prima dei sessanta anni,qualsiasi rischio di vita in
cui incorrerà prima di questo traguardo,sarà superato al punto di parlare anche di miraco-
lo.Inoltre,sempre secondo il mio modesto parere,per quanto esso possa valere,ciascuno di noi ha un angelo custode che ti fa rispettare questa consegna.
Pertanto,a tal proposito,vi prego di ascoltare quanto mi è accaduto. In quel periodo,era il 1965,prestavo servizio alla Compagnia Bersaglieri del Battaglione Dimostrativo*,a Persano,vicino a Eboli nel Salernitano.A Persano si trova la Casina reale di caccia dei Borboni ,costruita dall'ing. J.D.Diana con l'assistenza del Vanvitelli architetto di corte dei reali di Napoli.
Da lì,io e il mio collega,ten Selli,fummo inviati con i nostri plotoni in una località in
provincia di Potenza,in Basilicata,per svolgervi delle esercitazioni di pattugliamento.
Ogni plotone era costituito da tre squadre,ciascuna delle quali montava su un veicolo
cingolato da trasporto e combattimento chiamato M113.Questi veicoli si vedono spesso in televisione in dotazione a diversi eserciti:Israele,Egitto,Siria,insomma in tutto il mon-
do,pure a quei stramaledetti dell'ISIS.
Dopo un lungo viaggio di oltre 100 km,su un percorso molto tortuoso e pericoloso,
in mezzo all'appennino Lucano,raggiungemmo la zona prefissata.Era l'imbrunire.
Una sosta breve per riorganizzare i reparti e subito abbiamo cominciato le nostre eserci-
tazioni che sono durate per tutto l'arco notturno.All'alba,terminate le esercitazioni,fatta
colazione al sacco,ci è stato dato l'ordine di rientrare in sede.
Anche se stanchi,tuttavia eravamo contenti di ritornare in caserma dove ci aspettava un ran-
cio caldo e i permessi dell'indomani sabato.
Così i due plotoni si organizzarono per la partenza:un plotone,quello del tenente Selli sarebbe andato avanti,l'altro,il mio,sarebbe partito un quarto d'ora dopo.
Mentre mi stavo organizzando per la partenza si presentò a me il bersagliere Tolve,del mio
plotone,chiedendomi di fare il viaggio di ritorno insieme a un suo compaesano che stava
nella seconda squadra dell'altro plotone,quello del ten. Selli.
“Va bene,”gli dissi,”basta che avverti il tenente”Questi acconsentì e quindi,subito dopo, partirono.Io col mio plotone li seguii dopo quindici minuti.Erano ormai circa tre ore che i
cingolati correvano lungo un percorso insidioso per le strade dell'Appennino.
Ero in apprensione perche tutti non avevamo dormito ;ma mentre i bersaglieri assaltatori
potevano dentro al carro tentare di appisolarsi,così non era per il capocarro,che è colui
che sporge fuori dalla torretta pronto a qualsiasi evenienza ma,soprattutto, la situazione poteva essere ancora più critica per i piloti carro,anche se ciascuno aveva il copilota per alternarsi con lui quando aveva bisogno di riposare o altra esigenza.
Finalmente il percorso più duro della statale finì,e raggiungemmo un lungo rettifilo che era un tratto autostradale della costruenda autostrada del Sole Salerno-Reggio Calabria.Ormai erava- mo a una decina di km dalla nostra Caserma.
Avevo imboccato con il primo cingolato un lunghissimo viadotto su una profonda
valle,quando in lontananza vidi un gran trambusto:lampegiare di ambulanze e suonare di sirene.
Avanzai con la mia colonna per circa duecento metri,ma poi fui fermato da una pattuglia
di carabinieri.Balzai giù dal M113 e chiesi cosa era successo. “Un M113 è sbandato,ha rotto il guardrail del viadotto ed è precipitato giù sul greto asciutto
del fiume a sessanta metri più sotto,”mi rispose il carabiniere motociclista."
Rimasi di ghiaccio,sconvolto dentro di me in ogni fibra.
“Sapete come stanno?”,chiesi.”Guardi là c'è il Comandante della compagnia,chieda a lui.”
Raggiunsi di corsa il capitano e questi stravolto mi disse che era precipitato nel fosso il VTC della 2^squadra del plotone del tenente Selli che era andato laggiù a vedere e che gli aveva comunicato che tutti e dodici i componenti della squadra erano morti. I loro corpi all'interno delle tute da combattimento erano frantumati e mal ridotti.
“Pensi,mi disse il comandante,ne è sopravvissuto solo uno,che è sbalzato fuori dal carro al momento dell'impatto di questo contro il parapetto del viadotto.”Dopo un volo di sessanta metri metri si è conficcato dentro una pozzanghera di una cinquantina di cm di diametro.L'unico punto con un po' d'acqua sul greto secco del torrente tutto ciotoli ed enormi sassi e rocce.Era infilato fino alla vita ed il tenente lo ha tirato fuori afferrandolo dal cinturone.”
“Come si chiama”,chiesi al capitano.”Tolve”,mi rispose.
“Signor capitano quel bersagliere è mio,del mio plotone.Non doveva stare lì!mi ha chiesto il permesso di stare con un suo compaesano,ed io con l'autorizzazione del ten Selli gliel'ho
dato!”
Ci guardammo a lungo negli occhi.Infine disse:”Da domani quel bersagliere starà seduto
sulla soglia del mio ufficio,e,da lì non si muoverà fino a quando non andrà in congedo.”
“Adesso lei vada via con tutto il suo plotone e raggiunga la caserma.Penseremo noi a tutto
ciò che ci sarà da fare.”
Il comandante di compagnia mantenne la parola e il bers. Tolve rimase nella fureria del
reparto fino a quando non andò in congedo. Esempio di un uomo più che fortunato:MIRACOLATO.Ciò dovrebbe confermare quanto
ho detto all'inizio.Il suo angelo custode,al momento dell'impatto del mezzo corazzato sul guardrail, l'ha tirato fuori dal carro dirigendo la sua caduta per sessanta metri di volo, proprio su quel solo e unico punto,grande come un fazzoletto, dove c'era quella piccola pozzanghera di fango e acqua.
Fu una grande tragedia.Un terribile strazio che si ripeteva ogni qualvolta andavamo a consegnare
le salme,racchiuse nella propria bara,al paese natio.
Fu un lutto molto profondo per il nostro reparto e ci volle molto tempo per poter assorbire lo shok di quell'avvenimento e rassegnarci.

* Il battaglione dimostrativo,a quei tempi,era un reparto che dimostrava con esercitazioni modello l'attuazione della dottrina militare a ufficiali delle varie armi e allievi delle
scuole della Nunziatella,Modena,Torino ed altre.

Febb 2015

Una foto mancante,nonna Rosa.
Osservando un vecchio album di foto,mi soffermo a guardare quelle delle prime pagine ove appaiono nonni e nonne. Purtroppo non ho mai conosciuto due nonne e un nonno morti prematuramente prima che io nascessi.
Mi accorgo che manca una foto che raffiguri la mia nonna materna,Rosa,morta
giovanissima.
Era siciliana di un paesino vicino a Palermo.Una volta sposato mio nonno Giuseppe, nel 1910,lo seguì negli Stati Uniti nell'Illinois a Chicago sul lago
Michigan, a ridosso della frontiera col Canada.Pensate,dal sole della Sicilia al freddo canadese. Lì a Chicago nacquero mio zio Toni e Giosi( Giuseppe).
Intanto l'Italia,come si diceva allora, si era conquistato il suo posto al sole in
Libia e aveva dichiarato questa regione territorio italiano d'oltremare,dove anche i locali avevano gli stessi diritti degli italiani.
Quindi la Tripolitania divenne la nuova America per tutti quei nostri connazionali che erano in cerca di un futuro migliore.
I miei nonni,Giuseppe e Rosa,colsero l'occasione e subito rientrarono in Italia,
e da lì raggiunsero la Libia.Allora il governatorato della regione,che farà poi capo a Italo Balbo,attuava una politica che favoriva l'insediamento degli italiani con diverse facilitazioni tra cui la concessione di terreni sui quali si volevano intraprendere attività agricole,ecc.
A Tripoli,mia nonna Rosa ebbe altri tre figli,mia madre e due gemelli.
Ella insieme al nonno mise su un negozio,poi non contenti lo vendettero
per stabilirsi a Garian, una località subito a sud-est della città,dove acquistarono
dei terreni con le facilitazioni ottenute dal governo,Impiantarono così una fattoria con frutteti,vigneti e un emporio per la vendita.
A Garian,in posizione strategica,c'era una guarnigione dell'esercito a protezione dei coloni italiani che ivi lavoravano: a volte gruppi di ribelli assalivano le fattorie. La famiglia dei nonni,in simbiosi con i militari,che la tenevano molto in considerazione,conduceva una vita operosa. Avevano molto personale locale che li aiutava per qualsiasi occorrenza.
Mia nonna era il factotum della situazione,coraggiosa e decisionista offriva al marito la massima collaborazione pur dovendo badare a cinque bambini.
Tutti le volevano molto bene. A dimostrazione della sua intraprendenza e coraggio,racconto questo episodio. I nonni tenevano nella fattoria,chiusa in una gabbia,una grossa iena .Un giorno mentre nonno Giuseppe era fuori per affari,
la iena impazzì mettendosi a ululare e ringhiare con la bava tra le fauci.
Si scagliava violentemente contro le sbarre della gabbia che cominciavano
a cedere.
I famigli corsero ad avvisare nonna Rosa che era dentro casa.
Ella raggiunse subito la gabbia e vedendo che la bestia inferocita stava apren-
dosi un varco tra le sbarre,corse dentro casa,uscendone subito dopo, imbracciando un fucile.
Lo spianò contro l'animale e lo fece secco con una scarica di colpi.
Era veramente in gamba nonna Rosa.
Peccato che qualche anno dopo moriva improvvisamente a causa,non si sa
bene,se di una meningite o polmonite fulminante,lasciando mio nonno Giuseppe vedovo con cinque figli:il più grande undici anni e i gemelli di due.
Aveva ventisette anni. Mio nonno,allora,mise mia madre,sette anni, in collegio dalle suore. Tenne con se i due più grandi,mentre per i due gemelli ottenne la
collaborazione diretta della famiglia del loro padrino.
Andò avanti così fino a quando non si sposo per la seconda volta.
Ma questa è un'altra storia.

Febb 2015


Corso di scrittura creativa marzo 2014:ad un certo punto,la nostra prof tirò fuori dal suo borsone un sacchetto come quelli che usano per giocare alla tombola.
Rimescolò un po',e poi,a turno,fece pescare a ciascuno di noi cinque bigliettini.
" Miei cari,in base al loro contenuto,ognuno di voi dovrà tirare fuori un racconto."
"Lo aspetto per la prossima settimana."
Queste son le frasi dei cinque bigliettini capitatemi a caso:
- un bambino rapito,
- due donne si contendono lo stesso uomo,
- sul terreno le orme di uno sconosciuto.
- una porticina segreta,
- una mano gelata.
Dato il loro contenuto ho pensato a un racconto poliziesco. Ecco il titolo :

Una corsa contro il tempo

Stazione di polizia di Canicattì.
Squillò il telefono.
" Signor commissario c'è una signora al telefono,tutta agitata,chiede aiuto."
"Passemela!"
" Sono la signora Marchetti, aiutatemi, hanno rapito mio figlio Mirko."
" Hanno sfondato la finestra della sua cameretta "
" C'è qualcuno?,"chiese l'ufficiale .
" No," rispose la donna.
" Stia calma,veniamo subito ,mi dia il suo indirizzo."
Un quarto d'ora dopo arrivò la macchina della polizia.Il com. Bertoni scese , si ac-
costò al cancello della villa e suonò il campanello .Il cancello si spalancò e l'ufficiale a passo svelto si avvicinò al portoncino della casa . Mentre stava percorrendo il vialetto verso l'ingresso,sentì ,provenienti dall'interno, le urla di due
donne che litigavano : l'una inveiva contro l'altra accusandola di superficialità e ne-
gligenza. Bertoni suonò anche al secondo ingresso e poco dopo la padrona di casa,
venne ad aprire,invitandolo in modo concitato a seguirla.
Entrato nella stanza,vide che c'era un'altra donna arrabbiatissima.
" Scusate,"disse l'ufficiale," sono il com. Bertoni,con chi ho l'onore di parlare?"
" Sono Marchetti Antonia,moglie del sig.De Michelis,proprietario della villa.
"Sono la madre del bambino rapito".
" La matrigna " precisò infuriata l'altra donna.
" La signora che mi sta accanto è la madre naturale nonché la sua ex prima moglie",
riprese acida la Marchetti " io sono la seconda moglie."
" Piacere, Tortolini Eliana, madre di Mirko rispose quest'ultima."
Le due donne si odiano in quanto l'ex moglie sta cercando di riconquistare l'ex
marito e quella attuale naturalmente è di parere contrario.
" Quanti anni ha il piccolo,"chiese il commissario.
" Quattro", risposero entrambe.
Bertoni si mise a perlustrare il locale e notò che i pezzi di vetro della finestra
infranta erano caduti all'esterno e che una scala stava appoggiata subito sotto il da-
vanzale.
" Allora mi racconti,signora De Michelis,cosa è successo?"
" Il bambino giocava nella sua stanza al piano superiore,io stavo in cucina,al piano
di sotto,a preparare il pranzo."
" Continui,"riprese il commissario.
" Essendomi ricordata che doveva arrivarmi un pacco e,non avendo visto il postino
da diversi giorni,sono uscita per andare dalla signora di fronte per chiederle se per
caso lo avesse visto .Sono rimasta a parlare con lei pochi minuti e quindi sono rien-
trata in casa,in cucina."
" Non sentendo più il suono della play-station di Mirko e non avendo egli risposto al mio richiamo,sono andata nella sua cameretta,ma egli non c'era e i vetri della fine-
stra erano rotti senza che ne avessi sentito il rumore .Ho chiamato,cercato,ma il piccolo era sparito!Sono scesa in giardino ho guardato fuori dal cancello:nessuno.
Allora ho telefonato a mio marito e immediatamente dopo,consigliata da lui, a
voi del commissariato. Nell'attesa ho avvertito subito anche Eliana che era rientrata
da pochi giorni da una tourneè negli Usa .Ella è arrivata pochi minuti fa."
Bertoni lasciò le due donne,che ripresero a litigare, e scese in giardino.
Osservò che sul terreno,ai piedi della scala,oltre ai cocci di vetro,si vedevano delle
impronte che andavano verso la siepe che costeggia la strada.
Pensava che se il rapitore fosse venuto da fuori,gran parte dei vetri rotti dovevano trovarsi all'interno della cameretta e che le impronte in giardino,quelle che dalla scala andavano verso l'esterno dovevano essere più profonde di quelle che venivano perché il rapitore avrebbe dovuto tenere il bimbo in braccio.
Perché la De Michelis non aveva sentito il rumore dei vetri infranti?:la camera del piccolo stava sul retro rispetto al cancello ,asseriva la donna,e mentre lei conversa-
va con la vicina di fronte , non aveva notato e sentito niente di sospetto.
"Quindi, pensò Bertoni,Mirko è stato preso da qualcuno che conosceva bene e nel quale aveva fiducia".L'esperienza gli faceva pensare, che quando la vittima conosce il suo aggressore,questi, per non correre il rischio di essere riconosciuto è costretto ad eliminarla.
Il commissario si rendeva conto, con sua grande angoscia, che Mirko poteva essere
in estremo pericolo .Allora decise di agire immediatamente.
Convocò le due donne d'urgenza al commissariato portandole con la sua auto.
In sede le affidò al suo vice-ispettore perché aprisse la pratica di rito: denuncia, trascrizione dati personali,ecc..
Inoltre,in separata sede, gli ordinò di trattenerle, il più a lungo possibile, fino a
quando non avesse ricevuto nuove istruzioni.
Fatto ciò,ritornò immediatamente alla villa .Non è un problema per lui entrare:
basta il suo bancomat .Allora,cominciò una metodica e celere esplorazione di tutti i locali della casa .Poi giù nel seminterrato:garage,taverna e infine la cantina;qui c'erano diversi scaffali con varie suppellettili, appoggiati alle pareti, uno conteneva dei libri!
La sua intuizione non poteva fallire,sentiva il suo cuore martellare .Tolse qualche
libro e dietro notò una porticina .Scostò lo scaffale e con un calcio sfondò la porta.
Davanti a lui si aprì un cunicolo,con nicchie vuote alle pareti. Ma,ad un certo punto,
in una vide come un fagotto,si fece più avanti....sono delle coperte!Si portò ancora più vicino e rimase basito....una manina pendeva fuori inerte. L'afferrò,...era gelida!,
Svolse subito le coperte e le gettò via,avvicinò l'orecchio al petto di Mirko....e sentì
un impercettibile battito...oh! Dio!..era vivo.
Allora,con il piccolo in braccio e il cuor contento,corse sopra e compose il 118 per fare arrivare la Croce rossa sul posto. Chiamò poi il commissariato avvertendo i colleghi che aveva trovato il bambino,vivo, e che lo stava portando con l'autoam-
bulanza al pronto soccorso .
Ordinò,inoltre,ai colleghi di non avvertire le due donne fino a quando non sarebbe stato lui a farlo.
Ancora un'altra telefonata:chiamò il padre di Mirko dicendogli che il figlio era salvo e che stava con lui al S.Camillo, nel contempo chiese perentoriamente al sig. De Michelis di non telefonare alle due mogli per la sicurezza del piccolo;fece intendere
Che potevano essere intercettate dai rapitori. Ci avrebbe pensato lui a farlo. Intanto che lui lo raggiungesse subito al pronto soccorso,ove nel frattempo si erano già accorti che il bambino era stato sedato.
Quando il bimbo si svegliò vide suo padre che lo abbracciò stretto, stretto .
" Dove sei stato Mirko",gli chiese il genitore.
" Sai la mamma mi ha detto che mi faceva vedere una bella cosa in un posto miste-
rioso,come nelle favole".
" La mamma chi?"interruppe il com. Bertoni.
" Ma... mamma "Tonia",papà.
E' fatta!
Il commissario telefonò immediatamente in centrale e ordinò di trattenere in fermo cautelativo la sig.ra Marchetti Antonia,moglie del Sig. De Michelis,matrigna del bambino e di portare immediatamente al pronto soccorso del San Camillo la
Sig. Eliana,la madre naturale del piccolo Mirko.
Infine disse al vice-ispettore," Passemela al telefono".
"Signora Eliana,suo figlio e sano e salvo,e qui al S.Camillo insieme a suo padre.
Ora le passo il suo ex marito.Penso che non vedrete per un bel po' di tempo la
cara signora Marchetti che ha rapito suo e vostro figlio."

Febb 2014

Una foto
Una foto non è solo ciò che si vede,ma,anche un quadro che ,se ben interpretato,ti riempie l'anima e la mente di straordinarie sensazioni e di significativi momenti della vita.
Ecco la foto in questione. 



Essa evidenzia,in primo piano,un cancello con sbarre dietro cui sono rinchiusi tre personaggi in divisa;sono dei militari:da sinistra verso destra guardando,il primo sorride,il secondo, al centro, è mio padre con lo sguardo perso,l'altro ha quasi un ghigno. Sul cancello appare la scritta :
" Long Beach Ja "; è l'ingresso di un campo di internamento USA a Long Beach,località vicino a Los Angeles in California.Gli uomini in divisa sono dei prigionieri di guerra italiani catturati dagli americani in Tunisia nell'aprile del 1943( 2^ guerra mond.) e trasportati dopo un lunghissimo viaggio di circa 15.000 km,attraverso l'atlantico,il canale di Panama,e,su verso nord,lungo la costa del Oceano Pacifico,fino a Los Angeles, in California.
La foto risale agli inizi del 1945 e,quei prigionieri hanno saputo da poco che entro la fine dell'anno saranno rimpatriati. Quello al centro,con lo sguardo perduto,è mio padre,il quale sta sicuramente pensando alla sua famiglia che lo attende giù in Sicilia e che potrà finalmente riabbracciare dopo tante peripezie. Finalmente rimpatriato,dopo un lungo viaggio,ci raggiungerà in Sicilia,a Modica,la città del cioccolato. Da qui,dopo pochi mesi ,con un lungo viaggio di sette giorni,via ferroviaria,su carri bestiame scoperti, ci porterà tutti a Roma ,dove siamo stati accolti nel Campo Profughi di Cinecittà (l'attuale sede cinematografica nazionale). Qui rimarremo fino a quando avremo una casa e mio padre un lavoro che il Ministero dell'Africa Italiana ha promesso a tutti i profughi. Certamente un " campo profughi " ,non è come un campo di internamento,ma ci si avvicina molto. Dormivamo all'interno di enormi padiglioni(alti 11-12 m. ),lì dove si giravono i film,divisi in tanti loculi 2x2 formati da pareti di cartone( faesite) alte 2 metri:sentivi e quasi vedevi i vicini accanto. Tutto l'immenso locale era pervaso da un continuo brusio,come il ronzio di un alveare. Il vitto o rancio,forse è meglio dire così,era in comune,come in una caserma. Suonava la campanella,in verità era un battaglio di metallo che veniva sbattuto all'interno di un triangolo di ferro,e ,tutti ci mettevamo in fila con le gavette di alluminio per avere la nostra razione;in seguito ci dettero i piatti di alluminio. Si mangiava all'aperto o nel nostro loculo se pioveva.
Tornando alla foto,gli altri militari sono amici e commilitoni di papà.
Quello sorridente ,dopo il rientro in Italia ,ripartirà per l'America per sposare la fidanzata americana che aveva conosciuto durante i permessi di libera uscita a Long Beach.
Per amore di cronaca,molti altri militari sono ritornati negli Usa per sposare ragazze americane.
Il terzo sorride amaramente perchè sa che al suo rientro non troverà nessuno in quanto ha perso tutta la sua famiglia sotto un bombardamento.

marzo 2014


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