Poesie di Gianmarco Dazzi (Gian)


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Male al male, e vino al vino.
Ed i nostri ricordi giornalieri
mutati in stolida saggezza.
Questo ci rimane addosso,
e sul fondo del bicchiere:
la bottiglia mezza piena
è un collante ipnotico e crudele.

Soddisfazione
Ci sarebbero cose belle,
ma passano troppo ripide,
silenziose, come i passi
di un gatto sopra il cuore.

La fine
Tutti abbiamo un principio.
Ma la fine...
chi ha veramente una fine?
Chi potrebbe raccontarla
nelle sere piovose
alla luce di candele
spente poi in malo modo?
Affogarla nel bicchiere,
e andare tutti a dormire,
già decisi a riprovarci
a mente fredda (e il cuore vuoto).
Ascoltare la pioggia
acida e severa picchiettare
i davanzali, senza sosta.
La fine, forse nascosta
nei ricordi d'autunno,
dentro al rumore
della caldaia che perde, a tratti,
o negli spifferi insidiosi
di questi infissi malfatti.
Ce l'abbiamo scritta lì, la fine,
ma non vogliamo vedere.
Aborriamo i lunghi silenzi,
le cose caduche, la fame.
E poi piangiamo con dolcezza
il nostro ultimo cane.
Ci abituiamo alla fine...
alla fine.

Crocevia
I tasti risuonano vuoti,
nel buio, nell'affanno stanco,
nel caldo di una stanza di estrema solitudine.
Meglio affidare al vento parole libere,
allontanarsi dalla polvere di fabbriche,
salpare verso cime di monti poco frenetici.
Ci si risveglia a mano a mano più lievi,
annunciando giorni fittizi e addensati,
finchè una nota non riporta il male di una stella
durata l'attimo inutile del nostro oggi.
Si rispecchia ogni cosa nelle sirene lanciate,
come sinistro desiderio di scappare presto.
Quanti bivi non maturano scelte,
ma sono solo paure affogate
di strade umili, vicino :
perché si incrocino è domanda troppo ferma,
non si arriva o si parte senza visti del destino.

Veleno
Il momento delle stelle è già finito,
bruciano code di comete.
Rimane soltanto veleno:
spillato lentamente, come si conviene.
Lancette troppo avanti,
o troppo indietro, per noi;
dipinto incompleto,
in cui se non ti voglio, tu mi vuoi.
E quando ti volevo io,
non hai riconosciuto il dettaglio che mancava,
il punto non riflesso nello specchio.
Ora che ripenso a te,
e alla mia comprensione inutile,
la sete di veleno
mi fa sentire vecchio.

If this is a dream
Se questo è un sogno,
potrei anche decidere
per un risveglio.
Così, adesso, su due piedi.

Asti
Asti, città dei miei trascorsi.
Di aperitivi, del barbera
del fiore che non colsi.
Del dolce alla nocciola,
di amicizia, sigari,
di nebbia
dei primi di novembre;
delle bugie al telefono
(o forse eran promesse?)
di chi poi non si arrende.
Asti, città che non scolora,
non resta che un'ermetica speranza:
tornarci un'altra sera,
magari improvvisando,
come allora...
Ma non con gli occhi di chi spera;
col passo, gioioso, della danza.

Oggetti di luce
Ricerco nella mia stanza
oggetti di luce,
ricordi quantomeno futili
di essere vissuto.
Mentre l'esistenza scava
un solco che non trovo,
rimango immobile, attonito, sparuto.
Quanto può cambiare il buio
da angoli diversi,
da piani paralleli che
si inclinano nel vuoto...
Ora lo comprendo,
e del mio mondo fragile
fornisco una copia
che agli altri piaccia poco

Sabato mattina
L'acacia già ferisce l'orizzonte,
dalla spiaggia fin sulle panchine.
La voce saggia dei gabbiani si scompone
un padre chiama, il bimbo fa attenzione.
Più in basso gli scogli
sembrano persone, sentinelle
immobili in attesa.
Un pallido sole rinnova il suo dolore,
spregevole metafora, o inutile pretesa.
E dinanzi alle onde,
sempre uguali a se stesse,
gli occhi si chiudono:
è gesto di resa.

Fumo
Elimini volteggiando
nevrosi indesiderate:
i ritardi filiformi,
le certe insicurezze,
le domande non risposte
divagano con te.
La stanza già si stanca
del tuo grigio penare,
del caldo innaturale
che lascia consumare.
Eppure non protesta,
ossigeno non brama,
sa che una nuova lama
accompagna il tuo levare.
Solo cenere al suolo
domani ritrovando,
sarà rimpianto il volo,
il tuo libero curvare.

Autobus
Ti prego non andare,
non mi lasciare qui
solo e petulante
a guardare fuori
da finestrini appannati,
in questo autobus recalcitrante,
sul sentiero di sabbia e sassi.
Alcuni passeggeri
si gettano in corsa,
altri salgono scendono,
confusi, alla stazione.
Pochi sorridono e
non sanno di contemplare
dal vetro, riflessa,
nient'altro che la propria illusione.

Carpe diem
Non necessariamente in questo ordine
sfilano i pensieri, vanno via.
Controtempo,nella notte immobile
cercano spazio dentro la poesia.
Ma è già tardi, e rimane addosso
solo questo - solo un guscio vuoto.
Come se questo villaggio globale
d'egoismi cancellasse la pena
tra il prima e il dopo...

Senno di poi
Non era rivedere i tuoi occhi,
nè era il tuo fragile corpo
a spaventarmi, lo sai...
Non il tuo sorriso triste
nè i tuoi gesti ordinari.
La paura, mal celata,
era invece questa:
che di lacrime, di sogni infranti
e delle tempeste del cuore,
rimanesse soltanto, alla fine,
questo cordiale colloquio.

La pioggia attesa
Piovono gocce liberatorie fuori,
esauste dopo tanto tempo...
Piove su esangui pozzanghere,
da quel nuvolone nero antrace
che sembra ancora carico di dolore.
E dal dolore sta per uscire un corpo sofferente,
lasciandoci qui stupidamente atterriti,
come i magri ulivi sul cortile,
o come il merlo ignaro, che cerca riparo
saltellando sull'erba umida.

Indeciso,
se giocare
la solita partita a carte,
surreale,
con il "4 di cani"
in bella mostra,
lì a ricordare
i nostri
momenti fallaci:
il passato...
o, forse,
solo il pressapoco
di quel ch'è stato.

Le tue poesie
Le tue poesie assomigliano
a flussi di coscienza:
ed è cosa rara,
se ci fai caso.
Specie oggi,
che la gente
abita i propri pensieri
solo per contratto.

La finestra sul niente
Sa di sabbia la sera,
anche stasera.
Di sabbia e di ombra
son fatti i viandanti.
Il vuoto che sanno
è prigione ammuffita,
nei gesti si perdono
origami distanti...
Li disfa già la sera,
ci guarda beffarda
con mano gigante,
la sera divertita,
la sera onnipotente:
ci porta in una vita
dal niente al tutto,
precipitando poi
dal tutto al niente.

Progresso
Rapido passa il treno,
modella il paesaggio
l'estraneo scalpello umano.
Lo senti gridare:
sferraglia
e pensi che è il nuovo
che avanza.
Invece è il vecchio,
è spirito del mondo
che piange
raccolto, sfinito
piegato su se stesso.
Piange,
torvo e senile,
di un dolore
primo ed eterno,
d'un sibilo sommesso.
Come geometrica
discesa nel vuoto,
le due parallele
rotaie corrono,
sbuffano giocose.
Ma ciò che non sanno
nel loro incedere
è la segreta
malinconia
ch'è dentro le cose.

Forse dovrei presentarmi anch'io come poeta-filosofo,
andare sulle tombe dei Padri,
a cercare chissà quale continuità
o una qualsivoglia risposta
al bisogno di scrivere insoddisfatto.
Ma al mio belante rigurgito poetico non comando,
non posso farlo:
dovrei decerebrarmi invano sul già detto
e ripetere l'errore ad oltranza.
Stridere con un punto esclamativo (a fine verso),
per questa sera, già mi basta e avanza!


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