Poesie di Giorgio Medda


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Leggi i racconti di Giorgio

Notte
Notte che rubi i colori alla luna
che fai sospirare gli amanti
che fai respirare le rose
che fai riposare gli stanchi
non fare così se finisce un giorno
non essere triste per questo fardello
qualcuno, più grande di te
ne ha uno più cupo e greve
per alcuni bello, non certo lieve,
questa è la morte,
che ruba l’anima alla gente,
e porta con se la fine di tutto…..
o niente.

Aria e acqua
D’aria ed acqua
mi compongo
in doloroso affanno
sostengo il mio essere
nel vivere quotidiano
chi sono mi chiedo
quello che vedono
io non sono
è una proiezione astratta
è al di fuori di me
su uno schermo di gomma
da cui esco e rientro
in susseguirsi di realtà e sogno
vette creative
e voli pindarici
si alternano
a buie profondità
e vuoti mentali
creo invento e distruggo
modello e trasformo
mi astraggo da me stesso
nella quotidiana fantasmagoria
con la memoria rubo al sogno
i suoi tesori nascosti
vellutati e fiabeschi viaggi
sulle ali leggere
di una farfalla dai colori perfetti
disegnata con pochi rapidi tocchi
da un pittore allucinato
le luci si spengono
lo spettacolo è finito
ritorno aria
ed acqua.

Sogno
Come invidio gli uccelli
solidi rami hanno sui piedi
bacche sicure dovunque
amanti disposte al dunque
Io posso volare, amare
e decidere di annegare
in un lago profondo
ma solo scrivendo,
loro lo fanno vivendo,
I bimbi non sentono il caldo
non piangono se non hanno
corrono e si bagnano
Io posso solo disegnare la luna
con mia fantasia
In questa grande olografia
di sillabe ferito
parole impazzito
ma dietro il foglio bianco
la mia realtà e ben misera
libertà è dominare
la parola
è viaggiare
su navi fantastiche
e velivoli azzurri
licenze mi prendo
a volte sorprendo
ma dormo da sveglio
e sogno.

Fato
Vago etereo mondo
sei
l’incompiuto ponte
l’inopinato fronte
inutile guerra
sei antico dio
sei forti passioni
e gelida inosservanza
di ladri e cialtroni
eroico raffronto
di civiltà sepolte
sei fonte di idee
geniali scoperte
vuoti sentimenti
navi giacciono
sul tuo fondale sporco
resti di genti
inconsapevoli strumenti
di opere e ratti
e mancate promesse
occhi spenti
e accesi di follia
accessi di gioia
agonie e noia
superficiali giudizi
assassini
destino segnato
e fato
ingrato.

Lacrime
Errabonda la spettrale nave
vaga,
compagna
delle notti sepolte
nel tribolato mare
di sogni
cavalco
l’alato animale
nel prostrante
universo
su cieli e luci veleggiando
di ombre e terra dura
arando
mietendo di quando in quando
lieti sensi
e tormentosi ansiti
plasmando
inarrestabili piene
fiumi e torrenti
di sangue nero rappreso
remoti livori
in gote calde
di freddi santini
immobili
rapide e grevi
amare e salate
lascive e disperate
ti rubano ardore
discendono lievi
ti premono dentro,
turbamento
non sento
se dolore o
gioia lacrimevole inganno
soverchie eterne
e immobili
gemme del cuore
liquido e tondo succoso frutto
di un affascinato arbusto
popolato mondo
di spettri caparbi
e folletti allegri
che è la mia piangente anima.

E’ questa…….
E’ questa calma piatta
È questo mare chiuso
Nero mentale
travaglio
Un cielo chiaro disperde
Una stella nascosta
Gravida di
pollini
Avara di quiete
Madida fronte trova
Che Nulla cambia
Nell’
esteriorità
Non vede
Una spuma candida
Che nel mattino
Si allunga, si
distende
Verso sabbie bianche e placide
Nel verminoso strato profondo

Pesca
Gli immondi esseri
Che vi abitano
Bianca è la morte
Nel cuore
del vivo
Che credea di ballare
La danza di chi non vede
Che morte non
dice
E parola proferisce
Nonostante il moto perpetuo
Degli organi e
degli arti
Men che fossa sia
Sarà una tomba sulla aperta via
a chi
credea di esser vivo
ma Morto era.

Isola
L’alloro profumato
Fende l’aria a sciabolate
Decretando la
sorte
Assorbendone forte
Il fumoso ardore
Serena mattina
Di belati e
di sole
Di campi tranquilli
Bagnati sopra i vegli prati
Pestati dai
mille passi uniti
E belanti
Nei rovi che strappano i ciuffi
Di femmine
disperate
Vogano i pastori
Tra le rocce infinite
Immobili
Riflettono
un rombante pianeta
Silenzioso.
Frugando l’acqua
Da sotto la fresca
gonna
Della donna giovinetta.

Ascolti il dolore
Ascolti il dolore arrivare da lontano
come un
annuncio silenzioso,
assordante,
come un dubbio accecante,
immobile lo
attendi,
come onde che sollevano un relitto
e lo precipitano
verso un
profondo,
che nient’altro non è
che un idea,
una soglia altissima,
di
un aberrante ragionamento.
Sembra inarrivabile
ma e lì,
di fronte a te,

infinitamente lontano.
Un cervello ti pulsa,
l’altro ti spacca,
come un
sogno di vetri infranti,
come un sorso di pianto mai bevuto.
Lacrime
infinite, inutili
bagnano la tua storia,
nessuno si è arricchito
per questo,
nessuno si è ritrovato,
per questo,
il perso è perduto,
ciò che
hai bevuto è andato
ha ripreso il suo corso.
Il fiume del tuo pensiero

esonda travolgendoti,
rimandando all’irrazionale,
folle arbitrio,
il tuo piccolo corpo in quel mare immenso.
Ascolti il dolore arrivare da
lontano,
sembra inarrivabile
ma è lì,
di fronte a te,
infinitamente
lontano.

Nulla
Riflessa sul mio fiume
tremolante luna
dissolvi la tua immagine

tra le sue vene azzurrine.
Orfana dell’anima.
Il tuo cuore non ha casa
nel mio,
nè in quello d’altri,
e il tuo dolore invade il mattino

insapidendolo delle tue lacrime.
Non riesco a gioire del tuo dolore.

Esso è parte di me,
come un cielo che mutando colore
all’imbrunire,
è
parte dell’infinito.
Spulcio il libro della mia vita
ma non lo leggo,

per paura di ritrovarmi nudo,
spoglio di quei vestiti,
sotto i quali vi
è il nulla.

Estatica illusione
Inutile, impetuoso vento,
pettini urlando
il mare increspato,
violentando le nuvole,
ree soltanto di esistere.
Il vascello è in porto, muto,
con le sue tele spente,
pittore cieco, in
esilio nella sua casa.
Non astio né collera regnano,
sul mio agitato
cuore,
da cui mi allontanai inconsapevole,
per navigare gli infiniti
mari del dolore.
Cuore che non ebbe voce,
nel decidere se entrare da
quella porta,
o galleggiare nell’oblio,
agognata sintesi di cielo
infinito.
Troppo lesta fuggisti, estasi,
per imprimere nell’anima,

soltanto un profumo, un colore,
che non fosse di rami bruciati d’
illusione.
Tutto è fermo e calmo intorno,
troppo,
per non rendere la
mia follia,
nitida come questa luna piena,
arrampicata sulle stelle,

così terribilmente bella,
così scioccamente vuota.

Lontano nel tempo
Torneranno mai le rose,
a specchiarsi su occhi così
vellutati?
Ed i petali, profumati di vento,
ritroveranno il loro
pudico pallore?
Il fresco gorgogliare di spuma ,
che inondava i piedi
scalzi,
tornerà mai il sangue, che attraversava feroce,
i corpi
concavi, accoglienti e audaci,
sospingendo le membra,
verso altezze
mai viste, senza fine,
puro sangue come le colline, ed i campi di
casa,
come i risi che spalancavano i cuori,
e rompevano gli argini,
come fiume dirompente,
alito dorato di miniera inesauribile,
mani come
vessilli rigogliosi,
vele spumeggianti nel mare esteso,
i seni
tremanti e protesi,
verso giovani labbra,
torneranno mai quegli
stremati pomeriggi,
imbevuti di sole odor zafferano,
e di cieli di
zucchero e grano,
succhiati a labbra piene,
colanti pienezza di tempo,

grasso, generoso e lontano.

Se esiste l'amore.
Se esiste, l’amore è quel sangue
che ribolle nelle strade buie,
è nel fulmine che si scaglia
contro gli ignari rami.
è nel vano richiamo degli uccelli
che cantano sotto la cenere
per dimenticare il fuoco.

Attraente è lo scorpione
sotto la luce della luna,
poeta nato dentro il sogno mortale,
con quel suo dolce veleno
rimarrà scorpione,
guaderà un fiume e un altro
aggrappato al mio braccio
ma rimarrà incatenato al mare
il tuo destino.

A quel legno annodato
dalle vene contorte e inspiegabili
come lo chiamerai,
quando rinascerà di nuova terra
di nuovi fiori dai colori più colori
dai profumi più profumi,
quando i tuoi sensi invaderanno il cielo
come mille locuste affamate.

Oscuro dentro te vedrai
non rabbia ma ardore,
tutto sembrerà la tua casa
calda e accogliente tra le sue braccia
dormirai dimenticando ogni pena
il tuo volto ti apparirà in sogno
e ti sembrerà reale come il giorno.

Tutto scorre.
Scorre la collina tra le braccia della notte
Come il fiume addormentato scorre sul ramo contorto
Il sangue dalla spina punto scorre sulle mani stupite
E scorre il suono delle cose
Il tenue gocciare del catino al tempo delle prime piogge d’estate
Profumate di umide rose
Scorre la vaghezza sui rotondi pensieri
Avvolgendosi sui vacui ritmi del mare
Svaniscono le stelle dietro il cielo plumbeo
Scorrono le nuvole affrettandosi ad aprirsi al sole
Indorando le terre e le piante di barbagli di focherelli d’arbusto
Scorre il volto dell’amata scalpicciando le gote madide di tristezza
dipinte
E vaghe stelle affondano sulla notte buia sprimacciando il cuscino
del sogno
Alterando il battito della luna in armonico suono col cuore colpito
Scorrono l’aria, l’acqua ed il vento
Tutto scorre e tutto pare così immoto.

Pensieri
vi è frastuono sì grande
per un'onda che si infrange sullo scoglio,
che attraversare la tua strada
chino sui pensieri che si frantumano
dentro i pori dell’asfalto,
mescolandosi alla polvere dei giorni,
fumose fabbriche di buio
i pensieri lavorano instancabili
come forsennate formiche da mane a sera
tramutando gli spazi in anguste strettoie,
linee di cielo ferite,
sulle quali non passa che la nebbia
il vento a stento, la luce poca…
non vi sono calcoli o astruse teorie
lo spazio è invaso dal tempo
che lo limita e non fa prigionieri,
avere una vista acuta,
non vedere oltre il muro che ti opprime,
e solo pensare,
pensare…
che dietro il cielo è immenso.

Giorni di plastica
Sparse in agonia fibrillano
lungo il varco al mare
case costellate di ombre,
astratte buste di nylon
cariche di ricordi scaduti
e orme di passi tutti uguali
incrociati per un attimo
senza fine.

Larve di cuori appesi di solo respiro
memorie fluttuanti
insane come fiori recisi
galleggiano su sabbie
ad un passo dal vuoto.

Distanze infinite
di rabbioso tempo ritardante
a morire sulle fronti
lacerate contro i muri
lacrime di fango senza dignità
sprofondano nella nebbia
celando il mistero angusto.

Come uno spazio nel vento
che gira le immobili ruote
un mulino a secco
lungo il fiume trasporta detriti
fino al mare,

Immuni al male
gli scampati ricordi laceranti
cambiano i volti, tristi
come madonne dai piedi scalzi
avviliti dalle crude pietre del golgota.

Visioni d’autunno
Per una volta il cielo
mostra contrarie fattezze
mentre il sole cola sul catino di sabbia
svenendo sulla sera stremata.

Mostra i suoi verdi capelli
nell’immoto ondeggiare il fondo del mare
fermento e solitudine sgravano l’onda
mille leghe più su l’abisso.

L’urlo aspro degli uccelli marinai,
canto di sale muto,
coperto da una coltre liquida di silenzio
che nessuno ode.

Gli alberi, amorevoli madri,
come l’aquila sul crinale librandosi a mezz’aria,
depongono le loro foglie d’autunno
sulla via lastricata di lucenti paillettes,
come tristi spiritelli danzanti sull’acqua.

Da sotto le grate di tombini coperti di ruggine,
la strada sembra il mare e il mare la strada,
salgono i miasmi dell’anima tumultuosa,
su un cielo grigio quasi nero.

Un treno d'inverno
Un fiotto di luna silenzioso
cola tra i vetri appannati di un treno
prossima fermata inverno
dileguandosi dietro i muri della stazione
sprofonda nel suo mare leggera
come un macigno posato
nella profondità degli abissi.

Come una freccia di neve
silenziosa colpisce dolorosa
colla punta di lama al veleno
di un colore profondo e oscuro,
parla la tua pelle sente
calda come una ancor giovane piaga.

Stridono acuti sulle rotaie infinite
gli zoccoli del cavallo ferrato
come l’acqua ferita urla
nella notte sconosciuta
nel soprassalto del sogno,
al cospetto della morte del tempo felice.

La via del giorno s’apre
agevole e diritta
come una parete impossibile
un frullo d’ali
un barlume di luna,
accendono i vetri della finestra distratta
dai lampi del fuoco di un camino acceso
rivoli di pensieri posati sul tappeto
come scintille esauste s’alzano,
spinte da un vento invisibile.

Inafferrabile luna
con il suo fagotto di minuti preziosi
dentro la stanza separata dall’amato tempo
sui muri gelati si sciolgono,
colmando i vuoti dell’anima crepata.

Beffardo e ingiusto tempo
che arriva come un treno vuoto alla stazione,
denso degli umori del passato.

Come il mare
Sei così attenta,
mentre ti accucci sul letto
scomposto,
imperfetto come fu il mare,
ora quieto,
che rese al mattino
dorato,
i resti di una notte burrascosa.
Posi il mento silenzioso
sulla mano piegata,
sull’altra stringi una mela scarlatta,
ti leggo
una poesia.
I tuoi occhi sono mandorle dolci,
vergini come un petalo
ancor giovane,
sotto una liscia frangia di seta bruna.
Indugio con il
libro in mano,
ad osservare i tuoi gesti minimi
come relitti ,
conchiglie e pezzi di legno
intarsiati sulla sabbia,
incastonati come
pietre preziose,
consegnate da una generosa spuma.
Le parole che
stillano,
come bolle di sapone lucente
ti donano un fremito lieve,

quasi una scossa,
la spallina leggera si scosta,
scoprendo un timido
seno
una corolla di tenero grano,
la sua vista è per me come un
fiore,
al cospetto di un occhio innocente.
Sorridi con dolce malizia,

sopra il pugno piegato,
un sorriso sghembo, ma caldo e bianco,
come
pane appena uscito
dalla bocca di un sogno.
La brezza sul mare sotto
la finestra
sospinge leggera riflessi dorati
sopra i tuoi capelli,

deviandoli sui miei occhi velati di desiderio.

Melanconia
Sul greto del fiume primitivo
ti aggiri vestita di cielo

sei nuda alla vista
greve e irosa del tempo memore
sei nuvola dapprima
lieve,
poi gravida di lacrime e rimpianto,
spranghe di vetro
imprigionano l’anima,
cadendo dal sole,
rinnegando ogni bacio,

lasciando al silenzio,
il fragore muto del rimorso,
come un tamburo
lontano,
che canta sulla finestra
la sua nenia triste
che scivola sulle
gote salate di marmo
lentamente,
fino al suo ultimo approdo,
una selva
di pietra dura,
crudele lastrico di mille dolorosi passi,
fitte lame di
desiderio,
che vorrebbero rivedere il mare.

Sottovoce
Solitudine,
dapprima vestita di sole,
di cielo,
di
sublimi chiari di tulle,
poi nuda, coperta non so dire,
di quanti
strati d’anima.
Presi ad odiarti
ed a seppellirti nel mio cuore,
dove
molti giacciono,
dove la luce è questione mentale,
astratta come fede,

un bagliore cieco,
che l’occhio non vede
dove le cose son morte
le
rose avvizzite,
dove la primavera
è un soffio di vento,
permeato di
follia lieve.
Le stagioni del vivere
hanno sapore acre,
salato alle
papille dell’anima,
non v’è fato che muti,
per quanto fortuito è il
ricordo
che riporta in vita le cose.

[L’estasi vive dentro il dolore
             La luce vive dentro il
buio
Quanti mari di dolore navighiamo
             per raggiungere l’
estasi
Quanto buio per vedere la luce
             Quanto velo negli
occhi e nella mente
nel non riconoscerla,
             quando per un
attimo ci passa accanto,
quando il fremito cade dalle braccia stanche,

             quando i morsi della febbre ti piegano le gambe
Troppo
tardi per agguantarla,
             si ha da riprendere il cammino

poiché il destino dietro di noi
             ha richiuso la porta ]

[gm]

Solitudini
Talmente avvezzo al fosco,
è il nebbioso passo,
che il
respiro si dilegua,
e così il battito di tutto,
pulsa nell’ essere,

così lento e stanco.
Nelle pallide mani stupefatte,
sbattono le
finestre sugli occhi,
all’improvviso chiarore,
franano le verità
conseguite,
di laghi e fiumi sempre vuoti,
di case e porti sempre
chiusi.
Cascate liquide di solide travi,
travolgono l’inaspettato
senso,
di vacuità mentali e dolenti mete,
compagne accomodanti,
e
accondiscendenti
in perfetta sintesi,
di solitudini conquistate,
a
colpi di abbandono.

Lontano
Vago con la mente
e con le mani
lungo aperte braccia
libero
in volo
nel silenzio regnante.
Come ali plananti sul verde cielo
il sospiro del mare è lontano
Mi abbevero di silenti mete
Ebbro di
promesse
Lo sguardo accoglie l’intorno,
è immenso,
ill colore del
tramonto penetra
nell’anima attraverso l’occhio
fin dentro le viscere

il cuore
l’intestino
le gambe in croce
le mani giunte alfine,
i piedi
scalzi pendono
sui dolci ormeggi
di barche leggere
sulla sabbia
madida
è così lontano
il pesante fardello
portato sulle ali
di un
vento gentile
premuroso
lontano da me
lontano

Sogno diurno in chiave notturna
Gli ultimi brusii della notte,

flebili sussurri di anime agitate,
si dileguano nei canti d’ombra di un’
alba nascente.
Una tenue luce in divenire, emotiva crescenza, si
offre,
visiva e palpabile, al giorno.
Aprendo gli occhi lo sguardo
piegato
si posa stancamente su un mondo,
che è lo stesso del giorno
prima.
Stringendo fra le bianche lenzuola
quelle fredde esalazioni,

che incatenano il corpo allo sfatto letto,
una quota di vissuto
malcelato su uno stanco viso,
cade nel bieco gioco delle forme,
adattandosi ad esso,
stille evanescenti di un recente piovasco
notturno,
regalano al rigido compagno, le patite forme,
ed i profumi
acidi di una notte insonne.
Forme di un uomo disteso,
piegato e
indifeso, dolorosamente sospeso,
in un limbo di sudore e pensieri

divenuti pesanti come polvere,
l’amara sorte sollevandosi stancamente

sulle gambe rigide,
rinfodera il lucente gladio dell’illusione.
E
bianche son le ossa nella sconsolata stretta,
allo sfuggente, onirico
volo.
Occhi troppo deboli e chiari che non trattengono l’anima,
che si
protende al di là, come un fumoso incanto,
espandendosi oltre,
richiamando a se il sogno,
baluardo ultimo contro una grama tessitura
d’esistenza.

[Gente senza volto.]
Una sera le mie mani raccolsero,
e come le
spighe in giugno
ebbero spezzato il fianco,
anche le mie mani ebbero,

tra le loro pieghe amate, bianche,
un dolore vero, reale.
Duro come
argilla nebbiosa di sogno,
volti uggiosi senza volto, nè luce
nella
campagna chiusa,
in una casa dal tetto stilettato di stelle dense,
come
amaro miele di eucalipto,
e pareti velate di sguardi vuoti,
un corpo
riverso, nella dignitosa culla
ascoltava dietro una barriera
invisibile,
di stentate lacrime,
il frinire di grilli in un campo santo

sacro, inviolato suolo,
di dolore acuto lucido sottile
aleggiando
dilagava il loro canto
come galleggiante sul filo scuro ,
teso e poi
molle
gravava su quel dolore.
Non vi potevo entrare,
pur desideroso,

esso vigilava sul mio cuore,
attento.
come un suono cupo, estremo

vigila sui sentieri dell’addio
il morire senza amore intorno,

ritornare nel solco primordiale,
frutto immaturo di una collera
spenta,
di un giardino rigoglioso,
un fuoco sacro divenuto cenere,
pesante, greve.
Gente senza volto, gli abitanti di un sogno,
essere
chiunque o nessuno.

Macerati pensieri
E’ una finestra chiusa ,
che un sottile raggio di
luce
apre, nella penombra,
come un bacio a labbra esangui, fredde,
il
tuo bel viso,
come una lama di sole e cenere,
-volto doloroso-
il tuo
bel viso,
nelle campagne assolate fuori,
gocce amare di luci ed ombre
dentro,
è disegnata la tua storia.
Seduta sul letto raccatti
le tue
ciocche sparse d’ inquieto disordine,
come un mazzo di sigarette
interrotte
mozziconi come viscere,
figlie di una notte insonne.
Un
silenzio ingombrante nella stanza chiusa,
densa di errori e rimpianti,

desideri rimossi,
chiusi nella tua metà oscura,
ripugnante,

impermeabile alla pioggia di pensieri
che sbattono sulle gote asciutte,

l’abraso fondo della barca,
guadando un fiume di vili pietre
legge i
segni delle tue sconfitte,
precipitando come cenere
sui tuoi piedi
nervosi, scalzi.
Sul tuo sguardo dimezzato,
un albero accecato da un
fulmine
di pioggia estiva, inattesa,
rende il profumo salmastro della
campagna,
affine ai tuoi macerati pensieri.

Già visto
Guardo con tenerezza
al mio fianco,
il mio stucchevole ego sorridente.

La mia anima è convulsa
come una folla premente
irragionevole, ardente

emotiva,
perdente.
Come un nido, una febbre
giovani fauci in attesa

fremente,
di un libro ammuffito
cibo di mentecatte esalazioni
di parole
vuote,
che non arrivano al dunque
al niente.
Come una corsa disperata

verso un traguardo inesistente.
Discorso interessante,
come una bolla

che riflette una finestra
di cielo lucente,
che sprizza sul mio cuore

stille di sapone,
come un film già visto
tempo bastardo
ferma tutti i
tuoi sporchi giri
i tuoi cicli
le tue albe e i tuoi tramonti
e lasciami
pensare,
parlare da solo,
pregare
guardare con occhi di folle
un
tramonto immobile
come statue di gesso e sale
di uomini ciechi e
ingombranti.

La valigia
Pupazzi di neve
disegnati di vento,
soldatini muti,
immobili,
privati di tempo.
Iridi vuote, buie
di bambole nude dai
denti frantumati
come fette di silenzio,
sull’armadio dimenticato,

improvvise raffiche di quiete
odorosa di vecchi sudari,
di memorie
vaghe,
di sguardi perduti,
teneri rivoli sulla pelle consunta
di una
valigia antica,
debole, finta.
Vecchia valigia china
ladra di ricordi,

assassinati dalla polvere,
dove il vento sussurra tra le foglie
che la
vita è inganno.
Specchiarti dentro una valigia
che vola all’indietro,

spinta da un vento di sabbia e vetro,
su cieli ormai perduti,
e il tuo
futuro proiettato
con esausta violenza,
sulla cima di un armadio.

Mare d’inverno
Mare d’inverno
Luna a perpendicolo
Sulla notte
assolata
accaldata
Madida di vecchi sudari
Ombelico cieco
Che non sente
omelia
Ne inganno
Spacca la spuma
le immobili sabbie
L’occhio sbatte
sul cielo inquieto
Sciabolate di vento stizzoso
Dietro le mani
disgiunte
Dietro le fronde dei cipressi
Dagli scarmigliati capelli

Dentro secche bacche
Di un colore disperante
Nervosi animali trainano

Le perdute speranze
Le rinnovate reti
Colme di pesci parlanti
Lo stesso
linguaggio
Fatto di gesti
E passi zoppicanti
Nel fango molle
Nelle
tracce dei carri bagnati
Schizzanti cellule morte
E miseri flussi
Di
deboli corpi freddi,
esangui.

Il suono delle campane.
Il suono delle campane
si posa lieve sul sacro
suolo
spezzando il quieto dirompere
dei vetri custodi del colore e del
silenzio.
Sulla cima delle mie dita unite
vibra il senso profondo

delle parole senza voce
degli usci senza porte.
Finestra chiusa dell’
anima al mondo
il muto suono
rapito dalla misura
dei suoi silenzi

Prego.
Albero piegato,
sei stato tu o il vento?
Fascio gli angoli
feriti
con i panni dello spirito
e mi accuccio a te
lasciandomi cullare

dalle labbra schiuse
al lieve respiro di carezza
del tuo legno violato.

Cosa resta.
Cosa resta
di queste pagine travolte
dal fragoroso rombo
del fiume
che corre inesorabile verso il mare?
Cosa resta
di questi
mille pensieri insaziabili
che come polvere
vengono mangiati dal tempo

come fiori indigesti
che si piegano sotto
mille segreti?
Come stelle
che cadono
travolte da mille desideri esausti?
Cosa resta
dentro
queste tasche
gonfie solo delle mie mani
che stringono un fiore

disperatamente?
Cosa resta
dei tuoi passi cancellati
dal vento di un
deserto
che nessuno vede più?
Cosa resta ?!?
Di queste mille parole,
di
questo libro,
dimenticato su una spiaggia
che legge solo il vento
che
spazza le sue pagine
scarmigliate come la mia anima.

Il mare profondo
Il mare profondo asperge
nel cielo a sprazzi
-chiari
e scuri arcipelaghi
di nuvolose stelle-
delle fruttuose piane
il succo
purpureo
del cuore insanguinato.
Oasi nel deserto mare
dall’alto gli
alberi
si piegano al vento
tendendo i rami
fino al loro estremo.
Le
sirene cantano
al sordo stoico e tenace
di nettare riempiendo
le sue
mute trombe
che il mare accoglie
tra le sue dolenti spume.
È ratto di
anime perdute
nell’infinito spazio.
Una danza struggente
arriva al
frutto desolato
donandogli il lacrimoso letto
su cui troverà la ….

notte.

La candela
Flebile fuoco di candela
rompe
il bruto dominio
del buio
nella stanza.
Lieve, tremolante
come gli oggetti intorno,
la cera
calda modella
figure fantastiche,
che si adagiano sul fondo del piatto

irretendo le mie fantasie.
Gatti foche
e uccelli
dalle bianche piume,

disegnano bizzarre figure in movimento
sulle pareti bianche.
Un
picchiettare di pioggia
tamburella sui vetri
accompagnata da un soffio
di vento
che entrando dalla finestra aperta,
urta la fiammella leggera

scostandola, oscillante
come una legno sull’oceano prepotente.
Un
refolo di vento
più insistente la spegne,
ruba la luce intorno

restituendomi al buio.

Il temporale
Socchiudendo gli occhi
vedo l’infinito
campi brulli,
mari aperti
soverchianti cieli
le stranite mani sul capo
sul
pagliericcio
dietro questo cielo quadro
quattro feritoie
su un cielo
sgranato
e una croce in ferro
sotto questa spada di empireo vuoto,

tranciata da un vicolo nero,
chiudo gli occhi e vedo l’immenso,
la mia
mente solitaria vaga,
dentro ampi spazi angusti
in un abbacinante buio

sgretolandosi,
come un vaso di coccio
il mio corpo si arresta
si
arena,
e solo la sera torna
tra le quattro anguste pareti.
Un grumo di
nebbia mi assale
sgretolando l’involucro di coccio
rivelando l’intimo
respiro
tenace baluardo ultimo,
sulla vetta della montagna,
scivolano
lentamente
le mie mani
graffiando le pareti gelide e vischiose
come
saetta nel buio profondo
d’improvviso l’oggi divenne ieri
nel silenzio
il dolore
-che voce tonante possente di mare -
sono l’uomo
dentro la
clessidra
mille volte capovolta
e mille volte
ha udito l’inesorabile
cammino
del granello che porta il suo nome
-una voce leggera

attraversa i rami del cipresso-
attraversa i campi dietro le finestre
vuote
sopra le colline scorgo,
colui che
il granello trasporta col
vento
foglia autunnale strappata al ramo
da un improvvido temporale.

Ho bisogno di te.
Hai bisogno di me,
sono l’aria che respiri,
-non
solo-
sono la diga che trattiene
le tue piene,
la lama che sminuzza
le
tue pene,
sono l’albero che attenua
il furioso cammino dei tuoi venti

trattenendoli sui forti rami,
sono il focolare che contiene,
-tra le
sue solide pareti-
la brace dei tuoi tormenti.
Ma sembra che il respiro
trattieni,
il letto del tuo fiume
-ormai asciutto-
il tuo vento
spento,
i tuoi legni un tempo ardenti
ardano altrove.
No,
non hai
bisogno di me,
ero la roccia
che rompeva i tuoi spumanti flutti
il mare
che accoglieva
il tuo pescoso frutto,
la sabbia che modellava
le tue
forme,
nei sonnolenti pomeriggi
di un estate dimenticata.
Come una
bottiglia di vetro,
che il vento strappa dalle mani del mare
spumose,
rabbiose mani,
-sono io-
quel mare,
che aveva bisogno di te,
e non lo
sapeva.

Come foglia
Senza te ramo, mi disperdo
sballottata dal vento d’
autunno.
Vorticose piroette e fantasmagoriche danze
mi spingono verso i
freddi e umidi lati del viale.
Un tempo del vento ero musa per i suoi
canti
e del sole ero figlia per i suoi fiabeschi quadri
abbacinanti
fregi che riempivano le strade di allegria.
Senza te ramo, io tremo nel
silenzio delle sere
in compagnia delle sue contorte ombre corte.
Gialle
reminescenze di verdi primavere,
presente pulviscolo di fronte ad un
passato
che riempie i miei e i tuoi sogni.
Ai miei occhi le nuvole
hanno un altro aspetto
così i monti e i campi.
Non più graditi compagni
di un tenero affresco
ma minacciose ombre nel mio futuro incerto.
Ed è
un’angoscia che mi pervade
questo esser sola tra moltitudini
che più
non riconosco
che più non amo.

Non soltanto novembre
E’ un precipitare
da infinite altitudini
da
chiare notti stellate
di caldi profumi di mare e stalle
di colori e
sentori leggeri
come acini d’uva mangiati e finiti
in un battito di
giovani ciglia.
La ruggine invade le strade
e di ferro e di foglie
caduche
il mio elettrico mondo pervade
di metallici fiori giganti

dagli occhi sparati
di venti urlanti e fitti piovaschi
che sferzano l’
anima imbragata
sotto stremati ombrelli e quintali
di stoffe pesanti.

Non soltanto novembre
ma il gocciare dell’acqua piovasca
su catini di
rame
il vociare di gattini freddati
sui vetri blindati
e il latrare di
cani
e il mugghiare del vento insinuante
sulle fesse aperture
delle
porte sprangate,
di bimbi urlanti e madri crepitanti,
dietro fiamme
bollenti
e brodaglie potenti.
Nostalgiche immagini
di stagioni
festanti
di verdi foglie e salde
sui rami influenti
e delle lune che
vi si adagiavano
cantando,
poeti antichi e nuovi cantori
tra i campi e
i colli
e le stelle a contorno.
Non soltanto novembre
ti accompagna

nelle fatali sere di solitudini
e gli amari bicchieri,
sono le ombre
piccole
e dense come petrolio
a consegnarmi nel cuore un gelo
colmo
di angoscia e dolore
come se a morire non fosse
soltanto una stagione.

La giacca
Appendo la mia giacca al muro,
vedo le ombre indossarla,

fumose signore di una sera
che non conosce fine.
E’ come aver ceduto
loro l’anima.
Un corpo nudo avvolge il cuore,
abbracciando il vuoto
pesante
nell’aria intorno.
Non un suolo su cui camminare,
solo il buio
con cui parlare,
dei miei spogli piedi che volano
ma sembrano
precipitare,
in un desolante vuoto infinito,
finito.
Dove è la fine di
qualcosa
e l’inizio di niente.
Un punto zero.
Non domandarti niente,
-
non perché non abbia risposte-
ma perché ne hai paura,
E allora
preferisci il buio
del non sapere
alla devastante luce che svela
le
tue macerie.
Dove la violenza dell’aria
ha proiettato il mio segno sui
muri.
Scacciando le ore e i minuti all’indietro.
Meglio il buio allora

il non confronto,
il non visto,
il non tutto.
Riprendo la mia giacca
ed esco.

Laudate hominem
Irrompe il fiume di parole
sul letto sfatto, sfinito,vuoto
del fiume sacro e inviolabile
nella rada tersa e chiara
risuona il celtico canto
donando miele alle genti in trepida attesa
laudate hominem
l’uomo è tornato
in groppa al grigio elemento
sento acuirsi i conosciuti sensi
vicino è il momento in cui
egli poserà il suo plico
sulla mia casa
segnando il mio fato
ma io non ci sarò
di terra vestirò il mio corpo
di foglie il mio cuore
di sembianze muterò
di musica l’aria pervaderò
la mia cosciente assenza
vendendo l’inutile aratro
con cui aprii le atroci ferite alla terra
inondandola del seme
che mai ebbe il fiore
urlando il mio dolore
dalla torre più alta
laudate hominem
volgete lo sguardo
verso l’alta montagna
la’ mi vedrete
danzando e cantando
e nuotando nel fiume
dell’ era inesorabile.
che forte mi volle
ma che mai mi ebbe
che mai vide il segno del tempo
sul giovine volto immortale.

Di luna
Nella quieta sera
sorprendo la luna su di te.
Ella, come un fiore dolce e gentile
ti sfiora
come il letto di un fiume
che lento accarezza i ponti
su di te cede il suo liquido lucore
avvolgendoti di nera seta,
amandoti.
il suo riflesso come sul mare
ti dona l’argento
sulle pallide colline
sulle valli innevate
regna l’onirico respiro
dell’erba umida e tenera
mille labbra parlano
sulle mie tese mani
mille stelle danzano
sui mie occhi chiusi
le tue ali accarezzano
come messi mature
la mia ritta falce
come punte lievi di spillo
ti sorvolo estasiato
brucio dentro
ardo fuori
bacio i tuoi fibrillanti umori
a fior di labbra accese
nel musicale silenzio
il tuo scoppiettante riso
è aperto e acuto bacio
sulle mie pulsanti vene
il tuo miele suggo
mordo il tenero fiore
volando sui tuoi sopiti sensi
arrendevoli e languidi
abbandono il mondo
e mi immergo nel tuo dolce abisso.

Novembre
Novembre ti ho visto da tanto lontano
piangevi
di calde lacrime inondavi il fiume
per non riconoscerti
nel triste mese.
È vero, piangi troppo
le tue albe così desolanti
le tue lune così atroci
i tuoi amari soli.
Il fumo acre del tuo fuoco
mi ha gonfiato i polmoni
di inebrianti torpori.
E’ vero, piangi troppo
in queste notti infinite
tutto va in esilio e dorme
stormi d’uccelli argentati
alludono al futuro vigore.
Spacchi la mia chiglia
il ghiaccio del tuo mare
ritrovando la via
di albe lucenti
di lune stregate
di soli dolci e suadenti.
Oh, che io ritrovi il miele
negli angusti anfratti
nei tuoi tronchi cavi
nelle tue pallide foglie.
Rivesti il mio suolo
nel delirante cielo
di cupo latrare di lupo.
Oltre il denso velo
ridesta la luce della luna.

Colpi di coda
Lo scarto repentino
dell’anima
rompe lo specchio
cui si riflettono
pensieri vacui,
taglienti.
Il secco cuore spezza gli argini
precipitando nel deserto,
il sole picchia
sulle vene azzurrine
delle tempie pulsanti.
Sul muro della casa,
l’orologio farlocco
scandisce il tempo
delle verità
annegate
nel crollo delle mie certezze
comprate al mercato nero.

Piangono
Piangono gli elementi
mostrando i loro colori più esili
l’alba che aveva i tuoi occhi
sembra un tiepido sogno
all’ombra della luna
la collina che disegnava i tuoi tratti
pare uno sbiadito gorgoglio d’acqua
che incontrando lo scoglio
spargeva le sue spume liete
sui nostri volti arrossati
piangono gli elementi
l’assenza di rose tra i fili dei tuoi capelli
l’assenza di luce tra i ritti filari dei tuoi bianchi denti
tacciono i versi che accompagnavano le nostre lunghe strade
dei grilli e delle cicale degli uccelli dalle piume rade
come navi dalle code prive di timone
piangono i sassi muti e immoti
piangono i fiumi
i monti
i miei occhi perduti nel vuoto orizzonte
piangono affamati nel ricordo
che riempie la tua assenza
ancora il giorno è bambino
la vita è pure bambina
il sole un catino pieno di luce accecante
su cui lavo le mie ferite
sulla mia anima annebbiata
è subito notte fonda
sul mio petto squarciato,
come un foro troppo piccolo
da cui esce il mare intero
travolgendomi.

Nel mare
Emblematico mio essere chiaroscuro
è il mare.
nelle carni molli dello specchio,
affonda il pensiero creativo fatto sogno,
assapora il succo amaro
di un successo il suo non-essere
soffocante pensiero.
Barca alla deriva,
che di lontano intravede
irraggiungibile,
il suo ultimo porto.
In una via che non s’apre
che vastità inutile è il mare.
Nei miei deliri di
girovago immobile,
di uomo morto
in mezzo ad una strada nuda,
l’anima
sprofondandovi
ogni tanto,
riemerge.

Rondini
Stormo di rondini
l’anima prende forma nel cielo,
vola in una nera coltre
aggrumandosi,
sgranandosi,
squarciandosi,
illuminandosi nel pensiero.
Si addensa tra disegni multiformi
ellittiche sfere
sale
scende
si inarca
si distende.
Come uno stormo di rondini
la mia anima migra verso lidi remoti
orizzonti invisibili
accattivanti
liberi
volatili come cenere al vento
come rade nuvole di talco sulla pelle umida
di irrorate albe di sottoboschi silenti
serico frinire di grilli sui campi assolati
stormo di rondini anima impigliata
dove il dolore muta s’acquieta
si dissolve in gretta polvere ma non arretra
si posa,
si evolve.

Oscura lettera
Di fronte a te mi pongo
oscura lettera
che come folla avanzi su questo suolo
su cui poggio il quotidiano cammino
tormentato, stremo
non ci sarà mai fiamma
capace di misurarti
trovando nella sua luce la tua fine
e il mio naufragare senza te,
una luce lontana, labile, vaga
quella luce che mai ,
mai troverò altrove
se non nel tuo tetro sguardo,
non ci saranno ritorni
non ci saranno rimpianti
tutto poggia, sospeso
sulle tue curve spalle,
interromper il fiato,
lasciarmi cadere per non muovermi più,
vorrei, così, d’un tratto,
per incontrar tuo prezzo,
più salato del sale
più amaro del fiele,
dolce.

Profumi d’ombra
Ogni giorno riconosco
nella morte di ogni cosa
lo sconfinato mistero.
Uno sguardo che si chiude
fasciato nelle spighe dei campi elisi
d’ombre notturne disegnato,
una foglia che si posa, pallida
sul ramo immobile, spento
di un forte albero,
il posarsi di una brezza
nel quietarsi di un’onda sul mare
nel tiepido calore di un raggio di sole
che si congeda sulla pelle rosata,
una città che si chiude nelle case
nel fumo vuoto di un fuoco ormai spento
in un desiderio agonizzante
di vecchie carni stanche.
La meta è ancor lontana,
avvolta nel tremore del buio
una luce piccola
faro nella notte burrascosa,
anelata e mai raggiunta.
Di tale profondo desio faccio giaciglio
accartocciato fra i mille relitti che vennero.

Sogno
S’aggrappa il filo sottile
che tiene legata la luce ormai lieve del giorno,
ombre incedenti come cavalli dal nero manto
nella notte protesa galoppano sulla coscienza.
cedevoli come fango scivolano i pensieri
verso lidi sconosciuti, ignoti,
muto ascoltare delle voci nella sera
frusta la sabbia il mare con le bianche spume
il vento guida le foglie sui rami, i canti, i carmi,
i moti dell’anima spazzano i pietosi resti del giorno.
D’un colpo, come un cielo denso di nuvole
squarciato da un fendente di sole,
appari nel ricordo, avvolta nella luce
schiudendo come un fiore sensazioni morte
riportando viva ogni cosa lontana, labile, vaga
riportando i colori come una ventata di fresco.
Eri nuda nel ricordo, quei fianchi rotondi
che ispirarono il dio che inventò la terra
quei seni pallidi del colore della luna
le mani i piedi piccoli e trasparenti
come cascate di pura sorgente
i capelli soffici luminosi raggi di sole
avvolta solo di silenzio e luce
camminavi tendendo la mano
con movimenti lievi, come carezza al vento.
Quando, nella notte che muta in giorno
la terra riprende i colori
si risvegliano i sensi sopiti dal lungo sonno
il sogno lascia il posto alla realtà
Fanno capolino i suoni e i rumori del rito quotidiano
le risacche le campane le grida
le cicale sui campi, i grilli,
Il mondo riprende i suoi ritmi, ritorna sui suoi passi
lento.

Nebbia
La piccola finestra sui campi
perennemente imbevuti di nebbia
sussurrava la sua cieca pena
al perpetuo oblio sulla pianura tiepida.
Il corpo immobile taceva per non destare un dolore
che attendeva quatto il suono di una voce.
Il suo sguardo tradiva la stranezza di un cielo
che non era il suo cielo.
Le colline invisibili come una massa scura
si stagliavano nella memoria stanca.
Nella scabra tristezza di un cielo assente
il suo sorriso aveva la piega di un frutto antico,
che splendeva altrove nel tempo.
Le sue parole non avevano voce dentro le nubi invisibili
ferite dai rami degli alberi bagnati dalla nebbia.
Era pallida dentro il suo sangue
anch’esso impregnato di sale,
il suo viso era una dolcissima sfera ovattata,
nella notte prigioniera,
come una nube impigliata fra rami antichi.

La mia poesia
La mia poesia,
è la mia voce,
è il mio sguardo,
è stormo di silenziosi voli
mutevoli cangianti e irridenti folletti
posano sulle candide vesti
come una piaga sempre aperta
una laica stigmata
di sangue ora rappreso
ora liquido
incurabile,
non conosce pace
cola
di tanto in tanto,
impalpabili sensazioni
oscuri paesaggi lunari
mari calmi
verdeggianti colline
un levare di volo leggere
precipitano in un improvviso
deserto arido e vuoto
si rialzano
vagando come falene
follemente vestite
di insopprimibili tormenti
improvvisi squarci di cielo
sui quali si formano
piccoli sprazzi di luce
che lievi si posano
come pulviscolo
senz’alito,
sulla mia terra

Non è vita
Non è vita
non è morte
la ruota dai lisi denti
che gira sui raggi violetti
del fiume riflesso
sui nostri volti
perennemente bui
testimoni
del fu che non passa
che non abbassa il suo sguardo
sopra il nostro cielo.
Non è il mio sangue
Il liquido che sfrigola
sulle fredde pareti del deliquio
roboante flusso di neri pentimenti.

Quante volte
Quante volte
ti ho pensato.
Nei solitari cortili,
con la luna
premuta sul cappello,
addentando un rimpianto
dal gusto amaro,
scalciando pietre mute
dallo sguardo chino.
Quante volte
ho contato i baci
che non ti ho dato,
incatenato nel
lacero vestito dei ricordi
ricucito dai mille pensieri,
distanti uccelli migratori
che oggi mi lasciano
solo con il freddo.
Quante volte
ti ho aspettato
in compagnia del tempo
beffardo
suonando mille volte
lo stesso accordo
vedendoti mille volte
tra la gente
e afferrandoti
nelle folate di vento.
Quante volte.

Alghe di mare
Sul suolo sabbioso
i tuoi lisci capelli,
creature delle profondità marine
si dischiudono,
si distendono come fiori
che sbocciano nelle notti
avvolte da una luce argentina,
non c’è tempesta
o placido mare
che li possano agitare,
se non il movimento lento
e sinuoso delle alghe di mare
ondeggianti, leggere
verdi frondose leve
che avvolgono ,
nel loro abbraccio lieve,
il mio cuore eroso
silenziose moltitudini
di minuscolo cosmo
collane purpuree coralline
cingono il tuo corpo candido
languido vento marino
correnti lievi
lo accarezzano,
come una mano invisibile,
penetrando segreti anfratti
come un fiume sotterraneo
amorevole,
passandoci sopra.
Nei nostri occhi,
la luna brilla come
una giovane perla
nella sua conchiglia,
lontana.

Sera
E’ sera sui miei giorni,
le mie care ombre.
Sciamannanti e spettrali forme
abbarbicate sui muri della casa.
Come sempre mi seducono
mi ipnotizzano.
Attraenti come luna piena,
affascinanti come lingue
di gelido fuoco,
disegnano i miei miraggi.
oscuri incomprensibili geroglifici,
grandi risa e menzogneri pianti.
Lo sguardo lontano, rifletto,
la vita non è forse più
che delle ombre sui muri ?

Pezzi di luna
Si ergono radenti gli uccelli
sulla notte bassa
abbeverandosi del calore del suolo
appena lasciato dal sole,
l’uva è piena e giovane
e schiocca sulle bocche,
il vino vecchio arrotonda le menti
le labbra rosate vibrano
come ali di farfalla,
sfiorano gli occhi socchiusi
assaporando l’estasi
del muschiato oggetto
dal profumo di desiderio,
che dipinge nella mente
i colori del tramonto,
gli odori intensi del bosco
i canti delle sirene
assiepate sui rami
degli alberi che squarciano
i raggi della luna
inventando,
mille piccole esistenze
piene di luce,
che posandosi sul tuo corpo
lo avvolgono tra le loro spire
nella notte arcana ed ebbra,
rendendolo unico.

Dimenticare.
Tra le pieghe d’ombra
nel crepuscolo dorato,
tra le tonde pareti
di un sogno smarrito,
nelle volte arcane,
misteriose,
dell’antico passo ti vedo.
Riassetto i miei pensieri,
celando agli occhi del cuore
il tuo batter d’ali
il tuo delicato frusciar di passi,
sulle secche foglie dell’autunno.
Dimenticarti.
Certo.
Come far sparire
una stella dal cielo,
o come spegnere la luna.
E così ti vedo.
piccole gioie trafugate
ad Nelle lunghe notti inesplose,
nei giorni vaghi di cose,
nelle un periodo inquieto,
culla dell’anima debole,
vuota, piegata,
come il gambo di un fiore assetato.
E così ti sento,
acre come il fumo
di un giovane fuoco,
come il grattare
di un secchio di latta
sul ciottolato di casa.
Il tuo ricordo è il vento.
Inesorabile.
Che percorre oceani
e spazi immensi
guadagnando forza
e impeto ad ogni passo.
Riportandoti a me.

Stella lucente
Ascendo le vette
emozionali
lunghissimi attimi,
rari,
di luce.
Meteorite
da lontane costellazioni
precipitasti sui miei silenzi
eclissandomi il mondo.
Anima sensibile e calda,
che rubasti i fiori del mio roseto
spinandoti col mio sangue,
per donarmi una ferita d’amore.
Rarissima pianta
di bellezza potente
nel giardino incantato
celasti le tue segrete pene
ai miei rapiti occhi chini
per non darmi fio.
Frutto acerbo,
delle più verdi colline,
che mi donasti il tuo aspro succo,
come eterno pegno
di infinito amore.
Vento,
che spazzasti tanto lontano,
i mille fogli
che cantavano la storia,
solo tu sai che è stata
il più lucente tra gli astri.

Luna piena
Salgo gli occhi al cielo,
docilmente attratto
dal tuo sensuale,
specchiante nitore
ricordi di sere dai
pensieri leggeri di seta
e sguardi lontani
di argentee sorgenti ,
pure,
discreta elegante sodale
di segreti momenti
musiche dolci, suadenti
distacchi struggenti
e lacrime e lacrime
e gioie, gioie,
testimone,
delle volte celesti
tra le stelle splendenti
la più fulgida
danzano intorno a te
lontano dal tuo luminoso fulgore
le damigelle
del tuo splendente ardore.

The rest is silence.
Inaccessibile silenzio,
immarcescibile,
come il più duro legno
come un martello
batti sui miei liquidi pensieri,
nella calura del vespro il mare,
virile, profondo.
inarca la schiena ,
sfiorando la terra
con la sua lingua schiumosa
lambendo le cortecce degli alberi
del colore dell’argento.
Il muschio pestato
odora d’incenso.
L’erba della notte
cresce le ombre,
sopra i muri disegnati
da parabole di luce pallida,
seducente
come amanti segreti,
penetra le voci della sera.
La luna, attraente,
si specchia
sinuosa nella fontana
fino in fondo alle sue pieghe remote ,
sferzandomi le tempie
odo,
le pulsioni tremende
del cuore agitato,
ed è strana pena
sentirlo tanto forte
in questo immane silenzio.

Il vento ti amava.
I tuoi occhi,
aprendosi,
annunciavano l’alba.
E non c’era giorno
che non ti restituisse i colori,
i profumi della campagna.
Sui tuoi piedi scalzi
nella spiaggia deserta
il mare lambiva le tue orme
traboccanti di spuma.
E non c’era notte
che non adorasse
attraversare i vetri e
posarsi sul tuo ventre piatto
il tuo seno grondante
che non amasse colorarti di luna.
E non c’era vento
che non desiderasse planare
sui tuoi capelli sciolti,
il tuo levigato dorso.
E non c’era aria
che non anelasse a penetrare
i tuoi spazi aperti
varcandoli
ti amavano
gli alberi coi loro suoni
gli uccelli coi loro canti.
Sui rami frondosi,
le colline ricoperte di luna
posavano le stelle
sui vetri della casa
inondandola,
inondandoci.

W.A.Mozart
K.493 in Eb-Major


Immoto mare, immenso,
nell’infinito silenzio che ammorba
le morbide linee delle campagne attorno.
L’alba, dentro i nostri occhi,
la prima di ogni tempo.
Splendide vesti giacciono,
il tuo corpo nudo avvolge l’aria
lambito dolcemente dai fili d’erba,
liberando una musica soave.
Il tuo ventre disegnato urta i miei sensi scoperti,
un fiore rosato permeato di gocce di rugiada,
accosto timido la mano, lo sfioro, regalandoti un fremito lieve.
I seni posati sul collo leggero vibrano,
ferendomi gli occhi moribondi d’ardore,
le larghe tese del tuo cappello ci nascondono al mondo,
che vigila sui nostri ansiti.
L’astro morente trattiene il respiro, riluttante,
l’epicureo sole sorge insinuando i pallidi gangli
sulle nostre amanti membra distratte e prigioniere del sogno.
Il canto del mattino sbatte le sue ali,
ritrovando il giorno.

Buio
Mi chiudo la porta alle spalle
ferendomi gli occhi il buio
mi pervade l’anima
le bambole storpie mi osservano
fintamente ghignanti felicità
un gufo dai grandi occhi
sui rami dell’albero
di fronte alla finestra aperta
nelle lunghe ombre della sera
sembra un gigantesco uccello
La liquida luna
Illumina il mio mondo
cammino tra le mie macerie
regno di polvere e ragnatele
solo con i miei pensieri
e la musica di Mozart
strizzandomi il cervello
come un limone secco
ho un tale bisogno di dire
ma sono carne da macello
Aimè non so più cosa fare
il mio passo è immobile
lo sguardo immoto sul foglio bianco
rantolo scrivo nella polvere
vuoto nella mia pienezza,
un frutto troppo maturo cade dall’albero
precipita tra le foglie secche
in un crepitio di vetri rotti
della mia coscienza di non essere

Eden
Il piumaggio sfavillante del tramonto
ci sorprende nell’ora della sera.
Una piuma strappata alla sua vanitosa coda
segue il profilo del tuo corpo nudo, molle,
adagiato su un tappeto di ninfee del lago,
il cielo dai disegni deliranti,
porta in grembo un languore denso, saturo
invisibile nell’ aria dai mille colori.
Intimidito dai mille suoni intorno,
il tuo tumido fiore si apre e chiude al dolce ritmo,
del canto delle raganelle che ammutoliscono.
Nell’improvviso silenzio profondo e assordante,
il popolo del lago assiste allo scempio dei sensi,
la palla di fuoco si adagia sulle acque,
regalando un riflesso roseo ai nostri corpi.
La piuma sfiora i tuoi madidi seni,
i piccoli boccioli rosei si ritraggono animati
oscurandosi e inturgidendosi come ciottoli
sugli argini accaldati delle mie labbra.
Volo di fenicotteri nel cielo arrossato il tuo volto
le lunghe gambe aperte senza vergogna
si chiudono intorno al mio corpo,
pregnandolo del tuo afrore di frutto selvatico,
penetrando le mie narici dilatate,
come spore di un fiore al mattino,
dilaniato dalle api,
smaniose di assaporare il suo dolce miele.

Frammenti, schegge e ritagli
Sotto i colpi dei giorni che squassano,
stanchi brandelli si stendono,
sul sofà della vecchia casa.
Lo sguardo intontito incontra
il vuoto che lo assedia,
vuoto come la bottiglia che ha accanto.
Dentro le sue lenti distorte intravedi
il destino millantatore,
visione offuscata di antiche vestigia.
Dietro le spesse ragnatele
del quotidiano appassito,
testimoni di un tempo lontano nel tempo.
Schegge di passato duro a morire
ritagli di vita dispersa riaffiorano,
dai meandri del profondo.
Volgi lo sguardo ignorando le crepe,
in estrema, ingannevole ratio,
cerchi i punti che uniscono il cerchio,
sollevi il capo in un attimo di illusione,
stendendo ancora, i tuoi frammenti,
dimezzato delle tue facoltà, infelice,
nell’inutilità del presente,
sul vecchio sofà,
compagno di solitudine.

Zanzibar
La fioca luce della luna
si riflette sul grande padre,
placido ricovero
di dow e galeoni nella notte.
Sotto le nostre finestre saracene
disegna tremolanti figure
sui suoi scuri argini.
Appiattendo i colori
nell’alcova pervasa da penetranti
profumi di spezie
attutendo i rumori
tendaggi e tappeti
riempiono l’aria
dell’acre silenzio
del fumo delle candele accese
che si arrendono ai profumi stordenti.
Il tramonto lascia il posto alla notte
magica, stellata d’oriente
Tutto intorno è spento
nella notte promettente
tranne i nostri sensi
acuti come mille aghi
conficcati sui nostri corpi nudi
lustri di profumati unguenti
scivolano nell’oblio dei sensi
affamate dimore
dei luoghi più profani del pensiero
lentamente i petali dei fiori notturni
dischiudono alla luna, lascivi,
i loro preziosi tesori.
Riempiendo l’aria di nuovi profumi d’oriente.

Oltre noi
Indosso lo spazio che mi circonda,
colmando ogni angolo del tuo corpo nudo,
abbandonando le vesti che lo celavano,
mi apri il tuo mondo privato, più intimo,
donando la luce ai miei occhi.
Un alito di vento lo agguanta dolcemente
avvolgendolo, guidandolo verso me
inondandolo dell’ombra lucente
che ammanta le nostre menti,
obnubilate dal desiderio impaziente di possederci.
La mia fine vorrei che fosse fra le tue braccia,
immerso nelle tue sostanze.
Tremo alla vista della luce
che emanano i tuoi occhi azzurri,
una luce letale,
che potrebbe condurmi alla follia.
Mentre i nostri corpi si uniscono
creando bellezza pura,
le nostre lingue,
come pennelli di geniale artista,
disegnano impensabili forme,
regalandoci sottili sfumature di dolore,
labbra, mani e piedi,
brutali strumenti di dolce tortura,
creano vortici di crescente desiderio.
Al di là del tempo,
che si ferma,
ci dividiamo il mondo,
nello spazio infinito,
oltre noi, solo l’universo.

Acque pure
Arrivasti in punta di piedi
portando spicchi di luce.
Per te, petali d’alba,
le mie porte si schiusero al mondo.
Nelle calli secche del mio cuore
nuovo sangue sentii affluire,
torrente di montagna dopo una lunga pioggia.
Mordendomi le labbra,
piccole gocce caddero sul siccitoso deserto,
bevvi, dissetandomi del mio stesso sangue,
Con passo leggero danzasti
sulle lunghe ombre del mio tramonto,
volteggiandomi attorno
leggendo i miei pensieri,
mi riempisti di baci fino a farmi svenire.
Con le mani unite,
nascosi i tuoi occhi alla mia vista
invisa alla luce del giorno,
di fronte al tuo accecante cospetto
temendo di essere sgretolato,
muro troppo secco,
da una piena di acque tanto pure.

Un giorno qualunque
La incontrai per caso, in un giorno qualunque.
Confondendosi nel cammino il suo corpo raccoglieva
i colori fragili dell’autunno
afferrandosi disperato alle sue ali sfuggenti
come pareti di un affresco tragico con quelle facce immobili e mute,
un senso di greve mestizia accompagnava il cammino dei miei pensieri.
Le foglie ingiallite danzavano sulla strada scagliate dal vento del
mare inquieto, brunito
creando multiformi scenografie,i rami spogli carpivano il sole
pallido
spremendogli l’ultimo canto, donando colore alle sue tiepide guance.
Gli alberi in fila ordinata sui viali come schiere di angeli
infondevano una calma pacata arrendevole e rassicurante.
Mi piacquero subito le sue non conformità.
Il suo lento pensiero estraneo al senso comune.
Quei suoi avari sorrisi illuminavano lo spazio intorno come mille
stelle.
Come la luna di quella sera che rifletteva le sue luci ovunque, era
bella.
Nei suoi occhi di miele un filo strappato nascosto eccheggiava come
un’
eco lontana.
Raccolsi una ad una le foglie delle sue ingiallite speranze,
ridandogli luce.
Come un fiore i suoi petali si apersero a me riprendendo profumo e
colore
e i suoi vaghi sorrisi illuminavano la strada mentre mano nella mano,
camminavamo
nel buio di una sera qualunque.

Muto
Vi è luce tra noi.
Una luce nuova
diversa diffondono
i tuoi occhi
una cosa sola
con i miei.
Le nostre anime salgono
oltrepassando i cieli
bassi sulle nuvole.
Il tuo viso è poesia
che strappa il cuore .
Immagino gli occhi del mare
riflessi sui tuoi.
La bocca un orchidea
intorno i tuoi capelli.
La tua pelle traluce
le fossette del tuo mento
Seguo i tuoi gesti
Senza fiato senza parole,
muto

Sogni
Una sera i miei sogni, vagando sui tetti,
anime di gatti senza fissa dimora,
franarono sotto il tuo gelo.
Come foglie rinsecchite
strappate all’albero da un vento truce
non tornarono più.
Così io disperavo di tornare a te.
Radici che parevano solide, inamovibili.
Come braccia di quercia.
Alla prima pioggia cedevole divenne la terra
su cui poggiavo i piedi sprofondandomi
in un fango denso e tignoso.
Le parole che dissi non ebbero l’effetto voluto
ma peggiorarono le cose
più di quelle che non dissi.
Facendomi affondare del tutto
in un mare di rimorsi e rimpianti
su cui navigo ancora oggi.
Ciò che lo rendeva il tuo posto ora è morto

Requiem
Nell’arcobaleno
dalla variegata scala di grigi
affondo la mia essiccata vena.
Nel posacenere ormai pieno
un turbinio di pensieri avvolge
il mio essere tormentato.
Le figlie della notte che tace,
generosa e complice ogni segreto,
recitano come voci bianche
il mio requiem,
pizzicando come corde di un’arpa
i nervi tesi
la spinetta esegue le sue acute girandole
graffiando l’aria attorno
radunando a se le nostre anime barocche.
Nel sonno agitato
sogno rivoli ininterrotti di parole
torrenti di abbondanti acque pure
feroci belve mansuete e docili
mi vedo sui campi in fiore
raccogliendo erbe medicali
per curarmi il male francese
dolce capriccio figlio
bastardo e incurabile
delle notti di donne e di bevute
spalanco gli occhi alla notte
incredula,
insonne nudo e disfatto
la donna che ho accanto
dal nero colante
sui begli occhi persi nel vuoto
cercando l’amore
rubandolo al sogno
stringo le mani a pugno
le apro lanciando nell’aria
pesante di fumo e polvere,
e odori di vita,
come mille coriandoli le
mie perdute stagioni.

Una cosa sola
Le nostre bocche unite,
intrecciano una tenera trama,
torcendosi le lingue si allungano
sciogliendosi,
scambiandosi gli umori lascivi,
diventando una cosa sola.
Le mani ansiose trovano
morbidi seni
dolci e teneri come il frullo
dei passeri intorno
stormenti gaio subbuglio.
Pizzico il fiore bruno
che turgido risponde,
e arrendevole incontra,
le mie mani curiose e tremanti.
Di quando in quando
i nostri sguardi incrociano
semichiusi,
le nostre incoscienze
trovando luoghi nuovi e
inesplorati
frugando e assaporando
mutamenti di forme e colori
osservando
crescenti ansie
spingendosi oltre
scivolando nel crollo
di ogni freno e inibizione,
in tale abbraccio
diventi audace fino alla
spudoratezza
e allunghi le mani
cercando e
stringendo forte
l’arnese sfrontato
e guidandomi
fin dentro le tue profondità,
fin dentro te.
Mentre su di noi irrompe l’oblio,
la perdita dei vigili sensi,
l’estatica morte.

Pensiero lento
La greve aria notturna
delimita il mio precario tutto.
Gli occhi miei si arrendono
al giogo del pensiero lento.
La mente schiusa nel volo
si attarda, sospesa.
Il corpo immobile,
nei suoi confini visibili,
nella livida notte immortale si stende,
impasto di anime e cuori.
All’ombra dei cipressi,
custodi dei corpi vuoti
che attendono nuova cenere.
Dei mille occhi che osservano
dall’alto,
covando il pentimento e il rancore.
Nell’indefinito vuoto,
della livida luce del giorno
l’uccello notturno depone
le sue uova,
che schiuderanno nuove vite.
Nel giovane mattino,
l’aratro scuote il terreno sassoso
scrollandolo,
seminando rimpianti
da cui fioriranno
nuovi tormenti.

Credo
Monda con l’acqua benedetta
la mia anima colpita dalle febbri malariche,
lavando i divoranti segni sul mio corpo.
Della Tua forza fammi dono.
Fulminami mentre cammino sulla via
dove gli uomini rivedono la luce
che sgorga dalle Tue mani piagate.
Aprimi gli occhi e il cuore di padrone
che anela a diventare servo.
Violentami mentre volgo lo sguardo
avverso e indifferente,
sulla altrui sofferenza posandolo sulla mia,
egoistico e immobile orizzonte cieco,
chiuso da finti paesaggi brulli e fiori artificiali,
profumo del nulla cosmico
che avvolge il mio essere sgretolandolo.
Fammi salire sulla Tua croce
percorrendo uno ad uno i gradini
della mia inettitudine ed empietà.
Ridona ordine a quel caotico puzzle
senza colore né armonia
che è la mia anima.
Tutto ciò Ti chiedo.
perché Ti amo con tutto me stesso,
e Tu ami me.
Nelle pieghe più remote
del mio cuore io Credo.

Tentazione
Nel buio delle segrete celle,
permeate da sottili lingue di avara luce,
rivolgi le tue stanche preghiere,
allo sposo cui dedicasti,
in promessa d’amore puro ed eterno,
le immature e tenere vestigia
di vergine giovane e incerta.
Le sacre vesti candide e grevi
avvolgono le carni nude,
deboli difese alla tentazione terrena.
Come un fragile paravento,
una flebile brezza le travolge,
demone nel pensiero oscuro entro,
come una serpe mi insinuo,
traditrice, nelle tue incertezze.
Invano tenti di scacciarmi,
la tua vocazione vacilla ,
come una pesante ma fragile porta
sotto i colpi possenti dell’ariete,
trema la terra,
su cui posi il corpo penitente.
Tremano le tue braccia,
le gambe, tremi tutta,
confusa, smarrita,
cadono i capelli biondi luminosi
sulle spalle, morbidi,
troppo a lungo nascosti al peccato,
scivolano sul pavimento i simboli
lignei della tua invisibile catena,
invocando il perdono,
scacciando il pensiero immondo
che ti afferra, ti percuote l’anima,
le vesti sacre cadono come delicate vele,
alla prima tempesta, lacerandosi
e lacerandoti,
nella impari lotta tra il bene e il male
cedi di schianto,
tradendo il voto d’amore puro ed eterno
abbandonandoti, languida,
nel vortice della passione,
godendo del frutto peccaminoso,
dallo sconvolgente, sconosciuto,
nuovo dolce sapore,
pregnante fusione di corpi, sostanze
sensi di colpa e libertà,
in un copulante brivido,
sotto gli occhi obliqui e vitrei,
dell’immobile sposo tradito.

Della pioggia
Il grido dell’uccello di cristallo
rompe l’armonia dei miei pensieri di vetro.
Si placano le onde.
Si rabbuia il cielo.
Lampi di acqua si gettano sulle
colline che sanno di sale.
La terra vive di nuovo respiro
le messi attendono il loro tempo
di farina e pane
le vigne promessa di vino.
Sento i canti delle cicale e dei grilli
interrompere l’armonia dei suoni
sento il cuore nel silenzio
rubato di un tempio
pulsare di nuovo sangue.
Vederlo correre verso braccia tese
Dalla fragranza di un bosco bagnato
Nascondo i miei spasimi
Mostro nuovi fremiti e vitalità
Di fresca gioia
Troverò al mio ritorno
Tramonti in fiamme e notti stellate
Lascerò buie stagioni di attesa snervante
nell’attimo fuggevole
di un giorno di pioggia

Ombre
Accecante
luce del giorno.
Non mi avvidi
che come un albero
le sue radici
come il mare
i suoi abissi
dentro me si celavano
delle ombre.
Nascosi dietro le mani
il mio viso
ignorandole.
Posando i miei pensieri altrove
negai la loro esistenza
i lievi tremori
i sussurri,
le urla,
provenienti dal mio buio
non fossero
degni di ascolto.
Mentre lentamente
solide catene
si formavano
ai miei piedi
rallentandomi il passo.
Rendendo il mio tempo più lento
e faticoso,
i miei giorni
mi presentarono il conto

Vento
Sospiri leggero sulla ringhiera,
di fronte il mare,
immergendoti
nella policromia di colori
di sera d’estate finita.
Davanti agli scogli immoti
trasporti pezzi di aria e mare
che minuscoli si posano
bagnando le mani aggrappate
sulle livide nocche.
La brezza solleva i tuoi capelli
senza peso,
sospesi a mezz’aria,
contrari ad ogni regola,
svelando le piccole orecchie tese
ad ogni cenno delle mie labbra.
Il fresco venticello di ponente
sospinge le tue vesti impalpabili
quasi dentro il corpo
visibile all’occhio, nudo.
Le sule dalle voci roche
sopra il cielo di luce settembrina
gridando,
spezzano il silenzio stabilito
dall’eterno movimento degli elementi
di cui sei parte integrante.
Ti osservo statico e muto ti contemplo
fermerei il tempo e lo spazio
tanto sei nel tuo mondo.
Come le rocce che ho di fronte
testimoni mute di un impalpabile momento
mi ispirano i tuoi occhi grandi e neri
dispersi nei miei.
Null’altro sembra esistere intorno,
per quanto movimento ci sia,
siamo soli.
Questa aria di alga marina
e profumo dei frutti del mare,
ci perde.
I nostri sguardi arrossiti riflettono
il tramonto che scolpisce l’acqua,
e i nostri visi avvolti
nelle sue mille sfumature.
Rapiti ci trasportiamo
dolcemente nel vento.

Effimero sogno
Nel timore che fosti
un effimero sogno,
una sera,
mentre dormivi,
afferrai il tuo respiro,
e lo misi in una boccia di cristallo,
chiudendola con un tappo di legno.
Presi il silenzio delle notti d’estate
e lo riempii della luce della luna.
Li tenni dentro fermando il tempo,
sviando il destino, ingannandolo.
Respirare quel dolce sapore
ogni volta che ne sentivo il bisogno
ogni volta che sollevavo il tappo
inspirando profondamente,
quell’aria di mare impetuoso ed eterno
di gabbiani liberi nel vento,
volando ai confini dell’infinito.
Ma era un respiro più vago
ogni volta più flebile
e spento.
Era un sogno.
Capii che non si può afferrare un sogno,
e chiuderlo in una boccia di vetro,
come non si può afferrare l’aria,
fermare il mare.
È durato poco ma è bastato
per sentirmi,
per un breve momento,
felice,
e mi svegliai contento
sul mio letto vuoto.

The heart asks pleasure first
Batto piano le dita sui tasti leggeri,
lenta la marea si alza,
al passo dolce della spuma discreta,
abbracciando la sabbia amante,
nell’eterna danza silenziosa.
Più lieve di un leggero abbraccio
solleva il tono dei sospiri intorno,
la notte splendente di luna dona,
in una eco perenne,
ripetutamente i suoi suoni.
Le leve della natura armano
i miei sensi distaccati in una lenta musica,
dolce alle orecchie e rilucente d’argento.
Accompagnano il movimento delle acque
serrando il ritmo crescente
ascoltando il rumore silenzioso.
La stella lunare posa i suoi raggi
sulle colline dietro come un
nuovo ordine delle cose
mi metto le ali e ascolto
rapito…….
la serenata del mare
alla luna,
nella notte.
Il pulsare dei sensi appesi
al filo dei ricordi
immobili.
Come foglie nella calma piatta della sera,
il piano disegna la sua ombra sulla sabbia,
regalandomi la luna sulla terra,
sospesa tra cielo e mare
blu cobalto e nero seppia
il cuore avido di pace
si disseta,
e vive di momenti con lento
rimpianto al pensiero di un ritorno
nell’ombra.
Lui mi sente e alza i toni,
salendo a perpendicolo e portando
i miei umori tenui come una rugiada notturna,
che su un nuovo fiore,
nutre i suoi passi verso
il suo destino di luce piena
e solare.

Sei
Sei una nuvola che attraversa i cieli
fra i rami di un albero.
Il segno sul viso di una giovane donna
avvolto da un dolore precoce.
Nelle labbra di un giglio di campo
sei nell’alba muta e promettente.
Nel fruscio lieve di un lembo di veste
che percorre un silenzioso credo.
Compagna di pensieri delicati
Per me sei presente sempre.
Nel cigolio delle ruote di un carro
sul ciottolato.
Nelle donne coi loro dialoghi muti.
Nel dolce di un bicchiere di vino
preludio di ingannevole gusto
di effimera eternità sei.
Negli occhi posati su un tramonto,
nel fuoco di un camino morente,
nell’acqua di un rigagnolo in una pioggia estiva,
accanto a un vecchio mulino cadente,
nei pensieri di un uomo malinconico,
in un libro di segreti sogni svelati sei,
religioso appartarsi per ritrovarsi sperduti
nell’infinito dei tuoi occhi.

Rendez vous
Quella sera d’estate la incontrai
nella brumosa aria d’ agosto.
L’uccello notturno mi schiuse
il suo delicato apparire.
Era una luce più chiara tra le stelle
riportandomi il sapore antico
di giorni più freschi,
una voce che pensavo perduta
nelle profondità dell’ombra.
Come un incanto riemersero
vecchi fremiti e ansie
sorprendendomi nei profumi
di quelle colline intorno,
accendendomi gli occhi nel ricordo,
di mattini lontani nel tempo.
Nei suoi occhi di donna non bella, forse
ma tanto giovane mi sorprese,
il pensiero che fosse la luce più nitida
che avesse mai visto l’alba su queste colline.
L’ho inventata cercandola nel fondo
del mio cuore, nel fondo più fondo
dove sono nascoste le mie cose
più care.
La rivedo talvolta, dinnanzi agli occhi,
immagine dai contorni non ben definiti,
immobile nel ricordo
oscillante tra sogno e realtà,
inafferrabile,
incomprensibile,
dolce.

Eros-o credo
Lenta eros-ione del mio credo
nel dio celeste.
Spengo la mia sete altrove,
attingo e bevo dal pozzo
del caprone ritto e imponente idolo.
Immoralità e lussuria hanno il sapore
del suo nuovo spumeggiante vino francese,
non dolce e pieno dal gusto inebriante ,
offerta e promessa di nuovi e più ampi
squarci di luce, infiniti e celati agli sguardi
dei cacciatori di silenziose anime bigotte.
Leggo nei neri occhi delle donne-femmine
la promessa, senza limiti di ardire
nel teatro notturno della passione
dominio del rosso e del nero.
Affondo la mia penna e le mie carni.
Mani che mi attraggono
in mille svolazzi di abiti sottili
sulle candide carnagioni,
voiles di capelli e pizzi e sete,
incollati al sudore caldo e fumante
dai pesanti trucchi colanti su giovani volti,
come nere candele votive,
afrori di acido miele, purpuree rose sanguigne.
Pesante leggerezza che confonde le menti.
Dovunque intorno a me,
è ciò che viveva solo nei miei pensieri più sfrontati,
e affondo, sfioro e affondo, e sfioro,
sprofondo e riemergo nel caldo alito della notte,
avvolgendomi nelle oscurità femminee
– mantidi fameliche –
– vergini sacrificate all’angelo-demone -
di passione e languido intorpidirsi
musicali corpi danzanti d’elegante movenza,
sublime impasto di classe e sensualità ,
mondi sconosciuti a pudore e vergogna.
Mi abbandono ai richiami delle sirene
e mi immergo in questo mare di tenere carni
e lividi fiori notturni schiusi nel peccato
e mi disseto e mi inebrio del loro dolce vino
morendo, lentamente arriva l’alba.

Tracce di un uomo
Acqua
della fonte mia sorte
abbevero le mie sere
vuote di parole.
Sento avvicinarsi il tempo
in cui dovrò,
confessare le mie menzogne.
Rispondere al giudizio della terra
gelida e buia.
Il gatto miagola mentre cammina sulle mie ombre,
libero da catene.
Morendo rimango all’ombra di un ulivo secolare,
di mille uomini uguali a me stesso
investiti dalla vita melmosa e densa.
Senza un segno da cui emergere
nei giorni assetati di ricordi vacui
assente di tracce del passaggio,
nascoste dall’erba tra la terra e il cielo.
Il pensiero che mi rincorre
nei libri che raccontano le stanze
vuote della casa da cui mi allontano,
in assenza di orizzonti.
Morire senza perire
dando un senso ai giorni
è ciò che desidero.

Un anno in solitario.
Dodici lunghi mesi varco
questo mare di solitario esistere.
Le onde azzurrine
e le schiume trasparenti
bruciano di sale marino
la fronte ferita.
Occhi che han visto troppo.
Che hanno osato troppo.
Accrescendone i sensi dolenti,
allargandoli nella vastità dell’orizzonte
confuso tra mare e cielo;
conducendo i giorni di obbligato esilio,
nella mia isola,
sgradito approdo di ingrati ricordi,
di vita e unione intima,
tarpati nelle ali dell’orgoglio,
madre tanathos ne mutilava i rami,
lasciandomi i relitti galleggianti sull’acqua,
su cui mi aggrappo per non annegare.
Sovente l’arrivo di un’onda
più massiccia delle altre,
mi sommerge,
portando i miei pensieri a naufragare
sulla desolata isola affranto e senza fiato,
con l’albero della fede spezzato
come un bastimento,
lasciato in balia delle onde e del vento.

Mi sorprendo
Mi sorprendo ,
di sorprendermi ancora,
occhio di bimbo
mentre spalanchi il tuo universo
a me.
immensità oceaniche
s’aprono,
la luna in perpendicolo
lascia piccole
ombre,
sento l’acqua sollevarsi
attratta
lunatiche navi
attraccano
sgranando gli occhi cerulei
di un vecchio
marinaio dallo sguardo triste e
delle rughe profonde
solcate di stelle.
Mi sorprendo,
di sorprenderti al mattino
mentre ti pettini l’anima
per donarti a me
senza parole.

Perché dormi?
Da tempo immemore dormi
sulla nuda terra riarsa dal sole tiepido
della tua immobile sera,
e ascolti Il suo calore confortante,
rassicurante, muto come
un vecchio film in bianco e nero.
Vedo scorrermi le immagini di
un bimbo dalle gambe esili
e gli occhi curiosi che corre per i campi
inseguendo le libellule e sfuggendo le locuste.
I grilli sottolineano i suoi passi spensierati
con canti e melodie,
ritmando il riverbero del sole sulle colline
colme di fiori chini al suo passaggio;
gli alberi carichi di foglie tendono
le loro braccia al cielo accarezzandolo,
in rapida sequenza, veloci come il vento
che gli scompiglia i capelli.
Il sentiero irto si fa pendente, ansante
il bimbo sale e discende i dolci pendii;
uno stormo di pensieri mi accompagna
mentre osservo in volo la sua folle
corsa interrotta da un letale frangente,
strappandomelo verso l’ignoto.
Volti cari e sorridenti si susseguono
schiacciandolo alla terra forestiera.
Impetuosi alisei si insinuano prepotenti
tra le nuvole sparpagliandole
formando uno schermo e proiettando
il suo breve racconto terreno
mentre la donna ammantata
che me lo portò via accompagna materna,
il suo rapido passo alla quiete eterna.

Le belle signore della notte
Il filo sottile di un lampione trapassa i cuori
con aghi di gelo invernale,
le ombre della sera avvolgono,
accolgono, anime amorevoli e pietose,
i silenziosi fantasmi vestiti di noia
che uno ad uno escono,
entrando nei loro cappotti
allontanandosi dai portoni di case senza colore,
leccando le laceranti ferite dell’anima
inferte nella impari lotta con “quel buio”
che la tiepida fiamma di una sigaretta
attenua ma non cancella.
Le belle signore della notte
riprendono la strada che solo ieri
grondava degli umori di cento
illusi sorridendo di infelicità
portandosi dietro le borsette colme
di segrete confessioni, asciutte
come le fontane della piazza
mostrando i loro fondi pietrosi
rendendo i penetrati passaggi segreti
ogni giorno più aspri e difficili
umettandoli con la amara saliva
tenendo con le mani disperate una
livida rosa arrossata i cui petali cadono
uno ad uno in un inesorabile declino annunciato
dalle voci bisbigliate nei vicoli bui
nell’oscurità fredda e indifferente della notte.

Amo non amo
Amo i sensi che si arroventano
nel tumulto degli sguardi arrochiti
non amo le luci ondeggianti
e intermittenti di amori
spenti e riaccesi con un clic
amo gli occhi
sugli occhi
non amo le stantie
conventicole di parole
sparate su logori tasti
da esseri seduti
su un tappeto volante
parcheggiato
nel salotto di casa
immobile come un
gatto impagliato
con lo sguardo fisso sull’idolo
di fronte
che ogni giorno recita la stessa
preghiera agli stessi santini
amo te,
compagna reale di mille battaglie
vissute su un campo
vedere sulla tua fronte
le perle di prezioso liquido
che hai donato per conquistarmi
vedere i tuoi occhi
che dicono quanto mi ami
non dirlo che mi ami, che mi pensi
pensa all’aria che hai di fronte a te
medesimo risultato otterresti
non vedendomi e non sentendo
la mia voce
che ti donai
rifiutandomela
per paura
ma l’amore non può
far paura
è la paura del non amore
che indebolisce le menti
e i cuori.

Orgoglio ferito
Il volo d’ali di un pettirosso
mi fermò il cuore tremante
rimbombandomi nelle vene
con una esplosione di flutti sulle rocce spumanti
specchiandosi tra i recessi di antiche pene,
un gabbiano si ergeva immobile sulle ali
del vento impetuoso,
strappandomi l’anima a morsi
e portandosela via lontano negli
infiniti orizzonti dove il nulla è fato
e il gelo è fiamma
e dove il dolore è un fiore reciso
che non si può più donare.
Hai spezzato il ramo del mio cuore
per donarlo al tuo orgoglio ferito
da mille anni di pene.
L’hai reciso come si recide un fiore
mutilandomi.
Ignorando che avresti provocato
sofferenza e dolore
nel bisogno di compiacere
te stessa.
Hai ucciso un amore e in
quella pioggia, durata
giorni e mesi e anni
e che ha bagnato la terra e
rinvigorito gli arbusti,
non una goccia è caduta
sul tuo cuore di creta

Primavera
Prenderò per mano la felicità
indicandole la strada che porta alla mia terra,
donandole luce sulla via e un comodo giaciglio per dormire
accanto a un cuore assopito e assorto da anni portati di peso
sulle spalle della mia anima al tramonto.
Un intermezzo di betulle e biancospini bagnati
dal silenzio della sera a farci da cornice
inebetendo le ansie e ammutolendo le paure
tenendo a bada le fiere ed i fantasmi della notte
nella infinita chiarezza della luce della luna.
Se incontrassi per strada il dolore
gli indicherei la strada più lontana dalla mia casa
soffiandogli negli occhi la sabbia desertica dei miei giorni
accecandolo, levandole prospettiva e colore,
e orientamento e ardore,
ridendo delle sue bizzarre piroette
e danzandogli intorno sbeffeggiandomi di lui,
contento dell’inganno perpetrato dal mio cuore
grondante primavera.

Sono qui
E adesso sono qui, seduto ai piedi
di un vecchio albero dai rami forti
e le foglie giovani , con gli occhi velati
da una tenera malinconia, a meditare
sull’uomo che sono ora, e al bimbo
spensierato che ero, e trovando
nella pesantezza dei miei pensieri
il contrappunto alla lievità dei pensieri
di allora, e pensando che la vita era più bella
ma che la dolcezza e la leggerezza di quei
giorni hanno creato Il morbido letto di ricordi
sul quale mi cullo ora, e che mi hanno portato sin qui.
In fondo sono lieto di vivere questa vita,
dove la felicità non è che un papavero rosso
che spunta ogni tanto in un campo infinito
coperto di margherite gialle e piantine
spinate.

Dormi angelo
Da tempo immemore dormi
sulla nuda terra riarsa dal sole tiepido
della tua immobile sera,
e ascolti Il suo calore confortante,
rassicurante, muto come
un vecchio film in bianco e nero.
Vedo scorrermi le immagini di
un bimbo dalle gambe esili
e gli occhi curiosi che corre per i campi
inseguendo le libellule e sfuggendo le locuste.
I grilli sottolineano i suoi passi spensierati
con canti e melodie,
ritmando il riverbero del sole sulle colline
colme di fiori chini al suo passaggio;
gli alberi carichi di foglie tendono
le loro braccia al cielo accarezzandolo,
in rapida sequenza, veloci come il vento
che gli scompiglia i capelli.
Il sentiero irto si fa pendente, ansante
il bimbo sale e discende i dolci pendii;
uno stormo di pensieri mi accompagna
mentre osservo in volo la sua folle
corsa interrotta da un letale frangente,
strappandomelo verso l’ignoto.
Volti cari e sorridenti si susseguono
schiacciandolo alla terra forestiera.
Impetuosi alisei si insinuano prepotenti
tra le nuvole sparpagliandole
formando uno schermo e proiettando
il suo breve racconto terreno
mentre la donna ammantata
che me lo portò via accompagna materna,
il suo rapido passo alla quiete eterna.

Limbo
Empio luogo vuoto di straripanti acque
creando il limo
navigherò il fiume
dalle rive invisibili
pettinandomi i pensieri
vedo nel mio cuore
un involucro colmo
di silenziosi sguardi
che non hanno voce
Nel mio scrigno di abiti ammuffiti
nella mai tanto abbandonata casa
dalle vuote stanze rimbombanti silenzio
straripanti gente che ne ha calcato il suolo
un tempo sorridente e felice dai colori che
sbiadiscono come i ricordi
vedo davanti a me
la signora.
Stavolta ascolterà le mie preghiere
portandomi via in un luogo
dove tutti danzano.

Ignoto Dio
Saltando dentro e fuori dalla tua grazia
discendendo gli stretti vicoli dell’anima,
ti incontriamo qua e la
nelle chiese e nelle case chiuse
confondendoti
tra la gente comune
sentendoti come loro.
Spesso sei assente
o ti crediamo tale.
Nel dolore e il tumulto dei giorni
che vanno, diventando ricordi.
Passeranno i mattini, le sere
i dolori e le angosce
misurandone i momenti
con il metro delle foglie e delle nuvole ,
trovandoti nelle gocce di pioggia,
nei piccoli fiocchi di neve
raro come un uragano estivo
ma possente e influente.
Lasciandoci un segno profondo
che noi non comprendiamo
se non quando ce ne andiamo
riconsegnandoci a te ed al giusto valore
delle cose, finalmente consapevoli
del tuo grande disegno.

Restami dentro.
Restami dentro, restami dentro
Senza peso né gravità
Nel suolo del mare profondo
Nell’àlveo del fiume dove giaccio,
embrionale postura
spalanco le mie braccia e le mie gambe
lanciandole nell’infinito
Dove i sogni non si pesano
E non si rivelano
se non in forma di verità
Dove le volontà
Di due cuori
Due anime
nell’avverare i desideri
ai annientano
Il tuo occhio e il mio
Legati da un filo sottile:
che non ci separi il vento !
Come un riflesso speculare.
Restami dentro, restami dentro.
Più dentro !
Fino al di là del sempre e del mai
attraversami i fluidi del corpo,
arrestami tutte le attività
cerebrali e vascolari.
Come vorrei essere morto.
per restare con i miei sensi terrestri,
preso nella rete dei tuoi capelli.
Fino alla fine dei giorni

Cecità
Reticenza fatale fu la mia
Non vedendoti
Ignorando
I silenziosi richiami
Della tua muta anima urlante
Non sentii
I vicoli bui
Le calli secche
Le danze tristi
I canti mesti
Nuvole scure scambiai
Per coltri di luce
Cibo non ebbi
mi nutrii d’aria
                        Mi chiamasti
Nel silenzioso sguardo
Non lessi
Non riuscii
Il tuo tormento
Mascherato
Non vidi
Il criptico messo
Rinviai a te
Il piccione senza
gambe
punto invisibile
nelle immense distese
stella minuta
nell’immensità
della notte
piccola barca
nell’oceano infinito
come potei non vederti
cieco
sordo
fui
a non sentire
la musica
malinconica
nelle tue allegorie
dai sorrisi finti

Intendevo amore
Oh, silenziosa sera.
Terra e i suoi abitanti tacciono,
a quest’ora della notte nel mondo e nella stanza,
la piccola luce è tremolante nel lume,
acuisco i sensi carpisco l’aria, mi acquatto,
ascolto i vocii, gioco a carte con i miei fantasmi, bluffando,
da dentro il mio essere mi celo o tento,
mi infilo una maschera,
intingo il pennino,lo scolo sul calamaio,
è bianco il foglio, bianco come una vergine,
tendo il mio arco, mano e piuma son tutt’uno, sfrigolo sulla carta,
scoccando la freccia scrivo ,intendo amore
il dardo esprime e disegna un arco infinito nei miei ristretti
orizzonti
rigida è la mano ferma,
un peso immane mi preme addosso,
sopraffacendomi scrivo, intendo amore.
Ma le parole mutano colore, odore, sapore,
governando la mia mano sì ferma,
si adombrano, fedeli soldatini dell’anima,
sinaptico scontro di parole e sensi che esplodono,
marciando scrivono dolore, intendevo amore,
ma scrivono dolore.
Chi sono io per espiare?
Rimane muta domanda senza risposta.
Per quanto mi sforzi cercando di ingannarmi,
raccontandomi storie,
come morsi di cane rabbioso i destini del mondo, mi dilaniano
lasciandomi dolorante, dolente, in compagnia del mio buio,
privandomi dell’alto volo radente su campi e monti e mari,
dando alle mie orme il sostegno di una terra d’esilio che non amo,
ma che mi è ormai familiare,
di poeta che canta il suo e l’altrui dolore
pur intendendo amore.

Gabbiani
Rimbombano sugli scogli
Infrangendosi, i flutti
Disperdendosi nell’aria
In mille minuscoli diamanti grezzi
E luccicanti
Osservo i gabbiani
Galleggianti sopra le
Ali del vento
Che attendono
Con i loro richiami
L’arrivo dell’onda
Lasciando sulla superficie
Le ignare prede
In una discesa elegante
Carpiscono
Tuffandovi il corpo
E risalendo rapidi
Nell’aria.

Luce è perché
Sorprendo me stesso e la vita
nella dolcezza
di un attimo
rubato al buio.
Mi perdonerai,
le dico,
se resto qui,
solo un minuto,
a seminare parole
intrise di leggerezza.
Se esisto è perché
tu mi hai chiamato a te
in tanto soffrire,
un anelito di luce.
Esiste l’odio, si,
ma solo come unità di misura
della profondità,
e della bellezza,
dell’amore
e della sua grandezza.
Luce è, perché
c’è il buio

I tuoi occhi
Osservo i tuoi occhi neri, essi mi guardano e mi parlano,
il tuo sguardo, penetra il mio e lo assorbe,
come un’eco che ripete, senza parole e senza peso,
fino al di là di tutto,
i tuoi occhi,
essi raccontano, di giorni piegati, di porti di mare
andate di non ritorno, che strappano il cuore alla terra
che lasciano dolorose, ma invisibili cicatrici nell’anima,
materia e non materia divisi, e indivisibili,
al corpo che va e ti lascia, uno strappo insanabile
nella rete dei ricordi, dai quali non puoi
e non vuoi scappare,
i tuoi occhi,
cercano nell’aria le parole, trasportate dai poderosi venti,
ti portano i profumi dei tuoi amati fiori,
si stagliano negli orizzonti discontinui
di scogliere bianche e inaccessibili
regno di nobili esseri volanti
i cui grandi occhi neri
mi ricordano dicendomi chi sei e da dove vieni
i tuoi occhi,
parlano e mi dicono,che dovunque andranno, essi ameranno,
i tuoi occhi,
mia effimera ed eterna luce.

Ricordi
La testa accucciata sul mio braccio,
nel vago chiarore lunare
assorto, il pensiero indugia
sui ricordi,
e tristezza mi pervade.
In un fiore appassito
non resta forse qualcosa?
La sera è mite,
ma ancora sento il freddo
del lungo inverno.

Vidi
Chino, come un fiore reciso
che lentamente si dissolve
nei miei occhi spenti,
amorevolmente protetti
nel filo spinato, egli,
il buio,
mi spalancò le sue porte
mi aprì i suoi mesti sentieri,
io,
entrando con la mia schiera
di scheletrici spettri
vidi i mille specchi bugiardi
attori della mia tragicomica
commedia
uniti per le caviglie
da catene taglienti
tutti morti a stento
ma troppo vivi
accanto a me, avvinti
in un tragico destino
comune
vidi nel percorso
anime piangenti
donne percorse
da dolorosi tremiti
bimbi atterriti
da rauche urla inumane
di deboli uomini avulsi
in un vortice di polvere
sollevata nella strenua lotta
con la vita,
vidi.

Nel buio
Ho incontrato il buio.
Vedendomi mi disse:
Sei una pianta che non ha più fiori,
un guerriero senza più sogni.
Contorciti,
la vecchia signora ti spia,
con gli occhi socchiusi
scandisce nel temporale,
il gocciolio dell’acqua
che picchia sul catino
dei tuoi restanti giorni
nel silenzio della tua palude
prosciugata.
Raccogli, mi disse,
i vetri rotti delle tue lacrime versate,
e le sentirai frantumarsi nel buio
delle tue illusioni
vedendole
disperdersi in mare.

Poeta
Vorrei essere un poeta maledetto
vivere sotto i ponti diacci e puzzolenti
come le mie vesti lacere e la barba incolta
ubriaco, tisico e arrabbiato con il mondo intero
amato dalle donne e odiato dal sistema
affamato perenne, respinto e nuagè
nel mio contorto mondo odiato genero versi
laceri immondi e volgari, come me
e quando morirò
il mondo mi aprirà le porte chiuse
elevandomi e inneggiando
al nuovo poeta maledetto
parlo di donne di malaffare che commerciano il corpo
per un pugno di rape
di strade malfamate e di piccoli mostri nudi
nati sulle strade bagnate di piscio ed escrementi umani
di mercati urlanti e di zuffe sanguinanti di coltelli
di canti melodiosi e tristi, che raccontano di silenziose galere
di camini fumanti di verdure bollite e di amori bestiali
promiscui innocenti violenti appassionati
di luoghi bui dove il sole non entra se non a fette
antri umidi e bui dove il quotidiano arrancare si mescola

Sogniamo ancora
Corri, vento,
trasportami come foglia
e portami lontano
il riverbero del mare
sarà la mia coperta
il profumo dei fiori
la mia memoria
il canto degli uccelli
la mia storia
sono il re delle montagne
e dei cieli
farò cadere pioggia e neve
sulla tua bocca
regalandoti il silenzio noto
solo ai miei pensieri
non parlare,
saremo felici
di annusarci
di ucciderci con dolcezza,
sognando in volo
camminando sulle mani
fermando le acque
consentendoci di mentire
a noi stessi
che falsità non esistono
menzogne nettino
le storie sbagliate
dure come pietre
sui muri crepati di fiori
come i nostri cuori sognanti
strappati al silenzio
e la sera accolga, benevola,
le nostre paure
del cocente risveglio.

Passato
Penetranti, trascinanti,
laceranti catene sono,
il passato che vorrei lasciare,
ciò che sono stato,
non posso obliarlo,
egli è parte di me,
immenso come il mare
nelle sue profondità,
vedo la luce, in alto
che si intravede, si insinua, lontana
il sole si specchia
simile a mille pezzi di vetro
ma rimane lì
lasciandomi solo,
con il mio futuro,
trascinerò le mie lunghe catene,
nelle buie stanze dell’anima,
fino alla fine dei miei giorni.

Ti lascio
Non riuscirei a tornare ad essere lo stesso
nello stesso luogo, quest’altro me,
questo estraneo, è tutto ciò che sono ora.
non saprei vedermi come ero, eppure,
sono lo stesso di allora, il sole è lo stesso di allora
il vento il mare le nubi
sono sempre lì, a spianare il pensiero
renderlo vasto come l’orizzonte infinito
ma la mia mente è piccola
ora che non ho più te,
sento punte di spillo, che mi trafiggono il cuore
mi stritolano i denti,
tutto è infinitamente piccolo
stretti e angusti sono gli spazi nel mio petto
il tremore delle mie mani,il sudore della mia pelle
tutto è diverso, ora,
è deciso,
rinuncio a te, ti lascio, per sempre,
solo così potrò averti completamente,
potrò dirti che ti amo e ti amo e ti amo,
senza dovertelo dire per forza,
senza doverti perché, lanciarlo nell’aria
gelata immobile fissarlo nel cielo
e guardarlo ,usando i sempre, e i mai
con libertà di pensiero, senza catene
pregiudizi e buie distanze fra noi,
io ti amerò senza stentati addii
e ti terrò per sempre con me
lasciando in soffitta la mia sconfitta e la
vergogna dell’addio, ora, solo ora,
sei mia e lo sarai per sempre, felice,
di averti detto addio moltiplicando
come interminabili cerchi sul lago le nostre
primavere e sottraendole
al buio e gelido inverno.

Verso te
Incontrandoti
gesto rituale di intimità e parole
mi accuccio su un soffice giaciglio
e penso,
le mani sul petto
sul cuore
stentato il respiro
nell’aria rarefatta
immagino grandi altezze
essenza di cuori assenti
fugaci sguardi e sensi accesi
come fari sulla scogliera
nella notte buia
mi risparmi la morte
approdo finale
e finito.

Attraverso te.
Attraverso te
mi sembra di sentire
ciò che non sento
di capire
ciò che non capisco
di fare
ciò che non posso fare
è bellezza perfetta
sproporzionata
incommensurabile
tutto è piccolo
e grande allo stesso tempo,
attraverso te,
il cielo
il mare
il vento
li chiudo nella mia mano
e te li dono.

Il cammino dell’amore
Cercando l’amore,
per ore
e giorni
e mesi
colmi di delusione e tedio,
di speranze vane
e sogni spezzati,
lungo questo cammino,
la sola cosa che vale percorrere
in tutta la sua grandezza,
guardo senza parole,
l’attimo in cui l’amore
mi viene incontro
e tutto riprende colore.

Una vita lunga un giorno
Nasco e muoio oggi
attraverso i sentieri disseminati
di cuori fruscianti
lungo i quali m’incammino,
nel chiaro mattino
come un bimbo nei suoi occhi vedo,
la pienezza nelle cose vuote
la sera è lontana
inseguendo, come un fiume
che si getta nell’immenso padre
i sogni infranti e bagnati
come un ciottolo addormentato
sospinto dalla lieve risacca
in quei luoghi di serena pace
trovo lidi sicuri e protetti
il pallido sole non mi scalda,
consumando i miei giovani sogni
inesauditi che furono
oramai ,lasciando il posto alla luna
giovane e bianca presenza
lei mi vedrà,
solo ,con i miei pensieri
ormai stanco,
guardo senza fiato
il mare gelido che mi penetra le ossa e
sospinge i miei passi verso il crepuscolo
l’aria il vento musicano,
attraverso i rami distesi
al ritmo delle foglie cadenti
l’arrivo della sera.

Gloria
Al tuo cospetto
ogni valore si china e si esalta
ogni grand’uomo
mesce il suo rosso vino
ribollente di passioni
e brinda all’urlo feroce del tuo nome
dopo cruente battaglie
e immani tragedie
chi dona la vita
chi combatte
chi suona
chi canta
chi scrive
e ama
per inseguire la morte
sopravvivere ad essa
per te l’ieri è sempre oggi
e l’oggi, domani
di più grande più in là non c’è
nella nostra misera breve vita
che pretende il saldo del debito
tranne che a te,
Io che scrivo questi versi
spero che essi vivranno più a lungo e raccontino,
qualcosa di me, ai figli dei figli
non solo una foto ingiallita dal tempo tiranno
che tutto cancella e tutto fagocita,
tranne te,
che rimani fino alla fine dei tempi
nella memoria di coloro
che camminano sulle nostre tombe
nelle assolate giornate
madre dei grandi ideali
e dei più alti pensieri
illusione di tanti piccoli attori,
che in silenzio entrano sulla scena,
ed altrettanto in silenzio escono,
senza applausi né grida di bravo
senza lasciare nessuna traccia di se.

La luna
E’ notte a oriente la sfera rosata
sprofonda nell’emisfero del pensiero suadente
lasciando la tua linea sottile e ricurva
a dominare solitaria i nostri cuori insonni e lascivi
ad osservarti con i grandi occhi nell’aria liquida e bruma
fessure cerchiate di buio dal tuo magnetico richiamo attratti
si muovono i corpi nell’aria bluastra e bianca
come timide marionette mosse dai tuoi invisibili fili
uniti per le braccia e le gambe alle tue estremità celate
danza di corpi armoniosa e avvolgente
coperta di silenzi spezzati e gemiti affettati
afflati della tua oscillante gelida volta
portale di intrecci amorosi guidi
come una vecchia attrice consumata e consunta
il notturno amplesso di teatranti amanti
nella eterna raffigurazione di vecchi burattini
servi fedeli e immobili riposti sul retro del vecchio carrozzone
itinerante e zingaro, alla fine della nitida notte
luccicante di mille falene
e altra non c’e ne sarà uguale.

Ebbrezza di sensi
Il madido ariete
percuote
nel martellante ritmo
la purpurea soglia
di tenero arbusto
dorato
schiusa
e sottile
indifesa
accoglie
le furenti armate
cede,
inondando
disfatta,
le pallide torri
di nobile e dolce vino
ebbre.

Luce
Non t’avessi mai conosciuta
avrei accettato
il silenzioso frastuono
delle caliginose sere
il pesante fardello
degli scarmigliati mattini
dai capelli d’oro
e dalla levigata crosta
non avrei mai amato
la follia serpica e decadente
dei poeti maledetti
nelle notti dalle facce smarrite
degli scoscesi declivi
degli scrosci schiumanti
grondanti vigoroso miele
delle tue leve tremanti e tese
nel languido e languente intreccio
non t’avessi mai conosciuta
elemento naturale
metà oscura e
scellerata
ombra pedissequa
di frementi soli
raggiungesti il mio deserto
arrivando
rendendo intollerabile
ogni linguaggio sfavillante
che mi rivoltava ogni passato equilibrio
affidandolo all’incerto
travolgendomi.

Felicità
Impregnarsi
della tua essenza
addentrandosi
tra i pertugi
dischiusi
della tua pelle
come fossero
cuori fulgenti
di primigeni boccioli
esitanti
ansiosi
di sorbire
vigore
dall’ardente astro.

Donna
Ardente
mente
bramo
le tue guglie di rosa
i tuoi retti filari
i tuoi dolci incavi
immergo gli sguardi
palpitanti
sfioramento di sensi
lievi come veli
di brezza vespertina
come suoni crescenti
di organi sacri
e devoti
al tuo essere
femminea natura
torreggiante e stentorea
come vergini statue
di antiche vestigia
natura potente
universale canto
percorso di spirito
e carne
eletto miraggio
di notturni farneticamenti
e quotidiani deliri
irrazionale volo
di uccelli migratori
e zingaresche danze
rituali
ancestrali sirene
richiamano
al tuo peccato
soggiogante
che mille vite
e mille menti
e mille cuori
non bastano a spiegare
il perché
al tuo soffio potente
sia gli umili che i forti
come deboli arboscelli di campo
si chinano sfiniti
e vinti.

In un altro mare
Come un cero
è la mia anima
solide lacrime scivolano
lente
sulle gote tue di gesso
sequenziale ritmo
e assenza di peso
liquide e calde
nell’alba del tempo
lavica e dura pietra
fredda nella notte
modellate dal dubbio
(ritorno all’essenza ?)
lamentosi carmi
di novelli Carneade
le mie notti
ebbero solo il profumo
ed il calore
del miele
non il sapore
aspro del fiele
mentre lento
fatalmente
muore
dignitoso e perenne
il pianto del cero
che di suo
ha il destino mio
mutato in riso
amaro
per ciò che è stato
e per ciò che sarà
il prossimo mio passato
e tanto è profondo
il mio ansito
che finisco galleggiante
nell’altro emisfero
in un altro mare

Memoria
Nel tuo solco profondo
mi acquieto
inverecondo amplesso
di pensieri disgiunti
brutale
reminiscenza,
confuso impasto
di passato presente
e futuro che ormai
insinuante
ti scarnifica il tronco
ti imbianca le vette
e ingiallisce le foglie
immortali i ricordi
colorandone il mito
amplificandone i gesti
nei serali racconti
di gatti acquattati
e cani dormienti
nel serafico focolare
di mille giorni qualunque
di rari momenti
roboanti ed epici
di piogge e uragani
dominati
di folli amori
e malinconici crepuscoli
albe eroiche
e notti di stelle
nascenti
di speranza
humus ed essenza
vitale
di vane illusioni
segrete
brame
e desideri mai sopiti.

Anima gatta
Sorniona ti aggiri
fra le buie stanze
vuote
il tuo passo
quieto fende
gli immoti equilibri emotivi
avidi di riposo
gli occhi miei
nello stagnante silenzio
dell’aria
filtrata attraverso
una lancia di luce
densa
gravida
di minuto pulviscolo
il tuo sguardo
osserva distratto
le apparenti
intatte macerie
come retrattili pareti
bianche
di lancinanti
urla di muto dolore
testimoni
silenziosi
i tuoi occhi rossi
come luci nell’oscurità
fissano
ogni mio gesto
e ne raccolgono le trame
con un balzo
mi sei sul grembo
fai uno
due giri
mi annusi
ti accucci
nel mio pensiero ti assorbi
e dormi beata
amica
compagna
di solitarie astrazioni
mia anima….
gatta

Nebbia
Nel mio inconsapevole
illusorio
e vago esistere
intreccio il pensiero
mio puro e ingenuo
fatale mi fu
il veleno complesso
e pregnante
dell’altrui scorrere
in vene corrotte
minacciando
di uccidermi dentro
delirio e smania
di eruttare ad ogni costo
linee rette e curve sinuose
di senso compiuto provviste
da deporre alla mercè
di cuori nascosti
dietro muri di pietra
e pena
e noia
e indifferenza
schiava del quotidiano
vivere
non sono così
nella mia superficiale
nebbia mi celo
tento di affondare le mani
nell’abissale cuore mio
di nuova linfa pregno
ma resto sopra
mi avvinghio nell’illusione
di aver dentro di me
nel profondo
lo scrigno di tesori
che mi dicono
appartenere ad
un altro mondo
che non è questo.

Inferno
Non vorrei,
ancora una volta discendere
le remote scale consunte
di quell’inferno,
che è la mia povera anima smarrita,
ho paura dell’ignoto e dell’oblio
la mia lunga ricerca della verità
è paura di non riuscire
a ritornare a galla
ma è soverchia forza che
mi spinge ad osare
e tremo,
...tremo
all’idea di quel che troverò
rivedendo nel buio mare
le lunghe catene invisibili
i volti sbiancati di monumentali
busti ciechi, pensierosi, severi
e accusatori,
come i miei mille esausti perchè
trovarmi faccia a faccia
con il tormento più intimo e antico
e il dubbio che mi affligge
imbattermi nel lamento muto
dei mille rimpianti
il dolore di coloro ai quali,
in guisa di noncuranti santi,
rivolsi le mie inutili preghiere
nelle notti di pena,
mi sforzo di indossare vesti colorate
e come proietti lancio con la mente,
dolci immagini di fiori e profumi
ma una subdola corrente invisibile
rende inverso il mio remare
sospingendomi verso il vuoto
(febbraio 2008)

Un sorriso
Uno sguardo rivela la tua anima
un bacio la alimenta
ma un sorriso…..
cosa è un sorriso
se non la calda luce del cuore
sulle pareti del mondo
la trama e l’ordito
di un fine tessuto
lieve quello di nonna
denso di sapienti note
indimenticabili sere,
profumi di spezie e dolci,
che narrano del benevolo vissuto,
fresco quello di giovane donna
carico bagaglio di promesse
di sensi e palpiti infiammati,
il sorriso di un matto
bavoso e sofferente
di sogni e favole intriso
nella sua tenera deformità
sdentata e puzzolente,
ma non c’è sorriso più bello,
più contagioso e trasparente,
di quello di un bimbo,
divulgatore di purezza e calore
sconosciuto a falsità e ipocrisie
maschere e paraventi,
si affaccia alla vita con gioia
di sole e piante e giochi d’acqua si nutre
di curiosità fameliche e disarmanti
di naturali armonie e solidi legami
con la natura sua madre
un sorriso a cui tutto si perdona
come resistere?
geniale fantasia di un gigante
finestra spalancata sul cuore,
che nessuno,
nessuno, spenga mai ….
quella incantata luce
che c’è nel sorriso….
di un bimbo.
(febbraio 2008)

Estasi
Ti bacio sul candido
collo di panna montata,
lieve, lo sfioro e lo modello,
con labbra tremanti,
lo stacco dalla realtà è secco, netto,
quelle colline,
tenere e degradanti,
l’alito caldo del vento sospinge,
come planare di aliante
verso brulle radure,
e mucchi di paglia dorata
butirrosi canali
e tremolanti insenature, timide
ruscelli che donano acque
trasparenti e pure
spalmato su una terra dolce,
inesplorata
l’occhio mio è un cerchio di fumo,
perfetto
che lento sale
e si disperde fra le tue dita
scivolo su di te,
come una tenera risacca
sopra la spiaggia bianca e fine,
gli occhi tuoi socchiusi,
in attesa gatta
placida beatitudine
respiri taglienti
affondano
nell’agognata valle
raggiungendo
il sogno e
l’estasi.
(febbraio 2008)

Il paesaggio dell’anima
Un viso che ebbe
in dono la bellezza
solare e sincera,
albe e tramonti
elfi e folletti popolavano
il suo apparente mondo ..
quanto amai e riamai
il suo angelico volto,

ma.. dentro il suo sguardo,

dietro..

il suo sguardo ….
un paesaggio …
di paura
di lotte e sfinimenti
e di sciabole urlanti
ferite piaganti
e sgradite signore
le mani azzimate e soffocanti
su orizzonti sbiaditi
e nebbie
inverni perenni
buie stagioni

dietro ….

il suo sguardo
un paesaggio…
di dolore
Il suo muto canto
struggente,
implorante
è rondine d’autunno
rarefatte arie e gelide acque,
un che di incompleto
un sogno interrotto
un dipinto abbozzato

dietro ….

il suo sguardo
un paesaggio,
gelido
che ancor oggi sento,
lontana eco oramai
è questo mistero
tuttora negato
solo, unico e impenetrabile
che fu il
violentissimo strappo
che una mano invisibile
diede alle radici della tua anima
levandole linfa e luce.
(febbraio 2008)

Dentro te
Mi smarrisco, confuso
nelle tue laceranti distanze
a volte
con una audacia che non mi fa parte
tento di spingermi oltre
in fisica intimità
o in amore
un senso di unicità
ci lega entrambi
sei il mio centro
atomico nucleo,
ti vivo intorno
ma è una forza che mi allontana
più giro e più mi distanzio da te
e vedo come in un libro bianco
qualcosa di noi, non scritto
che non vorrei mai vedere
vorrei riscrivere il nostro romanzo
ma ne temo la fine
più forte di me
non istinto ma paura
uno mi spinge
l’altra mi frena
ora come ora,
brancolo
(febbraio 2008)

Alba
Livida alba
bella e altera
ti incontro
e con te attendo
il sole esplodente
in funghi di luce,
con un dito leggero,
sfioro il pallore e l’umidore
nobile e giovane rosa
dolce è il tuo viso
alito che profuma di rugiada
foglie oscillano silenti e lievi sui rami
i primi suoni del giorno, piano
ti salutano,
breve vita è la tua,
ma intensa
come un alito di vento,
un fuoco spento,
preludio musicale
dell’infausto giorno annunci
l’avvento
(febbraio 2008)

Ikebana
Navigatore, d’acque poco profonde,
anche santo fui, a volte, dicono
ma Poeta…
scrivo dei versi,certo
imprimo i miei spesso caotici pensieri,
su un foglio bianco, li ordino,
ma tale non mi sento,
potrei dire che creo delle forme,
fatte di parole,
come fiori le metto insieme,
una dietro l’altra
formando dei piccoli giochi di ikebana
a volte storpi, altre ineleganti
nel loro insieme incerti,
e forse non meritano di entrare,
nel bel giardino, accurato ed elegante
di quella vecchia e cara signora,
dove i fiori risplendono di luce propria,
in perfetta armonia di disegno e colore,
dai contenuti tanto profondi,
i miei piccoli fiori ,sono fiori di campo,
profumati e un po’ rozzi, semplici,
veri e non corrotti, sinceri nei colori
profumano di vita campestre,
bucolica ,
di giovani amori all’ombra dei filari
di viti assolate, di calde giornate,
serate assonnate e notti
nell’immenso sguardo perse
narrano di luce e buio, estasi e tormento,
dove un niente è tragedia,
c’è qualcuno, tuttavia
che ama i miei piccoli orrori,
e a me tanto basta,
ma in fondo chi può dirlo,
se una rosa è più nobile e alta,
di un fiore di ginestra,
o un boccio di ciclamino
verbena o agrifoglio,
un dono così grande non può,
per definizione, essere condiviso
esso è nella sua unicità,
speciale,
ma da qui a dirmi poeta,
ci passa,
e tanto.
(febbraio 2008)

Interminabile
Il lento cammino delle onde
il fragore dei flutti sugli scogli
il muto frastuono dei solitari sogni miei.
(febbraio 2008)

Voci
Dentro il mio corpo.
mi sento al sicuro
tengo la porta chiusa.
le spalle al muro
sento bussare.
prima leggeri rintocchi
poi possenti spallate.
e vocianti e insistenti
donne sfatte, dai vecchi palpiti d’amore
bambini sporchi,
fantasmi feriti
che lascio dietro
che chiedono udienza
vorrei dir loro
che non voglio sentire
non voglio vedere
ne parlare
ma non posso ignorare
le mie voci
(febbraio 2008)

Ancora notte
Cammino in compagnia della mia ombra
affabulante consapevolezza di me
il dolore diventa voluttà
sono pieno del mio sentire
musica d’organo accompagna
l’apertura del sepolcro
adornerò in modo un po’ fantastico
questo mio corpo esile
e lo ingrasserò
avanzando per i campi
respirando gli effluvi di una notte d’estate
questa mia solitudine pesa
le nuvole cerchiate d’oro spaziano
i miei pensieri non corrono forse
quanto il volo di una allodola
ma gli stan dietro
ecco che i miei giorni
si radunano talora in una luce sinistra
talaltra in giubilante dissoluzione
sento nel silenzio il grattare sulla carta
della mia penna d’oca
l’inchiostro è sangue
il cui gocciolio ritmato
su una foglia di platano
come dopo una pioggia estiva
scandisce il mio sonno
dalla mia anima corrosa
dai demoni notturni
che lentamente si dileguano
ghignanti in fuggevoli ombre
lasciando il posto alla luce del giorno
che mi trova disfatto
e dissolto
(febbraio 2008)

Via del porto
In via del porto
dietro una banchina
putrida di pesce stecchito
e di gasolio per barche
han trovato uno morto
era il vecchio che dormiva
sulla panchina di fronte alla fontana
le buste eran i suoi cuscini
il cartone le sue coperte
aveva forse cent’anni
raccontava di storie inventate
sorrideva a tutti con i suoi tre denti
macchiati e ingialliti
per tirare qualche moneta
cantava nenie ai bambini
che gli si facevano intorno
la barba lunga color del tabacco
che faceva tutt’uno con i capelli
legati dietro con uno spago
il sudicio collo pendulo
con avvolto un fazzoletto
il vecchio rosario sul polso
mi faceva pensare a dio
chi era nessuno lo seppe mai
ma tutti sapevano chi era
il suo nome era per tutti Cartone
si allontanava al tramonto
verso la sua casa del porto
col tetto di stelle e
col sole davanti
che si tuffava sul mare
una figura romantica
un bell’esemplare
di uomo solitario
gli passavano accanto
a dovuta distanza
i signori perbene
una smorfia sul viso
denotava disgusto
per questo reietto
della nostra società
ma si dice
ed io ci credo
che sia morto solo
ma felice
(febbraio 2008)

Vai avanti
Quando nel tuo cammino
incontrerai la morte
Fermati
ella non ti vorrà, ancora
ma ti parlerà della sorte e ne aprirà le porte

Quando nel tuo incedere
incontrerai un cieco
Fermati
egli non ti vedrà
ma ti parlerà dentro e saprà ascoltare il cuore

Quando nel tuo percorso
incontrerai un sordo
Fermati
lui non ti sentirà
ma vedrà il tuo amore e ne parlerà

Se mentre procedi
incontrerai un muto
Fermati
questi non ti parlerà
ma starà a sentire il tuo dolore e ne vedrà il colore

Se camminando ancora
incontrerai un prete (o un parente)
Vai avanti
Egli non ti vedrà,
non ti sentirà,
non ti parlerà.
(febbraio 2008)

Il mare dentro
Abbacinante brillio
di occhi infettati di oscurità ignote
sordidi pinnati notturni
soverchianti s’abbrumano
in branco ferino
dentro coralline barriere
mi immergo nell’uterino liquido
dove silenzio è profondo
e caro a me come un filo di voce
mi risuona l’altero comando
del principe egemone
forcuto e barbuto
ubiquo e fecondo universo
sonnecchio e mi nutro
di lapilli e microrganismi
vocii lontani sento
e mimando le sterili assonanze
mi medesimo spelonca
e ivi accolgo in me
turbe rabbiose e traviate
di squamati e tentacolari esseri
non mi sovviene null’altro
in questo profondo
mare
(febbraio 2008)

Via dalla notte
Assaporare il mio nero liquido
sentirlo dolce
imbrigliare i pensieri torvi
e raccoglierli in una bottiglia
disperderla in mare
ritrovarla fra cento anni
sentirsi leggero come una farfalla
che farfalla non sarà mai
in un accattivante liaison
tra essere vivi e morti in uno
negare l’esistenza del sole
e della luce
regolare l’essenza nelle cose
attraverso l’odio e la guerra
il pregiudizio di razza
avere fame di noia
essere infelici per niente
guardare il tramonto
e trovarlo noioso
scuotere il corpo inerme
di una vecchia malata
sentire le lacrime salate
e trovarle ormai familiari
siediti accanto a me o malinconia
e parliamo
come due vecchi amici
dei troppi momenti passati insieme
e insieme aspettiamo il giorno.
(febbraio 2008)

Africa
Scorgo la tua lunga ombra
intagliarsi sugli antichi legni,
nell’oscurità infinita
sento i tuoi passi lontani
di malinconica regina
madre di tutti i re che vennero
altera e dignitosa incedi
vedo i tuoi occhi di gazzella dipinti sulla luna
grandi tristi e neri come punte di freccia
scagliate con straziante violenza
quella stessa luna che ha posto
sui nostri baci il manto del sogno
inebrianti profumi di erica
albe e tramonti senza fine
della tua terra lontana e disperata,
l’implacabile pianeta
il tuo corpo e la mente scolpisce
schiacciandoti al suolo arido e immemore
i miei occhi chini contemplano
avvinghiati ai pensieri stanchi
l’ombra tua sul terreno
tu sei lontana, madre
il ricordo ormai fievole,
sottile investe la notte
scenario sublime e mistico
di antichi sognatori
che, come me
tanto tempo prima
ti cercarono invano
scavando nella roccia
dipingendo sulle pareti
imprimendo il ricordo
sul loro traversare
le grandi pianure di acàcia
non adesso, l’ora per me
è scoccata , ma da tempo smisurato
volto di macabro jiin
l’arcaico genitore
danzando si mangia
l’ultima fetta di ombra,
e l’ultimo pensiero che resta di te,
in questa gelida aurora,
è un vetusto ma potente graffito
dipinto sulle pareti del cuore
e una vecchia tomba crepata
dove dorme un bimbo biondo
il cui sangue è il mio stesso sangue,
e un padre amoroso che lo raggiunse
prima di riuscire a tornarci.
(febbraio 2008)

Sogno notturno
Che colpa ho se luna ha lo sguardo
così dolcemente e fatalmente malinconico,
se mi alzo la mattina ed è buio
se il mio stentato cammino non ha strada maestra,
e come un cieco immagino e inciampo
l'anima in fuga torna sempre a me
come una spia sempre a quell’ora di notte
celandosi dietro il mio silenzioso dolore impotente e sottomesso
<>
Nel bosco affollato di fate pagane
vecchie signore di ruvidi capelli vestite
dai risi sdentati e dai seni cadenti
che mestano uno strano vino forte e scuro
che mi adombra la mente e mi rende bizzarro
mi toglie passioni, amici, il riso ed il pianto,
le fate han le ossa bianche del mitologico animale
ipogrifo, dal becco scuro adunco e il nitrito forte,
rubami la luna e levagli la smorfia triste
fino alla brumosa alba livida, almeno…
<>
Ululare alla stagione tornata nell’ombra
quant'è grande la notte e il pensiero tuo dentro
nascosto nel buio e nel mare immaginario
sarà l'assenza che m'innamora come m'innamorò tristezza
che non viene da sola e non viene da ora
ma si nutre e si copre dei giorni passati
di quel che fu vento e rimpianto di allora
il silenzio ha il rumore dei tuoi passi andati
ma non è l’amore che va via, è il tempo
che ci aiuta prima e poi ci asciuga il cuore
<>
Intanto corro sopra il filo di un’inquietudine sottile
e notte mi soffia all'orecchio che l'ora già muore
a lei pare in quegli occhi potere vedere
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia stremati la sera
la luna e altre stelle pregavano per me,
che l'alba imperiosa facesse ritardo,
ma le piccole luci lontane sui monti,
e gli uccelli dal policromo piumaggio,
il suo arrivo rivelavano,
e fu nuovo giorno ……ancora.
(gennaio 2008)

Bello
cammino con le scarpe in mano
sulla sabbia,
mi rivolto i calzoni sotto i ginocchi
che bello!
guardare il mare
riempirsene gli occhi
respirarne il profumo
fino in fondo
goderne il fresco venticello
che bello!
peccato raccogliere le conchiglie
così ben disposte
in incantevole disegno
peccato parlare
in questo musicale silenzio
che bello!
perdersi con lo sguardo
nel volo di un gabbiano
bagnarsi i piedi e sentire
un brivido salirti sulla pelle, tutto
tutto, attorno ti abbraccia
ti avvolge l’anima
e ti rapisce il cuore
che bello!

La nostra tragedia
hai comprato con quei trenta denari il cappio
per la tuo forca ,stolido idiota
la tua coscienza ti ha presentato il conto
eri già morto dentro e non lo sapevi
hai messo un uomo sul legno
che parlava di pace ed amore
e guardava da molto lontano
i destini di un gregge ignorante
la madre piangeva, il padre era assente
l’amante aveva in grembo il segreto appestante
potenti farisei tremavano al suo cospetto
per un paio di monete grondanti di sangue
lo hai sottoposto a pubblico ludibrio
e allo scherno del mondo ignorante
era un uomo buono debole e generoso
che sapeva di dover morire per un pugno di pecore
troppo tardi si è accorto della nostra pochezza
che moriva per niente
Per niente
Per niente
Per niente
Moderno giuda che per due soldi ti vendi tua madre
Sappi che la tua anima non ti appartiene
Morrai sulla terra e vi resterai
Per sempre
Per sempre
Per sempre
(gennaio 2008)

Non più
Non continuerò a lanciare dardi nel vento
sperando che me li riporti al cuore,
in forma di parole,
accarezzandolo,
narcotizzandolo,
ingannandolo,

non più

non continuerò a recitare in due film diversi
sperando che almeno in uno
ci sia un lieto fine
e non solo dispersi

non più.

non continuerò a rompere
gli specchietti retrovisori
sperando di non guardarmi indietro
e riveder gli errori

non più

non continuerò a mentirmi dietro
e raccontarmi favole,
sperando che il mio prossimo non veda
ciò che sono realmente dentro

non più

non più

mai più…
(gennaio 2008)

Solitario pensiero
Come un moderno Narciso
mi specchio in queste acque
notte mi vede e dolcemente
come un angelo del lago
mi leva la maschera e mi svela
mi sorprende caducità nelle carni
sfinimento nelle membra
ciò mi invita al pensiero
lei mi si siede accanto e mi dice
cantando con gli abitanti del bosco
che bellezza è finita e gaiezza è ricordo
vedo stanchi i miei occhi arrossati
un tempo belli e arroganti
alla fine dell’epico racconto
con i nostri due nomi sul tronco graffito
eterno testimone di un tempo sfiorito
in questo giardino che fù incanto di sensi innocenti
e morte diventa compagna di serafiche sere
e solitarie meditazioni
e di come fu ieri soltanto
come un fiore capovolto,
che la bella Signora, per scherno mi porta
facendomi capire che , in fondo
la vita è il contrario e l’opposto di ciò che si attende
al mattino
ma che così la volevo
e nient’altro
la sera
(gennaio 2008)

Di pensiero e sofferenza
Spingo il mio pensiero fino al delirio
la mia libertà ne è schiava
Il mio animo non si piega alle continue sofferenze
ma si fortifica, mi sento più sereno e benevolo
le mie riflessioni racchiudono necessariamente delle forze
non impotenza né stanchezza
come chi mi legge potrebbe pensare
la concatenazione dei miei pensieri sfugge alla memoria
e colgo al volo i momenti di energia del mio cervello
e l’atto del pensare diventa identico al soffrire e il soffrire al
pensare
cosa sarebbe il pensiero senza sofferenza
o la sofferenza senza il pensiero?
i momenti di tregua sono propedeutici allo sfacelo
in un perpetuo sfuggire da noi stessi
e un perpetuo ritrovarsi in molteplici Dèi
accettando il fatto compiuto
rivolendolo innumerevoli volte
lo si rendo incompiuto
e il senso del ritorno all’io profondo
è come un circolo vizioso
in una incessante metamorfosi
mediante una continua lotta con il tuo pensiero
in un breve spazio di tempo si deve passare
per molteplici stati individuali
a volte piango per la gioia
che mi dona tale sofferenza.
(gennaio 2008)

Intorno a te
Come è complicato ritornare
se dietro ti sei portata il vento
arduo ritrovare la regola nelle cose
attraverso uno sguardo spento
non vedo che sfinite rose intorno
mani pesanti ne han ghermito i petali
resta una debole corona senza pietre
che possente in passato
come un palloncino rosso
cui abbiano aperto il cuore
sgonfio d’anima si è posato
la notte è piena di sorprese
ma tutto …intorno a te è buio ….

Fuori da me
Il mio corpo fluttuante osserva, in questa surreale atmosfera, magica
il gentile via vai della memoria come una tribale danza esotica,
possente
la vita scorre solo nel pensiero oramai, in una rara aria di montagna
nepalese,
i volti cari si susseguono sorridenti , mi tendono le mani gentili
rapito faccio mio il delicato quadro, è dolce, immaginifico,
astrazioni esatte , scalpitanti, mi rapiscono l’anima fuggente
sono consapevole della mia condizione ormai, è chiaro, diparto
da un mondo che non mi appartiene, a cui mai son appartenuto, in fondo
veloce come un falco la mia vecchia nave entra nell’ultimo porto
col suo carico di spiritelli bizzarri, fantasmi, teatrali maschere
orribili danzanti,
ma non tristezza pervade il mio essere, è puro miele dorato,
è bacio leggero di madre, è carezza lieve , sguardo amorevole, sorrido
luci, tamburi grevi, leggerezza ,dolore, son lontani
la stagione degli amori è finita, piccoli fuochi intensi, brevi ma
immensi
mi prendevano, ridi piangi, il nostro occidentale modo di amare è
passione,
sofferenza, per altri uomini così forte è solo la guerra in un paese
lontano,
crudele e ignota al mondo, irrazionale religione, lontana da
pecuniarie questioni
con l’oppio che ti mangia il cervello, i denti, e ti prende la vita a
morsi,
ma che fa mille morti inutili, dimenticati, lasciati sul ciglio delle
strade,
come bestie, mutilate, feroci ghignanti, fameliche mantidi, hanno
inferto
ferite orrende sul volto esangue, bimbi innocenti, ignari, esclusi da
ogni risposta
ritorna di tanto in tanto memoria , lascia l’amaro sapore di un tempo
vicino
resta feroce il rammarico di non aver saputo fare niente, per cambiare
le cose
nel tempo, che fugge, lontano, lontano, ormai
fuori da me.
(gennaio 2008)

Matto
Dicono che sono matto
reietto sociale
malato mentale
ho l'occhio svelto
mi guardo intorno, attento
un uccellino mi guarda
da sopra un davanzale
di una finestra scorticata dal tempo
ci fissiamo innamorati
le mie dita annerite dal mozzicone spento
le mie unghie imbrattate di marrone
grattano il mento urticato di barba rada
il letto sfatto, unto e puzzo
ingiallito di piscio attempato
vedo dei bimbi
mi guardano e ridono
rido con loro e faccio le facce
contento
felice
mi lanciano un fiore
mi punge la mano , ahi che dolore
mi sanguina il dito
ma lor son contenti
e ridon che bello
abbiam preso il matto
allora e per quello
che sono felici
e rido e mi dibatto
per farli contenti
mi sanguina il dito
ma e cosa da niente
se lor sono felici.

Silenzio
Ho incontrato il silenzio,
era caldo, forte ed opprimente,
il muto rancore della gente,
mi contrinse a pensare,
la mano sul mento,
e il dolore, il tormento......

Vivere
Vivere, che peso infame!
insopportabile fardello,
è il faccia a faccia con te,
quotidiano gestuale recitato,
lirica poetica e immaginaria,
sincera lacrima scesa,
dalle gote di un santino sbiadito,
i lunghi giorni,
spenti, opachi e mentitori,
per un bimbo ignaro che fu,
un segreto mai rivelato,
tutti tratteniamo il respiro,
in questa apneica galoppata,
fino a quando lui non ci abbandona,
liberando le catene dal collo,
e dalla caviglia abrasa,
finalmente spogli,
da ogni costrutto fasullo,
il teatro è spento, buio, silente,
non c’è applauso se non del fantasma,
di colui che ci ha creduto,
ma non ha mai tenuto,
è tiepido il fiato, oramai,
della donna piccola, piccola,
che hai iniziato,
resta il ricordo,
e niente altro,
un breve passo avanti,
un altro lungo, indietro
ed infine ti accorgi,
che sei tornato,
dentro la tiepida acqua,
accucciato, cieco e trasparente,
vaginale giaciglio,
finchè, ancora,
la luce non ti sorge, ti acceca, ti morde
benvenuto a nuova vita,
ecco, già le catene, d’oro.
(gennaio 2008)

Il bacio.
Sfioro le tue bocche in mare aperto,
freddo, tempestoso,
sono folle, innamorato,
di cervice confuso, sbandato,
come un cielo d’africa, incantato,
osservo il tuo viso,
volo di fenice, covo di brutale empietà,
dolce , arguto è musicale silenzio,
sacrilego quasi, profanatore di sensi accesi,
come un faro della Cornovaglia, visibile da lontano,
ad occhi schiusi,
approdo di sirene tentatrici, lontane,
moderno odisseo,
mi sostiene il memore, ormai vago e fuggevole perduto,
non piccante, ma saporito, stuzzicante,
mi si paventa,
lo struggente addio, promettente,
accattivante, direi affascinante,
tormentoso, è totale assenza di senno,
non vedo altro, intorno a me,
assillante, dolce musica di violini,
folletti e gnomi burlanti,
rabbioso, stizzoso, è il mago cieco,
falena impazzita nella fioca luce,
di una stella quasi spenta, sbatacchiante, tremula,
gentile, sei, e garbata, odorosa di cose,
delicato il colore, esuberante,
sulle mie labbra, e non solo,
esperto, consumato,
di madonna campata alle stagioni,
ingenuo,
innocente,
fresco,
candido, questo onirico viaggio,
è il bacio.
(Gennaio 2008)

Amore fiore
Come un delicato fiore,
il nostro amore,
chiamava,
curato, bagnato,
degnato di dolci parole,
implorava,
ora è morto,
di fame e di sete, ed amor,
il nostro delicato fior,
chI amava.
(dicembre 2007)

Solo.
Solitudine,
qual splendida limitazione,
qual nobile condizione,
ineluttabile fato,
è dignità nello sguardo,
che volgo, ritto, innanzi a me,
tu non sai, o cieco,
tu che mi incontri per vie,
e mi lambisci soltanto,
incurante,
quali ricchezze scapiti,
non solcando,
i miei mari profondi,
le mie sublimi essenze,
preferendo il vuoto,
che hai dentro,
e le maschere seducenti,
che hai accanto.
(dicembre 2007)

Lievità.
Cammin con leggero ritmo,
in somma a una radura,
arbusti un pò, color d’autunno,
impalpabili, unici, le foglie,
dalle stupenti sfumature,
decadon discrete, lente, oscillanti,
sospinte leggere,
torno torno, da una brezza vaporosa,
in un silenzio,
che’ di sensi unione,
lieve, come dire?
come odor di talco su un bimbo,
rumore di un fiocco di neve,
gemito sospiro di donna,
estremo alito, morente,
sorriso di matto, vagante, vago, dolce,
è il giorno che nasce,
l’aurora, i silenzi,
sguardo mi muove, calmo,
torno torno,
strano, ma Dio e qui,
tutto qui torno,
lieve.
(dicembre 2007)

Io che resto.
Io, che resto
nel mio tortile oceano,
nel mio guscio di noce,
di legno e chiodo,
progredito cristo,
dalle piaghe invisibili,
mi guardi dall’alto,
mi offri del vino,
da viti secolari partorito,
mi offri del pane,
di diacce fiamme figlio,
rughe recenti, mi vedo,
di asperità infinite e malevoli occhi,
odi repressi e falsi credi,
invenzioni crudeli e
catene invadenti,
deboli finanche,
cosa è
il libero arbitrio,
se non un uomo bendato,
avvolto nel suo capestro,
incerto nel cammino,
esitante nel declivio,
della sua piccola storia,
infinita.
(dicembre 2007)

Oro zecchino.
Spezza questo filo,
che mi tiene legato a te,
la nave mia vaga,
in questo limbo melmoso,
ad un capo del filo vè
legato ad un grappino d'oro zecchino,
mi strappa le carni dal petto,
mi lacera l'anima,
sospeso a una trave,
nudo legno di nobile quercia,
il mio corpo vacilla, sospeso,
profondo, squassante dolore,
e veco l'omerico sepolcro cieco,
che vuoto sguardo,
il nero marmo domina,
seco.
(dicembre 2007)

Era solo ieri
Si, era solo ieri
il passato incombe su di noi,
come una piovra tentacolare,
ghermisce il nostro debole presente che,
come una fiammella, si spegne
al freddo autunnale,
lo porta via e lo trasforma
in una mesta galleria,
di quadri dai colori sbiaditi,
foglie morte,
il velo sul capo della vedova,
lacrime calde come un freddo risveglio,
come era, solo ieri,
e come tutto è cambiato.

Aldo riso
Vivo i tuoi colori,
entro i tuoi pastelli,
piccole barche di pescatori
dignitose case, bianche,
spiagge piccole e dolci seni,
sensi pacati,
luci blande,
profumi sottili,
non forzare la sorte,
amare è lieve,
non so se piangere o gioire,
ma in fondo è lo stesso,
il cielo è leggero,
il cuore anche,
ah! che pace,
dimentico le catene,
i cuori squassati,
le tristi altalene,
le aspere dì,
dimentico tutto,
nel sogno,
vivo.
(dicembre 2007)

Colori.
Nel grigiore, sei un colore,
in una serie di tonalità tendenti al grigio,
sei l’azzurro in un giorno che nasce,
sei la luce in un sole giallo,
sei la speranza in un campo verde,
sei la passione in un tramonto rosso,
sei il viola in un fiore donato,
sei il blu in un mare di luglio,
sei il nero in un amore finito,
sei il colore indefinito in un anima persa,
che chiede al suo Dio un mondo colorato,
in una infinita serie di grigi,
nel grigiore, sei un colore,
(dicembre 2007)

Preghiera.
Celeste Signora,
non vedi, come siamo ?
non capisci che soffriamo?
ti invochiamo,
ti cerchiamo,
ti amiamo,
e tu?
Si, soffri insieme a noi,
stai con i deboli e i derelitti,
ma intanto ci sono i dritti,
che si godono la vita,
è giusto tutto ciò?
bisogna patire così tanto
per ottenere il paradiso?
E, se per sbaglio,
dopo una vita infame,
finissimo all’inferno ?
sai com’è,
a volte non tutte le cose girano nel modo giusto,
si lo so,
la giustizia terrena è un’altra cosa
rispetto a quella divina,
ma se ne sentono tante,
come di quei mariuoli,
che dopo una vita di crimini e reati,
donano una cifra ad una chiesa,
e diventano santi…
ma allora,
anche il paradiso,
come l’avvocato ed il dentista,
è una roba da ricchi?
(dicembre 2007)

Porto a te
Apro il mio petto,
fin dentro il cuore,
mi strappo le parole,
sono rubate
ad un vecchio dolore,
le porto a te.
O mio amore.

Dall’abisso profondo,
dall’oscuro canto,
con queste mani,
lorde di sangue,
queste parole,
che sanno di metallo.
porto a te.
O mio amore.

Dal freddo marmo,
dal mesto arrivederci,
queste parole,
fresche di crudele coltello,
porto a te.
O mio amore,

Chi mi ha fatto giacere,
chi mi ha tolto il tuo viso,
ha visto mutar dolore,
in dolce pianto,
di chi come te,
mi amava sì tanto.
O mio amore.
(dicembre 2007)

Sera.
Giornata lunga oggi,
corri, fai, disfi, dici,
veloce, frenetico,
arrivi a casa, la sera,
non corri più, non fai più, non dici più,
pensi.
ti guardi indietro,
sei solo, e ora?
tutte le sere è così,
il buio inverno non ti aiuta,
esci, fai due passi, è freddo,
vedi le famiglie che tornano a casa,
le finestre pian piano si illuminano,
chiacchiericcio di bimbi e madri,
telegiornali, pubblicità
normalità quotidiane,
la cena, il serial,
e tu?
sei lì,
spettatore anonimo e triste,
di una sera come tante, troppe,
i giorni passano, la vita, pure,
questa sera non è speciale per me,
e come quella di ieri,
e di avanti ieri,
vorrei avere pensieri lieti,
aver un motivo per sorridere,
anche solo per un minuto al giorno,
dicono che fa bene,
ma non ne ho,
potessi barattare con qualcuno
la mia infelicità,
un tanto al chilo,
per qualche grammo di serenità,
ma chi ne vuole?
ne hanno tutti abbastanza,
di guai,
ed io me la devo tenere,
di giorno, cercare di trasformarla,
modificarla, spostarla,
farla bella, truccarla perfino,
ma la sera, tolto il trucco ed il belletto,
c’è sempre lei,
come una vecchia puttana, brutta, sfatta,
che a qualcuno,
affamato di amore,
fingendo che sia una bella donna,
prima o poi piacerà,
ma almeno lei, riuscirà ogni tanto,
a vendere, un tanto al chilo,
la sua infelicità,
dietro ad un trucco ed un belletto.
(dicembre 2007)

Maldevivre.
In questo mio lungo, penoso
e incatenato cammino,
di viandante pellegrino,
mi inoltro, nelle vie dell’io profondo,
e qui vi trovo, in un lastrico di ruderi,
castelli un tempo sospesi,
naufragi di barche sul fondo del fiume,
giganti di scheletri ghignanti,
null’altro vestiti che di stracci,
sul ciglio della strada maestra,
come una nube di fumo,
che avvolge e abbraccia,
è la mia anima abrasa,
come la nera Signora,
come una pestilenza di febbre pestifera,
il mio sguardo la segue,
dalle nebbie dei solinghi giorni,
cerco il chiarore,
uno spiraglio, una breccia,
l’oscuro mare d’inverno la bagna,
la lambisce, la penetra,
nei segreti dell’io oscuro,
come un serpente infido e ingannatore,
sogno, accarezzo un illusione,
svendo memorie a poco prezzo,
frammenti di ricordi spezzati,
pezzi unici, i pochi rimasti,
della grande tragedia,
fiumi melmosi che s’insinuano nei pensieri,
sordidi, muti e bugiardi,
volo alto con la fantasia,
creo, invento e modello,
una finta realtà,
e ivi mi accuccio.

Scatole cinesi.
mi alzo dal letto,
mi sento come dopo un lungo, lunghissimo, inutile cammino,
cercando o aspettando qualcosa,
ho un senso di vuoto dentro,
ho degli spazi nella mente,
sono come delle scatole cinesi, questi spazi,
la prima contiene le speranze di un bimbo,
non divenute realtà,
la seconda contiene l’intenzione
di vederle concretizzarsi in un ragazzo,
che non è riuscito a realizzarle,
la terza contiene la spiegazione del perché
non si sono realizzate, in un uomo,
che ha fallito, o che pensa di aver fallito,
la quarta contiene infine le verità di un vecchio,
infatti è vuota, desolatamente vuota,
come questa mia vita.
ma…… aspetta….. fermati…..un attimo solo…. rifletti….
lungo questo percorso,
durante questo lungo, difficile cammino,
qualcosa è rimasto…….
una luce…….
una piccola, piccolissima scatola,
messa in disparte,
quasi nascosta, dimenticata,
questa, contiene, in ordine sparso,
una serie di perle, preziosissime, dal lucore immacolato,
ogni una di queste, rappresenta,
quei pochi,
piccoli,
fugaci,
meravigliosi
momenti di felicità,
che da soli valgono
una vita,
piena di scatole vuote.
(novembre 2007)

Lo specchio.
Mi pongo di fronte a te, specchio,
specchio, mio specchio, parlami,
chi sono io? Quello che vedo?
ciò che non vedo? e ciò che non vedo io
è lo stesso che vedi tu?
No,
quello che vedi non sono io,
è l’altro,
è quello che non vede nessuno,
l’io nascosto,
l’immondo contenitore,
di mal celate paure,
angosciosi quesiti,
tremendi dubbi esistenziali,
chi sono io?
No,
non parlare, specchio
taci, taci, taci…… shhhhss……
non devo sapere
nessuno deve sapere
finchè ci sei tu,
che proponi una parte di me,
forse la peggiore possibile,
ma la migliore per tutti,
io e te, specchio
siamo parte di una stessa faccia,
con due nature sì contrapposte,
ma uguali.
(novembre 2007)

Donna, sublime creatura.
Nelle oscure profondità della mia mente
apri degli inattesi squarci di luce
i miei sensi, dormienti, appaiono,
in apparenza freddi, di un caldo torrido, fiammeggiante,
da girone infernale,
provochi delle tempeste inimmaginabili, con il solo sguardo,
ti osservo, non visto, sei lì, dinnanzi a me, essere superiore,
per intelligenza raffinata, sottile, per innata cultura ,
dell’essenza umana sei la purezza, io sono un essere primitivo,
tu vedi dove io non vedrò, se non fra un secolo,
(semmai vi riuscirò),
osservi il mio interiore brancolare, mi sembri divertita,
mi confondi, mi metti al tappeto, mi rialzo,
nella la mia cieca movenza, incerebrale stupidezza muscolare,
per te penso cose inutili. per te dico cose futili, per te faccio cose
cretine
rido, canto, urlo, ululo, abbaio, barrisco, cinguetto, salto, corro,
piango persino… per te,
sublime creatura,
sei un quadro di incomparabile bellezza
dalle linee eteree, impalpabili, morbide,
luci, ombre, cuore,
oggetto dell’arte, altissima di tutti i più grandi pittori,
osservo, sempre non visto, il tuo corpo nudo, meraviglia della natura,
lo adoro, idolatro, bramo, desidero, sogno le notti e i di’,
vorrei tenerlo tra le mani, come un eterno fiore delicato e prezioso,
e guardarlo, nelle sue parti più arcane, per ore ed ore,
in estatica meditazione, reliquia in materia ed in spirito,
ti porto sempre con me, nei miei interminabili tumulti mentali,
con il tuo sorriso, il tuo pianto, il tuo modo di camminare, di
parlare
di cantare, le tue mani, i tuoi piedi, il tuo profumo, i tuoi capelli,
i tuoi occhi
le labbra, i denti, il naso le orecchie, la fronte, il seno la pancia
, il ventre….
Ti amo, sublime creatura senza tempo…..
(nov.2007)

Il mio funerale.
Sono stato al mio funerale.
triste dipartita invernale ,
il cielo era plumbeo, grigio, ferale,
le foglie gialle, zuppe, odorose d’acqua di pioggia pesante
pure i rami, chini, pregni della tristezza acquosa,
bravi a seguire il tono dell’occasione,
la terra pure densa e fangosa,
morbosa signora pronta ad accogliermi
tra le sue grasse, fertili e umide cosce
(e dire che non mi piacciono le grasse)
parolava il nesciente sacrista,
con il suo libello nero e oro
nella sua geremiade lamentosa e farneticante
torni da dove sei venuto,
tra tiepide lagrime e delicati singulti ,
parole inutili, vaghe, aleggiano nell’aria,
Madre, perché piangi? Padre, zia, sorella,fratello,cugino,
Lei……
Si,
scopro infine che mi amava davvero,
solo ora lo vedo,
buffo, la morte è vera,
vorrei tornare indietro, ma come?
squilla un cellulare,
orrendo intercalare sopra un silenzio esatto,
pesantemente corretto, faticosamente creato,
gli sguardi colmi di imbarazzo, indignazione ohhh…
curiosa, sfuggente e inutile vergognosa timidezza ,
di chi cerca disperatamente un oggetto fastidioso,
dentro una borsetta zeppa di oggetti inutili,
chi sarà mai che non rispetta,
il momento più estremo,il lento addio,il dimesso distacco,
il canto ultimo e più mesto congedo del deceduto,
con una tremenda musichetta pop?
quale drammatico e violento confronto tra due stati d’animo opposti,
il requiem di mozart e il riff dei negramaro insieme,
cielo e terra si mescolano in un orgiastico rito,
di continuazione della vita,
inutile opporsi,
da lassu’,mi scappa un moto di amaro riso,
un raggio di sole penetra tra le nubi,
abbagliante,
un altro contrasto infelice,
luci ed ombre insieme,
(nov.2007)

Poesia
Ogni cosa ha un inizio ed una fine,
si può allungare,tendere,procrastinare
ma ciò che è stato, un attimo fa,
è, e sarà fatalmente diverso
da ciò che sarà tra un attimo,
dobbiamo porci di fronte
a questo dilemma,
cosa è la vita?
se non una interminabile
lingua di sabbia desertica
dove,
per un certo tempo,
voltandoci,
vediamo le nostre orme,
ma che un semplice soffio di vento,
cancellerà per sempre,
lasciandoci con un senso di vuoto,
incolmabile.
ciò che tuttavia,
era prima visibile ai nostri occhi,
diventa,
per una sorta di trasposizione osmotica,
visibile nella nostra memoria,
passa da uno stato di materia
ad uno di non materia,
ed il modo con cui la memoria
elabora il ricordo,
lo metabolizza, lo plasma, lo modella,
questi,
diventa,
Poesia.
(novembre 2007)

Il tetro teatro.
Non sono ispirato.
non mi vengono parole degne,
sto’ impregnando di inutile
inchiostro queste pagine bianche,
ma lo faccio comunque,
perche’ altro sfogo non ho, che questo,
mi guardo intorno….sono le 11,
è domenica mattina, tutto sembra perfetto,
il sole caldo, la musica dolce,
le donne cantano allegre,
i bimbi giocano,
le galline, coccano eleganti,
i cani, annusano veloci,
forti i profumi di cucina di festa,
di fritto, arrosto, dolci…. mmh i dolci profumi,
aglio, origano, cipolla, peperoncino,
di tutto, di tutto, e tu?
e ci sono io, l’unico elemento
non accordato su questo ensemble così perfetto,
in questa tetra messinscena che è la mia vita,
dove non sempre,
in una splendida scenografia,
in un teatro naturale,
così meraviglioso,
gli attori sono in grado
di recitare.
(ottobre 2007)

Sussurri.
Il lento incedere del tempo,
interminabile in quel luogo di dolore
i passi, veloci, vanno e vengono,
son coloro che ti curano, che ti amano,
leggeri i passi , le parole, i sussurri
sguardi decisi, seri,
ora preoccupati, ora no
un sorriso di speranza e di dolcezza
per una tua parola compiuta,
uno sguardo a tua moglie, uno a tua figlia
uno sguardo a tuo figlio, preoccupato, spaventato
vorresti rassicurarli,
dir loro che va tutto bene,
ma il tuo sguardo,
i tuoi occhi,
che ho ancora davanti,
parlano, dicono più di un milione di parole,
il ventaglio che si muove interminabile
come la loro voglia di non arrendersi,
a un verdetto che nessuno vuole ammettere,
ma che aleggia inesorabile, in quest’aria
greve e accaldante,
ti amano e tu lo sai
sei troppo dispiaciuto,
di doverti allontanare da loro,
lasciandoli soli,
a questo mondo…..
ciao enzo,.
(dicembre 06)

Introspezione.
Mi interrogo.
dentro me
cosa c’è?
Quale sentimento aleggia e prevale
ora leggero,
ora greve,
oppressivo, si,
soffocante, si
come un caldo meriggio estivo,
vorrei uscirne
come varcando una soglia
ed entrare nel mondo
lieto
lieve
ridente
spensierato
dei bimbi
(lug06)

Spiaggia deserta
le orme sulla fine sabbia
come mille piccoli crateri,
asciutti
il silenzio, grande
il mare, lo sciabordio  
l’orizzonte immenso, calmo
                                 e lontano
sfumature arancio e azzurro insieme
                                  i colori
frutti di mare e alghe marine insieme
                                  i profumi
a piedi nudi sulla sabbia….
                                  che sensazione
di leggerezza e libertà insieme
come fai a dire
                                    che non ami
la solitudine ?

Dolore.
Acuto e sottile
ti insinui dentro me
a volte cupo e profondo
togli il respiro,
altre leggero
non mi lasci in pace
presenza costante
di antichi retaggi
di vita vissuta
passata e presente,
nascondi,
subdolo,
la speranza dalla mente
e mostri l’oblìo
in una veste nuova,
quasi abituale……
forma di vita,
che in fondo,
non mi appartiene
(lug06)

A mia figlia.
Sogno di una infinita
caldissima estate
brusco ma
stordente risveglio,
da una notte lunga e felice
densa di profumi caldissimi
e colori
pregnanti
di rosa e gelsomino
presente e passato si
fondono uniti
e arrivano
in una citta’ grassa
e calorosa
Sii lenta e placida,
si,
ma attenta e vigile
impegnata e premurosa..
della tua vita padrona
si,
della mia vita nucleo
e nocciolo
ti vedo nei miei occhi
si,
talvolta sfuggenti
si,
talvolta sfottenti
si,
spesso lontani…..
dove guardi?
ti vedo nei miei
pensieri,
sempre
(lug06)

Plaisir d’amour
(la tua canzone)

Quelle ore infinite,
abbracciati.
Quei baci teneri,
interminabili.
Quanti passi,
insieme.
Sotto il sole,
d’estate.
Sotto la pioggia,
d’inverno.
Ridendo
Piangendo
Facendo l’amore
E’ questo il
Plaisir d’amour ?
(Lug06)

A mia Madre
Nasci con un destino....
votata... al sacrificio
al tuo ruolo di dispensatrice.... di vita...
perchè proprio tu?
Ti sarai chiesta spesso....
Tu, che nel bene e nel male
sei il centro del mondo....
speranzosa di gioiose imprese....
in realtà un cammino irto di dolori ...
cosa è questa vita che ci dai ?
Che promette.... illude.... e spesso non mantiene ?
Donna.... chi sei tu?
Colui che ti ha dato questo immane compito.....
deve essere stato certo....
che l'avresti svolto con grandezza...
con amore....
il battito del tuo cuore è la nostra prima regola di vita...
ci accompagna finchè ti sorregge ....
come la pioggia che scende lentamente sui vetri della finestra......
mentre attendi con apprensione un tardivo rientro.....
il tuo primo ed ultimo pensiero.... le tue paure... le tue ansie...
tu che non vuoi mai un premio....
un riconoscimento...... da un figlio spesso egoista....
che ingrato compito di dolore è questo....
che dai.... ma non ricevi mai.....
e poi ..... quando te ne vai..... il tuo sorriso.... dolce....
è di speranzosa attesa di una vita .......
bella , come quella che lentamente .....
dolcemente grata ..ti abbandona....
grazie..... per tutto
Madre
(2006)

Vibrazioni (A T.)
La sua voce... il suo canto....
un suono che sale al cielo..... libero...
il sentimento.... il cuore.... si riempie di calore
un brivido leggero, sulle braccia....
mi pervade un senso di gioia....
mi prende... come un caldo abbraccio .....
la dolce melodia.. forte... altissima ... sale....
vibra nelle pareti e ritorna indietro piu' forte...
è un dono del Signore.
Chi può essere degno di un dono simile...
se non un essere eletto....
un prescelto....
che può salire con una tale leggerezza
ai piani alti dello spirito ?
(2006)

Il contadino e la ragazza.
I nodi nelle mani dell'uomo, dure
e bianche nocche tese sull'attrezzo.....
il fresco sguardo della ragazza,
le anime di due esseri votati all'incontro...
la lieve curiosita' della vita nuova,
si apre alla forte, esperta e grande possanza,
chi siamo noi ...
mostriamo le facce abbronzate e cotte dal sole
esse parlano di una vita diversa...
non facile...
mai monotona ma sempre uguale......
lei vede...
lui sente...
non si parlano..
ma si comprendono.
i suoi occhi coperti dalle folte ciglia brune....
dicono di tempi andati...
felici...
i suoi occhi aperti e avidi,
dalle giovani chiome....
dicono di tempi nuovi avvenire,
umide ansie e freddi dolori...
calde promesse e tiepidi meriggi di attese
lunghe....
del tempo....
che passa.
(2006)

Il tempo.
Un secondo.....
un momento fa' era....
e un momento dopo non e' piu'...... un senso di ineluttabile e
definitivo.....
mai piu'.
non ce ne sara' ... uno uguale..... bello o brutto .... grande o
piccolo....
è parte di una schiera di soldati....
di un interminabile esercito......
che sta' dietro di noi.
Dei nostri secondi che vanno via' rapidi come un treno....
che ci dicono della nostra vita.... testimoni muti....
fermatevi e ricominciamo..... no.
come siete trascorsi inutilmente....
come siete stati brevi..... come un lunghissimo bacio......
come un respiro caro che ci sta' lasciando.....
come un vecchio orologio...
che non dice piu' la verita'.....
cosa e' un secondo?
una convenzione inventata dall'uomo....
o uno scherzo del destino?
che ci vuole ricordare che non siamo liberi fino in fondo.....
che si nasce in un tempo .....
e in un tempo si muore.
e che spesso si nasce e si muore allo stesso tempo.
(2006)

La tromba e la chitarra.
Il suono della tromba si alza forte e limpido,
le corde della chitarra spagnola vibrano come
di speziate e colorate forme di vita semplice,
popolana…..
onde di mare...
sono insieme forti e suadenti....
tristi e remoti....
la una si leva e va al sole...
lucente... femminea e piena di aria pura...
l'altra si abbassa e sa di terra calda e riarsa...
insieme si trovano, si amano, ridono, piangono.....
in una densa esalazione ....
di vita.
(2006)

Flamenco..
                 Il lento ritmo,
si ritrova,
                 nel tempo  di una danza….
il flamenco....
                 lento.....
sensuale....
                si riflette sulla luna...
ne viene attratto.
                Ogni muscolo si muove,
dolce e crudele..           
                d´un tratto
armonioso  e .....scarlatto..
(nella veste della danzatrice)
sbatte....
il legno del pavimento scricchiola,
(lei sopra il tavolo)
cede,
urla.....
si muove, si inarca,
                              lento e sensuale......
in una  antica rappresentazione della vita
vive..... e poi.
muore…...
(2006)

Archivio.
Voglio archiviare questa nostra
piccola storia infinita,
nel registro dei ricordi,

voglio darle un nome,
un aggettivo,

bella, brutta
insignificante, importante
sublime, meravigliosa,
inutile, pulita, sporca,

quale di questi?

o tutti questi insieme?
(Ottobre 2007)

Mente e cuore.
Come il buio della ragione
troppo nero o bianco,
è l'amore
non esistono colori intermedi,
solo sublimi parole
o terribili offese,
carezze gentili
sguardi velati,
occhi socchiusi
e baci baci baci
la mente è offuscata
parla il cuore
organo scemo per definizione.
(Ott.2007)

Luce.
Sei luce nel mio buio polare,
il resto è donna,
lucido nel mio delirio,
nella mia febbre
catastrofe astrale.
ora è buio
domani non sò
accendo una sigaretta,
la luce ed il fumo mi inebriano,
finisce tutto in tre minuti,
come il nostro amore sigaretta.
(ott.2007)

Il gabbiano.
Sono stato al mare,
gli scogli umidi di schiume settembrine,
e il mare, di due, tre colri diversi, crespo e vivace...

sopra, un gabbiano...
padrone dell'aria e del vento
le bianche ali tese, vibravano
lo sguardo un pò triste..

penso...
ai momenti felici
vissuti insieme

penso...
guardandolo intensamente
quanto siamo piccoli
con le nostre paure quotidiane..

penso...
che vorrei essere come lui,
libero.
da tutti e da me stesso.
(sett.2007)

Bella
Ti allunghi sul letto sfatto
sinuosa, felina.......nuda,
i piedi
stranamente grandi e ossuti,
e le lunghissime gambe magre,
salendo con lo sguardo,
danno, al pari di un grande atrio elegante
su una piccola porta segreta.......
un fiore rosato, scuro,
certo antico
da sempre inquietante oggetto
di colpevoli sogni di adolescente,
il ventre, più in alto
è liscio e piatto
le linee delle costole
ben visibili,
e sopra,
sopra, un piccolo seno
dolce e timido,
quasi infantile
che fa da corollario
al collo armonioso e slanciato
verso un ovale perfetto
contornato da una selva
di capelli scuri, non lunghi,
che scendono liberi
sulle magre spalle
e incorniciano un viso bello
giovane e pulito
due occhi grandi e scuri, impazienti,
un piccolo naso
ed una bocca, ora seria
ora no,
un sorriso prima timido e pudico,
improvvisamente,
diventa riso nervoso e quasi sfrontato,
in una linea perfetta di denti bianchissimi
butti la testa all'indietro
in un tripudio di capelli nell'aria
sei felice,
come in un gioco,
ti copri il seno ed il pube con le mani,
ti volti,
mostrando un perfetto e rotondo didietro,
ti riprendo,
ti volti ancora
allarghi le gambe, sfidandomi,
ridendo,
e ti mostri ancora in tutto il tuo mistero....
Dio,
quanto sei....... bella.
(Luglio 2006)

La pietra
Sei li,
piccola pietra
immobile nel tempo,
custode bianca e consunta
di un ben triste destino,
ingrato.
(luglio 2006)

Estranea creatura.
ti muovi,
elegante e naturale,
leggera
pallida e altera,

lo sguardo serio e diritto,
di chi non teme la vita,
ma la detesta,

i lunghi capelli castani
cadono sulle spalle diritte,

il corpo sinuoso e pieno,
si muove in armonia,
quasi danzando,

mentre cammini
in mezzo alla gente,
che non vedi
e non ami,

quasi disturbo
il tuo regale incedere,

ma tu,
cosi' diversa,
cosi' speciale

non fai parte di
questo mondo

si sa

ma non puoi sottrarti
alle piccole
e grandi miserie umane,

che portano in dono,

il significato vero della vita.
(luglio 2006)


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