La leonessa e il vecchio leone
La Leonessa vigila
sul vecchio compagno,
stanco e macilento,
pieno di cicatrici
per le lotte sostenute
contro altri furbi gattoni;
ma non c' è trippa per loro.
Guai a chi lo tocca!
Tutto ciò rappresenta
la metafora della mia vita,
dove il vecchio Leone
sono io, novantenne,
vecchio e malandato
che la Leonessa,
mia moglie, compagna
di tutta una vita, tiene
in riga, come fossi
un cucciolo birbone,
con ruvide zampate
che sono invece
la più dolce delle carezze.
24agosto2024
Scrivo questa poesia che vuole essere una parodia intitolata:
“Adamo ed Eva: amenità e burlesque su come si facesse a generare figli
visto che il Signore non l'aveva loro insegnato”.
E Adamo disse:” E' stato
un piacere conoscerti,
bambola,e a te come
è sembrato?”“Certo meglio
di quando mi hai infilato
un dito nell'occhio,
poi un piede in bocca,
poi un ginocchio nell'orecchio
e ancora il gomito sotto l'ascella,
Comunque,per essere uno
appena uscito dall'eternità
ci hai messo proprio un attimo!”
Quella notte Eva rimase
incinta. E Adamo disse:
” Che Jella, alla prima botta!”
Ed Eva:”Potevi starci ,
più attento, pensi solo
a te stesso!”E fu così che
si gettò il seme del primo
uomo e anche quello
della prima incomprensione.
Eva si gonfiò sul ventre.
Ed Adamo disse: “ Prova
con due dita nella gola”.
Eva:”Non e' lo stomaco,
questo è un figlio...dobbiamo
pensare al nome da dargli.
E Adamo:” Se esce da dove
sono entrato io, lo chiamiamo
Houdinì! “E nacque Caino,
e Adamo lo guardò e disse:
“ Ce l'ha piccolo!Io appena
nato l'avevo più …......”.
Vulìmmo pazzià rispose
Eva, non si vedeva manco
col cannocchiale atomico.
Adam conobbe di nuovo
Eva. E il Signore vide
e chiamò ancora: “Adamo”.
Ed Adamo, che la stava
conoscendo proprio
in quel momento rispose:
“Questa è la segreteria
telefonica di Adamo:
“Non sono al momento in casa....”.
Allora il Signore disse:
“ Adam non fare il cretino,
e smetti di fornicare.”
“ Uffa e poi uffa! , e le mele no,
fornicare no....Tu devi
avere 'na pigna in capa.”
E per questa distrazione
Eva rimase incinta
per la seconda volta:
era il povero Abele
che si affacciava alla vita.
Adamo disse:” Signore,
a proposito, non è che
potresti creare la Farmacia?:
usando il cappuccio,
non quello rosso del lupo,
(sai di cosa sto parlando),
si potrebbero evitare
tanti guai peggiori
e la guerra in famiglia.
Data.11/luglio/2024
Il mio pettirosso e le cincie allegre.
Arrivano verso metà di ottobre
per svernar fino a marzo, gli uccellini
che frequentano il nostro giardino.
Lo spavaldo impettito Pettirosso,
amico da sempre, il petto rosso sangue,
le cince con strisce giallo dorate.
impertinenti e assai arruffone.
Fin da subito trovan la casetta
con la ricca mangiatoia oscillante
bilanciata sul loro minuscolo
corpicino affinchè tortore e merli,
prepotenti, ne stiano lontani.
Vedere i miei cari piccolini
cercare l'equilibrio sul piattino
dondolante,è per me un vero spasso
che mi riempie il cuore e l'anima.
E' il primo buongiorno della giornata,
che mi fa diventare bambino;
se ogni creatura lo divenisse,
allora sparirebbe quella paura
del presente e del futuro che tutti
quanti ci attanaglia nel più profondo.
4gennaio 2024
L' Amicizia sale della vita
Io vorrei modestamente
esprimermi a mio modo,
non arrogando pretesa
d'essere il solo, espressione
di verità assolute.
L'amicizia è la cosa
più bella che esista al mondo.
E' il sale della vita;
il legame più stretto che ci sia!
Quello dei nostri parenti?
Ma se costor non li senti
amici, occhio alla penna
è la peggiore genia.
E' vero amore, che tutti
ci illumina aprendo
e riscaldando il cuore.
L'amicizia è senza riserve,
è amor che genera amore,
amore che avvolge il mondo
che si trasforma in stella
luminosa e pulsante
nel ventre dell'universo
Dice un proverbio famoso:
avere un amico è più
che avere un tesoro.
E allora assai fortunato
chi ha tanti amici del cuore,
scaldiamoci al suo dolce
e invasivo calore.
La vera amicizia
tra gli esseri umani
è assai solidale,senza
tornaconto e ambiguità;
cancellerebbe l'orrore
di qualsiasi tipo guerra.
Lì dove l'amicizia
trascende al limite estremo
è sul campo di battaglia,
nella tortuosa trincea,
di fronte a un reticolato,
nel dividersi la sbobba
del giorno o una boccata
dell'ultima sigaretta
con il commilitone accanto,
divenuto più che un fratello.
Sotto i colpi della mitraglia,
temi più per lui che per te.
Con lui hai già scambiato
l'indirizzo di casa tua !
E se in un assalto cade,
ti si squarcia il cuore,
e corri a perdifiato,
incurante, per prenderlo
e affidarlo ai barellieri.
31/08/2023
Il mio olivo
Settantino il mio olivo
svetta in tal stagione
cotanto aspra e dura.
Tante, molte ne ha viste:
vento, bora e grandine,
'sì violenta, come chicchi,
di uova di piccione,
da ferire il Sacro Frutto
fin dentro il suo picciolo.
Ma sei forte perché vieni
dall'ispanico andaluso
suol, ove ardito svettavi
tra alti picchi nevosi.
Esco in giardino,vado
sotto i rami e vedo
che le drupe ivi stanno,
abbrancate, senza macchia,
già grosse per la stagione.
Speranzoso, allora aspetto
il momento giusto nel quale,
sulla scala, di rastrello
muniti, Io e Lei, i maturi
frutti violacei nei nostri
canestri accoglieremo.
24/8/2023
Perdere un figlio
“Figlio mio, perché te ne vai,
non pensi a tua madre,
a me, a tutto quel che lasci”.
“ Figlio forte e bello
non ci abbandonare,
perché così
duro è il tuo cuore.”
“ Vi amo come niuno al mondo,
con voi sempre star vorrei,
ma il dover mi chiama.
Aiutar voglio quel popolo,
dove già tanti figli sono
caduti per la libertà,
per la propria terra.
Madri e padri e sorelle,
gli occhi umidi di pianto
vagano tra macerie
fumanti e boati
dilanianti la carne consunta;
devo andar sangue del mio sangue.
Non cerco l'avventura
del cavalier senza paura,
ma la spinta all'amore,
di chi ha l'anima pura.”
Partì e, da quel momento
aspettar fu atroce,
quel padre,
cominciò a morire.
Poco tempo passò …....
poi uno squillò ….
da Kiev........
l'Ambasciata:
“Siamo addolorati ….....”
Urlò quel padre,
un urlo lancinante.
Riprese la voce:
”E' caduto da eroe....
“ La salma, con volo militare,
arriverà in Italia.
Due bandiere
l'avvolgevano;
una italiana,
bellissima nei suoi tre colori
bianco,rosso e verde,
l'altra Ucraina,
splendente in blu e oro
Madre e padre
abbrancarono
la bara, e si sciolsero
su di essa fino all'ultima lacrima.
Ma non sopravvisse al figlio
quel padre;
poco a poco il suo sguardo,
i suoi occhi, allucinati,
si fecero come vuoti,
sprofondando in un abisso
senza fine,
senza ritorno.
Il suo corpo consunto
divenne trasparente,
etereo, quasi fantasma,
alla fine cedette,
finì di soffrire,
e poco dopo
a Lui si unì nel Ciel dei Cieli.
3/10/2022
Mare, mare
Mare Mare,quanto
ci manchi. Mar de la Pelosa(*)
color argento vivo,
come uno specchio ti ci guardi dentro
e vedi riflessi visi raggianti
di felicità. Ti immergi
e quando ti sollevi
una miriade di scaglie argentee
scivolano lungo il tuo corpo,
splendenti come lucciole
che fluttuando nell'acqua
si spengono ai tuoi piedi.
Mare, mare, della mia terra,
dove in grembo a mia madre
in cinta di me già sentivo
il suo dolce fruscio
e il suo odore salmastro
mentre ella ruzzava facendo mille
capriole.
Mare d'Ischia, colore smeraldo,
acque miracolose,
dove, sulla riva, ponendo
bianche uova, sorgenti di calore
te le servono come
cotte in camicia.
Mar del Gargano,
attorno alle Tremiti,
sfolgorante di mille colori,
più dell'arcobaleno.
Mare, mare, come possiamo
vivere senza di te.
Mare, Mare, amore nostro,
con te moglie mia,
mani nelle mani,
sul dorso poggiati
sull'acqua tiepida,
accogliente,
notturno silenzio,
nella notte stellata a guardare
il cielo trapunto di stelle,
a Paestum, sullo sfondo
i Templi della Magna Grecia,
culla della Mediterrànea
Civiltà e dell'occaso tutto.
Speriamo che questo mare
del Dio Nettuno Regno,
o moglie mia, un giorno,
le nostre ceneri
accolga nel suo Sacro Liquor,
lì dove tutto si generò.
(*) La spiaggia della Pelosa si trova nella Zona
Nord Occidentale della Sardegna nel Comune di Stintino.
!9/09/2022
Altre storie sul poligono di Monte Romano(1)
Carlo Magno e il tesoro archeologico nascosto
Qua e là nella zona curiosando,
casualmente mi sono imbattuto
nella “Cava Buia”; una tagliata
etrusca (2)nel duro tufo scavata
per diverse centinaia di metri.
Tal camminamento , inver profondo,
una decina di metri e oltre, e largo
ben quattro metri circa, attraverso
un guado sul torrente, su cui c'era
prima un ponte Etrusco Romano,
giungeva per un lungo arduo percorso,
sul vecchio tracciato della via Clodia ,
fino a Roma e alla basilica di Pietro,
dove il Papa Leone terzo attendeva
Carolus Magnus il grande Re dei Re,
onde consacrarlo quella Sacra Notte
di Natale imperatore del Sacro
Romano Impero ponendo sul fiero
capo l'aurea ferrea, Sacra Corona.(3)
L'altezza, dal basso ove mi trovavo,
era paurosa; le pareti ripide
e scoscese davano l'impressione
di schiacciarti. Una striscia luminosa
in alto, qua e là rotta da ammassi
di fogliame sui bordi de l ' orrido,
creava,colpita dai raggi del sole,
frangie verdognole e giallastre
che cangiando tonalità un alone
sprigionavano di fitto mistero.
Dal tufo, cosparso di muschio e edere,
dal suolo sotto i piedi trasudava
un umido palpabile che addosso
ti si appiccicava come ventosa.
Immaginavi dei cavalleggeri
che intorno al proprio imperatore,
sul suo cavallo bianco, avanzavano
circospetti trattenendo i destrieri
che nitrivano e scalpitavano
presi da invincibili fremiti
di paura ;era cosa sì forte e dura
che il mio cor al pensier ancora trema.
Sentivi qualcosa che ti invocava
dallo spazio tempo più profondo;
suggestioni forti e meravigliose
che ti immergevano in un mondo
fantastico e surreale fuor dal tempo.
Note storiche
(1) Il poligono si trova all'interno di una vasta area
archeologica etrusca. Esso stesso al suo interno comprende parte della
necropoli di Norchia;
(2)Una tagliata Etrusca è un camminamento scavato nella roccia tufacea al di
sotto di circa 10 metri rispetto al piano di campagna. Ne esistono molte, ma
ancora oggi, sono un mistero.
Per certo costeggiano o intersecano la Via Franchigena per decine e anche
centinaia di km.
Spero che studiosi di archeologia si interessino per far conoscere al mondo
questa altra meraviglia tutta italiana.
(3)Questa corona intarsiata di oro e gemme si trova, dopo straordinarie
vicende nel Palazzo Reale di Monza.
Lei, mia moglie dopo sessanta
anni di matrimonio
Amore, Amore,
davanti a te divento bambino.
Un grande nuovo amore,mio amore,
per te arde,si rinnova.....
sei la mia chioccia col suo pulcino.
Mia vita,
amo sentire il tuo interloquire,
con amici, nipoti, figlie e figli,
allegro cinguettare,
che incanta e avvolge chi ti sente.
Anima mia,
senza di te mi sento perduto,
non voglio neanche pensare,
sgomento urlo, amore,
senza il dolce calore del tuo seno.
Mia forza,
corri in giardino, la tua passione,
tra magnolie, olivi, forsizie e rose,
giochi instancabile,
fino a quando tutto hai finito.
Mio sospiro,
rimembri quando nell'acqua del mare,
guazzavamo allegri e spensierati
con i nostri bambini,
che, cinguettanti , dalle nostre mani
intrecciate a trampolino,
si tuffavano sollevando spruzzi,
verde, viola e rubino....:
tutti i colori dell'arcobaleno.
21aprile 2022
Dopo trenta giorni di inferno
Ucraina, Ucraina,
un despota malvagio ti rovina.
Ma presto il colpirà l'ira divina.
Malvagio oltre ogni dire,
violenza continua a perseguire.
Ucraina, Ucraina,
dolce bel paese di gran brava gente,
il Putin vi avvolge come un serpente.
Crollano le dimore
dove senza mamma ogni bimbo muore.
Ucraina, Ucraina,
Vil ,pena non hai per gli occhioni belli
di bimbi spauriti come uccelli,
pulcin soli nel nido,
che della madre non sentono il grido.
Ucraina, Ucraina,
terra santa con le case sventrate
da milizie feroci e prezzolate,
che razzia fan, saccheggio
di donne e anziani con gran dileggio.
Ucraina,Ucraina,
Folle uomo la sua volontà infame ,
vi persegue tutti fino alla fame:
bimbi col ventre gonfio,
morti, ma tu non cedi, tronfio.
Ucraina, Ucraina,
Vampiro, vero pazzo, maledetto,
comparirai a Dio, al suo cospetto.
Ma Quel cui nulla sfugge
la fiera abbatterà che invano rugge.
Ucraina, Ucraina,
soave terra, sei un paese distrutto,
ma Colui che puote tutto,di tutto,
il capo, a tutto tondo,
mozzerà del Drago(1) che questo mondo
distruggere vuole con l'umanità intera,
(1)Il drago dalle sette teste:Apocalisse, Armaghedon .
25 marzo 2022
Alcuni quadri di casa mia finalmente risvegliano il
mio interesse.
(1^Parte)
Ho diversi quadri nella parete
bianca del salone di casa mia.
Stavano là, non ci facevo caso!
Penso che nella vita di ognuno,
si vive la casa non vedendo
veramente gli oggetti da cui
siamo circondati da tanto tempo.
Ma inaspettatamente, alla luce
dei terribili fatti che stanno
sconvolgendo codesto nostro mondo,
li ho guardati, colpito, folgorato,
da una peculiare sensazione,
mai avvertita prima di allora,
Non ci posso ancora credere.
Alcuni esprimono situazioni,
catastrofiche,altri paradisiache.
E allora ho pensato che le une
o le altre si verificheranno
a seconda di come noi umani
avremo cura del mare e della terra,
per natura fragili, e dei nostri simili
di ogni razza, superando oscure
mire ancestrali di potere e possesso:
la guerra semina odio e rovine
e rancori che mai si quietano,
e che conducono ad altra violenza
e ad altre guerre e lotte mortali
e minacce verso i propri simili,
senza fine, sino alla scomparsa
dell'uomo,del creato e della vita.
Purtroppo Putin si è dimostrato
tiranno feroce, inadeguato,
profittando della giusta prudenza
dell'occidente che non vuole
trascinare il mondo nel baratro
di una guerra nucleare.Senza
remore, briciolo di umanità,
infido, malvagio, super bugiardo,
ha invaso la povera Ucraina,
distruggendo e soffocando ogni cosa.
Milioni di sfollati! Migliaia di morti,
tra cui donne e bambini il cui pianto
lacera il cuore di ogni essere umano.
Abbandonati alla mercé di truppe
prezzolate senza scampo alcuno.
Uguaglia mostri del passato come
Hitler,Tito,Mao,Stalin, Khmer rossi,
nella spietatezza del suo agire.
Abbiamo davanti ai nostri sguardi
un popolo intero,un paese martire.
Che il castigo di Dio raggiunga
questo demonio senza morale.
Alcuni quadri di casa mia...
2^ Parte
Quello, invero, che mi lascia,per primo,
senza fiato, eccolo!,immaginate:
Un omino, poco più di un puntino,
in fondo ad una via; d'ambo i lati,
la città, squallida desolazione,
palazzi a fosche tinte rosso sangue,
blu scuro, giallo, nero,grigio,verde,
i cui edifici si incurvano sotto
l'effetto di una energia di potenza
immane, devastante, nucleare?
sembrano implodere su se stessi,
da un attimo all'altro, per sprofondare
nello scuro antro infernale dell'Ade.
Altro quadro: un mare agitato,
minaccioso, di azzurro privo,
marosi di fosche schiume su cui
guizzano lente creature marine
in agonia e da cui cinerei gabbiani
fuggono verso la putrida riva
su cui accanto un albero spoglio,
rinsecchito, senza linfa vitale,
perché arso, giacciono bidoni
informi e lacerati, da cui gas
si sprigionano male odoranti,
l'aere e la sabbia invadendo.
Ma volgendo lo sguardo, di poco,
un motivo di speranza mi prende,
guardando,un mondo paradisiaco,
giardino dell'Eden, che non ha eguali.
Un bosco dorato autunnale dove,
uno zeffiro birbantello solleva,
verso l'alto, un vortice di foglie
dorate che sussurra:” Eolo, portaci
via con te”, per orizzonti infiniti.
Un altro quadro:un mondo di felice
connubio tra noi umani e il rispetto
della natura; un giardino splendente
di vasi in fiore e di alberi che
esplodono in fiori bianchi, rossi,
gialli, arancioni; tutti i colori
dell'Arcobaleno,con sullo sfondo
un leggiadro borgo da sogno,bianco,
su cui splende vivido il solleone.
E dulcis in fundo un meraviglioso
campo di papaveri il cui rosso,
vivido di migliaia di sfumature,
è coronato da innumerevoli steli
dorati di spighe panciute di grano,
che si incurvano sotto tre alberi
verde ocra che danno fresca ombra
a un bianco casolare dove stanco,
il viandante sogna di riposare,
così come ognuno di noi, lontano
dalle cure e atrocità del mondo.
16/5/2022
La Terra cento anni dopo
Umani cosa avete combinato?
Oh sventurata terra, malamente
sei stata trattata:ovunque lande
desolate e infuocate;vortici
di rossa polvere bruciano ogni
cosa la vita soffocando:il verde,
dei boschi, l'azzurro dei mari, le acque
smeraldine, il gorgoglio dei rivi,
le vette innevate,il forte tumulto
delle cascate. Qua e là, sassoni
si ergono di incorrotta fetida
plastica, che ha creato in mare immensi
continenti di putrido lordume:
le stupende barriere coralline
creatrici del Plancton, generatore
di vita son marcescenti, coperte
da una pruina lattiginosa.
Pesci e briosi mammiferi del mare,
e quelli degli abissi brillanti
di luci multicolori, e pulsanti
come “Alberi di Natale” sono
scomparsi,non guizzano più nelle acque
senza vita.
Cosa hai fatto uomo?!
La cara madre terra, una volta
“ Giardino dell'Eden” più non esiste.
Tutto ciò che l'arroganza senza fine
dell' uomo sapiens di oggi ha eretto:
grattacieli più alti, ponti più lunghi
strutturati in ferro e in acciaio,
é crollato ignominiosamente.
Resistono ancora impavidi,
se pur ricoperti di rossa polvere
e grosse liane le opere del mondo
antico: le piramidi degli Egizi,
dei Maja, i templi dei Greci,
il Colosseo e gli Acquedotti,
i Ponti e le Strade lastricate
degli antichi Romani;sono ancora
in piedi, per la loro struttura
di malta incorruttibile ed eterna.
Non si odono e vedono augelli
variopinti per l'aere infuocata.
Ti accosti al denso ribollente
mare ridotto a poltiglia nauseante,
e dentro vedi guazzare creature
mostruose che prima tutto hanno
divorato intorno a loro e che ora
si sbranano e cibano a vicenda.
Uomo che hai fatto!?
Mostri terribili, creature sub umane,
schizzano fuori dall'acqua con i piedi
e le mani palmate e visi umani
dallo sguardo truce e ferino,
fauci ghignanti di sangue asperse,
parto abominevole della natura.
Uomo che hai fatto!?
Ma ecco scendere dal ciel corrusco,
tra un turbinio di nubi infuocate
un astronave aliena; discende
dalla scaletta un cosmonauta
in tuta spaziale,dall' oblò di essa
si intravvede il volto dai tratti
simili a quelli della razza umana:
occhi bellissimi, labbra sorridenti.
Avanzano sulla terra bruciante,
si avvicinano al putrido mare,
dove sconvolti miran l'eredità
dell'uomo moderno “ E' troppo tardi
fratelli,tutto è perduto, è finita,
finita non c'è più niente da fare”.
E' sconsolati, con calde lacrime,
dolci lacrime umane, il viaggio
riprendono, senza ormai ritorno,
verso il lor giovane pianeta Veda
che vide il connubbio meraviglioso
tra la razza terrestre e quella Vedana.
13dicembre2021
PS: Vedi racconto” Invasione Vedana della Terra.Covid-19.
Metastasi
E' tempo d'ansia quel che ora vivo.
Un silente dolore mi sconforta.
Un pesante affanno,una muta pena,
mi serrano e opprimono il cuore.
Arrabbiato sono contro la mala
sorte che mi é toccata, e mi muovo
con un andare,spento e l'occhio vuoto.
Foschi pensier scavano, mal sopiti,
turbinando forte, giammai satolli.
Ma egoista che sono, d'ugual mal,
nella sala accanto,vicinissima,
col capo raso vedo un bambino;
occhioni belli, grandi,fiduciosi,
dolcissimo fiducioso sorriso,
vicini i genitori, viso grave,
labbra tremule, inver sorridenti
per lui,che il guardano con amore;
e allor io vecchio incanutito,
mi vergogno di questi miei pensieri,
della mia mala e ottusa sofferenza;
non mi dolgo e compiango per me stesso,
e solo per lui è la mia preghiera,
e di me dimentico, in quel sorriso
m'annego, e sol per lui prego e spero,
quando passo nella Cappella accanto,
ad accendere, un Cero Votivo.
Dicembre 2021
Madre coraggio e il Milite Ignoto
Dispersi, niuno mai saprà di voi.
Neanche una foto,una catenina,
tra povere ossa miste con l'aspra
e rorida terra! Qual cruda sorte!
Cercare, scavare, senza tregua!
Mani che si insinuano, tra sassi
e sterpi, trepide e pur leggere.
Ma, eroici figli,non state in affanno,
ché un dì, per voi, a madre dolente,
di gran coraggio, i Capi militari
lì ad Aquileia porranno al suo cospetto
undici salme ignote,tra cui dovrà
scegliere soltanto una di esse
per il Sacro Altare della Patria.
Sceglierà!abbrancata a ciascuna,
irrorandola di calde lacrime.
Ma quel feretro madre coraggio
non seguirà mai fino a Roma,
ché degli altri Ignoti, i preziosi resti,
dispersi per l'area della battaglia,
bisognano di lei madre, per trovar
in una tomba il giusto riposo.
Folla piangente seguirà il fumante
convoglio,di tappa in tappa, fino
al Sacro Sacello che unirà tutti
d'ogni colore, al mondo gridando,
contro ogni guerra ora e sempre.
Oh! Sacro Altare,..Altare Santo...
Sii fiorita serra il cui il cui effluvio
per l'aere espanda infinito amore.
24 nov 2021
Foibe
Fil di fer, che a sangue s'incarna,
giù nella dolina senza pietade,
corpi stretti, ma nel dolor lontani
a condividere la cruda sorte.
Soli, soli, senza un che vi consoli,
soli, l'uno all'altro crocifissi,
con al cielo lo spirito rivolto
perché il dolore al più presto cessi.
Terra e casa vi strappò vil tiranno:
scoppi e spari e frantumar d'ossa e...risa,
la foiba nel sangue tutti vi annega.
Ma eroici figli non state in affanno,
perché un di da lì mani pietose
vi torranno e le membra violate,
con dolce cura, in una lignea bara
comporranno. Amati candidi figli,
la Patria nostra non sarà mai avara;
porrà con ogni persona a voi cara,
madri e padri e figli e fratelli,
una stele e lapide a imperituro
ricordo, e, con in gola il pianto
tutti grideranno i nomi vostri:
“ Martin“, presente, fa eco un singhiozzo,
“ Cosset“, son qui un femmineo singulto,
“ Rosset“, presente, ...un triste sospiro.
Così fa eco, amara, la vostra voce
dalle auree Porte del Paradiso.
22 nov 2021
Solitudine
E' l'autunno gelido e silenzioso,
van le foglie senza meta al vento;
ciò non fa che acuire il mio tormento.
Solitudine!,carco assai gravoso
per un cuore d'affetto bisognoso.
A nulla credo solo a ciò che sento,
e vo deluso e di reagir non tento
al languire mio lento e doloroso.
Vedo un bimbo, sorride, egli è contento;
felice mortale, che ancora crede,
che ogni cosa sempre bella vede.
Ma al suo apparire questo mio io spento,
trepido, alla speranza dolce riede:
ha visto Quel per cui ancora ha fede.
Novembre 1953
Da Poesie giovanili.
Gioia, dolce fiore.
Mira che fai,candido,dolce,fiore;
il mondo,la natura allegri e avvivi.
Gli augelli,i verdi boschi,i freschi rivi
cantan felici te,il tuo splendore.....
con loro, estasiato ,anch'il mio cuore.
Che di me,del viver mio,di te privi?
Se gli occhi tuoi,chiari e vivi,
non splendesser più di quel candore?
Sei per me il sol che attorno effonde
eterno calor,sfolgorante luce,
senza cui freddo e tenebre profonde.
Ogni mio pensier sempre a te conduce
Tu sei la sorgente limpida,d'onde
lo spirito trarrò ch'al bene induce.
Roma, 1952
Da poesie giovanili: un amore virtuale
Gioia
Ti vidi, e un dolce sentimento
m'invase il core, fe'mmi scolorire;
tutto di te in te mi fè intenerire:
la dolce beltà, il gentil portamento.
Il sole coi suoi raggi d'argento,
illuminava lieto il tuo venire;
e pur le foglie, il lor lieve stormire
t'accompagnava col sospir del vento.
D'erbe e di fiori fiorita serra
a te d'intorno; le brune tue chiome
luce effondeano, sfolgorante.
Oh! dolce desio che ancor mi serra!
" Trattienti, volea dir, dimmi il tuo nome";
m'il labbro tacque, e tu andaste avante.
Roma, 1952
Da poesie giovanili: un amore virtuale
Leggi racconto: " Le parole che non ti ho detto "
Una magia del bosco
S’apre la zolla,
da un albo velo avvolto
spunta un disco dorato,
fa capolino , occhieggia,
continua lo slancio,
sul gambo s’erge agile,
si espande ancora,
d’un color aranciato
splende come il sole.
Marzo 2016
Il papa e la curia.
Caro papa, quanto ti vogliam bene,
qui per lenir le nostre tante pene.
Ansiosi ti porgiam i nostri piccini,
tu trepido corri e a lor ti avvicini.
Ma gli altri pargoli si fan più audaci,
tu allor li abbracci e riempi di baci.
Sorridente, incedi tra la folla,
che ti beve con gli occhi, mai satolla.
Per il bene, nessun timor t'incute,
scenderesti anche col paracadute.
Cosa che era vera follia sperare,
ma da te tutto ci si può aspettare,
hai reso realtà la più grande speme,
gente d'ogni credo hai messo insieme.
Buddisti, induisti, ebrei e mussulmani
hai fatto abbracciare con i cristiani.
Infine il traguardo più disiato
quando il russo Kirill hai abbracciato
delle due chiese sancendo l'unione
dopo mille anni di separazione.
Grande, buono, intrepido Francesco,
ti vorremmo tutti al nostro desco.
Proponi al mondo pace e fratellanza
reprimendo dei grandi l'arroganza.
Hai aperto, all'umanità tutta quanta,
preso da immenso amor, la porta santa:
e tutti sotto con pensieri buoni,
sperando che il buon Dio ci perdoni.
Caro Francesco grande è il tuo amore,
ma noi lo ricambiam con grand' ardore.
Ma sta attento che tra i tuoi seguaci,
nella curia,ci son sguardi rapaci;
molti che con fare molto sornione
di fermar cercan la tua giusta azione.
Ingordi, maestri d'occhiuta rapina,
quatti, quatti, strisciano in sordina.
C'è poi un tizio, ..porporato barone
che tiene l'attico nel palazzone.
Un sol paradiso per lui assai vale,
non quello del ciel,..ma quello fiscale.
Tra lor combatti la pedofilia,
razzaccia immonda, cacciali via!
Del santo di Assisi indichi la via:
una chiesa più povera, più pia.
Ma non piace alla curia romana
una chiesa sì tanto francescana.
Cari curiati, non più carta bianca
per intrigare nella sacra banca
ricco bottino di grandi marrani,
uccisori del buon papa Luciani.
Rinunciate alle vostre prebende,
cosa aspettate, levate le tende.
E a chi, ancora ingordo, fa il finto tonto,
e ora che gli presenti tosto il conto.
Fatti coraggio dagli duro addosso,
perché altrimenti non mollano l'osso.
E se proprio non vogliono mollare,
innanzi al popol li devi additare,
e quindi metterli poi tutti al fresco.
Non mollare, caro papa Francesco.
Mi domando se qualche porporato,
abbia mai un papa scomunicato;
ché a questa gente giammai satolla,
bene gli starebbe la sacra bolla.
Sarebbe una vera rivoluzione
prendere così giusta decisione.
Dal nostro caro papa giù le mani,
non più, giammai, come il buon Luciani.
sia mai! vi scoveremo ovunque!
O curiati piegate l'arroganza,
solo Cecco è l'unica speranza,
solo così avrete remissione:
ricordatevi si del buon ladrone.
O papa, papa dell'accoglienza,
coltivi la gente la tua semenza
da cui proviene solo vero amore,
senza di cui solo guerra e orrore.
Bibliografia: " Via crucis " di Gianluigi Nuzzi,
" La morte del papa " di Luis Miguel Rocha.
Marzo 2016
Il silenzio
del buio
Sto in riva al mare sulla sabbia.
E' l'imbrunire, aspetto la notte.
Sento la sabbia, mi plasmo in essa.
Granuli morbidi sotto la nuca,
sotto di me, caldi e carezzevoli,
si aprono creando un vuoto che mi turba.
Arriva alfin la notte. Il ciel, pian piano,
si affolla di vivi e tremuli lumi,
come lampare vaganti sul mare
che sciaborda lieve ai miei piedi.
Chiudo gli occhi,li serro e aspetto.
Sprofondo così nel buio più buio,
ne sento il richiamo, lo faccio mio …
Ecco ora sento il silenzio del buio,
mi fondo in esso, mi pervade tutto,
inghiottendomi nel vortice nero.
Fermo il tempo, immobile,di ghiaccio.
Riapro gli occhi e guardo il cielo stellato.
Ascolto e sento Il brulichio e il palpito
di miriadi di stelle e galassie.
Da mondi e universi lontani
il loro silenzio mi urla dentro.
Mi libro nel vuoto, grande vela
pulsante,spinta dal vento stellare
attraverso lo spazio sconfinato,
nel tempo senza fine,e mi struggo,
sublimando un amore infinito:
quando sarà… così vorrei spirare.
Gennaio 2016
Scintilla
Scintilla primigenia
che emergi dal caos;
ora sei onda,
ora sei particella;
infinitamente piccola,
smisuratamente grande.
Sei tu lo yin e lo yang,
il maschio e femmina,
il dentro e il fuori,
il chiaro e scuro.
I colori della luce.
Intelligenza dell'uomo,
intelligenza del cosmo.
Tutto da te proviene,
da te e per te si evolve:
l'universo smisurato,
lo spazio infinito,
nel tempo senza fine.
Gennaio 2016
Pipina e Riki *
Oh quale giorno felice fu quello
quando,la coda scotendo festosa,
ora acquattandoti un po' timorosa,
venisti a noi e accarezzammo il tuo vello.
E quando dal piccol frondoso ostello,
dopo una notte nera e tempestosa,
ci mostrasti la prole tua gioiosa
e il maschio,Riki,di tutti il più bello.
Ma qual triste giorno,allor,infelice,
fu quando,tornando felice,
sostai alla tua cuccia inabitata.
E quando,infin,pur te bel cuccioletto,
strappato fosti al nostro affetto,
a causa di crudel gente spietata.
*vedi racconto " Una cagnetta e il suo cucciolo ".
1950
Sentimenti….natalizi
Di festività è ormai stagione,
dovrei essere quindi assai contento,
e invece sento come un tormento.
Sono forse caduto in depressione.
Intorno, ovunque, è un gran fermento:
luminarie,stelle,spazzacamini,
comete,re magi, Gesù bambini.
Cos'è allora questo turbamento?
ahi!mi mancano figli e nipotini;
lontani, non sono ancor arrivati.
Di abbracciarli forte non vedo l'ora…
Ma eccoli infin a me vicin vicini,
a me avvinti, stretti e accovacciati…
ed ora il mondo tutto si colora.
Versi arrabbiati
Scrivere voglio qualche versetto
per dire cose che non ho mai detto,
non certo a voi giovani e giovincelle.
Ma noi vecchioni, di brutte e di belle,
tante ne abbiamo viste nella vita:
di costoro,bella casta impunita,
che alle camere eletti da noi tutti,
si comportano da gran farabutti;
coltivar sanno sol la melanzana,
ma non per l'expo,solo per la grana.
Coi soldi statali si dan da fare,
non per costruire ma sol arraffare.
E di questi ch'hanno fatto bordello,
d'una scuola che dovria esser modello.
Di chi mal coprendo i lavoratori,
fuggir ha fatto gli imprenditori;
per cui chi da lavoro è solo padrone,
e non uomo che ne fa missione;
e non vuol capir ch'anco per costoro,
e motivo d'orgoglio dare lavoro:
al punto che si son tolta la vita ,
quando ogni speranza era svanita.
E di questi altri,che la povera gente,
in galera mette ,anche innocente!,
mentre il porco,il ladro,l'assassino,
mettono fuori anche con l'inchino;
e chi se ne frega s'è Vallanzasca!
Tanto tu te la prendi sempre in tasca!
Ma posson essere inver assai cari
quando ti mettono ai domiciliari.
Mettici pure la televisione,
regno eterno di qualche barone,
che ponendo lo stolto in vetrina,
ci fa fare una figura barbina.
E di te, cara Roma,mia amata,
ognor vilipesa,ognor stuprata
da burocrati avidi e magnoni,
grossi,corrotti,biechi e ladroni,
che non gli frega proprio un bel niente
di turlupinare la propria gente.
E te povero sprovveduto Ignazio,
di cui i lupi hanno fatto strazio,
t' han fatto passare per malandrino,
ma sei solo un ingenuo paladino.
Questa è la mia più disiata speme:
che noi,stufi,tutti quanti assieme,
applichiam diretta democrazia:
scovare ovunque questa trista genia,
e a uova e frutta marce cacciarla via,
pur qualche melanzana,mi raccomando!
E se tutto ciò dovesse esser vano,
grossi calcioni allor sul de..tano:
metaforicamente sol parlando!?
lo faremo?veramente?ma quando!
Corre l'anno 2015
Nostra madre ha cento anni
D'ogni dove siam giunti in quel di Roma
a festeggiare,mamma, i tuoi cent'anni.
Dopo una vita lunga e travagliata
tra fatiche, disagi e malanni,
ogni avversità affrontando , mai doma ,
al gran traguardo alfin sei arrivata.
L'obbrobrio della guerra hai superato,
per i campi profughi sei passata;
ora qui ora là tra tanti affanni.
Finalmente in una casa sei entrata,
tanto , tantissimo desiderata.
Ricordi ti dicean " la tripolina",
quanto tempo è passato, mamma Tina.
Adesso hai in più qualche malanno:
non senti molto, ma ti fai sentire
con un simpatico interloquire.
Anche se nei tuoi occhi c'è qualche danno,
vispo è il tuo sguardo ,sempre vivace.
T'arrabbi a cercar la cruna dell'ago,
perché non vuoi smetter di cucire,
ma non molli,e persisti tenace.
Ma questo non è il tuo solo svago:
sapete qual è il suo vero pallino?
Le corse in moto con Valentino:
per come è andata, ancor ti dispiace.
La tua famiglia è molto variegata!
Al bisogno ci sei sempre stata!
Ovunque la vita ci ha portato
nipoti e nipotini hai ognor curato.
A volte sei un poco brontolona,
ma alla tua età tutto si perdona.
Orgogliosi siam delle tue radici.
Tutto di te in te ci fa intenerire,
non voglio dir quanto sei coccolata,
mamma, nonna e bisnonna adorata.
I calici ora alziam , brindiam felici,
figli, nipoti, cugini e amici.
Roma,14/11/2015
ARISTEIDE
PERSONAGGI
ARISTO Un cavaliere.
PANTO Il suo destriero,morello.
IRENE La sua innamorata.
IRENEO Padre di Irene.
IREO Fratello minore di Irene.
GRIFAGNA Una regina crudele.
FLOGISTO Lo sciamano o il vegliardo saggio.
RIGONE Un luogotenente di Aristo.
GRUCCIONE L'uccello guida.
GRIFO Il grifone buono.
GRIFONCELLO Il piccolo di Grifo.
ALTRI ANIMALI Il deodonte ,vampiri,grifoni,arpie,demoni,draghi.
MOLTITUDINI UMANE Di sotto e di sopra :schiavi e non.
Favola per bambini e non, tradotta in componimento poetico fantastico,
costituito
da un poemetto di dodici canti. Ciascuno canto composto da 30
quartine,meno il XII di sei. Tutte le quartine sono a rima chiusa e
incrociata per un totale di 1344 endecasillabi: abba-bccb-cddc-ecc.
Ogni canto è legato al successivo e l'ultimo al primo.
Riassunto
In una notte tempestosa di moltissimo tempo fa un cavaliere di nome
Aristo,in groppa al suo cavallo,galoppa a spron battuto in cerca di un
riparo.Si addentra in una selva e,sebbene contrastato da nitriti e
impennate del suo animale si di-
rige verso una luce in lontananza. Dopo una faticosa cavalcata giunge
in un ca-
stello cadente e semidiroccato, ricoperto di erbacce e arbusti
ischeletriti.
Mentre cerca,a piedi, di penetrare all'interno,Panto, il suo destriero,
spaventatis-
simo gli sfugge di mano e scappa via. Rimasto solo riesce ad entrare
nel manie-
ro che appare assai tetro. Vede una fiamma ardere in una nicchia del
muro,si av-
vicina per riscaldarsi quando questa lo avviluppa e lo attira dentro di
se,irresisti- bilmente, senza bruciarlo. Tenta di sottrarsi ma
invano;esausto e disperato sviene.
I CANTO
Una volta,in un tempo assai remoto,
c'era un cavalier,contro cui, invano,
d'una strega cozzò l'odio inumano,
regina di un regno al mondo ignoto.
S'appressava ruggendo l'uragano
in quella fosca oscura notte:
saette guizzanti in mille rotte,
accendevan l'orizzonte lontano.
Nembi oscuri,multiformi , a frotte
si rincorrean guizzando per lo cielo.
Le stelle avvolte da un atro velo,
non s'accendean più, al buio indotte.
E in mezzo a tutto questo gran sfacelo,
ecco tuonar lo zoccolio e il nitrito
d'un caval che un cavalier smarrito,
tra la polvere spronava,anelo,
ver verde bosco,dietro cui era svanito,
pria che la sua ora, il sol per la bufera.
Trovar voleva pria che fosse sera,
un buon riparo in sicuro sito.
Correa,volava nella notte nera,
di schiuma il muso asperso il ner destriero,
truci rai sprizzava dall'occhio fiero,
rorida e lucente la sua criniera.
Parliamo d'un uomo,un uomo vero,
prode,forte,buono,con tanto ardore,
le sembianze e degli occhi il fulgore,
la tempra mostravan del guerriero.
Degli oppressi era il difensore,
degli iniqui implacabile giustiziere;
è Aristo,l'impavido cavaliere,
le fanciulle lo tenean nel cuore.
Per il buio nulla si potea vedere,
e per la nebbia ch'avvolgea ogni cosa.
La tempesta s'era fatta furiosa,
l'acqua fitta cominciava a cadere,
il vento ululando senza posa,
verso l'aere alzava trombe di rena.
Aristo innanzi andando con più lena,
lasso alfin raggiunse l'area selvosa.
E poco dopo,reggendosi appena,
al riparo fu tra i tronchi alti e folti,
di cui molti ,ai suoi piè, travolti
finivano per quella furia in piena.
E cosa strana per luoghi si incolti,
ecco apparirgli un tenue chiarore,
che diegli la persa fè e il buon umore
che dai disagi gli erano stati tolti:
lì certo a lui sfinito viaggiatore,
non disdegneranno fuoco e ristoro;
che ciò è cosa umana per coloro
che osservano le leggi del creatore.
Felice,con dolce voce ,il suo moro
destrier spinse a veloce andatura.
S'allungava ora la via più sicura,
fin là ove una luce,qual tesoro,
brillava nel mezzo d'una radura.
D'improvviso la bella bestia,scossa,
nell'inceder suo da arcana possa,
s'inpennò ghermita da folle paura,
infino all'imo tremando nell'ossa.
Poi l'oscura forza fu si viva
ch' a un dirupo volò di senno priva,
ma Aristo ,sull'orlo della fossa,
mentre quello, folle ,il suol colpiva,
fermo il trattenne con gran vigore:
con carezze gli calmò il tremore
e sulla via tornò che mai finiva.
Raggiunse infine,dopo lunghe ore
la luce lontana,ma rimase incerto
se proseguire, quando vide, erto,
d'irti cespugli pieno e senza un fiore
ergersi un colle,e più in là coperto
di giallo ispido muschio,diroccato,
un vetusto castello abbandonato.
Allor dal caval smontando:"Certo,
fallace vision veder mi è dato ."
N'avea finito,ch'un brusco strattone
gli fé monco il pensier:lo stallone,
d'oscur terror preso,s'era involato,
nitrendo ,tra i vortici del monsone.
Rimasto solo, con in gola il pianto,
forte chiamava il fedele Panto:
"Fermati amico,vieni dal padrone".
Ma la sua voce si perdea soltanto,
ché il caval nella notte era sparito.
Non rimase altro a quell'uom spaurito,
di rifugiarsi nel rudere intanto,
Si avanzò,appoggiandosi, sfinito,
sulle vestigia disgiunte e ombrose
e,quando oltre un varco, il piede pose,
stette come colui che è inorridito.
Entro quelle pareti cavernose,
c'erano orror ch'ognun faria sbiancare
tanto non si potrebbero immaginare,
cose così orrende e spaventose:
quella tana di fanghiglia era un mare;
in mezzo ardeva un fuoco crepitante,
su cui con volo lento e incessante,
sozzi vampir vedeansi volteggiare.
Come volea esser miglia distante,
dall'infido luogo,ma pieno il fuoco,
d'una arcana forza, a poco a poco,
l'attirava nel plasma rosseggiante.
Urlò,ma emise solo un suono roco
Ché implacabile la fiamma l'attraeva,
e in vorticose spire lo stringeva;
il suo opporsi era sempre più fioco,
senza scampo tutto lo avvolgeva.
E'potere misterioso e profondo,
non bruciava,era fredda ,vinto, in fondo,
al fluido cadde mentre il lum perdeva.
Si trovò così in un altro mondo,
ove come spettri, in voli ciechi,
orridi vampiri dai guardi biechi
lo sfioravano col corpo immondo.
O musa,tu che il divino spirto arrechi,
fa ch'io di tale uomo conosca il fato.
Fa,che per me ,del mondo inabissato,
si odano gli oscuri tenebrosi echi.
II CANTO
Riassunto
Aristo si risveglia in un mondo
sconosciuto e
misterioso,sotterraneo : accanto a
lui,per fortuna, c'è Panto.Vede
montagne scoscese,picchi selvaggi,
fiumi tumultuosi, piante selvagge.
Arriva davanti a un varco nella
roccia ,da cui parte una profonda
galleria. In alto la inquietante
scritta che annuncia il regno di
una regina tiranna che si chiama
Grifagna.
Il vegliardo misterioso,Flogisto:i
suoi consigli. La spada magica.
Costui gli rivela dove si trova la
spada magica e come poterne venire
in possesso. Inoltre gli mette a
disposizione un uccello dai colori
sgargianti che gli farà da guida
,il cui nome è Gruccione.
Destò Aristo un lieve umido fiato,
soffiatogli sul viso impallidito.
Aprendo gli occhi sem'istupidito,
rimase senza motto e stralunato,
quando vide attorno a
lui...basito..
stendersi, orbo del ciel,un mondo
orrendo.
M'ancora più per l'animal
stupendo,
per quel caval d'un bruno
colorito,
che mostrando la sua gioia
nitrendo
gli scalpitava gioioso accanto.
Ma infin lo riconobbe,era il suo
Panto,
il bel morello che stava vedendo.
Felice volea urlar,ma d'altro
canto,
il silenzio che incombeva gravoso,
restar lo fece muto e silenzioso.
Dai più reconditi luoghi,intanto,
si sprigionava un fluido
misterioso,
un qualcosa di soprannaturale,
che precede un furioso temporale.
Ah!,poter fuggir luogo si pauroso:
picchi aguzzi avvolgendosi a
spirale,
si ergevan verso
l'alto,circondati,
da scura foschia,così pure ai
lati,
ove in brusche torsion la roccia
sale.
Per quei piani aspri e
selvaggi,solcati
da limacciosi e tortuosi torrenti,
dai vortici tumultuosi e bollenti,
fiorivan,vaghi fiori maculati,
che pur belli,dai soffi dei venti,
senza pietà alcuna venian
strappati
e, mentre al lor posto altri erano
nati,
ghermiti venian dall'acque
furenti,
e nei fumosi gorghi trascinati.
Poi volgendosi all'amico fidato,
con dolce voce:" Come sei
arrivato,
gli disse,in questi luoghi
desolati."
Panto,con lo sguardo,al padrone
amato:
" Che farei,disse, senza te,
lontano,
vinsi allor il terrore sovrumano
e senza esitar seguii il tuo
fato."
Cavalcarono guardinghi, invano
cercando verso il sole qualche
uscita;
quando ormai ogni speranza era
svanita,
un varco trovarono in fondo al
piano;
Qui pensò che per lui era ormai
finita
quando di rosso sangue intrise,
queste aspre parole lesse, incise,
su una ferrea porta arrugginita.
" Se sei qui,uom,mala sorte
t'arrise,
e non scamperai, poiché sei
entrato
nel vasto regno da me governato,
da me Grifagna e le sue armate
invise."
"Qui solo s'entra,niuno mai è
scappato
da questa mia terra,forte, aspra e
dura ,
qui si porrà fine alla tua
avventura,
maledirai il giorno in cui sei
nato."
"Mai!,per te invece sarà
sciagura",
pensò,cingendo alla spalla il
mantello.
Avanzarono l'uomo e il morello,
a cercare l'auspicata apertura,
sempre più giù nello stretto
budello.
Ogni speranza ormai perduta aveva,
nessuna luce ancora si vedeva;
soffocavano ormai in quell'avello.
No avanti deciso andar doveva,
darsi coraggio,giammai arretrare,
a ogni costo la paura dominare,
che strette le viscere gli teneva.
Mentre stava pensando cosa fare,
poggiato al muro
inconsapevolmente,
lo sentì vibrare improvvisamente,
poi tosto,tutto in un colpo
mancare;
cadde,allor,mentre un raggio
lucente
lo accecava investendolo in pieno.
Drizzossi come il guizzar del
baleno,
il brando in pugno stretto
saldamente;
ma subito al suo impeto pose
freno,
quando a lui davanti , allibito,
si pose, austero,un vecchio
incanutito,
che mostravasi invece assai
sereno.
Il vegliardo con viso impietosito,
dopo averlo a lungo guardato,
" Mi chiamo Flogisto. Oh
sventurato,
disse,com'è che tu sei qui
finito?"
"S'avrai tu la scritta ben
osservato,
già saprai qual'infido paese è
questo."
E Aristo,al buon vecchio ,tutto
mesto:
"Si lo so,padre,fin'ora ho
sperato,
d'avere sognato,invece,son desto."
"Per tal motivo allor,vorrei
sapere,
s'esiste e dove qualche potere,
che a questa scellerata è
funesto."
"C'è,ma se ti sarà dato vedere,
gli orridi mostri,i molti demoni
e l'arpie e gli ancor più infidi
grifoni
che la servon in ogni suo volere,
certamente ogni tuo ardir deponi."
" Ma lo stesso te lo dirò.E'
affilata,
la lunga lama in acciaio foggiata,
l'aurea elsa di lucenti aloni
tinge lo spazio attorno. Poggiata
risplende, su un purpureo cuscino,
senza posa dal vespro al mattino
da quattro enormi diavoli guardata
insieme a un grosso feroce
mastino.
Fonde,brucia,spacca, in pugno
stretta,
rende invisibile. Avrai vendetta
così! Ma non con un tiro mancino,
averla tu potrai contro
l'abbietta!
Sol dei segni da motti
accompagnati,
son terror dei guardiani
scellerati,
che solo allor fuggiran in gran
fretta."
Udito ciò, Aristo ,allora,se i
fati
saran propizi, sarò vincitore!"
Quei allor,mostrandogli lieve
chiarore:
" Da là si esce,da lì pian
sconfinati,
disse, questo uccello dal bel
colore,
ti guiderà volando per lo piano
fino a quel regno sì tanto
lontano.
Seguilo,figlio ,senza alcun
timore."
III CANTO
Riassunto
Lotta d'Aristo con il deodonte*.Le caverne del terrore:le cave ove gli
umani scavano un minerale che trasforma le persone in creature
demoniache(la demonite).
Prima apparizione delle mostruose creature del mondo sotterraneo. Primo
scontro con arpie e grifoni. Aristo prigioniero. Fuga di Panto: il suo
destriero. Il castello e la reggia della regina Grifagna:l'orribile suo
aspetto. Fuga di Aristo.
* Una specie di cinghialone preistorico. Aveva le dimensioni di un
bisonte attuale.
Dietro il bel gruccione* il capitano,
su un picco s'arrampicò a perdifiato;
da lì vedeva un bosco sterminato,
giusto come diceva il buon sciamano.
Fame lo prese e, l'arco impugnato,
scese giù nella macchia ai piè del monte,
ove legato Pan,presso una fonte,
tra le fronde si nascose in agguato.
All'improvviso si trovò di fronte
una bestia, zannuta,ancestrale,
mai vista in terra,paurosa,ferale,
un dì sarà chiamata deodonte .
Scagliato invan,l'eroe,l'acuto strale,
come uragano che tutto schianta,
un grosso ramo spezzò d' una pianta,
e come clava contro l'animale
usollo, che terribile tutta quanta,
di ruina e fragor empia la foresta.
Percosso infin con furia sulla testa,
al suol crollò con ogni forza infranta,
e la spada a finirlo fu poi lesta.
Poi affettò un grosso bel cosciotto,
ch'avido mangiò dopo averlo cotto.
Stanco, infin, dormì,dopo sì aspre gesta.
* Il gruccione è un uccello dalla sgargiante livrea della famiglia
delle Meropidae.
Riposato salì in sella e via al trotto.
Passò boschi ombrosi e valli silenti,
laghi tempestosi,fiumi e torrenti.
E,sempre dall'amico uccel condotto,
pervenne,infine, senza inconvenienti,
là dove una gola,fra picchi e rupi,
dava all'arma fatata. Boati cupi,
si udivano, e paurosi lamenti
che sembravono ululati di lupi:
umani che alle avite dimore
strappati, vivevono nel terrore,
in vaste caverne, tra aspri dirupi.
Là i suoi fratelli , nel dolore,
scavavan demonite senza posa.
Proseguì Aristo per la via tortuosa,
rabbia e pena gli rodean il cuore.
Ma spesso ,prima di coglier la rosa,
ci si punge per l'ansia nelle spine.
Fu così ,per lui,che non vide,chine,
su una altissima vetta rocciosa,
di arpie e grifoni diverse dozzine,
che mute lo guatavan da erto sasso.
Ma l'eroe, inconscio,guardava in basso;
certo avrebbe fatto una brutta fine,
se il suo gruccione da sopra un masso,
non l'avesse,squittendo, messo all'erta.
La feroce masnada,ormai scoperta,
rinunziò all'agguato e,con gran fracasso,
si lanciò ululando giù per l'erta;
Aristo, tratto il brando,a mulinello,
a dritta e a manca, facea macello.
Cruenta infuriò la mischia,a lungo incerta.
A un tratto l'avvolse un viscido vello,
l'eroe si voltò, allora, inorridito,
e vide un'arpia che l'avea ghermito
e lo tirava su per il mantello;
ucciso un grifo che l'avea assalito,
verso essa roteò il brando insanguinato,
e tutto glielo infisse nel costato.
Annaspò il mostro,poi crollò finito,
e seppur non avesse ormai più fiato,
con l'unghie con forza battea il terreno.
Come leone lottava, d'ira pieno,
Aristo, e sebben fosse circondato,
resisteva,ma infine venne meno.
Stanchezza il vinse,e mentre prigioniero
tratto era, Panto il suo fedel destriero,
strappato a un demon che lo tenea il freno,
fuggì seguendolo lungo il sentiero
che alla reggia dava della regina.
Quando questa,infine, fu più vicina,
apparve come un turrito maniero
che per il molto tempo era in rovina.
Si ergeva possente ,a grande altezza,
in una palude ove forte brezza,
creava di scure nebbie una cortina;
queste avvolgeano tutta la fortezza;
fetidi miasmi spargendo per l'aère.
Trascinato dalle nemiche schiere,
pur uso a ogni genere di bruttezza
non potè un grido d'orror trattenere,
nel vedere l'orribile megera,
ch'aver doveva l'anima più nera,
di tutti quei demoni e quelle fiere.
che gli erano accanto con dura cera.
Era così ripugnante il suo aspetto,
che turbato anche l'essere più abbietto,
che al mondo in quell'antico tempo c'era,
sarebbe rimasto al di lei cospetto:
quasi un teschio coi denti sporgenti,
con radi peli e due tizzoni ardenti,
il resto avvolto da un drappo ch'al petto
ornato era di guizzanti serpenti.
Non guardò oltre,ma fuggì come matto.
E la strega,cui per l'ira di scatto,
s'era irto il ciuffo,ordinò che i battenti,
fosser chiusi,e il cavalier a lei tratto.
Ma Grifagna diede l'ordine invano,
chè Aristo di corsa raggiunto, il vano,
trovato Panto, era fuggito ratto.
Ed era ormai di gran lunga lontano,
quando l'inseguì lorda tumultuosa,
e pareva che,tanto era furiosa,
lo volesser divorar brano a brano.
La nebbia dietro lor copria ogni cosa.
Volavano i demoni a perdifiato,
ignorando quel che serbava il fato,
per opra di una spada portentosa.
Molto meglio per lor sarebbe stato,
s'avessero smesso l'inseguimento,
e se nel regno senza firmamento,
non l'avessero mai a forza portato.
Si!,chè nessuno, e niun impedimento,
fermerà l'eroe,finché n'avrà infranto,
questo orrendo mondo, tutto quanto,
e della malvagia la vita spento.
IV CANTO
Riassunto
Il tempio con l'arma fatata. Uccisione e fuga dei demoni di guardia.
Finalmente
in possesso del brando magico. Promessa e minaccia di vendetta e
giustizia. La grande battaglia. Sua vittoria e fuga delle orde
avversarie. Racconto straziante dell'umano semidemone. Gli parla di sua
figlia Irene.Per la salvezza di lei e della sua gente ha abiurato e
ceduto alla regina tiranna Grifagna. Consegna dell'anello. Il perdono
di Dio. Avvio alle cave del dolore per liberare i propri fratelli che
vi lavorano come forzati.
Lotta contro il drago e sua vittoria.
In fuga Aristo sul focoso Panto,
pervenne in una valle desolata,
ove celata era l'arma fatata
in un tempio con degli alberi accanto
e dei demoni di guardia all'entrata.
E mentre stupiti erano in fermento,
li distrusse con assalto violento .
Poi entrò,dopo aver la porta schiantata.
Ma l'aspettava un imprevisto evento;
infatti, appena oltrepassato il vano,
mentre il bel brando con trepida mano,
per afferrar stava tutto contento,
un demone il vide,poco lontano,
forcuto, smisurato e tremendo,
che fulmineo l'assalì,emettendo
fuoco,fiamme e un fluido insano.
Il prode atterrito, nulla potendo,
si segnò con il segnò della Croce:
fu salvezza ché la bestia feroce
fuggì via d'impotenza ruggendo.
Grato l'eroe con accorata voce,
riconoscente, pregò il Signore:
"Di tali mostri sarò il distruttore,
ho la spada contro cui nulla nuoce".
e alzatola all'aère pien di furore,
così gridò con voce leonina:
"La vendetta, Grifagna, è ormai vicina,
implacabili arriveranno le ore
nelle quali avverrà la tua rovina.
Tremò la terra e il ciel a tali accenti,
e i demoni fuggirono impotenti
a riferire i fatti alla regina.
Raggiunse Aristo le torme fuggenti
ingaggiando una lotta grandiosa,
terribile,crudele,sanguinosa.
Fu un cozzare di lame e di tridenti:
in mezzo a quella mischia spaventosa,
una spada roteava fiammeggiante,
colpendo in ogni dove sibilante,
travolgendo la torma ringhiosa.
Il fragore si fece più assordante
quando alla lotta s'unì un'altra coorte.
Ma simile a valanga,quel forte,
che dal monte a valle cade rombante
lasciandosi dietro rovina e morte,
infuriò tra i demoni spaventati,
che dalla magica spada falciati,
crollavano con le membra contorte,
bile vomitando,lai e ululati.
Il sangue sul suol scorreva a rivi.
Molti diavoli,arpie e grifoni ivi
giacquero orribilmente mutilati.
Allora quelli rimasti ancor vivi,
fuggirono travolti dal terrore
l'aere empiendo d'acuto clamore.
Demoni semi umani semivivi
giacean,rantolanti per il dolore,
ei l'interrogò sulla umana gente,
che facea Grifagna forzatamente,
lavorare negli antri dell'orrore.
E uno roteando le pupille spente,
disse:"Anch'io,figlio, ero uno di loro,
non vero demone, come costoro,
ma per salvare i miei e la mia gente,
perdetti ogni dignità e decoro.
"Ora,amico,salva, da tante pene,
quella tapina gente e la mia Irene,
figlia mia amata, dalle chiome d'oro."
"Dalle questo anello,che andrà bene
solo al suo dito. Salva le creature,
che non stiano più a subir torture
per opera di quelle iene oscene.
"Corri da quell'anime moriture,
perch'io forse non sarò perdonato,
per non aver nel buon Dio confidato.
Va ché se no cederanno esse pure."
E ciò detto, reso l'ultimo fiato,
giacque immoto,spaventato e tremante;
ma strappò Iddio,a Lucifero ghignante
l'anima sua,lasciandolo beffato.
Con nel cuore quella scena straziante,
Aristo ,allor, verso la rocca ascese,
e, dietro al suo gruccione, a dritta prese,
rientrando nella gola sovrastante.
Che irta di picchi e rupi scoscese
dava all'antro,ove, incatenati,
stavano i suoi fratelli disgraziati.
Rapiti,angariati,senza difese,
costretti a lasciare i borghi amati.
Ma ad un tratto,mentre il forte guerriero,
galoppava per il lungo sentiero,
furono i prati da un'ombra oscurati:
tremò l'eroe,nitrì il destriero.
Apparve un drago,enorme,spaventoso,
che da una fitta caligine ascoso,
sopra il pennacchio del suo cimiero
svolgeva le sue spire ringhioso.
Era un gigantesco drago alato
dai taglienti aguzzi artigli,armato
d'acuto corno sul capo scaglioso.
Di fuoco,fumo e peste era il suo fiato.
Scacciato via dal cuore lo spavento,
si preparò Aristo all'aspro cimento,
alle sue umane forze inadeguato.
Ma la magica spada e l'ardimento,
gli diedero nuove forze e vigore.
Il mostro attaccò,pieno di furore,
e l'eroe,evitate le fauci a stento,
da cui usciva verde bava e fetore,
sul destrier si drizzò e attaccò a sua volta.
Affrontò la bestiaccia,che sconvolta
tutta si dimenava pel terrore
in scura,ignea nube tutta avvolta.
La colpì violento, come tempesta,
riducendola sanguinante e pesta.
Credeva poi di fuggire la stolta,
ma la spada del prode fu più lesta,
perché l'eroe raggiuntola furente,
con un ultimo e rapido fendente,
gli mozzò netta la cornuta testa
V CANTO
Riassunto
Dopo essersi riposato dalla dura lotta,Aristo giunge nel luogo delle
"grotte del pianto," diviso in due zone:il cratere-arena dell'abiura e
dell'arruolamento e l'antro della mutazione,ove i terrestri attendono
il loro destino. Rinnova il suo impegno a distruggere Grifagna e a
liberare gli umani assoggettati ai voleri della tiranna regina. Giura
di farlo. Entra senza essere visto,reso invisibile dalla spada magica,e
vede che
i prigionieri indicibilmente maltrattati,vengono suddivisi, e portati
nel grande cratere, trasformato in arena, al cospetto di
Grifagna:maschi validi da una parte, donne,vecchi e bambini dall'altra.
Ha bisogno di nuove forze e chiede agli uomini di arruolarsi nelle
sue file;per chi accetterà promette allettanti piaceri,ma per i
contrari,mogli,figli, genitori e vecchi verranno torturati e uccisi.
Per timore dei propri cari molti e altri
accettano. La spelonca dei mutanti:mutazione degli umani in semidemoni.
Precipitevolissimevolmente,
fuggì via dai miasmi della battaglia,
stanco alfin ,s'infilò nella boscaglia,
e lì dormì di schianto. Finalmente
si svegliò,e tolta la cotta di maglia,
nel torrente si tuffò lì accanto,
per lavarsi tutto, insieme a Panto.
Partì,infine,seguendo la faglia
che portava alle "grotte del pianto".
Quì due demoni con moto alterno,
sulla bocca del grifagneo inferno
volteggiavano allarmati alquanto.
Da lì,fiamme,dall'imo foco eterno
provenendo, uscivano, e acri vapori
in un caos di sibili e rumori.
"Iena infame,d'ogni legge scherno,
disse,duro lo sguardo,il cor fremente,
"mi si dica vile,cane,spergiuro!,
se non ti schianterò,strega, lo giuro!"
Allor la spada alzò solennemente:
…,come bruma al vento svanì…,e sicuro,
invisibile tra lor,s'aprì il passo.
Per meandri procedendo d'irto sasso
giunse in un vasto luogo ancor più duro.......
e quel che vide gli fè dir:"Ahi lasso."
Vide d'ogni razza là radunata,
una gran turba,avvinta e disperata,
che gemea disperata con gran chiasso,
mentre fetida orda di arpie, armata
di forconi, fruste, reti e tridenti,
colpiva senza pietà quei dolenti
preganti pei figli e la donna amata.
Ma ancor di più colpivano violenti
alle grida strazianti di costoro.
Poi all'ordine del più crudel di loro,
a frustate,con aspri,duri accenti,
spartir la gente ululando in coro:
vecchi , maschi,il piccino poppante
dalla madre e il suo urlo lacerante.
Un satana nella roccia aprì un foro,
urtandola con l'asta fiammeggiante;
per qui in un vasto crater fur portate,
con in cerchio filar di gradinate
su cui assisa stava una feccia urlante,
e,quindi poi nell'arena ammassate.
Miseri,il desio del patrio suolo
nei cuori accendea il più cocente duolo.
Despoti di quelle orde efferate,
Grifagna e Satan con vicin lo stuolo,
dei capi dell'arpie e dei demoni,
sedevan ghignanti su ardenti troni,
mentre tutt'intorno a loro in volo,
zigzagavano stormi di grifoni.
Drizzò Grifagna l'orrida persona,
e ai dolenti che gli facean corona,
volse gli occhi ardenti come tizzoni.
La folla sotto il carco dei fer prona,
si gelò a tale sguardo,nell'arena.
S'udia cigolar sol qualche catena!
"Umani,disse,son vostra padrona"
e,nel dir così,sul suo muso d'iena
e il capo irto di radi capelli,
guizzavan sibilanti serpentelli;
pur sulle braccia e il seno ne era piena.
"Ho bisogno di soldati novelli,
per aumentar sempre più i miei poteri.
Chi starà con me avrà mille piaceri:
ragazze,giostre,bacco e caroselli."
Ma tutti tacevano muti e seri.
"Ma chi non ci sta ,sia pochi o tanti,
madri,mogli,figli,tutti quanti,
sarete impalati dai miei guerrieri.
"Ordunque subito si porti avanti
chi al nostro volere acconsente,
degno sarà d'impugnar il tridente".
Ma niun si mosse,sebben di furfanti,
ve ne fossero tra cotanta gente.
Grifagna,allor,a tal fier portamento
s'erse,presa da astioso sentimento,
e,col ciuffo irto,ordinò fremente
che bimbi,donne,pieni di spavento,
nell'arena fossero ammassati
e a dei pali ardenti incatenati;
qui cominciò il loro lungo tormento:
a colpi di tridente pungolati,
e con la frusta che si fa sentire,
urla,grida,pianti,lai da non dire:
molti,per salvare i loro amati,
dovettero, purtroppo,acconsentire;
altri per le promesse allettanti,
pur loro si fecero tosto avanti.
Grifagna,allora,ordinò di agire:
ad un suo cenno,arpie ributtanti,
di lezzo piene,li abbrancò,e a se avvinti,
li portaron per stretti labirinti,
nella ignea spelonca dei mutanti.
Fur posti costoro,uomini vinti,
nel luogo dove avverrà il fatale
mutamento,ove la forza del male
trasformerà i loro bestiali istinti.
Così si svolse l'opera brutale
di Grifagna nelle roventi cave:
stavano lì raccolte l'anime prave,
quando fur scosse da un rombo infernale:
squarciossi la terra e infocata lava,
bollente,si versò su tutti quanti
che urlando, immersi nei gorghi fumanti,
cosparso il volto di sanguigna bava,
si cangiavan lenti in demoni urlanti.
Pria tutti vestir setolosi velli,
poi quando arsi ebbero lor capelli,
dal capo nudo uscir tese in avanti,
irte due corna di giovin torelli.
Nere al spuntar ,mani e piè acuti artigli
e, mentre lor code facean grovigli,
aguzze orecchie mettean questi e quelli.
N'eran più dell'uom,ma di Satan figli.
Danzavan folli l'atre ali squassando,
scuotendo l'irto vello,ululando,
roteando gli occhi fondi e vermigli.
VI CANTO
Riassunto
Lo stuolo dei fedeli viene sottoposto a torture per abiurare:le corde
di fuoco, i
vampiri dissanguatori. Eroica resistenza dei fedeli,per cui Grifagna,
adirata e scornata,ordina che i prigionieri siano condotti ai lavori
forzati nelle cave scortati da due demoni. Aristo li uccide e si rivela
ai terrestri stupiti che gioiscono. Dice loro che è venuto a
soccorrerli. Va in cerca di un luogo ove rifugiare gli amici salvati.
Trova un grande caverna sotterranea in fondo a una dolina.
Molti rifiutarono il comando
di passare nella sua legione.
"V'impartirò la più dura lezione,
disse l'empia Grifagna,così urlando:
"Io voglio la vostra sottomissione,
convertitevi umani, altrimenti,
proverete i peggiori tormenti".
Ma pronte a ogni sopportazione
mute stettero l'anime dolenti.
Allora a un suo cenno,d'arpie un'orda
la gente radunò ferma e sorda
alle minacce e inviti seducenti.
Altro cenno e con resinosa corda,
fu ciascuno al palo avvinto tosto;
quando le arpie furono al loro posto,
quella iena crudel, d'uman sangue ingorda,
vendicarsi volle ad ogni costo:
con fiaccole crepitanti i suoi infami
accesero i resinosi legami
facendo di loro bollente arrosto:
dal fuoco avvolti,qual verdi rami,
si torcevano traendo pianti e lai.
Ridevano le orde dei loro guai
attorno svolazzando in folti sciami.
Invisibile,infuriato assai,
attendea Aristo il momento propizio.
Di cession non vedendo alcun indizio,
l'empia,dai lumi traendo foschi rai,
fece eseguire un altro supplizio:
altri pali furono conficcati
e a questi stretti gli umani legati.
Pronto il tutto, diè il segnal d'inizio:
per cui,torme di vampiri,aggruppati
sopra l'orlo del profondo cratere,
tosto obbedir, e, battendo l'al nere
s'avventarono di sangue assetati
sui poveri umani in fitte schiere,
lor gola ghermendo senza esitare.
Oltre,amici, non voglio andare
per come agir feroci quelle fiere.
Aristo piangeva lacrime amare
nel sentir urlare quei poveretti
e l'acuto pianto dei pargoletti;
ma doveva ancora sopportare.
Lordi e sazi infine, gli alati abbietti
tornar su in alto sul ripido ciglio,
forbendo il rostro sul rugoso artiglio.
L'empia."Ah!non cedete,maledetti",
gridò stridula,e,con fosco cipiglio,
"Via a lavorar nelle latomie,
a me occorrono solo anime rie,
a servir cieche senza batter ciglio".
"Miei satanassi alle ferrate stie!"
"Ognun d'un macigno sia caricato
e,nelle profonde cave portato."
Al comando in volo s'alzaron due arpie.....
da quel cornuto esercito alato,
che in fila li misero tutti insieme,
ridotti ormai in condizioni estreme.
Trovare un luogo giusto per l'agguato,
lungo il percorso,d'Aristo era speme.
Si nascose,così, all'ombra di un arco,
che formava uno stretto oscuro varco.
Quando apparvero l'orde blasfeme,
l'eroe con forza armato il duro arco,
la punta puntò d'acuto quadrello
su un'arpia che frustava un suo fratello,
prono per il sasso di cui era carco.
Saettò la freccia verso l'atro uccello
e,in gola gli si ficcò sibilante.
Crollò la bestia con urlo agghiacciante,
di sangue tingendo il peloso vello.
L'altra che il compagno boccheggiante
piombar vide al suolo,stupita stette;
ma due braccia al collo l'avvinser strette,
in una morsa ferrea e soffocante
finché l'estremo fiato non dette.
Giacquero allora i mostri ormai finiti.
I forzati guardavano stupiti,
ai lor piedi, le fiere maledette.
Ma ov'è colui che li aveva colpiti?
E mentre così si dicean pensosi,
mirando ancora i mostri paurosi,
dei passi furono da loro uditi,
si volsero, quindi, assai timorosi,
e tal vision loro tolse ogni paura:
luminoso il volto,d'or l'armatura,
sfolgorando gli anfratti tenebrosi,
d'uomo avanzava l'agile figura,
agitando le braccia vigorose;
la felicità allora in tutti esplose
e,dimentichi ormai d'ogni sventura,
quelle mani stringevan generose.
Aristo alfin fece questo discorso:
"Fratelli,in vostro aiuto sono accorso
per salvar voi e l'altre genti virtuose."
"Ordunque tutti con me al lor soccorso".
"Risposero,ognuno di noi è fiero
di venire con te o baldo guerriero."
"Bene,amici,andiamo,lungo è il percorso."
"Io vi precedo su questo sentiero
dietro al nostro caro amico alato;
devo trovare un luogo riparato,"
e,lanciò al galoppo il suo destriero.
Il suo occhio ad un tratto fu attirato
da una forra in mezzo a una boschina.
Scese così giù in fondo alla dolina;
attraverso un'apertura,incantato,
vide un torrente di acqua cristallina
e un'altro di lava nera e bollente,
ed inoltre accanto, ad esso adiacente,
di rossastra terra una collina.
Quel che vide gli illuminò la mente.
Molte armi si potevano foggiare:
acqua,ferro e fuoco per temprare,
in luogo sicuro per la sua gente.
Era ormai il momento di ritornare,
s'inerpicò allor fino all'apertura
che dava all'ampia e aperta radura
dove stavan gli amici ad aspettare.
VII CANTO
Riassunto
Aristo raggiunge i compagni e li
conduce nella caverna nascosta che
aveva
scoperto. Là dice loro come fare
per costruirsi delle armi con i
materiali che si trovano sul
posto. Fatto ciò dovranno
aspettare fino a quando non
invierà loro l'amico Gruccione
perché lo raggiungano nel luogo
ove sarà combattuta la battaglia
definitiva contro le orde di
Grifagna. Finalmente arriva alle
cave dove gli umani stanno ai
lavori forzati per scavare un
minerale che permette la mutazione
degli umani in demoni,la demonite.
Eludendo i guardiani entra
all'interno. Contatta i fratelli
terrestri. Li incita a
organizzarsi. Non appena pronti,
uniti agli altri fratelli,nascosti
nella dolina, che chiamerà al
momento opportuno, sferreranno
l'attacco decisivo contro la
tiranna. Intanto viene a sapere
che Irene è stata imprigionata. La
libera. Le rivela il suo aspetto.
Li raggiunse così senza altra
iattura.
Spedito,li portò ove era celato,
il rifugio ipogeo ch'avea trovato,
al sicuro da qualsiasi cattura.
"Amici,disse tutto infervorato,
abbiamo quel che serve in questa
grotta,
per dare al nemico una bella
botta."
"Qui ognuno di voi verrà armato.
"Ogni fabbro contribuisca alla
lotta,
in questa fortunata circostanza:
con acqua,ferro e fuoco in
abbondanza,
ciascuno di voi avrà,arco,spada e
cotta.
"Giungere alle cave è la mia
speranza!,
lì arrivato vedrò la situazione;
quando saremo pronti per l'azione,
combatteremo tutti ad oltranza."
"Aspettate che arrivi il mio
Gruccione,
affidatevi a lui completamente,
vi guiderà da me e l'altra gente
per vincer Grifagna e la sua
nazione." .
Fu alle cave del pianto
finalmente:
eran di guardia due demoni,armati
di spada e tridenti acuminati.
Invisibile passò facilmente.
Vide i fratelli,smunti,seviziati,
percorsi duramente coi forconi,
scavare demonite a terra proni,
stanchi,rinsecchiti e assetati.
Vide tra loro,striscianti,
carponi,
di povere anziane donne un
drappello,
porgevano acqua a questo e a
quello
per alleviare lor tribolazioni.
Si avvicinò,allor,mostrando
l'anello
a una che mostrò stupito piacere,
nel vedere si baldo cavaliere.
"Dimmi,cara donna,questo gioiello,
sai tu a chi possa appartenere?"
"No,ma all'ora del pasto,a quel
canuto,
dillo,è Rigone,ti sarà d'aiuto.
Ora stai cheto fai finta di bere."
Si giunse al pasto,e come
convenuto,
Aristo chiese al vecchio caporione
se quell'anello avesse un padrone:
ma a chicchessia era sconosciuto.
"Son qui a salvarvi,disse con
passione,
dobbiamo unirci insieme tutti
quanti,
e con altri,che verran più avanti,
formeremo una forte legione
per vincere Grifagna e i suoi
furfanti.
Nascondete lance,daghe e forconi,
pronti,anche con martelli e
picconi;
agli ordini dei vostri
comandanti."
"Voi mi vedete,non questi predoni!
Ho una spada magica assai potente,
che rende invisibile,dirompente.
Sono finite le vostre afflizioni."
Mentre parlavano, improvvisamente,
di catene sentì un forte stridore,
poi subito dopo urla di dolore.
Legata era alla parete rovente
dell'antro,una fanciulla,che il
suo onore
non voleva che subisse offesa!
Il capo demone l'avea lì appesa
perché cedesse al suo insano
ardore.
Ma ella,fiera,non si era mai
arresa.
"Ora dimmi,vecchio,qual'é il suo
nome?"
"Non so,disse,ma d'oro ha le
chiome,
e il padre perché rimanesse illesa
cedette,abiurando,così come
succede per tanti altri poveretti,
a ogni duro sopruso ognor
costretti
finché le loro anime non son
dome."
"Povera,sta lì con due maledetti
grossi grifoni di guardia
all'entrata."
"E Aristo,or so chi è
l'incatenata,
e ora che a liberarla mi affretti,
promisi al padre che l'avrei
salvata."
"E' per lei l'anello che il
genitore
mi ha affidato con tanto amore."
"E' Irene il nome,così l'ha
chiamata."
"Riconoscendolo, senza timore
Ella così a me si potrà affidare.
Per pria cosa la dovrò liberare,
toglierla,povera,da quell'orrore.
"Voi intanto,amici, datevi da
fare,
preparatevi con circospezione,
pronti,al segnale,ad entrare in
azione."
"Ora vi lascio da lei devo
andare,"
disse,e corse dov'era la prigione.
Eccola lì la dolce bella Irene,
smunta, pallida,avvinta in catene,
con negli occhi la disperazione.
Non dovrai più soffrire mille
pene,
ecco,cara,arriva il tuo cavaliere,
e nell'antro,senza farsi vedere,
entrò,invisibile alle guardie
aliene.
"Sono amico,sussurrò,non temere,
mi diè questo anello il tuo
genitore,
perché a me t'affidi senza
timore."
"Tu non mi vedi perché ne ho
potere;
"Mettilo al dito con cura e amore,
tuo padre per te,morente, me'l
diede."
"Ora spero che tu,in me,abbia
fede."
"Adesso agirò,tieni saldo il
cuore!"
e,qual felino,alle ignare prede
si avvicinò silenziosamente:
le assalì e uccise spietatamente;
poi d'ella infranse la catena al
piede.
Un caldo corpo,un cuore battente,
l'avvolse tutta,stringendola
forte.
Svanì ogni pena, non più
malasorte,
piangea e sorridea riconoscente.
Prima che altri dessero manforte,
rapidissimo,raggiunse l'uscita
delle cave,e con audace sortita
i diavoli di guardia colpì a
morte.
Ben risolta questa prima partita,
l'eroe a lei mostrò il suo bel
aspetto
e,quella alla vista:"Oh Dio
benedetto",
e timida, sorrise divertita
nel vederlo arrossir al suo
cospetto.
Basito lui la guardò,lei sorrise.
Poi,"Occor fuggir",disse e un
fischio emise
e,un caval sbucò fuori da un
boschetto.
VIII CANTO
Riassunto
Aristo porta Irene alla dolina in fondo alla quale c'è la grotta in cui
è nascosto il primo gruppo di umani a suo tempo liberati. Strada
facendo ella le racconta della sua vita. Raggiunto il rifugio segreto
affida Irene ai suoi amici e riparte raggiungendo nuova- mente le cave
dove Rigone e i suoi compagni lo stanno aspettando. Entra nelle cave.
Essendo invisibile nessuno lo vede. Da dietro una roccia chiama una
donna una portatrice d'acqua perché avvisi Rigone e gli altri del
momento dell'attacco.
Aristo attacca le guardie, i prigionieri si liberano dalle catene e
tutti insieme assalgono i grifagnani. E' vittoria completa. Li raduna
tutti e dice parla delle imprese future. Mentre sta parlando si
verifica l'episodio in cui Aristo risparmia un Grifone madre e il suo
pulcino. Si parte. Invia vecchi,donne e bambini che aveva al seguito
con Rigone guidato da Gruccione al rifugio sotterraneo segreto.
Raggiunge l'antro dei mutanti salvando in tempo un gruppo di umani. Si
prepara a distruggere il luogo.
Aristo, allor,la sella condivise
del caval con Irene e,felice,al petto
se la strinse forte e,con un buffetto,
il suo morello al galoppo mise
verso il luogo ipogeo e protetto,
tra rivi d'acqua e rovente lava.
Irene,al vento la chioma flava,
forte si stringeva al suo diletto,
della sua dolce infanzia gli narrava
e,del fratel piccin al natio paese.
Raggiunse egli la dolina e discese.
La gente che Gruccione s' aspettava,
che fosse invece Aristo si sorprese!
"Calma,compagni, nulla è cambiato."
"Il padre morente mi ha affidato
questa donna,che io da tante offese
e pesanti catene ho liberato."
"Ve l'affido siate il suo casolare."
"Ora,alle cave devo ritornare."
Così disse e da lor prese commiato.
"Oh Irene,mia amata,devo andare".
E tu,a lui avvinta,dolce morosa:
"Riprendi l'anel ",dicesti amorosa,
"ti aspetterò fin quando all'anulare
me'l cingerai per essere tua sposa".
Un ultimo bacio e via di carriera.
Giunto alle porte della miniera
nascose Panto in un'ansa ombrosa.
Tutto era tranquillo nessuna fiera:
solo i grifi,pria uccisi, le cui squame
si scioglievano in putrido liquame.
Non visto,allora,entrò nella petriera.
Cercò le donne che all'anime grame
davan da bere,che, sfatte e assetate,
demonite,tra le pietre infuocate,
scavavano,per la strega infame.
Disse loro:"Udite,Rigo avvisate,
tutti pronti,all'erta dovete stare.
Quando sarà l'ora del desinare,
attaccherò grifi e guardie armate.
Dai ceppi vi dovrete liberare
quando,invisibile, questi furfanti
attaccherò. Gli aguzzini,arroganti,
bivaccavano senza sospettare:...
. ..quando di fuoco improvvisamente,
una lama,raggio rosso di morte,
colpì ovunque quelle creature storte,
tutte avvolgendole in una scia ardente.
Via i ceppi!Alla libertà risorte
quelle genti,di fionde , di forconi,
di catene armate,anche di bastoni.
entusiaste si riuniron a coorte.
"Ora,cari amici e commilitoni,
una squadra inviamo alla stretta uscita
a tagliar alle fiere ogni sortita,
ché non allarmino gli altri demoni."
"Via corriam,dunque, a dar tosto aita,
a figli,parenti,fratelli,amici,
senza tregua inseguendo i nemici
finché conclusa sarà la partita."
A uno a uno li scovar,come pernici,
finché ogni resistenza fu cessata.
L'eroe allor riunì tutti in adunata
e disse:"Dopo tanti sacrifici
la nostra lotta è stata premiata."
Ma uno squittio,in alto su un roccione,
lo insospettì e mandò su Gruccione
che volando su con agil cabrata,
con frullio d'ali lo chiamò all'azione.
Ei salì e vide un nido e un pulcino
che da un uovo faceva capolino,
mentre la madre,spaurito grifone,
gli smoccolava il musetto aquilino,
proteggendolo con l'ala distesa.
Si commosse alla vista inattesa:
"Non avverrà mai che madre e bambino
io uccida e donne e gente indifesa,
disse,in cambio,tienilo a mente,
me non colpire e questa mia gente."
Infin,dove gli altri erano in attesa
scese giù col pennuto assistente
e,con calma,così parlò agli astanti:
"Due altre imprese,contro questi briganti,
ci aspettano,amici, dure e cruente:
distrugger la caverna dei mutanti,
poi sempre col mio brando distruttore,
Grifagna e il mondo ipogeo dell'orrore.
"Siamo con te",risposero esultanti,
scuotendo le armi con gran clangore.
Dalle cave uscir,senza esitazione
giungendo all'antro di trasformazione.
Ma Aristo fu preso dal timore
di vecchi e donne senza protezione.
Chiamò allor Rigone:"Va ove assistenza
trovar potranno e calda accoglienza,
alla dolina va!,segui Gruccione."
"Va anche da Irene che con impazienza,
aspetto di abbracciare e rivedere,
salutala e dille di non temere."
Nell'antro dei mutanti entrò senza
indugio,li stavan due umane schiere:
di anime prave,una,in mutazione,
l'altra,d'alme brave,in attesa,prone.
Subito egli,le demoniache fiere,
per fare in tempo a salvar le alme buone,
assaltò con la spada fiammeggiante:
tremendo,col cimiero sfavillante,
colpia le fiere senza remissione.
La gente,libera, urlava esultante,
s'abbracciava e baciava gioiosamente.
Ma l'eroe aveva già un piano in mente.
chiamò a se il suo vice comandante:
"Sgombrate dall'antro tutta la gente.
Vedi là,in alto,il vulcano infuocato,
giù il lago,nella caldera infossato?
lo riempirò con un fiume rovente
di lava,aprendo col brando fatato
l'irto fianco del ruggente vulcano.
Vedrai,disse l'acuto capitano,
lava ardente su acqua ,vedrai che boato".
IX CANTO
Riassunto
Distruzione antro dei mutanti e
cratere- arena. Aristo salvato dal
grifone. Tutti fuori sani e salvi.
L'eroe parla dell'ultima impresa
che li aspetta:la ditruzione del
castello di Grifagna con tutti
gli abitanti.Invia un messo al
rifugio sotterraneo segreto
guidato da Gruccione.
Il corriere deve dire a Rigone di
portare tutti, armati come si
deve, nel luogo dove è accampato
Aristo con tutti gli altri.
Devono
rimanere lì vecchi,donne,bambini e
ammalati;a battaglia conclusa li
raggiungeranno.
Rigone esegue e
s'avvia,ma Irene la promessa sposa
di Aristo non vuol rimanere e si
affianca a Rigone.
Finalmente Rigo
e i suoi con Irene raggiugono le
forze del loro condottiero.
Aristo e Irene si incontrano.Si
abbracciano appassionatamente e si
rendono conto di essere
seriamente innamorati.Allora
decidono di sposarsi e davanti al
popolo;con Rigone a testimone
un prete li unisce in
matrimonio.Assemblea di Aristo e
compagni per pianificare l'ultimo
assalto al castello di
Grifagna.Uccisione della strega da
parte dell'eroe.Conquista e
distru-
zione della roccaforte e di tutti
i suoi occupanti,disfatta
definitiva di tutti i seguaci di
Grifagna.
Ora bisogna uscire fuori da
quell'orrido mondo sotterraneo e
ritornare in superficie:alla
libertà.
Tutti uscirono allor con gran
baccano.
Decise infin di passare
all'azione:
e spada in pugno con
determinazione
s'arrampicò sull'orlo del vulcano;
aprì un varco nel ripido costone,
e la lava piombò nella caldera
alzando di fuoco una grossa sfera
ch'esplose in un ardente ciclone.
Poi per inondare la valle intera,
alla sponda della caldera ascese;
l'aprì, e l'acqua a valanga
discese.
Ma di fuoco lo fermò una barriera!
Quando con le ampie ali distese
si avvicinò a lui stridendo un
grifone ,
che lo invitò a salir sul suo
groppone;
su d'esso a cavalcioni il vol
riprese.
Si tenne stretto,il nostro
campione,
all'augel ,che con rapida
impennata,
saltò la densa cortina infuocata,
lasciando dietro una enorme
esplosione.
Uscirono all'aperto,ove adunata
la gente era,atterrando con
stridore.
Tutti li guardarono con stupore,
anzi la folla era spaventata.
" Calma,amici,mi era debitore,
ricordate ,la vita gli ho salvato.
Ora esso con me si è sdebitato.
Sarà per noi tutti l'arma
migliore!,"
Disse, scendendo dal fiero alato,
ch'al nido volò del suo
pargoletto.
Fischiò e, nitrendo, da dietro un
boschetto
venne a lui l'amico più fidato,
Panto,il suo destriero prediletto.
" La grande decisione ormai è
presa,
disse,l'attacco è la miglior
difesa.
Abbatteremo quel mostro abbietto."
Così partiron per l'ultima
impresa:
distruggere Grifagna e il suo
castello.
Inviò un messo con
Gruccione,l'augello,
per chiamare coloro che in attesa,
stavano nel sotterraneo ostello.
Il messo riferì al capo Rigone
di preparare una grossa legione,
ben armata,drappello per
drappello.
Doveano là star tutte le persone
non abili:donne ,vecchi e malati.
Rigo obbedì e tutti fur
approntati,
ma Irene non volle sentir ragione,
e volle seguire gli uomini armati.
S'affiancò a Rigo e bella e fiera,
marciò in testa alla lunga
schiera.
Giunsero alfin dov'erano accampati
Aristo e i suoi,in una vasta
brughiera,
lì ognuno cercò ansioso la sua
gente :
e Irene il suo eroe, ansiosamente.
Quando ei la vide non gli parve
vera;
vederla lì innanzi
improvvisamente,
dolce,tenera,fiero il portamento;
lo prese un tal forte sentimento
che il cuore gli travolse e la
mente.
Decise,allor,che era giunto il
momento
di suggellare la loro unione,
e stringendola forte con passione
arringò il popolo tutto contento:
Chiamò un prete e Rigo testimone!
E cingendole l'aureo anello al
dito,
disse:"Irene,ora sono tuo marito".
E lei a lui:"E io tua sposa",e di
corone
fior volaron attorno, e,
lui,basito,
nella sua tenda,sul suo giaciglio,
la pose e fu amor senza somiglio,
amor profondo,amore infinito.
All'alba la baciò con un bisbiglio
e quindi uscì in cerca degli
anziani;
chiamò luogotenenti e capitani,
riunendoli tutti a gran consiglio.
"Questi,amici,sono i nostri piani,
col buio ite alla boscosa collina,
che all' erta fortezza è assai
vicina,
lì ben nascosti state,non
lontani."
"Io,invisibile,con la mia divina,
aprirò dei varchi sulle alte mura,
con'l gladio fondendo la roccia
dura."
"Subito allor,al suon della
buccina,
assaltate,e,attraverso ogni
apertura,
entrate e assalite la roccaforte;
nel caos Grifagna io colpirò a
morte,
fine ponendo ad ogni altra
sventura."
"Vado",e baciata l'amata consorte,
partì e,poco dopo giunse al
maniero,
dove,all'entrata c'era un
masnadiero.
Invisibile passò oltre le porte.
Fisso aveva l'eroe un solo
pensiero.
In fondo a un corridoio c'era un
ingresso,
proprio al di là di quello,li
dappresso,
c'era Grifagna che con sguardo
altero...
parlava agli astanti uniti in
congresso.
Invisibil giunse al di lei
cospetto,
e mentre si godea senza sospetto,
delle sue serpi il viscido
amplesso,
con l'arma di fuoco gli squarcio
il petto.
Si senti allora un urlo
agghiacciante,
e l'esser ferino bruciò
all'istante:
si squagliò tutto il corpo
maledetto
in liquame fetido e ripugnante
che,emanando mortali esalazioni
fece strage d'arpie,grifi e
demoni.
Approfittando del caos dominante,
corse Aristo veloce sui bastioni
e,brando in pugno,in un
battibaleno
tre varchi aprì nell'erto
terrapieno
attraverso cui entraron le
legioni,
rovina seminando senza freno.
Rasa al suolo infin l'orrida
fortezza,
triste retaggio d'ogni nefandezza,
tutti sperar un viver più sereno.
Ma perchè libertà fosse certezza,
fuor di là Aristo li dovea
portare..
e l'atro mondo per sempre
annientare.
Ma sol col Vecchio Saggio c'è
salvezza!
X CANTO
Riassunto
Aristo,liberati i fratelli li fa uscire da quel mondo sotterraneo
distruggendo definitivamente il regno ipogeo di Grifagna con l'aiuto
del vecchio saggio Flogisto. Scomparso per sempre l'orrido mondo di
Grifagna ,Aristo aduna tutta la gente liberata e invita uomini e donne
a ritornare al proprio paese.
Egli,d'altronde,porterà Irene,la sua sposa ,alla sua terra,al castello
che fu di suo padre:lì dovrebbe esserci il piccolo fratello,Ireo, sotto
la tutela di uno zio.
Seguono l'eroe e Irene,il vecchio sciamano Flogisto,Gruccione,Rigone,un
gruppo di suoi amici e due poderosi draghi alati:Grifone madre e
Grifetto figlio,ormai diventati inseparabili compagni.Si procurano dei
cavalli per viaggiare spediti e quindi intraprendono l'avventuroso
viaggio verso il
paese di Irene.
Aristo,ora,sapeva cosa fare;
pensava al vecchio saggio sciamano,
solo lui poteva dargli una mano,
solo lui lo poteva consigliare.
"Va da lui Gruccione,anche s'è lontano,
all'amico porta questo biglietto;
c'è scritto che con grande ansia l'aspetto.
Ma perchè viaggi bene il nostro anziano,
porta Grifo,che si carichi il car vecchietto."
Gli alati allora,con decisione,
partirono per l'ardua missione ,
in cerca di quell'uomo benedetto.
Volaron girando con attenzione,
a lungo,e alfin trovaron il veggente,
che subito,poi,messo al corrente,
montò di Grifo il pennuto groppone.
Indietro vennero rapidamente
dove lo aspettavono trepidanti;
e quando Ari se lo vide davanti,
lo abbracciò stretto calorosamente.
"Portaci fuori amico,tutti quanti,
del mondo di luce indica la strada,
e quei punti,che con l'ignea spada,
mi faranno,con colpi devastanti,
distruggere quest'orrida contrada."
"Vedi la roccia in cima alla salita?
rispose, dietro c'è la terra ambita!"
"Occorre,figliol,che tu lassù vada
e con la daga apra un varco,un'uscita."
"Guarda inoltre bene questa brughiera,
sotto di essa ,vulcanica caldera,
ruggon lava e gas,pronti alla sortita."
"Dietro 'sta parete c'è una scogliera
immersa nello mare più profondo:
basta della magica arma un affondo
e l'acqua spazzerà ogni barriera."
"Bucando poi della brughiera il fondo,
disse,l'acqua entrerà dentro la cava
a noi di sotto,ove, unendosi alla lava
scatenerà un grandioso finimondo."
"Bene",disse al saggio che parlava
e a Grifo,"su portami alla parete"
e usando l'arma come fosse ariete
un varco aprì che all'aperto dava.
"Presto,amici,quella strada prendete,
tutti,Rigone in testa,e Irene e Panto,
uscite,e allontanatevi quel tanto,
finchè tutti al sicuro vi porrete."
"Gruccione m'avverta,allora soltanto
io continuerò nell'impresa mia."
Sicchè tutti,spediti, usciron via.
E quando,di ritorno,gli fù accanto
l'amato uccello,ei,d'ogni cosa pria,
mille doline aprì per la pianura,
colpendo,su Grifo,la roccia dura.
Ma,ancora,all'eroe,del fer la magia
occorrea e alzato il fer con man sicura
ritto,splendido,sul dragon rampante,
la roccia che dava sul retrostante
mar,squarciò,creando un'ampia apertura.
Da questa il mare dilagò rombante
tutta invadendo l'arida convalle.
Scendendo poi giù per le varie falle,
raggiunse la caldera sottostante
ch'esplose:un vortice di fuoco dalle
cime scese bruciando ogni cosa.
Da fitte nubi la zona fu ascosa.
Atterriti,Aristo e Grifo, le spalle
voltarono, alla ricerca bramosa
dell'erto varco che portava fuori;
alfine in un caos di schianti e vapori
usciron da quella bolgia furiosa.
Poi,dall'alto,bella,ricca di fiori
vide Aristo la terra agognata,
più in là,ansiosa,la gente,adunata,
che aspettava i suoi salvatori.
Vide pure l'eroe la sposa amata
e Rigone e Panto,e tutti gli amici
e il vecchio saggio.Pertanto felici
lui e Grifo con rapida cabrata
discesero sulle verdi pendici
del colle,ove le gente era in attesa.
L'eroe abbracciò Irene,ver lui protesa.
E poi alla folla:"Mai più sacrifici!
Compiuta,disse,è la nostra impresa,
non siete più anime umiliate e offese!
E' ora che ognuno torni al suo paese!
"Anch'io la mia decisione ho presa,"
e,guardandola,ver lei braccia tese ,
"Verrò con te al tuo avito castello
ove con lo zio sta il picciol fratello
tuo"e, con lei in groppa,la strada prese.
Con loro andarono Gruccio l'augello,
Rigo e i suoi,i Grifi e il vecchio saggio.
Andavano nel fiorito paesaggio
formando,invero,un curioso drappello.
Ma molto duro era il loro viaggio,
appiedati,per foreste e per valli,
col solo Panto e senza altri cavalli.
Infine un buon uomo,presso un villaggio,
mostrò una via che per ascosi calli,
dava a una masseria,ove un fattore,
il loro problema ben prese a cuore.
"Sono là ,disse,dentro agli stalli,
ognuno di voi scelga il migliore."
Aris gli diede una petita d'oro,
poi chiamò i suoi amici e tra costoro,
in Rigo scoprì un bravo domatore,
proprio lui,che fece un buon lavoro:
li abituò all'uomo e a essere sellati;
e quando alla fine li ebbe approntati,
lasciarono il casal lì nel pianoro.
Da una fronda all'altra,nel bosco ai lati,
saltavano i due Grifi.Biricchini
puntavano in picchiata i pellegrini,
che,urlando,fuggivano spaventati,
in sella ai loro scalcianti ronzini.
Viaggiavano tutti allegri e scherzosi,
e Aristo e Irene, novelli sposi,
si facean dispetti come bambini.
XI CANTO
Epilogo: riassunto
Aristo,Irene,Rigone e Flogisto e tutti gli altri giungono nel paese
della moglie dell'eroe.
Il popolo è sotto la tirrania dello zio di Irene che ha imprigionato il
fratello ancora adolescente. Fustigazioni e prigione per chi non paga
le tasse. Ari penetra nel castello con Rigo,Grifo e un altro compagno è
riesce a spodestare Racogna,il tiranno,insieme a tutti i suoi accoliti
e a imprigionarli,liberando nel contempo tutti coloro che erano stati
segregati ingiustamente. Il popolo riacquista così la libertà e acclama
Ireo,fratello di Irene e la stessa Irene legittimi eredi. Aristo non
vuole cominciare il governo del paese versando del sangue in quanto
Racogna e tutti i suoi alleati andrebbero giustiziati. Pertanto li
condanna a un esilio definitivo facendoli trasportare da Grifone e suo
figlio in luoghi lontanissimi ai confini del mondo. Ritorna così la
pace e la libertà e tutti vissero felici e contenti. La spada magica fu
nascosta in un luogo segreto; non sarà usata contro esseri umani, ma
solo contro creature demoniache. Sarà usata se la terra verrà invasa da
creature di questa natura per la salvezza del genere umano.
Giunsero,alfine,gli ardimentosi
nel paese di Irene,ove la gente
triste apparia,mal ridotta,dolente;
dalla fame i corpi e i volti corrosi.
Quando in un borgo,impalato,gemente,
trovarono un povero disgraziato
che le tasse non aveva pagato
perché,misero,non avea più niente.
Dai nostri amici allor fu liberato
e portato nella sua abitazione.
Questi disse:" Chi non paga il padrone
dai suoi scherani viene fustigato
e,poi dopo sbattuto in prigione.
Pur di notte ci tocca lavorare.
Siam disperati non sappiam che fare."
Lo stesso avvenia per l'altre persone:
ciascuna in catene avea un familiare.
Irene allor chiese di suo fratello:
rinchiuso l'avea lo zio nel castello
in una torre ardua da scalare.
Reagì Ari:" No catene,niun balzello,
quel tuo zio,o Irene, chiamato Racogna
è un tiranno,un verme,una carogna,
di lui farò giustizia senza appello.
"Ecco Rigo cosa far mi bisogna:
entrare invisibile nel maniero
e il ragazzo tenuto prigioniero
liberar.Quando udirai la mia brogna*,
subito manda l'alato corsiero,
lo guiderà a me il caro gruccione;
Grifo,preso il pargolo sul groppone,
il porterà a Irene assai in pensiero."
Allora,l'eroe s'appressò al bastione
della rocca, e passò per la porta
non visto dagli sgherri della scorta.
Quindi attento si avviò verso il torrione
e,alfine,il vide,con la faccia smorta,
chiuso al freddo,solo, dentro una cella,
dove di guardia era una sentinella
a ingurgitare la sua sbobba assorta.
Stordirla fu per lui una bagatella;
con la spada poi fuse il lucchetto
ed entrò,e mostrò al ragazzo il suo aspetto
che al vederlo stette senza favella.
Ari aprì un varco e si portò sul tetto
con il bimbo ,fece il segnale e,attese.
Arrivò Grifone che in groppa il prese
e a Irene il portò che se'l strinse al petto.
L'alato di nuovo al castel ascese
con in groppa Rigo e un valido arciere.
Raggiunser così il nostro cavaliere
il cui piano a tutti era ormai palese.
L'eroe,poiché era venuto a sapere
che il tiranno in assemblea era riunito,
nella sala entrò e, molto incollerito,
con la spada affrontò il filibustiere,
* conchiglia usata una volta dai pastori come tromba per chiamare gli
armenti.
che, al vederlo,rimase assai basito.
Disse a Racogna che seduta stante
il regno dovea lasciar all'infante,
subito,se non avesse obbedito,
per lui sarebbe stato devastante.
Questi insieme agli altri lo derise;
Aristo subito,allora,lo allise,
e come uragano,terrificante,
atterrò tutte quelle genti invise
cui la gran paura bloccò ogni parola.
Grifo intanto,in alto,facea la spola.
Il dur tiranno,allor, si sottomise.
L'eroe puntandogli l'arma alla gola,
"Ti grazio,ora vai nelle tue prigioni
insieme a tutti i tuoi compagnoni.
Su svelti,lo dico una volta sola."
E così,con i due commilitoni,
mise nelle celle quei lestofanti
al posto dei poveri,invero tanti,
là chiusi come fossero ladroni.
Questi liberi,saltavan festanti,
per quella libertà tanto invocata.
L'eroe,alzando la spada infuocata:
"Andate, avvertite tutti quanti,
domani si faccia grande adunata,
con il popolo nel grande piazzale:
c'è il riconoscimento ufficiale
di Ireo erede e della sorella amata."
Poi lasciò Rigone,l'amico leale
a guardar le celle e col fier pennuto
volò dai cari amici in aiuto
riparati,fuori,presso un casale.
Giunse come angelo dal ciel piovuto
e abbracciò Ireo e l'amata Irene
che ancora s'angustiava in mille pene.
L'indomani il gruppo fu il benvenuto
in città, e tutti urlavano ogni bene
ai baldi eroi che li aveano salvati.
Sul palco a viva forza fur portati:
chi li tira,li abbraccia,li trattiene.
E Ari:"Eccoli!amici,ve li ho portati,
gridò,indicando i giovani germani,
fratelli saran per voi e non sovrani,
e diritti e libertà rispettati".
Estasiati erano i compaesani
di Ireo,di Irene,della sua bellezza;
così li portaron nella fortezza,
da cui fuggiti eran già gli scherani.*
Iniziò il governo con gran saggezza:
Racogna e gli altri suoi mariuoli,
non fur uccisi,ma con lunghi voli,
Grifone e Grifoncello con destrezza,
lungi li dispersero tra i due poli.
E che fu infin della magica spada?
Questa,in verità, si che è una sciarada!
Parla allor Flogisto:"Cari figlioli,
che su uomo sia usata mai accada!
Sia sepolta nel luogo più profondo,
fino a quando da un alieno mondo,
non giungerà diabolica masnada."
"Solo allor,contro questi a tutto tondo,
un strano alieno,disse sibillino,
di discendenza a voi molto vicino,
la terra salverà dallo sprofondo.
Commiato
Per te nipote,giovane,bambino,
ho scritto questa favola in poesia,
per sbrigliar vieppiù la tua fantasia.
Se un dì,per il mondo andrai peregrino
e vedrai costoro sulla tua via:
uno grande e uno piccin,due grifoni,
a volteggiare su e giù dai torrioni
di un gran castello,in acrobazia,
come se fossero degli aquiloni,
e con accanto anche Gruccio l'uccello,
che attorno a loro fa mulinello,
per non farsi acchiappar dai loro unghioni,
sappi che tu sei nel paese più bello,
il paese di Rigo e Ireo e il buon Flogisto,
ove galoppan lieti Irene e Aristo
in groppa a Panto il più bel morello.
Quì tutti sorridono,sei ben visto.
Chiamiamolo il paese di Utopia
da dove la gente non va mai via,
dove lieto sarebbe ogni buon cristo.
Cerca,sempre,piccin,comunque sia,
non ti fermare,non stare immoto,
non ti fermare nel giardin del loto,
va sempre avanti, ma in allegria.
Ringraziamenti
In primo luogo alla prof.Pierpaola Busetto,che ci ha letto il primo
canto al corso di scrittura creativa ,all'Utea di Cordenons e al suo
Presidente,ai miei compagni di corso, agli amici insegnanti di Gorizia,Marcozzi
Francesca e il consorte Arnaldo che mi hanno incoraggiato. ai miei
figli Emanuela e Marco,a mio fratello Carlo,a Daniela e Roberto
A mia moglie Gabriella che spesso mi ha fatto mitigare la crudezza di
alcuni versi.
A tutti i nonni che vorranno leggerlo ai loro nipotini. Ai miei nipoti
Giulio,Lorenzo,Martina,Tommaso e Nico,Giovanni, Giacomo,Margherita e
Matilde,in particolare Leo che la sera a letto voleva che gli
raccontassi sempre episodi della favola.
Infine,agli amici e collaboratori di questo "Portale Azzurro" e al suo
prezioso artefice Lorenzo De Ninis e dulcis in fundo,a te,carissimo
Piero,per i tuoi generosi commenti .
Un nonno…Giovanni Abbate
Filastrocca
metrica
Filastrocca,filastrocca,
con un colpo di diastole,
la metrìca non si tocca.
"Non raccontate istorie
con queste strane protesi",
disse il dottor
Paragoge,
fiero della sua virtude.
"Mainate le
aferesi",
gridò Morgan il pirata
alla torva maramaglia
ch'avea una brutta epentesi.
Ma Episina Lefe il chiama:
“ amor,specchio d’ogni mia brama,
spetta colei che ti ama.”
Ma eccoti la gran trovata,
col dittongo del Zagaglia:
se di due,tre, ne fai una,
allor hai la sineresi
e te ne vai sulla luna.
Ma te ne vai in dieresi,
se di due ne fai due,
così disse il gran Cimabue.
Ma quando c'è l'elisione,
allor è fuori questione,
c'è sempre una fusione.
Se non c'è!allora è
iato!
Oh dio,mi son inceppato,
mi son presa una sincope,
e il mio spirto se ne è andato.
Non per dir,amico bello,
mi salvo con l'apocope,
che non è sorte d'uccello.
Oh dio,ho la tachicardia;
la sistole m'è venuta,
pièta per l'anima mia.
Ma per i prossimi tmesi,
ti prego,dolce musa,aiuta
mi con tutti questi arnesi,
non voglio fuggire via,
ma giocar sol in allegria.
Giugno 2015
Sopravvissuto*
In quel grosso veicolo cingolato
c'erano ben dodici bersaglieri.
Ignoravan,poveri,il loro fato.
Giovani erano,scherzosi e
ciarlieri.
Ad un tratto il loro carro è
sbandato,
lor gelando i più rosei pensieri.
Giù nel baratro tra i sassi è
piombato.
Non scampaste,piumati fucilieri!
Son morti tutti,ma sol tu,tu solo,
come augel dal nido fuor sei
volato,
e in una pozzanghera come un
piolo,
nel fango,in fondo,ti sei
impilato.
E così com'era destin,figliolo,
l'angelo tuo la vita ti ha
salvato.
* vedi racconto " Tutto è
stabilito "
Febb 2015
1953:…Quelli
del muretto
Qual'aspro affanno è mostrar
d'udire,
condividere,mentre dentro è
inferno,
loro sciocco modo di far,sentire,
per non vedere nei loro occhi
scherno.
Eppur con loro sto e non so
fuggire,
eppure ancora il mal dal ben
discerno.
Perché mio spirto non ti vo
seguire,
che dentro sordo incalzi e ruggi
eterno?
Viltà mi spinge sempre con
costoro,
vergogna di mostrarmi veramente,
non bestia in brago,uomo senza
decoro.
Dirò senza sviar
l'occhio,virilmente,
ch'io fuggo e sprezzo quel che
pasce loro,
che le vie amo del cuore e della
mente?
Acrostico*:…..
Lungi da me voler esser
ruffiano;
ospite ,solerte e generoso,
ricevi ognor il plauso più
affettuoso.
Esperta guida ci porti per mano.
Nobile e vigile è la tua
accoglienza.
Zefiro soave,eterea,la tua poesia,
ognor piena di dolce malinconia.
Di ciascun raccogli ogni
confidenza,
e con Piero,Carlo e il caro Santi
Noi conduci per l'aulico portale
in cui ci confrontiamo tutti
quanti,
non tronfi,ma con spirto solidale,
inviando per l'aere i nostri
canti,
sospirando trepidi un mondo ideale
*Componimento
poetico dove le prime
lettere di ogni verso, lette in
ordine verticale,
danno un nome o altre parole
.
giugno 2015
Un soldato
della.... "Grande guerra"...
Di sangue asperso,nell'arsa radura
giaci morente,solo e abbandonato:
per una granata sei sprofondato
in una buca nella terra oscura.
Ma la sorte ti sarà ancor più dura
chè la patria di cui fosti
soldato,
non sa neanche dove sei interrato.
Nella fossa allor ti prende la
paura
che il corpo tuo mai sarà trovato:
ché disperso sei,non dato per
morto.
E giaci lì,per il dolor contorto,
con il fango in bocca, spaventato.
E allora tu Dio,tu che sei
risorto,
dagli,almeno tu,il disiato
conforto.
Fa si che non subisca un altro
torto.
Teco portalo nel celeste porto,
ove di luce d'amor sia inondato.
giugno 2015
Nonna Rosa
Che donna straordinaria sei stata,
anche se la vita mal ti ha trattata.
Pur si breve,però,l'hai ben vissuta.
Cara nonna non ti ho mai conosciuta,
sei morta giovinetta.All'improvviso,
si gelò per sempre il tuo sorriso.
Dal suol dei ciclòpi all'americano,
e poi da questo a quello africano,
hai sempre tu seguito tuo marito,
nel bene,nel male,per ogni sito.
Hai condiviso con lui ogni asprezza,
con cinque figli e la tua giovinezza.
Non sei mai stata a casa ad aspettare,
l'hai sempre seguito, dandoti da fare,
dandogli sostegno sino alla fine,
di un amore pieno senza confine.
Da te ho ereditato,forse,il coraggio,
d'affrontare deciso qualsiasi viaggio:
chè la terra promessa della vita
sta dove la famiglia è sempre unita.
Frebb 2015
Foto di tre soldati dietro le sbarre di
un campo
di prigionia USA nel 45(Los Angeles)
Dietro le sbarre di una prigione,
anzi di un campo di prigionia,
stanno tre giovani nostri soldati.
Mio padre è al centro,lo sguardo perduto,
un grande sogno lo spinge e l'ispira,
vola alto senza limiti e confini,
sempre più in alto,sulle alte vette,
per distese enormi e il grande oceano,
e per mari ancora,e ancora altre terre.
Ci raggiunge alfine,moglie e figli,
mentre l'aspettiamo in trepida attesa,
e ci stringe tutti in un caldo abbraccio.
Ci porterà allora con ferma mano,
nella nuova ambita terra promessa.
Vola il suo sogno,arriva,ci pervade,
siamo un tutt'uno.Ora siamo una forza.
L'altro alla sua destra è sorridente,
non ha tristi pensieri per la mente.
Andrà in Italia dai suoi genitori
con cui ritornerà dall'amorosa,
futura sua sposa,americana,
che l'attende non vedendo l'ora.
Alla sbarra appeso,il terzo compagno,
ha un sorriso amaro,quasi un ghigno;
non troverà nessuno al suo ritorno:
è andata distrutta la sua famiglia,
per un'incursione,sotto le macerie;
il sogno più sognato è stato infranto.
marzo 2015
LEI: il medico di famiglia
Fitta di gente è la sala d'aspetto,
ma il tempo passa e lei ancor non appare,
qualcuno tra noi comincia a borbottare,
ma sempre con il dovuto rispetto.
Cigolio di un uscio:appare il suo viso,
e i suoi occhi frugano nella stanza,
verso di me infine: che esultanza !
Seguo ansioso quel dolce sorriso;
posso con lei parlare finalmente,
aprirle il mio cuore e i miei affanni;
ode,sorride,scrive velocemente
la ricetta contro quei malanni.
"Come andrà,chiedo,ansiosamente?"
"Vedrà,mi dice,camperà cent'anni".
marzo 2015
La croce alla fermata del tram*
Li dove il tram fa la giravolta,
crudelmente la vita ti fu tolta.
La mia età avevi,giocavamo assieme.
A tal pensier il cor mio ancor geme:
a ricordare quel gran fragore,
tutto quello scempio,quell'orrore.
Stavi li sull'ordigno,concentrato,
con vicino il compagno imbambolato.
Una fumata avvolse le tue mani,
ma strano!,tu stai lì,non ti allontani.
E' il destino e il fato!Così sia!
Ma l'altro scappa,fugge,corre via,
fa in tempo.Subito un esplosione:
tutto intorno è morte e distruzione.
Sei,mio caro amico,volato in cielo;
e,le tue membra,raccolte in un telo,
messe furono in una lignea bara.
“Che la terra,almeno,non ti sia avara,
e profondi di fiori quella croce
a ricordare quella sorte atroce.
Là dove il tram fa il girotondo,
dove strappato fosti a questo mondo.”
* Era al capolinea di Cinecittà a Roma lungo il binario;
nel 45-46 un ragazzo di 10 anni,mio compagno di scuola,
è saltato in aria nel tentativo di smontare una bomba.
11/02/2015
Un pezzo di legno
Eccolo là un pezzo di legno,
bruciare vivo nel mio caminetto.
Sfrigola,crepita,geme,scoppietta.
Un senso di calore mi pervade,
e,i miei occhi guardano,rapiti,
quelle fiammelle che giocano sinuose:
le afferrano,e nelle loro volute di fumo,
i più reconditi miei pensieri
s'insinuano,innalzandosi con esse,
sempre più in alto,oltre il camino,
per volare sempre più lontano.
E mentre mi perdo,smarrito,
in quella dimensione surreale,
il ceppo pian piano si consuma.
Oh fiamma,amica mia,non mi lasciare,
e subito accorro con un altro pezzo,
posso così continuare a sognare.
Febbraio 2015
La violenza dell'ingiustizia.
Come spiegare quel che vivo e sento;
l'affanno atroce,la muta pena
che mi divora e brucia a foco lento,
la bufera ch'aspra in me si mena.
Il gravoso carco d'un sentimento*,
di cui fin nell'imo l'alma è piena.
Il mio smorto andare,vuoto e spento,
il male che pian piano m'avvelena.
E dei tanti pensier la cruda folla
che il cor mi scava con brutale rabbia,
turbinando forte giammai satolla.
Ed il lungo tempo,ore fosche e nere
in cui mi volvo nella ferrea gabbia
invan fugando le rabbiose fiere.
* Sentimento d'ingiustizia.
Gennaio 2015
Ricetta: ciambellone...di
Capodanno
Mettete i tuorli dentro la terrina,
zucchero,con la frusta sbattete;
mescolando,burro fuso aggiungete,
sempre amalgamando anche la farina.
Quindi buon lievito e vanilina,
cacao amaro e latte ancor mettete,
fino a che la crema montar vedete.
Tutto in tortiera,con imburratina;
ora in forno attendiam ch'al suo calore,
la torta tutta si sia ben gonfiata
fino a raggiungere un bel colore.
Ora è pronta,amici,ora va sfornata!
Potremo alfin gustarne il buon sapore,
brindando lieti all'attesa nottata.
Buon Capodanno 2015
Ai morti “soli” in guerra
Nel sangue immersi,in agonia,soli.
Su di loro aleggia ormai la morte.
Nessuno accanto,poveri figlioli,
a compiangere quella cruda sorte.
Soli,soli,senz'un che li consoli,
muti attendono,tremando forte,
che il loro triste spirto via s'involi,
giù negli abissi,per l'atre porte.
Verranno,e non in una lignea bara,
ma in una fredda fossa vi porranno,
senza che attorno stia persona cara.
Ma, eroici figli,non state in affanno,
siete vivi in noi,e,dalla terra avara,
un giorno,patria e madri vi torranno!
Dicembre 2014
L'età della stupidera
Tu piangi,giovincella,e t'addolori
per questo primo amore sfortunato.
Ma via,su,non disperar,perchè il fato,
incontro ti verrà con nuovi amori.
Sarai ancor felice,e mille ardori
tenteranno il tuo cuore assetato;
ma in questa frenesia,inaspettato,
t'arrecherà il destin nuovi dolori.
Ancor gaudio,illusioni e,finalmente,
se ancor non ti sarai bruciate l'ali,
la tua sete placherà pur sorgente,
di vero chiaro amor che non ha eguali.
Ma sta cauta chè questa sete ardente
non ti sia causa di più gravi mali.
Nov 2014
Rossi pesciolini
Rossi pesciolini,bestiòl dorate,
che l'acqua solcate argentina e chiara,
nei vostri occhi scorgo una luce amara,
che mi parla di aree sconfinate,
del mistero di plaghe inabissate,
ove fitti a schiera scorrete a gara.
Queste vitree mura v'avran ,vil bara,
non conchiglie azzurre,albine o ambrate.
Si,vostra coltre il limo d'un'ampolla
sarà,non la fiorita,viva*zolla
ai pi è d'un corallo,nel mar turchino.
Ma via,di tal pensier la triste folla!
Su guizza allegro,rosso pesciolino,
che l'ultimo dì ancor non è vicino.
* ad es. le attinie sembrano fiori,ma sono
animali (vivi).Sono anche chiamate anemoni
o rose di mare.
Sett 2014
Calligramma: il lattante
Illustrazione: Poichè il contorno scritto della figura (poesia
visuale) è poco leggibile
si pone il testo qui sotto.
Senza tetta il bel bambino,
piange tutto disperato,
ma la madre, qui vicino,
corre svelta a perdifiato,
e lo stringe stretta al seno.
Sugge,sugge e quando è pieno,
si addormenta,bel sereno.•
Donna,madre,quanto amore,
da quel viso bel traspira,
ch'alla gente che l'ammira,
d'amor trabocca il core.
febbraio 2014
Calligramma : Il cacciatore
Illustrazione: Il calligramma è una poesia figurata fatta
per essere letta e contemplata( poesia visuale).Il suo soggetto viene
rappresentato con una immagine che viene disegnata con la scrittura dei
versi del componimento stesso,a partire,in senso orario,da un punto
qualsiasi del contorno della figura. Poichè le parole dei versi che
disegnano la figura sono poco leggibili le si è trascritte qui sotto.
In cima ad una altura,
scruta il ghepardo la radura.
Ecco un antilope,là lontano...
striscia allora,pian piano,
per portarsi a distanza d'attacco:
non può subire uno smacco,
ha fame la sua cucciolata,
lì dietro ai cespugli imboscata.
Ecco ora è abbastanza vicino
e,come fulmine, scatta il felino.
Si allunga e s'inarca flessuoso,
deciso,rapido,silenzioso:
sempre più breve è la distanza,
per l'antilope non c'è più speranza.
febb 2014
Haiku*:suggestioni stagionali
Inverno
Soffia la bora,
un bianco turbinio
di neve s'alza.
Scende la neve,
copre d'un bianco manto,
la brulla terra.
Autunno
Van giù le foglie,
sull'erba,mulinando,
giocando vanno.
Foglie morte,ocra,
sulla spoglia terra,
roride stanno.
Primavera
Ninfee sull'acqua,
ginestre odorose,
primule e viole.
Stormir di fronde,
fruscio del vento,
la musica del bosco.
Estate
Sull'arido suol,
turbinoso vortice,
la sabbia leva.
Del sol la vampa,
inaridisce i campi,
la terra asciuga.
* .E' un componimento poetico, nato in Giappone, composto da tre versi
per
complessive diciassette sillabe ( 7-5-5 ; 5-7-5 ).
Trae la sua forza dalle suggestioni della natura nelle diverse stagioni.
La composizione richiede sintesi di pensiero e d'immagine in quanto il
soggetto
dell'haiku è spesso una scena rapida ed intensa che descrive la natura e
ne
cristallizza dei particolari nell'attimo presente.
L'estrema concisione lascia spazio a un vuoto ricco di suggestioni.
27 Febbraio 2014
Il pescatore...in erba.
Embè il nostro Lory che ti combina!
Retino e secchio,esca e ami nel cestello;
afferra la canna col mulinello
e,lesto si conduce alla marina.
Fissa girella,lenza,amo ed esca,
e con un lancio maestro,là dal molo,
lancia il piombo che con un bel volo,
s'impila sull'acqua:inizia la pesca.
Ad un tratto un guizzo improvviso,
un vibrar di canna,una strattonata,
lo mettono all'erta,sull'avviso:
forza,dai,fila,tira,non mollare!
E alla fine ferra una grossa orata,
che svelto nel guadino fa saltare!
Agosto 2014
Tripoli...bel sol
d'amore.
Più salgo negli anni e più mi assale,
incontenibile,che mai va via
il desir struggente,la nostalgia,
della mia libica città natale.
Di rivedere la casa,il bel viale
che furono attorno all'infanzia mia,
che,aspra,mi strappò sorda sorte ria,
da un evento addotta crudo e fatale!
Ora so ahimè!or lo so,lacrime amare,
ma allor no,non sapea,cos'era il pianto
della madre mia,quando,su dal cielo,
vidi sotto i miei ignari occhi passare
la chiesa*e le moschee col porto accanto,
su cui sole stendea l'argenteo velo.
* la cattedrale di Tripoli.
A Leo.
Leo,stanco,pien di sonno,
vuol dormire con il nonno.
Svelto,allora,il pargoletto,
si proietta sopra il letto
e,con le gambe e con le braccia
quelle dure membra abbraccia.
Poi infin con un gridolino,
gli si stringe assai vicino.
Ma lì anche c'è la nonna,
occor si che la raggiunga,
quindi allor le gambe allunga
ad acchiappar la sua gonna.
E gira che ti rigira,
fino sotto lor s'infila,
e spingi e molla e tira,
pur un calcio ti rifila!
Che mucchio,non si respira!
Alla fine è un gran groviglio:
un nido senza somiglio,
da cui caldo amor traspira.
Prometti,caro Leoncino,
non fare il biricchino,
per mamma e papà,per noi,
sii sempre un bravo bambino.
Chè in questo mondo senza eroi,
dove ognun fa gli affari suoi,
soltanto il tuo candore
sperar fa a un mondo migliore.
Luglio 2014
Segare....a Villa
Borghese
Sotto le coltri già ci avea pensato,
di non andar,le lezion n'avea apprese,
quando la Scuol Ducale* ho marinato,
per vie andandomene a Vil Borghese.
E movendo i passi di prato in prato,
profusi dei bei fior che mena il mese,
in studenti miei par son capitato,
che rincorreano con pupille accese,
toccando,marpioni,or queste or quelle,
lor compagne allegre e assai giocose.
Ma tra queste,ahimè,le più focose,
dure colpivano con le cartelle.
Mi unii anche io all'allegra brigata
e presto mi rimediai una borsata.
* Il Duca degli Abruzzi in via Palestro a Roma.
Aprile 1953
Papocchio alla romana
( ...una ricetta perduta.)
Petti de pollo tajati a tocchettini,
sherry secco con succo de limone
sarza de soia,zenzero e lampone,
e,d'oliva d'ojo dù cucchiaini;
e ajo e senape e li fegatini;
er tutto a mollo ner pentolone,
e, ojo de gomito cor frustone.
Tajate e banane a quadrettini,
e, n'torno al pollo marinato
l'avvorgete strette co la pancetta;
ne li spiedini ogni tocco impilato.
Me fò a sale e pepe nà bruschetta,
me verso er vino, e,cor bicchio arzato,
me spaparanzo a magnà a Ripetta.
Febbraio2014
L'Adriatico
D'alto loco,fin dove l'occhio arriva,
il mar miravo azzurro e tremolante.
Rivoltarsi il vedea torvo e mugghiante,
squassar furente la deserta riva.
Oh! le membra tuffar nell'onda viva,
guizzare nell'onda spumeggiante!
Non eri poi infin tanto distante,
e,lieto avviommi mentre sol saliva.
Ti vidi,alfine,corrusco e imbronciato;
m'accogliesti con un cupo mormorio.
Io immoto me ne stavo,assai turbato.
Ma piana voce,era lieve sciacquio:
“Vieni”,disse.E da quel suon chiamato,
ignudo scesi il sassoso pendio.
Settembre 1953
La mia donna.
Vai per la casa indaffarata,
e stiri e pulisci e fai i letti.
Poi in giardino tra i fior ti metti,
e in cucina alfin corri trafelata.
E ai nipoti,della buona fata,
le favole racconti e dei folletti:
e con li occhi sgranati i pargoletti
a sentir ti stanno, sempre invocata.
E quando, più giovane, dei figlioli,
sopportavi il dolce fardello
per non lasciarli correre mai soli.
E questo uomo anziano e vecchiarello,
o sposa,amante,amica che consoli,
è sempre per te un baldo giovincello. |