Racconti e saggi di Reno Bromuro
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Reno Bromuro poeta, scrittore, commediografo nato a Paduli (BN). A sedici anni rappresenta la sua prima commedia, nel 1957 fonda a Napoli il «Centro Sperimentale per un Teatro neorealista», inizia il cammino per la totalità del teatro, basato sull’attore, unificando la globalità scenica. Ha rappresentato trentacinque commedie. Oggi è critico ufficiale di «Poeticamente» e continua il discorso sul teatro «unificato» dove l’attore è il perno dell’opera.
Ha pubblicato libri di poesia, saggistica, teatro, e il manuale di Educazione Teatrale per la scuola media.
8 SETTEMBRE 1943 Bugie e fuga fecero nascere il caos Giovedì 2 settembre 1943, verso il tramonto ritornavamo a casa dopo aver giocato per tutto il pomeriggio a “Bandiera”, poi qualcuno andò a studiare per gli esami di riparazione e rimanemmo in tre a divertirci a “guardie e ladri”. Per essere più liberi, vale a dire poter gridare a squarciagola senza dare fastidio a nessuno ci nascondevamo per il “malazzeo” (il magazzino in disuso da decenni) dove le terme di Traiano e l’orto di “Trecoglioni” facevano al caso nostro. A pochi metri da Porta Columbro, c’è (o c’era) un larghissimo spazio dal quale si può vedere, in giorni sereni, Benevento. Ma quella sera rimanemmo imbambolati perché la città era avvolta dalle fiamme, non bruciava, era il sole rosso del tramonto che la faceva quasi fosse al centro dell’Inferno. Noi ridevamo, con l’incoscienza dei ragazzi, ma una signora con molta più esperienza di noi, disse che aveva visto quel cielo una sera del 1935 e dopo pochi mesi scoppiò la guerra in Africa. Rimanemmo a bocca aperta; poi riprendemmo il gioco come se nulla fosse accaduto. Ma la previsione della Signora, con il cesto in testa, era giusta. Il Paese non sapeva niente ma venerdì 3 il generale Eisenhower, Comandante delle Forze Armate alleate, autorizzato dai governi americano e inglese e nell’interesse delle Nazioni Unite propone, al Maresciallo Badoglio, Capo del Governo Italiano la resa senza condizioni, che accetta le dodici ferree condizioni cui ci si dovrà attenere. Mercoledì 8 settembre 1943 alle ore 19,45, la radio blocca le trasmissioni in programma e in pieno silenzio si ode la voce di Corrado: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza». Nessuno, seppe niente, neanche i comandanti delle forze armate che il Capo del Governo Badoglio aveva mandato segretamente il generale Castellano, a trattare la capitolazione e questi il 27 agosto portò a Roma un testo di armistizio steso dagli angloamericani; che fu chiamato “corto armistizio”; cioè uno schema preliminare per la resa dell'Italia. Il testo porta la data anticipata del 3 settembre, Le condizioni di armistizio sono presentate dal generale Eisenhower. Subito dopo l’annuncio di Corrado, avvenuto alle 19,45 dell’8 settembre 1943, inizia il dramma dell’esercito italiano anche perché la notizia dell’armistizio fu seguita dal messaggio del maresciallo Badoglio che comunicava di aver chiesto l’armistizio al “generale Eisenhower e che la richiesta era stata accolta. Nel giro di poche ore il dramma si trasforma in tragedia per centinaia di migliaia di soldati abbandonati a se stessi, nell’ora forse più tragica dall’inizio della guerra. Il 9 settembre gli Alleati sbarcano a Salerno, dove rimangono bloccati alcuni giorni a causa della feroce resistenza che i tedeschi oppongono dalle colline che circondano la zona, ritardando l’avanzata verso nord. Alcuni gerarchi fascisti scappati in Germania dopo il 25 luglio - tra i quali Vittorio Mussolini, Roberto Farinacci, Alessandro Pavolini, Guido Buffarini Guidi - dal quartier generale di Hitler lanciano un proclama che accusa Vittorio Emanuele Terzo e Badoglio di tradimento e annuncia la nascita di un nuovo governo fascista. Ritornavamo dal Convento dei Frati Minori quando, dove la strada si divide in quattro direzioni, su quella che porta a Buonalbergo vedemmo tre auto con la bandierina sul lato sinistro,in bella vista;e Padre Ludovico,il Priore del Convento vi si parò davanti e si diresse verso la seconda salutando con umiltà, poi ci disse: “Ragazzi gridate viva il Re e salutate”. Che peccato non averlo visto! Il 10 settembre i tedeschi ottennero la resa dei contingenti italiani posti a difesa di Roma. In quelle stesse ore, in molte località del Paese, da Sud a Nord nelle zone occupate dai tedeschi, gruppi di antifascisti si ritirarono sulle montagne per formare i primi nuclei di guerriglia. A questi "antifascisti politici" si aggiungeranno presto soldati sbandati, o altri giovani per i quali, come afferma Guido Quazza, la scelta della resistenza era quasi "esistenziale", fondata su una spontanea volontà di reagire all'occupazione tedesca, in un tentativo di rivincita contro il fascismo. Inizia ufficialmente la Resistenza. L’11 settembre dai microfoni di radio Bari il re con un filo di voce annunciò, dopo due giorni, il suo trasferimento nell'Italia liberata: "Per il supremo bene della Patria che è sempre stato il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell'intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della capitale e per potere pienamente assolvere i miei doveri di re, col governo e con le autorità militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale...". Il giorno dopo il piano di invasione tedesco è concluso e il Paese è diviso in due zone, il Regno del Sud e l'Italia "occupata" al nord, dove Mussolini, dopo essere stato liberato sul Gran Sasso, per ordine di Hitler, costituisce la Repubblica Sociale Italiana. Scrive Silvio Bertoldi: Re, ministri e generali, lo Stato in fuga. La cronaca delle drammatiche ore di quell'8 settembre 1943
«Alle cinque della sera, l’ora
fatale in cui Ignacio Sanchez, il torero di García Lorca, affronta la
morte nell’arena, Vittorio Emanuele III comincia a prepararsi a
lasciare Roma. È l’8 settembre 1943, un sereno mercoledì che prelude a
un dolcissimo autunno, e il re ha 74 anni. Il ministro della Real Casa,
Acquarone, ha telefonato che il Quirinale è ritenuto più sicuro di Villa
Ada, meglio trasferirvisi. Sarà il primo passo di un itinerario peraltro
previsto e destinato, nell’ipotesi, a conclu-dersi in Sardegna, per
sfuggire a una eventuale cattura da parte dei tedeschi. Si è pensato a
tutto nel caso d’un abbandono della capitale: due cacciatorpedi-nieri
dovranno prendere a bordo i sovrani e portarli alla Maddalena, beni e
oggetti preziosi sono già in Svizzera, sedici milioni, per affrontare le
prime esigenze, diciassette valigie per il viaggio, carte e documenti in
una borsa. Alle 18.15 precise la Fiat 2800 dell’autista Baraldi varca il
portone della reggia. Vittorio Emanuele ed Elena si ritirano nei loro
appartamenti. Il preludio della fuga di Pescara è questo. I primi reduci sporchi, affamati, cominciano ad affollare la via di Ravano, la quale essendo stretta li faceva camminar incolonnati uno dietro l’altro. Fu proprio il 12 settembre che si sparse la voce che alla stazione ferroviaria di Apice c’erano vagoni di derrate e subito noi ragazzi ci organizzammo e partimmo per la strada sterrata della “femmina arsa” che ci permetteva di camminare per tre quattro chilometri e non dodici e più che richiedeva la strada normale. Fu quel giorno che scrissi:
«Ad
Apice un treno carico di vitto
I treni
sono tre nella stazione Al ritorno vissi la prima tragedia della mia vita, per giungere prima in paese lasciai la strada e m’incamminai per Montesanto, cantando a squarciagola e saltando da un albero all’altro, quando, una voce gridò: “Acthung”, continuai a correre, sulle spalle avevo lo zaino militare di papà, e fui raggiunto da una scarica di mitra. Corsi per la discesa a zig zag tra gli alberi e respirai solo quando mi sentii al sicuro. Ai miei non dissi niente, altrimenti mi avrebbero proibito di uscire. E dal giorno dopo la via sterrata di Ravano divenne la nostra casa, scrutando, se tra la fila interminabile di uomini, ci fosse anche il viso di papà e di zio. I reduci, per aggirare i posti di blocco dei tedeschi, scendevano dai treni colmi,dove erano attaccati come acini al grappolo, alla stazione di Paduli, salivano in paese per rifocillarsi,per fortuna molti padulesi avevano fatto man bassa alla stazione di Apice, per cui i reduci potevano non solo saziare la fame arretrata ma portarsi dietro anche la riserva per rifocillarsi fino a quando non sarebbero arrivati alle loro case, in Puglia, in Basilicata, in Calabria e Sicilia. Tutti i giorni, passavo in rassegna la carovana di reduci fino alla stazione ferroviaria di Paduli, dove passavo l’intera giornata sgolandomi ad ogni arrivo di treno, ma mio padre e mio zio non risposero all’appello fin al Natale del 1944 mio padre e a Pasqua 1945 il fratello, zio Giovanni. I ricordi più drammatici li ho raccontati in “Occhi che non capivano” (poesie scritte come un diario giorno dopo giorno dal 1943 al 1945 con una pagina aggiunta nel 1968) che è piaciuto molto. Non ho più venduto tante copie quante ne vendetti allora nel 1975. Chiudo questo mio ricordo dell’8 settembre 1943 con la lirica 14 settembre 1943, che ben si adatta, a mio parere al racconto dei ricordi di quei giorni: racconti e note che non si trovano in nessun libro di storia. Una lirica augurale anche per gli orfani del Medio Oriente, nella speranza che l’ultimo verso sia di buon auspicio.
«Interminabile colonna di carne
occhi
che non capivano
Uno, ai
piedi di una vite
Fetore
di pelle:
vergogna morde l'anima:
due
soltanto ci hanno disarmato:
Occhi
che non capivano
Dritto,
sulla collina
Stupore, meraviglia,
non
sapeva perché.
Occhi,
che non capivano cercavano
Un
grido che sapeva
Ancora
imberbe, armato di bastone Una scarica di mitra!...
Il
volto di fanciullo
Occhi
che non capivano, i miei,
Piansero, piangono «Poeti, abbandonate i libri, scrivete e conoscetevi su internet» vi suggerisce Nanni Balestrini ma… attenti all’esca!… Quando ho letto l’articolo della Fusco su Poetilandia, la città virtuale dei poeti, dove le correnti poetiche si intersecano, si avvicendano e si confrontano generazioni di poeti di ambo i sessi mi sono sentito riportato agli anni ’60-‘70. Vedendo il nome di Nanni Balestrini mi sono subito domandato: non gli è bastato aver fatto, con i suoi compagni del Gruppo63 dell’anno 1963 il più caotico del secondo Novecento? Credettero di dare «Una brusca sterzata alla letteratura, invece condizionarono la Storia e compromisero forse irrimediabilmente le opportunità di un certo sviluppo civile. Fortuna che oggi delle intenzioni di portare il caos nella letteratura italiana, è rimasta l'immagine di un'epoca che fu una promessa non mantenuta». A dimostrazione vediamo che le numerose proposte della Neoavanguardia sono sfumate. Evidentemente Balestrini sente la nostalgia e vuole ritentare l’esperienza di quel tempo attraverso internet proponendosi, forse, ancora una volta come “trainer” (ma il fatto è riferito al futuro). «La verità è che ciò che caratterizzò la realtà del 1963; già nel 1967 non c'era più e né credo che nel nostro periodo si possano trovare le condizioni». Non ha capito il “famoso poeta” che il tempo è cambiato. Possibile che scrivendo i suoi libri non se ne sia accorto? Non si rende conto che il caos che generò il Gruppo 63 allora, oggi non potrebbe attecchire per nessuna ragione, specialmente in internet dove i poeti non sono all’altezza di creare il medesimo caos. Per fare chiasso intorno al loro pensiero sulla poesia, principalmente, organizzarono un convegno che si svolse dal 3 all’8 ottobre all’Hotel Zagarella di Palermo, dove si riunirono su invito di Francesco Agnello quale integrazione alla «Settimana Internazionale di Nuova Musica». «Il connubio tra letteratura e musica non sorprende e prelude all’interculturalità che caratterizzerà il movimento». Un lustro prima, il 1958 e il ‘59 c’era stato qualche esperimento radiofonico di Umberto Eco e Luciano Berio, sul testo dell’Ulisse di James Joyce, con il quale avevano dato il via alla stesura di un saggio che avrebbe dovuto costituire il testo fondamentale della Neoavanguardia. «Al Convegno parteciparono i più bel nomi della letteratura italiana, guidati dai Poeti Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Antonio Porta e Edoardo Sanguineti.Alcuni, però, videro che dal caos non può derivare l’ordine lasciarono il gruppo che per esaminare il suo stato di salute, indisse un secondo Convegno.Balestrini aveva accettato la proposta di Francesco Agnello e il Convegno si svolse nell’ottobre 1973, come dieci anni prima, in seno alla Settimana Internazionale di Nuova Musica.Fu l’ottobre nero del Gruppo 63 che in silenzio si disperse, anche se tentò con la disperazione nel cuore di ricostituirsi. Nanni Balestrini, infatti, che aveva curato, insieme con Alfredo Giuliani, un’antologia di poesia, intitolata I novissimi (Edizioni del Verri 1961), una raccolta di lavori di giovani poeti, «perché insieme con Giuliani, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti e Antonio Porta volevano esplorare nuovi territori – linguistici, stilistici e contenutistici – al di fuori dei canoni tradizionali, che si ispirano ad una poetica dell’oggetto, posta in antitesi con il Neorealismo, e avrebbe rappresentato la prima manifestazione ufficiale di quella che sarebbe stata definita Neoavanguardia».Il caos fu rumorosissimo più del 1963 poiché fu tirata in ballo «l’Opera Aperta di Umberto Eco, che scatenò un putiferio di critiche da parte del mondo intellettuale dominante, che si confrontò con toni accesi al limite dell’invettiva anche sulle tesi esposte nel libro, destinato a costituire il pilastro portante della neoavanguardia».Precedentemente, nel 1959, Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini, mostra crudamente la condizione del sottoproletariato romano nel secondo dopoguerra, ma Pier Paolo Pasolini «supera l’orizzonte ideologico del neorealismo, si libera almeno in parte dai condizionamenti culturali che avrebbero potuto snaturare la rappresentazione di un mondo che egli conosceva fin troppo bene. Così la miseria materiale del popolo si riflette nella miseria morale da cui sono irrimediabilmente segnati molti dei personaggi pasoliniani».Un anno più tardi, nel 1960 Alberto Arbasino pubblica un articolo in cui indica in due autori controversi, Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori oltre che se stesso, i continuatori ideali della stirpe stilistica di Carlo Emilio Gadda.Ora, forse, il famoso Poeta e Romanziere, nato a Milano il 2 luglio 1935, essendo un veterano del computer (nel 1963 compose la prima poesia realizzata con un computer) sente la nostalgia e invita i poeti al colloquio attraverso il web. Oppure è perché sente che le radici esplodono, scalpitano e rivogliono uno «sperimentalismo di rottura dei consueti equilibri linguistici una rivisitazione dei temi religiosi, osservati mediante il dualismo tra spirito e corpo, amore e dolore, luce vitale ed oscurità della morte»; un contrasto mai risolto dal 1954 ed ora lui vorrebbe che questo disaccordo: eterno dualismo sempre in lotta tra di loro per ogni uomo che voglia farsi chiamare poeta; perché l’Io creativo e il Sé razionale non andranno mai d’accordo se c’è caos nell’opera, solo se ci sarà il connubio l’autore avrà scritto un’opera di Arte Maggiore, fosse la fonte della rivoluzione caotica della cultura italiana come accadde nelle due esperienze negative: 1963/1973.Lo aveva anticipato chiaramente Umberto Eco nel suo libro “Opera Aperta” già nel 1962: che la sua opera era «...un’indagine di vari momenti in cui l’arte contemporanea si trova a fare i conti col disordine». Certamente si riferisce alla «reazione dell’arte e degli artisti [...] di fronte alla provocazione del Caso, dell’Indeterminato, del Probabile, dell’Ambiguo, del Plurivalente; la reazione quindi della sensibilità contemporanea in risposta alle suggestioni della matematica, della biologia, della fisica, della psicologia, della logica e del nuovo orizzonte epistemologico che queste scienze hanno aperto».Una proposta “sistemica” all’interpretazione dell’arte, che interagisce con le varie discipline che trovano nei mass media strumento potente di divulgazione, che influenza e viene a sua volta influenzata.«L’entusiasmo sperimentato dai membri del Gruppo 63 rifletteva la genuina ricerca che stava prendendo corpo in tutto il mondo, di un nuovo stile di vita e di pensiero, in opposizione alle resistenze di coloro che si sentivano impegnati nella conservazione dei valori e nelle abitudini di un’Italia contadina e paesana e nella difesa degli interessi di gruppi radicati nel tessuto socio-economico». Le idee del Gruppo 63 si contrapponevano a una “conservazione culturale” capeggiata da Italo Calvino, Giorgio Bassani, Cassola, Fortini, Morante, Moravia, Pasolini e Vittorini i quali occupavano posti di controllo della cultura, nelle case editrici e nelle università:una generazioni di intellettuali sopravvissuta alle angherie del Ventennio, da cui era riemersa. Il Gruppo 63 per riordinarsi prese l’abitudine di non mettere in discussione la “qualità” dei testi o la personalità elevata o meno dei personaggi, ma non accettava le tematiche del Neorealismo, del Crepuscolarismo, dell’Intimismo ancora vigenti durante la situazione della società cambiata, perché vedeva in quelle opere in quei personaggi la forte volontà di voler ignorare l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, e il nuovo paradigma tecnico-scientifico, in rapporto al resto del mondo. «Un testo ispiratore di più di un componente del Gruppo 63 fu La fine dei modelli, di Alberto Savinio; il titolo dell’antologia curata da Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani, “I novissimi”, anticipa la Neoavanguardia e rispecchia perfettamente il senso contenuto nel saggio di Savinio: “novissimi” in senso di ultimi arrivati». “Poeti abbandonate i libri, scrivete e conoscetevi su internet” sembra l’inizio di un nuovo manifesto letterario che nel 1963 e poi nel 1973 è rimasto nelle pieghe del tendaggio che ornava il luogo dei due Convegni; perciò poeti in erba scrivete, conoscetevi, discutete tra di voi in internet, ma state attenti “all’esca”: non perdete di vista l’accordo meraviglioso che porta al connubio dell’Io creativo e del Sé razionale, solo in questo modo siate certi avrete senza dubbio la gioia di fare Arte Maggiore. Balestrini è un leader, ha fascino e parlantina convincente e facilmente qualche poeta imberbe o donna in cerca di nuove emozioni, perché rimasta sola, sono facili prede. Noi dell’A.I.A. “Poesia della Vita” durante il nostro primo Convegno che si svolse a Roma dal 19 al 22 marzo 1976, nello stilare lo Statuto pretesi che nell’articolo 1° ci fosse scritto: «L’A.I.A. “Poesia della Vita”» reagisce contro il caos del Gruppo 63 e l’incomprensione dell’Ermetismo per una poesia che sia chiara e canti la Vita; presenti Francesco Grisi, Selim Tietto, Marcello Eydalin, Paolo Diffidenti, Giorgio Carpaneto, Luisa Massari, Arden Borghi Santucci, e altri venuti da ogni parte della penisola, accettarono la mia proposta e plaudirono al nostro movimento poetico. Bibliografia
I Novissimi, poesie per gli anni '60,
con Pagliarani, Sanguineti, Giuliani,
Porta (Ed. del Verri 1961). nella poesia musicale di Lucia Luceri (aka Lulu) CANTO D’AMOREper
sperare di avere sempre nel ritorno dell’onda Lucia Luceri, aka Lulu, scrive da quando a malapena riusciva a tenere in mano la matita. Afferma: «Per me scrivere è una necessità non una scelta, ogni emozione immediatamente mi spinge a riempire un foglio bianco, ad alzarmi la notte per scrivere una frase, un pensiero, per paura che vada perduto e su cui poi costruire quello che sento.. Scrivo poesie d'amore, perché l'amore lo vedo in ogni cosa, e so quanto è bello averlo... Credo che ogni essere umano debba vivere le sue stagioni e i momenti dei sogni e della fanciullezza, perciò credo che la natura mi dia una mano lasciandomi l'espressione e il fisico infantile; un dono di cui ringrazio Dio ogni giorno, forse io sono una... bestiolina che segue l'istinto più che la ragione, ma non so essere diversa. Amo la vita e la vita ci parla in mille modi, con un cielo stellato che non è mai uguale, con un mare in burrasca o un tramonto rosso sangue come le nostre ferite...»
Ha
partecipato a vari concorsi letterari e, dovunque, ha ricevuto una
segnalazione un elogio, il primo premio anche e questo la gratifica, ma non
lo rende pubblico per pudore o perché è gelosa della vita privata. Quando
pubblica una poesia lo fa con la speranza che almeno un cuore, uno solo,
capisca il suo messaggio, il resto non conta. LETTERA D’AMORE
Mi
appari nelle pieghe del buio Un fatto è scrivere poesie, altro è capire la Poesia. Ed io cercherò di leggerle insieme a voi per capire la natura di quest’amore per tutte le cose. Diceva una mia amica pittrice, per vivere l’amore dalle mie opere mi devo sentire umile al punto d’amare anche la polvere, togliendola con delicatezza, con amore appunto. L’amore cui è intrisa la lirica che abbiamo appena letto è di una tale portata che fa pensare all’ampiezza dell’arcobaleno dopo una pioggia torrenziale, aprendo il cuore alla più viva certezza di un’altra vita di là della terra: «Ogni mare ha senso solamente per la riva su cui andrà a morire, e tu sei il mio mare.
Uno dei suoi ammiratori mi ha preceduto ed ha scritto di Lucia, riferendosi alla poesia «Poesia di Ieri»: «Che penna magistrale, che tocco incantevole. Poesia che nasce dal cuore triste di che amore non ha più. E in questo momento capisco bene le sensazioni che descrivi, e le sento dentro me, trapassarmi come una lancia affilata». La piacevolezza della lettura delle liriche di Lucia Luceri è nella semplicità espressiva, non c’è ricerca di stilemi o di onomatopee, ma solo della semplicità scevra da complicazioni intellettualistiche. Sembrano parole trite e ritrite, espressioni di tutti che sembrano scivolare nella banalità, invece la robustezza della lirica, l’espansione della creatività poetica, il pregio letterario, sta proprio in questa ricerca della semplicità verbale. POESIA DI IERIScivola il mio tempo La definizione si fa speciale, raffinata, piena della sensibilità femminile, dando alla lirica “Profumo di poesia”, amore grande, universale che raggiunge l’intimo del lettore regalandogli l’ebbrezza necessaria per ramificare dentro il sentimento fortemente sentito e divulgato con la stessa intensità. Vestendolo d’amore gli offre il seme e il senso reale del vocabolo «LIBERTA?», riscattandolo dalla schiavitù dell’egoismo e dell’incomunicabilità, soprattutto riportando alla memoria parabole e fatti del Vangelo, ci consiglia di annullare l’individualismo per il bene della collettività, se noi l’ascoltiamo possiamo veramente godere: «L'alba (…) di un nuovo oggi» e lo sguardo di chi ha imparato ad amare gli altri come se stesso, rivolgersi al sole caldo dell’amore, con altri occhi, con altre speranze. Il verso che all’inizio appare come un paesaggio brumoso con un cielo che sembra promettere pioggia, improvvisamente fa apparire bagliori argentati che rendono i vocaboli fluorescenti, i contorni sfocati che appaiono, nei primi quattro versi: «Scivola il mio tempo tra pensieri sfumati di momenti sbagliati. Vi entro senza voglia e mi spoglio senza amore». di una natura descritta con morbidezza e inducono a ricercare i “pensieri sfumati” con compiaciuta malinconia. Una realtà che sa di sogno che potrebbe essere realtà? La scelta di scivolare nel tempo e colloquiare con due universi come un osservatore che ammira il quadro celeste nel tempo, s’innamora e poi lo descrive, vestendolo di una sottile ironia mentre va nel quadro da Lei creato e vi “entra senza voglia, spogliandosi senza amore”; ironia divertita, direi, impegnata in una ricerca verbale che si presti all’intento e la conduca al punto che si era prefisso. In questi versi vi sono visioni riprese da lontano, dove i soggetti assumono sensazioni oniriche, poi sfumati verso un pallido orizzonte, tra piane e colline ondulate: ricercatezza del vocabolo e sottile ironia che diverte lo stesso Poeta, Lucia Luceri, sia quando il verso sfuma nelle tenui parole d’amore appena vergate, sia quando evoca, con crepuscoli malinconici, ornati di sottile ironia divertita, i momenti velati di nostalgia, l'Autrice riversa nelle liriche l'idillica atmosfera di un’anima ancora vergine, circondata e sommersa da una natura ora selvaggia, ora arsa, ora assolata che si alterna nell’anima sua. VIAGGIO INTORNO ALL’UOMOTi ho ripercorso tutto Rilevo in queste liriche una straordinaria capacità di collocare costruzioni dell'uomo, tra il verde freschissimo dei prati e dei boschi, e il cammino a ritroso per staccarsi da un amore forse impossibile o incompatibile. I Settenari sono musica saltellante che abbracciano ferite riaperte senza solchi, rocce che non fanno male perché le ha fatte lui: “L’Amore”, perciò le mani sono diventate forti e instancabili per incidere senza sforzo, graffi sul cuore. Le liriche che stiamo leggendo sono quadretti pregevoli fatti con le parole, sono sinfonie alate perché i versi sono musicali, perché i vocaboli sono intinti con i colori dell’anima; infatti, il Poeta mette a punto giochi verbali che si fanno di luce nei quali spazia la consapevolezza che l'Arte è libero intendimento. Dove l’amore, elemento descrittivo di ogni lirica, sintetizza i mutevoli stati d'animo della donna-Poeta, le liriche subiscono fascinose metamorfosi che denunciano una costante ricerca all'interno delle radici del proprio Essere. Lucia Luceri (aka Lulu) è soprattutto un abile narratrice di situazioni ed atmosfere, che descrive attraverso un uso del verso che spazia tra il settenario e il novenario, cercando innanzi tutto la musicalità che vibri insieme al colore, e il suo quadretto, che si fa linguaggio con sapienti velature, che acquistano di volta in volta un significato originale e Suo: tutto suo, nella determinazione del potere espressivo della lirica. Quindi ogni lirica è un quadro figurativo per scelta, Lucia Luceri gestisce abilmente la tecnica della metrica, lasciandosi guidare dal dettato dell’anima e, creativamente dal potere interpretativo della mente, producendo liriche capaci di ridestare impressioni e sensazioni forti nel lettore. Il linguaggio poetico si sviluppa come un gioioso racconto e quando l’Artista è attratta dalle bellezze naturali che la sua anima evoca si anima di vigore estetico. E TI PARLAVO DEL MAREE ti parlavo del mare, ricordi amore mio? Il mare è la lavagna dove il destino di tutti si cancella, si segna, torna a cancellarsi, a segnarsi, senza fine. E per questo ha per sfondo il mare il tema fondamentale del lirica che stiamo leggendo, come il titolo potrebbe suggerire, «sono onda di un mare che non canta», perché vi è un rapporto tra vita e morte. La vita e la morte si specchiano l'una nell'altra, si compenetrano, si completano: sono forme, segno opposto di uno stesso mistero ciclico, eterno, indecifrabile. Si fermano forse il sole, la luna? Così le onde del mare, e ritorna il concetto espresso più su tra parabola evangelica e Vangelo: la morte non si ferma mai, perché è immortale, simboleggia l'immortalità, che è vita. La vita è come l’onda, si ferma sulla sabbia per ritornare imperterrita al mare e perciò non è la Morte che è negazione della vita, ma è la vita che comprende la morte, il mare che possiede l’onda e non l’onda il mare: la possiede come un dono del destino. Gli amanti, nel loro abbraccio, non si possono dire né veramente vivi né veramente morti. Il mare è come la Morte ha una propria legge, non una soluzione di fuga: l'uomo è fatto per la vita, anche se sa di dover morire. Ed è anche regola morale: «credere e sperare in quel mare di là farebbe fatalmente sentire più male ancora questo mare di qua». Morte e vita sono, l'una rispetto all'altra, virile dialettica, parola di sfida lanciata da riva a riva: «se avessi ancora un sogno da sognare...» ********************************* SE TI DICESSI CHE…Inventavo i miei giorni, ************************** PER UN SOGNONon posso chiedere
LA CONTEMPORANEITA’
DELLA POESIA GIUSY MEDICO (in arte jalila)
POETA CHE GIOCA CON LE PAROLE «Striscia, sussulta a ritmo incessante. Inarca le membra avvelenate. Fa tue le grida di questa finis-terrae, dal grecale profumo e del perduto oriente». E’ un’affermazione spicciola, una dichiarazione che potremmo definire un'aggiunta alle parole giocate con intelligenza, con una ricerca certosina per dilettare musicalmente, sullo spartito senza pentagramma, le parole più musicali possibili, ma con prepotenza di particolari in cui il modello rimane sommerso, però già vi si avverte lui proprio, Gabriele D'Annunzio; cioè, le liriche sembrano, in alcuni punti, come il canto gemello del Vate, odori, colori, sapori, e molta atmosfera, che ci trasporta dal semplice scenario all'azione, che la lirica si fa sfondo. L’esempio con cui ho aperto il saggio è l’apertura verso… la fotografia da abbinare al gioco delle parole: «La metterò a fuoco, concedendomi un atto magico. La fotograferò con la reflex, su di un treppiede, lasciando aperto l'obiettivo». E nella pellicola impressa vi è una lunga striscia di rosso infuocato che s'intreccia col verde smeraldo degli alberi. Naturalmente la cosa ha un valore meno che marginale anche nell'ambito delle sue Opere più seguite dai lettori e sono molti. Giusy come pochi nel web può contare tanti lettori, seguaci assidui e occasionali che commentano le sue poesie per mettersi in mostra più se stessi che per parlare della poesia in sé. Ed ora parliamo del componimento «TARANTOLATA. NELLA TERRA DEI RI-MORSI» «Striscia, sussulta a ritmo incessante. Vi notiamo un quadretto di dei, ninfe e muse come si nota nei versi seguenti: «Scuoti questa terra di ri-morsi, chiedi grazia e pace. Muori sfinita e risorgi con Dionisio, preda ossessa di questo arcano destino». Se la metrica ci rimanda, agli esperimenti di un Arrigo Boito, di dannunziana memoria è l'«atmosfera»; aggiungerei, il gusto delle immagini e del linguaggio: Lacrime e sudore Qui l'andatura sintattica, il ritmo, sanno di Giovanni Pascoli cantilenante, ma l'immagine è prettamente dannunziana, ripeto, perché troppo precisa per giudicarla un incontro, forse casuale «delle lacrime, sfinimento e dolce languore» Ancora, sempre nella stessa lirica appare il ricordo di certe ballate e madrigali di un Carducci già passato. «Liberati dalla possessione. purificati . Assalta e difenditi, invocando gli dei per infinito tempo. Scuoti questa terra di ri-morsi, chiedi grazia e pace. Muori sfinita e risorgi con Dionisio, preda ossessa di questo arcano destino». Vedete il terzo verso, quell'indeterminato, di affascinante intenzioni, «per infinito tempo», anche il titolo, arieggia alle nostre orecchie, D'Annunzio. Si potrebbe pensare che questi sono episodi marginali più curiosi che espressivi; che, però, nel particolare momento della sua formazione, acquistano e conquistano una propria indennità, non foss'altro, di un’iniziale disponibilità a certi modi di far poesia che in Italia attraverso, le iniziative di ricerca del linguaggio e della fonetica di questi pochi poeti che fanno ancora onore alla Poesia che la stessa riesce a non andare a fondo nei confronti delle altre correnti poetiche mondiali. Si potrebbe continuare, ma preferiamo che il lettore veda da sé, per esteso, le poesie che abbiamo scelto per comprender e spiegare il mondo poetico di Giusy Medico. LEGGENDO LE STELLE – IMPROBABILE OROSCOPO Prenderò la posizione della Stella Polare, Le parole si rincorrono, come grani di rosario, in tutte le direzioni; tutte con maestria s’introducono esplicitamente in particolari realistici di comodo nella sostenutezza d'insieme. Ma più curioso, perché simili caratteristiche di contenuti, di sintassi e di metrica puntano, con netto rifiuto per la superficialità, verso la riflessione, nei limiti del loro potere poetico, nel momento medesimo che subiscono il fascino della poesia riecheggiandolo. Troverò in me quel puntino luminoso. E il mondo continuerà a seguire la propria perfetta linea. Giusy Medico è dunque un bravo Poeta. Ha superato finanche l’emergente, perché nel sito dove ho trovato queste sue poesie è la più letta e seguita ed è lì che la sua Arte emerge senza necessità di clamori di pubblicità. Davvero non si capisce come mai, forse per difetto d'informazione, ho conosciuto tardi l’Arte poetica di questo, a me, ignoto poeta maturo per una poesia che faccia scuola aperta e manifesti contro chi fa ombra al crescere della sua bellezza che fuoriesce dalle parole come l’alba radiosa dalle nuvole del mattino. MI SONO PERSA «"sei bella" II problema comincia a farsi vedere ed appare molto difficile, perché nasce: «… mentre mi prendi non ti accorgi che mi sono persa nel labirinto delle suggestioni d'amore, di quell'amore che tu ritrovi nel mio ventre ma che io cerco ancora nelle tue mani». e finisce per mostrare il concetto dell’innamoramento, fino a far diventare l’amore semplicemente una farsa, nel solo modo a lei congeniale: farsa per come è narrato, farsa per quel che rappresenta, farsa perché sembra fatto per castigare il dolore e far trionfare la risata; ride Ella stessa con gli occhi chiusi a ciò che costituisce il concetto, dell'atmosfera incantata, ai fantasmi femminili, al sospiro di adorante elegia che percorre i versi e li ingentilisce. Quest’atteggiamento è soltanto per rilevare che, nelle pagine in cui si legge lo smarrimento e l’annullamento dell’ego, oramai succube dell’amore, che tutto travolge pensiero e spirito, fa vivere la tragedia di Teseo perduto nel labirinto come ombra che dia risalto alla luce che i versi emanano. In verità, fra i temi affrontati dalla Medico non ce n’è uno ricorrente, ciò dà poco altro di aiuto effettivo all'indagine critica che vuole rintracciare, sia pure provocatorio, il parallelismo o gemellaggio di parole e concetti, ché ogni lirica è un mondo a sé e non ce n’è un altro. Per questo motivo vorrei che le liriche della Medico mi risvegliassero una viscerale antipatia nei loro confronti, che mi conducesse a rilevare quelle differenze di fondo fra due liriche prima ancora che nell’artista, anche se rafforzata, com’è umano, dalla gelosia; anzi direi proprio «invidia», per carpire finalmente da quale mondo poetico viene la sua forza lirica, che certamente accende invidia per la fama ch'Ella gode, del favore straordinario dei lettori e partecipanti del sito web dove opera. DISSE CUORE A RAGIONE...
Disse Cuore a Ragione: Rispose Ragione: L'abbondanza di figure, vicende, situazioni, paesaggi è, quasi mostruosa; le liriche rilevano temi realistici, popolari o plebei, sottigliezze allucinate, visionarie, e, come scaturiti da profonde ferite esistenziali, simboli immensi di luce e d'ombra. Il primo elemento di novità è l’invenzione linguistica. Giusy Medico scrive una lingua, che ha per base il parlato incorniciato da intarsi arcaici, cólti, che tesse su un telaio pronto a sviluppare molteplici storie. Nelle liriche in dialetto è anche musicalmente essenziale; ma sarebbe erroneo definirla poeta dialettale. Se qualcuno volesse riscontrarvi un «neo» ad ogni costo, potrebbe approfondire la ricerca in cui si distinguono, correnti che traversano il mare a diverse profondità, tre livelli linguistici; il primo è il dialettale, il secondo è quello inventivo e il terzo è l'italiano cólto espresso in una musicalità suadente e solenne, tutta tenuta su note lunghe, come frammenti straziati di un discorso infinito, cui è affidato l'ethos profondo delle situazioni esistenziali o « stacca » su certe silenziose aperture di paesaggio, o introduce il tema della morte, allora è l'italiano cólto che affiora. L'eccezionaiità di Giusy Medico sta proprio nell'orchestrazione sempre attenta e perfetta dei suoi strumenti diversi: ma è un'orchestrazione modernissima, che misura ed esalta le disarmonie nel momento stesso in cui le ricompone, quasi che nella felicità di immergersi, con il suo linguaggio, dentro la realtà e ricrearla, il Poeta voglia farci partecipi di un suo eterno tormento, assillo dell'irraggiungibile. Il cielo di questa Poesia sembra prendere luce da un sole nero. SENTIMI Non mi guardare. L'episodio svettante, in questo spazio lirico, e davvero molto bello, è quello degli amori del nostro tempo in cui il sesso la fa da padrone: «Segnami con il tuo odore. Sono il tuo territorio. Ti bevo,ti ingoio, mi riempio di te. Non guardare,sentimi. Senti il miele che ho dentro». Ma non tutte le liriche, per fortuna, narrano la crudeltà e la malizia femminina, con i giochi e capricci, le aspre lotte del dubbioso cedere, ognuno dei quali è padrone della sua vita, qui è tutto il brulicare della vita, qui sono rappresentati con una robusta naturalezza, un irresistibile senso dell'arcana positività del reale che fanno di questa lirica, un atto di fede, dolorosa fede, nella inappellabile giustizia e verità del creato. La lirica «Sentimi» non è nella sua essenza, una poesia tragica: i suoi timbri dominanti sono il timbro favoloso-popolare e un lirismo malinconico, di fondo scuro, piuttosto stoico. Pur intrecciando i due toni, nelle prime due strofe prevale la prima. Si sente che dietro ogni verso, prima della materia spiegata c'è un punto di partenza ben identificabile per cui è essenzialmente una Donna un Poeta con le sue convinzioni, che narra come se la formula non si fosse prestata a equivoci, ma sarebbe saltata fuori quella che pur è l'immagine meno improbabile di chi crede a una storia partecipata per ragioni d'ordine intellettuale e spirituale. Ecco perché trovano giustificazioni perfino quegli accenti alti, quel modo di commozione, quel tanto di enfatico che si potrebbe registrare: sono tutti momenti che in Lei hanno il potere di tenere viva un’attenzione di fondo, non tradire una verità, quella verità che alla fine strappa la vittoria contro gli errori degli uomini e contro la materia di per sé inerte della contemporaneità. Ma c'è un motivo più interiore che spiega la lunga passione del Poeta che crede in ciò che sente e scrive: per Lei non sono privi di voce neppure i versi più spenti che continuano a restare sulla scena. A questo criterio sembra rispondere la sua idea di arricchire la poesia con tutta una galleria di liriche che di per sé costituissero un piccolo museo: sono tutti modi di invitare non solo a leggere ma a far rivivere la Poesia, per dare un premio della sua fedeltà ai suoi lettori e seguaci incalliti. TARANTOLATA. NELLA TERRA DEI RI-MORSI Striscia, sussulta a ritmo incessante. CON-IUGARE Vorrei ancora coniugare al futuro LEGGENDO LE STELLE – IMPROBABILE OROSCOPO Prenderò la posizione della Stella Polare, DISSE CUORE A RAGIONE... Disse Cuore a Ragione: MI SONO PERSA "sei bella" SENTIMI Non mi guardare. IL CUORE TRUCCATOOggi imbelletto il cuore. QUANDO LA PAROLA DIVENTA COLORE«E M’INEBRIO D’ARMONIA» di Eleonora Ruffo Giordani Eleonora Ruffo Giordani (Angel55) è nata in una sera di primavera, l'aria profumava di zagara e di tuberose, questo il motivo della sua solarità. Si pensava che non sarebbe vissuta e invece vive. Eccome se vive! Vive perché deve scrivere, cantare la vita: mistero meraviglioso che merita di essere vissuta. La vita che è un libro che vale la pena leggere fino in fondo. Com’è bello leggerlo, mentre è aperto nell’infinito, dove è il vento che gira le pagine, perché lei possa amare con la stessa intensità dell’aria. Lei che ha per motto: «La mia libertà si chiama perdono, perché ha spezzato le catene che mi tenevano prigioniera in risentiti ricordi che m'intristivano»; perciò nonostante il grigiore del mondo: spera, vive, canta e trasfigura la realtà della vita in scintillante poesia, avvolta nel più caldo sole che lo spirito possa desiderare. «E’ sera! Osservo dal mio balcone una donna passeggiare lungo il viale con il suo cane. I lampioni accesi sotto il cielo di giugno rendono suggestivo il paesaggio serale. Le saracinesche dei negozi sono chiuse tutto acquista nostalgico e romantico sapore». L'elemento fondamentale della Poesia, già dai primordi, è il ritmo; esso è, come lo ha definito D'Annunzio «il cuore della lirica». Esso è l'elemento che più intensamente ed immediatamente influisce sul lettore, perché ha un'azione diretta sia sul corpo sia sulle emozioni. La poesia è la vita organica stessa perché è basata su vari ritmi: il ritmo della respirazione, delle pulsazioni, dei vari movimenti muscolari; il ritmo dell'attività e del riposo, delle diverse funzioni fisiologiche, per non parlare dei più sottili vibratori della cellula, d’ogni molecola, e di ciascun atomo. In questa lirica Eleonora (Angel55) non incanta solo per il ritmo, ma come Nicolas Poussin imprime sulla carta con pennellate di parole il paesaggio concepito dalla fantasia per far penetrare il messaggio nell'anima e avvolgerla in quell'alone di serenità e di pace, che le parole evocano. Eccolo il quadro che prende forma e incanta, come il Poeta vuole che sia, le parole divengono pennellate, prima solo accennate come quelle dei «macchiaoli» brune e del colore della Terra per illuminarsi di quel sole caldo e sincero che filtra da ogni verso, proprio come la pensava Van Gogh: «tutti gli elementi iconografici (“il balcone, la passeggiata della donna, le saracinesche dei negozi…”) legano il tema dell’espressione poetica e della vita» Dante nella Divina Commedia ha usato il simbolismo con piena consapevolezza; come Eleonora (Angel55), sapientemente lo ha sviluppato, non come accidente simbolico, ma vero simbolo che rappresenti la natura umana e poetica di cui offre l’esempio. «Un profumo di attesa si espande nell’aria. Fedeli propositi si elevano dall’anima che accoglie sogni e speranze perduti e assopiti di tempi prodighi quando era acqua». Il significato simbolico si sviluppa e impara a camminare in questa seconda stanza della lirica (la stanza leopardianamente perché tale appare al primo impatto) è il mirabile quadro di una psicosintesi completa. «Il profumo dell’attesa, i fedeli che elevano l’anima pronta ad accogliere speranze e sogni lontani»,mentre appare l’immagine che porta all’esplorazione dell'inconscio; si avvia verso il processo della purificazione e del graduale risveglio della coscienza. «Lo spirito affranto abbraccia il minuscolo muscolo che batte impazzito perché profonde emozioni invadono i sensi e la luce illumina i pensieri». Il significato essenziale della lirica apre le porte della mente, per purificarla da tutte le preoccupazioni che il vivere attuale comporta, e prepararla all’accoglienza delle immagini successive, con una ricchezza di simboli particolari. «il cuore è abbracciato dallo spirito per illuminare, appunto, l’ombra che potrebbe essersi creata per un incidente involontario». Poi s’illumina Ella stessa perché è cosciente che il sole che riscalda i cuori, ormai apatici e freddi ad ogni forma di colloquio e inconoscibilità del reale, e si abbandona per sentirsi invasa «dalle profonde emozioni/ che illuminano i pensieri», perciò quando scorge i raggi del sole danzare tra i rami degli alberi, al ritmo de «La danza della spade» di Aram Khachaturian, il Quid, Dio per me, già preme e infila altre parole nella mente creativa del Poeta, irradiando la sua mente di una ragione che nemmeno il Poeta stesso sospettava di possedere; dentro sente che la ragione gli spiega come deve procedere per affascinare e far comprendere il desiderio dell’ anima sua. «La mente percepisce comprende si inginocchia umile all’Essenza Amore Vita che produce vita dentro l’anima. I segni che sembravano intraducibili ora l’intelligenza del cuore ricomincia ad interpretarli. Una voce mi distrae chiama il mio nome attenzione la mia curiosità. Il metodo usato da Eleonora, può essere considerato un processo di sublimazione, poiché il soggetto porta alla superficie immagini scaturite dalla profondità dell’«Io» creativo, per essere sottoposte all’osservazione del «Sé» razionale, trasformandole per renderle benefiche e poi procedere fino alla vetta per cogliere «l’Essenza dell’amore». E, una volta raggiunta la vetta, prova sentimenti, che credeva di non possedere. Ed Ella sfrutta questa esperienza per contribuire a produrre un notevole miglioramento della sua vita e non solo affettiva. «I segni che sembravano intraducibili» per i vari «scrivitori di versi» che infestano il Web, come ieri infestavano i libri, di parole senza senso che pomposamente chiamano versi, senza tener conto che sono solo parole scritte in verticale (ma se leggessero di più…) Questo è il sacrificio del Poeta, affrontare la ripida montagna dell’ignoranza per aprire la mente agli eletti; perciò è opportuno tener conto che il linguaggio deve essere più semplice possibile e deve essere usato soltanto con una sufficiente preparazione culturale ed un’aspirazione spirituale. Quanto ho affermato è scaturito dai significati e dal simbolisimo, che il Poeta ha cercato di identificare con l’umanità. «Mi sporgo dal balcone per capire e vedere. Sorpresa sorrido è un mio vecchio compagno di scuola che mi saluta con fare gioioso mi chiede in fretta e in fretta rispondo ridiamo divertiti perché nonostante il tempo sia passato noi siamo rimasti uguali nell’entusiasmo di bambini». Nel terzo millennio e particolarmente negli ultimi decenni, c’è stato un decadimento spaventoso, un eclatante interesse per la poesia, ma la vera Poesia quanti la riconoscono, la capiscono e l’apprezzano, se anche la scuola invece di sviluppare la memoria dei ragazzi la ottundisce, non permettendo loro di imparare a memoria le poesie di chi ha fatto la storia della letteratura italiana? «…un mio vecchio compagno di scuola/che mi saluta con fare gioioso» e si sofferma sull’uguaglianza dei bambini: è la riflessione. Secondo Pirandello, «la riflessione non si nasconde mai, né potrebbe essere mascherata o eliminata del tutto dalla volontà o dalla coscienza di un personaggio, come potrebbe succedere con un sentimento; non è come lo specchio, davanti al quale l'uomo si rimira, ma si pone davanti a ciascuno come un giudice, analizzando vicende e personaggi, con obiettività e imparzialità, scomponendo l'immagine di tutte le cose, le vicende e i personaggi stessi nelle loro componenti: da questa scomposizione nasce l’avvertimento del contrario». Il compito del Poeta è quello di smascherare le vanità che possono albergare nell'animo umano, seguendo la via della riflessione, e del sentimento che è interpretato da ciascuno a modo suo, lontano da qualsiasi realtà e da qualsiasi coscienza del vivere. «La donna col cane non la vedo più e mentre la musica si diffonde nella mia stanza affacciata dal mio balcone mi inebrio d’armonia nella mia nostalgia». E quindi, Eleonora, dalle opere dipinte con le parole, passando attraverso la riflessione e il controllo del «Sé» razionale sull’«Io» creativo fa nascere una nuova immagine e crea l'umorismo di una nuova visione della vita, senza sottolineare particolari contrasti tra l'ideale e la realtà, proprio per la particolare attività della riflessione, che «genera il sentimento del contrario», la perplessità, lo stato irresoluto della coscienza. Ella sa che è il sentimento del contrario che distingue lo «scrivitore di versi» dal Poeta “VATE” perché il secondo assume un atteggiamento diverso di fronte alla realtà. «… e mentre la musica si diffonde nella mia stanza affacciata dal mio balcone mi inebrio d’armonia» Questa riflessione s’insinua acuta e sottile da per tutto scomponendo ogni immagine del sentimento, ogni finzione ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione. Tutti i fenomeni, sono illusori e la ragione ci sfugge, inesplicabile. Manca alla nostra conoscenza del mondo e di noi stessi quel valore obiettivo che comunemente presumiamo di attribuirle. Ma Eleonora in questa nuova visione della realtà verifica lo scontro tra l'illusione e la riflessione, che scompone le costruzioni lasciando gli effetti nei differenti approcci con la realtà. ... E M’INEBRIO D’ARMONIA. E’ sera! Osservo dal mio balcone una donna passeggiare lungo il viale con il suo cane. I lampioni accesi sotto il cielo di giugno rendono suggestivo il paesaggio serale. Le saracinesche dei negozi sono chiuse tutto acquista nostalgico e romantico sapore. Un profumo di attesa si espande nell’aria. Fedeli propositi si elevano dall’anima che accoglie sogni e speranze perduti e assopiti di tempi prodighi quando era acqua. Lo spirito affranto abbraccia il minuscolo muscolo che batte impazzito perché profonde emozioni invadono i sensi e la luce illumina i pensieri. La mente percepisce comprende si inginocchia umile all’Essenza Amore Vita che produce vita dentro l’anima. I segni che sembravano intraducibili ora l’intelligenza del cuore ricomincia ad interpretarli. Una voce mi distrae chiama il mio nome attenzione la mia curiosità. Mi sporgo dal balcone per capire e vedere. Sorpresa sorrido è un mio vecchio compagno di scuola che mi saluta con fare gioioso mi chiede in fretta e in fretta rispondo ridiamo divertiti perché nonostante il tempo sia passato noi siamo rimasti uguali nell’entusiasmo di bambini. La donna col cane non la vedo più e mentre la musica si diffonde nella mia stanza affacciata dal mio balcone mi inebrio d’armonia nella mia nostalgia. (da “Pensieri e Sentimenti”) SARA aveva gli occhi verdi i capelli lunghi e neri. Inseparabile amica giocavo con lei spensierata raccontandole il mio mondo. Libravo libera sulle acque pure dello spirito e sui prati della speranza attendevo l'amore. Al chiaro di luna scrivevo - ingenue aspirazioni - e sognavo, sognavo, sognavo… bellezza e calore poesia e tenerezza Ma uno zingaro crudele vestito da principe e da angelo m'ingannò.
Per invidia e capriccio mi rubò la bambola. La cercai. la cercai. la cercai ma invano. Disperata! di dolore affondarono nel seno della terra dando vita ad umili erbe che sussurrarono al cuore parole di perdono e di amore. No! Gridai disperata. Rivoglio la mia bambola! Sara è mia! La morte improvvisa m’abbracciò. Il tempo e la grazia lenirono il dolore: Poesia perdono e amore regnano ora,nel mio bambino cuore. Ma quella bambola non l'ho mai dimenticata ché la mia vita era e mi è stata rubata.
RICORDANDO IERI... SOLA
davanti ad un bivio che non appariva facile. La scelta avrebbe determinato il mio futuro.
la mia limitatezza la mia impotenza. La volontà offuscata dagli eventi mi fa veder la strada lunga e scoscesa. Un brivido percorre l’esser mio e lacrime di gelo, solcano le ingenue guance. Smarrita, ho paura per la prima volta. Davanti al bivio che chiede risposta grido invano aiuto, nessuna man mi è tesa nessuna lacrima mi è asciugata. Attonita non comprendo il messaggio, troppo bambina per capirlo.
Le ultime luci si spengono, mentre il mio lambisce amore. delle virtù praticate, gli fa coraggio, ma l'intelletto s'è fermato, si rifiuta di comprendere. in quel bivio invoco luce per la scelta, mentre il sole tramonta sul mio paesaggio.
Non trovo spiegazioni al mio dolore tutto è grigio, imporporato di sangue per me non avverto voli, né brezze
La fitta nebbia scoraggia la speranza che ardua squarcia il denso suo latte la luce del mattino, s'infiltra nell'anima, nell'abbraccio la gioia della rinascita.
Quercia la vita mia nel vitale banchetto celeste si riscopre ancora capace di perdonare chi con infamia l'ha tradita. (da Il cammino dell’anima) DIARIO 3
dei miei consigli non poteva farne a meno. Mi telefonava più volte al giorno raccontandomi del dolce suo bisogno...
stupita e qualche volta sospetta.
Disponibile quando doveva sostituirmi senza che lo sapessi notificandomi tutto a situazione avvenuta e consumata. con fare dolce da sorella cara mi rassicurava e mi baciava.
Ironicamente gli amici dicevano: «Credevamo d'avere te davanti lei è la tua imitazione costante». A volte ci prendevan per sorelle due gocce d'acqua viste da lontano. che se mi fossi lamentata per ingratitudine avrei meritato senza perdono d'esser lapidata. per mio incanto che felice nel mio canto l’ accoglieva. Insieme; poi all'improvviso mi confidò di amare sbiadendo il ricordo del passato il contrario del parlare. che con gioia condividevo tranne quell'amicizia «dignitate» che gelosamente custodivo. I cui consigli erano linfa vitale, per me era la guida, il mio faro e lei non lo poteva sopportare. quest’amicizia la voglio urlava arrabbiata». Serenamente la rassicuravo progettando subito un incontro per vederla gioire contenta, ma non mi diede il tempo. che mi decantava. In maniera subdola e cruenta con perfetta infamia aiutata da vili farisei con la cui ideologia mi ero scontrata recitò una parte ignobile da maestra architettata strappandomi per invidia, quell'amicizia vitale, che Dio mi aveva donata. per coerenza la volli perdonare anche se aveva distrutto tutta la mia vita nel suo andare. Ed era la mia migliore
amica.
EMOZIONI
ESTIVE 1° parte timido il
boschetto Stringo momenti
di vita correndo
incontro ai desideri. della mia
poesia del silenzio le
emozioni cristalline. Lo spirito
sposa l'arcano e abbraccia l'Eterno. seduta sul
muretto di cinta Libero sogni e
pensieri migliori nella magia
delle emozioni. Liriche di grande spessore poetico, la ricchezza giocosa delle metafore le rendono gradevoli al lettore che in esse può anche scorgere un pizzico di ambiguità tra la «bambola rubata da uno zingaro e il dolore che lacera l’anima lasciando profonde rughe, che solo «il perdono, l’amore e la poesia» sanno guarire, perché in fondo c’è sempre «un cuore che teneramente saluta Amore». Le liriche si presentano sotto forma di ballate, altrimenti non potrebbero essere considerate, visto il tema trattato. Di concezione moderna post brechtiana, vanno oltre il significato della ballata di Brecht e poi c’è quel novenario tronco: «La morte improvvisa m’abbracciò» seguito dall’esultante endecasillabo «E teneramente saluta l’Amore», dopo il grido disperato che palesa l’appartenenza dell’anima propria, che il Poeta vuole per sé e vorrebbe per tutti. La fuga Notte di Natale Ricordi di Natale - Caro, lo sai che devo trovare il momento buono per uscire, la mamma potrebbe insospettirsi. - Carletta! La piccola, cara Carletta! La sua voce! Che voce! Melodiosa, scintillante come un ruscello di montagna canterino. Carletta non era bella, fu la sua voce ad incantarmi. Non ero che un ragazzo: quindici anni! E fu quella sera del Natale 1946 che, per la prima volta, prendendole le mani in un impeto d'amore (lo avevo fatto per trovare il coraggio di parlare). Provai un tremore in tutto il mio essere, che ancora oggi mi è difficile dimenticare. Dissi tutto d'un fiato, per paura che mi mancasse la voce. - Carletta, sai?... La mia domanda per frequentare gli studi al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, è stata accettata. Il sette gennaio dovrò iniziare l'anno scolastico. - Allora? - M'interruppe tremante. - Vuol dire che dovrai partire? - Sì, cara. Già tutto l'entusiasmo era scomparso! Mi dispiaceva separarmi da lei, seppure sapevo che di tanto in tanto sarei potuto ritornare. Ma sarei ritornato davvero? - Verrò spesso, la mia famiglia è qui. - Dissi dopo una pausa. - Devo andare, capisci? E' per il mio avvenire. Pensa cara, il diploma di compositore! Io voglio comporre musica. Scriverò un'opera lirica e tu, amore mio, ne sarai l'interprete. E poi ne scriverò altre e tutte, tutte tu le canterai. - Oh, caro! - Esclamò con voce sognante. - Sarà bello, lo sento. Mi sembra già di vedere i manifesti fuori del Teatro San Carlo e la Scala di Milano, con i nostri nomi, scritti grandi così. - E fece segno con le mani per farmi capire la grandezza delle lettere. - La prima opera la intitoleremo - continuava con fervore - Amore e volontà. Ed io canterò con tutta l'anima. La gente dirà: «Che bravi questi Carletta Spini e Mario Zanelli, cantano al mondo intero il loro amore e la volontà di riuscire nella vita: lui con la musica, lei con la voce d'usignuolo, Non sarà bello?» - Carletta? Carletta?! - La madre la cercava, chiamandola a squarciagola. Mi baciò e scappò via. Il mio primo vero bacio d'amore! Quel bacio mi accompagnò... - Papà. Papà! - Franco tutto gioioso, mi tira per i calzoni. - Che c'è? Mi mostra dei soldi che, dice, gli ha regalato lo zio. - Carletta! - Sospiro come in sogno. E' tardi, ormai tutto tace, anche il vento. Forse per non spezzare il corso dei ricordi: Anna, Carmen, Antonietta. Antonietta! Com'era bella! Bionda, esile, eterea. Cara Antonietta! La conobbi la sera del 24 dicembre 1950. Non ci dicemmo molto. Bastò un giro di valzer per legarci. Ci guardammo semplicemente e, come un appuntamento col destino, ci ritrovammo il primo gennaio e ci dicemmo, solo guardandoci, quello che le parole avrebbero potuto sciupare. - Antonietta! - Mario! In un lampo, fummo l'una nelle braccia dell'altro. Mi parve di avere il mondo stretto a me. Restammo così, quanto tempo? Le stelle e le luci di Napoli facevano da cornice al nostro sentimento, mentre nell'aria, come portate dal vento, giungevano fino a noi i versi di Landolfi Petrone: «So' 'e stelle scese 'nterra o so' sagliuto i 'ncielo?» Natale 1953: il mio debutto. Suonavo e guardavo la poltrona dove avrebbe dovuto trovarsi Antonietta, occupata da una donna piccola, dai capelli corvini: dov'era Antonietta? Pensavo a lei e piangevo, perché? Il direttore d'orchestra credette fosse emozione dovuta alla benevolenza del pubblico, che mi aveva accolto, con entusiasmo. Non sapeva, non poteva sapere, il caro direttore, che il mio pianto non era di felicità, ma di disperazione perché Antonietta non era venuta. Perché non è venuta? Che cosa sarà accaduto? Dio mio, perché nel pensare a lei sentivo quella stretta al cuore? E perché quella piccola donna bruna, seduta al posto riservato ad Antonietta, piangeva? Il concerto sembrava non dovesse più finire. Mi sembrava noioso, eterno. Perché non finiva tutto, presto? Il tempo sembrava si fosse fermato. Finalmente il concerto era finito. Ma perché la piccola donna bruna non c'era più? Non mi curai degli applausi, corsi nel mio camerino. Entrai in fretta per prendere il soprabito e scappare a casa di Antonietta, per sapere. Nel camerino, c'era la piccola donna bruna che piangeva ancora: - Sono un'amica di Antonietta. - Disse soffiandosi il naso, come per mandare via le lacrime. - Che cosa è accaduto? - Domandai con la morte nel cuore. - Perché non è venuta? - Mario mi perdoni, se sono apportatrice di dolore, in un momento di gioia… - Dolore, gioia?! Parli per favore, non vede come soffro? - Vedendo che non si decideva a parlare, la presi per le spalle e la scossi. - Mi dica tutto, la prego! Per favore! - E' morta. - Disse in soffio. - Morta!? - Non volevo credere. Era impossibile. Uno scherzo, una bruttissima burla! - Sì. - Riprese la piccola donna bruna. - E' inaccettabile, lo so, ma è la verità. Attraversando la strada, un'auto... Stava venendo a teatro. Seguì un periodo in cui vissi separato dal mondo e la piccola donna bruna non mi abbandonò un istante: mi fu sempre vicina. Sono passati tanti anni oramai, nessuno ricorda più il mio nome. Il pianoforte a casa, è rimasto chiuso, da quella sera. Oggi, Natale 1956, mi sono accorto di essere innamorato di mia moglie, la piccola donna bruna, la madre dei miei figli; sono innamorato e sento che, per la difesa di quest'amore e per l'avvenire dei nostri bambini, aprirò il pianoforte. Sul piano, l'immagine di Antonietta mi sorride, come quando era in vita, mentre nella notte si spandono le note de «Il chiaro di luna» di Beethoven. Sono le mie mani che scorrono sulla tastiera.
Cena maledetta * * * Erano passati ormai due anni e Pedro s'èra portato quell'odio nel cuore, come un pugnale avvelenato. Una sera mentre cenava con la sua banda alla "Estancia de don Garcia" vide apparire Carmencita nello specchio di fronte a lui. Si voltò di colpo. Era proprio lei, accompagnata da un uomo. "Valgame Dios!" lo conosceva bene quel tizio! Sì, era don Alvaro Sevilla! Dunque i due complici erano assieme?! La vendetta sarebbe stata completa. Masticando amaro, brontolò: "Cena maledetta, bene di vendetta!" * * * Sotto la luna, nel grande bosco di "Armadillo" don Alvaro si contorceva tra le fiamme. Carmencita era stata condannata ad assistere, sul rogo non ancora acceso per lei. QUANDO L’AMORE DIVENTA POESIA di Reno Bromuro
L'argomento che sto per scrivere è vasto e complesso: «Quando l’amore diventa poesia». Perciò è necessaria una breve premessa che indichi gli scopi ed intenzionalità di quanto andrò a considerare. Inizio col domandarmi: che cos'è la poesia? Usando concetti spesso giudicati semplici per l’apparente domesticità, come definire una costruzione in versi allacciandosi solo al campo estetico,dicendo semplicemente, «bella» o «brutta», oppure esaminandoli solo moralmente come «bene» o «male», è difficile e articolata poi quando si cerca di assegnare a tali lemmi una connotazione precisa. Quindi non toccherò la definizione che ne dà il dizionario della lingua italiana, perché sarebbe solo sterile informazione, insufficiente e generica. Invece può essere utile servirsi dello schema della comunicazione che propone Roman Jakobson nell'Essays de linguistique générale del 1963, dove afferma che: «un determinato autore, che chiama “Emittente” usa un canale ed una lingua detta codice per trattare, il “messaggio” in una qualsiasi forma, il contesto, in uno o più argomenti per lui importanti, che saranno letti ed acquisiti da uno o più lettori che chiama “ricevente” e che condividono la sua stessa lingua ed alcuni elementi fondamentali per comprendere ciò che egli ha scritto». Lo schema visto sotto quest’aspetto, portato a funzione poetica e la poesia come atto comunicativo si realizzano esclusivamente quando ad un piano già predisposto corrisponde un altrettanto preciso piano formale. In questo modo posso concludere affermando che: «la poesia è una forma creativa di comunicazione tra individui, lontani nello spazio o nel tempo, ma riavvicinati da problemi e contenuti che accentuano la forma e le regole della detta comunicazione e ne sono determinati a loro volta». Forse la mia definizione pecca di genericità, ma se mi convinco che «l'uomo ha adottato la poesia come uno dei primi strumenti per comunicare in forma artistica e con scopi educativi», la genericità svanisce, ed io so che cosa la poesia m’insegna. Ho già accennato al particolare vincolo che lega l’autore al lettore: il primo elabora e trasfonde stati d'animo ed emozioni personali in una forma poetica; il secondo, per ricevere insegnamento dalla poesia deve necessariamente, prima decifrare il messaggio poetico, entrando nella comprensione logica, estetica ed emotiva dell’autore, proprio come fa l’attore quando deve leggere al pubblico una poesia. E come per l’autore la risposta comunicativa chiude e riapre in senso opposto la comunicazione, all’attore deve avvenire la medesima cosa altrimenti l’ascoltatore per capire e apprendere ciò che la poesia vuole insegnare deve leggersela da sé. Se ciò accadesse,la poesia perderebbe,la fruizione,e acquisterebbe le caratteristiche passive dell’oggetto della creazione, invece se l’attore compie il suo passo verso il momento creativo, la poesia si manifesterebbe come vero e proprio strumento educativo e, quindi vero soggetto creativo, dando al lettore: il punto dell’educazione linguistica e stilistica, dando modo al lettore di acquisire le regole fondamentali del fare poesia, il senso del suono e della grafia, facendo proprie le scelte formali operate dall'autore. Questo passaggio che chiamerò «educazione alla creatività»:permette al lettore, distante dall'autore,di sviluppare tutta la propria capacità a recepire il messaggio. Questo è certamente il momento più affascinante della poesia. Il lettore diventa a sua volta autore, la poesia si rigenera e rinasce da se stessa; il percorso ricomincia riproponendo infinitamente la poesia. In uno spettacolo rappresentato nel giugno scorso, dal titolo «Libri in scena» presentato in due serate dal Teatro di Verdura di Milano ha avuto lo scopo che ho accennato sopra, «un verso per rivivere una passione o alcuni momenti di un amore; a questo hanno tenuto fede due grandi attori della scena italiana: Rossella Falk e Sandro Lombardi» Il 26 giugno 2004 il teatro ha ospitato il miglior repertorio poetico, dal 1830 al 1985. Tra i poeti visitati alcuni tra i più famosi come Arthur Rimbaud, Emily Dickinson, Vladimir Vladimirovic Majakovskij e Guillaume Apollinaire. Ma anche autori meno noti al pubblico come la russa Anna Achmatova che visse l’intera stagione dell’Avanguardia novecentesca, aderendo all’acmeismo, nel richiamo alla quotidianità della poesia e nella insistenza sul particolare intimo, minuto. Oppure come il Premio Nobel per la letteratura nel 1996, Wislawa Szymborska,di cui si ricorderà l'intensa«Amore a prima vista»e Robert Lowell. C’è stata anche la presenza d’autori italiani quali, Attilio Bertolucci, Piero Bigongiari e Milo De Angelis. (dal volantino pubblicitario) Aldo Carotenuto ne «Il gioco della passioni» afferma: «Se è vero che il cammino della nostra esistenza si snoda lungo un continuum d’esperienze trasformatrici, fra loro quella amorosa rappresenta la più rivoluzionaria». Stendhal in «amore-passione». Ci avverte: «Non facciamoci ingannare dalle parole: rispetto agli amori figli del capriccio, del desiderio fisico e della vanità, l’amore-passione non è che un caso d’omonimia. Soprattutto per vanità – che è il sentimento opposto all’amore» Queste due osservazioni mi permettono di entrare nel vivo del discorso che ho intrapreso con voi, grazie a due Poeti iscritti allo stesso mailing-list, i quali hanno scritto dei versi in cui «l’amore-passione si riconosce perché, quando ci prende, travolge contro tutti i nostri interessi. «L’innamorato, è uno sperduto: travolto dalla passione, non sa più come comportarsi: è dunque timido, patetico, e goffo, e da un punto di vista strettamente tecnico sbaglierà tutto. Allo stesso tempo è un temerario, e, del tutto incapace di calcolare ragionevolmente rischi e benefici, si avventura nel gravemente imponderabile, nell’improbabile: «L’amore è un fiore delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andare a coglierlo sul ciglio di uno spaventoso baratro». Ho preso ad esempio i versi che seguono perché sono tra i più belli e rappresentativi sia del secolo scorso sia del nuovo millennio, perché rispondono positivamente all’affermazione di Aldo Carotenuto. Lascerò a voi la nuda lettura poiché ogni commento farebbe perdere la purezza e la bellezza di un amore che si trasforma in poesia pura, difficile da trovare nei tanti libri che infestano il mercato librario. Ovviamente non userò i loro nomi ma nomi inventati, saranno loro, se lo vorranno, a concedermi il permesso di farlo. Il 21 maggio 2004 LUIL’INGORGOL'uccello stupendo Si, lo tengo fermo (E incalza): Ingorgo dell'io non so...forse si... LEI (Il 2 giugno con in sottofondo la bellissima musica di Modugno: «Tu si’ ‘na cosa grande» ritorna al tema originario): ORA SONO LEGGERA… LEI (trasognata): LUI (Il 13 giugno confessa): «Ti ho visto con le braccia aperte come un bambino aggirarti in una stanza. Ed anche il quadro di Magritte... è veramente centrato... A volte è facile crearsi un proprio cielo... ma una mano deve stare sempre a terra... ancorata alla realtà...» (Dopo dieci giorni LEI riprende la schermaglia amorosa): Prendetevela voi! Non so come Forse quando si è felici (… e dopo otto minuti circa): Sto bene non ho bisogno di niente. (Ma alle 21,00 quando la città dorme): Forse è tutta colpa di Roma (Alle 23,00 del giorno successivo, il 30 giugno 2004) Non vederti mi fa sentire LUI (La notte del 30 giugno si guarda la mano e scrive): Goccia del tuo sangue LEI (Alle ore 22,00 del 1° luglio costata): Senza quella goccia (Il mattino dopo presto, alle ore 9,00, implora: «Portami con te») Sono sicura che senza Non ne posso più (Alle 07,35 del mattino ritorna alla carica): Quattro righe sopra al tutto. Vieni qui, amore. (Il 25 luglio alle 09,29) Io mi struggo amore «Infilando te come un cappotto di sole» quanti innamorati vorrebbero per se una frase simile: c’è da disciogliersi come ghiaccio al sole. Vi ho presentato una storia che ha fatto dell’Amore la poesia più bella che essere umano abbia potuto scrivere dopo, naturalmente, «Il cantico dei Cantici», ma quelli sono versi dettati da Dio. Chi può affermare che anche i versi dei nostri due innamorati che hanno trasformato il loro amore in poesia non siano stati dettati da Dio? Bibliografia A. Tate, The Language of Poetry, Princeton, 1942; J.-P. Sartre, Qu'est-ce que la littérature?, in “Situations”, II, Parigi, 1948; M. Blanchot, L'Espace littéraire, Parigi, 1955; J. Press, The Fire and the Fountain. An Essay on Poetry, Londra, 1955; W. Binni, Poetica, critica e storia letteraria, Bari, 1964; P. P. Dallari, Che cos'è la poesia, Milano, 1990; M. Debrauwer, Sappho, Lovanio, 1942-43; C. M. Bowra, Greek Lyric Poetry, Oxford, 1961; G. Mascioni, Saffo di Lesbo, Milano, 1991. Reno Bromuro |
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