La mia tomba
Oggi sono felice: si è avverato un sogno! Mi sono fatto una
tomba tutta mia, col mio nome e cognome, la mia data di nascita,
tranne quella di morte, ovviamente. C’è la mia foto, scelta da
me stesso, di quand’ero ragazzo. Ho inserito una mia frase molto
significativa e ho scritto che sono scrittore e poeta. Ho messo
inoltre tante statuine di angioletti, oltre ad una di Gesù
risorto e della Madonna. Così lascio qualcosa di me ai posteri,
oltre ai miei libri. Vado spessissimo a visitarla e porto solo
fiori finti, immaginando con curiosità cosa potrà provare quel
passante occasionale che transiterà da lì, più avanti, nel
tempo, quando io avrò lasciato questa terra. Questo mio sogno un
po’ strano, ha le sue origini nella mia adolescenza, quando,
attratto dai cimiteri e da tutto ciò che è sepolcrale, andavo a
trovare la tomba di Marietta. Ma ora che ho fede, ho chiesto
perdono a Dio e a lei stessa per averla sentita così forte, come
fosse parte di me, fino a dedicarle un libro e 3 poesie. Ho
promesso ad entrambi di non recarmi mai più sulla lapide di
Marietta, e di pregare ogni tanto per la sua anima. Ormai esiste
solo la mia tomba!
"La mia esistenza solitaria"
La mia vita è una strana vita, solitaria, incomprensibile, senza
senso. Continue rievocazioni della mia adolescenza, sogni
irrealizzabili, emozioni intensissime, una impressionante anche
per me creatività che mi spinge a scrivere sempre, e poi amori
platonici ed immaginari verso ragazze giovanissime, forse per
illudermi pateticamente di ringiovanire. Chimere di eternità le
mie, che non hanno nessun riscontro pratico destinate a morire e
a dissolversi nel nulla. Su tutto questo sfacelo regna sovrana
la signora Solitudine, è sempre e solo lei a starmi accanto
fedele, fino ad incitarmi a dialogare con me stesso, parlando
naturalmente e tranquillamente da solo, io con me stesso e
nessun altro, in fondo sto bene col mio io e mi amo, forse
questo è anche un bene che mi permette di tirare avanti senza
deprimermi. Non ho una compagna che mi ami e mi dia calore
dormendo al mio fianco, non ho figli da educare e crescere, né
soldi per campare, niente lavoro per realizzarmi e rendermi
utile, nemmeno amici per scambiare quattro chiacchiere, niente
di tutto questo: sono il chiaro esempio di come non si dovrebbe
mai vivere. Sono anche ossessionato dal continuo timore
d’invecchiare e di morire o di essere preda di malattie
corporali e questa specie di nevrosi mi perseguita da sempre,
giorno per giorno, ora per ora, attimo per attimo. Temo la
vecchiaia e la morte perché paradossalmente amo fortemente la
vita anche se nella maggior parte dei miei scritti, trasmetto
tristezza. Possiedo però una grande virtù che non tutti hanno la
fortuna di avere: sono tremendamente sincero nell’arte come
nella vita. Le ragioni di questo mio non fare, sono da
ricercarsi nel fatto che mi son convinto ormai da tempo che non
vale la pena impegnarsi nella vita pratica di tutti i giorni
perché la morte arriverà prima o poi per tutti e saremo
costretti ad abbandonare ogni cosa di questa terra quindi non ha
senso impegnarsi in nulla di materiale, e mi ritorna in mente a
tal proposito la famosa frase “gli ultimi saranno i primi” ed io
mi sento orientato proprio verso gli ultimi della scala sociale,
mai verso coloro che osservano dall’alto. Lo so, davanti ai tuoi
occhi, caro lettore che mi leggi in questo momento, sembrerò
pazzo, tanto da aver bisogno di mille psicologi ma ti prego
rifletti per un attimo prima di giudicarmi e almeno sforzati di
comprendermi. Durante questa mia assurda e solitaria esistenza
non ho costruito proprio nulla di pratico e nulla ho intenzione
di creare per il mio futuro. Preferisco rimanere immerso fino al
collo in questo personalissimo mare di inguaribile monotonia e
piattezza con una sola ma importante novità: sto cercando Dio
con tutto me stesso, forse per riempire quell’enorme vuoto che
ho dentro, chiedendo a Lui e solo a Lui tutto quell’amore che ho
sempre cercato e non ho mai avuto. Non so spiegare nemmeno a me
stesso il perché debba vivere così, forse è stata una mia libera
scelta in sintonia con la mia anima inquieta e tormentata, o
forse i continui e micidiali attacchi d’ansia sempre presenti
sin da piccolo in me, hanno inevitabilmente condizionato tutta
la mia esistenza, rendendomi totalmente schiavo di paure ed
inibizioni. Ma non ho alibi adesso e non cerco giustificazioni
di nessun tipo, sono così e basta e forse, paradossalmente e
consapevole di una lucida follia, sono anche felice e orgoglioso
di esserlo. Io sono questo, sono fatto così ormai e non mi
piango addosso ma, al contrario, mi accetto e mi amo per quello
che sono. Ho però dentro di me quell’inquietudine, quell’eterna
immotivata per certi versi insoddisfazione che sarebbe giusto
chiamare angoscia, che mi rende scrittore, artista, creativo e
senza la quale non potrei mai esserlo.
Non so se sono davvero un poeta nonostante abbia scritto
un’infinità di versi ma non m’importa affatto di saperlo, lo
sento dentro di me e non devo dimostrare a nessuno di esserlo.
L’unica cosa che so di certo è che scrivere mi fa sentire
veramente bene, mi trasporta in alto, liberandomi dall’ansia e
dalla materialità di questo mondo. È difficile spiegare, anche
per me che mi reputo uno scrittore, quello che provo nell’intimo
tutte le volte che ho una penna in mano: è una sensazione di
forza, potenza, libertà, eternità mischiate tutte insieme e mi
lascio trascinare via dalle parole che scrivo e che mi
sommergono come un fiume in piena, incontrollabile,
inarrestabile che vuole straripare. Credo che solo quando scrivo
riesco ad essere veramente realizzato: sono me stesso, libero!
L’arte eleva l’uomo rendendolo immortale. Quando creo una storia
arrivo a sentirmi addirittura Dio nel far vivere e morire a mio
piacimento i personaggi che invento.
Elementare saggio sulle
devianze sessuali
Premetto di non essere un sessuologo né uno psicanalista, non
sono neanche laureato, quindi, non avrei nessun titolo o
qualifica per potermi esprimere. Non mi ritengo neppure un
saggista per crearmi eventualmente un alibi. Ciò non mi
impedisce però, di scrivere con sincerità e nella massima
umiltà, il mio pensiero. Lungi da me l’idea di voler imporre
verità o dogmi, o di ergermi a giudice. Sono piuttosto spinto,
come sempre del resto, dalla mia creatività irrefrenabile, che
ormai reclama spazi in qualunque direzione o competenza. Non ho
pretese di nessun tipo, tento solo di tirare fuori la mia idea
in merito, ciascuno è libero di condividerla o meno. Il tema che
sto per trattare è delicato, è riguarda nello specifico le
inclinazioni sessuali, fuori dalla norma. Non mi riferisco alle
“perversioni sessuali” (sadismo, masochismo, feticismo,
scambismo ecc…); suddette patologie richiederebbero infatti
un’attenzione particolare vista la loro stretta correlazione con
i demoni d’impurità. Ma piuttosto prendo in considerazione
quelle inclinazioni sessuali assai diffuse e che coinvolgono
parecchi soggetti (omosessuali, pedofili, gerontofili). Io ne
parlo per esperienza e per conoscenza diretta, e non, lo
sottolineo ancora, per preparazione scientifica. Comincio col
dirvi che la radice, almeno all’inizio, non è diabolica, cioè i
demoni d’impurità non sono la causa che spinge l’uomo verso
l’uomo, la donna verso la donna, il giovane verso il vecchio,
l’adulto sull’adolescente o il bambino. Ma allora perché
esistono questi gusti particolari? Cercherò di spiegarlo in
maniera semplice, direi elementare. L’uomo è stato creato da Dio
a sua immagine e somiglianza e il suo spirito ha in sé l’essenza
dell’immortalità. Ma, per adattarsi a questa valle di lacrime
che è la terra, è costretto a chiudere la sua spiritualità
dentro un involucro di carne che è la materia. Quindi la
fisicità corporea è soggetta ad imperfezioni e difetti. Dio ha
creato il corpo umano con minuziosa attenzione, ogni organo ha
la sua specifica funzione, una vera opera d’arte. Ma la natura
umana, in quanto fragile, può sin dalla nascita essere guastata.
Così c’è chi nasce con un lieve difetto, chi con un altro più
accentuato, chi, per fortuna, nasce sano, ed è la maggioranza.
Non voglio essere frainteso. Sgombro subito il campo dall’idea
che chi ha orientamenti sessuali non conformi alla norma, sia
secondo me, malato o patologico. Non si tratta di una malattia
fisica, il soggetto deviato è sano come tutti. Il problema è
genetico, nasce con la venuta al mondo, cioè omosessuali,
pedofili, gerontofili si nasce e non ci si diventa e, al 99 per
cento dei casi, ci si rimani fino alla morte. Ma cercherò di
essere più chiaro, permettetemi però di farvi un esempio tanto
banale, quanto efficace. Immaginate una autovettura che esce
dalla fabbrica con i fari obliqui, orientati in maniera direi
schizofrenica, in varie direzioni. La macchina è perfettamente
funzionante, basta girare la chiave e si mette in moto. Solo che
il guidatore, senza avere colpa, vedrà illuminate determinate
visuali, mentre le altre rimarranno buie. Questa situazione è la
stessa che accade a chi ha una devianza sessuale. La sfera
relativa all’istinto sessuale del soggetto, che fisicamente è
perfettamente sano come la macchina, è orientata esclusivamente
verso persone dello stesso sesso o di età differente a secondo
dell’inclinazione. Cioè nella mente del soggetto deviato, il
gusto sessuale va esclusivamente verso l’oggetto desiderato,
escludendo qualunque altro, proprio come il faro che illumina
una zona e lascia buia un’altra. La cosa grave consiste nel
fatto che l’intensità sessuale del deviato non è simile a quella
che scatta tra uomo e donna, ma molto più forte, a volte perfino
incontrollabile. Ora, se il corpo umano fosse una macchina,
basterebbe andare dall’elettrauto per risolvere il problema.
Purtroppo non è così per l’essere umano che è molto più complsso.
E’ chiaro che i soggetti che nascono così, saranno i primi ad
essere attaccati dai demoni d’impurità che, svolgendo il loro
compito specifico, li spingono a non credere in Dio, ad
allontanarsi dalla chiesa, ad accettarsi per come sono quasi con
orgoglio, a non seguire la Parola di Dio che santifica solo
l’amore tra uomo e donna, coronandolo con la procreazione. Senza
l’aiuto di Dio e senza la presenza dello Spirito Santo, per i
demoni sarà vittoria. Io lo so che dal punto di vista legale non
si possono mettere sullo stesso piano omosessualità e pedofilia
ma la radice è uguale, cambia solo la direzione del faro, per
tornare alla macchina. Il soggetto deviato è talmente
affascinato dall’oggetto desiderato, da giustificarne perfino di
esserne innamorato, considerandolo normale, perché qualunque
cosa piaccia assai, uno se ne innamora. Questa è la folle logica
di chi reputa normale ciò che non lo è né per Dio né per la
natura. Del resto basta guardare l’anatomia dell’uomo e della
donna per comprendere che sono stati creati per stare insieme.
Auguro di cuore a tutti questi soggetti di pregare moltissimo e
di mettere le proprie vite nelle mani di Dio che li ama
tantissimo e sa bene i loro problemi. Sarà Lui a guidare la
vostra vita anche se non avverrà il miracolo.
La legge del serpente
“Amatevi, gente del mondo intero, amatevi sempre ed in qualunque modo;
l’amore, qualsiasi forma assuma, è sempre benedetto ed è sinonimo di
felicità. Non bisogna mai aver paura di amare ma di odiare. Credete
nell’amore universale, quello vero, incondizionato che non ha sesso né
differenze d’età. E’ questa la vera libertà da difendere a tutti i
costi e non esiste cosa più bella al mondo di sentirsi veramente
liberi di amare chiunque: maschi con maschi, donne con donne, vecchi
con giovani, ciascuno libero di tirare fuori la propria sessualità con
le sue forme, inclinazioni e gusti. Un rapporto affettivo anche al di
fuori del matrimonio che in fondo è solo un contratto che non può
legare o sostituire un sogno. Non esiste ciò che chiamano
<<perversione sessuale>>, è un inganno inventato dai falsi moralisti e
soprattutto dalla chiesa che giudica senza conoscere l’amore fisico,
un artificio creato per anestetizzare le coscienze e neutralizzate
l’istinto sessuale che invece è un meraviglioso dono che la natura ha
regalato agli uomini, non solo per procreare: un piacere naturale che
annulla il dolore e attenua lo stress psicofisico. L’unica devianza
sessuale semmai è la castità, non vi è infatti nessun motivo per
praticarla restando puri, lasciamola ai preti e alla suore, contenti
loro!
In fondo se due esseri umani si amano o fanno sesso consapevolmente e
volontariamente, che male fanno? Dov’è il peccato? Che bigottismo
parlare di fornicazione, sostenere con presunzione di verità e senza
alcuna prova o fondamento che l’arte erotica è demoniaca, procurando
così assurdi sensi di colpa, tabù, complessi, frustrazioni e a volte
persino impotenza o frigidità. Perché tornare indietro al Medioevo,
alla caccia alle streghe, a bruciare nel rogo o a lapidare, secondo
antiche tradizioni contenute in delle scritture definite sacre dagli
uomini, scritte da loro stessi ed attribuite a Dio? Gli esseri umani
per trovare uno scopo alla propria esistenza e per vincere ancestrali
paure hanno creato Dio e non viceversa. Evviva quindi i matrimoni gay
e le unioni civili, simboli di emancipazione e di civiltà, del resto
si può essere credenti e praticare l’omosessualità, le due cose non
sono incompatibili, l’amore non può essere colpevolizzato perché è
“amore”, la parola più importante che esista. Se un uomo sente di
sposare un altro uomo ed è felice così, perché non concretizzare
questo desiderio? Lo Stato dovrebbe mantenersi laico rispettando anche
chi eventualmente non crede e si professa ateo, non si può imporre a
nessuno di avere fede seguendo le regole della chiesa. E poi ognuno è
diverso da un altro, è unico, con i suoi propri gusti. La diversità è
un valore da tutelare e difendere, è una vera ricchezza perché rende
la vita più varia e colorata, meno scontata e massificante. La nostra
esistenza è così breve, la morte arriverà prima di quanto ci si
aspetti, annientando definitivamente tutto. Allora perché non vivere
intensamente anche la propria sessualita?”
Così ragiona e parla il diavolo, il più grande, intelligente, furbo,
abile mistificatore, menzognero di tutti i tempi. E’ proprio lui il
più grande credente perché sa bene dell’esistenza di Dio e conosce a
memoria le Sacre Scritture manipolandole nelle menti degli uomini
secondo il proprio interesse, usando come pretesto una falsa libertà
capace di renderci inconsapevolmente gli ultimi degli schiavi. Una
libertà lontanissima mille anni luce dalla libertà autentica che porta
pace nel cuore. Quella libertà pura perche preziosa che ci fa sentire
figli di Dio, creati per amare ed essere amati ma d’un amore vero che
viene dal Padre e che è dono di sé. Ma soprattutto un modo di essere
liberi che scaturisce dall’osservanza della Sua Parola e che risulta
conforme alla Sua volontà.
L’ultima speranza
Arrivare a 56 anni e rendersi conto, con una lacrima agli occhi, di
non essere mai realmente cresciuto. E’ come se l’anima si rifiutasse
di allinearsi con il lento declino del corpo. Sento lo spirito
crescere impetuosamente fortificandosi progressivamente fino a
sembrare scollegato dalla materia. Mi nasce dentro una serenità
appagante che rimette in discussione il mio io spingendomi ad
analizzare tutta quanta la mia vita, distesa su una prospettiva ad
ampio raggio. E’ molto dolce guardare il mio passato con gli occhi
nuovi di adesso. Uno sguardo che si connette prima con l’infanzia, con
i suoi teneri giochi, le mitiche fiabe, la disarmante ingenuità. Poi
si apre all’adolescenza con le sue infinite paure, l’eterno conflitto
tra il desiderio di crescere ed evadere e la voglia di rimanere
bambino. E con quella età lontana, mi sembra quasi di rivivere
l’emozione per l’innocenza del mio primo bacio, le mattinate passate a
scuola con i miei compagni, le uscite spensierate con gli amici, e con
esse quella illusoria certezza di sentirmi eterno, di considerarmi
eroe con un futuro davanti tutto da vivere. I miei pensieri ormai del
tutto invasi di ricordi, improvvisamente focalizzano la mia attenzione
sull’immagine della ragazza che è stata il mio primo vero amore,
zoommando sui lineamenti bambineschi del suo viso: Quante promesse non
mantenute! Quanti sogni e speranze naufragate! Dolci ricordi e tristi
rimpianti si fondono insieme, in una danza simile più ad un rito di
morte che ad una sinfonia di rimembranze. Questo suggestivo viaggio
con la mente si sofferma adesso sulla figura di mia madre, ricordo
sempre vivido; una donna attaccata morbosamente a me, ma d’un amore
sincero, grande, direi esclusivo nei miei confronti. Un sentimento
tanto forte da non averlo potuto avere da nessun’altra persona nel
corso di tutta la mia vita. Anche mio padre si insinua nei miei
pensieri, buffo e strano come non mai: quante cose avrei voluto
chiedergli senza mai aver avuto il coraggio di farlo! E ancora ecco
spuntare le mie due sorelle molto più grandi di me, forse avrei potuto
aprirmi, dare loro di più. Con un sussulto inaspettato che scuote la
mia anima, giungo col pensiero in quell’età importante dove si
compiono le scelte che contano nella vita e che condizionano l’intera
esistenza, mi riferisco alla famiglia da creare e al lavoro da
svolgere. Proprio lì, in quel periodo fondamentale, io vedo tanto
buio, buio fitto e nient’altro! Ansie, inibizioni, paure immotivate,
errori continui, un’arresa senza reagire. Come vorrei in questo
momento che una fantasiosa macchina del tempo mi rapisse e mi
trasportasse con sé, proprio in quegli anni difficili della mia vita,
così sofferti! Sicuramente sarei in grado di rimediare, guidato dalla
maturità spirituale del mio presente. Ma non c’è mai il tempo di
trovare il tempo per fermare il tempo! Ma forse tutto è destino, era
scritto che dovevo comportarmi esattamente in quel modo perché la
sofferenza genera sensibilità, e la sensibilità produce arte. Penso
che non sarei mai diventato scrittore o poeta senza mai aver
sperimentato inquietudine e tormento. Forse essere rimasto
completamente solo era previsto come se io stesso fossi un
predestinato. Riprendono ancora i miei pensieri a volare sulle ali
della creatività che è in me e comprendo di non aver mai trovato una
mia collocazione in questa vita, forse perché vivo da sempre sospeso
tra cielo e terra, anzi molto più proiettato nell’altra vita che in
quella terrena. E’ mancata anche, quella donna che da sempre avrei
voluto con me, verso la quale indirizzare tutta la ricchezza di
sentimenti, chiusa a chiave nello scrigno del mio cuore, e sentire poi
la sua anima respirare unita alla mia. Non ho mai sperimentato la
grande gioia di veder nascere una piccola creatura, dono di Dio e più
bel regalo che la vita possa offrire, e poi vederla crescere man mano
e sentirmi chiamare papà. Ed ora, dopo che questo tempo è trascorso
velocissimo piombandomi addosso come un ciclone, senza che io stesso
me ne rendessi conto, senza nemmeno avermi dato il tempo di riflettere
e di piangere, io sono qui davanti ad uno specchio, al quale non posso
più fingere. Cristallizzato nei pensieri, in quest’età più vicina al
crepuscolo dell’esistenza che all’alba di nuove prospettive, affido
alla fede nel mio Signore l’ultima speranza che, con la Sua presenza,
non è più convivenza col malessere di notti insonni senza risposte, ma
apertura verso nuovi orizzonti, certi di eternità.
In punto di morte
Separato dal mio corpo, come sospeso nell’aria, vigile e
cosciente senza però poter comunicare con esseri umani, vedo
dall’alto il mio involucro di carne, esanime, quasi abbandonato,
circondato da medici, e mi fa quasi pena osservarlo: Come ho
potuto sopportare di essere imprigionato dentro quel corpo
debole come straccio, limitando tutta la mia immensa
potenzialità spirituale? Eppure al tempo stesso comprendo, pur
non avendo la benchè minima voglia di rientrare dentro quel
guscio, che fin quando ero all’interno, esso aveva la stessa
importanza d’un cofanetto, contenente una collana preziosa di
inestimabile valore. La collana infatti, è importante quanto il
cofanetto perché è contenuta dentro, e se si perde il cofanetto,
si smarrisce anche la collana. Ma una volta che la si tira
fuori, il suo contenitore non serve più. Così è il corpo umano
fin quando un essere creato da Dio vive in esso, è tempio dello
Spirito Santo, prezioso quanto l’anima. La sensazione che
avverto, riferendomi alla visione di quello che era il mio corpo
fisico, è quella di essermi tolto di dosso un abito, un po’ come
la tuta spaziale, che è fatta solo per permettere all’astronauta
di vagare nello spazio, ma non è la sua vera pelle, solo un
adattamento all’ambiente. E’ davvero piacevole e surreale quello
che mi sta succedendo; la cosa più bella è che non avverto più
dolori, sofferenze, esigenze fisiche e mi trovo in uno stato di
profondo benessere, slegato da tutto ciò che è materia.
Contemporaneamente rivedo come in dimensione tridimensionale,
scorrere il film di tutta la mia vita, dalla nascita sino ad
ora, ma con occhi di verità e giustizia, come se io fossi
spettatore e giudice di me stesso, soffrendo per gli errori
commessi e provando gioia per quanto fatto di buono. E’
sorprendente come tutto sia stato accuratamente registrato,
anche la più impercettibile parola, ed io ora posso ascoltare
ogni dialogo e ogni discorso come fossero amplificati. Posso
rivedere tutto: situazioni, immagini, persone care. Da questa
incredibile visione, mi rendo conto di essere da sempre seguito
con minuziosa attenzione, e direi con amorevole cura; nella vita
non si è mai soli, anche quando lo si crede, ed io ora lo so.
Poi, d’improvviso, mi sento chiamare, ma solo col pensiero,
senza udire una voce specifica; sono tranquillo, capisco di
essere in buone mani, di potermi fidare. Vengo trasportato da
una forza sconosciuta ed amica, lascio la camera dell’ospedale
ed entro in un tunnel, che solo all’inizio mi procura una
leggera paura, poi, intravedo l’uscita, ritorno sereno e
curioso. Una volta fuori, vedo luce, luce, e ancora luce. Sento
amore, amore, e ancora amore. Mi sento amato. Sono immerso in
una condizione di pura libertà, avverto pace ed un senso di
immortalità. Vi è una frase nel Vangelo, che io sento forte in
me perché rispecchia perfettamente quello che provo. Sono le
parole che Gesù disse sulla croce prima di morire: “Padre, nelle
tue mani consegno il mio spirito!”. Ora io comprendo più che
mai, che il mio spirito è nelle mani di Dio. Ma lo era anche
quando vivevo nel corpo, sulla terra, solo che non ne intuivo la
profondità e il vero significato. La vita, sia quella fisica,
sia quella spirituale, è tutta un miracolo, se l’uomo potesse
finalmente rendersene conto! I meravigliosi colori che vedo sono
talmente belli che non si possono descrivere, ma sono colori
diversi da quelli terrestri. Così come i suoni e i canti che
odo. Vedo ma non con gli occhi, sento ma non con le orecchie,
comunico con il Padre ma non con la voce: L’amore è troppo forte
per poterlo quantificare, la libertà troppo sconfinata per poter
scorgere orizzonti, tutto sa di eternità. E’ un luogo senza
fine, sa di cielo.
So che saranno molti quelli che non mi crederanno, ma sono
sereno ugualmente, so che ci arriveranno anche loro.
Dove sento la presenza
della Madonna: (Esperienza di vita e di fede)
Vi è un posto specifico che io avverto di forte impatto emotivo,
particolarmente suggestivo e ricco di carisma e misticismo
insieme: uno spazio che oserei definirlo magico, di quella magia
spirituale, sublime, soprannaturale che avvicina al cielo, fino
a sentirsi parte integrante di esso. Questo piccolo lembo di
terra così prezioso da sembrare una gemma di valore inestimabile
caduta dal cielo o una scintilla d’amore piovuta sulla terra
dall’infinita luce divina è proprio il luogo dove sento
fortissima,
pur senza vederla fisicamente,la presenza di Maria.
Siamo nella città di Messina dove sono nato e vivo, nel
santuario di Montalto, un luogo di culto ubicato in un posto
davvero splendido, in virtù del fatto che offre dalla sua altura
un panorama talmente affascinante da lasciare qualunque
osservatore senza fiato e senza parole.
La chiesa della Madonna di Montalto, bella per scultura ed
architettura all’interno ed all’esterno,
si apre infatti su un sacrato abbastanza grande, quasi una
enorme veranda che forse sarebbe giusto chiamarla terrazza vista
la sua notevole altezza. Da lassù si usufruisce di una vista
privilegiata e staordinaria sullo Stretto di Messina col suo
bellissimo mare, le sue navi che vanno e vengono, la terra di
calabria di fronte, e la Madonnina del porto che benedice la
città. Girando per questo grande sacrato si possono ammirare
anche numerose fioriere, delle panchine per sedersi e guardare
lontano specie per i turisti che vengono in tanti ,poi ancora un
binocolo per osservare da vicino il panorama e due statue: una
tutta bianca raffigurante San Giuseppe,il santo della “buona
morte”che io stesso spesso invoco per morire senza soffrire,
magari in un attimo quando sarà,e l’altra in bronzo con
l’immagine del papa Giovanni Paolo secondo appoggiato alla
ringhiera che guarda lo Stretto. Quest’ultima, eretta in suo
onore, in ricordo della sua visita effettuata in questo
santuario nel giugno del 1988, nella quale lo stesso pontefice
rimase molto colpito dalla bellezza del panorama.
Il santuario di Montalto fu fondato nel 1294 durante la guerra
del Vespro per esplicita volontà della Madonna e col concorso di
tutta la città. Esso è un luogo particolarmente sacro in forza
di specifica manifestazione di una potenza superiore che vi è
riconosciuta e venerata. E’ un luogo di culto straordinario per
designazione soprannaturale o perché vi si venerano immagini
miracolose.
Lo spazio del santuario è ritenuto sacro ed è centro di speciale
attrazione. Vi si va per unirsi più sensibilmente a Dio o alla
Vergine, impetrarne grazie e favori, riconciliarsi. Il santuario
parla allo spirito e al cuore dei credenti, in particolare
quelli mariani dove si fa esperienza di madre.
L’icona dela Madonna di Montalto è rappresentata dall’immagine
di Maria col bambino Gesù, in altri dipinti appare anche,
secondo precisi riferimenti storici, con indosso una veste
bianca con la mano destra alzata in segno di benedizione e la
sinistra che tiene lo stemma della città di Messina, rosso con
la croce gialla, in difesa dei messinesi contro i francesi.
Specificando come premessa il fatto che la presenza mariana si
percepisce in tutto il santuario, a tal proposito volevo
sottolineare come validi ed esperti esorcisti abbiano potuto
verificare la forza del suddetto luogo nella lotta contro il
demonio, volevo aggiungere inoltre che la Madonna stessa mi ha
fatto comprendere quanto sia importante e preminente recarsi
all’interno della chiesa per celebrare messa e ricevere
sacramenti prima di fermarsi nel luogo dove io l’avverto di più.
Il posto dove sento forte la presenza mariana fa parte
ovviamente del santuario ma non è situato né all’interno della
chiesa e nemmeno dentro il vasto perimetro che delimita il
sacrato ma bensì al di fuori di esso, anche se molto vicino.
Vi sono infatti delle scalette abbastanza lunghe che scendono
via via dal sacrato verso il basso che servono a collegare il
santuario stesso con la strada sottostante; nella parte
superiore delle scale, sul lato destro per chi scende, vi è uno
spazio di verde a metà tra un giardino e una villetta
notevolmente grande e ben curato, recentemente riaperto al
pubblico e di proprietà del santuario medesimo.
Scendendo le scalette che iniziano proprio dal sacrato, dopo
circa una cinquantina di metri, sulla sinistra in basso e quasi
in un angolo, vi è una incavatura sul muro, direi una nicchia di
una discreta grandezza con all’interno la statua della Madonna.
La Vergine nella scultura, sempre illuminata da una lucettina,
porta sul capo una corona di stelle, presenta le mani allargate,
aperte verso il basso e tiene schiacciato sotto il piede un
serpente. E’ l’immagine della Madonna della medaglia miracolosa
apparsa in Francia nel 1830 a Santa Caterina Labourè. La statua
è dentro una nicchia vetrata e il vetro stesso è protetto da una
grata di ferro a forma di arco e chiusa a da un lucchetto.In
alto, incise sul marmo posto nel muro sopra la nicchia, disposte
anch’esse a forma di arco, si leggono le seguenti parole:
“Venite figli sono io la Madre”. Sotto la nicchia vi si trova un
marmo di considerevole spessore che funge da base, incisa sul
quale spicca una grande M maiuscola, simbolo di Maria. Situata
proprio a fianco, di fronte per chi guarda dal sacrato, vi è
un’altra nicchia uguale a quella dove è posta la statua del
Madonna, però vuota, come mancasse qualcosa.
Il posto appare veramente suggestivo, sembra proprio un luogo
adatto ad apparizioni soprannaturali, vi sono molte fronde che
dall’alto calano sulla nicchia creando ombra e molti insetti vi
si vedono intorno. Sopra il marmo posto sotto la nicchia vi sono
due vasi grandi ma con piante ormai appassite e pianticelle o
fiori finti incastrati nella grata assieme a qualche immaginetta
sacra. Vi si trova poi tutto ciò che porto io con amore, man
mano, specie in ricorrenze e momenti particolari alla Madonna:
rose di vari colore, cuoricini di diverse dimensioni alcuni con
la scritta “Ti amo”, coroncine di rosario, angioletti. Alcuni di
essi restono, altri vengono portati via da ignoti essendo un
luogo all’aperto non controllato, altri vanno deteriorandosi col
tempo. Sono tutti oggeti legati alle grate con lacci, spaghi o
cordicelle improvvisate. Mi son chiesto spesso il motivo per il
quale un luogo , almeno per me così importante e vitale tanto da
esserci la Madonna, venga trascurato, a differenza del sacrato
del santuario che appare sempre splendido e curato. Eppure ci
vorrebbe solo un po’ di buona volontà affinchè qualche anima pia
del luogo mettesse almeno un po’ d’aqua alle piante o togliesse
tutta l’erba e le foglie che giacciono per terra nel più
completo abbandono.
Se le persone che frequentano abitualmente il santuario e non
solo esse ma anche visitatori occasionali o semplici cittadini
di Messina mostrassero più interesse , se insomma sapessero e
comprendessero l’importanza di quel luogo dove vi è posta quella
Madonna, io credo che avrebbero verso di esso più cura e
attenzione. Non si prega quasi mai infatti davanti a quella
statua, mai un rosario recitato lì, eppure fa parte del
santuario, è un luogo di passaggio specie per molti turisti
stranieri e italiani che transitano proprio da lì . Messina è
diventata infatti una città turistica grazie al suo porto,
sbarcano enormi navi da crociera, continuamente ed anche due
alla volta con tantissima gente a bordo, ma quasi nessuno di
loro si ferma in quel luogo, continuano a salire le scale
interessate esclusivamente a raggiungere il sacrato che sta più
in alto e a fotografare e filmare il panorama che offre il
santuario. Sì, forse la colpa è anche mia che non sono stato
capace di divulgare quella enorme ricchezza spirituale che mi
trasmette la Madonna da quel posto, ho tenuto troppo per me
tutti i segni, i prodigi, le rivelazioni. Ho mantenuti segreti
anche i miracoli, le guarigioni, non solo quelle fisiche ma
soprattutto quelle del cuore, le guarigioni interiori che a Dio
interessano di più, tutti compiuti per intercessione di Maria e
nel nome di Gesù, nome al di sopra di ogn altro nome, che è lo
stesso ieri, oggi e in eterno. Forse non ho compreso che persino
io stesso potevo essere per gli altri una prova della sua
esistenza. Penso ad esempio agli eventi che la Madonna mi ha
rivelato proprio da lì prima che accadessero, tutte cose o
situazioni che io sapevo in anticipo, ricordo per citarne solo
alcuni quando Maria mi chiese di portare lì con me due coniugi
Maurizo e Giovanna e di pregare per la loro figlia Stefania che
aveva lasciato la loro casa prendendo brutte strade
preannunciandomi che Lei l’avrebbe fatta ritornare, cosa che
successe; ricordo ancora le lacrime di dolore della madre in
pena per la figlia prima e poi quelle di gioia per averla
riabbracciata dopo. La preghiera alla Madonna per la figlia fu
fatta l’8 dicembre nel giorno dell’Immacolata Concezione, e
furono proprio Maurizio e Giovanna, secondo la volontà di Maria,
a deporre quel giorno ai piedi della statua la rosa che la
Madonna desidera le venga portata da me ogni anno, è stata la
prima volta che non sono stato io a farlo. Ricordo ancora con
vivida emozione quando sempre Lei mi rivelò prima che accadesse
la guarigione di Francesca, una ragazza con la benda su un
occhio già compromesso che rischiava di perdere completamente la
vista avendo ereditato dalla madre Caterina, diventata a sua
volta non vedente, la stessa malattia. Si trattava di un male
che colpiva gli occhi, incurabile per la medicina e che
l’avrebbe portata progressivamente alla cecità come la madre. E
poi mi torna in mente ancora il ricordo quella volta in cui
Maria mi disse da quel posto che avrei vinto gli attacchi di
panico che per un decennio mi impedivano di uscire da casa e che
ci sarei riuscito senza cura farmacologica ma con l’aiuto del
Padre Celeste, o quando mi spiegò che la mia detenzione
carceraria durata quasi due anni doveva avvenire nella città di
Enna, proprio in quella città dove io avevo ambientato il mio
libro “Il vecchio e la ragazza”, libro ispirato e scritto sotto
dettatura dal male, composto in un periodo buio della mia vita
in cui ero schiavo del diavolo, libro che oggi, rileggendolo,
capisco di non averlo scritto volontariamente, la mia
ispirazione artistica infatti risultava condizionata ed
inquinata. Ricordo, anche se è una situazione molto leggera, ma
l’amore di Dio lo si può trovare sia nelle grandi cose come
nelle piccole, quando Maria mi fece capire che Gesù mi avrebbe
consentito come regalo la possibiltà di vedere dal vivo il mio
cantante preferito Alan Sorrenti, un mio idolo che ha
accompagnato i miei ricordi facendo da colonna sonora di tutta
la mia vita sin da ragazzino poco più che adolescente, l’avrei
visto finalmente dal vivo a Viagrande in provincia di Catania,
non vi posso dire l’emozione e i segni piovuti dal cielo in quel
gorno così speciale per me. Sono questi narrati, tutti
avvenimenti che io ho saputo prima del tempo quando non potevo
prevederlo.
Sono comunque tanti i segni che Maria mi ha dato da quel posto
dove io continuo a recarmi spessissimo ,specie quando mi sento
solo non avendo nessuno; ci vado per parlare, confidarmi ed
essere ascoltato, per pregare, a volte recitando il rosario o
dicendo la Coroncina alla Divina Misericordia. Sto con Lei come
si fa con una madre dolcissima ed affettuosa che non si stanca
mai di starmi vicino e di proteggermi contro le insidie del
male. La vicinanza della Madonna come quella di Dio o il
sostegno della fede non garantiscono una vita senza problemi,
dolori o difficoltà, non ti evitano gli attacchi del diavolo che
anzi risulteranno essere maggiori man mano che si cresce nella
fede ma ti aiutano ad affrontarli meglio con più serenità e
consapevolezza di potercela fare perché sorretti dall’aiuto di
Dio che è sempre con te. Spesso si trova la chiave per
risolverli in quanto guidati dallo Spirito Santo che apre la
mente ed indica la strada rivelandosi è il più grande geniale
maestro di tutti i tempi, donandoti una sapienza che non è di
questo mondo ma che viene dall’alto. Non è per niente facile
comunque parlare di ciò che mi accade riguardo la Madonna. Per
me è destino dovermi tenere tutto dentro senza mai avere avuto
la gioia di poterlo condividere con gli altri se non, come sto
facendo ora, attaverso il talento che Dio mi ha donato sin da
piccolo: la scrittura; non mi è stata mai data, infatti, la
possibilità o l’opportunità di farlo. Per questo motivo ho
lasciato la chiesa evangelica nella quale mi trovavo bene tutto
sommato, mi piaceva il loro modo di pregare e di rapportarsi a
Dio. Rientro in quella cattolica e mi rendo conto che il
problema è sostanzialmente lo stesso anche se per motivi
diversi, per prudenza o altro, non so. Si continua a considerare
Maria come una creatura lontana ed inaccessibile, direi
inavvicinabile, appartenente a chissà quale altro mondo lontano
mille anni luce da noi terrestri, con la quale si può entrare a
contatto solo dopo la morte . Ma non si comprende invece che non
c’è nulla di più normale che comunicare con Lei anche senza
avere il dono della veggenza ma semplicemente sentendone la
presenza; siamo divisi solo dal corpo, lei vive in dimensione
spirituale, noi in quella fisica ma siamo spiriti entrambi,
fatti della stessa essenza e creati per lo stesso destino da un
unico Padre, del resto anche lei era come noi quando era nella
vita terrena. Tutto sembra complicato, impossibile, privilegio
solo di pochi eletti. Ma io sono forse un eletto? Eppure la
sento, basta aprire il cuore e gli occhi dello spirito. Esiste
una sola verità affinchè ciò possa accadere come continua a
succedere a me: tornare puri come bambini e credere, e la madre
di Gesù si farà trovare.
Ho lasciato con dispiacere il Rinnovamento nello Spirito sia
perché, come nella chiesa protestante, non mi è stato permesso
di testimoniare, paradossalmente non l’ho potuto fare nemmeno
trovandomi in chiese cattoliche che portano nomi mariani. Quindi
non appartengo più a nessun gruppo o comunità di preghiera,
frequento la chiesa cattolica dello Spirito Santo, sono in mezzo
alle suore e sto bene, prendo la comunione ogni domenica perchè
ritengo assolutamente indispensabile e vitale nutrire lo spirito
col sangue e corpo di Cristo. Poi, per il resto, vado dove mi
porta il cuore, sono occasionalmente di tutte le parrocche e di
nessuna, senza poter contare sull’aiuto spirituale di nessuno,
eppure perfino i santi hanno avuto bisogno di un sacerdote che
gli facesse da guida spirituale, ma io no, destino per me andare
avanti da solo in ogni campo della vita, compreso quello della
fede, totalmente da solo, affidandomi unicamente alle preghiere
e al dialogo continuo con Dio, che non è poco. Ascoltando il
cuore, seguendo La Parola di Dio ma evitando scontri verbali di
interpretazioni nella lettura che hanno diviso la chiesa
cristiana, io faccio una cosa importantissima e basilare:
analizzare costantemente la mia condizione spirituale con molta
attenzione, verificarla e rimetterla in discussione se è il caso
quando penso di sbagliare, restando sempre umile e ascoltando la
voce del cuore, che quando riesce a rimanere puro ed
incontaminato, non mente e non sbaglia mai. Fuggire il peccato e
mettere Dio al primo posto e al di sopra di tutto nella propria
vita , solo in questo modo si cresce nella fede, ed io sono
cresciuto davvero tantissimo con ancora ampi margini di
miglioramento se continuerò su questa strada. Con gli occhi
limpidi, una freschezza interiore e la pace nel cuore ho
imparato a guardare lontano, anche a ciò che esiste ma non si
vede, cogliendo i segni del cielo anche i più piccoli ed
impercettibili, fidandomi incondizionatamente di Dio. Ed ogni
volta che commetto anche il più piccolo errore, corro subito a
confessarmi per ritrovare tramite il sacerdote l’abbraccio
misericordioso del Padre.
In conclusione, tornando a quel luogo dove sento la presenza di
Maria, mi chiedo cosa sarebbe giusto fare. Confesso che
istintivamente vorrei correre subito dal parroco della chiesa di
Montalto per raccontargli ogni cosa con sincerità e aprendomi
completamente, poi vorrei anche pregarlo di valorizzare quel
posto così importante per la Madonna, per me e per tutti: ma mi
ascolterà? Saro' creduto?
"Il vecchio e la ragazza"
Un vecchio di 65 anni,
un’adolescente di 15.
Due età apparentemente distanti,
due vite che si svolgono parallelamente
nel cuore della Sicilia
ma sotto un unico triste denominatore:
la solitudine.
Ma il destino che sfugge ad ogni regola
li fa incontrare,
la natura che obbedisce alla legge vera dell’istinto
e non alla morale,
fa il resto.
I due si uniscono carnalmente e mentalmente
semplicemente perché ne sentono entrambi il bisogno.
Un libro scandalo
che si schiera contro la criminalizzazione del pensiero
e va oltre la sciocca e viscida censura,
presentandosi al lettore
come espressione più vera della libertà umana.
"Ho sempre considerato lo scrivere come una confessione
so di rischiare di essere messo al rogo
a causa di questa mia libera ed illimitata sincerità
ma sono altresì consapevole
di non potervi assolutamente rinunciare"
...Mosè
Lo si riconosceva subito,
distinguendolo tra un milione di persone, osservandolo da vicino così come da
lontano, di fronte o di spalle; era unico, inconfondibile, inimitabile. Sì, era
proprio lui, era impossibile sbagliarsi. Aveva appena compiuto 65 anni, una
strana età un po’ per tutti, in cui si viene considerati anziani, da qualcuno
addirittura già vecchi, anche se la vecchiaia, così come la giovinezza, non è
necessariamente e del tutto riconducibile ad un dato anagrafico ma, il più delle
volte, è espressione di un modo di essere, di sentirsi e di operare.
Si può essere vecchi e spenti
perfino a 20 anni, mentre ci si può sentire giovani anche a 80. Insomma tutto è
relativo, molti sono giovani di fuori e vecchi dentro e viceversa. Ma lui, i
suoi anni, almeno esteticamente, li dimostrava tutti per intero, anzi qualcuno
in più. Non curava minimamente il suo abbigliamento e tanto meno la sua figura
ma si lasciava andare trascinandosi per com’era come chi si sente ricco per
quello che possiede dentro e non per come potrebbe apparire di fuori. I suoi
capelli erano bianchi, spettinati ed arruffati in qualunque istante della
giornata come se si fosse alzato dal letto proprio in quel momento.
Non erano moltissimi ma non
lasciavano trasparire alcun segno di calvizie malgrado l’età. La sua barba
giaceva sempre lì, al suo posto, da sempre e per sempre, bianchissima come
nuvola o zucchero filato o meglio ancora panna, quasi argentata, lo stesso
identico colore dei capelli. Una barba incolta, anch’essa non curata, nel più
completo abbandono, lasciata crescere così come capita, senza forma o stile, in
perfetta paradossale armonia col resto della persona. Sembrava, quella barba, un
orticello negletto, lasciato al suo destino, senza la mano amorevole d’un
contadino o d’un giardiniere che lo coltivasse per riceverne in cambio i frutti.
La sua faccia era rugosa ma non lasciava intravedere un’età senile troppo
avanzata. Quelle sue rughe, partendo dalla fronte, si dipartivano in tutto il
resto del viso alternandosi però a squarci di volto ancora lisci e quasi
infantili come un albero già grande che mostra attaccati ai suoi rami, frutti
maturi ed altri ancora acerbi. Un contrasto particolare di vecchiaia e
giovinezza, di maturità e incoscienza, di saggezza ed infantilità insieme, che
rendevano il viso di quell’anziano particolarmente ammirevole, splendente d’una
luce capace di illuminare ed irradiare chiunque la osservasse. Una luce in grado
di proiettare all’esterno il bambino mai cresciuto che aleggiava ancora dentro
di lui, costretto a dimorare, suo malgrado, in un corpo non più infantile. Anche
i suoi occhi non stonavano affatto con quell’armonia di impressioni. Ma anzi lo
rendevano ancora più affascinante perché vispi, indagatori, attenti e profondi,
di colore castano che volgeva timidamente al verde, dentro i quali, in età ormai
lontana, una ragazza innamorata avrebbe potuto meravigliosamente specchiarsi,
fino ad esserne completamente rapita, soggiogata, stregata. I suoi denti, a
dispetto dell’età e del fumo delle sigarette, si mostravano ancora
straordinariamente bianchi, d’una bianchezza simile a quella dell’avorio, erano
rimasti intatti, del suo colore naturale, tali da far invidia ad un giovane.
Persino le labbra sembravano virili, fresche e morbide come fossero ancora
pronte a ricevere il bacio di un’amante. Era, visto nel suo complesso, il viso
d’un uomo avanti con gli anni ma che dimostrava appieno la sua vitalità, quella
vitalità che poteva essere presente in un giovane rivelando un inquieto e
misterioso fascino.
Segnale d’una antica bellezza che,
anche se sfiorita inevitabilmente col trascorrere del tempo, in un’età lontana,
poteva benissimo essere stata viva e seducente, tale da riuscirsi a cogliere
ancora adesso. Anche nell’espressione del suo sguardo, vi era qualcosa di
magico, pareva quella di un giudice severo che stava per emettere una sentenza
da un momento all’altro, ma al tempo stesso, cambiando d’atteggiamento,
paradossalmente, dava l’impressione di essere uno sguardo rassicurante come
quello di un padre nei riguardi del proprio figlio. Un modo di guardare vigile e
intenso, contraddittorio a volte, fedele specchio, del resto, della sua persona
senza certezze, sempre in bilico con se stesso, senza una strada ben precisa
sulla quale muovere i propri passi o una meta già stabilita da raggiungere. Era
la sua, la filosofia di vita di chi vive alla giornata, di chi non cancella in
un sol colpo il suo passato ma non guarda nemmeno per un momento al suo futuro.
Lui non programmava mai le sue scelte in prospettiva futura né si chiedeva cosa
succederà domani, gli interessava soltanto cosa fare adesso, immerso solo ed
esclusivamente nel suo presente, che era l’unica realtà che contava. Quella luce
che, sia pure offuscata dagli anni, gli brillava ancora in viso, non era invece
riscontrabile nel suo fisico che appariva invecchiato, appesantito con qualche
chilo di troppo, specie nella pancia che si notava in tutta la sua rotondità.
Tutto ciò veniva ancor più messo in evidenza, in negativo, dal suo modo di
vestire che era assolutamente sciatto, totalmente trasandato e dimesso, pareva
vestirsi con quello che capitava, il minimo indispensabile per non uscire
svestiti. Era privo di ogni gusto estetico, a volte indossava sempre le stesse
cose. Dava l’impressione di un barbone che non amava né l’ordine né la pulizia e
che preferiva non curarsi abbandonandosi a se stesso e al proprio destino. Il
suo nome di battesimo era Giovanni, non dirò il suo cognome non ritenendolo
importante od opportuno nello svolgimento del racconto, ma tutti lo chiamavano
col soprannome di Mosè, proprio per quel suo aspetto patriarcale, da profeta che
richiamava, sia pur lontanamente, a quel famoso personaggio biblico che
ricevette sul monte Sinai, i comandamenti da Dio. Quel nome gli era stato
affibbiato da qualcuno tanti anni fa e, come spesso accade in simili
circostanze, si era propagato subito di bocca in bocca, sino a sostituire quello
vero a tal punto che da allora, per tutti lui si chiama Mosè e quasi nessuno,
adesso, conosce più il suo vero nome.
... Fia
Un orsacchiotto di peluche
piccolino con uno sguardo timido ed impaurito, seduto, appoggiato sul muro della
sua cameretta. Una bambola grande e strana con un’espressione da far paura,
inquietante e misteriosa, quasi fosse venuta dal nulla, con due occhi di
ghiaccio e con addosso soltanto le mutandine, sembrava la bambola assassina, un
po’ sadica e un po’ sexy. Un paio di posters attaccati al muro raffiguranti i
volti di idoli musicali, belli come divi da fotoromanzi. Qualche strano disegno
che mostrava tombe, cimiteri, sangue, atmosfere surreali ed indecifrabili,
almeno a prima vista. Più sopra, in un angolo del muro, attaccato ad un chiodo,
uno scheletro di gomma, color verde fosforescente, che penzolava ondeggiando qua
e là, muovendosi più forte quando v’era una corrente d’aria ma che non incuteva
molta paura, pareva appartenere ai cartoni animati più che ai films dell’orrore.
E poi, sulla scrivania, un computer portatile nuovo con la relativa tastiera,
dei libri, quaderni, parecchie foto in cornici col suo viso in diverse e
svariate espressioni. Un astuccio aperto con dentro un sacco di penne e matite
sparse qua e là, alcune delle quali per terra. Un televisorino piccolo ma di
bell’aspetto col telecomando, un videoregistratore, dei cd, un cellulare e lì
vicino uno stereo di dimensioni ridotte ma di valore, molto sofisticato e
tecnologicamente avanzato. Continuando a girare con lo sguardo per quella
cameretta di inequivocabile fisionomia giovanile, vi si poteva scorgere un
lettino per una sola persona con delle lenzuola bianche lo stesso colore del
cuscino ed una coperta più scura, molto leggera, abbassata sino a metà letto.
Sopra vi erano vestiti d’ogni tipo e per ogni stagione, da notte e per uscire,
molti dei quali sarebbero dovuti stare dentro l’armadio e non lì sopra.
L’armadio vi era, ovviamente, in quella stanza ma si presentava con uno dei
sportelli aperti che lasciavano vedere un’infinità di vestiti ed indumenti vari,
uno sopra l’altro, così come capitava, alcuni arrotolati come fogli di carta
straccia senza alcun ordine e la benché minima cura. Quella stanza, al primo
sguardo, era il ritratto del disordine che regnava ovunque e in qualsiasi cosa.
E lì dentro, davanti allo specchio più impolverato che lucido, vi era lei,
bellissima con i suoi quindici anni compiuti da due mesi, lei che col suo
aspetto annullava, come per magia, tutto il disordine che vi era intorno
concentrando su di essa grazia, armonia, giovinezza. Prepotente, catturava
quello sguardo indagatore che poco prima frugava fra le cose della sua
stanzetta. Vi riusciva con la vitalità e la sensualità della sua età, rendendo
lecito e giustificabile, tutto ciò che di sbagliato e di fuori posto vi era lì
dentro. Lei ora rappresentava il centro, il motore, la parte principale di
quella stanza come se tutto vi ruotasse intorno. Lei, l’adolescente, indiscussa
protagonista, attrice, stella del firmamento, giovanissima dea nata per amare ma
soprattutto per essere amata. Quell’ipotetica telecamera nascosta dentro la sua
camera adolescenziale per spiare le sue cose, il suo mondo che io stesso era
come se avessi piazzata, ora non poteva che soffermarsi su di lei mentre si
guardava allo specchio, in quella mattina inoltrata d’agosto. Quando una ragazza
o una donna in genere, si alza dal letto, senza trucco e tutta in disordine,
mostra realmente il suo fascino o la sua bruttezza, senza inganni, senza
maschere. È proprio in quel momento che appare come realmente è, come un’attrice
dietro le quinte di un palcoscenico, finita la recita. Lei, la quindicenne, era
bella e provocante anche in quel modo. Lunghi capelli neri lisci e lucenti le
coprivano le spalle, delicatamente e con armonia come una giovane puledra con la
sua criniera al vento che leggiadra, galoppa libera tra i campi, talmente viva e
ammaliatrice da lasciarsi correre dietro mille stalloni. Apparivano spettinati
quei capelli ma soltanto in fronte e sulla parte alta della testa, era un
leggero disordine che anziché richiamare alla negligenza e alla noncuranza come
tutta la sua stanza, riconduceva meravigliosamente ad una bellezza giovanile e
precoce, ad una sensualità gitana, vibrante, animalesca e selvatica, ritratto di
una creatura figlia della concupiscenza ma ricca di celestiali virtù, come
angelo del diavolo. Vista da dietro mentre continuava a specchiarsi, pareva una
giovanissima tigre che ruggisce ma anche una tenera gattina che fa le fusa.
Tutte sensazioni contrastanti che, agli occhi di chiunque la spiasse,
penetravano come una lama appuntita nella carne lasciando un brivido sulla
pelle, come il ghiaccio sulle foglie che, sciogliendosi, lascia gli alberi a
tremare. Ma queste vivide e laceranti sensazioni, potevano essere avvertite e
decifrate, soltanto da chi possiede l’arte nel sangue, nel proprio Dna, da chi
ha innato dentro quell’erotismo prorompente ed inarrestabile che porta a
guardare una donna, in questo caso una ragazza, con gli occhi della magia e del
desiderio. Desiderio che non nasce dal peccato come vorrebbero farci credere, ma
dal candore dell’innocenza che spruzza sensualità da tutti i pori. Tutta questa
autentica forza della natura, può offrirla solo la giovinezza che fiorisce,
l’adolescenza che rapisce e trasporta con sé in mondi inesplorati e che non è
mai sinonimo di volgarità ma sempre espressione di felicità, gioia, paradiso
terreno. Cosa c’è di più bello su questa terra e forse anche in cielo,
dell’ammirare un giovane corpo d’adolescente che è arte, armonia, bellezza,
piacere? È l’essenza stessa della vita, il vero motivo per cui vale la pena
vivere.
... Mosè
Le chiacchiere della gente, sempre
pronte a ficcare il naso e a giudicare i fatti degli altri, nascondendo quelli
propri, dicevano che fosse di origine nobile, qualcuno sosteneva anche che fosse
stato addirittura un conte e che avesse vissuto in un castello pieno di
ricchezze ereditate da lontani avi benestanti. Dicevano anche che poi, per sua
libera scelta, avesse rinunciato a tutto decidendo di vivere in assoluta libertà
e povertà, campando di espedienti ed elemosine, aiutandosi con qualche lavoretto
saltuario. Le male lingue dicevano ancora che non fosse stato mai sposato, ma
sulla sua vita sentimentale, vigeva il più assoluto e totale mistero. Chissà se
ha mai conosciuto l’amore o se ha vissuto anche da giovane sempre solo! Chissà
quante donne ha corteggiato e quante hanno ricambiato questo interessamento!
Certo è che, guardandolo adesso, dà l’impressione di essere talmente abituato
alla solitudine, da non aver bisogno di niente e di nessuno. Sembra in perfetta
armonia con se stesso, come chi gusta appieno la propria libertà che rappresenta
l’unica vera ricchezza, quella d’un uomo che non è mai sceso a compromessi con
la società troppo spesso bigotta e perbenista. Ai miraggi dei soldi e della
posizione sociale, lui ha saputo preferire la bellezza e la poesia d’una vita
viva e vera, colma di interiorità, di profondità, quasi da artista o eremita,
fuori da ogni schema. Del resto, non sempre un uomo sente il bisogno di
confrontarsi o di integrarsi con la società, spesso ci si può sentire soli pure
in mezzo a milioni di persone, perché non si è capiti o compresi o si viene
ignorati del tutto. Lui, Mosè, tutto questo lo sapeva bene perché l’aveva
sperimentato su se stesso, e aveva scelto quel suo stile di vita, in ogni caso
da rispettare, come un angelo caduto su questa terra che come sola compagnia,
aveva lui stesso, l’unico che lo conosceva bene e, per questo, non poteva mai
tradirlo. Trovava assolutamente normale parlare con sé e rispondersi da solo. E
in quelle rarissime volte in cui gli sembrava che non si ascoltasse, si
rivolgeva a quella natura che i credenti chiamano Dio, unica consolatrice,
confidente di anime solitarie che, non potendo o volendo esternare il proprio
amore su altre persone, lo riversano per intero su di essa, guardandola con gli
occhi dell’amante. Il terzo ed ultimo confidente dopo se stesso e la natura, era
rappresentato dal suo quaderno che utilizzava quasi come una sorta di diario nel
quale aprirsi come in confessione. Mosè scriveva spesso su quei fogli di carta,
scriveva tanto, specie quando ne aveva voglia o ne sentiva il bisogno. Annotava
tutto ciò che gli passava per la testa: pensieri, emozioni, considerazioni,
commenti. Lì buttava giù così, senz’ordine e senza data, come li sentiva dentro
e in maniera istintiva. A volte scriveva anche testi di canzoni napoletane
classiche: Reginella, Marinariello, Torna a Surriento e tante altre ancora, un
genere che lui adorava e che suonava spesso con la chitarra o ascoltava alla
radio. Non conosceva bene le note musicali ma nonostante questo era capace di
suonare molto bene ad orecchio e, spesso, anche ad improvvisare canzoni inedite
da lui stesso create. Aveva l’anima d’artista, e come poteva non essere così per
un uomo come lui e con la vita che conduceva? Era bravissimo anche a scrivere
commedie teatrali usando un linguaggio squisitissimo, ironico e pungente nello
stesso frangente. Peccato che nessuno l’abbia mai preso in considerazione,
riconoscendogli il giusto merito. Perché Mosè, di talento, ne aveva da vendere e
ne aveva davvero tantissimo ma l’attenzione che i cosiddetti critici d’arte gli
rivolgevano, era praticamente offuscata da quel suo modo trasandato di
presentarsi che, agli occhi di chi giudica solo per come uno appare, non
meritava considerazione alcuna. E chissà quanti altri talenti nascosti, quante
anime artistiche sconosciute che ci sono in circolazione, restano in ombra. Un
autentico spreco di talenti, di arte, di emozioni che non possono comunicare e
che rimangono inespressi, morendo, ripiegandosi su se stessi. È una miniera di
ricchezza che si perde! Mosè sapeva fare un po’ di tutto in campo artistico. Era
bravo e portato anche a recitare. Era nato per fare l’attore, sapeva stare in
scena. Aveva quella tipica mimica, quelle mosse, studiate e involontarie, che
sanno fare i bravi attori senza distinzione fra teatro e vita, proprio come lui.
Vi è una foto che lo ritrae con un cappello in testa in una tipica espressione
teatrale. È un’immagine bellissima che meriterebbe d’essere scolpita o
trasferita in un quadro, ritrae perfettamente la sua inclinazione all’arte in
genere.
... Fia
Ora la ragazza afferra un pettine
e prova a schiacciare verso il basso, aiutandosi con la mano, quei suoi capelli
alzati in aria come cresta di gallo, dopo una notte di sonno. Ma non ve ne era
proprio bisogno. A quindici anni si è belli sempre e comunque, specie se si è
come lei. Ora guardava se stessa allo specchio come se si trattasse di un’altra
persona, di un’amica, di una coetanea ma non si giudicava, ormai sapeva
benissimo da sempre, di essere desiderabile ed attraente e ne era felice, ne
andava orgogliosa come il pavone quando si muove con tutte le proprie grazie. I
suoi occhi neri, penetranti, ancora addormentati come chi si è svegliata da poco
senza neanche sciacquarsi la faccia per svegliarsi del tutto, si presentavano
lucidi e dilatati e in quell’attimo, non sembravano quelli di una ragazzina che
osserva curiosa la vita con l’ingenuità disarmante dell’età, ma piuttosto davano
l’impressione di essere quelli di una donna matura ed esperta, che li apre dopo
una infinità di orgasmi assaporati tutti in un’unica notte. Senza l’ombra del
trucco, senza maschere di fondotinta, senza il rossetto che brilla sulle labbra,
lei appariva ancora più giovane dei suoi quindici anni, più piccola che mai e,
per questo, più seducente, più maliziosa.
Quando la natura decide di
regalare ad un’adolescente la bellezza, questa esce fuori sempre, con o senza
trucco che può eventualmente servire, solo per trasformare la piccola ingenua
bambina in una giovane donna creata per l’amore, ma nel primo come nel secondo
caso, è la giovinezza che trionfa unita alla bellezza e al desiderio. Ora la
ragazza apre un po’ di più gli occhi, poi leggermente anche le labbra facendo
uscire fuori ma solo per un attimo ritraendola immediatamente, la punta della
sua lingua che, come una susina ancor acerba o una piccola anguilla, sarebbe
stata capace, contro ogni moralità, di risvegliare persino gli istinti repressi
d’un prete. Le sue labbra violacee, carnose e infantili al tempo stesso, erano
talmente seducenti che anche lo specchio pareva diventare vivo come volesse
avvicinarsi per unirsi a lei, e quel desiderio sarebbe stato lo stesso di
chiunque si fosse trovato lì in quel momento ad osservarla di nascosto.
Forse avrebbe venduto per
l’eternità l’anima al diavolo in cambio di una frazione di secondo nella quale
poter appoggiare le sue labbra a quelle della ragazza. Del resto, quelle
sensazioni che avrebbe provato in quell’istante, paradisiache, sarebbero valse
assai di più delle sofferenze eterne dell’inferno. Ed io mi chiedo, a tal
proposito, il motivo per il quale molti giovani siano tristi e insoddisfatti.
Non riesco proprio a comprendere perché cerchino piaceri artificiali nella
droga, nell’alcool, nel ritmo assordante d’una discoteca o nel rombo d’un motore
da corsa. Ma perché non provano invece, loro ai quali l’età ancora lo consente,
a baciare le labbra di una bella ragazza? Ma esiste al mondo forse, una droga o
un paradiso più bello? più naturale? Non solo non fa per niente male ma ha anche
il potere di elevare l’anima e il corpo, fin quasi a rendere immortali. E ancora
mi rendo conto di quanta stupidità vi sia nella vita di clausura, nella castità,
nella rinuncia ai piaceri del sesso e dell’amore per godere poi di una
ricompensa in una ipotetica vita futura. Ma esiste una grazia o una gioia più
pronta ed immediata del bacio di una quindicenne? È questo il paradiso, è già
qui su questa terra, a portata di mano, non ne servono altri, non c’è alcun
bisogno di cercarlo altrove o in altri mondi. È la sensazione che si proverebbe,
non è forse un dono di Dio per arricchire i sensi e l’anima? Ma ecco che ora,
sempre davanti allo specchio, l’unico fortunato al quale è concesso di ammirare
le sue grazie, la ragazza sbadiglia una volta, poi una seconda ancora,
allargando le braccia sia a destra sia a sinistra, portando avanti il petto,
mostrando in tutta evidenza due seni adolescenziali ma già abbastanza formati,
bellissimi che, anche se coperti dalla camicetta del pigiama, come due piccoli
vulcani, sembrano rappresentare la creazione più bella di chi ha inventato il
corpo d’un’adolescente, il più grande capolavoro artistico di tutti i tempi
fatto da uno scultore, la parte più importante del quadro d’un pittore. Se
qualcuno presentandosi lì in quel momento esatto, avesse avuto la fortuna e il
tormento di osservarla in quel gesto e avesse avuto poi il permesso di palpare
quei seni, riterrebbe la propria vita completa, poteva anche morire ormai, il
destino non avrebbe potuto mai e poi mai riservargli gioie e sensazioni più
forti di quelle già provate in quell’attimo. La ragazzina intanto sembrava
essersi svegliata completamente, si tirava i capelli in su con le mani, faceva
smorfie allo specchio come in un film muto, si abbracciava da sé, si piaceva.
Quel viso un po’ da bambina, faceva già presagire la bellezza che avrebbe poi
avuto da donna. Poi si alza di scatto dalla sedia e girando improvvisamente le
spalle allo specchio come per dispetto, si guarda il suo sedere che, anche se
coperto dal pantalone del pigiama color azzurro con palline bianche, le si
mostrava perfettamente sodo e armonioso malgrado la giovane età. Anche quella
parte del suo corpo, come ogni altra del resto, era perfetta e senza alcun
difetto, pareva più forte di una calamita capace di attirare su di essa mille
mani. Poi la ragazza smette di guardarsi, un’abitudine e un vanto che usava fare
tutte le mattine, e poteva permetterselo data la sua bellezza, e comincia a
guardarsi in giro rapidamente, osservando il solito inconfondibile disordine di
sempre al quale era ormai abituata, anzi le sarebbe sembrato strano il
contrario, e senza smuovere un dito per mettere a posto la benché minima cosa di
là dentro, si sdraia a peso morto di colpo sul suo lettino con la faccia in su e
gli occhi rivolti al soffitto, al posto del quale, a quell’età, si vede il
cielo.
Rimane così immobile a pensare a
tutto o forse a niente. È difficile entrare nei pensieri d’un’adolescente,
soprattutto mentre la si osserva in quell’espressione. Non può farlo nessun
bravo scrittore, non posso farlo nemmeno io. Quella ragazza così sconvolgente si
chiamava Fia. Il suo nome di battesimo era Sofia ma a lei non è mai piaciuto
scritto in quel modo, le sembrava la capitale della Bulgaria.
Avrebbe voluto chiamarsi Sophia
semmai con la ph al posto della f. Ma, visto che non le era stato possibile,
decise di farsi chiamare col diminutivo di Fia. Tutti i suoi amici e le amiche
cominciarono a chiamarla così, e poi anche i suoi genitori si abituarono a
farlo. Così per tutti, ormai lei era Fia.
... Mosè
Abitava ad Enna, una piccola e
tranquilla, si fa per dire, cittadina siciliana, quasi un paese per il numero di
abitanti, 28.000 circa, posta a quasi mille metri di altezza su un ripiano dei
monti Erei. È un centro agricolo e minerario che si estende con pittoresche
viuzze su una terrazza che domina l’alta valle del fiume Dittaino, sul ciglio
del quale si ergono il Duomo e il Castello di Lombardia, uno dei più imponenti
della Sicilia, con elementi costruttivi bizantini, normanni e svevi. Fu Enna un
antico villaggio siculo e colonia greca che nel corso della storia passò dal
dominio dei cartaginesi a quello dei romani per poi divenire una importante
fortezza del Medioevo. Si trovò in quel periodo sotto diverse mani, dai
bizantini, agli arabi, dai normanni, agli svevi, poi agli aragonesi. Oggi, in
quella città, ci si conosce quasi tutti come fosse un paese e le chiacchiere
della gente sono diventate pane quotidiano. Non avendo molto da fare, si
mormora, si spettegola spesso in buona fede o a fin di bene, ci si interessa dei
fatti altrui molto più che dei propri. Così un segreto che avrebbe dovuto
rimanere tale, finisce presto per passare di bocca in bocca, con notizie
aggiunte o insinuazioni fantasiose che, via via che lo si racconta, modificano
del tutto il contenuto, fino a diventare un fatto di dominio pubblico che non
sempre coincide col vero. Del resto, la città offre ben poco per potersi
distrarre senza pensare alle cose del vicino. Niente locali di intrattenimento,
niente discoteche per chiunque ami ballare, niente associazioni o aggregazioni
culturali, neanche lo sport e specialmente il calcio, riesce a sopravvivere in
quella città. A tutto questo, va aggiunta una disoccupazione elevatissima che
non riguarda solo Enna ma tutta la Sicilia e gran parte del meridione. Così a
molti giovani, finite le scuole, non rimane che emigrare in cerca di
occupazione, al nord soprattutto. La città, la più alta d’Italia dal livello del
mare e invece giù in basso in tutto il resto. Ma la sua gente sa anche essere
ospitale, generosa, disponibile e altruista come tutta la gente della Sicilia e
del sud d’Italia che si mostra solare in armonia col suo stesso clima.
Ma Mosè era, diciamo così, un
figlio adottivo di quella città. Non era nato lì ma vi si era trasferito da più
di dieci anni ed era diventato uno del luogo ormai. Aveva vissuto per oltre
mezzo secolo a Roma, la sua città natale e della capitale conservava ancora
l’accento. Poi, per una serie di strane circostanze che in pochissimi conoscono,
il destino lo portò definitivamente in Sicilia, proprio ad Enna, nel cuore
dell’isola. In città ma anche nei paesini limitrofi, lo conoscevano quasi tutti.
Lo salutavano in tanti ogni qual volta lo si incontrava per strada e lui si
fermava volentieri a parlare con ognuno di loro. Aveva molti amici di qualunque
età o estrazione sociale. Era amico dei bambini, dei ragazzi, di uomini e donne,
di anziani, di tutti insomma. Certamente quasi nessuno condivideva ed approvava
quel suo stile di vita quasi da randagio e da barbone, tipico di chi affida alla
strada la propria dimora senza un porto sicuro, senza famiglia. Nessuno poteva
giustificare quel suo modo di vestire completamente trasandato che lo rendeva
simile ad un poveraccio, a metà tra un mendicante e uno zingaro. Ma lui era
felice e si realizzava così. Era sereno, si sentiva libero come un gatto che non
ha padroni, al di fuori di una società che mostra una faccia perbenista davanti
e poi, di nascosto, rivela una doppia vita piena di fango e perversione,
prostituta, figlia del denaro, della competizione commerciale ed economica, dei
facili guadagni. Mosè aveva uno spirito libero, due occhi rimasti da bambino che
osservavano il mondo come fosse un nuovo giocattolo da esplorare. I compromessi
di una società che plagia tutti piegandoli al proprio volere, no, non facevano
per lui. Aveva una mente troppo elevata ed un cuore troppo nobile per
rinchiudersi in una gabbia fatta di regole comportamentali, dogmi assurdi e
pseudoculture. Niente massificazioni, niente opportunismo, niente convenienze.
Lui aveva scelto di vivere libero, prendendo solo ciò che una giornata poteva
offrirgli e niente di più.
... Fia
Era stata adottata Fia da quando
aveva solo pochi mesi. I suoi veri genitori non li aveva mai conosciuti né
voleva conoscerli. Non sapeva neanche se esistessero ancora o il motivo per il
quale l’avessero abbandonata. Non aveva proprio la curiosità di saperlo; non li
odiava, Fia non sapeva odiare, nei loro confronti era solo indifferente. Li
aveva cancellati e basta, così come forse loro avevano fatto con lei quando era
nata.
Li aveva sostituiti con i genitori
adottivi che, a modo suo, voleva bene ed amava più di ogni altra cosa al mondo,
considerandoli come genitori naturali. Suo padre, Adolfo, 60 anni appena
compiuti, un signore distinto, d’aspetto ancora gradevole, con una discreta
posizione sociale, era proprietario di una farmacia. Voleva bene alla figlia
tanto da non averle mai fatto mancare nulla, assecondando quando poteva farlo,
tutte le sue richieste. Non era tuttavia una generosità insita nella sua stessa
natura. Il suo modo di essere e di comportarsi infatti, anche nei confronti
della moglie, si mostrava poco incline ad indulgere in atteggiamenti
sentimentali o espansivi. Quest’ultima, Teresa, di cinque anni più piccola di
lui, era una signora anche di bell’aspetto, con una spiccata vocazione
altruistica e conseguentemente molto predisposta verso la figlia, alla quale
voleva un bene immenso. L’aveva considerata da sempre come figlia naturale,
amandola come fosse stata lei a partorirla.
Non poteva avere figli e per
questo l’aveva adottata e quella bambina divenne subito il suo motivo di vita,
la concentrazione di tutte le sue aspirazioni e dei suoi sogni. Fia lo sapeva
bene, lo aveva sperimentato e ne ricambiava l’amore con fiducia. La madre era la
sua consigliera, le nascondeva poco o nulla, le rivelava tutto e subito. Avevano
due caratteri simili, come fossero davvero madre e figlia. Le uniche ma
sostanziali differenze consistevano solo in una certa modernità di vedute che
aveva la figlia rispetto alla madre. Tanto che bonariamente e con un sorriso
sulle labbra, Fia le diceva spesso: “Sei troppo all’antica, mamma, aggiornati
un po’!”. Ma tutto questo rientrava nella norma, faceva parte del solito e
scontato conflitto generazionale tra genitori e figli. Comunque se Fia aveva un
problema, era sempre la mamma a saperlo per prima. Nonostante il diploma di
Maestra di scuola, aveva preferito abbandonare l’idea del lavoro d’insegnante
per non doversi spostare troppo e altrove per supplenze. Ritenne più utile
dedicarsi alla casa, al marito e alla figlia. Fra l’altro, il lavoro del marito,
fruttava una discreta sicurezza economica che risultava più che sufficiente per
vivere bene. La vita, in quel paese alla periferia di Enna, Leonforte, non era
per niente cara, e con quel guadagno si poteva andare avanti dignitosamente.
Solo ogni tanto, saltuariamente,
effettuava delle lezioni private in casa a qualche bambino di scuole elementari.
Ma lo faceva più per la passione di insegnare e di rendersi utile ai bambini che
per una vera e propria necessità economica. Era nel suo complesso, una famiglia
tranquilla come tante altre. Il marito lavorava, la madre faceva la casalinga,
la figlia andava a scuola, la tipica famigliola italiana insomma, del sud meglio
ancora dove, sia pur con qualche piccola giustificabile incomprensione, ci si
andava d’accordo e d’amore gli uni con gli altri. Ovviamente la chiusa e
ristretta mentalità di paese nel quale la famiglia viveva, finiva
inevitabilmente per condizionare il modo di pensare e di agire soprattutto dei
genitori che unita ad una forte ispirazione cattolica ereditata da secoli, non
li rendeva immuni da pregiudizi d’ogni tipo. È Leonforte, il paesino in
questione, un paesino vicino Enna, situato a circa 500 metri d’altezza, sulle
prime pendici dei Monti Nebrodi, che vive principalmente di attività agricola e
mineraria e che non ha più di 17 mila anime, dove tutti si conoscono e non
succede mai nulla che non si sappia in giro. Non c’è niente di veramente
importante degno di essere menzionato parlando di quel paese. Forse un palazzo
baronale, relativamente antico ma nulla di più. Se qualcuno per ipotesi, da
Milano, Roma o da qualsiasi altra città di una certa grandezza, venisse a stare
a Leonforte, tenterebbe subito di scappare, non si adatterebbe mai alla noia, lo
considererebbe un buco fuori dal mondo. Eppure, paradossalmente, tanta gente di
quel paesino, emigrata per necessità lontano a cercare fortuna, ogni qualvolta
che per le ferie si trovi a tornare a casa, non può nascondere le lacrime e una
forte emozione. Non si è mai contenti nella vita, si cerca sempre di più e poi
ci si ritrova più infelici di prima a rimpiangere quel poco che si aveva e che
forse aveva più valore. Vi era però Enna vicino, dove molti giovani si recavano
specie per andare a scuola, come la stessa Fia del resto, ma questa città in
fondo era solo un paese più grande e non è che poi ci fosse molta differenza.
Spesso i giovani, nei fine
settimana, si organizzavano in gruppetti per andare a Catania o a Palermo che
offrivano molti più divertimenti e che parevano autentiche metropoli in
confronto a quei luoghi. Gli anziani invece erano felici di abitarci, beati
loro! Lì erano nati e lì volevano morire. Per loro Leonforte era l’America, la
luna, l’universo intero e non esisteva altro. Erano piantati, radicati lì e
nessuno poteva più smuoverli ormai. Avevano in quella terra le radici, vivevano
delle loro abitudini, con la loro mentalità, sempre uguale, monotona ed era un
delitto soltanto il pensare di poterla cambiare. Certe realtà in un mondo che
oggi si evolve ad una velocità incredibile, vanno viste, sperimentate sul luogo,
risulta difficile poterle descrivere o spiegare. Per loro rimasti contadini come
tantissimi anni fa, contava solo la terra e il loro mondo, come se il tempo si
fosse fermato ora e per sempre. Io, scrittore messinese, fortemente attaccato
alla mia città, alla mia gente, alla mia terra con le sue bellezze e tradizioni,
alla mia Sicilia, considero quei posti che sto narrando nel libro, come casa mia
e li voglio bene, ma non posso non essere obiettivo nel mio racconto.
Ho sempre considerato lo scrivere
come una confessione oltre che una passione. Io sono vero nella vita, così come
lo sono nei miei libri. Quelle realtà, in quei luoghi e in tanti altri della
Sicilia e non solo, esistono ancora ed è giusto metterle in luce. Ma non voglio
giudicarle, non è nel mio stile, nella mia filosofia di vita. Bisogna sempre e
comunque rispettare il loro modo di vivere e la loro mentalità. Quelle persone
stanno bene così ve lo assicuro e chissà se il loro modo di essere è più vero e
genuino del nostro! La piccola Fia, però, non stava per niente bene in quel
paese. Amava i suoi genitori ma non sopportava quell’ambiente piccolo e
ristretto dove ci si sentiva continuamente spiati e pareva di respirare accanto
l’alito del vicino. Fia soffriva maledettamente per tutto questo. Si sentiva
chiusa in gabbia con le ali tagliate, un pesce fuor d’acqua. Si sentiva moderna,
anticonformista e in un certo senso ribelle. “Forse ne ho preso dalla mia
vera madre”, pensava, “ma non lo saprò mai” e non le importava
proprio di saperlo. “Ma quando compirò 18 anni, e non vedo l’ora, me ne andrò
via di corsa da questo schifo di paese, mi dispiace allontanarmi dai miei
genitori ma devo farlo, sì, devo farlo, è la mia vita e devo viverla come
merita. Non voglio più vedere questo paese zotico e bigotto. Me ne andrò a
Catania, a Palermo, già è un’altra cosa, Ma no, no! sempre Sicilia è. Andrò
molto più lontano, a Roma, Milano, Torino, in una grande metropoli dove si può
vivere in pace, ci si può divertire, conoscere tanta gente senza vedere le
stesse vecchie facce che ti giudicano continuamente. Lì non ti conoscono tutti
come accade qui. Mi troverò un lavoro e se diventerò ricca me ne andrò
lontanissimo in America, in Australia, sulla luna, anche su Marte ma qui non
tornerò più, questo paese non voglio più vederlo neanche col binocolo o in
fotografia. Ma adesso che ho ancora quindici anni che faccio? Qui non c’è mai
niente da fare. Io non mi diverto mai, non mi sono mai divertita. Ma che male ho
fatto per nascere qui? forse sarebbe stato meglio in Africa o non essere mai
nata. Sto buttando via i miei anni più belli, chiusa in casa, che spreco! La mia
bellezza, la mia adolescenza passeranno in fretta lo so, e non torneranno mai
più.
... Mosè
Spesso lo si vedeva nei pressi dei
cassonetti della spazzatura per racimolare qualche cibo scaduto che lui mangiava
lo stesso, oppure vicino un supermercato dove gli venivano dati degli alimenti
non più buoni per essere venduti, tanto lui metteva in pancia tutto quello che
trovava, la fame è una brutta compagna che fa fare anche azioni che non vorresti
mai fare. “A me non fa mai male niente”, diceva a tutti giustificandosi,
“la mia pancia è un serbatoio abituato a tutto anche alle cose scadute, sono
abituato, le digerisco bene e poi sono buone lo stesso”.
Aveva il vizio, come tanti, di
fumare e lo faceva a volte senza controllo, anche un pacchetto intero in poche
ore. Non ho mai potuto capire perché lo Stato sostiene a parole di tutelare la
salute dei suoi cittadini e poi, con i fatti, semina morte mettendo in
circolazione simili veleni e lucrandoci sopra. E il paradosso è che disegna la
morte nel pacchetto che vende. A questo punto perché non lascia che uno si
droghi tranquillamente o che un ragazzo vada in motorino senza casco? Non si può
difendere la salute a convenienza. Ma, pur sforzandomi, non riesco a trovare
nulla di quello che la legge impone, che abbia un senso. Ma oltre a fumare, Mosè
amava anche bere soprattutto birra. Spesso lo si vedeva per terra seduto,
accanto al suo inseparabile motorino, con almeno 6, 7 bottiglie di birra vuote.
Se le era scolate in poco tempo una dopo l’altra e persino a stomaco vuoto.
“Non preoccupatevi per me”, diceva a tutti, “io non mi ubriaco mai, le
tollero bene, è come acqua fresca” e continuava a bere senza sosta in modo
che non restasse alcuna bottiglia piena superstite. Ma in realtà, il suo modo di
parlare e comportarsi, subito dopo aver bevuto, dimostrava esattamente il
contrario. Un giorno, un bambino polacco di carnagione rossiccia e lentigginoso
in viso di circa dodici anni, gli portò una scodella con della pasta mista a
fagioli dicendogli: “Tieni Mosè, te la manda mia madre, dalla al gatto!”
Lui sorpreso e un po’ arrabbiato rispose: “Al gatto? Ma questi son buoni, li
mangio io, altro che gatto” mentre li odorava con gusto. E il bambino ancora
più sorpreso di lui continuava a dirgli: “Ma sono passati, scaduti da almeno
una settimana!” Mosè ancora più adirato rispose di nuovo: “Li mangio io e
basta, al gatto do le scatolette per gatti”. Al bambino, deluso, non restò
che andarsene.
Nessuno sa se Mosè avesse mai
lavorato una volta in tutta la sua vita passata, ma di certo è che non aveva
nessun tipo di lavoro fisso. Ogni tanto gli capitava qualcosa ma saltuariamente
e quasi sempre di breve durata. Aveva fatto il guardiano d’una villetta, un po’
di pulizie in vari posti ma null’altro di importante anche se ogni tipo di
lavoro è degno di considerazione e rispetto se fatto con onestà e lui di onestà
ne aveva da vendere. Da circa un anno però, gli era stata offerta un’occupazione
più continuativa, diciamo fissa, pur sempre precaria.
Prestava lavoro infatti nella più
grande chiesa della città di Enna, la parrocchia di San Raffaele che raccoglieva
un grandissimo numero di fedeli, tutti benestanti, che appartenevano alla parte
cosiddetta bene della città e dei paesi vicini.
Fra costoro, vi erano dottori,
insegnanti, giornalisti, avvocati, giudici. Il parroco della chiesa, si
presentava come un uomo di buon aspetto, giovanile, sulla quarantina d’anni,
forse qualcuno di più, si chiamava padre Santino. La cosa che più spiccava in
lui erano dei particolari occhialini, tipo Ottocento, da intellettuale, che lo
facevano assomigliare più ad un anarchico di estrema sinistra che a un prelato
nel pieno della sua missione. Lo si vedeva sempre circondato da donne, da
signore, alcune delle quali molto avvenenti. Vi lascio immaginare le chiacchiere
che si udivano in giro e in tutta la parrocchia. Si erano propagate per tutta
Enna e persino in provincia. Quella gente non aspettava altro. Doveva passarsi
il tempo parlando dei fatti degli altri, e una notizia bomba come questa non
poteva certo passare inosservata. Diciamo che padre Santino, credo
involontariamente, aveva offerto loro il pretesto giusto per far scoppiare un
incendio. “Sì, sì, ti dico che l’ho visto mentre toccava il seno prosperoso
della signora X. Io l’ho visto anche a letto con la signora Y dentro la chiesa
stessa”. Se ne dicevano di tutti i colori, di tutto e di più. Tutto è
partito dalla parrocchia stessa, dagli stessi fedeli che facevano una faccia
davanti al prete ed un’altra nascosta alle spalle. E pensare che in chiesa si
dovrebbe andare a pregare e invece si cade in queste bassezze. Ecco cari
lettori, cosa succede nelle parrocchie, non in tutte per carità, ma forse nella
maggioranza di esse. Io non voglio sindacare su quanto si dicesse intorno a quel
prete, forse non era vero nulla, non credo comunque possa interessare al
lettore, figuriamoci a me. Una cosa volevo però scrivervi e prendetela solo come
una mia opinione che può o meno essere condivisa.
Oggi un prete lo si vede vestito
più con abiti normali che con quelli religiosi. Ho visto molti di loro che tutto
sembrano tranne che preti. A questo punto perché non farli sposare? Non credo
che l’amore di Dio debba necessariamente essere esclusivo. Lo si può amare e
servire benissimo, pur amando la propria donna. A chi giova la castità? L’unica
vera perversione è proprio la castità secondo me. E se le donne sono uguali agli
uomini perché non possono dire la messa o diventare persino papa? Vedete cari
lettori, se le leggi dello Stato sono senza significato, quelle imposte dal
Vaticano sono addirittura incomprensibili, secondo me, ovviamente. Vi giuro che
anch’io mi sto sorprendendo di me stesso per avervi narrato le chiacchiere sulle
presunte donne del prete, e non aver invece sorvolato su un argomento così
frivolo, drammaticamente ridicolo e senza senso. Piuttosto quello che volevo
scrivervi di più importante consiste nel fatto che tutti i parrocchiani della
chiesa di San Raffaele, volevano bene e rispettavano Mosè, considerandolo come
un loro figliol prodigo, come una pecorella, o caprone in questo senso,
smarrita. L’impressione che si aveva è che fosse visto quasi come un figlio del
Signore mandato dalla Provvidenza divina apposta in quella chiesa, affinché
tutti potessero elargirgli beneficenza. E così, cominciarono tutti a regalargli
beni di ogni tipo. Dal genere alimentare: pasta anche integrale, pomodoro,
pacchi di caffè, zucchero, sale, latte, acqua; al genere d’abbigliamento:
camicie nuovissime di marca e firmate ancora impacchettate, giacche, giubbotti,
scarpe, pantaloni, maglie di lana e persino qualche slip. Poi si passava
all’utensileria: pentole, batterie da cucina, bicchieri, e poi ancora
asciugamani, saponette, lamette e schiuma da barba e persino rotoli di carta
igienica. Insomma di tutto e di più. Era più fornito lui che un intero
supermarket. L’assurdità stava nel fatto che lui, di tutto questo ben di Dio,
non ne faceva uso e questa roba giaceva inutilizzata mentre lui continuava a
mangiare cose scadute e a vestirsi malissimo, con i soliti indumenti di sempre.
Nella vita, non bisogna giudicare o cercare di cambiare a tutti i costi una
persona diversa da noi, se la si rispetta veramente, è importante accettarla
così com’è. Mosè comunque ringraziava tutti per i regali ricevuti pur sapendo
che non li avrebbe mai utilizzati e più volte aveva fatto loro presente di non
volere più nulla perché tanto non li avrebbe adoperati.
I fedeli, testardi, gliene
portavano ancora di più. “Ma cosa devo fare io con tutta questa roba? Va a
finire che la butto, la regalo, tanto non uso niente”, pensava sotto sotto,
tra sé, lui. Ma la vera comicità consisteva nel fatto che Mosè era convinto che
quei regali non fossero il frutto d’una spontanea generosità ma di una evidente
vanità. “Me li regalano solo per farsi vedere dal parroco e per farsi belli
davanti agli altri parrocchiani, lo fanno per mettersi in mostra, per farsi
vedere che fanno del bene, la loro è vanità e non carità”. Mosè pensava
questo e forse non aveva tutti i torti perché molti di loro, dopo avergli
regalato qualcosa, andavano subito dal padre dicendogli con una certa vanteria e
soddisfazione “Ha visto padre quante cose ho regalato a Mosè? Pensa che lui
le usi?” Mentre allo stesso interessato non chiedevano mai in privato se
avesse gradito i regali ma solo ed esclusivamente in presenza di altri fedeli.
“Mosè ti stava bene la camicia che ti ho dato? Perché non l’hai messa? E le
mutande? Erano la tua misura? Le hai indossate?”. La vera beneficenza, cari
lettori, la si fa con amore, in silenzio, senza far rumore, senza mai
rinfacciarla di averla fatta o parlandone con qualcun altro. Invece loro, i
parrocchiani di quella chiesa, erano arrivati al punto di fare a gara fra chi
avesse regalato più cose. Capisco che questo mio libro può, in certi momenti,
apparire scostante fino ad urtare la suscettibilità di qualche lettore, so anche
che non si può generalizzare e che non tutti i fedeli d’una chiesa ragionano
così, ma io mi sono limitato a dirvi quello che ho realmente constatato. Sto
raccontando una verità e non sto giudicando. Giudicare è una parola che non
conosco nel mio vocabolario e che lascio ai giudici d’un tribunale, e se in
qualche circostanza può sembrare che lo faccia, vi assicuro che quello è solo il
mio pensiero, e mia sia consentito, almeno quello. La verità è che soltanto
nell'arte, di notte quando tutti dormono, uno spirito libero può uscire
manifestando la propria diversità, come un alieno venuto da chissà quale mondo.
Se venisse scoperto, verrebbe fatto fuori e forse anche ucciso nell'anima.
Bisogna lasciare dormire tranquillamente la gente: guai a chi provasse a
risvegliarla! Quando si sta per troppo tempo al buio, finisce che poi si ha
paura della luce.
... Fia
Stava sempre lì da sola Fia, nella
sua stanzetta, in compagnia del suo disordine, del suo specchio, del suo
lettino. Parlava con se stessa e con chi altro poteva farlo nella solitudine di
quel paese? “Sono bella, sì lo so, ma a che mi serve esserlo se nessuno mi
può apprezzare? Se nessuno può toccarla con mano questa mia bellezza? Vorrei che
non fosse solo un bene esclusivo mio ma che appartenesse anche agli altri.
Sarebbe bello se tutti, tramite il mio corpo, toccandolo, provassero emozioni,
felicità. Mi farebbe sentire importante, altruista, amata, desiderata. Sì, mi
piacerebbe essere toccata da chiunque, ne sono sicura, ma io devo essere
d’accordo. Devono avere il mio permesso e, se il caso, devono pregarmi come una
regina, la regina del sesso con tutti i maschi ai miei piedi, in mio potere. Sì,
mi piace il potere. Sono stanca di essere considerata una bambina che deve
ancora crescere. Ma quale bambina? Io sono cresciuta e come sono cresciuta!
Questo seno non è cresciuto forse? La mia bocca non è sensuale forse? E le mie
gambe, il mio culo e i peli che ho sotto non sono veri, mica sono finti? Ho
avuto già le mestruazioni a undici anni e sono diventata donna da allora, è da
allora che posso avere figli e perché non posso ritenermi già donna? Perché non
posso fare quello che voglio? Ho smesso da tempo di pensare alle bambole. Ora
cerco il maschio ma sono per tutti bambina. Sono stanca di essere chiamata
minorenne, Dio come odio questa parola: Minorenne! ma che significa? Che non
capisco? Che sono ritardata mentale? I grandi non capiscono nulla, capisco più
io a quindici anni, fanno tutti schifo specialmente quelle che si credono
psicologhe, assistenti sociali, non capiscono un tubo. Non hanno capito niente
di me! Sono tutte loro che mi violentano quando pensano che sono ancora bambina,
loro e soltanto loro, perché non le mettono tutte in carcere quelle criminali
ignoranti. Mi devono sempre controllare, devo aspettare i 18 anni, non posso
indossare una minigonna, non posso toccarmi, non posso scopare con chi voglio!
Che schifo di vita! Ma come posso andare contro natura? ma vogliono sapere di
più di lei che ci ha creati? La natura a undici anni ha deciso di farmi
diventare donna, mi ha fatto questo bellissimo regalo e loro, presuntuosi, mi
chiamano ancora bambina. Io sono una donna ormai, forse una giovane donna o una
donna bambina, no meglio una giovane donna. Odio il termine bambina, odio il
termine minorenne. Bambina lo sono anche stata ma prima di avere le
mestruazioni, quando ancora giocavo con le bambole. Ma come si può chiamare
bambina una che già si interessa ai ragazzi? le bambine pensano solo a giocare.
Io sono donna, sono bella, sono sprecata in questo schifo di paese. Potrei
essere una diva, una fotomodella, me lo posso permettere, ho il fisico adatto.
Questo mio corpo è un talento naturale, non può restare nascosto, merita di
essere visto, osannato, idolatrato. Ma poi perché nasconderlo se la natura me
l’ha offerto come dono? Quando devo mostrarlo quando invecchierà e non lo vorrà
vedere più nessuno? È la vecchiaia che mortifica la carne e non il toccarsi.
Tutti mi dicono di aspettare, che sono troppo piccola, ma aspettare chi? Cosa?
Perché? Questo corpo è mio e voglio decidere io cosa farne, gli altri non hanno
nessun diritto sulla mia pelle. Voglio mostrarlo, regalarlo a tutti, dividerlo
con tutti. I grandi dovranno impazzire, perdere la testa per me, dovranno fare a
pugni per poterlo guardare, sfiorare e se saranno buoni con me, forse, glielo
concederò, sì, mi darò a tutti”. Era distesa sul suo fedele lettino, a
faccia in su mentre pensava tutto questo. Tutte le volte che doveva riflettere o
meditare, la si poteva vedere in quell’identica posizione, nello stesso lettino
come se riuscisse a trovare ispirazione solamente in quello stato. Quel suo
lettino era la sua musa ispiratrice. Era sincera Fia quando pensava tutto
questo, non poteva fingere a se stessa, proprio non avrebbe potuto farcela e non
l’avrebbe fatto neanche con gli altri. Erano pensieri strani per una ragazza
della sua età, sicuramente molto più grandi di lei, fuori dal comune che
denotavano una maturità e una libertà di vedute e di pensiero troppo grande e
profonda per essere stata partorita dalla mente di una quindicenne tanto più che
abitasse in un paese sordo ad ogni forma di apertura. Ma di chi era figlia la
piccola Fia per ragionare così? Chi erano i suoi veri genitori che l’hanno
abbandonata? Forse era figlia di angeli o demoni, di profeti, di filosofi, di
pionieri di nuove idee, o forse di extraterresti, di esseri alieni. No! Fia non
poteva essere una ragazza normale come tante altre. Aveva qualcosa in più,
dentro aveva la libertà, fuori la bellezza del suo corpo. Era una ragazza
fantastica, era una ragazza speciale. Il fresco profumo d’adolescenza che
emanava, i suoi seni, le sue labbra, la bocca, la meravigliosa poesia della sua
figura di fanciulla in fiore, la sua sensualità acerba pronta ad esplodere tra
le braccia d’un ragazzo! Nessuno avrebbe potuto resistere al fascino della
piccola Fia. Anche un sacerdote in confessione, se avesse potuto, si sarebbe
spogliato e le sarebbe saltato addosso. Anche uno stimatissimo giudice tra le
aule d’un tribunale, se avesse potuto, avrebbe abusato di lei. Anche un vecchio
professore universitario, se avesse potuto, avrebbe strappato tutti i libri e
sarebbe piombato su di lei davanti alla cattedra. Chiunque, se avesse potuto,
avrebbe fatto questo, piccolo o grande, giovane e vecchio, maschio e forse anche
femmina. Se nessuno lo fa nella realtà è solo perché la società, attraverso la
legge fatta dagli stessi che desiderano Fia, lo punirebbe severamente. Non
esistono altri motivi. Ma quando in un essere umano qualsiasi, si reprime
qualcosa, questo qualcosa tende a manifestarsi ancora più intensamente e ad
affascinare e si ottiene sempre l’esatto contrario, si crea il mito del
proibito, si cerca il gusto della trasgressione che non sarebbero tali se
fossero considerati normali. È il divieto che uccide la psiche d’un uomo perché
limita e distrugge la libertà di essere che è sacra. Forse era per questo che
Fia soffriva in quel modo e si sentiva tremendamente sola, perché era stata
costretta a crescere come se le avessero fatto il lavaggio del cervello,
seguendo le idee inculcatele dai suoi genitori che erano le stesse di tutti gli
abitanti di quel paesino, le stesse della società in cui stiamo vivendo oggi. Ma
voi immaginate, cari lettori, se i genitori adottivi di Fia avessero potuto
sentire i pensieri della loro piccola? L’avrebbero presa per malata da curare
spedendola da qualche specialista anche perché non avrebbero avuto la capacità
intellettiva per afferrare quei concetti, sarebbe stata la stessa cosa di
ascoltare una lingua straniera. E immaginate ancora, cari lettori, se i pensieri
di Fia fossero stati ascoltati dagli abitanti di Leonforte. Mamma mia! Si
sarebbero fatti il segno della croce e sarebbero scappati via. Per fortuna che
la natura, che alla fine trionfa sempre, ha fatto in modo che nessuno possa
leggere i pensieri della ragazza, altrimenti verrebbe mandata subito al rogo
come nel Medioevo, dai suoi stessi genitori, dagli abitanti di Leonforte, dalla
chiesa di San Raffaele con la benedizione del papa e di tutto il Vaticano.
... Mosè
La generosità dei
parrocchiani della chiesa di San Raffaele, non si limitava a semplici regali ma
si spingeva oltre concretizzandosi attraverso delle mance, delle piccole
elemosine che oscillavano tra i 50 centesimi e i 5 euro che venivano offerte a
Mosè nei giorni festivi, prima o dopo la messa. In verità erano pochini se
considerate singolarmente ma moltiplicate per tutti i fedeli della chiesa,
diventavano davvero un bel gruzzoletto. E poi vi erano i giorni particolari, il
Natale, la Pasqua, Capodanno, Ferragosto, nei quali i soldi che gli venivano
regalati aumentavano per l’occorrenza, fino a diventare veri e propri stipendi,
spesso accompagnati dall’invito a pranzo a casa loro.
In realtà, uno stipendio vero, si
fa per dire, Mosè l’aveva ed era quello che gli veniva corrisposto da padre
Santino, una volta al mese, 80 euro circa. In cambio Mosè doveva recarsi in
parrocchia tutti i pomeriggi per un’oretta dalle 16 alle 17 facendo un po’ da
portiere, da segretario, diciamo così. In realtà faceva poco o nulla, aveva il
compito di citofonare al parroco qualora qualcuno lo cercasse, di sistemare e
fare un po’ di pulizie in chiesa, cosa che faceva solo ogni tanto. Il più delle
volte lo si vedeva sdraiato su una specie di sedia a dondolo a fumare sigarette
aspettando che passasse l’ora di “lavoro”.
Era per padre Santino un modo come
un altro per giustificare con la parola “lavoro” quel che invece gli dava per
beneficenza. E poi vi erano tutti i continui martellanti consigli e lavaggi del
cervello che tentavano di fargli i parrocchiani.
“Ma perché non ti vesti bene?
Perché non usi la giacca che ti abbiamo regalata? Perché non ti tagli la barba e
ti aggiusti i capelli?, te lo pago io il barbiere, tieni questi 5 euro ma ti
raccomando non te li spendere in bottiglie di birra e non fumare che ti fa male,
prenditi le vitamine che ti ho comprato così ti riprendi un po’, sei sciupato,
mangi poco”. Lo
trattavano, in buona fede, peggio di un bambino piccolo e innocuo, incapace di
badare a se stesso. Ma era tutto inutile. Lui calava la testa a tutti ma non
recepiva nulla, era come parlare al muro. Quelle parole entravano dall’orecchio
sinistro e senza fermarsi per essere assimilate dal cervello, uscivano
immediatamente dall’orecchio destro come se non fossero mai state pronunciate.
Lui ragionava solo con la sua testa, giusta o folle che sia, dipende dai punti
di vista. Era sempre il solito. Neanche il giorno in cui compì 65 anni volle
mettere in pratica i consigli dei parrocchiani. Tutta la chiesa di San Raffaele,
per l’occasione, decise di fargli una megatorta con 65 candeline e lo pregarono
tutti, almeno per quella importante ricorrenza, di vestirsi meglio. Ma fu tutto
inutile, lui si presentò alla festa più trasandato che mai. Ma non sarebbe stato
Mosè se non si fosse presentato in quel modo.
... Fia
Sola nella stanza con i suoi
pensieri sempre più strani, Fia stentava a riconoscersi. Vedeva morire
inevitabilmente le sue cose più care. Prima la sua bella Barbie tanto tempo fa
con i suoi giochi da bambina, poi il suo diario, le sue lettere d’amore scritte
di nascosto ad un ragazzo. Pensava a tutto questo con nostalgia, con commozione,
avvertendo una stranissima e indefinibile sensazione, come un improvviso caldo
agli occhi che voleva ma non riusciva ad essere pianto. Si ricordava di lei
stessa bambina, lei che era semplicità, era gioia e serenità, era l'infinita
innocenza. Lei che viveva felice i giorni della sua fanciullezza, lei che si
affacciava con paura alla sua adolescenza. In quel tempo ormai lontano, Fia
vedeva trasparire dai suoi occhi la magia di un mondo che sapeva di fantasia, e
quante piccole e tenere cose tenute dentro, nascoste e segrete, il suo piccolo
cuoricino non riusciva ad esprimere! Si ricordava di quando in lei sbocciava il
suo primo e innocente amore, platonico, che le faceva provare dentro, qualcosa
mai avvertita prima; era stato anche il suo primo dolore ma si era rivelato
dolce lo stesso, come il succo d'una caramella e quelle prime lacrime
possedevano ancora lo splendore della sua innocenza. Erano di amori fugaci i
suoi pensieri, i suoi giochi tenere primavere e lei dondolava felice
nell'altalena dei suoi desideri, come quando stringeva a sè la sua bambola che
aveva perso ormai. E dipingeva di sogno i suoi giorni, colorava d'arcobaleno
persino i suoi disegni, annotandoli dolcemente nel suo caro diario. Fia avrebbe
desiderato tanto che qualcuno, con una bacchetta magica, le avesse regalato una
vetrina per riempirla dei suoi sentimenti. Così chiunque, sostando lì,
scoprirebbe la ricchezza che aveva dentro. Ora stava crescendo proprio in fretta
la piccola Fia, non riusciva a vedere più il mondo che la circondava con quegli
occhi di bambina che forse stava perdendo per sempre. Mille ed infinite parole
non bastano a descriverla. Mille ed infinite poesie non potranno mai e poi mai
farle capire quanto era ed è importante, ma quello che provava dentro non
crescerà mai, forse servirà al lettore e a me stesso per farci rivivere ricordi
di adolescenze perdute. Con lei correremo insieme e voleremo via lontano verso
nuovo orizzonti, lì ci fermeremo e resteremo per sempre. Ma tutti questi
dolcissimi ricordi che risplendevano ancora nella mente e nell'anima di Fia come
dolci memorie, ora sembravano morire inesorabilmente e lentamente in un tremulo
brillio. Al loro posto, stava nascendo una nuova creatura forte, spregiudicata,
partorita dall’intima essenza dei sensi, che stava reclamando ad alta voce un
suo spazio facendosi largo, distruggendo tutto ciò che della piccola Fia trovava
sulla sua strada. Era la donna che stava per nascere con tutta la sua potenza in
lei, di colpo e senza preavviso, lacerando le fragili barriere che dividono
l’innocenza dalla malizia, il candore dalla più sfrenata sensualità. Un serpente
velenoso sembrava essersi insinuato vischioso nel suo giardino d'infanzia,
mentre due mani sporche di fango, maliziosamente, rubavano a quel suo impubere
corpo d'un tempo e a quello attuale, l'innocenza. Su quegli occhi appena aperti,
calavano inesorabili ombre senza più luce, i sorrisi ingenui delle fate
diventavano tentacoli della paura. Moriva così, sbocciando, quel fiore reciso
che forse non sarebbe mai più cresciuto. Qualcosa di inquietante e misterioso,
le stava uccidendo la cicogna e, con lei, anche Gesù Bambino.
Era una ragazza in bilico Fia,
dentro la quale autocontrollo e sfrenata passione si scontravano violentemente,
sfiancandola senza pietà. Era il suo corpo che non riusciva più a controllare,
che reclamava una libertà totale, illimitata, senza freni, fuori dal controllo
della mente, dalla censura della ragione, dai tabù della morale.
Sentiva che, anche se avesse
provato a fuggire dai suoi pensieri e da se stessa, in qualunque posto del mondo
si fosse nascosta, si sarebbe ritrovata sempre con sé e con le sue tentazioni.
Era un angelo di fuori, un demonio dentro. In lei, Dio dava la mano a Satana e
camminavano entrambi a braccetto. La purezza si mischiava con la lussuria fino a
darle le sembianze d’una creatura diabolicamente angelica, incapace di
districarsi nei tortuosi e oscuri labirinti dell’istinto e dell’inconscio che
racchiudeva in sé le virtù del paradiso e insieme le fiamme dell’inferno. Ma
tutto questo interno soffocante conflitto, la rendeva di fuori, nel suo sguardo
e nel suo corpo, ancora più bella, ancora più desiderabile, ancora più
sconvolgente. Esistono due tipi di categorie di donne anche se è sempre
riduttivo schematizzare e classificare esseri umani. Alla prima appartengono le
donne che io chiamerei “contenitrici di riproduzione”; tutte casa e chiesa,
angeli del focolare domestico. Si sposano per tradizione, forse arrivano vergini
al matrimonio, generano figli facendo l’amore per dovere più che per piacere,
magari obbediscono anche ai loro mariti. La loro vita si realizza in cucina tra
pentole, bicchieri e lavastoviglie. Come robots preparano ad orario colazione,
pranzo e cena. Sanno fare proprio tutto, fortunato chi se le piglia! Stirano,
cuciono, lavano, fanno pulizie e si ritrovano prima del tempo, vecchie,
ingrassate e appassite. Poi vi è una seconda categoria alla quale fanno parte
quelle donne che hanno l’erotismo nel sangue, come fosse parte di loro sin dalla
nascita e che non possono reprimere per colpa di una società che si ritiene
libera a parole, ma che nei fatti imprigiona, isola, uccide chi non ubbidisce
alla massa, alle sue assurde e folli regole. Questo tipo di donna si riconosce
subito per chi sa guardare con gli occhi dell’istinto. Sono sempre belle, in
qualunque età, libere, giovani, sensuali, capaci di catturare con lo sguardo e
ammaliare col corpo che sprizza gioia di vivere da tutte le parti,che comunica
sensazioni sempre vive ed intense. Non esiste una giustificazione a questo modo
di essere, si nasce così e si smette di esserlo solo con la morte. Si è così da
bambine, da adolescenti e si prosegue da donne e da vecchie. E Fia, la piccola
Fia, apparteneva sicuramente a questo secondo gruppo e ne era felice e
ringraziava il cielo di farne parte.
L’incoscienza e l’immaturità dei
suoi anni di bambina, avevano soltanto messo da parte questo modo di essere come
in attesa, ma ora, nel fiore della sua adolescenza, stava esplodendo in tutta la
sua evidenza, rendendola consapevole di essere una ragazza sessualmente magica.
Era il suo corpo che le parlava, che bruciava, che stava impazzendo perché
voleva essere sfiorato, accarezzato, esaltato, amato. Ma anche la ragione e
l’anima le sentiva acconsentire a queste richieste, come un cane fedele che
s’arrende obbedendo al suo padrone. Ma Fia non viveva tutto questo come
sottomissione e obbedienza ma come gioia nel lasciarsi trasportare da qualcosa
che vuol solo dare piacere, brividi, emozioni. “Perché”, si chiedeva Fia,
“perché limitare il piacere a un piatto di pasta al forno? O a sentire una
bella canzone? o a leggere un bel libro? o semplicemente ad osservare la
bellezza del sole che sorge? Perché non chiedere di più alla propria vita che è
talmente breve, assaporando la vera gioia che quest’esistenza ci può offrire
prima che la morte avvolga ogni cosa nell’oblio? Perché limitarmi per colpa di
una morale opportunista e ipocrita che giustifica la guerra e legalizza
l’omicidio obbligando un giovane ragazzo a uccidere un proprio fratello
facendosi chiamare Patria? Quella stessa morale che poi condanna definendo
peccato il sesso libero in qualunque forma. Ma esiste peccato più grave
dell’odio, dell’invidia, della gelosia? No, io non ho il demonio in corpo, il
demonio sta altrove dove nessuno crede che sia, nei soldi, nel consumismo, negli
armamenti nucleari. E anche se fosse realmente il demonio a tentarmi e a farmi
ragionare così, bene,allora sono felice di appartenere a lui, di essere in suo
potere, scopo pure con lui. È lui il mio nuovo Dio perché non può essere
malvagio chi mi procura felicità e lui me ne procura tanta”. Era proprio
cresciuta la piccola Fia, la sua prorompente ed irrefrenabile sensualità,
avevano fatto sì che ciò avvenisse presto e tutto in una volta. Era maturata
tantissimo, sicura di sé, ragionava da grande. Si potevano condividere o no i
suoi pensieri, ma non era possibile non riconoscere che erano pensieri da adulta
e da adulta intelligente. Forse sensualità sta a intelligenza come castità sta a
ignoranza. Dove non vi era riuscita la scuola con quei professori antichi
autentiche mummie viventi, dove aveva fallito la religione con la sua
esaltazione della sofferenza e delle rinunzie, dove persino i suoi genitori in
buona fede, ne erano usciti sconfitti facendola confondere e complessare di più,
aveva trionfato la sua sessualità, il suo istinto, semplicemente rivelandole se
stessa, mettendola a nudo senza maschere e falsità. Fia aveva capito che
soltanto facendo l’amore, era veramente se stessa, in quel momento non si può
più fingere o recitare perché l’inconscio trionfa sposandosi con l’istinto che è
in lei. È un matrimonio indissolubile di piacere naturale che il suo corpo le
offre senza nessun sacrificio, ma come un dono del cielo per la sua gioventù
splendente.
... Mosè
Non aveva
proprio dove dormire il povero, per modo di dire, Mosè. Così come della
famiglia, era orfano anche di una casa tutta sua. Ma, anche in questo caso, la
Provvidenza divina decise di venirgli incontro, ispirando padre Santino, a sua
volta sollecitato dai parrocchiani, sempre inclini a far del bene, ad acquistare
per conto della chiesa un prefabbricato in legno per poi regalarlo a Mosè. E
così, questa strana casa, situata in periferia di Enna, in mezzo alla campagna,
divenne la sua nuova dimora. Ma era tutta fatta in legno e all’interno,
d’estate, vi era per tutto il giorno una temperatura superiore ai 40 gradi. Era
per Mosè come trovarsi nel deserto se non peggio, e dovette scappare per
disperato per evitare di morire bruciato. Fra l’altro, l’estate ad Enna, nel
cuore della Sicilia, è sempre maledettamente calda e insopportabile, il sole
brucia. Molti, per questo motivo, fuggono via verso le località estive vicine al
mare, dove trovare refrigerio. Oltre tutto, Mosè doveva anche stare attento a
possibili incendi, spesso di natura dolosa, che alcuni pecorai del luogo
accendevano per potere poi pascolare il gregge su terreni spogli. Così lui, non
appena da lontano vedeva del fumo nei pressi della sua abitazione, si
precipitava immediatamente per evitare che le fiamme divorassero la sua casetta
di legno e qualche volta arrivò appena in tempo. All’interno di questa
particolare casetta, simile per grandezza e forma ad una roulotte, che poggiava
su dei pilastri di ferro, vi era un disordine totale che andava al di là di ogni
immaginazione. Tutti i vestiti nuovi regalati dai parrocchiani, gettati per
terra come immondizia, uno sull’altro, tutti sporcati o macchiati. Polvere
dappertutto, strani insetti che dimoravano tranquillamente come ospiti in quella
casa, scritte sui muri, cassetti colmi di roba che fuoriusciva da tutte le
parti. Un cervello normale, non certamente quello di Mosè, non potendo recepire
tanto disordine, sarebbe entrato in confusione mentale. Non vi era un solo
elemento a posto in quella casa. Eppure Mosè, non facendo nulla dalla mattina
alla sera, avrebbe avuto tutto il tempo per mettere un po’ d’ordine, ma non
l’aveva mai fatto. Forse non ne sentiva la necessità e bisogna rispettare le sue
scelte anche se a volte è difficile condividerle. Del resto abitava solo lui e
non doveva dare conto a nessuno. La bellezza di vivere da soli, senza dividere
qualcosa con gli altri, rinunziando alla propria libertà e alle proprie
abitudini. Però quel disordine totale impediva a qualunque parrocchiano di
venirlo a trovare e lui, di questo, se ne lamentava visto che nessuno era mai
venuto a fargli visita. Anzi, ad esser sincero, c’era qualcuno che ogni tanto lo
faceva. Era uno strano ragazzo, più di lui, un certo Mirko con la barba ed i
capelli lunghi. Era convinto di essere un artista incompreso, un grande
scrittore. Ma in realtà era solo un fallito, disoccupato, che viveva ancora con
la pensione della madre, ricevendo da lei 1 euro al giorno di paghetta,
nonostante avesse una quarantina d’anni circa. Era però un ragazzo libero e
sincero e voleva bene a Mosè apprezzandolo per com’era dentro e non per come
appariva di fuori.
Cari lettori, vi giuro che nella
mia vita, ho riscontrato molta più umanità, comprensione e solidarietà nella
gente umile, disadattata che vive ai margini della strada, anziché nella gente
ricca, cosiddetta perbene, socialmente posizionata. Lui Mosè era felice quando
Mirko veniva a trovarlo, era l’unico che lo faceva senza fargli paternalismi. I
due si rispettavano sul serio ed era nata fra loro una bella amicizia. Era un
luogo isolato quello in cui abitava il vecchio Mosè, in mezzo alla campagna.
Poco più avanti vi era solo una casa abitata da polacchi che ogni tanto gli
portavano qualcosa da mangiare e parlavano un po’ con lui. Mosè amava quel posto
dove abitava, quel posto solitario e abbandonato proprio come lui. Vi era una
profondissima quiete, un silenzio magico, fatato, quasi irreale, si avvertiva il
tenue soffio del vento tra gli alberi, la dolcezza di quelle piante che
sembravano dormire, ci si perdeva nell'immensità della natura. Sembrava tutto in
perfetta armonia col suo amore per la solitudine, quasi come fosse stato creato
apposta per lui, per la sua ispirazione, la sua meditazione. Mosè adorava quel
posto, quell'alberello di arance dietro la sua casetta, quei gattini che gli
giravano intorno come piccoli angioletti, quei fiorellini colorati che
profumavano di primavera, il dolce canto degli uccelletti, l'odore fresco
dell'erba di campagna, i frutti ancora acerbi appesi ai rami degli alberi, le
foglie verdi o ingiallite sparse lungo il sentiero. Aveva sempre amato quella
collina verdeggiante che gli copriva l'orizzonte, lo nascondeva ma lo faceva
amare, trascinando con sè l'immaginazione, facendola correre e volare via verso
spazi infiniti. Era la poesia delle solitudini, dell'inane, del nulla: visioni
taciturne e distanti che richiamavano alla mente primavere sfiorite, gigli
appassiti, ma non vi era tristezza in tutto ciò, ma solo dolcezza e completo
abbandono sospeso tra i ricordi e l‘infinito. Immerso in quel paesaggio
incantato, ricco di tenerezza e di poesia, uno spirito libero come Mosè si
apriva spesso verso l'infinito ripercorrendo in un attimo tutta la sua vita.
Allargava le braccia all'universo che lo circondava, respirando a pieni polmoni
l'aria come volesse farla entrare tutta quanta in lui per sentirsi parte del
cosmo. Rivedeva con gli occhi della memoria, lontanissimo come da un
cannocchiale rovesciato, egli stesso bambino e lo paragonava alla luna, distante
anch'essa mille anni luce. E continuava a rivivere nei ricordi la spensieratezza
della giovinezza e nello stesso istante dirigeva lo sguardo verso l'azzurro del
cielo, ammirando spazi infiniti, nuvole bianchissime come zucchero filato.
Ridiscendeva poi negli anfratti della sua memoria e riscopriva la ragazza che
aveva baciato e amato per la prima volta, e confrontava la luce limpida dei suoi
occhi con quella delle stelle o semplicemente della stella cometa. Ricordava i
dolci versi scritti in tenerissima età nella sua prima poesia, immaginando di
trovarsi tra fiorellini di campo di vario colore, solleticati dolcemente da un
leggero venticello, mentre uccellini nel nido assieme alla loro madre e tanti
piccoli animaletti festanti, tutti insieme, cantavano la loro canzone alla
primavera. Mosè capiva proprio in quei dolci momenti, di non essere solo,
malgrado il tempo che passa, malgrado non avesse una compagna. Intorno a lui,
vedeva tutto un mondo magico che pullulava d'amore. C'era tanta musica nell'aria
che respirava ed ora finalmente anche lui poteva sentirla e lasciarla entrare
nel suo cuore, fino a sentirsi in simbiosi con l'universo. Era il canto della
memoria, sospeso tra i ricordi e l'infinito, che si elevava: era profondo,
sentito, cercato e la natura, come per magia, penetrava nel tessuto dell'anima
di quel vecchio e si faceva poesia, ne scioglieva i nodi, ne ispirava i versi,
era pianto che rasserenava, in un bisogno d'infinito che riempiva l'animo
d'immenso. L'opaco atomo terreno veniva illuminato da altre verità e la luce
d'una infanzia lontana, dava immagine all'eco, si spandeva in altri mondi, si
dissolveva nell'immensità. Ormai nulla era lontano dal suo spirito. Ma Mosè non
era completamente solo. Aveva infatti la compagnia di una decina di galline,
brave a fare uova fresche, che lui, vendeva a qualche parrocchiana dicendole:
“Signora, apra, sono io Mosè, quello delle uova, ne ho alcune fresche”.
Purtroppo, dopo qualche mese, una
notte, un branco di cani randagi, fecero piazza pulita, uccidendo e mangiandosi
tutte le povere galline senza che lui potesse fare nulla per salvarle e così
addio galline! e addio uova! Fortunatamente aveva anche un paio di gattini di
vario colore che gli facevano compagnia e che lui amava tanto. Guai a chi non
ama o fa del male agli animali, non è un uomo ma è lui la vera bestia, il vero
animale. Mosè questo lo sapeva bene e rispettava quei gattini come tutti gli
animali. Li curava amorevolmente, gli comprava da mangiare e spesso si toglieva
il cibo dalla bocca per darlo a loro, “Io sono abituato a stare digiuno, loro
no”, diceva ed era la verità. E poi aveva un motorino col quale si spostava
dalla casa alla parrocchia e viceversa. Questo l’aveva comprato lui con i soldi
ricavati dalle mance e messi via via da parte. Era l’unica cosa che non gli era
stata regalata, costava troppo per i parrocchiani, c’è un limite a tutto. Aveva
acquistato con i suoi soldi anche il casco. Il motorino era relativamente nuovo
ma si guastava spesso, era di due colori giallo e blu, era carino tutto sommato.
Si trovava nei guai però il povero Mosè, doveva prendersi al più presto una
nuova patente altrimenti i vigili gliel’avrebbero sequestrato immediatamente. E
quindi aveva bisogno ancora di soldi per sostenere quell’esame difficile e
complicato specie per lui che non vedeva più bene, tanto da usare una strana
lente d’ingrandimento tutte le volte che doveva leggere qualcosa. Gli mancava
però quello che oggi un po’ tutti hanno, il telefono cellulare che sarebbe stato
utile specie per lui che viveva da solo. In verità, i parrocchiani avevano
pensato bene di regalarglielo facendo una specie di colletta tra loro ma lui non
l’ha mai voluto, non ha mai avuto dimestichezza con i telefoni in genere: “No
grazie, non lo voglio, non so parlare al telefono, non sento bene, non mi serve,
parlo di presenza io!”
... Fia
Fia giaceva distesa sul letto come
sempre. Era un pomeriggio d’estate, la solita estate di Leonforte, calda e
monotona dove non si respirava affatto e l’aria era pesante. Inutile spalancare
la finestra, l’aria di fuori era ancor più calda di quella di dentro. Fia accese
il ventilatore ma girava lento, sembrava stanco pure lui, non serviva a niente.
“Questo schifo di paese non ha neanche il mare”, pensava con tristezza la
ragazza. “Ma perché non sono nata a Rimini, a Rio de Janeiro, a Miami? a
quest’ora ero in bikini sulla spiaggia a farmi contemplare le forme da tutti, ad
essere baciata almeno dal sole visto che non l’ha mai fatto un ragazzo, ad
abbronzarmi, e invece sono bianca come una mozzarella, chiusa qui dentro senza
nessuno”. In realtà a pensarci bene, Fia non era mai stata fidanzata. Era
stata innamorata platonicamente di un suo compagno di classe di Enna, dove lei
andava a scuola, ma lui non ne sapeva nulla di questo amore segreto. Non aveva
ancora mai baciato nessuno e si chiedeva con una certa logica curiosità cosa si
potesse provare nel farlo. Sì, sapeva che un bacio passionale, detto alla
francese, era qualcosa di più della semplice unione di due labbra, erano le
lingue che dovevano ergersi a protagoniste, toccandosi e strofinandosi l’un
l’altra come due piccoli serpentelli indiavolati: Ma non vien da vomitare saliva
contro saliva? si chiedeva quando era più piccola. Ma ora lo trovava
terribilmente eccitante pur non avendolo mai fatto. Più volte, davanti allo
specchio, l’unico suo immaginario amante che l’aveva vista in tutta la sua
nudità, aveva provato a baciare se stessa e l’aveva trovato sempre
eccitantissimo. Essendo consapevole della propria bellezza, immaginava la gioia
di un ragazzo che avesse avuto il privilegio di sfiorare la lingua di lei, e
avvertiva un brivido intenso in tutto il corpo al solo pensiero di quello che
avrebbe provato lui, nel suo corpo di ragazzo, se l’avesse baciata. Mille e
mille raccomandazioni, mille e mille condizionamenti mentali le avevano
inculcato l’idea che dovesse rimanere lontana mille anni luce con la mente e con
le mani dalle sue parti intime. Fia si ricordava sempre di quelle parole che le
aveva detto, parecchi anni fa quando lei frequentava il catechismo, una suora.
Gliele aveva proferite con un tono talmente severo da averla letteralmente
colpita e traumatizzata: “Ricordati sempre Fia che ogni volta che un ragazzo
o una ragazza si toccano le parti intime, per l’Immacolata Santa Vergine Maria è
un colpo al cuore, è come se tu le ficcassi un pugnale nel cuore”. Vi giuro
cari lettori che simili parole dette in un certo modo ad una bambina, possono
fare un certo effetto. Il mio commento sulle affermazioni di questa suora
meriterebbe che io scrivessi un altro libro solo su questo argomento. Se
cominciassi a farlo adesso in questo stesso libro, non la smetterei più, tanto
avrei da dire e da scrivere. Mi conosco bene e lo so. Per questo preferisco non
commentare e lasciare all’intelligenza di ogni singolo lettore, le proprie
valutazioni.
Nell’udire le parole di quella
suora, Fia rimase scioccata, pietrificata, complessata. Era ancora troppo
ingenua. Non arrivò neanche a capire che la suora, per libera scelta, doveva
praticare la castità ma lei, invece, non aveva nessun motivo per farlo. Che non
l’avesse compreso la bambina vista l’età era giustificabilissimo ma che non
l’avesse capito neanche la suora, lo trovo a dir poco assurdo. Fia era cresciuta
come volevano che crescesse. Sapeva che neanche col pensiero poteva sfiorare le
sue parti intime, persino quando si faceva il bagno, aveva paura di farlo e
quando ebbe le prime mestruazioni, anziché essere felice di essere diventata
donna, si impressionò e pianse disperatamente pensando che quel sangue fosse un
castigo della Madonna nei suoi confronti, ricordandosi del famoso pugnale di cui
le aveva parlato quella intelligente sorella. Ma ora, fortunatamente per lei,
tutto era cambiato. “Voglio essere come Eva che mangia la mela e non
m’importa di quello che succederà”, pensava Fia distesa nel letto come
sempre quando doveva riflettere, “Se la desidero la mela, la mangio, non
voglio che nessuno mi proibisca niente, altrimenti mi viene il desiderio di
farlo. Sono sicura che se il Padre Eterno non avesse proibito ad Eva di
mangiarla, lei neanche l’avrebbe fatto. Cosa doveva fare con una mela con
tutti quei frutti e con tutti quei fiori che vi erano nel paradiso? L’ha
mangiata solo perché le hanno proibito di farlo. Ora capisco perché sono
diventata così... così... così... così puttana! Perché mi è stato proibito di
esserlo. Se mi avessero detto fai la puttana che è bello e si guadagna bene,
sicuramente avrei risposto No, grazie, non mi piace. Voglio farmi suora”.
Fia a soli quindici anni e sulla propria pelle aveva capito quello che papi,
sacerdoti, vescovi, sessuologhi, psicanalisti, e chi più ne ha più ne metta, non
avevano compreso e non comprenderanno mai. Da quel giorno in cui Eva mangiò
quella famosa mela, ogni uomo è sempre guidato dalla follia d'una donna, così
come qualsiasi ragazza dell'età di Fia, è destinata a perdersi e soffrire nel
crudele gioco della vita e della morte, vittima dell'eterna lotta tra
l'innocenza e la sensualità. Forse non può esserci un colpevole se non c’è
nessuna colpa e lei contemplava il peccato senza commetterlo.
... Mosè
Quando andava in giro per
Enna e dintorni, con quel suo motorino inconfondibile, tutti lo salutavano
“Ciao Mosè” e lui puntuale rispondeva a chiunque. A volte si fermava,
cantava qualche canzone napoletana o qualche stornello romanesco, faceva il
comico e poi ripartiva. Fra i tanti amici che aveva, ve ne è da menzionare uno
in particolare, un po’ più dolce degli altri. Era un ragazzo gay di 18 anni
appena compiuti, molto effemminato che si chiamava Antonio. Avendo paura di
confessare alla famiglia la propria omosessualità, aveva pensato di confidarsi
con Mosè, anche per ricevere un consiglio. E lui, sempre disponibile con tutti,
lo rassicurò dandogli coraggio: “Non preoccuparti, ti presento una mia amica
psicologa che ti aiuterà gratuitamente e che risolverà i tuoi problemi. Stai
tranquillo, non c’è niente di male ad essere omosessuale, tanta gente lo è,
anche gente importante della storia, imperatori, guerrieri, poeti, politici,
pure tantissimi preti. Tu sei normalissimo, essere gay è la cosa più naturale
del mondo, è chi non la pensa così che è contro natura”. Il ragazzo se ne
andò più tranquillo pensando tra sé: “Ma perché il mondo non è fatto di tanti
Mosè?” L’amica psicologa alla quale Mosè aveva consigliato al ragazzo di
rivolgersi, era la stessa dove andava lui. Non perché fosse pazzo o avesse
problemi simili, anche se qualcuno, superficiale, potrebbe pensarlo, ma perché
aveva bisogno al più presto di un referto medico nel quale risultasse la sua
invalidità mentale. Era l’unico modo per prendere la pensione di povertà che gli
sarebbe spettata di diritto, non avendo nessun reddito, superati i 65 anni di
età. Ogni tanto il parlamento fa una legge giusta. “Dottoressa, la prego, mi
certifichi che sono pazzo altrimenti non mi danno la pensione”. La
dottoressa gli rispose “Mosè ma tu stai facendo confusione con queste
pensioni, confondi quella di povertà con quella di invalidità. Il certificato ti
serve per quella di invalidità, l’altra, quella di povertà, ti spetta perché sei
povero e hai 65 anni”. E Mosè più convinto che mai si spiegò meglio.
“Dottoressa, lo so che è come dice lei, ma vede, la pensione di povertà lo Stato
non me la vuol dare perché ha preso informazioni circa la mia situazione in
parrocchia, a San Raffaele, dove io ho la residenza, non avendo una casa. Tutti
i parrocchiani hanno fatto sapere che io non ho bisogno di nulla, perché ci
pensano loro e che il parroco mi dà pure lo stipendio. Così mi hanno rovinato.
Mi resta solo quella di invalidità. Perciò, per favore mi scriva che sono
pazzo”. La dottoressa confusa e perplessa si rivolse ancora a Mosè “Ma io
non posso scrivere una cosa per un’altra!” E Mosè le disse deciso: “E
allora faccio il pazzo, qui davanti a tutti”. Nella vita chi è troppo
libero, è sempre considerato un po’ folle. Non perché lo sia realmente ma perché
gli altri hanno una certa paura di lui, forse perché non arrivano al suo livello
o perché vorrebbero esserlo anche loro ma per mille motivi non hanno il coraggio
di diventarlo, e conseguentemente trovano comodo etichettarlo “pazzo”. Questo
semplice ragionamento che purtroppo tanta gente non ha la capacità di fare, è
esattamente lo stesso, anche se con parole diverse, che fece la dottoressa nei
riguardi di Mosè. Non posso riportare qui nel libro l’intero referto medico, non
credo che al lettore interessi, vorrei solo dirvi che vi era inclusa la parola
“pazzo intelligente”. Così Mosè se ne andò contento ringraziando la dottoressa e
sono felice anch’io per lui e anche per me che, con questa storia delle due
pensioni, avevo fatto un po’ di confusione.
Vorrei però chiudere
definitivamente l’argomento “pensione” riportando una delle tante frasi che i
parrocchiani di San Raffaele avevano riferite a chi cercava notizie sulle
condizioni economiche ed esistenziali del Mosè: “La pensione a Mosè? Ma non
esiste neanche! Lui è ricco anche più di noi, non gli manca niente, ci pensiamo
noi, il parroco gli dà lo stipendio puntuale e gli abbiamo pure comprato una
«bella» casa”.
Ecco la vita che si rivela comica
pur nella sua drammaticità. Credo che ogni altro mio commento sia superfluo. Non
so se piangere o ridere di tutto ciò.
.. Fia
E così mentre i suoi genitori
erano usciti a fare delle compere ad Enna, lei era rimasta da sola (e non era
una novità) nel suo insignificante paese di Leonforte. Sdraiata sul suo solito
lettino, in quel caldo e soffocante pomeriggio, ora si abbandonava senza più
pudore o reticenze di nessun tipo, al piacere più completo, più totale,
lanciando finalmente i suoi sensi in libertà come una vispa puledrina che
scioglie le briglia e galoppa via libera. In quindici anni non l’aveva mai fatto
né con qualcuno né da sola e soltanto ora si rendeva conto di quanta ricchezza
avesse perduto. Nella vita è meglio avere rimorsi che rimpianti, lei lo capiva
solo adesso. Non vi era nessuno vicino ma se ci fosse stato, sentiva che
l’avrebbe fatto in quell’attimo.
Vi era lei, bellissima come
sempre. Fia era narcisista, si amava, si piaceva, si desiderava, ora finalmente
voleva darsi quello che per troppo tempo, per colpa di sciocche ed
ingiustificate paure, aveva rinunciato a darsi, quel piacere che la stava
aspettando a braccia aperte. Nella vita si può morire anche da giovani e lei non
voleva crepare senza aver conosciuto un momento così bello. In verità non sapeva
se fosse bello ma era convinta che potesse esserlo, lo sentiva dentro, il
pensiero doveva materializzarsi, solo così lei poteva ritenersi appagata, solo
così poteva capire quanto la realtà, in questo campo, sia superiore alla
fantasia. Era il suo corpo che la supplicava a farlo, non poteva dirgli di no!
Si sarebbe fatta del male, ferita e forse anche uccisa. Non vi era più in lei il
contrasto mente-corpo, ragione-istinto, sembrava tutto meravigliosamente
uniforme, proiettato verso un’unica precisa direzione, quella del piacere, la
legge dei sensi, dell’istinto, dell’animalità presente in ognuno di noi. In
fondo anche l’essere umano è un animale, si accoppia proprio come le bestie,
nello stesso modo, guidato dallo stesso istinto. Forse qualcuno ha inventato il
sentimento col solo scopo di sublimare il sesso e tutti, come sciocchi, gli
hanno creduto. Perché la piccola Fia avrebbe dovuto rinunciare al piacere?
Perché bloccarsi ancora? In nome di cosa e in sacrificio di chi? Cosa poteva
succedere di male se l’avesse fatto? A chi avrebbe dovuto dare conto? Fia ora è
sola, completamente sola, solo lei e il suo meraviglioso corpo, il suo corpo e
lei. Era talmente giovane e bella che si eccitava di se stessa, col suo stesso
corpo. Non aveva bisogno di immaginare qualcuno vicino, c’era lei stessa che
valeva di più di chiunque altro. Non esisteva nessun’altra ragazza in tutto
l’universo che potesse amarsi da sola con lo stesso trasporto, con lo stesso
amore di Fia. E come poteva non desiderarsi così giovane e bella? No! Non era
solo narcisismo e neanche perversione ma soltanto abbandonare tutto e tutti e
dedicarsi finalmente a se stessa. Cosa c’è di scandaloso nell’amore col proprio
corpo? In fondo non si stava drogando, non stava bevendo o fumando come tanti
altri suoi coetanei. No, lei non aveva bisogno di tutto questo, si bastava da
sola, non aveva bisogno di nessuno, si sentiva libera e felice così. Stava per
scoprire un piacere naturale intenso e sconvolgente che si mostrava a lei in
tutta la sua bellezza ed irruenza. Un piacere che lei poteva riavere ancora e
poi ancora, tutte le volte che avrebbe voluto, senza coinvolgere nessuno, chiusa
nella pace della sua stanza, nel dolce silenzio di un segreto, nella piacevole
intimità del suo lettino. Fia voleva assaporare quel momento e goderselo fino in
fondo. Sentiva che era il momento giusto, non si poteva più rimandare, ora o mai
più, il suo corpo non poteva aspettare, lei attendeva lei stessa. Fia ora
abbassa piano il reggiseno scoprendo due seni splendidi da adolescente che
chiunque avesse avuto la fortuna di toccare, avrebbe sfiorato Dio e l’universo
intero. Questa immensa fortuna era riservata a lei e solo a lei, erano i suoi e
chi più di lei ne aveva diritto? Ed è quello che fece passando quelle manine
delicate e curate su di essi e non poté fare a meno di chiudere gli occhi e
sospirare. Abbassò lentamente le mutandine di colore bianco, vergine come quello
d’un abito da sposa, scoprendo una peluria nera, lo stesso colore dei suoi
capelli, che appariva come un piccolo paradiso, l’eden dove nessuno finora aveva
potuto metterci piede. E sotto quei peli simili ad una minuscola ma folta
boscaglia, vi era il cuore, la sorgente di tutti i suoi desideri, l’inferno e il
paradiso insieme, il centro della vita, il principio e la fine, il posto dal
quale ha inizio la storia di ogni essere umano e Fia si rendeva conto che l’uomo
è figlio del piacere e di nessun altro, esiste grazie a quel momento, a quel
sospiro. Ora quel posto mai esplorato era il suo Dio, il suo creatore, la fonte
di tutto. Esitò ancora un attimo ma per l’ultima volta, vittima dell’ultima
sciocca debolissima paura e poi annientò in un momento ogni pudore, ogni dubbio
e lasciò che quella mano d’adolescente dalle dita affusolate e ben curate,
quella mano che chiunque avrebbe voluto sentire sul proprio corpo, sfiorasse
lentamente e delicatamente il centro del suo piacere, abbandonandosi
completamente a se stessa. Divaricò leggermente quelle gambe bellissime
d’adolescente, lisce, morbide, calde che chiunque sarebbe impazzito soltanto se
le avesse viste senza neanche poterle sfiorare con le mani, chiuse gli occhi e
diventò preda inerme del piacere più intenso, più naturale del mondo. E fu un
piacere fortissimo che la piccola grande Fia, ad un certo punto, sentì di non
reggere, di non farcela più, di venir meno. Era il primo orgasmo della sua vita,
il suo corpo non era abituato, non lo conosceva ancora, non era preparato. Per
questo fu intensissimo e sconvolgente, tale da essere ricordato per tutta la
vita, superiore anche al primo rapporto sessuale. Fia ora sentiva che l’orgasmo
stava avvicinandosi. Lo capiva perché stava veramente male, meravigliosamente
male, avrebbe anche potuto morire in quel momento e sarebbe stato bellissimo,
non potrebbe esistere morte più bella, una morte unita alla vita, al piacere.
Morire con quelle sensazioni e portare il loro ricordo nell’aldilà, se esiste, e
paragonarle con la bellezza di Dio, per decidere poi, quale delle due si era
rivelata più bella. Il suo cuore batteva fortissimo come un tamburo, sembrava
volesse scoppiarle in petto da un momento all’altro, quelle pulsioni si
avvertivano nelle vene del suo collo, sulle tempie. Non poteva fare a meno di
muoversi, di dimenarsi come un’ossessa, il piacere era troppo forte, troppo
intenso per poter star ferma. Afferrò il cuscino con le residue forze che le
erano rimaste, lo strinse forte sulla sua faccia come volesse soffocarsi, poi
appoggiò le labbra su un angolo dello stesso e lo succhiò come un neonato
attaccato al biberon o al capezzolo della mamma. Era l’unico e solo modo per non
urlare, per non impazzire dal piacere. Come una bomba atomica, come fuochi
d’artificio, tutto quel piacere toccò il culmine ed esplose nella maniera più
naturale possibile, sotto forma di umori, di uno strano liquido che a Fia sembrò
come una dolce ricompensa che il suo corpo le aveva dato ringraziandola per il
piacere ricevuto, poi la piccola s’abbandonò, chiuse gli occhi restando così,
emise un lungo respiro che andava scemando sempre più, il cuore cominciava a
rallentare e a normalizzare i suoi battiti e il suo respiro diventava sempre più
regolare. La mente era confusa, era stata troppo intensa l’emozione provata, era
la prima volta, per questo sconvolgente, sconosciuta, inebriante. Nella sua
breve vita, nulla le aveva dato un’emozione più bella e forte di quella appena
provata. Quel giorno Fia non l’avrebbe mai più dimenticato, nel corpo e nella
mente avrebbe conservato con sé quel ricordo, forse il più bello della sua vita.
Fia ora era felice e sorrise, a quindici anni aveva conosciuto l’orgasmo e la
vita le sembrò di colpo bellissima, come una cosa nuova e magica che le si
apriva davanti con una nuova luce, nuove speranze, nuovi piaceri da scoprire. La
sua esistenza non sarebbe stata più la stessa e neanche lei sarebbe rimasta
quella di prima. Si sentì grande di colpo. Era stato bellissimo, non era morta,
non era successo nulla di cui aver paura, ora anzi si sentiva meglio di prima.
La natura sa quello che fa e rispetta le sue creature, al contrario della morale
che invece le uccide.
... Mosè
Era una calda domenica d’agosto e lui, Mosè,
era lì come tutte le domeniche ad aspettare che finisse la messa nella chiesa di
San Raffaele per poter ricevere dai fedeli le solite mance. Ma quella sera c’era
qualcosa di strano e di inspiegabile dentro di lui, qualcosa che non riusciva a
decifrare ma che gli stava procurando una sottile ma sempre più crescente
malinconia. Lui, il vecchio abituato da sempre a stare bene con se stesso fino
ad arrivare a parlare tranquillamente da solo, ora si sentiva inutile, vuoto,
insignificante. La sua vita di colpo, come la scena più drammatica di una
recitazione teatrale, apriva il suo sipario verso un futuro pieno di smarrimenti
e di paure senza che laggiù, in platea, ci fosse nessuno ad osservarlo. La
campana della chiesa nel frattempo scandiva i suoi rintocchi che annunciavano la
fine della messa e che si udivano per tutta Enna. E quel suono, che tante volte
era di festa per Mosè, ora, al suo orecchio malato, dava l’impressione di essere
lugubre, sembrava in perfetta crudele armonia col suo senso improvviso e
inatteso di solitudine, accentuando quella sua indesiderata tristezza. La gente
usciva dalla chiesa, era tantissima, pareva una folla. I mariti accanto alle
mogli, i padri accanto ai figli, i nonni con i loro nipotini, tutti apparivano
felici in compagnia, tutti tranne lui, il vecchio e malandato Mosè che non aveva
completamente nessuno, né padre, né madre, né moglie, né figli. Ora vedeva
davanti nuda e mostruosa la sua solitudine, amara più che mai, e si atterrì di
colpo, non era preparato e non sapeva come difendersi, era una sensazione nuova.
In fondo era stata una sua scelta quella di vivere da solo che mai l’aveva
tradito rendendolo infelice, ma ora che stava succedendo? La gente lo salutava
dandogli quello che si sentiva di dare: 1 euro, 2 euro, 5 euro i più generosi.
Ma non era di quello che lui aveva bisogno in quel momento. Anche se gli
avessero dato miliardi di euro o un tesoro intero, sarebbe rimasto indifferente,
forse non ci avrebbe neanche fatto caso. Anzi, quei soldi che riceveva lo
facevano sentire ancora più male, aveva l’impressione di essere commiserato, di
subire pietà. Ora si sentiva passivo, impotente, inconsistente, un peso morto
per sé e per gli altri. Tutte amare sensazioni che accrebbero la sua solitudine
che divenne insopportabile, angosciante, sadica. Fra i tanti fedeli che gli
regalavano qualcosa, si avvicinò pure una bambina di circa otto anni che gli
disse: “Ciao Mosè, prendi questi, sono tuoi” e gli pose nella mano una
moneta da 2 euro.
In fondo era un gesto comune a
quello fatto da tante altre persone e che quella stessa bambina aveva fatto
altre volte. Ma nello sguardo e negli occhi di quella creatura, Mosè captò
qualcosa di bello, una luce nuova e inaspettata, speciale, quasi come un
messaggio, o meglio ancora un presagio, una lontana e non chiara speranza. Nella
vicinanza di quella bambina c’era un germe sia pure in forma latente, di quella
giovinezza che lui, avanti negli anni, reputava ormai persa per sempre e che non
gli appartenesse più. Non immaginava minimamente (e come avrebbe potuto farlo?),
che Dio, o il diavolo, o l’assurdità stessa del destino, lo stavano preparando
all’incontro con la gioventù più vera, precoce, esplosiva. Mosè ora si sentiva,
grazie a quella bambina inconsapevole del proprio potere, leggermente
risollevato e si rianimò. Continuava a ricevere elemosine e poi, quando tutti i
fedeli andarono via e la chiesa restò vuota, gli si avvicinò padre Santino e gli
disse: “Hai guadagnato un bel po’ di soldini vero? Tieni, questi voglio
regalarteli io”. Tirò fuori dalla tasca altri 10 euro e glieli diede. Lui lo
ringraziò, lo salutò, prese il suo amico fedele motorino, quasi come fosse il
suo cavallo, indossò il solito immancabile casco e si avviò a percorrere quei
pochi chilometri che separavano la chiesa dalla sua abitazione.
... Fia
“Ma come ho fatto ad aspettare
tutto questo tempo prima di farlo?”,
pensò Fia ma non si seppe rispondere. Aveva scoperto qualcosa di nuovo, di cui
non avrebbe potuto o saputo più farne a meno. Non riteneva possibile che il suo
corpo potesse donarle tanto piacere. “Grazie Dio per avermi regalato tanta
felicità così semplice da ottenere”, era l’unica cosa che si sentiva di dire
in quel momento ed era sincera, sincera davvero. Era rimasta contenta, libera,
soddisfatta, appagata. Al contrario della prima mestruazione che l’aveva
disgustata e spaventata, questa nuova scoperta l’aveva totalmente presa e le era
piaciuta.
Si riproponeva di farlo ancora più
avanti, ancora e per sempre. Si domandava con una certa curiosità se anche le
altre ragazze lo facessero e se provassero lo stesso piacere avvertito da lei.
Una morbosa curiosità la spinse ad immaginare anche i ragazzi mentre lo facevano
e lo trovò incredibilmente curioso ed eccitante. Poi, all’improvviso, come un
fulmine che squarcia il cielo azzurro, si domandò: “Ma se è stato così bello
farlo da sola con le mie dita, come sarà farlo con un ragazzo? E se al posto
delle mie mani ci fosse il membro di un ragazzo dentro di me cosa proverei?”
Questo pensiero la sconvolse di nuovo e la ragazza precipitò nello stesso stato
in cui si trovava prima che avesse compiuto l’atto. Il suo cuore riprese a
battere velocemente e più furiosamente di prima. Ora Fia, ripiombata di colpo
nelle braccia del desiderio, non capiva più nulla e sentiva dentro di sé una
leggera paura immotivata. Per un attimo le venne in mente una strana idea, pensò
di uscire per strada, di fermare il primo che le capitasse di qualunque età
anche vecchio purché non parlasse in giro, e di farlo, per provare quest’altra
nuova sensazione convinta che la realtà sarebbe stata più bella della fantasia,
lei già questo l’aveva sperimentato sulla propria pelle. Sì, la piccola Fia
l’avrebbe fatto in quel preciso istante in cui lo pensò ma un altro pensiero
sopraggiunse e la convinse a non farlo. Si stupiva la ragazza di aver anche solo
pensato una cosa simile. Ma non era stata la follia di un momento, lei se ne
stava rendendo conto perché nella sua mente offuscata e non più lucida,
prepotenti s’affacciavano nuovi fantasmi che difficilmente avrebbe potuto
scacciare. Nuovi pensieri ancora più oscuri ed inquietanti, ora sconvolgevano e
distorcevano la sua immaginazione. “E se lo facessi con due ragazzi
contemporaneamente? Proverei un piacere doppio, sarebbe fortissimo, e se lo
facessi con una mia amica, in fondo che differenza ci sarebbe tra maschio e
femmina. Il piacere non fa distinzione tra sessi. Le mie mani mi hanno dato
sensazioni, perché non potrebbero farlo anche quelle di una ragazza? E se lo
facessi a lei? Sì, sarebbe bellissimo, io saprei come toccarla. E se al posto di
toccare le parti intime di una ragazza toccassi quelle di un ragazzo? E se
anziché farlo con la mano lo facessi con la bocca come quando ho succhiato il
cuscino?
Quel pensiero che fino a poco
tempo fa le faceva schifo, ora la tormentava e la eccitava fortemente. La
ragazza si poneva tantissime domande, alle quali però non riusciva a dare
nessuna risposta. “Sì, lo farei, sono sicura che mi piacerebbe. Se mi batte
forte il cuore quando lo penso, vuol dire che potrei farlo. Quasi quasi ora
esco, fermo il primo che capita e gli dico: Senti scusa, posso toccartelo e
succhiartelo? Non potrebbe dire di no ad una ragazza bellissima come me,
crederebbe di sognare. No, ma cosa mi sta succedendo? Sto uscendo fuori di
testa, ma come posso anche pensare una assurdità simile?” Ma non esiste
logica che possa giustificare l’istinto. La povera ragazza in bilico tra
desideri inconfessabili e sensi di colpa, era sconvolta, in uno stato pietoso.
La nuova Fia appena nata, si ergeva maestosa puntando il dito contro la vecchia,
cacciandola senza pietà, distruggendola, non volendola più con sé. Sui suoi
quindici anni compiuti da poco, cadeva già il primo velo di follia, e che
sussulti, che tremiti segreti in quelle sue inquiete notti di fanciulla, quando
impaurita e rannicchiata si nascondeva sotto le coperte: la sua prima
masturbazione non l'aveva ancora conosciuta, la spaventava ma se ne sentiva
attratta,come una cosa nuova e sconosciuta: c'è d'averne paura ma la si va a
cercare. La concupiscenza, sotto le sembianze d'una sensuale signora, la rendeva
un giocattolo, un barboncino, strumento di piacere nelle sue mani esperte. Ma
quella intrigante signora, era per la piccola Fia una regina, la vedeva danzare
nei suoi sogni bagnati d'adolescente. Ma paradossalmente voleva svegliarsi da
quell'incubo, da quel ghiaccio che l'assaliva. Cercava in lei stessa una via
d'uscita ma non esisteva fuga e non c'era posto per nascondersi, non poteva
proteggersi. Diversa da ogni altra ragazza della sua età, completamente persa in
quella sua terra di nessuno fatta soltanto di solitudine, percepiva che tutto
intorno a lei taceva in un silenzio irreale, come un urlo senza voce. Vi era
soltanto la sua follia, forse chiara e consapevole, cupe ombre minacciose che si
addensavano su di lei travestite da un'atmosfera di lucida estasi. Era il dramma
della sua ansia angosciante, la disperazione di tutto il suo essere, forse
creato da Dio ma poi lasciato a se stessa, priva di identità, priva di vita,
impossibilitata di comunicare, di capire e farsi capire. E continuava a vagare
senza meta tra i labirinti della sua mente, immaginando di fare con chiunque
sesso senza amore lasciando entrare in lei col pensiero una infinità di corpi
uno dopo l'altro, osservando disperata riflesso in uno specchio, quel fantasma
che vi era al posto suo. Fia non avrebbe voluto mai essere nata, voleva chiudere
gli occhi e scomparire in un attimo, un nuovo e brutto inverno era in lei e le
dava la sensazione di crollare da un momento all'altro come una foglia che stava
per staccarsi dai rami. La ragazza non trovava le parole per spiegare ciò che
aveva, ogni cosa intorno le appariva sadica e crudele. Inutile sforzarsi di
essere normale, non poteva fingere a se stessa, non avrebbe mai funzionato.
Trascinata dentro un labirinto enorme, aveva l'impressione di vedere stanze
tutte uguali, e in ognuna di esse, la attiravano piaceri sempre nuovi.
Sembravano dirle: "Entra da noi, esaudiremo qualunque desiderio, non importa che
sia proibito o illecito, vedrai sarà bellissimo". Sbagliare è facile quando un
essere umano non sa più chi sia e la ragazza, straniera per sè stessa, non ha
saputo o potuto dire no e si è persa in un vicolo cieco. La strada ammaliante
del piacere, ora le veniva incontro senza ostacoli, preda inerme della
concupiscenza, Fia toccava il fondo pensando di raggiungere la cima. Ormai era
schiava del suo istinto, intrappolata nella sua angoscia, vi era un'ombra che la
inseguiva, dovunque andasse non la lasciava mai. Era come una danza infernale
nella quale, senza fermarsi mai, giravano intorno a lei fantasmi ed incubi. Fia
avrebbe voluto scoprire l'origine di quel suo oscuro tormento, avrebbe voluto
combattere quelle sue tentazioni, fino a giungere faccia a faccia, con il volto
più inquietante del suo male. Sì, voleva scavare nei suoi profondi abissi,
tirare fuori il demone a cui apparteneva, e a costo d'impazzire, si sarebbe
salvata, sì, avrebbe giurato che ce l'avrebbe fatta, che sarebbe riuscita a
salvarsi. Ma in quel momento, si trovava posta esattamente al centro d'una
corda, tirata ai lati da lussuria e innocenza. Come un verme strisciava per
terra e baciava i piedi del demonio, poi di colpo s'alzava in volo e abbracciava
Dio, in bilico tra inferno e paradiso, tra ciò che gli altri chiamano male e il
bene, dannata, salvata, ma dannata ancora. La sua anima smarrita, perversa, ora
sprofondava dove non vi era luce, nuda nuotava sott'acqua, non riemergeva più.
Forse cercava solamente, un'anima che la comprendesse. Fia, disperata, al limite
della follia, non capì più nulla e si sentì persa, tremendamente sola senza
neanche più la compagnia di se stessa. Prese d’istinto il crocifisso che vi era
appeso sul muro sopra il suo lettino, e lo strinse forte al petto seminudo.
Forse inconsciamente, cercava una risposta o una consolazione da chi, come le
era stato insegnato sin da piccola, era l’unico che potesse dargliela. E si
lasciò cadere così, col crocifisso stretto a sé, distendendosi a peso morto sul
letto.
Poi si disse sottovoce come se il
pensiero parlasse: “Gesù che mi sta succedendo?”. La fede mischiata al
desiderio erotico, renderebbe la mente d’un adulto totalmente incapace di
comprendere. Figuriamoci quella di una ragazza di quindici anni. Il caldo era
opprimente, ma ora Fia sentiva freddo, si sentiva sola e spaurita, svuotata come
se le avessero strappato con forza l’anima come quando al mattatoio squarciano
un capretto. Chiuse gli occhi e stanca s’addormentò come una principessa
bellissima, ancora vergine nonostante tutto, attaccata a quel crocifisso che era
diventato per lei il suo rifugio, il suo principe azzurro.
... Mosè
Mosè, sopra il suo motorino, stava
percorrendo la strada di ritorno verso casa. Ma la tristezza che l’aveva
tormentato poco prima e che sembrava gli avesse dato una tregua, si ripresentava
nuovamente nel suo animo sotto forma di una voce intima che, divertendosi a
tormentarlo, sembrava dirgli: “Ma che te ne fai adesso dei soldi che ti hanno
dato? Ora tornerai nella tua baracca, solo come un cane, nessuno verrà a
trovarti, sei solo Mosè, vecchio e solo, non lo capisci?” Il vecchio
rabbrividì, si sentì raggelare il sangue nelle vene nonostante il caldo
d’agosto. Si sentì stordito. Ora provava a guidare con gli occhi chiusi quasi
per dimostrare a se stesso di non aver paura di morire ed un uomo, chiunque esso
sia, che non teme la morte, non può aver paura neanche della solitudine. Si
consolava così il povero Mosè. Ma la solitudine è una brutta compagna, peggio di
un serpente, è un angelo che si trasforma in demonio quando uno meno se lo
aspetta. Lui lo stava capendo solo ora, a 65 anni.
Mosè, tutto d’un tratto, si rese
conto di non essere più forte e sicuro di sé, di essere vulnerabile e solo,
avanti negli anni, impossibilitato di rifarsi una vita. Il demonio, o chi per
lui, trova terreno fertile in chi, anche inconsapevolmente, è disposto a
riceverlo, e così continua a coltivare i suoi tormenti. Mosè riuscì ad arrivare
più morto che vivo nella sua catapecchia. Pensò di rifugiarsi nella birra, per
affogare i suoi dispiaceri e sentirsi un po’ euforico. Sapeva benissimo che la
birra sarebbe stata solo un ripiego momentaneo e che poi si sarebbe ritrovato
col solito problema e più solo di prima ma era l’unica soluzione che, in quel
momento, la sua mente confusa, gli suggeriva. Aprì quella specie di frigorifero,
afferrò con le mani tremanti 5 o 6 bottiglie di birra più calde che fredde e le
bevve in fretta una dopo l’altra e in poco tempo, Ma non bastarono a farlo
sentire completamente brillo. Allora aprì nuovamente il frigo cercandone altre
ma non ne trovò più. Più intontito che mai, uscì fuori. L’aria pura della
campagna, leggermente più fresca di sera, sembrava rigenerarlo un po’. Camminò
intorno alla casa, inciampò per sbaglio su uno dei tanti gattini pestandogli la
coda e l’animale emise un urlo: “Scusami gattino mio, non l’ho fatto apposta,
non volevo farti male, sto diventando vecchio e rimbambito gattino mio, tu
almeno sei giovane!”
Mosè parlò al gattino col cuore
aperto, come si rivolgesse ad un essere umano. E quanto avrebbe desiderato, in
quel momento, avere accanto qualcuno per confidarsi, per sfogarsi! Ma la
solitudine come anche la vecchiaia non offre, purtroppo, molte possibilità anzi
non ne presenta affatto e al vecchio e stanco Mosè non rimase che il gattino
come unico interlocutore e l’animale sembrò capirlo e rispondergli con lo
sguardo. Sembrava avesse accettato le scuse di Mosè per avergli pestato la coda,
lo guardò con due occhietti quasi fosforescenti, e poi, mogio mogio, si
allontanò. Mosè fece ancora qualche passo, più barcollante che mai, andò dai
polacchi che abitavano poco distanti da lì, nell’unica casa nelle vicinanze, poi
tutto il resto era campagna. Avrebbe voluto chiedergli una bottiglia di birra
ma, con suo dispiacere, non vi trovò nessuno in casa di domenica sera. Tornò a
casa deluso, pensò di fumare qualche sigaretta ma cambiò subito idea, voleva
bere e non fumare, lo riteneva più utile. Si ricordò di avere da qualche parte
ancora una pastiglia multivitaminica che gli aveva dato una parrocchiana per
tirarlo un po’ su e la cercò tra le cianfrusaglie di quella abitazione. La trovò
finalmente, era l’unica rimasta, era bianca ma sporca e piena di polvere senza
astuccio, non si sapeva neanche la scadenza di quel prodotto ma a Mosè importava
ben poco, l’avrebbe ingoiata anche se scaduta da cento anni. Prese un bicchiere
più sporco che pulito, gli versò dell’acqua e buttò dentro la pastiglia che
doveva essere sciolta per essere presa. Era frizzante, aveva un bel gusto simile
alla aranciata, era gassata, poteva ricordare lontanamente la birra. Lui non
aspettò neanche che si sciogliesse per intero e la bevve quasi subito, e tutta
in un sorso. Ora Mosè, più stremato che mai, era giunto proprio al capolinea.
Senza aver mangiato e con sei bottiglie di birra ingoiate a stomaco vuoto unite
ad una pillola di vitamine, sfiancato da tutte quelle sue paure nell’anima, si
indirizzò verso il suo letto. Trovò, per caso, un crocifisso per terra in mezzo
ai tanti stracci che inondavano la sua capanna. Lo guardò chiedendosi: “Cosa
ci fa un crocifisso qui? Chi l’ha portato? Forse era dentro la giacca che mi ha
dato qualche parrocchiana, magari domani lo riporto a padre Santino in chiesa,
lui saprà cosa fare, domani però, ora sono troppo stanco”. Sentiva che la
stanchezza ed il sonno stavano prendendo il sopravvento su di lui. Avrebbe
voluto posare quel crocifisso sul tavolo ma non ne ebbe la forza. Chiuse gli
occhi, arrivò appena in tempo per non cascare per terra, sul suo letto, mai così
importante ed indispensabile. S’abbandonò tra le braccia di Morfeo, così,
esausto, addormentandosi col crocifisso in mano come un uomo ormai vecchio e
malandato, abbandonato al proprio destino che poteva anche morire in silenzio,
senza fare rumore, nessuno se ne sarebbe accorto. Ma che per un momento, anche
se solo in sogno, sarebbe potuto ridiventare bambino o giovane trovando rifugio
in quel crocifisso, trasformato in bellissimo principe azzurro pieno di forza
che ormai è vicino alla sua principessa.
... Fia
Un altro caldo pomeriggio estivo
da passare chiusa in casa, completamente sola, in balìa dei propri assillanti
pensieri. Ormai era sempre così per lei. Da quando però aveva scoperto le gioie
del sesso soddisfacendosi da sola, non aveva più smesso di pensare a quello e
non v’era momento della giornata in cui il desiderio o le fantasie più sfrenate
non la rapissero. Perfino la notte, quando dormiva, sognava quello e sempre
quello. Distesa sul letto, seminuda, lasciava che la sua fantasia galoppasse
libera verso prati sconosciuti e senza fine, immaginando di tutto, senza limiti.
Almeno il pensiero non lo si può criminalizzare, con la mente Fia avrebbe potuto
fare sesso con chiunque e in qualunque modo, nessuno l’avrebbe scoperta o
condannata. Sarebbe rimasto un segreto tra la sua mente e il suo corpo. Le più
strane fantasie che potessero passare per la mente ad una ragazza, ora le si
presentavano davanti con tutta la loro forza, sotto forma di tentazioni, di
eccitazione violenta e incontrollabile e, ad ognuna di esse, faceva seguito una
nuova frenetica pulsazione dei battiti del suo cuore che aveva ripreso a
martellare scoppiandole in petto. Immaginava di essere di fronte a delinquenti
brutti che la stupravano a turno, di trovarsi completamente nuda davanti allo
sguardo di mille uomini di colore. Questi pensieri, se da un lato la
terrorizzavano, dall’altro la eccitavano tantissimo. La fantasia ormai non
conosceva più limiti. Immaginava di essere legata ad un letto e di essere presa
a schiaffi e pugni, insultata, umiliata. Una fantasia che più che farle paura,
la stimolava ancora. Immaginava di essere sodomizzata, un pensiero che le aveva
fatto sempre ribrezzo perché animalesco e contro natura ma che ora, pensava le
sarebbe piaciuto provare con chiunque le capitasse a tiro. Con la fantasia tutto
è lecito e consentito, non si viene condannati e Fia continuava il suo viaggio
senza sosta verso l’abisso o il paradiso. Era caldissima ma non per il clima,
era il suo corpo in fiamme, era una brace di desiderio, capace di bruciare
chiunque l’avesse toccato. “Ma chi può toccarmi all’infuori di me sola?”,
pensava la piccola Fia, “Vivo in un paesino isolato dal mondo, peggio di una
prigione”. Sì, una prigione e immaginava di trovarsi lì, bellissima e
giovanissima, nuda sul lettino di una cella, palpata e violentata da detenuti
che sicuramente dovevano avere una gran voglia, vista l’astinenza. Il terrore di
trovarsi in quella situazione si mescolò al desiderio di volerci essere e la
ragazza arrivò al punto di non capirsi più. Ma una fantasia si accavallava
sull’altra senza un attimo di tregua che potesse farla respirare. Sembrava una
mitragliatrice che sparava i suoi colpi a raffica, uno dopo l’altro, uccidendola
senza pietà. Di tanto in tanto, le passava per la mente di provare a mettere in
pratica qualcuna di quelle fantasie ma avrebbe dovuto trovarsi in una grande
città dove nessuno la conoscesse per farlo e non certamente in quel paesino
della Sicilia dove era conosciuta e stimata da tutti, come una santarellina
tutta casa e chiesa. Ma quanto risultano sbagliati, il più delle volte, i
giudizi che la gente dà su di noi. Ma risulterebbe difficile per chiunque
giudicare una ragazza come Fia che, in fondo, nella realtà, non aveva avuto
rapporti sessuali con nessuno. Un’altra ennesima prepotente fantasia, si
affacciava nella mente annebbiata di lei. Si immaginò vestita sexy e provocante
mentre camminava per le strade di una metropoli e che tutti la guardassero e la
spogliassero con gli occhi del desiderio. Le è sempre piaciuto sapere di
piacere, di suscitare emozioni. Fia si eccitava se sapeva di eccitare, si
sentiva orgogliosa, potente, importante, grande.
Così si alzò dal letto, cercò
nella confusione della sua stanzetta, la gonna più corta che potesse avere e la
indossò sostituendola al pantalone del pigiama. La vista delle proprie gambe
mentre si sfilava i pantaloni per indossare la minigonna, la eccitò fino alla
spasimo. Aveva sempre saputo di avere delle bellissime gambe, lisce, calde,
tornite che, in quel momento, le parvero ancora più belle e le toccò
delicatamente con le mani, poi ci posò sopra le labbra, la lingua. Quanto
avrebbe voluto e desiderato che fossero le mani e la bocca di un altro a
sfiorarla così come stava facendo da sola! Ma era sempre e solo lei. Indossò la
gonna, si guardò allo specchio e si vide bellissima da far venire un infarto a
chiunque l’avesse vista in quel modo. “Se uscissi così con questa gonna,
magari senza slip sotto e sculetterei davanti al bar dove si siedono sempre quei
vecchi bavosi di Leonforte, li farei morire tutti in un sol colpo, stecchiti
come zanzare dopo una spruzzata di insetticida”. Questa fantasia la trovò
non solo divertente ma anche eccitantissima. Si immaginò di essere seduta in
minigonna e con mezzo seno di fuori, bellissima e giovanissima come sempre,
sulle ginocchia di quei vecchi che le palpeggiavano le gambe, i seni, le
natiche, tentando di infilarle le loro lingue in bocca. Formulò la conclusione
che l’avrebbe fatto se la fantasia si sarebbe potuta trasformare in realtà senza
conseguenze. Presto la voce si sarebbe sparsa in tutto il paese, sarebbe stato
uno scandalo, in poco tempo l’avrebbero saputo anche i suoi genitori e chissà
cosa avrebbero pensato di lei, la loro ingenua piccolina Fia. Non voleva dare
loro questo dolore. Lei era una brava ragazza, erano i suoi pensieri che
sfuggivano ad ogni logica ma obbedivano solo all’istinto. Se l’avessero scoperta
a farsi mettere le mani addosso da quei vecchi, l’avrebbero tutti etichettata
come “puttanella” oppure come “troietta” quella che se la fa con tutti, pure con
i vecchi, Fia la “puttanella” di Leonforte.
Ma se quella parola prima
l’avrebbe offesa e umiliata fino a farla piangere, ora le piaceva terribilmente,
anzi essere chiamata in quel modo la eccitava ancora di più, e forse sarebbe
stata felice e orgogliosa di essere considerata da tutti per quello, che anche
se solo nella fantasia, si sentiva di essere. Finalmente l’avrebbero capita,
compresa, riconosciuta. Non avrebbe mai più dovuto fingere con se stessa e con
gli altri, ma era il giudizio che gli altri le avrebbero dato che la spaventava.
Fia continuava a guardarsi allo specchio trovandosi bella e seducente. Avrebbe
voluto indossare collant e reggicalze nere ma non ne aveva mai avute in casa e
poi sarebbe stato un peccato coprire quelle bellissime gambe che aveva. Pensò
però di truccarsi più sexy che mai, era curiosa di vedere come stesse, non lo
faceva quasi mai, era sicura di diventare una vera bomba del sesso, non
conosceva la parola modestia. I suoi non erano in casa e non avrebbe potuto
vederla nessuno. Era diventata una strana ragazza Fia, viveva immersa nel suo
mondo virtuale e sconosciuto a tutti nel quale nessuno poteva anche solo
immaginare di entrarvi anche perché troppo difficile e complesso per essere
decifrato. Esisteva solo lei, il suo corpo, il suo specchio e le sue fantasie e
null’altro. Fia era isolata da tutti e da tutto, sia mentalmente sia
geograficamente. Era tremendamente e spaventosamente sola. Alla base del suo
comportamento vi era la solitudine, che colpisce chiunque e a qualunque età,
sotto forme diverse, alcune delle quali incomprensibili, almeno in apparenza. La
ragazza correva verso la stanza della mamma, cercava il rossetto. Scelse quello
più lucido e più rosso, tornò nella sua camera, si mise davanti allo specchio e
se lo passò in fretta sulle labbra, era una novità visto che non lo faceva quasi
mai, era una ragazza acqua e sapone dal viso pulito. Ma quella apparteneva al
passato, morta e sepolta, ora viveva una nuova Fia, tutta diversa, se in meglio
o in peggio lo lascio giudicare al lettore. Mentre si passava il rossetto, si
inumidiva ogni tanto le labbra con la punta della lingua. Esagerò col colore ma
divenne bellissima. Sembrava una Lolita, una ninfetta da amare, una bambina col
corpo da donna. Se in quel momento ci fosse stato un bravo pittore, avrebbe
creato il ritratto più bello e seducente che sia mai stato fatto al mondo in
tutti i tempi. La ragazza si alzò in piedi, cercò nel disordine di un cassetto
una borsetta, poi un paio di scarpe nere quelle col tacco più alto, sostituì la
giacca del pigiama con un top corto ed attillatissimo, tornò a guardarsi allo
specchio e cominciò a sculettare, tenendo in una mano la borsetta e girandola
con una mimica e uno sguardo superiore alla più esperta e brava delle prostitute
e poi disse: “50 euro prego, io valgo tanto, sono carne fresca, una delizia,
una rarità”.
Allo specchio la ragazza si
giudicò divina, si stupì di se stessa e di quello che stava facendo e pensando,
ma era sola, lei e soltanto lei, nessuno sapeva, nessuno vedeva. Immaginava che
sarebbe potuta diventare ricca in poco tempo se solo avesse messo in pratica
quella fantasia che stava realizzando per gioco. Ma non erano i soldi che la
attiravano in quel momento, ma l’idea di poter essere considerata da tutti
quello che, sia pure in fantasia, si sentiva di essere. Trovarsi in strada,
vestita in quel modo a soli quindici anni, la faceva letteralmente impazzire di
desiderio.
Si vedeva mentre saliva sulla
macchina d’un cliente, immaginava di accontentarlo in tutto e per tutto, di
intascare soldi e ancora soldi. Finalmente si sarebbe sentita importante,
adulta, cercata, valorizzata, idolatrata, venerata. “La vera puttana sono io
perché lo faccio per piacere mentre quelle che chiamano così lo fanno per i
soldi e per necessità”, pensava la piccola Fia, e lo pensava con orgoglio.
L’idea di vendersi per la strada così in quel modo e senza alcun pudore la
eccitava ancor di più, rendendola letteralmente folle di desiderio.
Non resistette più, corse in
lavandino e si lavò la faccia, togliendosi il trucco che colava lentamente come
cera che si scioglie ed era ancora più attraente. Decise di farsi un bagno per
togliersi di dosso il sudore e quei bollenti spiriti. Ma l’acqua sulla pelle
nuda anziché calmarla la stimolava di più, pensava quanto sarebbe stato bello
fare l’amore sotto la doccia o in una vasca da bagno. Era un’ossessione ormai,
un continuo delirio senza fine e senza uscita.
Ritornò nella sua stanza,
asciugandosi in fretta e furia, passando per la cucina vide un coltello, una
strana idea le balenò nella sua testolina che sembrava quella di chi si sveglia
ancora sotto l’effetto dell’anestesia, dopo un intervento chirurgico. “E se
me lo conficcassi nella pancia? Così almeno metterei fine a questo tormento e
avrei un po’ di pace”. Sapeva che non l’avrebbe mai fatto e non ebbe paura
di averlo anche solo pensato anzi ci rise subito sopra, sapeva di essere,
nonostante tutto, una ragazza di carattere forte e giudiziosa. Ma anche la
persona più forte e sicura di tutto l’universo, può diventare una formica
dinanzi all’istinto sessuale. “Perché morire per una stupidaggine del
genere?, pensava Fia “A chi non piacerebbe scopare? Dovrebbero uccidersi
tutti allora e il mondo finirebbe e poi se non si scopa non nascono i figli. Io
sono nata per una scopata, anche i miei genitori l’hanno fatto, tutti l’hanno
fatto, solo io non l’ho mai fatto e che male c’è a desiderare di farlo? Anzi
sarei anormale se non lo desiderassi”. Questi pensieri di Fia,
apparentemente puerili ed infantili e d’una semplicità elementare nella forma,
avevano nel contenuto una profondità di vedute di alto spessore, ma una ragazza
di quindici anni avrebbe potuto esprimerli solo in quel modo e con quelle
parole. “E se mi facessi sterilizzare?”, continuava a pensare
ironicamente Fia. Tornò a guardarsi allo specchio quasi seminuda, bellissima e
parlando ad esso come se potesse sentirla, disse queste parole: “O specchio
delle mie brame, sono io la più bella del reame, lo so e non c’è bisogno che me
lo dica tu ma se solo potessi toccarmi, non posso essere sempre e solo io a
farlo”. Lo specchio ovviamente non rispose ma le rimandò indietro la sua
immagine più seducente che mai. In quel momento Fia avrebbe voluto essere
brutta, grassa, piena di lentiggini, con baffi e cellulite, forse non si sarebbe
eccitata col proprio corpo e non avrebbe avuto tutti quei pensieri, avrebbe
raggiunto la pace dei sensi, “Forse è per questo motivo che alcune si fanno
monache”, pensava ridendo. Forse sono malata e devo curarmi. Devo parlare
con uno psicanalista. Così mi farebbe stendere sul suo lettino ed io lo
provocherei e mi farei scopare da lui. Ecco, ci risiamo. Non è possibile che il
sesso entri in ogni cosa. E se avessi il demonio in corpo? Forse è meglio
chiamare un esorcista ma mi scoperei anche lui”. D’un tratto le venne in
mente un’idea che la scosse subito. Vide il computer, si ricordò di avere
l’abbonamento per navigare su internet 24 ore su 24, lo aveva fatto suo padre
che lo utilizzava per lavoro, e lo accese. Il suo disegno era quello di entrare
in quelle famose chats per trovare qualcuno con cui poter dialogare di cose
erotiche, ovviamente, tanto lei avrebbe mantenuto l’anonimato senza essere né
vista né riconosciuta e avrebbe potuto confessare i suoi tormenti e magari fare
l’amore via telematica, anche quella poteva considerarsi una fantasia e lei era
la regina delle fantasie.
L’idea di dialogare di cose intime
con uno sconosciuto, la prendeva moltissimo. Questo eccitante progetto, però,
finì sul nascere. Presa dall’enfasi di quel pensiero, aveva dimenticato che le
sue scarse conoscenze informatiche non le avrebbero permesso di farlo. Né poteva
chiedere l’aiuto di suo padre per ovvi motivi. Decise di non arrendersi e di
usare lo stesso internet limitandosi a quello che sapeva fare. Tutta eccitata, e
non era una novità, cerco sul computer un motore di ricerca e digitò le parole:
sexy, porno, hard. Questo le venne più facile. Ora una infinità di immagini
oscene peggio delle sue fantasie erotiche, scorrevano nel computer e, cosa più
tragica, nella mente di Fia. Quelle strane immagini che prima lei non avrebbe
mai esaminate perché giudicate schifose, ora l’attiravano terribilmente,
aumentando a dismisura la sua libidine: “Sono tutti malati questi che si
vedono nel computer?”, pensava. “Questi si divertono, mamma mia, ma che
fanno quelli e quelli? Tutti al mondo lo fanno, solo io no!”. Si immaginava
di essere lei al posto di ogni donna che vedeva e la invidiava. Le sarebbe
piaciuto fare l’attrice porno e distribuire al mondo intero tramite internet le
sue foto di nudo in modo che tutti potessero desiderarla ed eccitarsi col suo
corpo. Sognava ad occhi aperti di fare un calendario. Era arrivata sul punto del
non ritorno, e stava cominciando ad accarezzarsi le parti intime, quando sentì
il rumore dei passi dei suoi genitori che stavano tornando. Chiuse in fretta il
computer, cercò di sistemarsi come meglio poteva, per fortuna si era tolta il
rossetto e corse ad aprire la porta. Si trovò davanti la mamma che la guardò e
colse subito in quel viso stravolto qualcosa di strano e misterioso, ma non
avrebbe mai potuto capirne il motivo.
Le disse soltanto: “Fia, ti
senti bene? Va tutto bene?”. Lei rispose subito: “Sì mamma certo che va
tutto bene, non c’è nessun motivo per cui debba andare male, non preoccuparti,
c’è troppo caldo, non lo sopporto, non si respira”. Sembrava, in quel
momento, essere tornata la bambina di prima, quella che i genitori conoscevano e
ritenevano che fosse ancora. In verità il caldo Fia lo sentiva davvero, ma era
un altro tipo di caldo che neanche se si fosse gettata in un mare ghiacciato del
polo nord, avrebbe potuto eliminare. E pensare che la ragazza si era sempre
confidata con la madre, non le aveva mai nascosto nulla, non aveva segreti di
nessun tipo, era una ragazza troppo tranquilla. Avrebbe voluto aprirsi con lei
raccontandole del dramma intimo che stava vivendo ma non trovava il coraggio.
Come avrebbe potuto farlo? Con quali parole? Come avrebbe potuto rivelare tutte
le sue sfrenate fantasie a una signora all’antica e di grande moralità quale era
sua madre? Cari lettori, devo dirvi con tutta onestà che, pur sforzandomi, non
so se Fia avesse fatto bene a non dire nulla alla madre o se invece l’avrebbe
dovuto fare. In ciascuno dei due casi avrebbe sofferto qualcuno. Si sarebbe
sentita meglio Fia ma sarebbe morta la madre se l’avesse detto, avrebbe sofferto
in silenzio la ragazza ma sarebbe stata tranquilla la madre, nel secondo caso.
Comunque se Fia non l’aveva fatto, oltre alla mancanza di coraggio, era
soprattutto per il grande amore verso la madre, non avrebbe voluto ferirla così
bruscamente, ne avrebbe avuto il rimorso e si sarebbe sentita doppiamente in
colpa.
Penso cari lettori, che
all’origine di questo dramma familiare, vi sia l’assoluta mancanza di dialogo
tra genitori e figli. Si può parlare di tutto ma quando si tocca la sfera
sessuale, subentra il tabù che blocca tutto. Se Fia avesse potuto parlare di
questo argomento del tutto naturale, liberamente con la propria madre sin da
piccola, tutto questo non si sarebbe sicuramente verificato. Gli adulti sono
autorizzati a insegnare tutto ai minori, la storia, la geografia, l’educazione,
tutto tranne il sesso. Dopo aver dato quelle risposte sbrigative alla madre, Fia
corse nella sua stanzetta, si sentiva terribilmente sola e smarrita nonostante
la sua bellezza, nonostante i suoi quindici anni. Non poteva aprirsi con
nessuno, neanche con i genitori che erano le persone più care che avesse al
mondo e che l’avevano vista crescere. Chiuse la porta a chiave e si seppellì lì
dentro nel suo mondo, con le sue cose e con la sua tristezza. Si gettò sul letto
a pancia in giù, appoggiando la testa da un lato sul cuscino e poi pianse,
pianse, pianse e ancora pianse disperatamente. Se non poteva sfogarsi con
nessuno con le parole, le restavano pur sempre le lacrime per poterlo fare. Ora
la donna sensuale era diventata bambina, aveva riacquistato la sua vera età,
solo per un momento, ma almeno l’aveva riacquistata.
... Mosè
Ma si può essere soli
in qualunque età, la solitudine come la morte non risparmia proprio nessuno.
C’era qualcun altro che si sentiva solo e confuso, nonostante avesse molti più
anni di vita. Era Mosè. Si svegliò, dopo aver dormito a lungo, e lo fece con un
mal di testa fastidioso. Era mattina inoltrata. Si ricordò di aver bevuto molta
birra, della strana giornata di ieri ma le sue paure si riaffacciavano
nuovamente in fondo alla sua anima. L’uomo tornò a sentirsi solo già all’inizio
del giorno. “Devo uscire”, pensò, “non posso stare ancora a consumarmi
con i miei pensieri, sono troppo assillanti e non li reggo più. Devo camminare
un po’, parlare con qualcuno, distrarmi. Ma che mi sta accadendo? Perché?”.
Pensò di lasciare da parte il motorino e di camminare un po’ a piedi, forse
sarebbe servito a scaricare la tensione accumulata. Il giorno era spuntato da
poco, l’aria era ancora fresca, gradevole da essere respirata.
Il vecchio fece un lunghissimo
respiro e fece entrare dentro di sé quanta più aria possibile come se volesse
abbracciare e trasportare in lui tutto l’universo per non sentirsi più solo.
Nella campagna e tutto intorno la natura pareva viva e si esaltava mostrando
alberi fioriti, animaletti festanti, regalando odori profumati. Quel vecchio
solo, assente, incompreso, camminava a testa in giù pensieroso, avvilito,
scoraggiato. Sarebbe stato un quadro bellissimo poterlo ritrarre in quel modo,
con quel panorama, ricco di poesia, di suggestione. Ma lui, era talmente
soggiogato dalla sua solitudine, da non riuscire a gustare neanche quello
scenario. Pensò, nel tentativo di distrarsi, alla sua gioventù, si ricordò di
quando era giovane, forte e bello. Si vide ritratto col pensiero, in una
fotografia con l’aspetto vigoroso che aveva allora. Attimi di esistenza vissuta
e mai più ripetibile, affidandosi alla memoria, sembravano tentare ancora un
momento di vita. Ma la nostalgia che ora si univa alla già presente solitudine,
lo stava cominciando ad assalire. Decise allora di affidarsi alla compagnia del
fumo d’una sigaretta. Sfilò dalla tasca dei pantaloni con la mano l’accendino,
si portò in bocca una sigaretta, l’accese e fu un vero delitto preferire il fumo
all’aria fresca e salubre di campagna, in quell’ora del giorno. Ma Mosè, alla
sua salute, teneva ben poco. Appena arrivato in città si sentì salutato da
chiunque l’incontrasse. “Ciao Mosè, come mai a piedi, si è guastato il
motorino?”. E lui rispondeva: “No! Ogni tanto fa bene camminare a piedi”.
L’altro annuì e aggiunse: “Sì vero, però dovresti levarti anche il vizio
delle sigarette”. Mosè riprese il suo cammino strano e senza meta.
“Mosè?”,
lo chiamò un altro, “ti ricordi di quella cagnetta che stava partorendo? Ieri
ha fatto dei cuccioli tanto carini. Ne vuoi regalato uno tu che stai in
campagna? L’abbiamo chiamato Argo come il cane di Ulisse nell’Odissea? Lo vuoi?
So che ti piacciono gli animali!”. Ma in quel momento l’ultima cosa che lui
pensava erano i cani: “No! Grazie, ho già tanti gattini da curare, mi bastano
e mi avanzano quelli”. Così dicendo riprese a camminare. “Mosè, Mosè,
l’hai preso il caffè? Vieni che te lo offro io!”. A un bel bicchiere caldo
di caffè non si può rinunciare anche quando ci si sente soli e Mosè entrò con
l’amico nel bar e fu salutato subito, dalla cassiera, dal barista, dai presenti.
In fondo non era poi così solo come credeva. Bevve il caffè tutto d’un fiato e
si sentì rianimare. Poi, ringraziò l’amico e riprese a camminare. Trovava molto
più rilassante camminare a piedi anziché usare il motorino che nonostante tutto,
come un amico fedele, gli mancava, era tanta l’abitudine di portarselo appresso.
... Fia
Stavano cenando quella sera a casa
di Fia, lei, suo padre, sua madre. Un po’ di verdura, della frutta, niente di
più, non si aveva molto appetito con quel caldo.
Fia mangiava a testa bassa, non
riusciva ad alzare gli occhi, quasi si sentisse in colpa e volesse nascondere ai
genitori, il segreto di tutti quei pensieri strani che le invadevano il corpo e
la mente. “Cos’hai Fia?”, le chiese con garbo il padre. “Niente
papà!”, rispose lei. “Questa ragazza sta troppo sola alla sua età!”,
commentò ancora lui, “Così il tempo non le passa mai, non vorrei cadesse in
depressione, mi sembra un po’ chiusa ultimamente”. Lei finalmente alzò gli
occhi verso il padre dicendogli: “Ma dove devo andare? A Leonforte ci sono
solo quattro gatti tutti anziani. Anche ad Enna non ci sta nessuno, sono tutti
partiti in villeggiatura. Quasi quasi non vedo l’ora che cominci la scuola, così
almeno rivedo i miei amici e sto un po’ con loro”. La giustificazione della
ragazza fu sufficiente a convincere entrambi i genitori, tanto che l’argomento
fu chiuso. Ma ne aprì subito un altro sua madre dicendole: “Senti Fia, domani
verranno a farci visita lo zio Aldo e la zia Lucia di Bergamo, con il loro
figlio Ivan. Staranno solo un giorno da noi perché poi andranno a Palermo per
partire alla volta dell’Egitto, nella loro casa di villeggiatura”. Questa
notizia inaspettata interessò Fia che chiese subito alla madre: “E dove
dormiranno? La nostra casa non è un albergo”. La mamma un po’ alterata per
quella strana considerazione della figlia le rispose: “Gli zii nel letto
grande in camera degli ospiti, tuo cugino dormirà nella tua stanza se ti va,
basta spostare il lettino e trasferirlo da te”. Fia perplessa le chiese:
“Nella mia stanza?” A questa discussione a due, non prendeva parte il padre
che ascoltava in silenzio come se la cosa non lo riguardasse e fosse solo un
problema tra donne. “Sì, Fia se non ti dispiace, nella tua stanza, è solo per
una notte, poi l’indomani mattina col presto se ne andranno. E poi è un bambino
calmo, educato”. Fia rimase ancor più perplessa di prima. I genitori di lei
non potevano neanche lontanamente anche solo immaginare il motivo di quello
strano turbamento della figlia. E forse, ma solo in quel momento, non l’aveva
compreso neanche lei stessa. “Ma quanti anni ha ora Ivan?” chiese la
ragazza e lo fece con una faccia curiosa ed interessata. “10 anni circa”,
rispose la madre, “il tempo passa in fretta per tutti, tu ti sei fatta già
una signorinella, sembra l’altro ieri quando eri ancora bambina”. Una strana
e inattesa eccitazione colse nell’intimo Fia. Il suo cuore, troppo spesso messo
a dura prova in quel periodo, riprese a pulsare con una certa insistenza e il
sangue a scorrere più veloce. Un cambiamento così rapido che si trasferì subito
nel suo sguardo, anche la sua faccia arrossì ma dall’eccitazione e non dalla
vergogna. Sia il padre, sia la madre notarono in lei questo evidente cambiamento
ma non potevano capire o intuire null’altro di più del semplice cambiamento
esteriore. Solo Fia sapeva benissimo cosa le stesse succedendo e capì, proprio
in quel momento, come si soffre quando ci si sente tremendamente soli pur avendo
accanto i propri genitori. La ragazza perse di colpo la fame e il suo corpo la
fece sprofondare nuovamente nel dramma, bastava un nonnulla ormai per renderla
schiava. Si ritirò in fretta nella sua camera e si lasciò cadere sul letto a
testa in su, spalancando due occhi grandi grandi verso il lampadario del
soffitto. La madre bussò subito alla porta: “Fia, tutto a posto, non mangi
più?”. La ragazza le rispose nella maniera più scontata: “No mamma, non
ho più fame, sono sazia, mi riposo un po’, qui c’è più fresco”. La madre se
ne andò. Ma altro che fresco! Fia era più accalorata che mai. Non era il clima
ma il desiderio che si era impossessato nuovamente di lei. Cominciò subito a
ricordare con la mente il fisico, i tratti del viso di suo cugino. Ma se lo
ricordava ancora bambino ma anche che non era brutto in faccia. “Ora sarà più
grande, chissà se ha mai avuto una ragazza, se ne ha mai baciato una, magari ha
lo stesso desiderio che ho io, i maschi si sa pensano molto di più delle femmine
a queste cose, chissà se si tocca anche lui, alla sua età forse sì, o no? Avrà
un pisellino. Ma cosa sto pensando? Perché?”. Fia si riprese come volesse
rimproverarsi da sola. “Ma è mio cugino di primo grado, sangue del mio
sangue, è ancora un bambino”. Ma l’idea che fosse del suo stesso sangue e
che fosse ancora piccolo, anziché farla desistere, la eccitò di più. A lei,
tutto ciò che sembrava proibito, le faceva crescere il desiderio. La possibilità
di avere un contatto fisico con un bambino alle prime esperienze, sicuramente
vergine come lo era lei, rinvigorì i suoi osceni propositi.
Ora anche l’incesto attirava Fia,
una sessualità a 360 gradi, orientata verso tutto e tutti che in nessun paese
del mondo, anche in quelli più evoluti, si poteva riscontrare. In nessun posto
tranne che nella testa e nei pensieri della piccola Fia. Per la ragazza non era
importante la persona con la quale fare del sesso, anzi non contava proprio
nulla, ma il piacere che lei avrebbe potuto ricavarne. Era narcisista anche in
questo.
Lei, almeno con la fantasia,
avrebbe potuta farlo con tutti, persino con un animale se fosse stato in grado
di darle piacere, aveva completamente cancellato il lato sentimentale del
rapporto, separando nettamente il sesso dall’amore. Fia continuava a dialogare
con i propri pensieri: “Che me ne frega se è mio cugino, potrei farlo pure
con mio fratello se ce l’avessi. Magari. Almeno mi sarei potuto confidare con
lui. Che importa se è mio fratello? È sempre un ragazzo ed io una ragazza perché
non farlo? Perché con un estraneo sì e col proprio fratello a cui si vuole più
bene no? Dovrebbe essere il contrario”. Per un attimo le venne in mente suo
padre col suo petto peloso, le mani incallite ma ebbe molta paura di quel
pensiero e lo cancellò subito dalla testa e ritornò al pensiero del cugino.
Nella vita e specialmente nel sesso, tutto ciò che è proibito attira
terribilmente ma solo perché lo si vieta altrimenti non lo si prenderebbe
neanche in considerazione.
Se Fia anziché aver vissuto a
Leonforte, fosse nata a Stoccolma, ad Amsterdam, a Bangkok, ovunque ci si ami
liberamente, forse non si sarebbe ridotta così, forse! Perché potrebbe far parte
del suo Dna e sarebbe stata così in ogni posto dell’universo.
Fia era una ragazza precoce e
molto fantasiosa. Se nelle proprie fantasie erotiche è consentito e lecito
tutto, così non lo è nella realtà specialmente nel caso di suo cugino. Se lei,
in un raptus di follia sessuale, avesse abusato di suo cugino di soli 10 anni,
cosa sarebbe successo? Che avrebbero pensato di lei i suoi genitori, i suoi zii?
Questo pensiero la spaventò e servì, se non altro, a calmarla un po’. Ma la
ragione, quasi sempre figlia della morale, non è mai in grado di frenare
l’impeto e la forza dell’istinto. La ragione e quindi la morale è variabile nel
tempo e nelle usanze perché è la legge degli uomini che cambiano sempre
opinione. Mentre l’istinto obbedisce alle leggi della natura ed è la parte più
vera di noi che non potrà mai cambiare e che ci porteremo sino alla morte. Per
questo l’istinto, sinonimo di giustizia, dovrebbe sempre prevalere sulla ragione
e il sesso, espressione vera dell’istinto, dovrebbe annullare sempre la morale.
Nella società attuale che è tutta
al rovescio, accade esattamente il contrario. “Ci mancava anche mio cugino a
tormentarmi! Chi lo porta qui da me dopo due anni? Perché non se ne restava a
Bergamo in mezzo ai polentoni come lui o se ne andava direttamente in Egitto
senza passare da qui?”. Fia aveva ripreso i suoi monologhi che sarebbero
stati pane quotidiano per qualunque psicologo ma non certamente per lei che non
ce la faceva più. “Ma io me ne frego delle conseguenze, mentre dorme, mi
infilo nuda nelle sue coperte e chi si è visto si è visto. Non può rifiutarmi,
sono troppo bella”. Fia era fuori di testa. Se quel povero bambino avesse
saputo dove avrebbe dovuto dormire, probabilmente non si sarebbe mosso da
Bergamo. Ma Fia, il più delle volte era tutto fumo e niente arrosto, per sua
fortuna. La ragazza accese il televisore ma fu subito nauseata da quegli stupidi
che si divertivano a dire stronzate davanti ad una telecamera, e lo chiuse quasi
subito. Probabilmente se avessero proiettato un film pornografico, sarebbe
rimasta incollata là davanti. Il pensiero di suo cugino era il vero padrone
della sua mente: “Cosa importa l’età? O 10 anni o 100 anni, l’importante è
che, almeno per una volta, ci sia qualcuno in camera mia, la vicinanza di un
corpo che non sia il mio”. È tremendo pensare come una ragazzina dell’età di
Fia, abbia ridotto tutto a un puro piacere fisico, sensuale.
A quell’età, di solito, si è molto
sentimentali e romantici, ma Fia era di un altro pianeta. Non esistevano per lei
i fotoromanzi d’amore ma le fantasie erotiche. La si poteva criticare,
commiserare, condannare, prenderla anche per pazza, perversa o malata ma nessuno
al mondo, si potrebbe permettere mai di dire che non sarebbe stata un’ottima
amante.
Quel ragazzo che l’avrebbe amata o
quell’uomo che l’avrebbe sposata, sarebbe stato l’individuo più fortunato di
questo mondo.
... Mosè
Nonostante fosse una tarda mattinata, non vi era molta gente per le strade. Enna
d’agosto offre ben poco, è un paese di montagna e la gente scappa via verso il
mare per le ferie. Restano per lo più anziani e qualche contadino. Mosè
continuava a passeggiare in quel deserto. Passò vicino alla piazzetta della
cittadina e vide dei bambini giocare al pallone. “Mosè, Mosè”, i
ragazzini lo riconobbero e lo chiamarono subito: “Vuoi giocare in porta? Ci
serve un portiere, ma non farti fare troppi goals”. Mosè accettò subito, gli
piaceva la vicinanza e la spensieratezza della gioventù, l’avrebbero risollevato
un po’ e non poteva certo immaginare quanto.
“Indossa i guanti Mosè, tieni
il cappellino se no ti viene un’insolazione”.
Lui si mise in porta e cominciò la
partita. Era ridicolo vedere quell’anziano giocare con i ragazzini come fosse
uno di loro oppure era poetico dipende da quale angolazione si guarda
l’obiettivo. Ma quando ci si accorgeva che quel vecchio era lui, nessuno poteva
più meravigliarsi. Di Mosè ci si poteva aspettare proprio tutto! Per la verità
qualche goal lo prese e forse anche più di uno, ma in compenso, fece anche
alcune belle parate. Il tempo passò in fretta, fin quando si fece mezzogiorno,
l’ora più calda del giorno. Il sole ardeva, non vi era un alito di vento, i
ragazzi erano stanchissimi, stremati, morti di sete e si precipitarono di corsa
per bere alla fontana. Mosè, stanco anche lui nonostante giocasse in porta, li
seguì e andò a bere per difendersi dal caldo. Così la partita finì. Il vecchio
salutò i ragazzini dicendo loro di essersi divertito un sacco, e lo diceva con
sincerità. Era sempre stato sincero, ma non era mai sceso a compromessi con
nessuno. La sincerità era la sua migliore virtù ma non era la sola. Camminò
ancora un po’ salutando ed essendo salutato da chiunque lo incontrasse. Era
famoso lui, Enna senza Mosè sarebbe come Roma senza il Colosseo, o come Pisa
senza la Torre. Era quasi un monumento per quella città. Arrivò in quella
villetta dove era solito fermarsi per mangiare qualcosina e si sedette a
riposare su una panchina. Non vi era nessuno intorno, era ora di pranzo e quei
pochi abitanti rimasti in città, erano nelle loro case a mangiare. Ma lui non
aveva per niente fame, era abituato a digiunare a lungo, ma non a stare senza
sigarette. Così, ne accese una e dopo un’altra ancora e passò molto tempo a
farlo. Avrebbe anche voluto bere una bottiglia di birra, ma a quell’ora i negozi
erano chiusi. La birra e le sigarette erano una vera passione per lui. Questa
era la sua vita, sempre la stessa, monotona e uguale. L’unica novità stava nel
fatto che aveva lasciato a casa il motorino. Era tutto scontato. Sarebbe rimasto
da solo e forse avrebbe dormito un po’ sino alle 16, ora in cui sarebbe dovuto
presentarsi in parrocchia e poi nuovamente a casa, la solita routine di sempre.
Eppure quella vita che l’aveva appagato fino ad allora scorrendo come una linea
dritta senza sussulti o impennate di nessun tipo, ora gli si mostrava triste
senza che lui ne afferrasse il motivo. Forse gli mancava una compagna, un vero
scopo per vivere. Forse cercava Dio senza saperlo o era il pensiero della
vecchiaia che si avvicinava sempre più che lo spaventava. È sempre difficile per
chiunque, non solo per lui, poter penetrare negli intriganti meandri del proprio
io, per individuare poi il motivo della solitudine. Forse ogni uomo nasce,
cresce e muore solo, crede di non esserlo aggrappandosi agli altri, ma si
ritrova ancora più solo costretto a contare solo su se stesso. Si è soli da
vecchi e da bambini, da ricchi o da poveri. Lo si è anche in mezzo a tanta
gente, tra milioni di persone, o anche dormendo accanto alla propria donna e
perfino quando si fa l’amore, perché non si può essere dell’altro solo quando si
gode. Anche Mosè si sforzò di cercare dentro di lui, il vero motivo della
solitudine che l’affliggeva. Ma non è facile per niente, e non vi riuscì neanche
lui. E se anche gli fosse apparso il famoso genio della lampada chiedendogli
cosa potesse fargli avere per renderlo felice, lui sarebbe rimasto completamente
muto, non avrebbe saputo cosa cercargli.
... Fia
Quella notte,
Fia non riusciva proprio a prendere sonno, anche l’insonnia adesso, non bastava
tutto il resto. Si sentiva senza amici, sola con i suoi pensieri che come
fantasmi danzanti, aleggiavano su lei e che non riusciva a scacciare. Non sapeva
più se considerarli amici o nemici quei pensieri, li odiava con tutta se stessa
ma nello stesso tempo non poteva farne a meno. Pur facendola soffrire, le
procuravano un’adrenalina che la faceva sentire viva e la rendeva più bella.
Ma più ancora dei suoi pensieri,
la faceva stare male il fatto di non poter parlare con nessuno. Era un delitto,
un pugnale nell’anima doversi tenere tutto dentro. Avrebbe desiderato un’amica
del cuore, forse con lei avrebbe avuto il coraggio di aprirsi ma non l’aveva. Si
consolava pensando che presto sarebbe cominciata la scuola e avrebbe ritrovato
le sue amiche, lei era una ragazza socievole, si sarebbe aperta con qualcuna di
loro che le ispirasse fiducia. Avrebbe anche voluto provare a parlare con un
prete in confessione, lì non l’avrebbe saputo nessuno. Ma al momento di entrare
in chiesa, perse il coraggio, non ne ebbe la forza e tornò indietro. Ora Fia
pensava a suo cugino, finalmente qualcuno per tutta una notte nella sua stanza.
In realtà non era suo cugino inteso come persona a stimolarla e a tenerla
sveglia quella notte ma quello che poteva rappresentare per lei, ovvero un altro
corpo capace di baciarla, accarezzarla, farle raggiungere l’orgasmo
sostituendosi a lei. Era narcisista anche in questo. Voleva provare solo piacere
più che darlo. O forse non aveva ancora sperimentato che dare in amore è molto
più bello che ricevere. Se al posto di suo cugino ci fosse stata un’altra
persona, l’eccitazione per lei sarebbe stata la stessa. Finalmente quella lunga
notte passò ed arrivò il giorno fatidico. Fia si svegliò dopo qualche ora di
sonno ma si sentiva in forma ugualmente, carica e pimpante. Miracolo dei poteri
del sesso. L’idea che sarebbe arrivato suo cugino di soli 10 anni, la teneva in
ansia, in continua agitazione, sembrava una sposina nella prima notte d’amore.
Si organizzò e la prima cosa che
fece fu quella di vestirsi in maniera provocante, tanto sarebbe rimasta in casa
e l’avrebbe potuta ammirare solo suo cugino. Scelse per l’occasione una gonna
color mattone, non eccessivamente corta per non esagerare, c’erano pur sempre i
suoi genitori e i suoi zii, ma che metteva ugualmente in mostra le sue cosce
bellissime.
Del resto, qualunque cosa
indossasse le stava bene. Aveva un fisico che faceva sempre figura, da
fotomodella direi, anche se non era una ragazza eccessivamente alta, 1,75 metri
circa. Ma aveva delle forme armoniche in ogni parte del corpo e una carica
d’erotismo che, unite insieme, non potevano passare inosservate.
Seguiva un’alimentazione sana e
genuina e, anche se non praticava sport, aveva dalla sua parte la bellezza dei
suoi quindici anni e della sua nascente, direi fin troppo, sensualità che la
rendevano viva e attraente. Posso anche essere d’accordo nell’ammettere che i
desideri sessuali, quando sono troppo accentuati, possono sfociare nella mania e
nella perversione, anche se penso che l’unica vera perversione sia l’astinenza,
ma non si può non ammettere che gli stessi desideri portino energia e vitalità.
Dove vi è il richiamo dei sensi, vi è vita. Il cuore che batte forte, il sangue
che scorre veloce, il respiro che cresce; l’esatto contrario della morte, della
vecchiaia e della depressione. Il sesso porta sempre vita anzi è la fonte della
vita, si nasce per quello, mentre la guerra è la distruzione della vita.
L’eroismo si compie con un orgasmo e non con uno sparo. Ma, questa società in
cui viviamo, come al solito non smentisce la propria ignoranza, legalizzando la
guerra e condannando la libertà sessuale. L’eroe della cosiddetta Patria che in
realtà non è altro che un assassino, viene insignito con una medaglia d’oro al
valor civile mentre un adulto che dà amore ad un’adolescente viene sbattuto in
carcere. Personalmente continuo a considerare Fia, la protagonista del mio
racconto, una ragazza sana e perfettamente normale. Dovrebbe soltanto mettere un
po’ di ordine ai suoi desideri e trovarsi un ragazzo da amare in tutti i sensi.
Ma ha una vita davanti per farlo e in più ha il dono della bellezza. Sono
assolutamente convinto sulla normalità di Fia, anormale lo è forse chi pensa il
contrario.
Alla gonnellina color mattone
decise di abbinare una magliettina estiva di color rosso scuro, molto attillata
che metteva perfettamente in evidenza i suoi bellissimi seni da adolescente,
praticamente perfetti, forse vederli in quel modo coperti li rendeva ancora più
desiderabili.
Quando una bella ragazza che
decide di sedurre un ragazzo, riesce a mettere bene in mostra il seno e le
gambe, l’opera è compiuta. Ora Fia si guardava allo specchio, lo aveva fatto più
del solito quella mattina, e come sempre non poté fare a meno di notare quanto
fosse attraente. Si toccò per un attimo i seni immaginando che al posto delle
sue mani, ci fossero quelle inesperte del cugino e rabbrividì. Poi si alzò un
po’ maliziosamente la gonna e si accarezzò le gambe immaginando di trovarsi
seduta sulle ginocchia di lui e bastò quest’altro pensiero per farla impazzire
di desiderio e si bagnò tutta. Ma doveva controllarsi, c’erano i suoi genitori
in casa. Per non pensare più a questo, andò in cucina e fece colazione, fette
biscottate integrali con la marmellata di albicocca spalmata di sopra. Stava
finendo di lavarsi i denti, bianchissimi come perle lucenti che rendevano
bellissimo il suo sorriso e la sua bocca meritevole di essere baciata a lungo,
quando sentì il rumore della macchina degli zii. Il momento tanto atteso, era
arrivato finalmente.
... Mosè
Era sabato
pomeriggio, padre Santino, tutto festante e sorridente, s’avvicinò a Mosè:
“Domattina si parte caro Mosè. Ho organizzato una gita con tutti i parrocchiani
della chiesa. Si va a Siracusa, colazione a sacco e in serata si rientra.
Saremmo felici se venissi anche tu, cosa sarebbe una gita senza di te? Te l’ho
detto solo ora per farti una sorpresa. Si paga 20 euro a testa ma tu non dovrai
pagare nulla”. Mosè restò un po’ sorpreso da quell’invito, non se lo
aspettava e disse al padre: “Ma non lo so, devo pensarci”. Il prete perse
un po’ quell’aria gioviale di prima: “Ma cosa devi pensare? Vieni in chiesa
domani mattina puntuale alle 6, lascia il motorino qui in sagrestia e si parte
tutti insieme col pullman. L’appuntamento è per tutti qui, davanti alla chiesa”.
Padre Santino si allontanò senza
neanche ascoltare la risposta e a Mosè non restò che accettare. “Ci mancava
anche la gita a Siracusa”, pensava ritornando a casa col motorino, “ma
forse servirà a distrarmi un po’”, e si autoconvinse che sarebbe stato
giusto andarci anche per non dare un dispiacere al parroco e ai fedeli che
l’avrebbero voluto con loro. Quella domenica mattina tutta San Raffaele era
pronta, destinazione Siracusa. Appena videro Mosè, le solite feste. In fondo
quei parrocchiani lo rispettavano e gli volevano bene anche se a modo loro,
forse avevano anche qualche difetto, come tutti del resto, ma in compenso
avevano moltissimi pregi. Il caso o forse il destino volle che Mosè trovasse
posto sul pullman al fianco di una ragazza abbastanza socievole e carina di
circa 25 anni, figlia di una signora appartenente alla parrocchia. Anche Mosè
era sempre stato un tipo socievole e loquace e non si annoiò affatto durante il
viaggio perché parlò con quella ragazza di qualunque cosa, sentendosi tranquillo
e sereno, ritornando ad essere felice come un tempo. Forse lui aveva bisogno
della gioventù perché si sentiva ancora un po’ bambino dentro ed è davvero
triste ritrovarsi adulti e per di più anziani senza essere cresciuti. Il
destino, quel giorno, gli aveva dato una mano mettendogli accanto una ragazza
molto più giovane di lui, così come aveva fatto servendosi di quella bambina che
fuori dalla chiesa gli fece l’elemosina salvandolo un po’ dalla disperazione, e
così come si era servito di quei ragazzini che l’avevano invitato a giocare a
calcio con loro. A volte la vita ci manda segnali che noi, tutti chiusi nel
nostro pessimismo, non comprendiamo o non riusciamo a cogliere. Ma Mosè non
poteva capirlo chiaramente perché non sapeva ancora quello che avrebbe vissuto
più in là grazie alla gioventù. L'alba stava sorgendo, nell'aria vi era una
brezza silenziosa, intorno leggiadre ali. La sua luce, filtrando attraverso i
vetri del finestrino, illuminava ogni cosa intorno, si spargeva sulle colline,
sulle montagne, su quella terra brulla, ovunque ci fosse vita o cosa, avvolgendo
il paesaggio d'una malinconica bellezza. Mosè guardava da dietro i vetri quel
magnifico panorama e sentiva di amare ancora di più quella terra splendida,
quella Sicilia che ora considerava come fosse davvero la sua terra natìa,
sentiva di amarla veramente tanto e gli arrivava il suo calore. Muta di parole e
sguardi, la sua mente ora vagava lontano, quasi in penombra, dove il pensiero
non aveva confini e tutto poteva sembrare reale. Così, col bisogno del ricordo e
del pianto, pensava al suo passato e alla sua perduta giovinezza, al suo
presente fatto di tempo fuggente, al suo futuro sconosciuto ed incerto nelle sue
mille paure. Quanta dolcezza nel guardarsi dentro e perdersi in se stessi! Quali
emozioni nel vagare liberi tra solitudini e silenzi profondissimi! Immaginava di
trovarsi su di un treno, un treno che correva lontano nei binari della sua vita,
lungo la strada del suo dolore. Un treno che andava via velocemente, proprio
come i suoi anni, il suo tempo che scorreva, come un lampo che attraversa in un
attimo ogni cosa. Dal finestrino immaginava di vedere montagne invalicabili di
paure, pianure non più verdi di speranze invecchiate, laghi salati di pianto
amaro. Osservava fiumi, violente cascate trascinare via tutto quanto, mari in
tempesta come i suoi pensieri irrequieti. E poi ancora gallerie coprire il sole
come i suoi momenti bui, miraggi di felicità nei deserti della sua esistenza, il
cielo dove non aveva mai volato, lontane isole esplorate solo nei sogni, nebbia
lontana e foschie senza amore, senza fortuna. E poi notava file di alberi e
nuvole passare come un susseguirsi di emozioni, paesi e città fuggire
malinconicamente come i ricordi pù belli, prati verdi dove correva felice
sull'erba da bambino, rivedeva sua madre aspettarlo a braccia aperte, gli
sembrava di udire nel vento la voce di lei che lo chiamava. Il treno correva la
sua corsa senza fine, senza ritorno, senza fermate e Mosè continuava ad
immaginare di fuggire via anche lui sopra quel treno, di allontanarsi sempre più
senza sapere dove, certo di perdersi solo come un vagabondo senza famiglia. Il
vecchio, completamente rapito da quel suo malinconico viaggio, ora sentiva il
bisogno di chiudere gli occhi e sospirando fra sè nel silenzio, pronunciava
piano queste parole: "Addia casa mia d'infanzia! Addio amici della mia
adolescenza! Addio giovinezza perduta per sempre! Quanta struggente nostalgia mi
avete lasciato! Com'è triste non poter tornare indietro! Ma perchè la vita è una
corsa continua? Perche la fine di un viaggio non c'è mai? Mi fermerò soltanto
quando giungerà l'autunno con la sua folata gelida. Come foglia ormai ingiallita
sarò strappata dal mio albero, trascinata nel vento". Poi, di colpo, Mosè si
scosse e lentamente cominciava a destarsi da quel viaggio nel profondo della sua
anima, del suo essere così fragile, così indifeso rispetto alla grandiosità
della sua vita. Ritornò così nella realtà sopra quel pullman, in quella gita,
con quella ragazza seduta a fianco. Ma si sentiva cambiato dentro. Aveva
lasciato piovere amore su di lui aprendo la porta del cuore; quanto vi era di
puro, di meraviglioso, ora poteva riceverlo.
Il viaggio fu piacevole anche
perché l’aria condizionata rendeva tutto più gradevole. Dopo un paio d’ore,
arrivarono a Siracusa città piccola ma ricca di bellezze classiche, tutta da
ammirare. La giornata era calda ma non soffocante come quella di Enna. La
vicinanza del mare portava un venticello fresco d’agosto che era un vero e
proprio toccasana per tutti. Mosè rivide dopo tanto tempo il mare e capì la sua
importanza. Fu come aver ritrovato un fratello, un amico, un padre.
Quell’immensa distesa d’acqua salata con barche, navi, gabbiani, gente che pesca
e che si fa il bagno, riconduce alla libertà, all’infinito. Per un attimo
attribuì ad Enna il motivo della sua infelicità, città senza mare e senza
orizzonti. Se chi, nato in una città di mare, per un motivo o l’altro dovesse
allontanarsi e poi rivederla dopo tanto tempo, si renderebbe subito conto del
valore di quella infinità di acqua. È sicuramente bella anche la montagna ma il
mare è un’altra cosa. Mosè osservava la superficie del mare aperto brillare,
luccicare al sole, sembrava ricoperta da una miriade di specchi; la giornata era
bellissima, serena e regalava quello spettacolo. Il profumo di salsedine, il
rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli, quella schiuma
bianchissima, tutto agli occhi di Mosè era come sinfonia, una dolce melodia che
lo sollecitava a tornare, col pensiero, in seno ai suoi ricordi d'infanzia e il
vecchio si lasciò trasportare, si lasciò andare al suono delle onde, all'eco di
mille sirene. Si lasciò cullare docilmente e dolcemente, aggrappandosi a quei
momenti d'infanzia lontana, come alghe marine che succhiano caute mammelle di
roccia. E quegli attimi di malinconia, quelle visioni incantate e favolose,
pietrificate nei ricordi, sembravano, come per incanto, prendere forma e
acquistare vita. E quegli istanti che nel cuore di Mosè avevano lasciato una
traccia, si rincorrevano tra loro, insieme alle cose, alle persone familiari,
ai sogni di più remote stagioni. La memoria appariva così come immagine
sovrapposta al presente e i suoi impulsi, ritornando dal passato,
s'intrecciavano sinfonicamente, trovavano una finale armonia. Sembrava tutta
avvolta nel mistero e nella meraviglia la vita di Mosè. Con genuino ed infantile
stupore, il vecchio osservava ogni manifestazione della natura, fino ad esserne
rapito. Con sensibilissima attenzione, nel silenzio, ascoltava le voci, i suoni
anche i più tenui delle piccole cose intorno a lui e le illuminava con la luce
del cosmo. Affascinato e curioso percepiva la suggestione, la religiosità, il
mistero nascosti in esse. Ai suoi occhi non apparivano sempre traducibili ed
afferrabili, ma sciogliendosi in musica, in sospiro, gli riempivano ugualmente
l'animo d'immenso. Il vecchio sentiva in quegli attimi di poesia che la
solitudine non era soltanto sua ma era presente in ogni angolo dello sconfinato
universo e non esiste gioia più grande del sentirsi parte di questa immensità,
pur consapevole della propria piccolezza, e piangere l'intima fragilità, in un
pianto accorato e senza speranza. Al vecchio Mosè, ora nasceva dentro
un'emozione fortissima e aveva voglia di ridere, di correre, di abbracciare il
mondo, si sentiva vivo. libero, felice. Ormai più nulla aveva un valore per lui.
Stava scoprendo la dolce ebbrezza del non senso; non gli importava della
seduzione della fede nè del ragionamento della scienza. era totalmente felice e
la sua gioia scaturiva proprio dalla sua solitudine che ora riusciva a
proiettare nel cosmo, e la solitudine dell'universo era la sua stessa
solitudine, e gli dava conforto, lo rendeva grande. Mosè, tornato con
l'immaginazione bambino, si vedeva mentre felice e spensierato si divertiva a
giocare con le onde, costruiva castelli di sabbia, guardava con quegli
occhietti di bimbo curiosi e attenti, quella distesa immensa di acqua, fino a
perdersi con lo sguardo in lontananza, laggiù dove si disperdeva il mare oltre
l'orizzonte, sognando con la fantasia di volare via senza fermarsi, per scoprire
il mondo come un'onda senza mai una spiaggia, come un gabbiano che vola nel
vento, più in alto che può, sulla cresta dell'onda, sull'orlo dell'oceano.
Spariva, quel gabbiano, all'orizzonte, lungo la scia dei pensieri del vecchio,
sulle ali dei suoi ricordi, alla scoperta di terre lontane, di nuovi segreti,
nuove sensazioni. Era un nuovo giorno, era tempo di partire, bisognava migrare,
finalmente era giunta esultante la stagione del gabbiano che dimorava in lui.
Era la sua fantasia, l'anima così folle ma così particolare di Mosè che si
faceva largo, che creava spazi, che cercava, in fondo alla dolcezza, nella
disperazione, la speranza d'una fuga complice. Quella gita domenicale inattesa,
fece molto bene all’animo di Mosè, si sentì risollevato, rinato, libero come un
tempo. La solitudine sembrava sparita di colpo. Rideva e scherzava con tutti ma
soprattutto con un gruppo di giovani in gita con lui. Erano ragazzi e ragazze
con colazione a sacco e qualche chitarra sulle spalle, di età compresa fra i 14
e i 25 anni. La gioventù aveva il potere di renderlo spensierato, di cambiarlo.
Di questo fatto, lui stava cominciando a prenderne consapevolezza, desiderava
decisamente la vicinanza e la spensieratezza della giovinezza. Un’anima
d’artista, uno spirito libero come lui, poteva essere compreso e trovarsi bene
solo con chi è ancora giovane soprattutto nel fisico. “Ma può essere che mi
piacciano così tanto i giovani e me ne renda conto solo ora?”. E i giovani,
a loro volta, mostravano chiaramente di accettarlo, davano segni evidenti di
gradire la sua presenza. Era un 65 enne in mezzo ai ragazzi, ma si comportava
come fosse più piccolo di loro.
La giornata passò in fretta, volò
come spesso accade per le cose della vita che ci sono più care e la comitiva di
San Raffaele, dopo aver girato in lungo e largo per tutta Siracusa e averne
gustato nei minimi particolari le antiche bellezze artistiche, si accingeva a
tornare alla sua base, destinazione Enna, chiesa di San Raffaele. Mosè avrebbe
voluto che durasse più a lungo ma tutto nella vita ha una fine, non può durare
per sempre, purtroppo. E pensare che all’inizio lui era titubante
nell’affrontare quella gita. Ognuno riprese sul pullman lo stesso posto
dell’andata e Mosè ritrovò la stessa ragazza con la quale, nel frattempo, aveva
instaurato un’amicizia più solidale e confidenziale e, dopo un paio d’ore, tutti
fecero ritorno, felici e contenti di aver vissuto una serena giornata in
compagnia e diversa dalle altre. Fra i più contenti della comitiva, vi era
proprio lui, il vecchio Mosè. Riprese il suo motorino dalla sagrestia dove
l’aveva lasciato in prestito e via verso casa. Quella sera si sentiva meno solo.
Aveva capito, se non altro, che la vicinanza dei giovani era l’unica medicina
per poterlo guarire. Non vi era in quel momento nulla nella vita capace di
renderlo più felice. Arrivato a casa, si sdraiò sul letto ma si rialzò quasi
subito, si affacciò fuori e respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera e
poi si sdraiò nuovamente sul letto ricordandosi e rivivendo i momenti felici
della gita appena trascorsa. E fu così che si addormentò, anche perché un po’
stanco per la gita, e dormì, dormì tranquillo e sereno, placidamente. Ne aveva
tutto il diritto e ci riuscì finalmente. Mentre dormiva aveva l’espressione di
un bambino.
... Fia
Corse subito senza perdere un
istante fuori e per prima cosa vide la macchina degli zii, una grande e
costosissima fuoristrada color azzurro metallizzato targata Bergamo. Poi si
trovò di fronte la zia appena scesa dalla macchina, la salutò baciandola come si
usa fare di solito per educazione e in segno di affetto. La zia spalancò gli
occhi meravigliata e le prime parole che le uscirono dalla bocca furono:
“Mamma mia quanto ti sei fatta bella, fatti guardare, sei diventata una
signorinella, una bella ragazza, sei cresciuta tanto in due anni”.
Fu quello un complimento che Fia
aveva già ricevuto tante volte e da parecchie persone, amici e parenti e ormai
non gli faceva più caso, già lo sapeva da sé che era bella ma soprattutto a lei
interessava di piacere agli altri sessualmente.
In quella situazione poi, il
complimento della zia, lei avrebbe voluto sentirlo dalla voce di suo cugino.
Vide anche suo zio e lo salutò nel solito modo ma ormai non resisteva più,
cercava disperatamente l’oggetto dei desideri, ovvero suo cugino Ivan, era
curiosa ed eccitata nello stesso tempo.
Ed eccolo suo cugino, appena sceso
dal sedile di dietro della macchina. Un bambino nel vero senso della parola,
capelli rossicci e corti un po’ ricci, viso lentigginoso da chierichetto con un
accento decisamente del nord, un fisico magro non sviluppato. Era un bambino in
tutto e per tutto, nel corpo e nella testa che dimostrava anche meno dei suoi 10
anni. Fia rimase molto delusa, era esattamente l’opposto di come lo avrebbe
voluto. Pareva privo di ogni germe di malizia. Dava l’impressione del tipico
bambino, tutto casa e chiesa che giocava ancora con i soldatini. Fia lo salutò
molto freddamente e lui si può dire che manco la guardò, restò indifferente a
quella bellissima ragazza che avrebbe dovuto dormire nella stessa stanza con
lui. E pensare che la ragazza sognava un cugino sveglio e precoce come lei, che
non aveva dormito la notte, che aspettava con ansia quell’attimo, che si era
fatta bella e provocante per lui, tutto sprecato, tutto inutile, che delusione!
Nella vita le cose più belle accadono solo quando non le si aspettano e mai
quando le si programmano ma lei non aveva ancora l’esperienza per capirlo.
Quando si è troppo carichi di desiderio represso, ci si lascia coinvolgere con
niente e per niente. Fia aveva fatto i conti senza l’oste, si era come sempre
lasciata guidare dalla fantasia che non è sempre come la realtà. Ma, nonostante
la delusione, non si arrese per niente, era una ragazza testarda che, quando si
metteva in testa qualcosa, la otteneva prima o poi e a qualunque costo.
“Bisogna accontentarsi di quello che passa il convento, anche se è un
bamboccione lo voglio fare lo stesso, lo svezzo io, so come fare, lo faccio
diventare grande, gli farò vedere di cosa sono capace”. Questo fu il primo
pensiero a dir poco delirante, dettato dalla rabbia dopo aver visto il cugino.
Lo odiava terribilmente senza che lui le avesse fatto niente di male. Sapeva
però di poterlo dominare e forse anche convincerlo dall’alto dei suoi quindici
anni. In realtà era troppa la differenza fisica tra i due. Lei aveva già
l’aspetto d’una donna, lui sembrava ancora un bambino. Qualsiasi altra ragazza
dell’età di Fia, mai e poi mai sarebbe stata attratta da quel bambino, anzi di
solito le ragazze cercano quelli più grandi di loro, tanto più che si trattava
di un cugino di primo grado. Ma per Fia la parola normalità era cancellata dal
suo vocabolario. Quello che le passava per la testa non poteva comprenderlo
nessuno, né i suoi genitori, né i suoi zii, tanto meno suo cugino e in questo
caso, neanche io. Genitori e parenti di lei parlarono di tutto, avevano molte
cose da dirsi dopo anni che non si vedevano.
Fia guardava spesso il cugino per
scoprire qualunque minimo turbamento ma lui si mostrava impassibile, neanche la
guardava, sembrava che lei non esistesse per lui. Una mazzata per la vanità di
Fia. Ogni tanto qualche occhiata gliela dava lo zio ma non seppe capire la
natura di quello sguardo, però arrivò alla conclusione che si sarebbe fatta
palpare volentieri dallo zio pur di fare un dispetto al cugino. Ma fu un
pensiero senza alcun fondamento che morì sul nascere. Lei desiderava suo cugino,
non sopportava di non essere desiderata e si caricò ancora di più. Lei, che
quando camminava per strada, a scuola faceva girare anche le statue, che si
sentiva addosso gli sguardi famelici dei maschi che la spogliavano e la
violentavano con gli occhi, lei il sogno proibito di tutta Leonforte, ignorata
così da un bamboccio. Ma non si voleva dare per vinta. Ad un tratto, sua madre,
accorgendosi che quei discorsi stavano annoiando i due ragazzi, disse alla
figlia: “Fia perché non fai vedere la tua camera a tuo cugino e il lettino
dove dormirà stanotte. Ivan non farci caso alla confusione, mia figlia è molto
disordinata”. Fia, che non aspettava altro, non se lo fece ripetere due
volte, afferrò il cugino per la mano tanto da spaventarlo per l’impeto di quella
presa e lo trascinò con sé nella sua stanza. Bastò quel semplice contatto delle
mani, per mandarla letteralmente in visibilio. Se avesse potuto, gli sarebbe
saltata addosso, l’avrebbe spogliato e violentato, sarebbe rimasta tutta la
notte abbracciata con lui a gemere e a sospirare di piacere. Ma era solo
un’altra ennesima fantasia priva di riscontro nella realtà. Nel momento in cui
stringeva la mano del cugino capiva di aver bisogno di qualcuno che la toccasse
e da toccare a sua volta. Era troppo tempo che aspettava e non poteva più
attendere. Così cominciò con le sue malizie d’adolescente in erba, a tentare di
stuzzicare il cuginetto, tesseva la sua tela del peccato.
Entrati insieme nella stanza, si
guardarono per un momento in faccia, poi lei non perse tempo nel suo proposito
anche perché curiosa di vedere come reagiva il bambino, la intrigava quel gioco,
voleva sapere il finale. Per prima cosa si sedette sul lettino dell’ospite e gli
disse mentre lui restò in piedi davanti a lei: “Qui dormirai tu, ti piace?”.
Si sedette accavallando le gambe una sull’altra, alzandosi il più possibile la
gonna, mostrando il color bianco delle mutandine, muovendo i seni il più
possibile ma senza toccarli. “Ti piace o no questo lettino?”, glielo
chiese di nuovo con uno sguardo seducente ed una voce calda e sensuale, aveva
una bellezza folgorante in quella posizione e in quel momento. Il cugino aveva
sotto gli occhi una giovanissima dea del sesso e dell’amore pronta per lui, le
gambe, il seno, gli occhi, la bocca,le mani, lo sguardo, tutto quel ben di Dio
poteva essere suo e subito se solo l’avesse voluto. Qualunque essere vivente, un
prete, un ferito, un moribondo, un angelo, in quell’attimo, non avrebbero potuto
resisterle, forse persino un morto sarebbe risuscitato dalla tomba pur di
vederla, tutti proprio tutti tranne lui che rivelò tutta la sua ingenuità e
totale infantilità. Il ragazzo non capì assolutamente nulla delle intenzioni
della cugina, non seppe apprezzare il suo corpo anzi non ci fece neanche caso,
non la guardò neppure, osservò solo il lettino dicendole che gli piaceva. Invano
la ragazza provò a fare finta di stirarsi per tirare avanti bene in mostra i
bellissimi seni, a passarsi la lingua tra le labbra, a mostrare maliziosamente
il sedere. Le provò tutte, non tralasciò nessun tentativo ma fu tutto senza
risultato.
Fia aveva perso la sua battaglia e
forse anche la guerra. Può darsi anche che il cugino non reagisse a quelle
sollecitazioni morbose perché la considerava una parente stretta ma in quel
contesto io credo che anche il miglior padre del mondo, non sarebbe potuto
rimanere indifferente nell’osservare la propria figlia comportarsi in quel modo.
È vero che sarebbe sangue del proprio sangue ma è altrettanto vero che la carne
è sempre carne e ha le sue debolezze.
Fu un duro colpo per Fia. Per lei,
lui non era suo cugino o un bambino, ma un corpo che ha rifiutato un altro
corpo, il suo. Per la prima volta in vita sua si sentiva rifiutata e messa da
parte e forse, per lei, paradossalmente fu un bene perché si calmò ridiventando
serena.
Se fosse stata una ragazza brutta
e indesiderabile, probabilmente non avrebbe avuto tutti quei tormenti, sarebbe
stata una ragazza tranquilla come tante altre. Era la consapevolezza di essere
bella, il sapersi desiderata che dava origine a tutte le sue fantasie. Ma Fia
non arrivò con la sua intelligenza a capire tutto questo,a decifrare il vero
motivo di tutte le sue sofferenze. Era la sua vanità, il suo narcisismo la causa
di tutto. Se l’avesse capito, Fia sarebbe guarita. E invece lei seppe pensare
solo questo: “Sarà gay, non c’è altra spiegazione, per rifiutare una bella
ragazza come me”.
La vita a volte è davvero
paradossale. Chissà quanti altri ragazzi avrebbero potuto accontentare Fia. Ma
l’incomprensibile e assurdo destino, le manda forse l’unico che non può farlo.
Fia ormai si era arresa all’evidenza, i suoi sensi si erano calmati, era
diventata la cugina normale che doveva essere, solo che si mostrava scontrosa e
arrabbiata con lui. Il ragazzo notò ma non arrivò a capire le ragioni di questo
suo totale cambiamento e cercò di instaurare con lei un rapporto più cordiale,
ma lei si mostrava fredda e scura in viso. “Che musica ascolti? Che CD hai?
Posso accendere lo stereo?”, le chiedeva lui ma Fia neanche rispondeva. Il
ragazzino arrivò persino a chiederle se poteva dormire nella sua stanza temendo
che la cugina non fosse contenta. Se, per assurdo, il ragazzo in quello stesso
momento, si fosse spogliato e le avesse detto: “scopiamo” tutto sarebbe
cambiato in un solo attimo e lei sarebbe stata la ragazza più felice del mondo.
Fia si consolò da quella delusione pensando che presto sarebbe ricominciata la
scuola e lì sicuramente sarebbe stata apprezzata e corteggiata come meglio
meritava. Fra tanti ragazzi che le sarebbero venuti dietro, poteva scegliersi il
più simpatico e fare con lui quello che suo cugino Ivan le aveva negato,
giustificando con la parola “amore” quello che avrebbe fatto solo per sesso. Il
pensiero della scuola la rendeva immediatamente felice. Un nuovo mondo le si
apriva di fronte. Poteva scoprire il sesso con tutti, chiunque l’avrebbe amata:
compagni della sua e di altre classi, professori, bidelli e persino il preside e
riprese a volare con la fantasia. La mattina passò, il pomeriggio anche senza
che succedesse nulla tra lei e suo cugino. Lei si era convinta che era solo un
bambino che puzzava di latte ma, se non altro, lo trattava meglio, non lo
reputava più responsabile e quasi quasi lo giustificava. I desideri che si erano
assopiti per tutto il giorno, tornarono a tormentarla la sera, quando si
avvicinava l’ora di andare a letto. Dovettero coricarsi presto perché l’indomani
mattina gli zii e il cugino, all’alba sarebbero dovuti partire per Palermo per
poi volare alla volta dell’Egitto. “Buona notte!”, dissero gli zii e i
genitori ai due ragazzi e chiusero la porta. “E chi può dormire?”, pensò
Fia.
Il fascino della notte è chiaro a
tutti. Il buio, le ombre favoriscono la tentazione, il peccato, si pensano e
fanno cose che di giorno sarebbero censure. I pensieri notturni stazionano
nella mente di anime normali figuriamoci in quella di Fia dove tutto veniva
amplificato. Con uno scatto di nervi, la ragazza aprì la luce del comodino
accanto al suo lettino e si tolse di colpo il pigiama restando in mutande e
reggiseno bianchi. Quella luce appena accennata, si rifletteva su quel corpo
seminudo rendendolo straordinariamente seducente. Anche uno scheletro o una
vecchia corazza, sarebbe risuscitata pur di toccare quel corpo dalle forme
perfette. Ma lui, il ragazzino, l’unica cosa che seppe dire fu: “Ma tu dormi
così?”. E Fia, delusa più che mai: “C’è caldo, dormo sempre così io”,
gli rispose. Lui, come se niente fosse successo, si rigirò dall’altro lato e si
riaddormentò.
Fia tornò ad ammirare quel suo
corpo splendido illuminato a malapena da quella luce fioca e si eccitò da sola
continuando a non comprendere proprio l’indifferenza di suo cugino. Tornò a
pensare alla scuola e a tutte le esperienze e le scoperte sessuali che avrebbe
potuto fare e si sentì in agitazione. Chiuse la luce e anche gli occhi e lasciò
che le sue dita sfiorassero le parti intime abbandonandosi a quel piacere che
avrebbe voluto condividere con altri ma che gira e rigira doveva limitare a se
stessa. Nel momento dell’orgasmo emise un lungo gemito che non trattenne pur
sapendo di avere vicino, nella stessa stanza, suo cugino. E perché avrebbe
dovuto farlo? Tanto lui era talmente ingenuo da non capire neanche quello che
lei stesse facendo.
... Mosè
Mosè uscì di casa di
buon mattino e col suo motorino. Era di buon umore ma una sottile e lieve
tristezza simile alla solitudine, cominciava a farsi sentire dentro di lui e a
nascere lentamente e progressivamente. Il vecchio, ben presto, ritornò a
sentirsi solo con i suoi pensieri. Aveva una giornata intera davanti, quel
giorno non doveva andare neanche in parrocchia, il parroco era fuori Enna,
sarebbe ritornato il giorno dopo. Pensò di provare a cercare dei giovani per
poter dialogare un po’ con loro come aveva fatto nella gita a Siracusa, era
l’unico modo per tornare allegro ma dove trovarli? Le scuole erano chiuse, i
ragazzi tutti fuori città in vacanza. Passò da quella piazza dove qualche giorno
prima aveva giocato a calcio con dei ragazzini. Ma non ci trovò nessuno, solo la
fontana lì vicino che con un ritmo monotono e paranoico, sputava fuori la sua
acqua. Lui si chinò e bevve un po’. Ma una strana idea del tutto nuova gli
sconvolse improvvisamente la mente obbligandolo a farsi una strana domanda mai
fatta prima: “Ma che sto diventando un vecchio porco che cerca giovani? Un
maniaco sessuale? Ma li cerco solo per parlarci o perché mi sento attratto dalla
freschezza dei loro corpi?”. La sincerità sempre presente nel modo di essere
e di pensare del vecchio Mosè, lo spinse ad ammettere a se stesso che li cercava
per entrambi i motivi. La vicinanza di una ragazza giovane e probabilmente anche
di un ragazzo, facevano scattare in lui intense sensazioni, strane per certi
versi, che lui non poteva reprimere o ignorare. Il desiderio di risentirsi
giovane, la voglia di vincere la solitudine, la freschezza di quei corpi, il
confronto fra due età lontane vecchiaia e giovinezza, la poesia d’un uomo avanti
negli anni che si aggrappa ancora all’odore della gioventù tramite loro, una
lunga astinenza sessuale e altri motivi simili, tutti messi insieme, avevano
fatto sì che lui, a 65 anni, desiderasse fortemente i giovani e ne prendesse
chiaramente consapevolezza.
Questa scoperta, se pure tardiva,
non lo sconvolse affatto anzi non lo turbò minimamente, era stato sempre un uomo
di vedute libere. Giudicò questa sua passione del tutto normale e
giustificabile. “Che mi devono piacere i vecchi? A chi è che non piace la
gioventù? E poi ci sono io vecchio, non ne voglio altri, voglio solo giovani,
giovanissimi”.
Il vecchio ora avrebbe voluto
piangere ma non vi riuscì. Nella sua vita non aveva pianto quasi mai, non vi
riusciva proprio, le lacrime non erano in grado di scendere dai suoi occhi. Il
desiderio del pianto non scaturiva dalla consapevolezza dei propri gusti ma
dall’impossibilità di poterli soddisfare vista l’età e che quindi sarebbero
stati per lui ulteriore fonte di solitudine e disperazione. Una reazione del
tutto emotiva lo spinse a sostituire il pianto col riso e così scoppiò
improvvisamente a ridere senza senso come se avesse visto una scena comica e
rideva, rideva, continuava a farlo senza fermarsi e sempre più forte tanto che
le poche persone che lo incontravano per strada, attribuirono quella sua folle
risata al gran numero di bottiglie di birra che secondo loro, si era bevute.
Magari fosse stato così! Ma lui non era affatto ubriaco o forse lo era ma non di
birra ma di qualcosa che non avrebbe potuto bere. L’unica cosa positiva di tutto
questo fu l’aver scoperto la vera causa della sua solitudine, ma come porvi
rimedio alla sua età? La natura ha creato i vecchi attratti dai giovani ma non
il contrario, o forse l’ha fatto, non lo so!
Mosè aveva chiaro in mente quello
che veramente voleva. Una ragazza giovane e possibilmente bella, non importava
l’età, al suo fianco che gli desse dolcezza, disponibilità ad ascoltarlo e
perché no soprattutto calore fisico. Il sesso è una medicina miracolosa per
tutti, giovani e vecchi. Mosè ora non doveva combattere solo contro la
solitudine ma anche con i suoi desideri sessuali che si erano risvegliati, come
in un giovane. Le ragazze belle o brutte, di solito preferiscono avere la
compagnia dei loro coetanei, come potevano desiderare un vecchio come lui, per
giunta trasandato e malandato? Mosè sprofondò nel dramma. Si sentiva morto,
cadavere,mummia e vecchio, terribilmente vecchio di mille anni. Ma non era la
consapevolezza della propria vecchiaia che lo spaventava e lo faceva sentire
triste ma il fatto che tale vecchiaia non gli consentiva di poter amare una
giovane. Nella vita si può essere soli per mille motivi, e questo è uno dei
tanti. La gente, se avesse saputo la vera ragione della solitudine di Mosè, non
l’avrebbe sicuramente giustificata e nemmeno l’avrebbe aiutato ma gli si sarebbe
rivoltata contro condannandolo, aumentando così la sua solitudine. Era questo il
vero dramma che si univa al dramma. Ora Mosè camminava barcollando per le strade
quasi deserte di Enna, più solo che mai. Tentava di consolarsi pensando che si
trattasse solo di un desiderio passeggero dovuto alla follia e alla solitudine
della terza età e che sarebbe sparito presto ma sapeva dentro di sé che non era
così. Ma che altro poteva fare? Forse quella fu l’unica volta nella sua vita, in
cui scese a compromessi.
... Fia
“Fia, vuoi uscire con noi?,
andiamo ad Enna”,
chiese la madre alla ragazza per non farla restare per troppo tempo chiusa in
casa. “No mamma, preferisco restare qui, magari più tardi mi farò una
passeggiatina”. E così Fia restò sola per l’ennesimo pomeriggio d’agosto. I
suoi zii erano partiti portandosi con loro quel bamboccio di suo cugino.
“Meglio così, non lo voglio vedere mai più”, pensava. Quel ragazzo non le
aveva fatto nulla di male, almeno volontariamente. Sdraiata nel suo lettino a
faccia in su, nella solita posizione di meditazione, cercava ora di mettere un
po’ di ordine nella sua vita e soprattutto nei suoi pensieri e lo doveva fare da
sola come sempre. Il suo viso lunare, avvilente, etereo, mascherava quel suo
sentirsi creatura persa. È tremendo cari lettori, il fatto che una ragazzina di
soli 15 anni debba ritrovarsi talmente sola da non poter avere l’aiuto di
nessuno in un momento della vita così delicato. Si trovava lì da sola, in quella
stanza disordinata ma mai quanto i suoi pensieri. Si sentiva confusa, stanca,
disorientata. Si rendeva conto che non poteva continuare così, sarebbe andata a
finire in un manicomio in preda ad un forte esaurimento nervoso. Si rendeva
conto, ora più che mai, che la sua vita necessitava di cambiare rotta, di una
svolta ma non sapeva come potergliela dare. Il desiderio più forte e più grande
che provava dentro, più di qualsiasi altra fantasia erotica, era quello di
confidarsi con qualcuno, aprirsi le sarebbe servito molto e lei lo sapeva. Ma
con chi? Con chi? Si alzò di scatto, si girò inginocchiandosi sul letto, protese
le sue mani in alto sul muro, staccò dal chiodo il crocifisso e lo portò
all’altezza del petto e con un grido soffocato dalla disperazione gli disse:
“Spiegami cosa mi sta succedendo, se esisti spiegamelo almeno tu, con te almeno
posso parlare, dammi un segno, aiutami”. Lo diceva col cuore la piccola Fia,
con la speranza, con la disperazione, con la fede della più grande credente di
questo mondo che chiede un miracolo dopo essersi resa conto che nessun medico
può guarire la sua malattia. Tutti gl’insegnamenti religiosi che le erano stati
inculcati sin da piccola, trovarono in quel gesto istintivo la loro
concretizzazione. La ragazza attese nel silenzio e nel pianto per un bel po’ di
tempo, con gli occhi fissi su quella croce, una risposta, una voce, anche un
piccolo segno che potesse aiutarla ma il crocifisso non parlò, non disse nulla,
non si mosse come qualsiasi banale soprammobile. La ragazza vide crollare
inesorabilmente anche l’ultima speranza. Non l’aveva voluta ascoltare neanche
l’unico che poteva farlo. Ma, paradossalmente, si sentì dentro più forte e
sicura di potersela sbrigare da sé, senza l’aiuto di nessuno. Rimise a posto
quel crocifisso e con una nuova e inaspettata forza dentro, disse fra sé:
“Ora basta!”, e senza neanche badare a come era vestita, uscì di casa.
Sentiva il bisogno dell’aria, non ce la faceva più della sua stanza, dei suoi
pensieri, della sua solitudine, dell’indifferenza degli altri. Non sapeva
neanche che cosa cercare e forse neppure da cosa fuggire, se alle sue spalle vi
era un demone che l’inseguiva, un pericolo incombente o cos’altro. Decise,
almeno in quel momento, di seguire la parte più vera di lei, l’unica capace di
guidarla e capirla, il suo istinto. In quel primo pomeriggio, faceva molto
caldo. Tutta Leonforte sembrava bruciare. Non vi era nessuno in strada ma
soltanto lei che camminava da sola, senza meta, senza sapere dove andare e chi
cercare. La sola sua solitudine le camminava a fianco, come sempre. Si ricordò
di quella villetta, l’unica nel paese, non molto distante da casa, dove si
fermava spesso a chiacchierare con le amiche di scuola, e decise di andarci. Lì
vi era un po’ di fresco, e poteva ripararsi vicino agli alberi in perfetta
solitudine. Vi arrivò in pochissimo tempo, vide la panchina e si sedette a
gustare la pace di quel luogo lontano da tutto e da tutti, anche dalle sue
micidiali fantasie, che, almeno in quel momento, sembravano averla abbandonata.
Ora la ragazza cercava la solitudine, quella stessa solitudine che soltanto
pochi istanti prima, sembrava chiuderla e annientarla.
... Mosè
Camminava da
solo, assente, inghiottito dalla sua stessa solitudine. Era talmente stanco,
consumato, lacerato che non aveva più neanche la forza di pensare. La mattina
era trascorsa. Mosè aveva solo ingoiato una lattina di tonno sott’olio scaduta
da tempo e bevuto due bottiglie di birra. Ma era rimasto sempre fuori, per la
strada, faceva troppo caldo per tornare a casa e non se la sentiva di farlo.
Vagava come un sonnambulo, un’ombra senza identità, trasparente come un
fantasma. Sapeva di non dover andare in chiesa quel giorno e di potersi
allontanare un po’ da Enna per non vedere sempre le stesse facce.
Tornò indietro e riprese il suo
motorino,posteggiato poco distante. Il caso o forse il destino, nulla nella vita
accade per caso, lo portò nel paesino di Leonforte, a due passi da Enna. Lo
conosceva di vista quel posto sperduto per esserci passato di sfuggita correndo
col suo motorino ma non conosceva quasi nessuno dei suoi abitanti. L’ora, il
caldo, la stanchezza gli facevano venire sonno. Non conosceva le strade del
paese ma decise di affidarsi all’intuito seguendo un percorso tracciato da file
di alberi fioriti sperando che lo potessero condurre in qualche villetta, presso
qualche panchina immersa nel verde dove potersi finalmente riposare. Non si
stava sbagliando, la strada era quella che doveva essere, quella giusta ma non
sarebbe riuscito a dormire né ad avere sonno. L’aria era immota, le piante
altrettanto, parevano assopite. Regnava il silenzio, l’armonia della natura:
“Che pace c’è qui, ma cos’è il paradiso?”, pensava tra sé. Decise di
scendere dal motorino per non turbare quella quiete e di proseguire a piedi.
Fece un paio di passi in avanti, passò in mezzo a due alberi che sembravano
sbadigliare aprendosi al suo passaggio e vide di fronte, vicinissima, una
ragazza bellissima con gli occhi chiusi che sembrava dormire, seduta sulla
panchina con ambedue le braccia distese ai lati e le rispettive mani appoggiate
alla panchina stessa. I capelli bellissimi, spettinati, le coprivano il resto
del volto lasciando scoperte soltanto quelle palpebre chiuse. Il capo era
chinato da un lato, sembrava un angelo crocifisso e forse, visto quello che
stava passando quella ragazza, lo era davvero. Presente col corpo, dava
l’impressione di trovarsi mille anni luce lontana con la mente.
Vestita con una camicetta azzurra
ed un pantalone di lino bianco, poteva avere circa 15 anni. Quella ragazza in
dormiveglia che almeno in quel momento sembrava aver trovato un po’ di pace, era
lei, la piccola Fia. E lui Mosè, inerme davanti a quell’angelo, non sapeva più
cosa fare, come comportarsi.
Non faceva una bella impressione
per come era combinato e lo sapeva e non voleva spaventarla o svegliarla
bruscamente. Cercò di non fare il minimo rumore, si stropicciò gli occhi per
capire se si trattasse di una visione ma non lo era affatto e lui non era
ubriaco. Non vi era proprio nessuno intorno, solo lui e lei. Non aveva più sonno
e come poteva averlo? L’istinto gli suggerì di andarsene da lì, fece solo un
piccolissimo ed impercettibile rumore nel tentativo di voltarsi indietro e
riprendere la strada del ritorno ma il destino intervenne facendo in modo che
gli eventi si verificassero secondo il suo disegno. Così fece aprire gli occhi
alla ragazza, Mosè se ne accorse e rimase in quella posizione, davanti a lei
senza essersi girato. Fia confusa guardò lui che stava in piedi davanti a lei e
Mosè guardò a sua volta la ragazza. Ora gli occhi di Fia, la bellissima ragazza
quindicenne disperatamente sola, incontravano gli occhi di lui, il vecchio di 65
anni trasandato e disperatamente solo. E da quel punto così vicino eppure
disperatamente lontano per la grande differenza d'età e non solo, lei continuava
a guardarlo con quel suo visino indecifrabile di ragazzina e il vecchio ebbe
l'impressione che quella ragazza gli avesse letto il desiderio negli occhi fino
ad intuirne la profondità. E rapito dall'intensità di quello sguardo, Mosè non
sarebbe stato in grado di abbassare gli occhi neanche se fosse stata in gioco la
sua vita, non avrebbe potuto spostarli in nessun'altra direzione. E rimase così,
in quel modo, ipnotizzato davanti a lei. Gli occhi di Mosè sprofondavano in
quelli di Fia e seguivano un’ombra, intravvedevano una solitudine profondissima.
I due, pur abitando in posti vicini, anche per la differenza d’età, non si
conoscevano e non si erano mai visti prima. Ma la solitudine della ragazza era
la stessa identica solitudine del vecchio e li rendeva uguali come gemelli pur
con mille diversità. Nessuna barriera di alcun tipo aveva il coraggio di
interporsi tra loro due. La ragazza osservava fisso negli occhi il vecchio e il
vecchio osservava fisso negli occhi la ragazza. Esistevano solo lui e lei, lei e
lui, il vecchio e la ragazza. D’un tratto i problemi dell’uno diventarono i
problemi dell’altra e viceversa per poi, come per magia, sparire in entrambi. Il
destino li aveva fatti incontrare, aveva deciso questo e questo stava avvenendo.
Erano lì immobili, uno davanti all’altra nella poesia e nella pace di quella
villetta. Fia rimase muta, non trovava le parole e non si sentiva nulla da dire
in quel momento e pensare che avrebbe avuto mille cose da raccontargli! e Mosè
sembrava lo specchio di Fia, provava le stesse identiche sensazioni di lei. Uno
strano scherzo del destino sembrava che avesse voluto farli incontrare come se
si fossero dati un appuntamento nello stesso posto e alla stessa ora senza che
ci fosse nessuno all’infuori di loro due. Sembrava che dall’alto del cielo,
invisibili, li stessero spiando Dio e Satana, uno accanto all’altro. Dio voleva
che quel vecchio e quella ragazza si conoscessero per placare la solitudine
delle loro anime, mentre il diavolo quella dei loro corpi. Quel silenzio sarebbe
durato un’eternità se non fosse intervenuto nuovamente il destino a mettere in
bocca a Mosè le prime parole: “Signorina, ha bisogno di qualcosa, si sente
poco bene, posso aiutarla?”. E furono parole di una banalità disarmante ma
l’importante è che furono dette. Fia esitò un po’ nel rispondere ma poi lo fece:
“No grazie! Va tutto bene, stavo solo riposando un po’”.
Mosé proseguì la conversazione:
“L’ho disturbata forse?” e Fia “No anzi, non c’è nessuno qui, sembra un
cimitero, almeno parlo con qualcuno”. Il destino non poteva scegliere
persone più adatte. Nessuna ragazza sarebbe stata più indicata per quel vecchio
e viceversa e non ci volle molto tempo affinché anche loro stessi se ne
rendessero conto. Sembravano conoscersi da sempre e non impiegarono molto per
fare amicizia, del resto avevano entrambi un carattere socievole.
“Le dà fastidio signorina se mi
siedo un po’ vicino a lei a fumare una sigaretta?”
“No si figuri! Ma lei fuma? Dovrebbe togliersi questo vizio”.
Ma non sempre i vizi si
possono togliere e lo sapevano entrambi.
“Quanti anni ha
signorina?”
“Lei quanti me ne dà?”
“14,15”.
“Bravo ha indovinato 15 compiuti da due mesi”.
“Va a scuola?”."
"E lei cosa fa nella vita
signore?"
" Non lo so, è una domanda che mi faccio spesso anch'io".
I due ora conversavano serenamente
con parole semplici e spontanee, direi scontate, arrivando in poco tempo a darsi
del tu. Dopo lo smarrimento iniziale, ora il vecchio la guardava, seduta
vicinissima accanto a lui nella panchina, e la trovava bellissima. “Grazie
Dio per avermi fatto incontrare un angelo, più bella di così non potevi
mandarla”, pensava Mosè. Se fosse stato un ragazzo come lei, se ne sarebbe
innamorato subito ma era solo un povero vecchio che poteva essere benissimo suo
nonno. Lui si sentiva dentro anche più piccolo di lei, ma anche se l’anima non
ha età, il corpo ce l’ha, eccome! ed è proprio quello ad apparire, purtroppo. La
ragazza osservava attenta il volto di quel vecchio come volesse giudicarlo ma
non riusciva a farlo. Se si fosse trattato di un ragazzo avrebbe saputo subito
se le piacesse o meno ma quel vecchio dal viso rugoso la lasciò nell’incertezza.
Ma fu solo momentanea perché poi,
via via che la loro amicizia diveniva più solida ed intima, cominciò, forse
incoraggiata dal destino o dal diavolo, a trovarlo affascinante nonostante
l’età. Qualunque altra ragazza, bella o brutta, trovandosi da sola in quella
villetta con quel vecchio malandato, sarebbe subito scappata o quanto meno non
gli avrebbe dato importanza. Ma lei, la solita originale Fia, cominciava ad
avvertire persino desideri sessuali nei confronti di lui ma non era la sola
perché anche lui, nascostamente e senza farsene accorgere, li ricambiava.
Se si fossero raccontati
sinceramente le proprie reciproche fantasie e desideri sessuali, probabilmente
avrebbero fatto l’amore subito, sopra quella panchina, ma nessuno dei due, vista
anche la differenza d’età, ebbe il coraggio di aprirsi fino a quel punto. Ma una
certa maliziosa complicità usciva fuori lo stesso sia pure velatamente,
manifestandosi sotto forma di sguardi indiscreti, di mosse repentine, di piccoli
gesti fatti da ambedue. Il vecchio e la ragazza desideravano la stessa cosa e se
quella panchina sulla quale erano seduti ormai da tanto tempo, avesse potuto
diventare umana, sarebbe stata felice ed orgogliosa di offrirsi come la loro
alcova d’amore. Si sarebbe staccata da quella villetta e sollevata pian piano
verso il cielo, tra le nuvole con sopra i loro corpi nudi. Nonostante non fosse
vestita in maniera provocante, il vecchio, avendola vicino, non poteva non
rimanere catturato e stordito dalla sua sensuale freschezza, dall’impeto della
sua gioventù, da quell’esplosione di gambe, di seni, di bocca, di occhi, di
sguardi, di labbra, da quella grazia di Dio, insomma. Era troppo per un vecchio
come lui. E Fia ammirava soprattutto quelle sue rughe trovandoci in esse la
reminiscenza di una lontana figura paterna e poi quelle mani callose così
diverse dalle sue morbide e lisce, quel suo odore in un certo senso di sporco
che contrastava con il profumo ch’emanava lei ma che lo rendeva ai suoi occhi,
intrigante, selvaggio, animalesco, peccaminoso. L’effetto che si procuravano
l’un l’altra guardandosi, valeva assai di più delle chiacchiere della gente di
paese e di qualunque altra possibile conseguenza. Era chiarissimo che si
piacevano, si capiva da mille miglia lontano. Qualunque osservatore, dovendo
valutare o giudicare l’intesa di quel vecchio con quella ragazza, ne sarebbe
rimasto scandalizzato considerandola assolutamente sbagliata e fuori da ogni
regola o logica, non l’avrebbe mai e poi mai potuta approvare per mille motivi.
Lo stesso osservatore però, dovendo valutare o giudicare la solitudine di
entrambi, ne rimarrebbe quasi indifferente e darebbe ad essa poca importanza
giudicandola quasi come normalità, il vecchio perché troppo grande d’età, la
ragazza perché ancora un’adolescente e quindi troppo piccola. Il vecchio e la
ragazza se presi in considerazione singolarmente, separati l’uno dall’altra,
vengono completamente ignorati da tutti. Fia soffriva e si logorava dentro, in
silenzio, nel suo segreto senza che nessuno si preoccupasse di aiutarla o di
capirla. E la stessa cosa accadeva a Mosè. Ma se i due vengono visti da soli
insieme anche solo parlare, si ritroverebbero immediatamente al centro
dell’attenzione e tutti vorrebbero sapere tutto di loro. È la società in cui
tutti noi stiamo vivendo oggi che ragiona così e le sue regole, le sue leggi
rappresentano l’espressione collettiva di questa ignoranza. Fia e Mosè si
trovavano bene insieme perché soffrivano dello stesso terribile male: la
solitudine. Per questo si capivano e si intendevano a meraviglia. Bisognerebbe
scavare nella loro intima solitudine per afferrare il motivo di quell’unione. Ma
non tutti, purtroppo, hanno la capacità, la sensibilità e la profondità per
farlo. Risulta molto più semplice e pratico giudicarli per l’apparenza. Fia
aveva tentato in tutti i modi e con tutte le forze di far capire agli altri la
propria solitudine ma nessuno l’aveva ascoltata. E anche Mosè avrebbe voluto
rendere partecipe gli altri della propria solitudine ma inutilmente. Fia si
fidava ciecamente di Mosè. Capiva che quel vecchio aveva una ricchezza interiore
immensa, riscontrabile in poche persone, lo capiva dai suoi gesti dolci, sempre
garbati, da quel suo parlare calmo, dal suo saperla ascoltare con attenzione. E
Mosè aveva fiducia in quella ragazza così bella di fuori ma ancora più bella di
dentro, così particolare, capace di pensieri profondi, che possedeva nei suoi
occhi e nel suo sguardo il paradiso della giovinezza. Si potrà dire che il
diavolo travestito da vecchio tentasse la ragazza e che lo stesso diavolo sotto
le spoglie di un angelo concupisse il vecchio ma era davvero il diavolo o era
Dio? Il vecchio e la ragazza restarono a lungo a parlare seduti sulla panchina
dimenticandosi dei propri problemi. Si raccontarono di tutto e di più.
Sembrava si conoscessero da
sempre. Mosè le raccontò di tutta la sua vita con sincerità e la ragazza restò
affascinata da quella strana vita e le venne una infantile curiosità di vedere
dal vivo quella casetta di legno così particolare in cui lui viveva: “Troppo
forte! la voglio vedere, mi porti a vederla? sono troppo curiosa, tanto non è
lontano, io posso stare fino alle 6 perché poi vengono i miei e devo tornare a
casa”. Erano le 4 del pomeriggio e vi era il tempo per farlo. Anche se al
lettore può sembrare strano conoscendo Fia, questa volta la ragazza voleva
vedere la casa di Mosè per una semplice curiosità spontanea di adolescente e non
era mossa da altri strani propositi. “Allora mi ci porti o no?”, e lo
disse con un’aria da bambina dimostrando di essere ancora più piccola della sua
età, alzandosi dalla panchina lasciandovi lui seduto. Mosè toccò il cielo con un
dito, gli sembrava di sognare, ridiventò bambino, si sentiva come un ragazzo al
suo primo amore con una bellissima ragazza al suo fianco. “O.k. Fia, andiamo!
Prendiamo il motorino e arriveremo subito” disse alla ragazza. “Il
motorino? Quale motorino, perché ce l’hai?”. Sembrava il dialogo tra due
adolescenti e non tra un vecchio e una bambina. “Certo è posteggiato qui
vicino”. I due si alzarono con una strana luce negli occhi che avrebbe
ispirato qualunque poeta. Lui la indirizzò verso il motorino, lei lo guardò e
disse: “Troppo bellino ma è davvero tuo?”. Con quella domanda e in
quell’espressione Fia rivelò tutta la spontaneità e l’ingenuità dei suoi 15
anni. Ma Mosè sembrò ancora più piccolo di lei quando con orgoglio le rispose:
“Certo che è mio”. Fia era entusiasta. Poi gli disse: “Ma non ho il
casco!”. Ma lui la tranquillizzò: “Non fa niente figurati, vigili non ce
ne sono in giro e poi non dobbiamo andare lontano”. Così l’adulto che
dovrebbe dare l’esempio, incita l’adolescente che vorrebbe farlo, a non
rispettare le regole. Mosè era in quell’attimo il vecchio che giocava, che si
sentiva, s’illudeva di tornare ragazzo. Aprì il cassettino del motorino, prese
il casco e se lo mise in testa con cura e agli occhi della ragazza che si stava
divertendo un sacco, sembrò più ridicolo e comico che mai, come il clown d’un
circo. Lo trovava veramente buffo ma non rise per delicatezza. Lui montò davanti
e lei, senza casco, salì dietro cingendo la schiena di Mosè con le sue
delicatissime manine.
Fortunatamente il motorino che
spesso non partiva, quasi non volesse dare un dispiacere al padrone capendo
l’importanza, si rivelò suo complice e si mise in moto al primo colpo. E
partirono. Per le strade non v’era quasi nessuno. Meglio così. Fia non voleva
che qualcuno la vedesse e sparlasse di lei, il paese è piccolo e si mormora
troppo. Qualche passante li vide sul motorino ma non si stupì più di tanto, non
erano poi così strani, sembravano padre e figlia o, meglio ancora, nonno e
nipote. Quello che provava dentro Mosè mentre guidava il motorino con quella
bellissima ragazza dietro, lo lascio all’immaginazione del lettore. Non so
neanch’io come abbia fatto a guidare in quelle condizioni di esaltazione totale.
Meriterebbe una medaglia d’oro al valor civile solo per questo. Se si fosse
bevuto centomila bottiglie di birra una dopo l’altra, sarebbe stato meno brillo
di quanto lo fosse mentre guidava quel motorino. La situazione sarebbe stata
normale se si fosse trattato di un bel ragazzo che stesse portando una bella
ragazza a visitare la sua bella casa. Invece un povero vecchio malandato stava
portando una bellissima ragazza a visitare la sua baracca di legno. Certe cose
avvengono solo nei sogni ma, quando il destino si diverte a muovere i fili,
anche nella realtà ma solo per pochi fortunati eletti e lui, Mosè, era uno di
questi. Anche i pensieri di Fia, mentre si stringeva al vecchio sul motorino,
erano indescrivibili. In lei si mescolavano alternandosi pensieri di sesso e
paura, amore e tenerezza, ansia e trasgressione. La ragazza non connetteva e non
capiva più nulla e il vento che le soffiava sul viso la stordiva ancora di più e
non dipendeva solo dalla semplice curiosità di vedere quella casa anzi forse ora
era l’ultima cosa che le interessasse. Il cuore di entrambi batteva forte,
testimonianza inequivocabile che stavano vivendo un’emozione insieme e che
meritava d’essere vissuta fino in fondo.
Arrivarono dopo una ventina di
minuti che a loro dovevano essere sembrati un’eternità. “Ecco Fia, siamo
arrivati, io abito lì” disse il vecchio posteggiando il motorino e
togliendosi il casco. “Che strano posto, forte, è bellino però” anche in
questo caso Fia rivelò tutti i suoi 15 anni. Mosè era stato sincero nel
descriverle l’abitazione e a Fia parve esattamente uguale a come l’aveva
immaginata. “Ti avverto però che è molto disordinata, potresti restare
scioccata” le disse Mosè mentre le faceva strada verso la sua casetta.
“Non preoccuparti, sono abituata al disordine, la mia stanzetta è peggio della
tua, abbiamo un punto in comune, non ci piace l’ordine”. Mosè sorrise e
anche Fia sorrise con lui. “Che bei gattini, sono tuoi, me ne regali uno?”
La ragazza aveva veduto i gattini del vecchio e ne era rimasta affascinata, per
un attimo si dimenticò di essere venuta per la casa. “Sì, sono miei, mi fanno
compagnia, mi fanno sentire meno solo. Se vuoi puoi portartene uno”, le
disse con generosità Mosè. “Ti ringrazio davvero ma non posso tenerlo in
casa, ai miei non piacciono gli animali”. Fia dopo averne accarezzati alcuni
inginocchiata, seguì Mosè che nel frattempo apriva la porta del prefabbricato.
“Che disordine”, fu il primo spontaneo commento di Fia e detto da lei che
era figlia del disordine, lo doveva essere sul serio.
“È più disordinata della mia e
io che pensavo che la mia fosse il massimo, la tua è peggio. Ma è carina lo
stesso”. Quest’ultimo
giudizio risollevò Mosè e forse Fia lo disse apposta accortasi di avere un po’
esagerato nel suo giudizio negativo. Poi il vecchio nel tentativo di essere
gentile le chiese: “Vuoi da bere? Della birra?” Aveva solo quella e al no
grazie della ragazza non insistette.
La cosa più comica e tragica nello
stesso tempo, cari lettori, è che nessuno prima di lei, aveva sentito il bisogno
di andarlo a trovare in quella baracca di legno. I parrocchiani della chiesa di
San Raffaele sono un’infinità ma mai nessuno gli aveva fatto una visita. Per il
povero Mosè era veramente una novità e se si sentiva in imbarazzo non lo era
soltanto per la bellissima Fia che era lì con lui ma anche perché non sapeva
proprio come comportarsi nel ricevere un ospite. Non aveva esperienza perché non
gli era mai capitato. Il vecchio e la ragazza parlarono insieme per un po’ di
tempo, Fia guardò tutta quella strana casetta ispezionandola nei minimi
particolari, era davvero una rarità da collezione. Se si girasse l’universo
intero non se ne riuscirebbe a trovare una simile. Mosè come anche Fia erano due
persone originalissime, anche per questo, ma non solo, erano amici. Poi, quando
non seppero più cosa dirsi, avevano già parlato di tutto quando erano seduti in
quella villetta, Fia ruppe gli indugi dicendogli: “S’è fatto tardi, mi
accompagni a casa?”. Mosè le rispose con un “certo” e insieme uscirono
fuori, Fia salutò ancora i gattini, diede uno sguardo fugace alla campagna che
vi era tutta intorno, respirò intensamente quell’aria salubre della sera e poi
si recarono insieme verso il motorino per intraprendere il tragitto di ritorno.
Ma nessuno dei due rimase deluso di quello che poteva succedere ma non era
accaduto. Sentivano entrambi che non sarebbe finito tutto lì, che si sarebbero
rivisti ancora. Entrambi avevano capito e sentito che non era quello il momento
giusto per farlo, che avrebbero dovuto solo rimandarlo. Il viaggio del ritorno
non fu eccitante come quello dell’andata ma non per questo meno bello, fu più
tenero e dolce, si conoscevano meglio, erano diventati amici. Furono due
sensazioni diverse ma bellissime entrambe quelle provate nei due viaggi, quello
dell’andata e quello del ritorno. Mosè la riportò in quella villetta di
Leonforte dove l’aveva conosciuta ma non trovò il coraggio per dirle se poteva
rivederla.
Fu lei, proprio lei, la piccola
Fia a rompere il ghiaccio e in quell’occasione si dimostrò molto più matura di
lui: “Ci vediamo domani alle 2 in questo posto, poi però stiamo a casa tua e
non qui, così abbiamo più tempo”. Sapeva Fia che tutti i pomeriggi i suoi
uscivano e lei non avrebbe avuto problemi. Fia lo disse con una voce così
seducente e con un fare così determinato da non lasciare equivoci sulle sue
reali intenzioni. Mosè sbiancò, morì in quel momento ma non disse una parola,
non vi riuscì. “Allora va bene alle 2?”, gli chiese nuovamente la ragazza
non avendo avuto risposta alla prima domanda.
L’emozione era così forte per Mosè
che non seppe rispondere con le parole neanche questa volta e lo poté fare solo
abbassando la testa in segno di assenso. Quindi si salutarono con una stretta di
mano. Fia voleva farlo e sentiva che domani sarebbe accaduto. Mosè, invece, non
sapeva più che fare né come comportarsi, entrò in crisi, totalmente travolto
dagli eventi del tutto inaspettati e nuovi ma sapeva che non poteva rinunciare
ad una emozione così forte che nella vita capita una volta sola e mai più. Aveva
aspettato 65 anni perché ciò accadesse e poteva essere l’ultimo treno da
prendere. Se avesse rimandato ancora, sarebbe stato troppo tardi e forse non
sarebbe mai più successo. In questa difficile scelta, per lui e lei, la più
sicura, determinata e matura si era dimostrata proprio lei, la piccola Fia
nonostante fosse la più giovane.
... Mosè
Quella notte si
rivelò la più lunga e strana di tutta la sua vita. E come poteva dormire? Era
sicuro che domani avrebbe potuto sfiorare la pelle della sua bellissima
principessina e non solo, avrebbe potuto fare anche molto di più. Era ancora
vergine Mosè, quasi come fosse un prete, nonostante fosse arrivato alla
veneranda età di 65 anni ma il destino aveva voluto premiarlo dandogli il
massimo di quello che poteva aspettarsi e quando ormai non ci sperava più. Un
uomo non raggiunge mai la pace dei sensi neanche a 65 anni ma una ragazza come
Fia sarebbe stata in grado di risvegliare persino gli istinti assopiti di un
90enne. Ma non era soltanto il fattore fisico a sconvolgerlo ma un’infinità di
emozioni, di sensazioni, di pensieri che si succedevano nella sua mente e nel
suo cuore, alternandosi tra loro. La differenza d’età troppo netta, lo stare
bene in compagnia di lei, il bel carattere, la sua dolcezza, la sua giovinezza,
la stranezza dell’incontro che lo aveva portato a conoscerla proprio quando ne
aveva più bisogno. “Che strana la vita, ragazze così belle non ti capitano
neanche quando sei giovane, forte e bello e poi accadono quando sei vecchio,
debole e brutto e hai 65 anni”. Fu la prima considerazione che si sentì di
fare. Era bella, troppo bella Fia ma non solo per lui che era ormai vecchio ma
anche per qualsiasi altro ragazzo. Poi Mosè riprese il suo dolce tormento:
“Ma perché con uno come me? Proprio in questa baracca, con questa puzza? Con
questo disordine? Perché proprio io? Ma mi ha visto bene? Lei bellissima come
una dea, un angelo, io orrendo come un mostro. Sembriamo la bella e la bestia.
Chi le capisce le donne è bravo, ma lei non è una donna, è una bambina ancora, e
che bambina però. No, non può essere, mi sta prendendo in giro eppure mi
sembrava sincera, sì che era sincera, troppo sincera ed anche educata. No,
quella ragazza non recitava, era vera”. Al vecchio veniva ora una strana
curiosità, dopo 65 anni aveva il desiderio di guardarsi allo specchio. Ma in
casa non ne aveva mai avuto neanche uno, allora prese una pentola, cercò di
togliere la polvere incrostata che vi era sopra strofinando con una spugna
bagnata e si specchiò non avendo altro per farlo. Il vecchio si vide orrendo e
si spaventò di lui stesso ritirandosi istintivamente il capo indietro. “Mamma
mia quanto sono diventato brutto, meno male che non mi guardo mai, sono
l’opposto di Fia”. Ma era l’opposto della ragazza anche nel giudicarsi. Fia
si vedeva bellissima, lui decisamente mostruoso. Cominciò così a passare in
rassegna uno a uno tutti gli eventuali motivi che potessero convincere una così
bella ragazza a unirsi a uno come lui, e li numerò. Ma non ne trovò uno solo
valido. “Forse si prostituisce e vuole soldi da me? Dovrei essere io povero a
cercarli a lei ma no, no, che sto dicendo, lei è così dolce, ingenua, così
fine”. Si vergognò di aver pensato questo e si sentì in colpa. “E se si
droga, lo fa perché vuole i soldi per drogarsi ma no, no è di buona famiglia, me
l’ha detto lei stessa che non ha mai preso stupefacenti, era sincera. E se vuole
ricattarmi? Vuole soldi altrimenti va dalla polizia dicendo che la volessi
violentare? Io violentare lei? Ma se non ce la faccio neanche a stare in piedi,
basta che mi vedono si rendono conto, caso mai il contrario, sì lei ha gli occhi
furbetti me ne sono accorto. Ma sarebbe la prima volta che una ragazzina
violenta un vecchio, passerebbe alla storia. E se quando viene qua mi dà un
colpo in testa e mi stordisce per rubarmi. Rubarmi? E cosa dovrebbe rubare?
Magari si prendesse un po’ di roba, non so a chi darla”. Se la povera Fia
avesse solo saputo cosa pensava di lei il suo Mosè: prostituta, drogata,
ricattatrice e persino ladra. Ma lui lo pensava per il troppo amore, sì, il
vecchio Mosè si era innamorato di lei, non riusciva a confessarlo neanche a se
stesso, l’amava e si sentiva come un ragazzino al suo primo amore, un ragazzino
un po’ troppo cresciuto di 65 anni. Quell'incantevole ninfetta gli aveva
stregato persino l'anima fino a possederlo del tutto, era la fine di Mosè come
uomo ma anche l'apice della sua ispirazione come artista. La sua strana vita era
già alla deriva nelle mani di una bambina, si lasciava annientare frantumandosi
nella sua follia, obbediva al suo rischiamo, si prostrava docile ai suoi
capricci. Ora anche la gelosia si stava impossessando di lui, dei suoi pensieri.
Lo tormentava l'immagine di quei ragazzi che sicuramente avrebbero posato i loro
sguardi carichi di desiderio su quel giovane corpo d'adolescente. Era folle il
pensiero che Fia con la sua verginale bellezza, dovesse e potesse appartenere
esclusivamente ad un vecchio della sua età, ma più la considerava
irraggiungibile e più sentiva crescere dentro il desiderio di averla. Se fosse
stato un uomo normale, forse per vergogna, paura o sensi di colpa, probabilmente
avrebbe cancellato subito dalla mente quegli strani pensieri. Ma lui artista
solitario, lui spirito libero, lui eterno bambino sempre in volo senza logica nè
equilibrio, folle di malinconia, di disperazione, di solitudine, di tenerezza,
altro non era in grado di fare se non lasciarsi totalmente trasportare e
tormentare dalla magica ossessione per quella giovane creatura, nè donna e nè
bambina. Come un vecchio mendicante ormai solo ed esausto, chiedeva
disperatamente ad una ragazzina che non aveva colpa, l'elemosina d'un amore che
mai avrebbe potuto dargli. Come fari abbaglianti nel buio, i suoi pensieri
ossessivi sparavano su egli stesso. Per tutta la notte, senza chiudere occhio,
Mosè continuava senza sosta il suo patetico e infantile monologo: “Forse ha
litigato col suo ragazzo e per fargli un dispetto va col primo che capita, nel
paese non c’era nessuno a quell’ora e ha capitato me. No, non può essere, non
l’avrebbe fatto con un vecchio, a tutto c’è un limite. Però mi ha detto che non
ha il ragazzo e non l’ha mai avuto. No, non posso crederci. Una ragazza così
bella che non ha il ragazzo, è impossibile. E se fosse sposata, mio Dio, non
credo che mi spunta suo marito con la pistola, non serve la pistola basta un
cerino per far andare tutto a fuoco, qui è fatto tutto di legno. Non credo che
le piacciono le femmine al posto dei maschi? No, no, mi guardava in uno strano
modo. Secondo me le piacciono solo gli anziani, sì, forse questo è il motivo, i
giovani non le interessano affatto. Forse mi vede come un padre, un nonno, le
mancherà quel tipo di figura”. Il monologo del vecchio andava via via
assumendo fisionomie sempre più patologiche e assurde.
“E se si fosse innamorata di
me? Se volesse sposarmi? Sì, sento che la porterei all’altare. Magari da padre
Santino nella chiesa di San Raffaele con tutti i parrocchiani invitati, chissà
quanti regali mi farebbero. I parrocchiani? No, non potrebbero accettare che un
65enne si sposi una 15enne, ma che m’importa di loro. L’importante è che io e
Fia ci amiamo, non conta l’età. Magari aspetto che compia 18 anni e per la legge
sono a posto. E con i suoi genitori come mi combino? Vado e gli dico: io amo
vostra figlia. Mi butterebbero fuori a pedate appena mi vedono vestito così. Va
beh, mi faccio la barba, mi taglio i capelli, mi vesto meglio, mi do
un’aggiustata generale, sembrerò più giovane. Ma se non l’ho mai fatto in 65
anni? Per Fia sento che lo farei”.
Il monologo di Mosè continuava senza limiti e ora alla follia delirante si
aggiungeva la paura.
“Ma lei è minorenne, in fondo è
ancora una bambina, forse è ancora vergine. E se parlasse con qualcuno? I
bambini parlano, non sanno mantenere un segreto, non lo sanno fare i
parrocchiani della chiesa, figuriamoci le ragazzine. Finirò nelle pagine dei
giornali, dritto in carcere e forse alla mia età non ne uscirei più. Mi
prenderebbero tutti per maniaco, povero me! Per pedofilo, no per pedofilo no,
lei è sviluppata come una donna. E se lo sapessero i parrocchiani, padre
Santino, non mi farebbero più regali, non mi darebbero più soldi, non potrei
camminare più per la strada, tutti col dito puntato contro di me. Povero Mosè,
in che guaio ti sei cacciato! Già mi vedo nelle aule del tribunale, io da un
lato, Fia dall’altro. Posso sempre dire al giudice che lei era consenziente. Ma
no, non mi crederebbe. Allora dico a Fia, spogliati qui stesso e fai vedere al
giudice quanto sei sviluppata, bella e irresistibile così il giudice mi capisce
e mi assolve”. Ora il
monologo diviene persino poetico. “Ma cosa c’è di più poetico di un vecchio
che si innamora di una ragazzina? Io non ci trovo nulla di morboso anzi è
tenero, dolce, romantico. L’anziano ormai giunto al tramonto della sua
esistenza, si aggrappa alla giovinezza d’una ragazzina per tornare a sua volta
bambino. In fondo è quello che sto facendo io. Cosa c’è di più poetico del
profumo di una ragazzina ingenua e tenera? Mi scagli la prima pietra
quell’adulto capace di resistere al fascino di una ragazzina! Nessuno, si
reprimono solo per paura come la famosa fiaba della volpe e dell’uva”. Ma il
monologo tocca pure punte di alta comicità. “E se mentre mi trovo a letto con
Fia, mi spuntassero i carabinieri? Gli direi lasciatemi finire in pace, aspetto
da 65 anni per farlo, volete rovinare tutto? Fatemi finire per piacere e poi mi
potete anche arrestare e darmi l’ergastolo, condannarmi a morte e persino
tagliarmi l’uccello. Vale la pena subire tutto questo per un momento d’amore con
la bellissima Fia. Potrei pure vendere l’anima al diavolo per una notte con lei.
Per un minuto d’amore con la mia bellissima Fia sarei disposto a bruciare nelle
fiamme dell’inferno per l’eternità”. Mosè immaginò nuovamente di essere
portato in manette davanti al giudice che lo interroga. “Signor giudice, se
lei si fosse trovato alla mia età e al posto mio nella mia baracca solo con una
bellissima ragazza di 15 anni tutta nuda che le dicesse: «Scopami», che avrebbe
fatto? Non avrei fatto niente perché è troppo piccola, l’avrei riconsegnata ai
suoi genitori per farla curare. Allora lei è un finocchio, signor giudice, lei è
un finocchio”.
Cari lettori, non mi sembra il
caso di soffermarmi ancora sul monologo notturno di Mosè ma una piccolissima
considerazione su tale argomento permettetemi di farla con tutta umiltà. Se Mosè
lo si vuole giudicare secondo le regole della società e quindi della morale,
bisognerebbe subito mandarlo a morte perché individuo molto pericoloso per i
suoi simili. Ma se invece si vuole leggere in profondità nei pensieri del
vecchio, per capirne la verità basta semplicemente sostituire la figura del
giudice al quale Mosè ha dato simpaticamente del finocchio con la società e poi
sostituire la figura di Mosè stesso con la parola “libertà” e si capisce tutto.
Si legalizzano le guerre, non si dà da mangiare ai bambini che con lebbra e
mosche in faccia muoiono nel Terzo Mondo, si costruiscono armi atomiche e
centrali nucleari e poi si ha il coraggio di condannare un povero vecchio come
Mosè solo per aver passato un pomeriggio d’amore con la sua bellissima Fia.
... Fia
Ma vi era un’altra persona che
poco distante da lui, non riusciva a prendere sonno per lo stesso motivo ed era
lei, la piccola e precoce Fia. Aveva ancora davanti agli occhi l’immagine di
quel vecchio con le sue rughe, sentiva la sua voce, avvertiva il suo odore.
“Ma è giusto quello che sto per fare? Perché tutta questa fretta? Ho solo 15
anni, troverò un ragazzo che mi piaccia e lo farò quando mi sentirò innamorata
di lui e sarà bellissimo senza sensi di colpa, senza che poi mi resti un vuoto.
Perché devo farlo proprio domani? Non ho mica 65 anni io, lui si deve cercare
una della sua età. Ho aspettato tanto, non posso attendere un altro po’ di
giorni così poi inizierà la scuola e ci saranno tanti ragazzi della mia età? No,
No! Ho deciso e non torno indietro. Ormai gli ho dato la mia parola, gli ho dato
appuntamento per domani alle 2 non posso piantarlo, è stato così gentile con me,
non se lo merita, non posso fargli questo. Ma che significa? Mica ho fatto un
contratto con lui? Non sono obbligata, vado lì e gli dico mi dispiace ho
cambiato idea, non me la sento, lui capirà, soffrirà ma poi si dimenticherà di
me, non sa dove abito, non mi troverà più. E se lui mi domandasse perché ho
cambiato idea? In che guaio mi sono cacciata, che gli dico? Niente, perché devo
dargli spiegazioni? non mi va e basta. Poi avrei mille scuse, gli imbroglio che
ho un ragazzo, che è troppo grande per me, ho trovato, gli dico che ho l’aids.
No, non può essere, gli ho detto che sono vergine. Ma perché devo dargli questo
dispiacere? Poverino! Lo ucciderei e se poi si ammazza per colpa mia? Non me lo
perdonerei mai. In fondo ha solo bisogno d’affetto e così solo, perché non
darglielo? Poi lui non lo direbbe a nessuno anche perché sono minorenne e non
gli converrebbe. Se lo facessi con un ragazzo carino, sono sicura che per
vantarsi lo direbbe in giro e lo saprebbero tutta Leonforte e tutta Enna. Che
sfiga! Sono sempre io che devo decidere da sola, non posso confidarmi con
nessuno, quando ero piccola dicevo tutto alla mamma, ma ora come faccio a dirlo
a lei? Cosa le dico? Senti mamma vorrei andare a scopare con un vecchio barbone
di 65 anni che abita in una baracca di legno, tutta piena di polvere e
disordinata, che ne dici mamma ci vado o no? Già so la risposta, non vale la
pena interrogarla. Se tenessi un diario, forse mi potrebbe aiutare. No, sarebbe
la stessa cosa che parlare da sola, anzi peggio perché potrebbero leggerlo i
miei o chiunque e lo saprebbero tutti, almeno così nessuno può leggere nei miei
pensieri, rimane un segreto. Ma poi perché non dovrei farlo con quel vecchio?
Può anche piacermi, come faccio a sapere se non provo? Anche quando ho provato
il mio primo orgasmo avevo sensi di colpa ma poi è stato bellissimo. Ma no, no,
non me la sento di farlo con un vecchio, proprio non ci riesco”. Tutte le
fantasie erotiche della ragazza ora sembrano frantumate, spente, assopite. È
bastato che solo una di esse si stesse realizzando, perché lei si rendesse conto
che la fantasia è una cosa, la realtà un’altra. Adesso si sentiva meno libera,
meno spregiudicata, meno puttana. “E se poi dovessi sentirmi sporca? Se
dovessi pentirmene amaramente. E se uscissi incinta da un vecchio di 65 anni,
con che faccia lo direi ai miei? Dovrei abortire, no, a me i bambini piacciono
molto, lo terrei, se fosse maschio lo chiamerei Gesù, tanto lui si chiama Mosè.
Non ti offendi tu se lo chiamo come te vero?”, e lo disse rivolgendosi al
crocifisso che ovviamente non rispose. “Ma cosa sto pensando? Avrà
sicuramente un preservativo, alla sua età saprà cosa sono i preservativi e se
non lo sa glielo spiego io. E se è ancora vergine? Proprio come me. Ma no, non
può essere a quell’età, ma chi si metterebbe con uno come lui conciato in quel
modo? Solo io posso farlo, va beh ora, ma quando era giovane con qualcuno l’avrà
fatto. Ma se non è manco sposato? Ma cosa vuol dire, mica bisogna essere sposati
per forza per farlo. Sarà sicuramente dolce ed esperto, saprà come amarmi a
quell’età, avrà rispetto di me e del mio corpo. Certo che sono proprio strana
io. Rifiuto bellissimi ragazzi che mi amano sul serio e anche di un certo
livello sociale, puliti e ben vestiti, per finire tra le braccia d’un vecchio
conosciuto per strada. Potrei fare un libro sulla mia vita, sarebbe un successo.
La mia prima volta col vecchio, incredibile, che bella prima volta mi sono
scelta”. Ora era l’altra Fia che ragionava, quella più giudiziosa che
seguiva le ragioni della logica e non dell’istinto.
Ma quando sembrava che il no fosse
più forte del sì, ecco che improvvisamente e senza preavviso, ritorna in lei
l’altra natura, quella più bestiale. Ora Fia s’immaginava nuda come sua madre
l’aveva fatta, lei piccola ed inesperta come un piccolo fiorellino da cogliere,
distesa sul quel letto sporco, pieno di zecche a farsi sbattere da quel vecchio
come una piccola cagnetta in calore. Il solo pensiero dell’immagine di quel
corpo senile, flaccido, con i peli bianchi, con la pancia, nudo come un verme
disteso su quel suo corpicino liscio, serico, caldo e morbido e anch’esso nudo,
la fece morire di desiderio. Sentì l’eccitazione salire in tutto il suo corpo e
fu scossa da mille brividi. Ora lei si era finalmente decisa che l’avrebbe
fatto, si sarebbe concessa a quel vecchio senza pudori e senza reticenze, solo
così avrebbe messo in pratica la sua fantasia erotica e giudicato sulla propria
pelle se le sarebbe piaciuto o no. Era una prova, una verifica indispensabile
che poteva guarirla o comprometterla e macchiarla per sempre. Ma doveva farlo,
ormai non si poteva più rimandare e trovata la decisione che cercava, riscaldata
dai soliti brividi, s’addormentò a differenza di Mosè. Nel pericolo l’anima di
Fia si sentiva al sicuro, il suo male interiore era ambiguo, cambiava forma
quando credeva di conoscerlo. Da quale mondo veniva la piccola Fia?
... Mosè
Quella mattina Mosè,
dopo una lunga notte insonne, non sapeva più cosa fare né da dove cominciare.
Aveva mille cose da mettere a posto ma non riuscì a sistemarne una sola. Voleva
riordinare la casa, rendere il letto più presentabile, ma era talmente abituato
al disordine che nel tentativo di mettere ordine, combinò ancora più confusione.
Apriva i cassetti in cerca di un deodorante da spruzzare nella casa, gettò tutto
per terra, ma non lo trovò.
Se la prese con i parrocchiani rei
di non avergli regalato neppure un deodorante. Ma come facevano a sapere i
poveri parrocchiani che dopo 65 anni lui l’avrebbe voluto usare per ricevere la
sua ragazzina tuttofare? Cercò allora un profumo per lui gettando tutto per aria
ma non trovò manco quello. Gli venne in mente di farsi il bagno dopo un paio di
mesi e forse più, ma non vi era completamente acqua. Pensò di farsi la barba ma
non aveva lamette. Per la prima volta in vita sua Mosè voleva sembrare più
presentabile per la sua Fia, ma non riuscì ad esserlo neanche quando l’avrebbe
voluto. Era destino per lui, rimanere così come Fia l’aveva conosciuto e
apprezzato. Se anziché la ragazzina, avesse dovuto ricevere una parrocchiana, se
lo sarebbe pure dimenticato. Cercò ancora un preservativo sperando di trovare
almeno quello ma nel disordine di là dentro, gli fu difficile recuperarlo. Del
resto non era neanche sicuro di averne qualcuno. Ma si era autoconvinto che i
parrocchiani della chiesa di San Raffaele, nella loro grande generosità, gli
avessero regalato anche quello. Allora disperato uscì di corsa, andò dai suoi
amici polacchi e chiese al figlio un preservativo. “Un preservativo? Cosa
essere un preservativo? Io capire poco la tua lingua!”, disse il ragazzo
stupito che non capiva bene l’italiano.
Al povero Mosè non bastavano i
problemi che aveva, doveva mettersi a fare pure il traduttore. Il vecchio era
ormai un pugno di nervi e non riusciva a stare calmo. Si guardò intorno,vide che
non vi erano i genitori del ragazzo ma solo loro due e, per non perdere tempo,
si abbassò i pantaloni, poi le mutande e col membro di fuori spiegò al giovane
con la mimica che cosa fosse il preservativo.
Doveva andare a letto con una
minorenne, che cosa gli poteva importare di uscire l’uccello davanti a un
ragazzo poco più che ventenne? Quest'ultimo non rise per quel gesto troppo
eloquente ma rimase sbalordito, tuttavia capì subito e gli fece cenno di
aspettare. Mosè rimase in ansia a girare nervosamente per la stanza:
“Benedetti questi polacchi e chi li ha creati, come avrei fatto senza un
preservativo?”
Il ragazzo tornò dopo qualche
minuto. Ne aveva due in mano. Mosè glieli strappò letteralmente dalle mani e se
li ficcò nei suoi pantaloni senza neanche ringraziarlo. L’avrebbe sicuramente
fatto se fosse stato più calmo. Almeno quelli li aveva trovati.
... Fia
Anche per Fia quella mattina fu
tutta speciale. Non vedeva l’ora che fosse pomeriggio per realizzare quella
fantasia e perdere la propria verginità. Già sapeva bene come vestirsi, nella
maniera più sexy possibile, usando i suoi vestiti più provocanti. Doveva
aspettare però che i suoi uscissero di casa e poi ritornare un po’ prima di loro
per avere il tempo di cambiarsi, e non farsi vedere vestita in quel modo. Non
aveva più dubbi, non poteva tornare indietro e cambiare il destino che aveva
voluto così, doveva concedersi completamente a quel vecchio e avrebbe voluto
ricordarlo per tutta la vita. “La prima volta dev’essere speciale e lo deve
essere anche per me, lascerò tutti i miei sensi in libertà e gusterò fino in
fondo quel piacere”. Forse Fia stava confondendo la prima notte d’amore, con
la prima notte di sesso.
La mattina passò e il fatidico
pomeriggio finalmente arrivò per lei e anche per lui. Fia non vedeva l’ora che i
suoi genitori uscissero, li cacciava con la mente e guardando ogni secondo
l’orologio. Era tutto calcolato, cronometrato. Sapeva il tempo da rispettare per
ogni cosa. Quanto per cambiarsi, quanto per arrivare alla villetta, quanto per
scopare, quanto per tornare e quanto per cambiarsi prima che tornassero i
genitori. Una ragazza, ma anche una bambina, quando deve fare qualcosa a cui
tiene molto e non vuole essere scoperta, diventa diabolica. Finalmente i
genitori se ne andarono e Fia, senza perdere un centesimo di secondo, cominciò
l’operazione 007. Prese tutto l’armamentario di vestiti che aveva scelto per
l’occasione con cura la mattina e li tirò da sotto il letto dove li aveva
nascosti.
Cominciò così, come un perfetto
Diabolik, l’operazione travestimento. La maglietta più sexy che aveva in casa,
la gonna più corta, la mutandina più leggera e trasparente, il profumo più
inebriante. Stava per mettersi il rossetto più visibile, quando pensò di
presentarsi all’incontro col viso pulito di adolescente senza nessun tipo di
trucco o di rossetto. Avrebbe ottenuto così un doppio scopo, quello di sembrare
più eccitante come una bambina maliziosa e quello di non perdere tempo. Il bagno
l’aveva già fatto. Era praticamente pronta. Si diede solo una rapidissima
occhiata nel suo fedelissimo specchio e lascio immaginare al lettore come si
giudicò lei stessa che mai nella sua vita si era vestita così sexy dalla testa
ai piedi. Se avesse avuto più tempo sarebbe rimasta ad ammirarsi e sicuramente
si sarebbe eccitata e toccata ma non aveva tempo per farlo, l’avrebbe fatto
qualcun altro molto più grande di lei in un altro posto. Aprì la porta e via più
veloce della luce. Camminava di corsa sperando che nessuno la vedesse vestita in
quel modo, sarebbe stata la fine per lei, in quel piccolo paese, ne avrebbero
detto di tutti i colori, figuriamoci se avessero saputo cosa stava per fare.
La fortuna e soprattutto l’orario
l’aiutarono e non la vide proprio nessuno. Arrivò in quella villetta con
quindici minuti di anticipo, meglio prima che dopo, aveva fatto bene i suoi
calcoli. Con stupore, vi trovò lì Mosè ad aspettarla. E chissà da quanti secoli
era lì. Era seduto sulla panchina e si alzò di scatto quando la vide arrivare.
Non le aveva portato neanche un fiore, si era vestito male come sempre e non si
era nemmeno pettinato. Ma Fia non ci fece per niente caso, neanche lo guardò si
può dire, ormai lo aveva conosciuto così e così se lo aspettava. Chi invece
rischiò di prendere un infarto e di mandare tutto a monte fu lui che, non appena
la vide vestita in quel modo, barcollò ed ebbe quasi un malore: “Cos’hai,
stai male?”, gli chiese preoccupata la ragazza. “Nulla, sto bene,
stanotte non ho chiuso occhio e sono un po’ stanco”, la rassicurò lui ma non
era questo il solo e vero motivo ed era chiaro ad entrambi.
Salirono in fretta sul motorino e
si diressero verso l’abitazione di Mosè, non avevano molto tempo a disposizione
e dovevano sbrigarsi. Quella ragazza giovanissima, stupenda, vestita in quel
modo provocante, seduta sul suo motorino dietro di lui, inebriante di profumo e
sensualità che stava portando a casa sua e nel suo letto, con quelle sue mani
delicate strette intorno ai suoi fianchi e la testa appoggiata su un lato nella
sua schiena, lo fecero stare meravigliosamente male. Era troppo per un vecchio
come lui. Avrebbe potuto bere anche mille birre, fumare mille sigarette,
ingoiare mille cose scadute, digiunare per mille giorni e mille notti ma non
sarebbe mai stato in grado di resistere a quella emozione così forte. Cominciò a
girargli la testa e chiese alla ragazza di portare lei il motorino. Fia restò
sorpresa e preoccupata, per un attimo avrebbe voluto lasciar perdere tutto, si
era quasi pentita di trovarsi lì ma le rassicurazioni sulla sua salute del
vecchio e l’eccitazione sempre più crescente che sentiva in lei, le ridiedero
l’entusiasmo. Sapeva di poter guidare un motorino, l’aveva fatto qualche volta
con le amiche e non vi era confusione per la strada e poi la meta era poco
distante. Così accettò, i due si invertirono di posto ma il casco, stranamente,
restò sulla testa di Mosè e non della sua che stava alla guida. Ma fu ancora
peggio per il povero Mosè che agli occhi della ragazza sembrava ancora più
piccolo di quel suo cugino di 10 anni di Bergamo.
Mosè si ritrovò, suo malgrado,
attaccato come una calamita, di spalle a quel corpo stupendo d’adolescente, come
una foglia ormai ingiallita che tenta disperatamente e con tutte le proprie
forze di restare attaccata a quell’albero che la vide verde un tempo, per non
essere spazzata via dal vento. Quello stesso vento che ora stava sollevando la
gonna già corta della ragazzina, lasciando intravedere chiaramente e in tutto il
suo fascino, quelle mutandine bianche finissime. Mosè se ne accorse subito,
eccome poteva non farlo?, e cercò di distrarsi, di guardare da un’altra parte,
aveva paura che, prima o poi, sarebbe arrivato il colpo di grazia e non avrebbe
potuto reggere più, crollando definitivamente rovinando il più bel sogno che
aspettava da una vita. Ora il vecchio con sincerità e con fede, pregava dentro
di sé Dio, affinché potesse dargli la forza di portarsi a letto quella
ragazzina, senza nemmeno rendersi conto della stranezza della richiesta.
Fortunatamente per lui, Fia guidava velocemente e con una certa maestria, e così
arrivarono finalmente a destinazione. Non vi era proprio nessuno lì vicino,
neanche i polacchi, la loro casa infatti la si vedeva chiusa e anche i gattini
erano nascosti. Erano completamente soli, il vecchio e la ragazza.
... il vecchio e la ragazza
Entrarono in fretta nell’abitazione senza
neanche chiudere la porta. Fia era troppo decisa, sapeva di non poter perdere
molto tempo, aveva calcolato tutto, era quello il momento giusto, ora o mai più
e così rompendo gli indugi disse: “Voglio fare l’amore con te, Mosè!, voglio
perdere la mia verginità!”. E lo disse con un tono così deciso e sicuro da
sorprendere anche se stessa. Mosè sbiancò, si sentì di colpo in paradiso, poi
all’inferno, cominciò a sudare, a tremare, a respirare convulsamente, per un
attimo pensò di morire e trovò la forza per dire soltanto: “Anch’io sono
vergine”.
Sapere che quell’uomo non avesse
mai fatto l’amore con nessuno in 65 anni e che lei sarebbe stata la prima, in
altre circostanze l’avrebbe sicuramente scioccata ma, in quel momento, lei non
ci fece neanche caso, impegnata come era a portare a termine la sua missione.
Fece tutto lei, la ragazza ora
sembrava la più grande professionista del sesso pur essendo anche per lei la
prima volta. Ma l’istinto è superiore a ogni tecnica e sa guidare nella giusta
direzione. Ora la ragazzina pareva molto più grande e matura del vecchio.
Afferrò la mano di lui con la sua dicendogli semplicemente: “Vieni”, e lo
condusse dritto verso il letto. Lui si lasciò guidare come un automa restando
con la bocca aperta più impaurito che eccitato. La ragazza aprì in fretta la
porta della, chiamiamola bonariamente, stanza da letto. Vi era un odore
nauseante di rinchiuso e di muffa. Il letto, pieno di polvere e formiche, era
più sporco che mai, perfino il cuscino si presentava male, non vi erano lenzuola
né coperte, forse le aveva tolte Mosè per il troppo caldo. Ma a Fia tutto questo
non importava. Poteva essere un letto fatto di urina e melma; poteva essere
ricoperto di fiori e d’argento, sarebbe stata per lei la stessa cosa. Era altro
che lei cercava, che lei voleva. Fia chiuse la porta, si sdraiò su quel letto,
prima si alzò la maglietta sino al collo lasciando scoperta la parte che dal
reggiseno arriva sino all’ombelico. Poi si alzò la minigonna lasciando libera
quella che dalle mutandine arriva sino ai piedi. Si tolse in fretta le scarpe e
quindi anche le calze e rimanendo in quel modo a faccia all’aria, si rivolse a
Mosè che guardava incredulo e ammutolito, dicendogli: “Fai di me quello che
vuoi, prendimi, scopami, amami”. Una scena così non la si può limitare
descrivendola in un libro. Soltanto guardandola dal vivo, le si può rendere
giustizia. Anche il più grande scrittore di tutti i tempi non sarebbe in grado
di sostituire la visione con le parole e forse neanche capace di entrare in
profondità nel corpo e nella mente di quel vecchio e di quella ragazza. La
giovanissima ragazzina distesa, abbandonata sul letto con gli occhi un po’
chiusi e un po’ aperti, era bellissima, col suo corpo in penombra, in bilico tra
innocenza e peccato, tra inferno e paradiso. Neanche il più inflessibile giudice
d’un tribunale, o il più convinto assertore contro la pedofilia, neanche un
santo, neanche un angelo, avrebbe potuto resisterle e non desiderarla. Mosè
rimase sbalordito a guardarla. Avrebbe voluto farle mille complimenti, dirle
mille volte grazie, renderla partecipe di quello che lui provava dentro. Ma
nessuna voce poteva spiegare quelle sensazioni. Così non parlò. Timido,
imbarazzato, totalmente incapace di effettuare la benché minima mossa, rimase
così in estasi a contemplarla come un innocente bambino che vede apparire la
Madonna per la prima volta. Ma lei non era una visione né un sogno, era vera, in
carne e ossa, pronta per essere toccata, baciata, venerata, amata. La ragazza,
sconvolta nei sensi e nell’anima di trovarsi lì ad offrire le sue innocenti
nudità allo sguardo d’un vecchio, aspettava impaziente da lui un gesto, un segno
ma il vecchio rimase impietrito come una statua senz’anima, dopo un breve tempo
che alla ragazza era sembrato un’eternità, riuscì a dirle soltanto sottovoce:
“Che devo fare?” A quel punto la ragazzina diventò sua madre. Prese
dolcemente la mano destra di quel vecchio e la portò sul suo giovane corpo,
guidandola con la sua, accompagnandola dappertutto come un’isola vergine da
esplorare, dalle dita dei piedi sino alla punta del capello più alto. Non sono
in grado, cari lettori, pur sforzandomi, di trovare le parole adatte per
spiegare quello che provavano entrambi in quel momento. Certe emozioni, vanno
vissute in prima persona, solo allora ci si può rendere conto. Nessun tribunale,
nessuna censura, nessuna morale potevano annullare quelle emozioni così intense
e se anche l’avessero fatto, avrebbero commesso un delitto. Il criminale non era
il vecchio e neanche la ragazza, ma chi impedirebbe loro di farlo. Fia, poi con
le sue mani, spinse dolcemente la testa del vecchio sopra di lei, facendo
scorrere la lingua di lui per tutto il corpo. Fu a quel punto che sentì il
bisogno di togliersi ogni indumento di dosso, restando completamente nuda alle
carezze e ai baci del vecchio. Poteva arrivare di colpo Dio o Satana, un giudice
o la polizia, il presidente della Repubblica o il papa in persona, loro due non
si sarebbero mossi da quella posizione e avrebbero continuato imperterriti ad
amarsi, non avrebbero potuto farlo pur volendolo. La ragazza, più audace che
mai, spogliò il vecchio che rimase nudo davanti a lei. Era impressionante la
differenza fra quei due corpi, ma gli opposti spesso si attraggono. Se fossero
stati entrambi bellissimi, forse sarebbe stato meno eccitante. Il fascino del
proibito, del peccato rendevano quel momento ricco di emotività e sensualità.
Era la danza della trasgressione,
il trionfo della libertà assoluta. Ora i due giacevano in ombra, su quel letto,
nudi. Lei sdraiata, lui inginocchiato davanti a lei. Fia ora osservava quel
corpo di vecchio così diverso dal suo e le fece un po’ pena, capì dentro di sé
la fortuna di essere giovani, la bellezza della giovinezza. Poi i suoi occhi si
posarono su quel membro penzolante, le fece tenerezza, non le fece paura. Era la
prima volta che ne vedeva uno in vita sua. Istintivamente allungò la mano e la
posò su di esso. Ma fu un gesto sollecitato dalla curiosità e non dal desiderio.
La ragazza si trovò in mano quella nuova e sconosciuta creatura e le sembrava di
toccare un piccolo serpentello, morbido e caldo, simile ad un bastone di
velluto. Il contatto con quelle mani calde e lisce, procurò un effetto
devastante sulla psiche dell’anziano che raggiunse di colpo un’erezione notevole
da fare invidia a un dio greco bello, muscoloso e potente. La ragazza,
avvertendo sul palmo della mano quell’incredibile cambiamento, si spaventò e
lasciò quella presa.
Il vecchio capì che era il momento
giusto, aveva vinto le sue paure, il suo imbarazzo. Cercò in fretta il suo
pantalone e tirò fuori dalla tasca il preservativo ma con le mani tremanti non
riuscì a metterselo e forse anche per non averlo mai usato prima in tutta la sua
vita. Ancora una volta fece tutto lei, la piccola Fia guidata dall’istinto che è
il migliore maestro, più di qualsiasi insegnante o scienziato. L’uomo si distese
sul corpo della ragazza ma non fu capace di compiere l’atto, sia per
l’inesperienza, sia per l’emozione che stava riprendendo il sopravvento. Per
l’ennesima volta, intervenne ad aiutarlo la ragazzina col suo istinto unito alla
sua voglia. Aprì le sue gambe, riprese quel membro in mano e lo indirizzò lei
stessa dove doveva andare, spingendo in avanti il bacino per favorirne
l’operazione. La ragazza sentì solo un lieve dolore e non ebbe perdita di
sangue. Non fu doloroso neanche per lui. La natura li aiutò entrambi per non
guastare quel sogno. Il vecchio istintivamente cominciò a muoversi sopra di lei
con dolcezza facendola gemere e sospirare ma anche lui non poteva fare a meno di
emettere piacevoli lamenti. Con la mano destra appoggiata sul suo seno sinistro
e con la sinistra sulle cosce e sulle natiche della ragazza, il vecchio aumentò
il suo ritmo in un folle vertiginoso crescendo che coinvolse entrambi. Le
sensazioni che quel membro le procurava dentro, erano molto più forti ed intense
di quelle che si regalava da sola con le sue dita e ora lei si sentiva presa,
amata, desiderata, si sentiva totalmente sua. Il vecchio, a sua volta, si
trovava ormai in orbita, in un altro pianeta, fuori da ogni spiegazione umana e
logica. Aveva aspettato 65 anni per farlo ma non aveva nessun rimpianto di aver
atteso tanto. Anzi, se dovesse morire e rinascere un’altra volta in questa
terra, aspetterebbe altri 65 anni pur di incontrare poi nuovamente la sua
bellissima principessa Fia. Se in quel momento, fosse entrato lì dentro il papa
e li avesse visti in quell’atto, avrebbe sorriso e li avrebbe benedetti.
Cari lettori, anche se quello che
vi sto per dire vi sembrerà partorito da una mente folle, non posso non
scrivervi che la scena di quel vecchio e di quella ragazzina che si amavano
consapevolmente stringendosi l’un l’altra, era la più bella poesia che potesse
esistere al mondo per mille motivi che non sto qui a enunciare per non
sconvolgervi ulteriormente. I due raggiunsero l’orgasmo quasi simultaneamente e
fu più bello ancora. Poi rimasero abbracciati e la ragazza decise in quel
momento di ringraziare il vecchio facendo quello che non aveva avuto ancora il
coraggio di fare. Avvicinò le sue labbra a quelle del vecchio e lo baciò
appassionatamente come se si trattasse di un ragazzo della sua età. All’inizio
avrebbe voluto soltanto sfiorarle ma poi la passione, unita al desiderio di
baciare per la prima volta, la spinsero a unire la sua lingua a quella del
vecchio, in una mescolanza di sapori e di saliva che stordì entrambi. La scena
di una ragazzina di 15 anni che baciava appassionatamente un vecchio di 65 era
pura armonia, il trionfo della vita, l’immortalità dell’anima che aveva il
sopravvento sull’età del corpo. Quell’intenso bacio fu persino più bello del
rapporto sessuale. Fino all’ultimo istante Fia dimostrò a Mosè la sua grandezza
interiore, la sua comprensione, la sua dolcezza. Il vecchio e la ragazza
avrebbero voluto restare ancora abbracciati ma tutto, nella vita, prima o poi ha
una fine.
La ragazza guardò l’orologio:
“È tardi, devo andare”, esclamò preoccupata.
I due si rivestirono in fretta
senza dire una parola, non ve ne era bisogno, si erano già detti tutto. Il
vecchio salì sul motorino, lei montò dietro e partirono verso quella villetta di
Leonforte che li aveva fatti conoscere.
Quel vento che all’andata, alzando
la gonna della ragazza, sembrava complice del demonio, ora compiendo lo stesso
identico gesto, pareva agli occhi di lui un poeta che scriveva i suoi versi
ispirati da un angelo. Per tutto il tragitto non parlarono, a volte il silenzio
vale più di mille parole. Entrambi erano consapevoli che quello che era accaduto
quel pomeriggio tra di loro, non sarebbe successo mai più, quella era stata la
prima e l’unica volta.
Le cose belle, nella vita, non
possono ritornare. Avrebbero potuto farlo anche altre cento volte, ma non
sarebbe mai stato bello quanto la prima.
Il vecchio e la ragazza
desideravano entrambi che finisse tutto lì per conservare insieme, nelle loro
menti e nei loro cuori, la poesia del ricordo di quella prima ed ultima volta.
Arrivati in quella villetta, osservarono insieme quella panchina dove si erano
seduti per la prima volta conoscendosi. Le avrebbero fatto un monumento se solo
avessero potuto farlo. Si salutarono con un semplice “ciao” e senza darsi un
nuovo appuntamento. Il destino che li aveva fatti unire, ora aveva deciso di
dividerli per sempre. Si separarono così ma entrambi avevano una strana luce
negli occhi che li rendeva simili nonostante avessero un’età così differente.
Quella luce la potevano notare tutti ma nessuno sarebbe stato in grado di
capirne l’origine. Quello era un segreto che apparteneva esclusivamente a loro
due e a nessun altro e restò tale per tutta la vita. Nessuno seppe mai nulla.
Fia tornò a scuola più matura e serena. Era una bella ragazza, avrebbe avuto
tanti corteggiatori, magari si sarebbe innamorata di un bel ragazzo, si sarebbe
sposata e avrebbe avuto tanti bei bambini che a lei piacevano tanto. Ma non
aveva più fretta, aveva una vita davanti per essere felice. E lui Mosè riprese
la solita vita di sempre, col suo immancabile motorino, col saluto di tutta la
gente di Enna, con la sua chiesa di San Raffaele, il suo parroco padre Santino e
tutti i parrocchiani che continuavano a riempirlo di regali e di elemosine.
A me, cari lettori, non resta
altro che concludere questo mio libro sperando che non vi abbia deluso e che
possa essere servito a qualcosa e a qualcuno.
Il mio cammino spirituale
L’incontro con la Madonna:
Testimonianza di fede
E’ bellissimo per me poter parlare della Madre celeste, scrivere con sincerità
di pensiero quello che Lei rappresenta per me, il modo attraverso il quale
trasmette gioia, dona pace, regala serenità; è sicuramente una testimonianza
importante che può servire agli altri, anche a chi, per sola curiosità, si sta
soffermando in questo momento nella lettura. Il mio cammino spirituale è stato
molto tormentato e assai complesso, quasi impossibile da raccontare in poche
righe perchè frutto di emozioni intime, uniche ed indimenticabili, invase dal
male prima e consolate dal bene dopo, ma, nonostante tutto, vorrei provare
ugualmente ad essere il più possibile conciso e sintetico, concentrando in poco
spazio ciò che meriterebbe un libro intero per la grandezza dei sentimenti da
narrare. Premetto che mi trovavo distante mille anni luce da Dio e dalla sua
volontà, sconoscevo l’importanza della sua parola con i suoi insegnamenti;
praticamente lontano dai sacramenti, non seguivo affatto una vita cristiana,
collocandomi in una posizione di disinteresse verso la chiesa che per me era
come se non esistesse. Ma il Signore è grande e misericordioso, sempre pronto a
porgere una mano, a elargire aiuto a chi, disperato cade, specialmente quando
l’infinita bontà di Dio percepisce nel cuore triste e malato, una fiammella di
speranza alimentata da un sincero proposito di cambiamento. E così la
provvidenza mi ha messo sulla strada un’amica quasi coetanea, Giovanna, una
donna evangelica che, dopo parecchio tempo a causa della mia esitazione, è
riuscita a trascinarmi con lei, per la prima volta, in una chiesa protestante
pentecostale, di quelle caratterizzate da preghiere forti, carismatiche, di
intensa spiritualità. Lì dentro, i miei occhi hanno osservato cose mai viste:
gente parlare in lingue sconosciute che alcuni interpretavano, preghiere di lode
e di adorazione recitate con pianti di gioia ed invocazioni urlate, imposizioni
di mani sul corpo specie sulla fronte, persone cadere per terra svenute e
rimanere a lungo in quello stato di riposo spirituale ed ancora preghiere di
liberazione, a volte veri e propri esorcismi che avvenivano durante i culti
stessi anche in presenza di bambini che sembravano abituati a quell’ambiente.
Era insomma una chiesa molto diversa da quelle cattoliche tradizionali, eppure
io ricordo di non aver mai pensato, neanche per un solo istante, di essere
finito in un manicomio pieno di pazzi, ma anzi, al contrario, cominciavo a
percepire dentro e fuori di noi esseri umani, sia pure in forma latente,
l’esistenza di un mondo parallelo che mi si apriva davanti alla mia conoscenza,
una realtà spirituale importantissima e vitale che mi portava a comprendere che
dietro la sofferenza oscura e il male più cattivo, si nascondono demoni di
grande intelligenza e diabolica astuzia che difficilmente possiamo vincere senza
l’aiuto del Padre: sono loro infatti la causa principale delle rovine dell’animo
umano, e sono sempre essi capaci di operare indisturbati nel quotidiano, perché
sottovalutati o peggio ancora non creduti dalla maggioranza degli uomini. Lo
capivo chiaramente vedendo i tormenti spirituale e fisici di chi combatteva col
maligno, spesso il vomito era sintomo di liberazione. Per me erano tutte
situazioni sconosciute e mai prese in considerazione prima di allora ma dentro
il mio spirito sentivo di non trovarmi in quel posto, così apparentemente
strano, per caso e che proprio da lì sarebbe potuta iniziare la mia rinascita
spirituale dopo secoli di buio fitto e di solitudine totale. Pian piano e
secondo i tempi di Dio, continuando a frequentare quella chiesa e iniziando a
pregare anch’io timidamente come potevo e come vedevo fare, ho avuto la grande
gioia di sentire e di capire che Gesù mi amava davvero e di un amore grande e
sincero, così com’ero, con i miei evidenti limiti umani e le mie debolezze e che
potevo fidarmi ciecamente di Lui. Fu per questo che ho accettato il Signore
nella mia vita come personale Salvatore. Ma la gioia di sentirmi finalmente
amato non mi ha risparmiato il dispiacere di comprendere che, radicato nella mia
mente, vi era un demone d’impurità, forte, del quale io, fino a quel momento
sconoscevo completamente l’esistenza anche perché non si era mai manifestato
prima, secondo la furbizia di questi esseri che fanno dell’anonimato la loro
forza, e che era riuscito a fare nella mia vita, quello che voleva, facilitato
da me che, sia pure inconsapevolmente, lo avevo sempre assecondato. Oggi posso
dirvi con assoluta certezza e con molta esperienza sperimentata sulla mia pelle,
che i demoni sono i principali artefici dei nostri errori e dei nostri peccati e
che senza un vita di preghiera e di relazione costante con Dio, non c’è
possibilità di salvezza per noi piccoli esseri mortali e che ogni forma di
perversione sessuale e di vizio impuro, hanno come radice, la presenza di questi
esseri diabolici che operano secondo le proprie caratteristiche, svolgendo il
loro compito specifico, osservando rigide e determinate gerarchie; i diavoli
legati alla sfera sessuale, che io ho conosciuto e a lungo combattuto, non
spingono ad essere cattivi e non portano avversione al sacro, per questo motivo
risultano difficili da identificare e togliere, ma non per questo possono essere
considerati meno gravi, in virtù del fatto che con i peccati della carne
sporcano il corpo prima e lo spirito dopo, creando inimicizia con Dio e aprendo
un varco ampio verso l’inferno. E’ cominciata così, con l’aiuto del pastore e di
fratelli e sorelle con doni carismatici di liberazione, la mia lotta contro il
maligno che era uscito ormai allo scoperto, suo malgrado, perché Gesù l’aveva
ormai smascherato rendendolo assolutamente incompatibile con la presenza stessa
di Cristo, il quale stava ormai facendosi strada dentro il mio spirito. Non è
stato per niente facile scontrarmi col nemico delle nostre anime e quello che ho
passato non lo auguro a nessuno: altro che problemi psicologici o psicanalitici!
Altro che camomille o farmaci ansiolitici! Io ho dovuto estirpare con preghiere
forti e con la mia volontà di uscirne a tutti i costi, quello che di negativo vi
era in me, quel tempio di Satana fatto di lussuria e concupiscenza carnale che
il demone stesso con la mia inconsapevole volontà, aveva eretto nei miei
pensieri e desideri e perfino nella mia casa: ricordo perfettamente gli attacchi
che subivo la notte, specie verso le tre, questo poiché, durante il sonno,
avviene che si assottiglia di molto il confine tra il mondo fisico e quello
dello spirito e i due mondi paralleli, quello degli spiriti incarnati che siamo
noi e quello degli spiriti disincarnati che vivono in dimensioni superiori, a
volte e in situazioni particolari, si sfiorano fin quasi a incrociarsi. La mia
condizione, sia pure lentamente, migliorava progressivamente ma quando ero sul
punto di convincermi di aver intrapreso la strada giusta, quella che mi avrebbe
portato successivamente alla vittoria e mi stavo conseguentemente illudendo di
assaporare un po’di pace interiore, ecco, improvvisamente e del tutto
inaspettata, spuntare all’orizzonte una nuova nube minacciosa e per la prima
volta in vita mia, si spalancarono per me le porte del carcere, per reati di
natura sessuale ovviamente compatibili col demone che combattevo. In tutta
onestà devo dirvi che non ho mai scaricato tutta la responsabilità dei miei
errori sull’entità malvagia perché sono stato esclusivamente io a consentirgli
di fare tutto ciò cha voluto rendendolo forte e padrone della mia vita, e per
questo ho invocato pentito il perdono di Dio, il mio più grave sbaglio è stato
quello di non aver mai cercato una relazione col Creatore e di non aver mai
permesso allo Spirito Santo di agire in me e nella mia vita. Ma ormai il Signore
aveva piantato il suo seme in me che cominciava a crescere ogni giorno di più e
non mi avrebbe mai più lasciato. Oggi mi rendo conto che il carcere è stato una
specie di purgatorio terreno, necessario a farmi crescere scontando i miei
peccati perchè le croci, le sofferenze, servono a farci maturare spiritualmente
e possono trasformarsi, con la fede e la preghiera, in meravigliose opportunità
di rinascita. Ed è stato proprio dentro il carcere che si è realizzato un altro
miracolo nella mia tormentata vita terrena; l’incontro con la Madonna, un dono
straordinario che mi ha fatto Dio, del quale forse non ne sono degno, ma che ha
rappresentato una svolta nel mio cammino spirituale: io che ero chiuso in una
cella, sporco nel corpo e nello spirito, ecco che incontro Colei che personifica
la purezza e la libertà di essere figli di Dio e che è venuta lo stesso da me
facendo ciò che avrebbe fatto Gesù: soccorrere un suo figliuolo che chiedeva
aiuto. Non l’ho conosciuta in un luogo di apparizione mariana o durante un
pellegrinaggio ma in un posto di espiazione e di emarginazione, segno della
grandezza di Dio che sa leggere nel cuore dell’uomo prima ancora della sua
condizione esistenziale. Io ho cercato con tutto me stesso, forse anche perché
spinto dalla disperazione, la madre di Dio, ma l’ho cercata davvero, questo è
stato importante, e l’ho fatto pur essendo protestante e persino contro il
volere del pastore che mi aveva seguito fino ad allora e dei fratelli della
chiesa alla quale appartenevo, che continuavano a pregare costantemente per me.
Ma la presenza amorevole di Maria, la sua vicinanza, la sua premura, la sua
infinita dolcezza mi hanno spinto a fidarmi di lei. I frutti si sono rivelati
tutti positivi: sono uscito da quel posto l’11 febbraio, nella ricorrenza del
giorno della prima apparizione della Madonna a Lourdes, e da quel momento, la
Vergine mi ha portato sempre più vicino a Gesù e sempre più lontano dal maligno
e forse è anche per questo che Dio l’ha messa sul mio cammino, prop
rio in virtù del fatto che contro i demoni d’impurità, era necessaria la
presenza della infinita purezza di Maria per scacciarli, la vicinanza della
madre di Cristo è infatti una potentissima arma dopo il sangue di Gesù. Oggi il
mio rapporto con la Madonna è splendido e commovente, sento la sua presenza
materna, mi protegge e mi guida, ora finalmente riposo tranquillo la notte con
al collo la sua medaglietta miracolosa, comunica con me attraverso locuzioni di
pensiero fin quasi a percepire anche la voce, non la vedo ma è come se fosse
visibile con gli occhi dello spirito, so che in punto di morte lei ci sarà, come
ha promesso a Fatima a tutti coloro che faranno il percorso dei 5 sabati,
cammino che io ho già fatto con gioia e dedizione. Mi manda molti segni,
soprattutto rose, cuoricini e coroncine di rosario che trovo per terra, sulla
mia strada. Ogni anno per l’8 dicembre, ricorrenza dell’Immacolata Concezione,
mi chiede di portarle una rosa e di deporla sotto i piedi della statua di
Montalto che la raffigura, qui a Messina e che per per me è come una piccola
Lourdes o Fatima o Medjugorje. Ho imparato a recitare tutti i giorni, la
mattina, prima di alzarmi e dopo aver ringraziato il Signore per avermi donato
un altro giorno di vita, il rosario e sempre tutti i giorni, puntualmente alle 3
del pomeriggio, dico la coroncina alla divina misericordia. Oggi sono un uomo
completamente cambiato in positivo e vivo una vita di preghiera e di
condivisione con i miei fratelli in Cristo e quello che, grazie alla fede è
avvenuto in me, Dio è pronto a farlo con chiunque, anche col più incallito
peccatore, non aspetta altro, gli basta perfino un piccolo segno, desidera
essere cercato ed è sempre pronto a perdonare e a ridare una vita piena di
significato e di amore. Se guardo indietro nel mio passato, mi rendo conto di
quanta strada ho fatto grazie al Signore, che va ringraziato sempre. Non
riconosco affatto quello che ero ieri prima di aver sperimentato la presenza di
Cristo nella mia vita, era un’altra entità negativa che agiva al posto mio, dico
sempre che ero io ma non ero io. Ovviamente sono rientrato nella chiesa
cattolica perché sono troppo innamorato spiritualmente della Madonna e questa
gioia che provo dentro non mi è stato possibile condividerla con i fratelli
protestanti ai quali non potevo esternarla ma dico grazie ugualmente alla chiesa
evangelica alla quale devo molto perché è lì che ho mosso i miei primi passi del
mio cammino spirituale, lì ho trovato la mia prima vera àncora di salvezza, la
prima luce tra le tenebre che mi avvolgevano ma col senno di poi penso che
doveva andare così secondo il progetto che Dio aveva stabilito per la mia vita.
Frequento il Rinnovamento nello Spirito, un movimento di preghiera di
ispirazione cattolica che mi ricorda il modo di pregare degli evangelici, ho
capito l’importanza della confessione per riconciliarsi con l’abbraccio del
Padre e la bellezza dell’incontro con Gesù attraverso la santa messa e
l’eucarestia. Ho un solo e unico rimpianto: quello di non aver incontrato prima
Gesù, specie quando ero ancora adolescente, la mia vita sarebbe stata tutta
diversa con la sua presenza in me. Per questo mi sento in dovere di dire ai
giovani con tutto il mio cuore: cercate Cristo e dialogate con lui come con un
amico sincero e non rimarrete delusi e con la stessa intensità di sentimento
dico ai genitori: educate i vostri figli alla fede facendo da esempio perché Dio
ve ne chiederà conto, spalancate le porte delle vostre case a Gesù e pregate
ogni tanto riuniti in famiglia, preghiera che ha un valore immenso agli occhi di
Dio. Auguro di cuore a tutti voi, specialmente a chi è lontano dalla fede, di
cambiare la direzione della propria vita e di dirigere i propri passi verso
Cristo, l’unico che può veramente cambiare il corso e lo scopo della nostra
esistenza terrena, dando una gioia vera, profonda e duratura che non è di questo
mondo, preludio dell’infinito amore che caratterizzerà la nostra vita immortale.
Io sono convinto che l’unico vero dramma o lutto nel nostro più o meno breve
transito su questa terra, sia l’assoluta mancanza di Dio nella nostra vita e
sono certo che fin quando il Signore ci lascerà vivere quaggiù, fino all’ultimo
soffio di vita, ci sarà sempre la possibilità di cercarlo e di rimediare alle
nostre mancanze ma quando si chiuderanno definitivamente i nostri occhi terreni,
non ci sarà più tempo per rimediare e per tornare indietro e sarà troppo tardi.
Dio mi benedica e benedica tutti coloro che leggeranno e faranno tesoro di
questa mia testimonianza.
L a i l a
Un breve racconto
appassionato ed intenso
a tratti tenero e struggente.
Un ragazzino solitario ed introverso
una giovane donna disinibita e spigliata
mossi dallo stesso desiderio:
conoscersi a fondo e sperimentare nuove emozioni.
L'autore,
con umana comprensione
e senza mai scadere nella volgarità,
scruta, indaga, penetra l'animo umano
mette in luce sentimenti e debolezze
coglie e svela ogni pensiero
con finissima introspezione.
Dicono che le storie d'amore tra persone di età differente, siano destinate a
fallire in breve tempo e si presume non abbiano prospettive future di alcun tipo
ma io, della mia Laila molto più grande di me, conservo ancora il ricordo, ed è
il ricordo più bello di tutta la mia vita.
Tutte le ragazze o donne che ho immaginato di possedere o che ho avuto realmente
nel corso della mia esistenza, messe insieme, perderebbero nettamente il
confronto con lei, Laila, il mio sogno proibito, il mio desiderio peccaminoso,
il diavolo vestito d'innocenza, la malizia più sfrontata che si sposa con la
tenerezza
più disarmante; colei che detiene il potere ancestrale di unire in simbiosi
inferno e paradiso, angeli e demoni, fiamme e virtù.
Dicono inoltre che i rapporti intimi consumati o vissuti in età troppo immature,
possano segnare negativamente e per sempre un essere umano; ma io, solo grazie
alla vicinanza del corpo di Laila, son diventato poi un artista creativo, una
specie di "alieno", un sensitivo, profondissimo nella sensibilità e nello
spirito. La sua carica erotica, la sua potenza ammaliatrice meravigliosamente
devastante, mi hanno reso vivo nel corpo e ancor più nella mente. Dietro
l'apparenza d'una opprimente angoscia e della mia inguaribile solitudine, emerge
prepotente un flusso inarrestabile di energia vitale, indomabile e che non
conosce limite.
Avevo compiuto da poco quattordici anni quando lei senza preavviso prese
possesso della mia vita come una spada affilata conficcata dentro la mia tenera
carne, fragile rivestimento d'un corpo ancora impubere.
In quel tempo lontano, ricordo adesso che ero sempre triste, a dispetto della
mia giovanissima età. Tremendamente malinconico ed introverso, solo e senza
amici, possedevo però già da allora in me, l'embrione di quello che sarei
diventato dopo, crescendo, e quel che è accaduto con Laila, non ha fatto altro
che rendermi consapevole della mia vera natura, quasi come se il destino me
l'avesse mandata apposta per affrettare i tempi di questa mia consapevolezza e
per incitarmi a non reprimerla facendomi del male, annullando me stesso.
Non avevo avuto una ragazza fino a quel momento, non conoscevo ancora l'intensa
emozione del primo bacio, gli elettrizzanti brividi che scaturiscono dal
contatto con un corpo diverso dal mio che già avevo imparato a conoscere bene
attraverso le mie continue ed intime carezze solitarie.
Uno strano ragazzo ero io, e forse in parte lo sono ancora, e chissà se è stato
esclusivamente per questo motivo che il destino, beffardo, a voltre crudele,
altre ironico, si è premurato di far accadere gli eventi al momento giusto ed
usando la persona adatta affinchè i suoi disegni trovassero realizzazione,
ennesimo copione di uno strano ed incomprensibile teatro che è la vita, con i
suoi attori mascherati che si muovono come marionette appese a fili
ingarbugliati, senza identità e senz'anima, nel crudele gioco della vita e della
morte, tra cause ed effetti, credendo di operare secondo il proprio libero
arbitrio ma in realta resi intelligentemente schiavi da qualcosa o qualcuno che
nessuno conosce ed è in grado di definire. La mia deliziosa ed accattivante
Laila non era altro che la figlia di questo destino e come tale doveva
obbedirgli.
Ero seduto su una panchina di "villa Dante", uno spazio di verde molto grande
situato nei pressi del centro di Messina, la mia città. Potevano essere circa le
2 o forse le 3 del pomeriggio, non ricordo bene con esattezza ma era un orario
nel quale a me piaceva e piace ancora molto, uscire per camminare un pò per le
strade. Ricordo anche che era un giorno di primavera inoltrata con una
temperatura abbastanza mite ed un'aria fresca, gradevole da essere respirata. Vi
era il sole, il cielo si mostrava azzurro ed anche il verde del parco, l'ombra
degli alberi col sottofondo del cinguettio degli uccellini sul nido, in armonia
con la serenità della natura, sembravano richiamare alla vita e forse all'amore.
Mi trovavo in uno stato di assoluta calma, quasi irreale, assorto in enigmatici
pensieri, con la testa tenuta fra la mani e lo sguardo assente rivolto fisso in
giù verso il terreno, cosparso di foglie. A prima vista, a chiunque fosse
passato per caso di lì in quel momento, potevo benissimo dare l'impressione di
un ragazzino perdutamente solo con i suoi pensieri ed in preda alla disperazione
e allo sconforto più cupo ed oscuro senza nessuna possibilità di salvezza, privo
di qualunque via d'uscita. Quell'atteggiamento però, paradossalmente,
significava interiormente per me, un modo di sentirmi che era esattamente
l'opposto di quel che appariva; era per la mia psiche, sinonimo di rilassatezza
mentale e fisica, serviva a tranquillizzarmi dentro, mi induceva alla
meditazione, alla libertà creativa dei pensieri.
Fu esattamente in quello stato e proprio in quella posizione che mi vide Laila
per la prima volta.
Non so spiegarmi ancora adesso il perchè si sia avvicinata a me non conoscendomi
affatto e quali vere intenzioni o motivazioni l'avessero spinta a farlo nè se
oscuri e complicati pensieri guidassero la sua mente. So però con certezza che
lo fece, purtroppo o per fortuna, e che da quel momento, tutta la mia vita
cambiò radicalmente e niente fu come prima: ero segnato ormai! L'uomo bambino
che era già in me, è stato partorito proprio in quell'attimo ed ha visto per la
prima volta la luce, per poi diventare , nel corso degli anni, quell'uomo
"strano" e "misterioso" che è adesso e che sono certo, rimarrà tale fino alla
fine dei suoi giorni.
Sentii, mentre continuavo ad essere immobile e pensieroso a testa in giù, una
mano dolce, carezzevole, vellutata, quasi serica accarezzarmi i capelli,
avvertii la tenera ed infantile rimembranza di quando, piccolissimo, mi trovavo
impaurito fra la braccia amorevoli di mia madre. Quella mano leggera e direi
magica che giocava spettinando e ricomponendo con cura la frangetta dei miei
capelli, quasi come fosse il tocco di un angelo, si accompagnava poi ad una voce
suadente e persino fiabesca, a tratti misteriosa, che contribuiva alla creazione
di quell'insolito incantesimo. Rimasi con gli occhi socchiusi per imprimere
nella mia mente e nel mio cuore quelle vibranti e intense sensazioni, del tutto
inaspettate e mai provate prima, senza la volontà di alzare minimamente lo
sguardo nel tentativo di scoprire la fonte di quel benessere, era come se avessi
paura di svegliarmi rovinando quel bellissimo sogno, un sogno che però poteva
anche cominciare nell'esatto momento in cui mi sarei risvegliato e forse si
sarebbe rivelato ancora più bello.
Fu lei e soltanto lei però che interruppe quella magia sussurrandomi
all'orecchio:
"Cosa c'è che non va?"---"Perchè sei così triste?---"Hai l'aria di chi ce l'ha
col mondo intero, vuoi parlarne con me?"
A quel punto, d'istinto, alzai immediatamente gli occhi indirizzandoli su lei,
cambiando repentinamente posizione ed atteggiamento: mi trasformai infatti in un
ragazzino curioso ed attento dallo sguardo assolutamente determinato a risolvere
il suo complicatissimo rebus mentre il mio sguardo, prima timido ed impaurito,
ora, incrociando il suo, si mostrava forte e penetrante come se fossi io
l'adulto e non lei.
Siamo rimasti entrambi così: occhi negli occhi, sguardi che si scrutavano in
silenzio, menti che cercavano in tutti i modi di capirsi non conoscendosi
ancora. E fu proprio nell'incertezza e nell'incomprensione di quegli attimi, che
io capii dentro di me chiaramente che, più o meno consapevolmente, mi sarei
consegnato completamente a lei, alla sua forza seduttrice, al suo malizioso ed
intrigante gioco; avrei dato a quella misteriosa e sconosciuta ragazza, il mio
corpo e la mia anima, accettando tutte le possibili conseguenze di una simile ed
incondizionata resa, pronto a raccogliere poi tutto ciò che di bello o di
tenebroso avrebbe potuto accadermi.
Come un sesto senso chiaro ed inconfondibile, capii che quella ragazza, molto
più grande della mia età, mi avrebbe trasportato con se' in posti inesplorati,
sconosciuti, indefiniti, non compatibili con la ragione o con la morale ma,
proprio per questo, attraenti e ricchi di fascino dove la libertà dell'istinto e
delle sensazioni più intime dell'animo umano, non conoscono limiti, non sanno e
non vogliono fermarsi davanti a niente.
Quello che ricordo ancora con meraviglia e tenerezza, è l'amore che io sentii
subito per lei sin dal primo sguardo, proprio come un ragazzino alla sua prima
"cotta", mi innamorai perdutamente di Laila, nonostante l'enorme differenza
d'età, nonostante non sapessi nulla di lei; ma la magia, e insieme la purezza
genuina ed originaria di quel sentimento, non possono essere razionalizzati e
giudicati per nessun motivo al mondo, perchè in tutto ciò che sa di magia, non
può entrarvi il reale o la logica.
Ero fermamente convinto che quella ragazza già donna potesse essere e diventare
il mio primo amore e quindi, conseguentemente, avrei avuto la possibilità di
sperimentare e gustare le emozioni uniche del primo bacio, delle prime intimità,
dei primi piaceri fino ad allora solo immaginati. Tutte queste meravigliose ed
avvincenti scoperte per un ragazzino ancora totalmente inesperto in quel campo
quale ero io allora, sentivo dovevano essere interamente affidate e subordinate
alla sua persona, adattissima e meritevole ai miei occhi del ruolo che avrebbe
dovuto adempiere; era quella sua straordinaria ed esplosiva figura di giovane
donna a darmi questa certezza, e ancora, il suo essere così splendidamente
ambigua, un pò angelo e un pò diavolo, dolce e glaciale, comprensiva e
sfuggente, vicina eppur mille anni luce lontana: amica, sorella maggiore,
amante.
Non fui in grado di rispondere con la voce a quelle sue prime domande che la
facevano assomigliare più a una poliziotta che a una fidanzata, la mia volontà
nel farlo era annientata dalla sua folgorante bellezza, rapita e vittima del suo
misterioso fascino. I suoi occhi, intriganti, indagatori, riuscivano ad emanare
ugualmente luce. Il suo corpo mi dava l'impressione di una potentissima calamita
capace di attirarmi col suo campo magnetico fortemente a sè a tal punto da dover
resistere con tutte le mie forze per non venire risucchiato da lei.
Mi chiedevo con una certa insistenza senza per altro trovare risposte adeguate,
il motivo per il quale una ragazza così bella si potesse interessare ad un
moccioso come me che in fondo puzzava ancora di latte considerando il fatto che
dimostravo circa dodici anni e non ero affatto sviluppato da uomo; ero infatti
molto più simile ad un bambino, esile e con i caratteri sessuali non ancora
delineati, e per di più un ragazzino fino ad allora sempre solo e dimenticato da
tutti che poteva passare tranquillamente sotto le gambe degli adulti senza
essere notato. Per tutti questi motivi, per un attimo mi balenò nella mente
confusa e disorientata, predisposta sin da allora ad essere preda della
fantasia, l'ipotesi che lei non appartenesse al mondo reale e che fosse
addirittura un fantasma o facesse parte di un sogno, come una creatura immortale
e senza tempo, figlia di pura immaginazione. Ma era troppo vera, troppo
seducente, troppo carnale per essere stata inventata da me. Continuavo quindi ad
osservarla con una certa insistenza e notavo che lei non ne provava affatto
imbarazzo ma anzi, al contrario, si sentiva fiera di se', si divertiva ad essere
scrutata in quel modo da un ragazzino, era esibizionista assai più di un pavone
che mostra le sue grazie. Guardavo con attenzione e curiosità tutto di lei: i
capelli lunghi fino alle spalle, ben pettinati, di colore nero intenso come se
fossero stati appena tinti ad arte dal parrucchiere per spiccare ancora di più
con quegli occhi celesti dentro i quali ci si poteva perdere tra cielo e mare
senza mai più ritrovarsi, in un contrasto di bellezza e fascino da lasciar
chiunque la osservasse, senza fiato e senza parole. Anche il suo fisico era
perfetto, tale da far invidia alla più sexy delle modelle, era alta, parecchio
più di me, con le forme giuste in ogni parte del corpo come se fossero state
scolpite appositamente per essere adattate a lei, dal più grande scultore di
tutti i tempi. E poi il suo profumo o il suo odore naturale, non saprei,
sembravano un tutt'uno: era così irresistibile che anche il più pudico e puro
dei maschi esistenti sulla terra, non avrebbe potuto resistergli, credo che
nessun uomo vivo potesse rinunciare a lei.
Indossava una camicetta bianchissima come la sua carnagione, una gonna di jeans
non troppo corta ed un paio di scarpe da ginnastica anch'esse bianche.
Un look tipicamente da teenager che ai miei occhi e non solo, aumentava di molto
il suo potere seduttivo che possedeva comunque anche nei gesti e nel modo di
fare. Ma sarebbe stata attraente ugualmente in qualunque modo si fosse vestita,
anche da zingara o da barbona
e specialmente nuda.
Vedendo che io non parlavo affatto e che non avevo ancora risposto alle sue
domande iniziali, mi chiese educatamente il permesso di sedersi sulla panchina
al mio fianco, ed osservando il mio segno di assenso manifestato mimicamente col
semplice abbassamento del capo, lo fece immediatamente, in fondo era quel che
voleva pur di entrare in un rapporto di confidenza e di dialogo con me. Mi si
sedette accanto tirandosi i lunghi capelli indietro con le mani, portando il
petto in avanti, accavallando le gambe ed infine emettendo un breve ma intenso
sospiro.
Non so cosa mi prese nella mente e nel corpo in quell'attimo ma di certo fu
qualcosa di veramente incontrollabile e insieme sconvolgente: mi ritrovai col
cuore che batteva fortissimo all'impazzata, peggio di un tamburo, sembrava
volesse scoppiarmi in petto da un momento all'altro, ricordo che pensai subito
ad un possibile infarto. Ma era solo uno sconvolgimento naturale, generale però
che coinvolgeva, propagandosi a vista d'occhio, ogni parte del mio corpo.
Un'eccitazione di gran lunga superiore alla masturbazione o alla visione di
giornaletti pornografici o films a luce rossa, tutte sensazioni che avevo già
sperimentato in passato. Questa volta si trattava di molto più di una semplice
eccitazione, l'adrenalina era a mille, devastante, inebriante, il sangue correva
veloce e pareva bollire nelle vene, il respiro diveniva sempre più affanoso,
sembrava mi mancasse l'aria, un malessere totale e diffuso ovunque che
paradossalmente, aveva i connotati del piacere, non capivo più la differenza fra
lo stesso piacere e la sofferenza perchè in fondo si trattava anche di
sofferenza, non fosse altro perchè tutto il mio corpo nella sua totalità stava
reclamando ad altissima voce uno sbocco immediato, come se si trattasse di una
questione vita o di morte, uno sbocco che io non potevo e non sapevo dargli. In
quegli attimi così unici e particolari, ho compreso il dramma dei cosiddetti
"maniaci sessuali" o delle donne "ninfomani" e che in fondo, maniaci a causa del
sesso, lo siamo un pò tutti se analizzassimo più obiettivamente e senza falsi
pudori la nostra situazione di esseri carnali. La cosa tragica e comica al tempo
stesso di quel periodo, consisteva nel fatto che dovevo cercare di nascondere
tutto il mio sconvolgimento interiore a Laila pur avendola vicinissima. Ho messo
una gamba sull'altra illudendomi ingenuamente di coprire la mia erezione ma
nulla potei fare per celare il rossore che appariva nitidamente dipinto sulla
mia faccia. In quel momento, la differenza d'età fra me e lei non contava più
nulla, era disintegrata, regnava soltanto il mio giovanissimo corpo
d'adolescente, esplosivo nei sensi per l'età ma soprattutto per natura, specie
la mia natura già così predisposta a simili sollecitazioni e a picchi di
altissimo livello.
Cercai di girarmi dall'altro lato guardando in tutte le direzioni possibili ed
immaginabili pur di non incontrare il suo sguardo, ero ridicolo, commovente,
tenero, con la assurda presunzione di nascondere ad una donna che stava proprio
al mio fianco e molto più esperta di me, quello che nel corpo e nei miei
pensieri provavo. Non avevo l'esperienza e la maturità di comprendere che ad una
donna se sei furbo e sai recitare, puoi nasconderle tutto, tranne la reazione
fisica che hai nel desiderarla.
Non so cosa passasse nella testa di Laila in quei momenti di evidente imbarazzo
ed eccitazione per me, non mi posi neanche il problema perchè che ero troppo
preso da quel veleno dolce e logorante che mi scorreva nel sangue. Sicuramente
però, nemmeno lei doveva essere tranquilla, non poteva affatto esserlo a meno
che quella situazione riusciva ad analizzarla con occhi comici e non di
disperazione, quest'ottica le avrebbe assicurato una relativa calma e un certo
controllo anche su lei stessa. Forse, può anche darsi, che l'idea di avere
accanto a lei fisicamente, fin quasi a sfiorarla, un ragazzino alle prime
esperienze e forse del tutto vergine, la stimolasse emotivamente e sessualmente,
scuotendola, ed io capii per la prima volta in vita mia che l'incontro tra due
persone mentalmente libere e oserei dire "perverse", riesce sempre a provocare
una miscela di adrenalina esplosiva, condannata senza appello dalla morale e
dalla chiesa ma incoraggiata senza limite dall'istinto.
Ho compreso anche il micidiale potere che ha su di me "il fascino del proibito",
una scoperta che è diventata "legge" per il resto della mia vita e che ha creato
una dipendenza da esso che non sono riuscito ancora a vincere nonostante abbia
fatto ogni sforzo possibile e ogni sorta di preghiera, continui disperati
tentativi sempre inutili ed incapaci di debellare questo mio invisibile
amico-nemico, evidentemente è talmente radicato nella mia psiche da essere più
forte persino della mia stessa volontà: è un dramma tutto umano e carnale quando
il male, individuato come tale, ha ancora presa su di te perchè reso immune
dalla tua inclinazione naturale, è come un nemico che per una vita intera ha
convissuto con te ingannandoti mentre tu con fiducia lo reputavi amico e che poi
improvvisamente e quando meno te lo aspetti, scopri essere il più cattivo dei
mali e tu, pur allontanandolo, non sei in grado di odiarlo come dovresti proprio
perchè senti che una parte di te, più o meno consistente, morirebbe con lui se
provassi a bruciarlo, purificandoti.
Ma se dovessi analizzare oggettivamente e basandomi soltanto su come mi
apparisse all'esterno Laila, forse un pò superficialmente, a prima vista,
l'impressione che mi darebbe sarebbe quella che lei avesse dentro, una assoluta
tranquillità. Ero io, al contrario suo, ad essere un vulcano di idee confuse che
si accavallavano nella mente l'una sull'altra, miriadi di domande puntualmente
senza risposte, un'infinità di iniziative che morivano sul nascere senza alcuna
realizzazione pratica; qualunque psicanalista avrebbe trovato terreno fertile e
materiale in abbondanza per favorire i suoi studi, Laila ma sopratutto io,
eravamo cavie da laboratorio davvero perfette.
Restammo quindi entrambi in silenzio, ciascuno aspettava che fosse l'altro a
parlare ma nessuno di noi due si decise a farlo. Non riesco a quantificare col
tempo la durata di quel silenzio, so solo che per me è sembrato non aver mai
fine, un'eternità ma il tempo è relativo quando ti trovi in uno stato di
tensione emotiva o di stress mentale quale era il mio.
Fu lei, la mia Laila, che riprese in mano la situazione e a condurre quello
strano gioco, e forse è stato giusto così perchè era la più grande.
"Posso presentarmi, vuoi?--- Io mi chiamo Laila ed ho ventisei anni!--- E tu, tu
come ti chiami?--- Quanti anni hai?--- Che classe frequenti a scuola?"
Io, del tutto rassicurato da quei suoi gesti sempre dolci, convincenti, garbati
che denotavano educazione, rispetto, una grande attitudine in genere verso la
socializzazione, la sentii subito amica e complice, ricominciai a trovarmi a mio
agio, avevo fiducia in lei ed anche l'eccitazione sembrava essersi placata come
per miracolo, tanto che mi venne naturale risponderle:
"Piacere! Il mio nome è Claudio ed ho quattordici anni compiuti da poco.--- Sono
in primo superiore".
Ricordo che fui colpito da quel suo nome che sembrava più adatto ad un
personaggio dei cartoni animati che a una ragazza, lo trovai alquanto buffo e
strano ma non le dissi nulla per delicatezza.
Così anche lei potè sentire per la prima volta la mia voce.
"Sembri più piccolo"--- mi disse ancora lei sorridendo e facendomi intuire che
la cosa non le dispiacesse affatto.
"Sì, lo so!--- Me lo dicono tutti!--- Ma ho tempo per crescere" ---fu la mia
risposta, semplice e simpatica.
Quindi restammo nuovamente in silenzio per un altro pò ti tempo, a volte stare
zitti ha più valore di mille parole, accresce il mistero, crea poesia, serve a
riflettere per non commettere errori o passi falsi che potrebbero pregiudicare
tutto quello che di buono è stato costruito fino a quel punto.
Fu di nuovo lei a riprendere l'iniziativa formulando altre intriganti domande:
"Hai la ragazza?"
"No!"--- le risposi deciso io.
"Come mai ?"--- mi chiese di nuovo lei ancora più incuriosita.
"Non lo so neanch'io, non ho mai avuto una ragazza in tutta la mia vita, spero
di trovarne qualcuna che mi voglia prima di diventare vecchio!"--- le dissi un
pò sfiduciato ma con sincerità.
Il fatto di scoprire che non ero mai stato con una coetanea e conseguentemente
neppure con una donna e che quindi ero assolutamente vergine come terra di
conquista da esplorare, la colpì profondamente.
Lo avvertii dal suo sguardo che si accese di colpo, una luce attraverso la quale
captavo una morbosa curiosità di approfondire questa nostra amicizia che già sul
nascere non era normale. Riuscivo altresì a comprendere che lei provava pure un
intenso desiderio di conoscermi meglio, desiderio che sarebbe stato sicuramente
legittimo e giustificabile se io ero un ragazzo di un'età simile alla sua ma che
risulterebbe apparentemente incomprensibile per chiunque l'avesse analizzato in
quel contesto.
Non capivo ancora bene quale fosse il suo folle proposito nei miei riguardi
oppure lo sapevo perfettamente perchè ero un ragazzino molto sveglio ed
intelligente malgrado l'età, forse inconsciamente mi piaceva rimanere nel
dubbio, lasciarmi del tutto rapire da quell'alone di mistero che copriva ormai
entrambi, per essere vittima ed insieme attore principale di questo strano ed
insolito film. Desideravo poter scoprire la verità un poco alla volta per
gustare meglio gli eventi, soprattutto quando si trattava di situazioni così
stuzzicanti e coinvolgenti, capaci di avere presa su persone di qualsiasi età e
quindi anche su un ragazzino di quattordici anni che ne dimostrava a malapena
dodici.
Laila continuò poi a farmi altre domande semplici e scontate sulla mia famiglia,
sui miei amici, sui miei passatempi, i miei gusti musicali, sulla scuola ma
senza mai entrare in argomenti inerenti alla mia sfera intima specie nel campo
sessuale, io rispondevo a tutte le domande, sempre e con la massima sincerità.
Dopo essersi assicurata che potevo tranquillamente rimanere fuori da casa almeno
fino alle otto di sera, come un fulmine a ciel sereno, mi chiese improvvisamente
senza indugi, frantumando quell'atmosfera di normale, sereno dialogo e
servendosi di una voce divenuta di colpo adulta, determinata, risoluta :
"Vuoi venire a casa mia"--- Mi fai compagnia?--- Non abito lontano da qui---Ho
la macchina posteggiata vicino alla villa, una panda rossa.--- Abito da sola in
un appartamentino piccolo con due stanze, col mio fidanzato ci siamo lasciati
per sempre, ora sono libera, libera come l'aria, anzi come l'aquila, hai mai
visto le aquile volare, libere?".
Mentre mi diceva questo, avvertivo in lei una certa eccitazione che similmente
era presente anche in me, cercava di mostrare il più possibile sicurezza, mi
dava invece l'impressione di essere alquanto spaventata come se temesse di
essersi spinta oltre il limite fino a sconfinare là dove sarebbe stato difficile
poi controllarsi, faccia a faccia con il volto inquietante del rischio.
Ma il desiderio crescente di ricevere al più presto una mia risposta, positiva o
negativa che fosse, le riede di nuovo forza e coraggio annullando quel germe di
pentimento che si stava affacciando in lei per riportarla alla ragione, quella
della logica, non della carne.
Io mi sentii venir meno e il mio cuore riprese nuovamente ad accelerare il suo
ritmo senza sosta, anche a quattordici anni si può desiderare una donna e la
passione che si accende non si può indirizzare verso un'età specifica, la legge
dei sensi va dove vuole e tu hai solo da scegliere: o la reprimi o la segui! Ed
io, in bilico, posto esattamente al centro o per meglio dire sospeso tra queste
due soluzioni, in un primo tempo non sapevo proprio che fare, come comportarmi.
Cercai in quel brevissimo tempo che Laila mi concedeva per rispondere, per
quanto mi era possibile in quella situazione di totale confusione e smarrimento
mentale, di riordinare in qualche modo le idee per poterle dare una risposta il
più possinile coerente con la mia volontà, ma non può esistere una scelta libera
dove vi è il richiamo dei sensi e per di più a soli quattordici anni. Di certo
riuscivo a comprendere che la desideravo o più semplicemente ne ero fortemente
attratto come forse anche lei inspiegabilmente lo era verso di me. Mi piaceva
tutto di lei, la differenza d'età, per me, non era affatto un problema. Pensavo
che se si fosse trattato di una mia coetanea, sarebbe stato sicuramente tutto
più facile, naturale e meno complicato ma mi rendevo conto al tempo stesso che
il desiderio non sarebbe stato così forte ed intenso, il solito e sempre
presente "fascino del proibito" si diverte ogni volta ad uscire alla scoperto
nei miei pensieri rivendicando il suo incontrastato potere su di me sin dall'età
di quattordici anni e ancor prima. Il desiderio di voler andare fino in fondo a
quella storia, la curiosità in parte fanciullesca di conoscere il finale, di
aprire quel cassetto che tutti ti dicono sin da piccolo di tenere chiuso senza
spiegarti il perchè, il timore di avere poi rimpianti per aver perso
un'occasione mai più ripetibile e altri motivi simili messi insieme, mi spinsero
in maniera decisa ad accettare il suo invito, del resto a quell'età gli ormoni
sono in tempesta, non li puoi controllare e dominare, basta un nonnulla per
farli esplodere, reprimerli ti fa stare peggio; è un pò come avere una Ferrari e
non sapere come guidarla e a chi ti offre la possibilità di farti da istruttore
di guida, chiunque esso sia, tu non puoi dire di no. E questo è esattamente che
quello che ho fatto io, prendendo in esame il fatto che avevo trovato una
istruttrice di guida che era una vera "bomba" e conosceva bene il suo mestiere.
Certo ci poteva essere il rischio di correre troppo e di essere vittima di un
incidente stradale più o meno grave ma è sempre meglio correre che star fermi, e
poi non è affatto detto che si investa, basta usare prudenza ed avere fortuna,
quella è necessaria sempre in ogni campo della vita. Così la mia voglia di
sentirmi già grande ha trionfato contro l'idea di restare chiuso nella bambagia
e dissi un sì convinto a Laila.
Scaricare comunque tutta la responsabilità di quella mia scelta soltanto a lei
in quanto adulta, sarebbe troppo semplicistico e sbagliato. Io ero assolutamente
consapevole di voler andarci, nessuna forma di costrizione se non la sola forza
della seduzione da parte sua ma ero totalmente libero di rifiutare. Ho detto sì
perchè era bella e mi piaceva, questa è la verità e basta, non esistevano altre
verità nascoste o pressioni subdole. Avevo già ben piantato nel mio DNA quel
germe che oggi, in età adultà, mi fa continuare ad essere quello che sono,
reclamando la totale libertà dei sensi, sbagliata o giusta che sia, diabolica o
naturale non saprei.
Laila si rivelò entusiasta nell'udire la mia risposta positiva, neanche lei si
aspettava una determinazione così radicata in un ragazzino di quattordici anni
ma, evidentemente, il destino scopre le carte e ha il potere di far incontrare
fra loro persone giuste al momento giusto.
Spruzzava felicità da tutti i pori ed ero felice anch'io per aver contribuito
nel mio piccolo a renderla gioiosa, ma eravamo più belli entrambi, merito della
forza misteriosa, pericolosa, dissacrante dell'eros ma pur sempre una forza,
diamo a Cesare quel che è di Cesare.
La mia Laila non perse un solo attimo di tempo, si alzò di scatto dalla panchina
con una strana luce negli occhi che a me pareva persino fosforescente e mi
afferrò la mano con la sua invitandomi ad alzarmi, stringendomela così forte da
incutermi un improvviso brivido di paura, ma fu solo un lampo, un brevissimo
lampo, come il flash d'una macchina fotografica.
Lei camminava in fretta avanti, io la seguivo un paio di metri distante da
dietro, come quel padre geloso che segue la propria figlia di nascosto e senza
farsene accorgere, mimetizzato sotto il cappello e coperto dall'impermeabile,
magari persino col giornale in mano, facendo finta di leggerlo e guardandola da
dietro gli occhiali scuri.
Vidi la sua panda color rosso fuoco tipo le fiamme dell'inferno, era posteggiata
poco distante da quella villa proprio come mi aveva detto lei in precedenza. Era
un'auto pulita, ben tenuta tanto da sembrarmi appena uscita da un'officina per
il lavaggio. Per un attimo pensai che se le era fatta lavare in vista del nostro
incontro ma poi pensai subito che non era affatto possibile, a meno che non
aveva il dono di predire il futuro, ormai dopo quello che di strano mi stava
accadendo quel giorno, non escludevo più nessuna ipotesi, anche la più
inverosimile.
Laila aprì lo sportello, quello situato accanto al posto di guida e con estrema
gentilezza mi fece segno di entrare e di sedermi, io lo feci subito senza
lasciarmi minimamente pregare, chiuse in fretta lo sportello, aprì l'altro e si
sedette al volante e via più veloci della luce, si fa per dire perchè a Messina
c'è sempre traffico in ogni ora del giorno. L'odore suo inebriante, due gambe
splendide che non potevo fare a meno di notare con la coda dell'occhio mentre
guidava, e poi ancora il seno perfetto che s'intravedeva dalla camicetta e che
sembrava sollecitare la mia attenzione ad ogni suo movimento, i capelli che
ondeggiavano al vento man mano che l'auto prendeva velocità quasi come una
puledra in libertà nei campi, insomma tutto di lei stava cominciando a
procurarmi un'altra violenta ed incontrollabile eccitazione, nessuna ragazzina
della mia età mi aveva mai stimolato così tanto. No! Non si trattava di un sogno
o di una semplice fantasia erotica dove sarebbe bastato svegliarsi dandosi un
pizzicotto per ritornare alla normalità, no! Lei era vera, straordinariamente
vera, in carne e ossa, molta più carne che ossa. Ricordo che per un attimo, pur
di liberarmi col pensiero da quel dolce tormento, provai persino con
l'immaginazione a trasformarla in una vecchia racchia piena di lentiggini,
brufoli e cellulite ma fu uno sforzo vano perchè appena aprivo nuovamente gli
occhi e vedevo lei, lei e soltanto lei, nessun'altra immagine o figura creata da
me per contrastarla, riusciva a prendere il sopravvento su lei, la mia Laila
eclissava tutto e regnava sovrana, fuori e dentro di me.
Per un attimo credetti persino di raggiungere l'orgasmo, lì sulla macchina,
senza nessun contatto fisico con lei ma semplicemente avendola vicino; per non
sporcarmi e rovinare tutto ancor prima di cominciare, cercai di distrarmi in
tutti i modi possibili ma tutti i miei pensieri ormai si affollavano su lei.
D'un tratto, mentre guidava, mise la mano nella sua borsetta, tirò fuori un
pacchetto di sigarette e mi pregò di prenderne una e metterla nella sua bocca
visto che lei era impegnata nella guida. Cercai nella borsa l'accendino che
doveva pur esserci da qualche parte, lo trovai finalmente, e appoggiai la
sigaretta in quelle sue sue labbra morbide da baciare ma senza l'ombra di un
rossetto, quel giorno era completamente senza trucco, acqua e sapone e forse fu
meglio per me perche non avrei potuto resisterle se fosse stata truccata magari
come una vamp o una prostituta o un'attrice di film porno. Immaginai per un
attimo come potesse essere bella ed attrante se fosse stata truccata e fui colto
da un altro ennesimo brivido di eccitazione, fortunatamente, questa volta di
breve durata. Con le mani tremanti portai l'accendino vicino alla sue labbra e
lei accese la sigaretta spostando leggermente la faccia in avanti e sorridendomi
con un sorriso complice, come chi prometteva al più presto una ricompensa,
riprese quindi a guardare la strada. Avrei voluto chiederle il motivo per il
quale in quel giorno non fosse truccata e se amava farlo di solito ma poi un
altro pensiero mi convinse a stare zitto, non capivo neanch'io il perchè.
Arrivammo finalmente a destinazione, avevamo impiegato circa una ventina di
minuti. Abitava nella parte sud della città, nella zona di San Filippo dove vi
sono gli impianti sportivi e lo stadio da poco costruito del Messina calcio.
Era un complesso con una serie di case poste a schiera con un ampio posteggio
numerato per lasciare le auto ciascuna nel posto assegnato. Entrò con la
macchina nello spazio a lei consentito e scese per prima dalla vettura, prese la
borsa e chiuse a chiave la sportello di guida. Io rimasi come paralizzato ad
osservare il complesso di case, i posti auto, l'ambiente circostante, una strana
sensazione di confusione mi si stava affacciando nella mente, troppo provata dai
rapidi cambiamenti di quel giorno e quindi non più tanto lucida.
"Sveglia "---mi disse scuotendomi da quell'inaspettato torpore e mi fece cenno
di scendere dall'auto, chiuse a chiave anche l'altro sportello e si incamminò
senza troppa fretta verso casa, io come un automa o meglio ancora come un
barboncino fedele, la seguivo poco distante da lei. Laila appariva calma,
serena, per nulla turbata da quel che poteva avvenire tra di noi nell'intimità
di casa sua e a tutte le possibili incontrollabili conseguenze che avrebbero
potuto derivarne, vista soprattutto la mia giovanissima età. Era come se ormai
avesse la certezza di tenere tutto sotto controllo e mi avesse tranquillamente
in pugno, del resto era la verità, qualunque cosa avesse voluto da me, l'avrebbe
ottenuta con estrema facilità, io gliel'avrei concessa, docilmente e senza
condizione alcuna; era un divertimento anche per me, non solo per lei, non v'era
l'ombra del sacrificio, eravamo responsabili e complici allo stesso livello
malgrado una fosse maggiorenne e l'altro minorenne, ero ragazzino lo so, ma non
ero affatto stupido nè handicappato ed anche se non l'avevo mai fatto e
probabilmente non sapevo neanche come si facesse, sapevo benissimo quello che
sarebbe potuto accadere e a cosa sarei eventualmente andato incontro. Fino ad
allora l'avevo visto fare solo nei film hard ma una cosa è vederlo, un'altra è
essere tu il protagonista assoluto, provare direttamente sulla tua pelle e con
una donna a fianco quelle emozioni. Non solo, ma non avevo mai visto fino a quel
giorno una donna vera nuda, neanche col binocolo.
In quel momento sentivo che era giusto quello che stavo per fare perchè nel mio
cuore credevo d'amarla davvero e quindi mi sembrava un rapporto vero d'amore e
non solo una relazione di sesso occasionale. Questa convinzione non mi faceva
vedere nulla di sporco in tutto ciò ma anzi mi sembrava del tutto legittimo e
naturale farlo con la perona che amavo. Oggi sono fermamente convinto che anche
quando tra due individui ci sia apparentemente un rapporto di solo sesso, credo
che esista sempre all'interno di esso, in profondità, un meccanismo,
un'affinità, una sintonia mentale, un'attrazione reciproca che a mio giudizio
non può prescindere dall'amore vero e proprio e che è necessariamente
riconducibile ad esso, varia soltanto la forma d'espressione e l'intensità di
questo sentimento. Spesso non si ha il coraggio di ammetterlo neanche a se
stessi perchè è molto più comodo reprimerlo in nome di una libertà che in realtà
non esiste affatto ma è solo illusoria.
Erano, quelle case che stavo osservando, tutte dello stesso colore, di uguale
forma e della stessa altezza, tre piani, fra l'altro Messina è un città ad alto
rischio sismico per cui la legge impone categoricamente di non superare i sei
piani d'altezza. Penso comunque che all'interno di esse, quelle abitazioni si
diversificassero fra loro per il numero di stanze. Laila, mi informò che abitava
al secondo piano e che avremmo risparmiato le scale prendendo l'ascensore che
trovammo già pronto per noi, come fosse nostro complice e non volesse farci
perdere del tempo prezioso.
Entrammo in esso e in quei secondi che passammo lì dentro, io mi convincevo
sempre di più di amarla. L'amore che credevo di sentire per Laila in quel
momento e dentro quell'ascensore, era per me molto più importante di un
possibile rapporto sessuale fine a se stesso, io quella ragazza ero desideroso
di sposarla quando sarei diventato maggiorenne.
Arrivammo al secondo piano, mi spiegò che la casa era in affitto e che il
cognome che vedevo nella targhetta della porta non era il suo ma della padrona
di casa. Sapevo che si era lasciata da poco col suo fidanzato e che non l'amava
più, l'averlo sentito direttamente dalla sua bocca quando eravamo seduti in
quella villa, mi ha reso felice, non avevo più nessun rivale in amore, niente
sofferenze per gelosia, lei poteva essere mia e soltanto mia. Avrei voluto
chiederle informazioni circa la sua famiglia, se avesse ancora un padre o una
madre o li avesse persi entrambi, se avesse fratelli o sorelle o fosse figlia
unica, se lavorasse ed eventualmente dove ad altre notizie di questo genere ma
preferii tacere per non sembrare invadente, comportandomi nell'identico modo di
come avevo agito in macchina e cioè non chiedendole se amasse truccarsi. Mi
bastava sapere che era una donna libera, senza figli e senza essere sposata e
per di più con una casa tutta sua, sia pure in affitto, tutto l'opposto rispetto
a me che vivevo ancora alle dipendenze dei miei genitori, sotto il loro tetto e
che dovevo rientrare a casa ad un certa ora pena severe punizioni fatte a fin di
bene, si fa per dire.
A prima vista, aprendo la porta, la casa appariva piccola ma ben tenuta, pulita,
curata, ordinata, persino profumata, sembrava un vero gioiellino, si notava
subito la mano esperta di una donna, l'ideale alcova d'amore per due
piccioncini, io e lei in questo caso.
Si recò in cucina, io dietro come la sua ombra, il suo fantasma assecondandola
in tutto ciò che faceva, la fiducia verso lei aveva raggiunto punte altissime,
mi fidavo ormai ciecamente, la conoscevo solo da qualche ora ma mi sembrava di
conoscerla da sempre. La consideravo ormai un'amica vera, una ragazza
assolutamente normale, non scorgevo più nessun mistero nella sua personalità,
nessuna forma di timore verso di lei, soltanto quel suo nome Laila, lo reputavo
ancora alquanto curioso e particolare come quando me lo disse nella villa; ma di
nomi strani, specie stranieri, ve ne erano in giro a dosi elevate quindi il suo
non mi sorprendeva poi così tanto, e poi una persona originale come lei era
giusto che portasse un nome non comune, mi convinsi di questo.
Laila apri il frigo, prese una bottiglia d'acqua gelata, la versò in un
bicchiere e la bevve tutta d'un fiato, evidentemente doveva avere un gran sete
malgrado non ci fosse un caldo insopportabile ma forse era un altro tipo di sete
la sua, chissà! Avrei voluto sconsigliarle di bere acqua gelata perchè avrebbe
potuto farle male allo stomaco, io stesso non bevevo mai acqua dal frigo, ma
ancora una volta preferii rimanere con la bocca chiusa per non contrariarla. Mi
chiese se anch'io avessi sete e al mio "no grazie" non insistette più di tanto.
Poi tornò indietro e chiuse a chiave la porta d'ingresso che aveva lasciato
aperta prima, forse perchè vinta dalla troppa sete. Fu quello il segnale della
mia completa arresa a lei e alle sue voglie, accettai senza esitazioni e senza
proferire parola alcuna, la sua ormai imminente seduzione.
Andò quindi decisa nella camera da letto spalancando la relativa porta che prima
appariva socchiusa. Ricordo ancora adesso con un'emozione fortissima e con un
brivido sulla pelle, quello che provai nel vedere per la prima volta quella
stanza. Mi sembra di riviverlo oggi allo stesso modo di allora, con la stessa
identica intensità! Certe sensazioni, nella vita, non si potranno mai
dimenticare. Se avessi deciso di non seguire quella ragazza e di rimanere seduto
da solo su quella panchina in quella villa, non avrei potuto rivivere quelle
splendide emozioni e soprattutto non mi sarebbe stato possibile scrivere questa
storia, che, ci crediate o no, è assolutamente reale.
Bellissima, appariva agli occhi miei, quella camera con quel lettino tenero e
grazioso, il cuscino morbido che sembrava quello di una principessa, alcuni
pupazzetti come fosse rimasta nel suo io ancora bambina. Tutto lì dentro sapeva
di favola, di magia, suggestivi i colori, particolare l'arredamento, ogni cosa
denotava fantasia e buon gusto, l'atmosfera era accomodante, idonea per
qualsiasi rapporto intimo d'affetto o altro. Ma la parte più importante di ciò
che mi ruotava intorno, era lei e soltanto lei, l'attrice principale, la mia
sirenetta e forse regina, la donna del grande amore, per la quale vivere e
morire, il concentrato di tutti i miei sogni e desideri, quelli più veri ed
autentici ma anche anche i più segreti ed inconfessabili. Quella sua camera da
letto, piccola e tutta raccolta in se' stessa, era il palcoscenico ideale
affinchè un ragazzino di quattordici anni potesse finalmente giocare a fare
l'eroe. Forse qualunque altro uomo, indipendentemente dal condizionamento
sociale o dalla propria morale, avrebbe pagato qualsiasi prezzo pur di trovarsi
lì al posto mio, da solo con quella bellissima ragazza ma l'assurdo ed
incomprensibile destino, forse per un colpo di fortuna o chissà per quale altro
arcano mistero, ha voluto che ci fossi io, la persona forse meno indicata per
coglierne il fascino, la poesia e l'intensità di quell'attimo. Può darsi invece
che la tenerezza disarmante dei miei giovani anni, fosse l'ideale per conferire
a quella particolare situazione una carica emozionale incommensurabile ed
irripetibile.
La mia Laila, contrariamente ad ogni mia previsione, non si spogliò subito ma
rimase completamente vestità ne' tentò in alcun modo di denudare me. Ai miei
occhi ragazzini però, appariva seducente e bellissima ugualmente, forse anche di
più di come avrebbe potuto sembrarmi se fosse stata nuda, ricordo bene che non
rimasi affatto deluso da quella sua decisione, io mi ero innamorato di lei nella
sua interezza, nuda o vestita per me avrebbe avuto lo stesso significato. Il
solo fatto di trovarmi lì nella sua camera da letto solo con lei, era per il mio
cuore motivo di gioia ed insieme di latente e prematuro orgoglio di maschio.
Poi, improvvisamente, si sdraiò di colpo e a pancia in su, a peso morto sul
letto, tenendo le braccia allargate e protese da ambedue i lati come in atto di
chi è stata appena crocifissa, con la sola bocca leggermenta aperta, lasciando
intravedere una lingua bellissima e pulsante di vita come fosse un piccolo
serpentello e lei stessa la mia Eva nell'Eden.
Mi fece cenno dolcemente di sdraiarmi sopra di lei, lo chiese con grazia,
attraverso un gesto di totale rassicurazione ed insieme di conturbante
complicità.
Dopo un attimo iniziale di smarrimento da parte mia, sentendomi gratificato
dall'interessamento di una così bella donna verso di me che in fondo ero solo un
ragazzino insignificante e privo di esperienza, capii che era mio dovere non
deluderla e non darle un dispiacere e agii seguendo quello che mi aveva invitato
a fare, lo feci con estrema naturalezza e senza per nulla sforzarmi.
Mi distesi quindi su lei e provai subito una situazione d'imbarazzo ed insieme
di eccitazione, mai infatti nel corso della mia breve vita, neanche con la sola
immaginazione, avevo preso in considerazione l'ipotesi di trovarmi realmente in
una posizione simile, col mio corpo schiacciato sopra quello di una donna. Fu
un'emozione intensissima per coinvolgimento emotivo e sconvolgimento dei sensi,
intuii la capacità della potenza erotica che è in grado di sprigionarsi nel
momento in cui si ha sotto il proprio corpo di maschio, quello di una donna.
Anche se ci si sforza di cogliere principalmente il lato spirituale e
sentimentale del rapporto che indubbiamente esiste anche, è la carnalità
selvaggia ed animalesca che prepotente esce fuori e ne prende inevitabilmente il
sopravvento e questo accade a qualunque età anche e in special modo a
quattordici anni. Si dirà, forse per luogo comune, che in quel contesto una
donna stava soggiogando e persino violentando un ragazzino incapace di
comprendere e di difendersi ma io giuro che non mi sentivo affatto violentato o
indifeso anzi, al contrario, la violenza l'avrei subita realmente se avessero
tentato con forza di allontanarmi da lei e da quel posto, sarebbe come se
provassero a svegliarmi di colpo interrompendo bruscamente un bellissimo sogno,
facendomi ritornare tristemente nella mia solita, monotona e senza senso, realtà
di ragazzino. Allora sì che sarei potuto rimanere segnato in negativo per tutto
il resto della mia vita.
Ci guardammo per un bel pò di tempo fissi negli occhi sempre restando fermi in
quella posizione e senza parlare. Mi sorpresi per la naturalezza mediante la
quale riuscivo tranquillamente a sostenere il suo sguardo pur essendo così
vicino a lei con i miei occhi che quasi toccavano i suoi. Lo trovai alquanto
strano perchè la mia innata timidezza mi impediva spesso di fissare a lungo
negli occhi qualunque interlocutore, specie una ragazza ma evidentemente con lei
tutto era diverso, Laila era la donna della mia vita e con la sua presenza
crollava ogni mia timidezza, era abbattuto l'incrollabile muro del tabù e delle
inibizioni, mi sentivo perfettamente a mio agio. Non posso far altro che
riconoscere con la mente adulta e più matura, si fa per dire, di adesso che il
merito di quel mio stare bene e sicuramente da attribuire a lei. Quella ragazza
era riuscita, secondo me senza trappole o schemi preordinati, ad acquistare la
mia fiducia, e lo ha fatto con estrema naturalezza e spontaneità, semplicemente
mostrandosi per quello che era, esprimendo liberamente ciò che voleva senza
maschere di ipocrisia o doppi fini di convenienza. Lei mi ha dato una grande
lezione di vita con stile e garbo, in questa società di oggi dove tutto è
affare, convenienza od opportunismo e nessuno fa niente per niente.
Poi Laila mi sussurrò all'orecchio continuando a guardarmi dentro gli occhi:
"Fa' di me quello che vuoi! Tutto quello che ti senti di fare, liberamente,
lasciati andare ma non fare nulla di ciò che non vuoi, se preferisci puoi
spogliarmi, accarezzarmi dove e come vuoi tu!"
E fu così che io, timido ed introverso ragazzino, da una condizione di schiavo
di quella situazione come lo ero fino a pochi istanti prima, mi trasformai
improvvisamente in assoluto padrone ed arbitro della situazione medesima.
Io che non avevo mai avuto nessun contatto fisico con l'altro sesso sino ad
allora, ecco che mi ritrovavo tra le mani e tutto in una volta, il massimo che
un ragazzino potesse avere e desiderare, scherzi del destino? Non lo sapevo
neanch'io nè mi ponevo il problema, impegnato e preso com'ero da quei momenti
indimenticabili che capitano una sola volta nella vita e mai più.
Come un bambino che trova in regalo dinanzi a se' un'infinità di giocattoli uno
più bello dell'altro e felice ed emozionato non sa quale usare per primo nei
suoi giochi, così mi sentivo io che volevo ma non sapevo come fare per iniziare
e con quale mossa cominciare.
Lei, sicuramente molto più esperta di me, sorprendentemente non prese la benchè
minima iniziativa, restando del tutto passiva, attendendo ma non osando, pur
desiderandomi almeno quanto io desideravo lei, se non di più.
Forse la mia età troppo giovane la induceva ad avere prudenza e a comportarsi in
quel modo o forse era solo questione di rispetto, di educazione, di altruismo,
tutte doti che possedeva innati in lei, a farla reagire in quel modo.
Finalmente il mio istinto si lasciò guidare dal cuore e decise di compiere il
gesto più dolce, tenero e commovente che esista al mondo, meraviglioso preludio
di ogni rapporto d'amore: il bacio. L'amore autentico che credevo di sentire nei
suoi confronti, la voglia di vincere a tutti i costi la paura di non sapere come
baciare, il desiderio e la curiosità di provare a farlo per la prima volta e con
la persona giusta che comprenda e non giudichi possibili miei immaturi sbagli
nel compierlo, mi spinse ad avvicinare le mie labbra alle sue.
Capii in quel momento che dovevo tirare fuori la lingua e strofinarla alla sua,
proprio come avevo visto fare tante volte nei films d'amore e non solo, era
indispensabile per sentire più vicina la persona che ami. Anche in questo caso
trovo straordinario il fatto che Laila continuò a recitare il ruolo passivo di
chi cercava solo di assecondare i miei desideri senza mai avere la pretesa di
essere e fare la mia insegnante nonostante avesse tutte le qualità e le capacità
per farlo, evidentemente il rispetto verso di me era incredibilmente illimitato.
Anche nel contatto delle lingue notavo che lei si limitava, anche se con
moltissima passione e trasporto, a seguire i movimenti della mia lingua contro
la sua, senza metterci nulla della sua arte amatoria che doveva avere, eccome!
Sembrava una ragazzina, come se stesse provando anche lei la magia del primo
bacio.
Oggi, ripensando a tutto questo, non posso che confermare la grande ammirazione
che conservo sempre nel cuore per lei, una ragazza bella, libera, disinibita,
educata, pulita, intelligente e con mille e mille altre qualità che avrebbero
bisogno di parecchi fogli di carta per poterle elencare. Mi son chiesto spesso
se con un uomo della sua età, si sarebbe comportata allo stesso modo, una
domanda assillante alla quale non potrò mai dare una esatta risposta.
Quel mio primo bacio si rivelò lungo e appassionato come non mai, regalandomi
sensazioni troppo intense per poterle anche solo descriverle a parole, non le si
darebbe infatti giustizia, certe emozioni vanno vissute realmente in prima
persona e basta, solo allora ci si può rendere conto della loro straordinaria
intensità. Quello che più mi sorprese di quell'atto fu la capacità che esso
possedeva nel coinvolgere in maniera totale ed elettrizzante ogni minuscola
parte del mio corpo senza escluderne nessuna, ogni particella, ogni molecola,
ogni atomo di me vibrava, partecipava a quell'iniziazione, a quel rito d'amore
come il coro di un orchestra che cantava note di armonico piacere. E pensare che
qualcuno chiama ancora "fornicazione" quell'attimo di intenso piacere che il
nostro corpo attraverso la creazione della natura madre, ci vuol offrire; c'è
tanto, troppo odio e sofferenza nel mondo, mi chiedo perchè condannare anche un
atto d'amore o di sesso, è pur sempre un'emozione, dove sta il male? Perchè lo
si deve trovare per forza e ovunque anche nell'unico posto dove non c'è.
La cosa curiosa e comica al tempo stesso, consisteva nel fatto che il semplice
baciarsi sia pur appassionato, alla "francese" come si definisce di solito, per
me equivaleva ad un rapporto sessuale vero e proprio, era talmente intensa e
dolcemente violenta l'emozione che provavo in tutto il mio essere che non potevo
assolutamente concepire un'emozione ancora più forte tipo quella che
scaturirebbe inevitabilmente da un rapporto sessuale completo. La mia mente
infatti non era in grado di formulare, accettare o concepire anche la sola idea,
il solo pensiero che potesse esistere un piacere più intenso di quello che stavo
provando nel baciare Laila.
Sentivo il cuore esplodermi in petto, tutto il mio sangue rimescolarsi nelle
vene, una tempesta erotica di gran lunga superiore al piacere provato in tutte
le mie masturbazioni solitarie fatte in precedenza e messe tutte insieme. Dovevo
esplodere, proprio come una bottiglia di spumante smossa furiosamente, non feci
più alcuna resistenza nel tentativo di oppormi, non ero nelle capacità di
poterlo fare pur volendolo, e raggiunsi, sempre baciandola, un orgasmo
intensissimo e lunghissimo che sembrava non finire mai malgrado la mia giovane
età, ma era davvero troppa la tensione accumulata in quel giorno. Lo raggiunsi
accompagnandolo con un dolce lamento a metà tra un urlo e un sospiro e mi sentii
subito bagnato nelle mie parti intime ma senza viverlo come un dramma o con
sensi di colpa ma come una conseguensa del tutto naturale ed indispensabile.
Lei ovviamente si rese conto di tutto quel che mi stava capitando da subito e
contribuiva con l'intensità del bacio ad indirizzare il mio dolce e vibrante
cammino verso l'orgasmo, ruotando la sua lingua più velocemente in prossimità di
esso, in perfetta sintonia con i movimenti della mia, staccando la sua bocca
dalla mia bocca solo dopo che io, dopo aver raggiunto l'orgasmo e
volontariamente, avevo smesso di baciarla.
Venni in questo modo, del tutto originale e prematuro ma non per questo meno
bello e coinvolgente. Godetti senza nemmeno averla spogliata, senza neanche aver
sfiorato il suo corpo con un solo dito e senza che mi facesse la benchè minima
carezza, sembra tutto così finto ed incredibile analizzato con gli occhi di
adesso!
Dopo aver raggiunto quell'estasi, istintivamente sentii forte il bisogno di
restare sdraiato su di lei, con il capo chinato da un lato appoggiato tra i suoi
seni e gli occhi chiusi, sentivo il bisogno di dormire, di rimanere più a lungo
possibile in quel modo assaporando la quiete di quegli istanti successivi
all'eccitazione. Anche questa volta, e non poteva essere altrimenti, lei
pazientemente e con amore assecondò in pieno questo mio desiderio, facendo
prevalere la mia volontà rispetto alla sua voglia erotica che era rimasta
inappagata. Fino all'ultimo istante Laila mi dimostrò la sua grandezza
interiore, la sua comprensione, la sua dolcezza.
Prima di chiudere gli occhi e di addormentarmi sul suo corpo inerme, trovai la
forza per dirle soltanto queste semplici parole ma dettate dal profondo del mio
cuore:
"Ti amo Laila! Vuoi sposarmi?"
Lei sorrise e dopo mi rispose:
"Sì, quando sarai più grande"
Chiusi gli occhi felice e mi addormentai con la sua mano fra i capelli.
Storia d'un vecchio eremita
Vivo quassù tra le montagne, rifugiandomi nel mio nido silenzioso, in un lungo e
solitario esilio. Ho abbandonato il mondo con il suo grigiore per osservare
felice i colori dell'arcobaleno ed ogni volta scoppio a piangere di gioia mentre
la mia anima si purifica nella luce del sole.
Non ho incubi che mi svegliano di soprassalto, non vedo più quei mille volti
della gente pronti a sommergermi, è lo sguardo magico della natura che m'incanta
e mi protegge nel buio come una madre schiude le ali sul suo piccolo.
La scala dei miei giorni, di gradino in gradino, sta salendo sin lassù, per
questo veglio paziente ogni alba che nasce, così giorno dopo giorno m'avvicino
al cielo e non ho paura di volare via nell'ora del tramonto, so che rinascerò in
primavera per non essere mai più solo.
La morte mi aprirà le porte alla vita eterna e gli occhi della natura, che sono
stati la luce della mia terrena esistenza, diverranno gli occhi di Dio lassù.
Attendo la pace della sera per addormentarmi in un lungo sonno, stelle d'argento
e cori di uccelli, porteranno lontano oltre le montagne l'eco della mia
solitudine ed i miei sogni fragili saranno foglie verdi d'un albero solitario
che la collera del vento non potrà mai spazzare.
Un freddo e misterioso inverno, busserai alla mia porta frustata solo dal vento,
e addentrandoti nel mio nido, troverai quel panno che mi asciugava il sudore, il
bastone che aggrappava la mia fatica, una candela che non si consuma. E quando
sarai al sicuro, rivivrai i ricordi di quello che sono stato, ammirerai la
statua di quello che sono adesso.
In un angolo buio, impolverato da tele, scoprirai il mio diario segreto,
frammenti d'una vita mai vissuta, povera fuori, ricca dentro: Non bruciarlo ma
fanne tesoro. E' la memoria che infrange i secoli e vince il silenzio
dell'universo, il buio della morte.
Fantasmi nella notte
Ascolta.... ragazza sperduta in quest'infinito.
E' notte, ogni cosa intorno è spenta e tace.
Nel silenzio, dolcissimo, altre sensazioni di un mondo totalmente sconosciuto ma
intrinseco con i nostri giovani spiriti, vivono con suoni e colori in dimensioni
parallele e niente è ciò che sembra. Attimo fugace, come un fiore che sbocciando
muore, in questa notte t'amo per non amarti più.
Noi due siamo come fantasmi nella notte, anime vaganti in cerca d'amore,
muovendoci insieme, in trasparenza, candidamente invisibili, ci avviciniamo
piano per non aver paura nell'oscurità.
Noi due fantasmi nella notte, solitari astri dispersi nel grande firmamento
lassù, senza tempo e senza storia, rapiti dall'oblio, misteriosamente avvolti
dalle tenebre, angeli di questa giovinezza. Magicamente lontani dal flusso
impetuoso della multanime esistenza, noi due non avvertiamo più il battito
sconfinato dell'infinito come orrenda solitudine e mistero interminabile. La
realtà ci appare come un susseguirsi di fantasmi vuoti e meccanici ed ogni
residuo di tristezza si smarrisce del tutto o vibra remoto in un placamento
soave.
Ragazza sconosciuta! sei bella tra le ombre, sei più bianca della luna, il tuo
viso brilla come una candela..
Lascia questa mia mano che hai stretto così fugacemente questa notte.
Alle prime luci dell'alba le nostre strade si divideranno per non ritrovarsi mai
più.
Abbiamo acceso un fuoco in noi che il vento della vita che fugge spegnerà
presto.
Non dimenticarmi ovunque sarai, io non ti dimenticherò ovunque sarò anche se
resteremo per sempre fantasmi nella notte.
I burattini umani
Sono vivo o sono morto da secoli? Sono libero o qualcuno mi guida? La via che
seguo l'ho scelta io o è stata già scritta? Questa mia storia buffa morirà con
me o si perderà nell'enciclopedia del tempo? Mi hai acceso la corrente ed il mio
sangue ha cominciato a scorrere. Mi hai caricato l'orologio e la mia pressione
segna 80, 90,100. Mi hai dato la corda ed il pupazzo si sta muovendo ma la
chiave che mi dice chi sono perché non me l'hai data mai? Ti faccio ridere lo so
ma io non so chi sono. Allo specchio vedo la mia maschera. Mi guardo intorno ed
ecco tanti burattini come me: chi è bello, chi è corto, chi ha gli occhi verdi,
chi sta morendo e chi sta per nascere ma tutti con lo stesso sconosciuto
destino. Mio Dio, quanto sono stupidi i burattini umani! hanno un'anima ma non
lo sanno. Sono monotoni, tutti cronometrati: 99 centesimi di secondo ad un
secondo e corrono in ufficio. Si sposano per avere figli che a loro volta
faranno altri figli: che noia! che sciocchi mortali! che guadagno hanno a non
lasciar estinguere la razza umana? Tutti si chiedono di capire ma nessuno di
loro ha mai capito un bel niente. Tutti pronti ad insegnare ma insegnare cosa se
neanche loro non sanno nulla? Ognuno dice la sua, ognuno crede che abbia ragione
lui. E' un teatro folle e buffo pieno di burattini colorati, un enorme
carrozzone di maschere e coriandoli e anch'io, senza sapere come, mi ritrovo in
mezzo senza averlo minimamente voluto. Se guardi attentamente fra tutti questi
pupazzi che si muovono puoi vedere anche me: Vedi sono quello laggiù vestito
d'Arlecchino con i capelli lunghi e che sta sempre da solo, anch'io come gli
altri sto recitando la commedia della vita nel carnevale dell'incomprensibile
esistenza umana. Ti prego riconoscimi se puoi, distinguimi da tutti questi
burattini, dai un senso alla mia vita perché io non mi sento uno di loro, perché
io non sono fatto di bottoni e tasti e non voglio fili che mi muovono. Vedi io
piango e rido, so dare amore, sento di essere immortale e originale. Sin da
piccolo mi hanno programmato come un computer contro la mia volontà. Mi hanno
costretto a recitare in un palcoscenico che io ho sempre odiato e che non mi
appartiene. Mi hanno fischiato e applaudito mentre in realtà io piangevo perduto
tra tutti questi burattini in cerca d'allegria che compravano e vendevano questa
pelle mia. Mi hanno dato un nome che non è quello mio. Mi hanno voluto per come
io non sono: io angelo travestito da manichino. Ti prego portami via e salvami,
dimmi chi sono, io non mi conosco. Per questo ora dico basta! non voglio più
obbedire a regole e dogmi o a una falsa morale come gli altri burattini.
Preferisco sentirmi libero all'inferno che schiavo in paradiso, padrone di
niente, servo di nessuno. Meglio essere un uomo vero, solo ed incompreso che uno
dei tanti burattini umani.
(tratto dal libro APOCALISSE MENTALE)
Il vuoto di un pagliaccio
Ti aspettiamo e ora che entri in scena, indossa la tua maschera, con quel grosso
sorriso stampato sul viso ed il trucco che ormai fa parte di te. Nella voce e
nei gesti, un po' mimo e un po' attore, sai far tacere il tuo cuore, t'illudi di
tornare bambino, dimentichi in quegl'istanti la tua tristezza. Cadi, rialzati,
ubriacati, balla, grida, scherza e noi saremo lì, a guardarti, a ridere, ad
applaudirti: sei un attore e come tale devi essere trattato. Nessuno di noi in
platea si domanderà chi sei, proprio nessuno si preoccuperà delle tue
sofferenze, per noi sei solo un pagliaccio, una maschera e nulla più! Ci
interessi per come appari, non per quello che sei. Quando le luci del palco si
spegneranno, tu ti troverai solo con te stesso, come sempre del resto. E
l’immagine tua vera riflessa, non potrà più far ridere. Non sarai in grado di
mentire, e quel grosso sorriso si trasformerà in lacrima, una lacrima amara che
scenderà sul tuo viso fino a scioglierne il trucco. Ti auguro, caro pagliaccio,
che la tua vita sia come la scena, felice e divertente, e che tolta quella
maschera, non ci sia più il vuoto.
Prostituta sconosciuta
Ti vedo tutte le sere al solito posto sopra gli sterili binari d'un tram. Se hai
freddo strofini le mani per scaldarti, se non passano macchine continui a
guardarti intorno. Gli stivali neri di cuoio sempre gli stessi, la minigonna, la
borsetta a volte rossa altre nera, la minigonna, il solito trucco vistoso:
questa sera però mi sembri più bella! sexy più che mai. Chissà se sei sola nella
vita
o se qualcuno ti ama! Chissà perchè lo fai! Forse avrai un romanzo dentro da
raccontare, testimonianza di un'esistenza non bella come avrebbe dovuto essere.
Vorrei poterti aiutare, amarti, stare un pò con te! per la prima volta ti vedo
con occhi diversi, non mi interessa affatto il sesso. Non ho mai avuto il
coraggio di avvicinarmi a te, mi blocco ogni volta che provo, mi sembri quasi
irraggiungibile ma poi per dirti cosa? In fondo ho paura di fare tutto. Ti
scongiuro, fuggi con me prostituta sconosciuta! Ricominciamo insieme una nuova
vita, non consumarti più così! ti stai buttando via da sola! continui a farti
del male. Ti desiderano tutti ma quando torni a casa, non ti rimane niente. Ma
ora basta: devi cambiare la tua vita, è tempo di riscossa.
Non riesco nemmeno a terminare questi pensieri che ti vedo salire già su una
macchina sportiva. Addio mia prostituta sconosciuta! sicuramente domani verrò
ancora a vederti e a tenerti compagnia in segreto e a distanza, forse mi sono
innamorato di te o forse abbiamo qualcosa in comune che ci unisce: siamo
entrambi soli, che il Signore ci aiuti!
Io e la morte
Note dell'Autore:
"Non vi fate sedurre, non esiste ritorno, non c'è nulla dopo, morrete come tutte
le bestie divorati da vermi".
E' un paese morto. Strade malinconicamente deserte, aria pesante,
spaventosamente tetra. Furtive ombre si sparpagliano e si riuniscono subito
dopo, quasi per sentirsi meno sole. Silenzio assoluto interrotto soltanto da
voli di pipistrelli, da rintocchi lugubri di campane. Porte chiuse, finestre
sbarrate, occhi atterriti ed impotenti che, dagli usci delle case, spiano lei,
signora e sovrana, padrona di tutti noi. Lungo mantello nero, teschio in faccia,
bastone per reggersi, curva lei cammina zoppicando e lentamente, sola ed
indisturbata. Nessun muro potrà fermare la sua falce. Ha in mano un taccuino
verde speranza dove vi sono annotati i nomi e le ore di coloro i quali deve
ancora chiamare ed uno nero morte con i nomi di chi ha già rapito con sè.
Bambini, continuate il vostro girotondo e ridete di lei che vi sembra così buffa
e troppo lontana. Ragazzi innamorati, stringetevi forte l'uno all'altra, tra
sogni e amore, lei non si commuoverà e verrà a prendervi lo stesso.
Uomini e donne, ac(edited)ulate glorie e tesori, lei non si farà comprare e alla
sua venuta tutto dovrete lasciare. Vecchi, raccomandate le vostre anime a Dio,
lei non avrà paura e sarà molto più vicina di quanto possiate pensare. Gente
chiusa nelle vostre case, cos'è questo silenzio? Musica! e ridete forte, e
scherzate forte, continuate il vostro ballo in maschera, recitate la commedia
della vita, ma sul più bello tu sentirai bussare alla tua porta. Inutile ogni
tentativo di fuga o di gridare aiuto, interromperai la danza, toglierai la
maschera, abbandonerai la tua dama e le tue damigelle e andrai nostalgicamente
deluso con lei, più non tornerai; un istante di silenzio in casa tua
insufficiente anche per piangere e poi, immediatamente, lei rialzerà il sipario
e riaccenderà le luci e la musica e la danza, imperterrite, ricominceranno senza
più una maschera: la tua. Sì, lei porterà anche te in quel malinconico recinto
di foglie morte ed alberi spogli e stecchiti
e il tuo corpo straccio, sdraiato si confonderà tra quelli che lì ci son già da
tempo. Io, di colpo, evito le braccia di chi vuol fermarmi e scappo giù in
strada da solo e le corro dietro: "Perchè?" le grido con disperazione, "perche
devo morire?" che male ho fatto per non poter vivere per sempre? Dimmi che ho
un'anima, un respiro che vivrà in eterno. Dimmi che il mio sangue non è il
liquido d'un automa, che il mio cuore non è un motore, i miei nervi non sono
fili sottili uniti tra di loro fatalmente,la mia mente non è un computer. Vedi
io ti parlo, ti sento, sono felice, sono triste, ho paura, so scrivere una
poesia. Ti prego signora sovrana, tu che sei l'unica che puoi, risparmiami, non
farmi morire. Io amo un fiore, una coccinella, un bimbo, amo la vita". Lei si
ferma e mi guarda in faccia. E' strano ma di colpo non ho più paura. E' così
naturale osservarla in volto, come se si trattasse di un incontro
indispensabile, sembra quasi una figura viva, e pensare che la immaginavo
diversa e cattiva. Lei mi risponde: "Va' via ragazzo, tua madre t'aspetta a
casa, e ricorda sempre, tu potrai anche essere come me per un solo istante
morendo, ma io non potrò mai essere come te quando risusciterai in eterno. Poi
mi volta le spalle e girando l'angolo scompare. Io rimango confuso, triste e
felice nello stesso istante e piangendo divertito, correndo, torno a casa.
U n o s t r a n o i n c
o n t r o
Mi successe quando ero ancora ragazzo. Mi trovavo sul treno che mi portava
a Trento in visita da mia sorella. Per vincere la monotonia del viaggio
leggevo un libro di mie poesie quasi in atmosfera con quello scorrere
sulle rotaie.
Di colpo, senza chiedere permesso, entrò lei, 16 anni a prima vista,
trascurata e con l'aria assente. I suoi lunghi capelli neri e sporchi, il
trucco sfatto che le colava sul viso, i lineamenti straordinariamente
delicati. Era bella quella ragazza, il ritratto d'un angelo col volto
della sofferenza, il male nascosto in lei non appariva in grado di
deturpare quell'adolescenziale fascino innato che possedeva.
Ma aveva la paura dentro quegli occhi ancora di bambina come fosse vittima
o schiava di qualcuno o qualcosa a cui non poteva o sapeva ribellarsi.
Mi prende di scatto il libro dalle mani, mi si siede accanto, lo sfoglia.
La vedevo leggere attentamente: "E' bella questa poesia" mi dice di colpo
"anzi bellissima, come la mia vita quando era tutta un bel sogno e molto
di più".
In quell'istante, avrei voluto passarle la mano in mezzo ai capelli,
accarezzarle il viso, prenderla per mano, stringerla forte a me per
proteggerla, ma non dissi e feci nulla.
Era assorta nella lettura di quei versi, non alzava minimamente lo
sguardo, era bellissima, molto di più della poesia che leggeva.
Arrivammo in fretta senza che me ne accorgessi ad una stazione,
la ragazza si svegliò d'improvviso da quell'incantesimo e sempre col libro
tenuto strettamente nella mano: "Me lo regali, posso tenerlo con me?" mi
chiese.
"E' tuo, puoi prenderlo" fu l'unica cosa che seppi risponderle.
La vidi sorridere per la prima volta, mi commossi, riuscii a stento a non
piangere. Quel sorriso, come un fiore germogliato
inaspettatamente dalla terra arida,
era spuntato per magia come un ruscelletto di gioa dal suo dolore.
Mi disse infine: "Grazie" e se ne andò via di corsa.
Dal finestrino, mentre il treno lentamente ripartiva, la vidi prendere del
denaro da un tizio poco raccomandabile, poi sparì man mano che
m'allontanavo sulle rotaie.
Chi era quella ragazza? Il mio libro le è servito sul serio? Perchè il
destino me l'ha fatta incontrare per un attimo? Tutte domande senza
risposte.
Da quel giorno e dopo quell'incontro, io non ho più avuto pace, per molto
tempo ho pensato a lei, l'ho incitata nei miei pensieri ad avere cura di
se stessa, ho pregato Dio notte e giorno per lei.
Non so dove, non so come, non so quando ma sono sicuro che la rivedrò, sì,
io la rivedrò.
Lei mi ha insegnato se non altro, a non consumarmi nella mia tristezza
perchè al mondo c'è anche chi sta peggio di me, che forse, non sono poi
così sfortunato.
-Racconto tratto dal libro "Il silenzio nel silenzio" di Claudio Cisco-
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