Avrei voglia di casa. Famiglia. Quella sensazione
che si prova quando stai bene E non lo sai Quando sei felice, E lo senti. Avrei
voglia di tutto ciò che non sto facendo. Scavo i ricordi dell’infanzia quando
voi nonni mi prendevate con le vostre mani invisibili che erano cuore e anima.
E mi avvolgevate con il vostro pensiero che nutriva ogni mio bisogno. Non
servivano abbracci. Presenza. Carezze. Nulla di tutto ciò. Bastava sapere che
c’eravamo. Poi da grande ho cercato presenze e poi assenze ma tutte queste son
divenute scomode e laceranti. Mi sono innamorata poi del racconto di uno
sconosciuto che ha trovato il coraggio di scegliere una nuova partenza nella
sua vita.
Ha cambiato. Si è svegliato da quello stato di impotenza e latenza. In cui
invece mi son trovata. Pestata e soffocata dai pensieri e desideri di chi si è
scordato di cosa significhi bene. Voler bene. Trattar bene. Aver cura. E ho
ricamato fiori attorno all’idea di una ripartenza. Iniziando dalla me che avevo
perso. Mi ero dimenticata di esserci. Ho messo un punto. Che si chiama “mi amo”
ed un altro che ricorda” rispetto”.
Sono le strade per la felicità perduta.
Racconti di Camilla Agata huge
Camilla era cresciuta. Si era scontrata con se stessa e con la vita.
Aveva scoperto il sesso e la poesia, i rifiuti e la malattia. Che
scavano ferite profonde, svuotano l'essenza per poi ricomporre una nuova
identita'. Aveva rinnegato ciò in cui credeva, perso la magia, cercato
l'amore lasciato negli occhi degli uomini, senza riuscire a comprenderne
l'essenza. Era divenuta gesto incompiuto. Perso il rispetto per la
natura, le persone, la sua stessa vita. Si accorse poi che il suo corpo
iniziava a gonfiarsi di tondezze molliccie, e si fece ammaliare dalla
pigrizia, rotolando in vecchi abiti consunti. Tempo e parole. Echi
lontani. "Tu sei una ragazza speciale, purtroppo nn é il tempo giusto
per noi. Amo un'altra. Storia malata da cui nn riesco a liberarmi. Sono
ossessionato dalla mia ex. Non voglio impegni per ora". Doveva ricredere
in se stessa, ricominciare a ricostruire. Il dilemma cresceva come
un'albero di vite, tra scorci di montagne e fili di tramonti annuvolati.
Il cuore scoppiava e lei nn riusciva a ricucirlo nell'anima. Voleva
l'amore che aveva perso e con esso la vita. Non avrebbe più ingannato
l'amore. Ingannato il suo corpo ed il suo credo. Aveva conosciuto la
leggerezza del passato quando fluttuava come una foglia negli abbracci
del dolce e saggio nonno, conosciuto la morte ed il decadimento negli
ultimi suoi sospiri malati. E chissà dove sarebbe stato ora che lo
pensava, non avvertiva la sua presenza, nemmeno il ricordo opaco del
giorno in cui le disse: se Albert non ti vuole non hai bisogno di lui.
Non hai bisogno di nessuno perché c'é il tuo nonno che pensa a te. Grumi
di lacrime scesero sul volto scompigliato di ricci e cenere, nel
ritratto di un mattino comune, abbandonato da un Dio carcerato.. E
nonostante tante uomini le girassero attorno come ad una giostra x
bambini, non vedeva la luce, non sentiva il richiamo. Li teneva indecisi
come sardine, e si sentiva come loro, stretta per così dire, nelle morse
dei loro destini. Albert sembrava come lei, in attesa. E continuava a
vivere in attesa. Continuava a ripercorrere i suoi passi come per
studiare uno spartito musicale.. E gli anni segnavano tracce indelebili
sulle loro pelli. Tatuaggi ruvidi e consunti. Philip invece diceva di
starle vicino ed occuparsi di lei, attendeva e resisteva.. Durante la
sua guerra di sguardi tra sesso ed amore. Ross invece combatteva con lei
e senza di lei, una battaglia senza fine, chiamata droga. La sua vita
era paracadute e tuffo libero, insonnia ed alchimia di vuoti e silenzi.
Era sempre lei Camilla, anche se si era persa nella strada del tempo.=
Camilla Agata Huge e la diffidenza che completa
Ripensava alle rose. A quante ne aveva ricevuto. A quanti significati
avevano trasmesso. A quanti, Lei, ne aveva colti e sigillati nell'anima.
A
quelle rose non accettate. rifiutate. negate. Ai vasi illuminati dal sole
delle stagioni,ed alle ombre delle rose rosso fuoco riflesse nel
pavimento.
Ai petali secchi sparsi a terra. Aspirati e gettati. Riposti tra le
pagine
di qualche libro. Alle rose dell'amica Irene, quando fu costretta a
raccogliere i cocci di una vita, dopo 5 anni di convivenza, quando lui le
disse Ti amo con 3 rose, e dopo 3 giorni le confessò di tradirla.
Raccolse
gli abiti ed il cuore, lasciando la casa costruita insieme, con le
finestre
sul tetto, lo sguardo al cielo, l'anima sospesa tra un sussurro ed un
bacio. Le rose di Luca Fabio e Lorenzo. Lucide di pianto, calde di parole
sussurrate, ricche di desideri effimeri. Le rose di Licia, Sofia e Bruna.
Rose. Rose e vite, intrecciate e sospinte, riprese, sospese...Ricordi.
Fragili e vani. Galleggianti.
Camilla, si domandava se il piacere del suo pensiero fosse dolce e
sublime
come quei petali morbidi e sinuosi, che danzavano nella mente come le
note
di un minuetto.
Avevano suonato al campanello. Aveva esitato un attimo, l'attesa infinita
ed indefinita... tra pensieri e gesti dell'anima.. Albert di nuovo. Alla
porta. del suo cuore.
Non gli aprì. Si soffermò ad osservarlo. Sembrava una rosa, lei. Camilla,
una rosa appena sbocciata, nel miracolo dell'alba. Riusciva a spiccare.
Sempre. Non era mai fuori luogo, mai un gesto affrettato senza grazia: la
grazia si compiva nell'emanazione del suo stesso splendore.
Aprì ruotando la chiave nel nottolino. E si sedette sbadatamente sulla
poltrona, allungando le gambe lunghe e distendendo le braccia nude.
Sprofondando lo sguardo sottile fino all'uscio. Lui entrò e sospese lo
sguardo: " Pensavo -le disse- che non devi mai credere ad un uomo che
afferma la tua bellezza incontrastata sulle altre donne. Tu, sei una di
esse. A cui, poi, un uomo può dare più importanza perchè ne costruisce
attorno parte della sua esistenza. Tu, tra tutte le donne che ho
conosciuto, sei una di esse. Ti Amo." Rispose Camilla: "Tu, tra gli
uomini
che conosco, sei l'unico. Colui che mi hai rubato l'anima. Dimentica ora
le
mie parole ed esci subito" E rise a pieni polmoni, come per fagocitare
l'ira che stava ribollendo dentro. Come un fuoco rovente, come una piena
dirompente. Come tuono e folgore. Era una lotta all'impenetrabile, Non
capiva cosa pensasse realmente lui, e nemmeno se stessa. Lo voleva o
desiderava solo il suo desiderio? Non le importava, sapeva che lo aveva
conquistato comunque. Le loro vite non si sarebbero nuovamente
allontanate
senza essersi riprese. La logica andava contro di loro, il mondo anche.
Albert ripeteva: "Non so. Forse." La prendeva e l'allontanava. Camilla
restava. Aveva deciso di provarci. Di prendere il treno. Non aspettare
più
la fermata successiva. Lo prese tra le sue braccia e lo strinse. Come a
cercare il fondo del suo cuore per estrarlo e riporlo dentro a sè. Lui
non
disse nulla, lapidario come il marmo sotto i piedi, la osservava,
deviando
il pensiero. Camilla, lei che riusciva a capire tutto, penetrando nelle
viscere, restava come in bilico. Era testarda. Non avrebbe rinunciato ad
ammaliarlo. Ad innamorarlo. Ad amarlo. A vederlo pieno del suo sentire,
del
suo profumo. Trabordare nel suo sudore. Rannicchiato attorno a Lei, con
l'umida pelle nella pelle, i seni suoi nel petto suo. L'anima nell'anima.
Non rinunciò. Nonostante fosse dura.Una strada in salita. Una salita
nella
salita. Una salita da duri. Rovinosa come l'esperienza. Scivolosa come
una
lingua di saliva. I libri contengono la vita e sono vita stessa, vissuta
o
rubata. Anime interrotte dal silenzio di una pagina girata..
Camilla si domandava se tutte le donne amassero, o se fingessero
semplicemente. Se si accontentassero o restassero in attesa. Se fossero
in
sospeso spesso. Se preferissero invece la routine delle banalità. Chi uno
chi l'altro. A Camilla piaceva soffermarsi ed attorcigliarsi in questi
pensieri. Voleva trovare una legge, un assioma che regolasse queste
regole,
una funzione matematica che disegnasse i trend e delimitasse gli estremi.
Ma lei, per prima, era essa stessa eccezione. Bianco e nero.Termine ed
inizio. Albert lo sapeva. Perciò sapeva tenerla. Capirla. Amarla. A volte
nemmeno lui trovava una ragione al suo girare attorno a questa donna: il
suo istinto lo attirava, la ragione lo tratteneva. Si sentiva forte
quando
lei lo stringeva, debole quando questa si ritraeva. Non poteva durare
questo gioco d'azzardo, pensava. Ma non erano capaci di una vita normale.
Chi li guardava coglieva solo lo splendido entusiasmo che li univa, la
bellezza delle loro forme che si scomponevano e si riunivano in abbracci
senza confini. Apprezzavano il loro essere unici e speciali.
Perchè questo era Camilla. Unica e speciale. Anche senza la presenza
della
sua cornice, quale era per essa Albert.
Arrivò il giorno in cui l'incertezza di Camilla sfociò in un
allontanamento
dall'Amore. Si sentì privata, sola. Per la prima volta. Anche a lei
capitò.
Di essere interrotta. Era un coccio spezzato in mille miliardi di pezzi.
L'amore da una parte e poi l'odio, la vendetta, la rassegnazione, il
desiderio, l'orgoglio, l'incertezza...Solitudine. Sentirla crescere e
prendere possesso dell'anima. Non voleva lasciarsi all'indefinito.
La vita si esprime anche nella solitudine. La grazia si compie anche
nella
commiserazione. Conta ciò che sei Camilla. Si ripeteva. Nessuno merita le
tue lacrime. Nessuno può farti piangere. Neanche l'Amore, con le sue
strette catene.
Passò qualche giorno e Camilla si fece prendere da mille impegni. Per
occupare la mente. Imparò a conoscere la diffidenza ed a prenderne le
distanze. Era forse diventata essa stessa diffidenza. Ed aveva preso le
distanze dalla sua stessa essenza, scoprendosi
A cosa serve imparare se poi l'errore ti entra dentro diventando parte
integrante della personalità? Serve per completarsi- diceva Camilla- Ciò
che non muore fortifica, ciò che uccide sigilla l'eternità.
Camilla era un vento sottile, che sfuggiva ad ogni vincolo, catena,
distruzione. S'infiltrava ovunque ed entrava nell'animo di chi le passava
vicino o provava a possederla. Ogni uomo, ogni donna, tratteneva in sè
parte di Lei. Aveva lasciato la sua traccia indelebile nel cuore del
mondo,
nell'orizzonte del tempo.
da Racconti
Racconti di Camilla Agata Huge
Ci sono punti e punti.
I punti nodali
Chissà quante volte vi è capitato di mettere un punto.
Quanti punti avrete lasciato al tempo… Camilla ne metteva pochi. Ma li
calcava per bene, lasciandoli in grassetto. Ripartendo poi dall’inizio.
Non si lasciava scappare le opportunità, coglieva tutte le alternative,
poi le sperimentava selezionandole per bene e poneva i punti. Quelli
nodali. Che non avrebbe potuto cancellare, né con il pensiero, tantomeno
con la vita. Antonio era uno di questi punti. Una storia finita, esausta.
Esaurita. Dal tempo e dall’Amore. Almeno per lei. Avevano conosciuto le
radici della loro esistenza insieme. Avevano calcato le prime strade
della vita, condividendo spigoli e rettilinei.
Si erano distinti per tendenze caratteriali e attitudini.
Camilla aveva imparato ad apprezzare la sua semplicità, coerenza, umiltà
e religioso rispetto. Erano i cardini del suo agire. Antonio era rimasto
orfano, cresciuto nel silenzio e nelle rinunce. Ma la madre sua era in
cielo, diceva. Si chiamava Maria, l’Assunta. Ed il suo vero padre diceva
era Frà Franco, un frate francescano, il suo padre spirituale. Camilla
invece lo aveva conosciuto da piccola, prendendolo per mano al parco
pubblico. Che poi diventò il loro punto di incontro. Erano amici, da
sempre. Diventarono amanti e innamorati. Felici.
Troppo distanti per gli uomini, ma vicini agli occhi di Dio.
La ricchezza materiale di lei veniva compensata dalla ricchezza d’animo
di lui. Cosa porta l’oro se non sfarzo e ostentazione, vanità e vacuità?
Qualcos’altro pensava Camilla. Lei poteva andare a teatro tutti i
venerdì, trarre magnifiche ispirazioni per i suoi dipinti eterei, uscire
a cena in abito da sera e permettersi il taxi ogni volta, senza
consultare il suo conto on line, monitorando gli interessi passivi e
suscitare sorrisi negli altri con piccoli grandi doni.
Cosa porta la nobiltà d’animo se non bontà e rispetto, amore vero e
compassione?
Qualcos’altro pensava Antonio, quando scorgeva negli occhi di frà Franco,
volti al cielo, un universo in evoluzione, un turbinio di immensità, una
bellezza celestiale, una libertà indomita, il volto di Dio riflesso nel
mondo.
Due mondi in contrasto? No, due universi in collisione.
Camilla era una meteora. Che viaggiava alla velocità della luce. Verso il
mondo di luce ovattata di Antonio. Tentato dall’Amore di questa donna che
diveniva di giorno in giorno più fatale. La chiamava Eva. Genitrice di
creature sublimi. L’uomo dal suo scontro incontro non traeva che
emozione, desiderio leggero e turbolento. Che diveniva contatto sempre
più tangibile. Forte, denso, possente. Fino al momento in cui sentì
scoppiare il suo corpo di desiderio per lei. Avrebbe voluto aspettarla
prima di cedere. Sposarsi per sigillare quel sentimento di corpo e anima.
Ma a volte non si può fermare l’emozione. Bisognerebbe coltivare l’anima
che innaffia l’amore, come un secchiello a grandi fori.
Quale il segreto per fermare il sentimento? Fermarsi e non andare avanti
nella storia. Almeno per rispetto della fine. E’ possibile fermare,
almeno, le parole. Mentre le gocce continuano a scendere e a nutrire la
piena del fiume… Racconti di Camilla Agata Huge
Camilla aveva deciso di soffermarsi un attimo... leggere le righe di una
mail finita nel cestino..
"Dedicato a chi c’era...:
Noi che ci divertivamo anche facendo "Strega comanda color.".
Noi che le femmine ci obbligavano a giocare a "Regina reginella" e a
"Campana".
Noi che facevamo "Palla Avvelenata".
Noi che giocavamo regolare a "Ruba Bandiera".
Noi che non mancava neanche "dire fare baciare lettera testamento".
Noi che ci sentivamo ricchi se avevamo "Parco Della Vittoria e Viale Dei
Giardini".
Noi che i pattini avevano 4 ruote e si allungavano quando il piede
cresceva.
Noi che mettevamo le carte da gioco con le mollette sui raggi della
bicicletta.
Noi che chi lasciava la scia più lunga nella frenata con la bici era il
più figo.
Noi che "se ti faccio fare un giro con la bici nuova non devi cambiare le
marce".
Noi che passavamo ore a cercare i buchi sulle camere d'aria mettendole in
una bacinella.
Noi che ci sentivamo ingegneri quando riparavamo quei buchi col tip-top.
Noi che il Ciao si accendeva pedalando.
Noi che suonavamo al campanello per chiedere se c'era l'amico in casa.
Noi che facevamo a gara a chi masticava più big babol contemporaneamente.
Noi che avevamo adottato gatti e cani randagi che non ci hanno mai
attaccato nessuna malattia mortale anche se dopo averli accarezzati ci
mettevamo le dita in bocca.
Noi che quando starnutivi, nessuno chiamava l'ambulanza.
Noi che i termometri li rompevamo, e le palline di mercurio giravano per
tutta casa.
Noi che dopo la prima partita c'era la rivincita, e poi la bella, e poi
la
bella della bella..
Noi che se passavamo la palla al portiere coi piedi e lui la prendeva Con
le mani non era fallo.
Noi che giocavamo a "Indovina Chi?" anche se conoscevi tutti i personaggi
a memoria.
Noi che giocavamo a Forza 4.
Noi che giocavamo a fiori frutta e città (e la città con la D era sempre
Domodossola).
Noi che con le 500 lire di carta ci venivano 10 pacchetti di figurine.
Noi che ci mancavano sempre quattro figurine per finire l'album Panini.
Noi che ci spaccavamo le dita per giocare a Subbuteo.
Noi che avevamo il "nascondiglio segreto" con il "passaggio segreto".
Noi che giocavamo per ore a "Merda" con le carte.
Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava
Riavvolgere il nastro con la penna.
Noi che in TV guardavamo solo i cartoni animati.
Noi che avevamo i cartoni animati belli.!!
Noi che litigavamo su chi fosse più forte tra Goldrake e
Mazinga(Goldrake,
ovvio..)
Noi che guardavamo "La Casa Nella Prateria" anche se metteva tristezza.
Noi che abbiamo raccontato 1.500 volte la barzelletta del fantasma
formaggino.
Noi che alla messa ridevamo di continuo.
Noi che si andava a messa se no erano legnate.
Noi che si bigiava a messa.
Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia.
Noi che non avevamo il cellulare per andare a parlare in privato sul
terrazzo.
Noi che i messaggini li scrivevamo su dei pezzetti di carta da passare al
compagno.
Noi che non avevamo nemmeno il telefono fisso in casa.
Noi che si andava in cabina a telefonare.
Noi che c'era la Polaroid e aspettavi che si vedesse la foto.
Noi che non era Natale se alla tv non vedevamo la pubblicità della Coca
Cola con l'albero.
Noi che le palline di natale erano di vetro e si rompevano.
Noi che al nostro compleanno invitavamo tutti, ma proprio tutti, i nostri
compagni di classe.
Noi che facevamo il gioco della bottiglia tutti seduti per terra.
Noi che alle feste stavamo sempre col manico di scopa in mano.
Noi che se guardavamo tutto il film delle 20:30 eravamo andati a Dormire
tardissimo.
Noi che guardavamo film dell'orrore anche se avevi paura.
Noi che giocavamo a calcio con le pigne.
Noi che le pigne ce le tiravamo pure.
Noi che suonavamo ai campanelli e poi scappavamo.
Noi che nelle foto delle gite facevamo le corna e eravamo sempre
sorridenti.
Noi che il bagno si poteva fare solo dopo le 4.
Noi che a scuola andavamo con cartelle da 2 quintali.
Noi che quando a scuola c'era l'ora di ginnastica partivamo da casa in
tuta.
Noi che a scuola ci andavamo da soli, e tornavamo da soli.
Noi che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, la mamma te ne dava 2.
Noi che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, a casa Era
il terrore.
Noi che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su Google.
Noi che internet non esisteva.
Noi che però sappiamo a memoria "Zoff Gentile Cabrini Oriali Collovati
Scirea Conti Tardelli Rossi Antognoni Graziani (allenatore Bearzot)".
Noi che "Disastro di Cernobyl" vuol dire che non potevamo bere il latte
alla mattina.
Noi che compravamo le uova sfuse, e la pizza alta un dito, con la carta
del pane che si impregnava d'olio.
Noi che non sapevamo cos'era la morale, solo che era sempre quella..fai
merenda con Girella.
Noi che si poteva star fuori in bici il pomeriggio.
Noi che se andavi in strada non era così pericoloso.
Noi che però sapevamo che erano le 4 perchè stava per iniziare BIM BUM
BAM.
Noi che sapevamo che ormai era pronta la cena perchè c'era Happy Days.
Noi che il primo novembre era "Tutti i santi", mica Halloween“
..proprio vero.. quel tempo sembrava così lontano... aveva fatto tutto, o
quasi. I pattini che si allungavano li aveva veramente, non era nata con
la TT roadster e l’ipod.. Ritornava tutto alla mente tra una lacrimuccia
e un sospeso.
Una volta per fare uno scherzo a 2 amiche, Camilla e suo cugino si erano
vestiti in calzamaglia e avevano scalato grondaia e tetto...Morale
avevano chiamato la polizia...e dovuto spiegare che era una bravata...
Quante storie, quanta vita. Racconti di Camilla Agata Huge di Alessandra
Piacentino. Rivivere sensazioni immortali.
Immortalità? “Cos’è?“-si domandava Camilla- “..Se non la naturale
tendenza dell’uomo al desiderio di possederla interamente?” “Immortalità
è un’essenza sottile, celata da uno sguardo complice, un prolungamento
dei desideri, una percezione afferrata nel pieno della sua corsa, la
sospensione di un silenzio, una notte ebbra d’oceano, un ricordo di una
vita, un’immagine di cielo sparita nell’ombra di un bacio, un segnaposto
indigesto, una passeggiata sulle ali della pioggia tra gomitoli di raggi
di luce intrappolati in un flash, il fumo fuggitivo di una pipa, il
galoppo del vento che muove i capelli, un’estasi eterna annotata in un
blocco di fogli ..”
Quanti scritti lasciati al tempo ed a Camilla. Quanti desideri sospesi
lasciati alle spalle.. tutti strizzati come acciughe in una scatoletta..
che invenzione il cellulare!
“IO e te.. un grande amore…niente più. Solitudine e malinconia, ritorna
ancora un attimo accanto a me, cos’è un attimo in confronto alla vita? Un
infinitesimo istante, una parte di un atomo di un secolo di vita, un
piccolo frammento insignificante del tuo presente o futuro.. Ti sto
scrivendo da un’atmosfera bellissima, ascoltando un vecchio disco in
sottofondo, come sto bene stretto nel tuo ricordo consunto e logoro…lo
porto a letto, sotto le coperte con me. Sembra una pazzia brindare da
solo. Ma sono 4 anni che aspetto. Quel tuo “ Tornerò.. forse. ” tuona nel
mio animo come un lampo insonne, uno spirito vagabondo”
E vagavano vagavano incompresi, persi nel silenzio delle loro parole, gli
uomini di Camilla. Iniziavano a conoscersi. A riconoscersi in lei. In ciò
che lei non diceva, in quello che il suo silenzio esprimeva e la sua
mancanza ricreava.
“Hey cosa fai.. stasera mi piacerebbe vederti.. mi butti anche giù il
telefono.. sigh -ma è possibile che tu non trovi mai tempo per me? Sei in
giro o a letto? Chiama quando vuoi. Comunque nemmeno per sbaglio rispondi
a telefono!..”
Camilla avrebbe continuato a non trovare tempo per lui. Quanto lo
adorava… La sua mente era generosa di sospesi, ricreava condizioni di
attesa, spazi, vuoti. In essi nascondeva parte di sé. Chi coglieva i suoi
passi li avrebbe seguiti fino alla fine. Sarebbe salito in sella
all’unicorno. Contro il tempo, il vento, il mare ed il cielo.
“Eri a secco di batteria o non avevi voglia di parlarmi?Mi ero ripromesso
di non scriverti più ma visto che tu non lo fai mai…posso telefonarti per
un saluto veloce?ti va di fare 4 chiacchiere?” Camilla avrebbe dovuto
insegnare loro come affrontare la vita, quella che la aveva assalita,
affascinata e poi si era lasciata addomesticare.. e coinvolgere.
“Lasciati guidare dal mondo dei sogni,abbandonati e fammi guardare.. il
silenzio respira in me.. oltre la rotta del tempo. È del niente che temo
di più.. oltre te non vedo nulla, oltre il limite non c’è nulla..”
Iniziavano ad addentrarsi nel mondo del mistero, delle radici del
sentimento, dell’Armonia.
“Sto facendo una cosa che in 4 anni non ho mai osato fare rischio
licenziamento.. scusa se disturbo ma mai nessuna mi ha emozionato come te
stasera.. dovevo dirlo altrimenti mi sarei sentito uno scemo a vita”
“Sei a nanna? Dove sei? Sei ancora sveglia?”
“Io ti cercherò negli occhi delle donne che nel mondo incontrerò e dentro
quegli sguardi mi ricorderò di noi.. gioia e dolore hanno lo stesso
sapore…amo te. Ma sei partita già? Mi sa che ti ho sognato stanotte. Come
l’altra. E l’altra ancora.”
“ ..serata malinconica.. sto osservando una bottiglia di birra desperados
interamente vuota con su scritto: ecco come mi sento senza te, la mia
vita non ha senso, non dimenticarmi mai.. sarò sempre dentro di te perché
ti amo. la tua bimba… sto bene ti penso e ci credo ancora. Chissà..”
Quella bottiglia Camilla l’aveva riservata solo per lui. Ogni cosa che
faceva era un’opera d’arte, non creava duplicati, ogni esperienza era il
simbolo di un’intera esistenza dedicata all’Amore. Generato illuso
ripreso sconfitto Vincitore. Presente. Sempre.
..Way back into love take two I racconti di Camilla Agata Huge... Le
piccole sensazioni che nascono dalle belle cose…ed anche dalle brutte.
“Forse sono all'antica.. ma quando tengo a una persona e di colpo non la
sento più mi preoccupo. Se va tutto bene, sono contento per te. Se ci
sono problemi mi spiace molto e spero si appianino. In qualsiasi modo
reincontrarti mi ha fatto molto piacere. Riperderti meno. Se ti sei fatta
un'idea negativa di me mi piacerebbe saperlo e poter al limite fornire il
mio punto di vista. Sono molto meno pirla di quanto tu creda ..(almeno
credo)” .. da quanto stava aspettando questo messaggio. Sapeva che
sarebbe arrivato. Prima o poi. Era il segno. Se tanto si dà, tanto si
riceve. Soprattutto nell’amicizia vera. E cosa avrebbe potuto accomunare
un uomo fatto, maturo robusto vissuto accasato.., ad una donna così
affascinante come Camilla? Ci sono molte cose che la gente non capisce,
non sente, non subisce, non prova, non fa, non vede né tocca, non
percepisce, non vuole sapere.
Bisogna andar oltre. Oltre il limite, oltre il senso. Oltre le distanze.
Oltre la materia. Anche quella grigia. Ci sono attimi in cui si trova il
significato, si sente l’armonia, ci si sente a casa, come al ritorno da
un lungo viaggio. Si respira normalità come se si fosse vissuta da sempre
allo stesso modo, in quella medesima situazione con quella medesima
compagnia. Camilla avrebbe voluto spiegargli tutto, ma era sufficiente
una piccola risposta. Bastava. Tra loro. Non le avrebbe chiesto nulla di
più. Sarebbe rimasto in silenzio ad ascoltare l’eco delle sue parole..
Era sufficiente un “sì ci sono”, un “no non posso” oppure “sto bene”. Era
meglio di tanti se ma forse sai perché sennò…quante inutili spiegazioni..
meglio passare ad altro.
Siamo esausti delle ferite della vita. Tutti. In fondo. Fino in fondo.
Come avrebbe fatto a spiegargli ciò che stava capitando in lei ed attorno
a lei. Aveva abbandonato amici, parenti, nemici. Si era donata al
silenzio.. Aveva scelto la solitudine per sé. Per capire. Ripartire da
zero. Ma alcune cose non si cancellano. Non si possono cancellare. E
riemergono al ricordo e si celano sottilmente sotto il primo strato di
pelle. Sono quelle che chiamano piccole futili esperienze vissute in
compagnia, disarmonie condivise, allontanamenti forzosi. Sono la vita. E
Come cancellarla?
Camilla non poteva più farne a meno. E chi era Dio lassù che la
sovrastava…cosa voleva da lei? E lei? Cosa vedeva in lui se non il
compimento del suo stesso fine: l’immortalità dell’Amore. Del Bene
supremo. Vero. Che non ha limiti, disarmonie. Non conosce sconfitte.
Illusioni. Vanità. Compromessi. Forse piccoli compromessi sì.. Non
idealizziamo il tutto -pensava Camilla- basta poco per sorprenderci e
così poco per illuderci…a volte è sufficiente un piccolo sforzo contrario
per ottenere comunque la vittoria. Ma sono le verità profonde che
restano. E scavano come radici, l’essenza della vita.
Unica controindicazione: mancando il libretto di istruzioni maneggiare
con cura le situazioni meno propizie e tenere sempre una buona dose di
istinto ed amore con sé. Per non affogare nel troppo oppure nel poco.
Ripensava”Quanto bene mi fa l’amicizia”.. Nasceva nel suo cuore come una
piantina, a poco a poco. Sentiva l’affetto che conduceva i rami fino ad
abbracciare l’alba che si compiva di fronte al suo sguardo. Anche lui,
forse in un altro paese o nazione, avrebbe osservato la stessa alba,
compiersi così di fronte a loro.
Tra Amicizia pura e Amore vero esiste solo una leggera linea
sottile-pensava Camilla, volgendo gli occhi alla memoria-.
Condivisione, rispetto, armonia. Diveniva tutto un cerchio rigenerante
immanente. Un simbolo di perfezione. IL cerchio racchiude come un
abbraccio, protegge come un padre, non ha inizio né fine, come dovrebbe
essere il sentimento perfetto e compiuto.
Dell’Amicizia, L’Amore puro ne diveniva sublimazione, come in una seduta
di benessere corpo e anima, ascoltando musica lirica, sospirando negli
umori di una sauna, scivolando nell’acqua torbida di un idromassaggio,
sentendo muovere la propria pelle da un massaggio rigenerante al sapore
di menta piperita.
Quante vibrazioni diffondevano pensieri.. E Camilla continuava a tirare e
rilasciare l’elastico della vita, dell’Amore, dell’Amicizia, con estremo
rispetto, non dimenticandosi che la sua essenza era tale per l’esistenza
di chi l’amava per ciò che Lei stessa emanava.. così dannatamente
appagante e sublime.. era una cacciatrice di esperienze e desideri,
Camilla Agata Huge. Lei avrebbe conquistato il mondo intero. Con un
semplice gesto. Era il desiderio perfetto. Ed immortale. Era per ciò che
donava. Per il modo con cui Si donava. Per quello che esprimeva ed
avrebbe potuto esprimere. Per l’Amore puro, il Dolore puro, l’Essenza
vera.
Quanto le stava donando quel silenzio immortale che li avvolgeva,
nascosti da quell’Alba riflessa, unica come il Loro desiderio,
d’incontrarsi ancora un giorno, per condividere la Vita.
Trattato sull’Amore Moderno da “Brevi
racconti di Camilla Agata Huge...“
„Quanto tempo è passato dall’ultima volta..“ A Camilla non capitava
spesso di soffermarsi a pensare all’amore. Di solito era lei che lo
trascinava negli altri inconsapevolmente, o almeno sembrava le venisse
naturale. Peraltro l’artificilità, sebbene potesse esistere e non fosse
Carnevale, veniva degnamente mascherata. Si domandava se l’amore che
suscitava negli altri fosse tale anche per lei. Se la luce scintillante
che nasceva nello sguardo di chi colpiva al cuore, crescesse anche in
lei. Se i brividi pesanti ed intermittenti alleggerissero anche la sua
anima e generassero scompiglio. Oppure se fosse tutto pura illusione per
lei. Normalità. Routine. Scendeva con la mente nelle sue radici intime
più profonde e sentiva la sua sostanza come fosse lo specchio
dell’immortalità, dell’eterno, dell’incompiuto in corso di completamento,
del sospeso. Come qualcosa di innaturale, extraterrestre. Scendevano così
in profondo i suoi tentacoli. Immobilizzavano. Ed in certi istanti
terrorizzavano quasi, spaventavano. Ciò che non si conosce incuriosisce
ma al tempo stesso si teme un poco. Ed anche lei si temeva. Temeva le sue
reazioni, ma non le rigettava. Le percepiva e le nascondeva ingannandosi.
Avrebbe voluto essere una donna normale. Non La Donna. Il punto. L’inizio
e la fine. Viveva in un gioco, ma il suo nome era la Vita. Un suo sguardo
sapeva scendere nell’intimo, generare brividi, malessere e conseguente
massimo benessere, desiderio rotondo e compiuto, aspettativa e
realizzazione. Quante cose sapeva, anche quelle che non credeva di
conoscere. La sua gestualità avvolgeva la mente, l’anima, l’essenza, il
corpo. Avrei voluto farla conoscere anche a voi, di persona. Le parole
non rendono l’essenza, non sono capaci di perfezione. Vi avrebbe
ammaliati. Affascinati come alla prima di una danza teatrale, di un
concerto classico, seduti in prima fila, agghindati con l‘abito migliore,
intarsiati di ori antichi, ricoperti di unguenti dolci sulla pelle,
profumati con essenze d’incenso e mirra. Quanto vi avrebbe potuto far
conoscere, solo con uno sguardo sottile... Forse l’immaginazione potrebbe
trascinarvi al ricordo migliore di tutta la vostra vita, ma non ci
sareste ancora arrivati. Camilla non conosceva tempo mal speso. Ogni suo
gesto riportava echi sconosciuti e finemente percettibili ed allusivi.
Esprimeva ciò che l’uomo avrebbe potuto immaginare, desiderare, compiere,
conoscere. Era viaggio verso l’impenetrabile. La sensazione del tocco suo
sulla pelle lasciava morbidi tatuaggi, sensazioni incerte di possesso
carnale, di libertà incondizionata al desiderio, di penetrazione totale
nell‘intimità, scambio continuo e ininterrotto, esplosione di significati
e consensi, umidità pungente e scivolosa di baci e carezze inconsuete,
percezioni irrefrenabili. Causava intorpidimento e benessere prorompente,
come la sensazione di un evaso rilasciato prima del giudizio di
colpevolezza e condannato alla realizzazione delle sue perversioni a
vita. Il suo tocco percepiva le aspettative di chi lo riceveva e avverava
ciò che era solamente in atto. Ogni aspetto di Camilla era parte di un
puzzle infinito. Che si compieva e ridisegnava le sorti dell’uomo. Quando
si fermava lo faceva poichè era scritto sul suo copione, nascosto al
mondo. Alla natura, alla terra. Al cielo. Era il trattato dell’Amore
sublime e sommo. Brevi racconti di Camilla Agata Huge.
Come le cavallette.
„Ti dirò che la vita è veramente strana. Davvero. Quando pensi di
conoscerla ti sorprende di nuovo. Nel bene e nel male.purtroppo anche
nel male. Nella solitudine. Nel bisogno di stare soli. Di trovare un
senso. Di vedere come altri non trovano quel senso e si nascondono in
tante cose futili e prive di alcuno scopo.
Mi sembra a volte di vivere un film.lara croft direi possa essere il +
azzeccato.
In questo periodo mi sono un pò isolata dal mondo e dalle mie consuete
amicizie. Dai ragazzi, quelli che oggi chiamano uomini un pò troppo
vicini-e la prossimità è sempre un rischio-...
Non cerco più un marito con cui creare una famiglia ma un uomo che mi
rispetti, a prescindere. Ho trovato alcune nuove conoscenze che mi
hanno rubato l’anima.
Non più ragazzine di classe con tacchi dorati di prada ed il fiato
pesante-a cui peraltro sono ancora affezionata-ma sto provando a vivere
una vita diversa..è un distacco duro feroce, che mi ha sorpreso ed
imposto un cambiamento.
Nuovi incontri, gente umile con il cuore grande come gli occhi dei
bimbi. E ti chiedi: ma come è possibile!??mentre la tua vita piano
piano si riprende. Da quella condizione da infernal afterhour..verso un
test di paradiso..sarà tutto vero? O tornerò alla mia croce che era
divenuta così sublime..?“
Camilla la ascoltava e vedeva in lei il compiersi di tutti i suoi
interrogativi, il prolungamento della sua esistenza, un possibile
rischio di non completezza. Erano estremità che si combaciano e si
completano. Drammaticamente. Inesorabilmente. Camilla era vezzo e
ricercatezza, virtù e sublimazione. Ricchezza. Ridondanza. Angelica
rassegnazione e rinnovamento forzato. Cambiamento. Desiderio di
paradiso. Schiaffo alla vita troppo bella troppo cara troppo vuota.
Carezza all’esistenza di chi si trova al mondo e deve sopravvivere.
Perchè ne ha il diritto. Come un certificato di vita impresso sulla
pelle. Un sigillo. Un attestato di conformità. In un mondo difforme da
ogni aspettativa.
Quanti concetti accavallarsi. Come le formiche in un campo di briciole
di pane.
Basterà una vita per comprendere a fondo quanto il pensiero POSSA?
Potere E‘. Camilla Huge. Le brevi occhiate appannate e
gli occhiolini stanchi. Forse il succo della vita è.
Era come se la luce avesse perso il suo splendore. Non per donarlo a lei.
Come se avessero spento qualcosa da qualche parte nel mondo. Forse il suo
motore.
Un interruttore si fosse guastato. Un’occhiata brutta del destino fosse
scesa su di lei.
Qualcosa era cambiato. Quel giorno non emanava nulla, solo indifferenza.
Camilla non avvertiva alcun contatto. Alcun desiderio. Alcuna sensazione.
Nemmeno osservando le nitide cime delle alpi che troneggiavano in uno
scorcio sbiancato di cielo.. Muoveva il cucchiaino dentro la tazzina come
se aspettasse una risposta dai residui rimasti..con gli occhi ammutoliti
e il cuore perso. E l’anima in un pugno di ciabatte vecchie e stelle
sotterrate. Ci sono giorni alterni. Altalenanti. E giorni in attesa di
prendere un verso. Come poeti esausti. E coccinelle stanche. Eppure è
tutto così semplice, si ripeteva... basterebbe solo accettare l’amore del
cielo.. e se ci provi riesci a vederlo, se lo chiedi riesci a sentirlo…se
lo ami…ti ama… ma siamo troppo affogati nel negativo, siamo nel limite,
viaggiamo su di esso in equilibrio, uccidiamo per sentirci vivi, godiamo
per la passione, ci compiacciamo del nostro egoismo, ci appesantiamo di
grassi insaturi e poli-insaturi. Il suo messaggio alla vita voleva essere
una ricerca d’amore per affinare quello che lei donava gratuitamente. Era
desiderio di sessualità puro e terribile, non carezza e soffio delicato.
Che qualcosa stesse cambiando in lei? Come il venticello primaverile che
porta lo sbocciare dei fiori? Forse l’amore vero è solo pensiero sublime
d’affetto e calore umano. Astrazione di paternità, rivendicazione di
rispetto e giustizia, verità nella sua accezione greca (Kalos). Non
sapeva ancora. Sarebbe passato un po’ di tempo, prima che riuscisse a
sfogliare un’altra pagina della sua vita.. Intanto specchiava il volto
nelle striscioline di pioggia che scorrevano sulla superficie liscia
della finestra, come treni che attraversano binari. E pensava- “..guarda
il mio viso.. pare che non lo si riconosca nemmeno” A volte basta poco.
Diversi punti di vista. E rise un attimo.
Racconti di Camilla Huge. Tornare alla mente
e ritrovare sé stessi
Camilla stava risalendo con il pensiero la salita che conduceva il
viottolo fino alla cascina della nonna. Ricordava il tempo delle ciliegie
raccolte a cavalcioni di un ramo, quale aroma tornava alla memoria,
agrumato dolciastro e succoso. Sembrava di inghiottirne una manciata
fresca.. Tornavano i profumi degli oleandri delle ginocchia sbucciate e
del fumo della pizza nel camino. Le corse sui campi dentro il tempo e
fuori dal tempo. Il teatrino delle marionette. Le merende all’aria
aperta. Il senso di possedere tutto avendo nulla. La pioggia scrosciante
sui vetri della serra.. il calore piatto e umido. Il senso di un
abbraccio. Anche solo del palmo di una mano poggiato sulla spalla. Il
vestitino bianco consunto e impolverato di fango e rugiada.
Corrono i bambini. Non sanno dove vanno. Ma trovano un senso per tutto.
Girava intanto Camilla i fogli della sua storia, come volesse trovare una
causa al suo bisogno di amore. Incessante come una pioggia fugace di
primavera che torna e ritorna. Incalzante come un fiume in piena
straripante. L’amore andava vissuto e bisognava farlo conoscere. Lo aveva
imparato dalla natura che ogni giorno le regalava il miracolo del sorgere
dell’alba e del morire del giorno in un tramonto. Le sue storie seguivano
il corso della vita. Nascevano e morivano. Si reincarnavano. Appassivano
come vasi di rose monche dentro un vaso.
Usava l’aspetto per far conoscere il suo cuore, l’essenza di questa
natura selvatica e salvifica. Se l’uomo si innamora dell’aspetto vive
solo per esso e al suo decadimento fisico perde attrazione. Se l’animo di
una donna lo conquista, difficile che possa allontanarsi. Come può la
luce esser catturata in un vasetto di marmellata e rinchiusa in esso? Va
colta ogni giorno nella sua più profonda manifestazione e va ascoltata e
rapita nel cuore.
Pulsava forte il suo battito dentro la cassa toracica, che ne faceva
quasi da subwoofer. Si mosse, vide che Carlo stava per bussare. Gli aprì.
Entrò. La vide strana. Il fondotinta si era appiccicato a qualche
lacrima. Il sorriso stretto in un cewingum. Al dito portava l’anello
della nonna. Che le aveva regalato tre giorni prima di lasciarla. Vi era
scritto: “Il tempo è relativo, l’amore infinito” Era bella per il suo
essere essenza complicata ed incomprensibile.
Rimosse questo leggero velo. Subito riprese sé stessa, la vera Camilla.
Drizzò le spalle e riassettò il cuore.
Lui sorrise e le disse: “Sei davvero una donna… Vogliamo uscire a cena? “
Camilla amava del suo passato la libertà, del presente l’attesa della
seduzione, del futuro la continuazione di sé nelle cose che solo
toccava.. Il pensiero è forza e al contempo debolezza. Tutto sta nel
cogliere il lato migliore. Camilla aveva colto Carlo.
Racconti di Camilla Huge
Le storie che finiscono e quelle che non finiscono ma tacciono.
“..Ogni tanto visito il tuo sito internet che e' rimasto ormai l'unico
dal quale poco alla volta posso estrapolare qualche informazione su di te
e cosi eccomi qua ad aver trovato finalmente un indirizzo e-mail al quale
scriverti (Cavolo non mi par vero!!) ma stai tranquilla non intendo
minimamente tartassarti con un e-mail dopo l'altro.
Ormai ho smesso di scriverti sms, preferisco provare a chiamarti di tanto
in
tanto senza nascondere il numero nella speranza che tu un giorno abbia
davvero voglia di rispondermi...sapessi come mi farebbe piacere.
Io sto benone anzi Bene! Lavoro come un matto giro parecchio spesso
all’estero e devo dire la verita' inizio davvero a prendermi qualche
bella soddisfazione.
Da 3 anni frequento un nuovo giro di amici e facciamo un sacco
di feste e mangiate...tutti bravi ragazzi ti piacerebbero alla stragrande
Spesso passiamo i w-end fuori specialmente a Londra dove per fortuna ho
un minibuco
Dell’azienda.
Il morale e' alto, certo non ho passato dei periodi strepitosi
ultimamente, ma
ho reagito bene ......Fidanzate? Beh chiaramente nessuna ma ho ed ho
avuto
molte storie forse alla ricerca di qualcosa che tarda ad arrivare...ma
chissa' perchè'''?!
Qualcosa di stupendo che ti travolge all’improvviso.. hai presente.....del
tipo che tu sei li che ti godi la vita ed un secondo dopo ti ritrovi a
chiederti come hai fatto a vivere fino a quel momento senza di lei...sai
che sono un passionale e sai anche che quell’emozione io l'ho provata
solo con te......mi sono inginocchiato in piazza ricordi? E ho gridato il
mio amore per te.
Cosa vorrei ora?? Bhe' niente di speciale in realtà........forse non
sono neanche poi così cambiato e forse non mi sopporteresti ancora...
Il fatto e' che mi manchi di più ogni giorno che manda il buon Dio, ti
penso spesso ma con Gioia e continuo a chiedermi come sarebbe andata a
finire se non ci fossimo mai lasciati.....cioe' se non fossi stato cosi'
coglione
da farmi lasciare! Cami sei la persona piu' speciale al mondo per me!
Mi piacerebbe tanto incontrarti per fare 2 chiacchere e farti sentire che
su
di me potrai contare sempre!
Cami non sono ne geloso ne triste non so ormai neanche se sarebbe giusto
riprovarci...so solo che ti voglio un bene matto e che spero tanto che tu
un
giorno lo possa capire...............
Chissa' magari mi risponderai o batterai un colpo...quanti anni passati
nel silenzio”
Camilla non rispose. Stava male, avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che
gli era vicina.
Ma non rispose. Lasciò che il tempo desse lui le risposte. Non voleva
sbagliare, quante volte lo aveva fatto nella vita. Il suo cuore esisteva.
Ma il silenzio negava risposte immediate. Quale variabile imprescindibile
il tempo..
Si rifugge sempre da ciò che spaventa e inevitabilmente questo ci
sommerge e ci contagia. Dovremmo forse preoccuparci di risolvere prima le
nostre paure e far sì che queste ci rendano immortali. La forza è una
condizione della debolezza. Il vero amore è il superamento di tutti i
limiti e delle verità del mondo, è lo scoprirsi nudi ma felici.
La vita ti fa fare tanti passi, per alcuni non sai nemmeno il motivo che
ti porta a compierli ma ti portano avanti.. per farti conoscere la tua
strada e la tua missione. Fino all’ultimo giorno. Devi solo credere.
Racconti di Camilla Huge. Fare bisboccia con
spiritelli. O ritrovarsi sveglia di fronte alla Verità incredibile?
Camilla osservava con attenzione ed un po’ di perplessità Elvira,
ripiegata su sé stessa, con gli occhi all’indietro ed uno strano tremore
nel corpo. Sarebbe stata rinchiusa in un manicomio se il suo viaggio non
si fosse scontrato con quello di Eufrate, un prete vagabondo. Sarebbe
impazzita in uno studio di psichiatri e psicologi. Lui aveva subito
capito cosa le stava succedendo. Era posseduta. Camilla spalancò gli
occhi: che il mondo non fosse più la sua realtà, quella che da sempre
aveva conosciuto.. che davvero il soprannaturale si fosse calato nel
reale? Era posseduta. Non da uno ma da un quarantotto di demoni veri. Non
quelli che raccontano i libri di fiabe o del terrore. Demoni reali,
ciascuno con il proprio nome specifico. Da combattere e scacciare sul
monte sacro per imprigionarli nell’eternità. Esiste davvero l’inferno.
Esistono davvero gli esorcisti. Ricorda, Dio oltre che esser amore è
anche vera giustizia suprema e ciascuno dovrà giudicarsi secondo tale
principio. “Devi perdonare e pregare, il rosario allontana ogni male e
sana” La vita di Elvira era stata turbata da maledizioni fatture malocchi
legami riti magici, da parte di conoscenti amici parenti. Operandola i
medici le avrebbero trovato nel seno e nell’intestino mucchietti di
chiodi capelli stringe cordini arruffati. E nel cuore un’infinita paura.
Ma il destino la fece imbattere in questo vecchio signore dallo sguardo
profondo duro e saggio. Buono. Si accostò a lei e le domandò se volesse
una preghiera. Non le avrebbe cambiato la vita e per questo pensò di
accettare. Ma la sua vita cambiò. Invece. Iniziò un lento cammino di
guarigione. I demoni le parlavano dentro, insieme alle anime perse. “In
nome di Dio ti ordino..” Si lasciò convertire ai 10 comandamenti. Libri
sacri. Di DIO. E scoprì che molti ragazzi erano come lei. E alcuni non lo
sapevano, sentivano insofferenza e cadevano nella depressione o si
ammalavano. Droga o alcolismo. Famiglie divise. Spezzate. Devastate. Lei
non stava impazzendo. Semplicemente la percezione della vera vita si
stava impossessando di lei. Ed iniziò a sorridere davvero, con il cuore.
guardando dall’ultima panca della chiesa, l’occhiolino della statua di
Gesù, cuore misericordioso. Proprio come faceva Camilla, le poche volte
in cui seguiva il Sacrificio, nel tempio di Dio. Lei le credeva. Il mondo
è un incontro di bene e male, uno scambio di realtà, un passaggio per
l’immortalità. Da guadagnare. E’ il denaro che ci allontana. Spezza la
vera libertà. Che cosa strana la vita, in ogni momento Camilla aveva un
motivo in più per pensarlo.
La avevano fatta precipitare, la piccola Elvira, le sedute di
pranoterapia, i maghi, i falsi profeti veggenti, i libri sul buddismo, i
cartomanti, i contatti con le sette, i chiropratichi, gli iridologi,
strumenti con cui si serve Satana per impossessarsi della mente dell’uomo
e del mondo intero: anche Lucifero conosce il passato il presente ed il
futuro, ma il Male inganna. Le malattie sono opere sataniche. Il segreto
è ringraziare Gesù, per ogni cosa. Che si ha, e si avrà. Tutti hanno
passaggi difficili, sacrifici sofferenze e momenti da superare, per
essere confermati nell’abbraccio infinito del Cielo in Spirito Santo. E
saremo luce nella luce. Camilla non aveva paura ma singhiozzava come se
una liberazione avesse compiuto il risveglio di tutti i suoi
sensi...”Ricorda non è immaginazione. Sgrana la preghiera del cuore
Camilla e chiedi..”le diceva. Ave Maria.. Maria… Maria.. Libera nos a
Malo. E la sveglia suonò: un nuovo giorno. Camilla si svegliò
sbadigliando e scese dal letto, accarezzata dalla luce tenue del mattino.
Camilla Huge. Scoprirsi in un abbraccio
Camilla gli chiese “chi sei dove vuoi andare e perchè?” Rispose: “Sono
Luca voglio vedere casa tua e.. e perchè no?”
Lei adorava stupire. Lui lo aveva fatto per lei. Quante volte in passato.
Salirono lenti i gradini verso il terrazzo sopra la cupola della chiesa.
Non sapeva quali fossero le intenzioni di Camilla ma gli bastava
osservare la sinuosità dei suoi movimenti, la bellezza che emanava da
sempre, la luce che si confondeva nell’immagine del tramonto tra i
glicini in fiore e la sua ombra. La sensibilità di Luca giocava a suo
favore. Si sentiva come un bimbo affascinato dal primo videogioco
regalatogli. Respirava ogni attimo come fosse salvifico. In lei vedeva
l’immagine della donna, colei che libera l’uomo dalla pesantezza delle
giornate, lo eleva ai piaceri della notte, lo tenta e si ritrae per poi
riprenderlo e possederlo totalmente. La sua mente vagava e sfuggiva dalla
razionalità quotidiana. Avrebbe voluto tornare un attimo a terra per non
ingannare lo sguardo inquisitorio di Camilla. Ma non vi riuscì e le
parole gli scivolarono fuori “ Quanto dista il mio pensiero oggi da
questo mondo precario ed effimero.. Vedo in te ciò che prima era solo
sogno per me” Guardando la chiesa con le dita si segnò la fronte, anche
Dio avrebbe dovuto godere di tutto ciò che regalava loro.. Inserì la
chiave nella toppa e rigirò con forza. Si aprì la porta e Rodolfo uscì
fuori scodinzolante. Un cucciolo rosso di setter irlandese, che respirava
annegando d’amore.. Quanto se ne respirava in quella casa. A pieni
polmoni. L’odore fresco di panni lavati profumava della stessa pelle di
Camilla. “Cosa ti offro?” Luca rispose”Il tuo cuore. IL viaggio in
Giordania mi ha fatto venire voglia di stabilità.” Camilla sorrise, con
paura. Gli porse un bicchiere di acqua. Nella credenza indigena è un
augurio di prosperità e vita. Senza acqua l’esistenza non si rigenera.
Nel linguaggio italiano sottintendeva:”bevi e deglutisci il mio rifiuto”.
Sai io amo la vita. Non l’uomo. Che è strumento, mezzo. Mi sono sempre
innamorata di uomini sbagliati che ho sempre dovuto lasciare ma poi non
me ne sono pentita. Non ho rimorsi, né rimpianti. Né colpe. Nel bene e
nel male. Tu sei un amico che mi riempie di gioia. Che conosce l’arte del
gioco e della seduzione. Sembri cambiato ma nessuno cambia. Anche a te mi
sono data e per te ho stretto il cuore.
“Sono cambiato”. I suoi occhi scesero lentamente verso il fondo. Ho
trovato questo libro che mi regalasti 4 anni fa, durante il trasloco. E
come dedica era scritto con matita spuntata: “Il semaforo è giallo per
te, nn rosso. Sicuramente un giorno diventerà verde”. Lo sai che libro
era. Il Profeta. Mi ha riportato qui. Ma tu ora sei donna. E sai cosa
chiedo. Vorrei vedere negli occhi di mio figlio i tuoi. E sapere che la
sua voce è il nostro eco, parte nostra.
Camilla si lasciò scivolare tra le sue braccia, senza risposte. Nella
vita le sorprese sbocciano inaspettate come fiori. E gli uomini cambiano.
Certo che sì. Anche le donne.
“ La morte respira nei passi del tempo e si nasconde nelle paure degli
uomini mortali”
Ma l’unione di due corpi inganna la morte e la vita scorre viva e libera
nel loro abbraccio infinito. Camilla Huge. I tempi della vita. E della
natura.
Camilla aveva perso l’orientamento con il mondo. Aveva plasmato una
realtà fatta di inchini e di miti, di religione e carestia. Era il tempo
delle rose. Marce. quello che stava vivendo. La sua delicatezza era
sfinita, il suo carisma divenuto debole ed incerto. Incalzava passo dopo
passo senza ragione né istinto. Era divenuta artefice e creatura stessa.
Si compiva l’orgasmo della sua esasperazione.
Non potevano immaginare, le belle signore appesantite dai trucchi dal
fumo di sigarette fini fini, dalla salsedine del vento di mare, quanto
stesse mutando in Camilla. Nemmeno lei sapeva. Ma la saggezza recondita
nelle cose che sfiorava emanava profumo che diceva “il vento sfugge e
porta via una carezza ed uno schiaffo”.. sussurrava “và ancora più in
là..” “più in là..”
Palingenesi. Prerequisito della crescita. Sottile confine tra la certezza
e l’imprevisto. Siamo foglie caduche, che si riempiono di rugiada e si
attorcigliano secche perdendosi nel terriccio. Condizioni di temporarietà.
Pigri sbadigli che coprono i sorrisi muti delle persone. Nel silenzio si
compiono i miracoli. Lo sbocciare sottile di un fiore, il volgere nudo
del giorno nel tramonto, il disperdersi soffice dei pollini nel vento, la
maturazione scivolosa dei frutti sui rami, lo sguardo smemorato
dell’amore, piccoli dettagli che coprono di senso le cose del mondo.
Camilla maturava, come un limone sull’albero, davanti al mare e al cielo
della liguria, al palcoscenico della vita. E non conosceva i dettagli. Ma
si fidava del cuore. del destino. Delle emozioni. Dei frutti marci caduti
a terra. Che non sono stati colti ed il loro senso inquinato li ha
gettati come rifiuti. Si sentiva appassire e crescere. Camilla restava
incerta, come mai prima. Iniziavano ad emergere sensi di colpa. Per non
aver preso definitivamente nessun treno, e non essere mai arrivata alla
vera destinazione. Quanti si fermano ai raccordi ferroviari, perdendosi
in uno scorcio di finestrino. Salgono e scendono. Poi risalgono. E la
vita passa. Il tempo scorre inesorabile. E Sfoglia le pagine della storia
del presente e del futuro. Ticchettava l’orologio al suo polso. Era il
monito della resa allo scorrere delle ore. La vita ha i suoi tempi. Come
la natura. Si guardano si sorpassano sbadigliano e confrontano i loro
raccolti: la vita ci disperde, la natura rigenera. Camilla non aveva più
lo stesso sguardo. Non racchiudeva più il tutto, non trasmetteva più
l’essenza e la totalità. Iniziava a sentirsi una metà. Da completare.
Quanti uomini avevano addensato la sua sostanza. Quanti varcato la soglia
di casa. Quanti condiviso problemi. Quanti vissuto un suo dettaglio.
Tutti insieme componevano l’altra metà. Quale verità indiscussa. E
terribile. Non era l’uno ma solo una parte. Ora lo sentiva chiaramente.
Bevve un intero bicchiere di rum alla goccia. Mentre la sua vita ancora
una volta si trovava ferma ad un bivio. Come la tua, che stai leggendo
alla ricerca di una verità. Che sfugge. E resta celata. Ma E’. Giace
racchiusa tra queste pagine e quelle ancora da scrivere. Il tempo è una
variabile a-dimensionale. Che racchiude le dimensioni umane. Ed in questo
bacino si completa il senso delle cose. Camilla Huge. Verità e desiderio
Camilla era anche apparenza. La sua imperfezione veniva accuratamente
celata, come l’insoddisfazione e la scarsa stima di sé: mai avrebbe
potuto rivelarlo a qualcuno. Riusciva a mostrare ciò che non era. A
ingannare ed abbagliare. Era una stella, una nova in continua
rigenerazione. Al punto tale che alla fine si convinse della sua
perfezione, dell’immagine che lasciava agli altri, a chi la rincorreva, a
chi la attendeva, a chi non ancora riusciva a conoscerla. Nutriva ogni
suo gesto di significati profondi che scavavano, scavavano nel cuore
della gente e riportavano alla luce messaggi antichi remoti di ciò che
erano stati nelle loro vite passate. Questi si riscoprivano passato
presente ed eterno, grazie a lei. Al suo profondo mistero, alla sua
incalzante sensibilità, alla sua avvenente bellezza. Si sentivano parte
di lei. Parte della continua palingenesi che scaturiva dai suoi
movimenti, il prolungamento dei suoi gesti, l’illusione delle sue parole.
Cuciva e ricuciva all’uncinetto le loro sensazioni e le intrappolava nel
pensiero continuo, quello che lacera dentro e rende dannatamente pieni e
dipendenti. Desiderava la felicità. Per sé e per gli altri. E cosa meglio
dell’illusione vissuta la rende così puramente reale e dolce? Senza
l’immaginazione le nostre parole sono anime spoglie, pensava Camilla. E
consumava i suoi sguardi contro i vetri della finestra gocciolanti di
salsedine asciutta. Era estate ed il manto mattutino di amaranto iniziava
a lasciare i suoi riflessi nel giorno che si apriva. Siamo ciò che noi
sveliamo alla vita, viviamo ciò che la vita rivela, riveliamo spesso ciò
che muore perché effimero e precario è il vivere. Ma immortale è il
pensiero e la sua potenza. In esso diveniamo eternità. E Camilla era
eternità e lo regalava. Come spicchi di torta pastafrolla e cioccolato.
Da mangiare a piene mani. Camilla Huge: dove portano i bambini
La piccola Matilde aspettava sul divano la zia, attendeva le fiabe delle
fate e degli elfi ed attendeva suo padre. I suoi occhietti blu tondi come
la luna di quella sera scrutavano insistentemente attorno, cercando un
oggetto che potesse ingannare l’attesa. Le ore del pendolo si
rincorrevano e la dimensione diveniva surreale. “Zia qual è la forma del
mondo? Quella del mio disegno?” La sua matita verde definiva un
rettangolo nitidamente delimitato in cui c’era lei il padre e Camilla.
“Devi mettere anche Marta”. “No zia la mamma è in cielo, va oltre tutto,
anche il mio pensiero” La conoscenza è preacquisita, gira attorno
l’universo.. e porta nei piccoli messaggi per i grandi. La risposta di
Camilla si estrinsecò in una storia.
Camilla si nascondeva nei suoi racconti riscoprendosi bambina,
rispolverando pagine strappate e polverose leggende e miti. Reale è ciò
che dipingiamo come tale per poterlo vivere. Poesia è arte
dell’interpretazione e del coinvolgimento. Leggenda è verità nascosta e
proibita. In epoca moderna il filosofo inglese F. Bacone (XVII secolo)
aveva avvalorato la tesi per la quale il mito nasconde in sé delle
verità; il mito sarebbe perciò conoscenza, ma una conoscenza non della
ragione bensì dell'intelletto e quindi costituirebbe il grado inferiore
della verità razionale.
Camilla evolveva: da donna fatale incorruttibile e dannata a ragazza
dolce pura incerta umile ed aggraziata. Era tutto e nessuno. Riusciva a
metter a proprio agio chiunque indifferentemente. Era donna salvifica,
nell’accezione dantesca.
La mitologia norvegese racconta che le larve che uscirono dal cadavere
del gigante Ymir si trasformarono in elfi della luce ed elfi delle
tenebre. Gli elfi della luce, vivono nell’aria e portano bontà e armonia,
gli elfi delle tenebre, i cui domini sono sottoterra, sono scuri e hanno
influssi malefici.
La versione islandese, invece, racconta le vicende di Eva, che stava
lavando tutti i suoi figli in riva al fiume. Quando Dio le parlò
chiedendole se erano tutti figli suoi, piena di paura e di sgomento,
nascose i bambini che doveva ancora preparare.
Dio allora dichiarò che quelli che gli aveva nascosti, sarebbero stati
nascosti anche agli uomini, diventando elfi e fate. In questo modo
Camilla aveva portato al sonno la piccola principessina: si soffermava a
guardarla e pensava quanto fosse puro e incantato il mondo velato dei
bimbi.. e quanto fosse ingiusto il distacco con la realtà.. Avrebbe
voluto che l’armonia continuasse a regnare nello sguardo della vita..
Il termine fata deriva dall’antico “faunoe o fatuoe” che nella mitologia
pagana indicava le compagne dei fauni, creature dotate del potere di
predire il futuro e di soprassedere agli eventi umani.
La denominazione fata deriva anche da “fatica”, parola che nel medioevo
fu sinonimo di “donna selvatica” cioè di donna dei boschi, delle acque e,
in genere, del mondo naturale.
Le fate sono esseri soprannaturali dotati di potere magico grazie al
quale possono cambiare aspetto e farlo cambiare agli altri. Frequentano
caverne, rocce, colline, boschi e sorgenti; sono pronte a correre in
aiuto degli innocenti e dei perseguitati; riparano torti, vendicano
offese, ma possono essere anche maligne e vendicative. Il regno delle
fate a volte è appena sopra la linea dell’orizzonte, altre volte sotto i
nostri piedi.
Avalon è probabilmente l’isola delle fate più famosa.
Il leggendario re Artù fu portato nella terra delle fate, ferito a morte,
per essere curato da quattro regine delle fate. Si crede che Artù giaccia
ancora, con i suoi cavalieri, nel cuore di una collina immaginaria,
immerso in un sonno profondo da cui si sveglierà nell’ora del bisogno per
governare di nuovo le sue terre.
Terrapieni, forti e colli antichi sono le dimore tradizionali delle fate.
Di notte le colline abitate dalle fate si vedono spesso risplendere di
miriadi di luci scintillanti.
Se le fate sono riluttanti ad uscire dalle loro colline, si può scoprire
l’entrata camminando nove volte intorno alla collina con la luna piena.
La via d’ingresso verrà allora rivelata. Chi non osa entrare nella dimora
delle fate può appoggiare l’orecchio contro il terreno e forse sarà
premiato dalle musiche e dai canti delle loro feste. Il sogno della
piccola Matilde portava con sé quelle musiche, le danze e le giravolte di
elfi e fatine. E Camilla si lasciava assalire da quella magica armonia e
rigirava attorno a sé stessa ricalcando il movimento del pendolo pazzo,
che sospendeva il tragitto del giorno. La visuale che si ha facendo una
capovolta permette di vedere il lato nascosto delle cose.. mentre le
piume del cuscino esausto di Camilla svolazzano ancora per la stanza..
*in parte tratto da: Fate, di Brian Froud e Alan Lee
Camilla Huge: i misteri dei poveri dei ricchi
della natura.
Ho incontrato in strada
un giovane poverissimo
che era innamorato.
Aveva un vecchio cappello,
la giacca logora;
l'acqua gli passava attraverso la suola delle scarpe
e le stelle attraverso l'anima.
Victor Hugo
Le sensazioni che la vita regala sono svariate, in ogni momento è tempo
per dirsi “io sono. Per ciò che possiedo in raffronto ad altri, per ciò
che non ho in confronto ad altri, per la storia che porto, per ciò che
manca a tutti e ciò che non manca a nessuno” E’ un modo semplice per
sentirsi parte di tutto, parte della gioia che accomuna il mondo e della
immensa sofferenza che esso sopporta. Una sorta di astrazione del dolore
e internalizzazione della gioia. La sorgente nell’anima parlava in
Camilla, mulinelli di spighe e cipressi chiari avvolti di luce opale si
stiracchiavano nell’occhiata misteriosa dentro alle mattine che si
aprivano al sole..
Quel giorno d’estate, le venne in mente Predislava. Mosca, il parco
naturale di Kurshskaia Kosà, situato al confine tra l'enclave russa di
Kaliningrad e la Lituania: là i pini crescono in forme strane e bizzarre,
i tronchi girano a spirale, vanno su a zig-zag oppure strisciano come
serpenti, altri assomigliano ad un antico strumento musicale, la lira. Il
parco sorge tutt’ora sulla costa del Mar Baltico ed Aleksandr Fomiciov
raccontava di aver scoperto per caso "il fenomeno" dove nemmeno gli
uccelli osano cinguettare e regna un inquietante, assoluto silenzio.
Camilla si era trovata in questa foresta in un viaggio intercontinentale
con Albert, l’aveva scoperta per caso. L'enigmatica pineta dava
l'impressione di essere stata modellata da una forza invisibile. Sembrava
la materializzazione dei paesaggi delle fiabe, racchiudeva magia e forza,
infantilismo e saggezza, regalava emozioni misteriose. Nella "foresta
danzante" i fenomeni sembravano dovuti alla particolare composizione del
sottosuolo ed alla violenza del vento. Nella zona di Kurshskaia Kosà
viveva una comunità di vecchio-credenti, ortodossi russi rimasti fedeli
alla liturgia esistente prima della riforma compiuta nel 1654 dal
patriarca Nikon, che dopo la scoperta della misteriosa pineta avevano
rispolverato una leggenda del loro folclore, quella di Predislava. Così
si chiamava una ragazza che facendo ballare gli alberi di quel bosco
avrebbe convinto un principe prussiano innamoratosi di lei, ad
abbandonare il paganesimo ed abbracciare la fede cristiana. Camilla,
nella foresta incantata di Kurshskaia Kosà, preferiva vedere una "zona di
Forza" tra lo spazio infinito e gli esseri viventi della Terra,
paragonabile a luoghi magici come il monumento megalitico di Stonehenge
in Inghilterra o le Piramidi d'Egitto. Nella foresta correva un legame
invisibile tra il cosmo e la Terra, una sorta di vortice energetico.
Passando attraverso il pino con il tronco a cerchio si pensava che si
aggiungesse un anno intero alla propria vita. Bisognava però stare
attenti al modo in cui si passava: per vivere più a lungo un uomo "carico
di energia positiva" doveva attraversare il cerchio andando in direzione
del sole. Se la sua polarità fosse stata negativa avrebbe dovuto invece
farlo in senso inverso. Al fine di spiegare il rebus il direttore del
parco naturale aveva deciso di seminare nella zona del "fenomeno" un
certo numero di pini "sani" per vedere se crescevano dritti o no. Ad oggi
nessuna risposta: Camilla avrebbe voluto scoprirlo. Il mondo racchiude
nella sua molteplicità molti misteri. Nel 1891 venne ritrovato nella
regione di Jutland in Danimarca un Caldaio rituale del peso di nove chili
e costituito da tredici piastre decorative che da subito destò non pochi
quesiti.
La zona precisa del ritrovamento era la palude dell'Himmerland ma le
fattezze del Calderone denotavano una provenienza diversa e le piastre
con cui era stato decorato pur supportando questa tesi non chiarivano del
tutto il luogo d'origine.
Vi si trovavano infatti caratteristiche tipiche di popolazioni diverse e
nelle raffigurazioni delle piastre vi erano elementi appartenenti a più
culture.
Le tipologie di lavorazione del calderone denotavanoprincipalmente due
tipi di artigianato, uno quello dei Celti e l'altro quello dei Traci: si
notavano anche altri dettagli che confondevano ulteriormente l'attribuizione
di questo misterioso oggetto.
Gli studiosi tendono ad asserire che questa mescolanza di stili sia
dovuta alla presenza della popolazione celtica degli Scordisci nella
regione del basso Danubio, nel III sec. a.C. questa popolazione convisse
in modo pacifico con i Triballoi traci. Soprattutto in Bulgaria,
necropoli e documenti testimoniano i contatti e la compenetrazione delle
due etnie, è possibile quindi che ciò abbia creato una mescolanza di
culture che potrebbe stare alla base delle ambigue decorazioni del
Calderone di Gundestrup.
Le piastre lavorate a sbalzo raffiguravano divinità e scene rituali, le
più pregiate e discusse rappresentavano divinità dei Celti come Cernunnos
dio dalle corna di alce simbolo di fecondità e virilità e il dio Taranis,
il dio con la ruota.
Notevole anche la piastra che rappresentava quella che sembrerebbe essere
una scena di sacrificio umano. Attualmente il calderone si trova al
Nationalmuseet di Copenhagen e resta uno dei ritrovamenti più belli e
ricchi di fascino appartenenti all'arte della protostoria europea.
Camilla ne aveva una rappresentazione proprio in casa e quando si
verificavano episodi inspiegabili pensava, osservando questo caldaio,
alla perfezione umana tangibile, di millenni passati che sconfinava
nell’evoluzione tecnologica del presente. Siamo veramente passato nel
presente, presente nel passato. La nostra storia è ricchezza. In essa si
compiace il povero ed il ricco ed entrambi trovano la loro realizzazione
nell’evolvere della natura. Camilla Huge: Presente e Storia.
Stava ferma, fissa a guardare lo scorcio di cielo che si apriva dalla
finestra con le poche stelle di Cassiopea, site dalla parte opposta
dell’orsa maggiore. Era inverno e questa aveva raggiunto la sua massima
altezza in cielo. La storia di questa costellazione narra di Cassiopea,
la splendida regina Etiope della città di Joppa in Fenicia, moglie del re
Cefeo. Cassiopea era orgogliosa della sua lucente bellezza e ancora di
più della perfezione della figlia Andromeda: un giorno la sua vanità la
portò ad affermare la loro superiorità rispetto alle Nereidi, ninfe
marine ed Era, moglie di Zeus, scatenando l'ira di Poseidone, il dio dei
mari. Quest'ultimo inviò la terribile balena Ceto a distruggere l'intera
città. Un oracolo, interpellato da Cefeo, disse che il paese sarebbe
stato liberato dal flagello, se la figlia Andromeda fosse stata offerta
in sacrificio quale capro espiatorio. Così Andromeda venne incatenata ad
uno scoglio di una vicina isoletta pronta per essere divorata. La sua
fine era ormai prossima quando arrivò su di un cavallo alato l'eroe
Perseo e la liberò.. Cassiopea fu trasformata in costellazione.
E come Punizione aggiunta le venne inflitto di girare eternamente attorno
al polo trovandosi spesso in una posizione poco dignitosa, sottosopra.
Camilla ascoltava la sua voce racchiusa nei millenni ed avvertiva la
profondità del senso dell’equilibrio universale che domina storia e
presente.
Il cielo racchiude molti segni, alcuni chiari, altri restano misteri da
decifrare.
Un infinito riflesso di millenni, vite, orizzonti, eternità, rebirthing.
E lei cercava di interpretare questi segnali, nel rispetto della Forza
Vitale della persona, costituita dall’insieme di tutte le forme
energetiche, terrene e non, complementari nell’economia generale. Il
maggiore o minore equilibrio dinamico che si realizza istante per istante
tra tutte queste variabili determina lo status psicofisico. La medicina
orientale, fonte di numerosi postulati vecchi di millenni ma attuali
nella loro essenzialità, svelava come qualsiasi evento in natura
sottostia ad una necessità primordiale di equilibrio, mantenuto e/o
ricercato continuamente attraverso l’interazione tra due forze, di segno
opposto ma parimenti potenti, che hanno il compito “elementare” di
sovrintendere al mantenimento dell’omeostasi di un sistema. Camilla univa
il mistero delle leggende alle verità scientifiche, credeva che in questo
modo potesse contemplare la completezza del sapere. Dedicava attimi a sé
stessa. Ed il pensiero fluiva in un lento divenire.
Tali forze opposte, denominate Ynn e Yang, si rigiravano dentro di lei,
oltre a governare l’universo dal sistema più esteso alla forma vivente
più microscopica, dai concetti più astratti alle realtà più concrete, dai
pianeti agli atomi. Nella medicina tradizionale la neurobiofisiologia
suddivise il sistema nervoso neurovegetativo tra simpatico -che accelera
le reazioni di organi ed apparati- e parasimpatico che al contrario le
frena. Il dualismo è condizione di esistenza. Meccanismo finalizzato
all’ottenimento della migliore risposta adattativa del corpo alle
esigenze contingenti ed in funzione della potenzialità presenti in quell’attimo.
Per Camilla ynn e yang rappresentavano i due motori che consentono
all’intero universo la ricerca dell’equilibrio dinamico; sono due forze
che, contrapponendosi, generano qualsiasi forma dell’esistente e la
mantengono vitale ed in continua trasformazione. La flora e la fauna sono
in continua evoluzione ogni attimo che passa: cambia non l’età –
astrazione matematica di misura – ma l’essenza: ogni secondo milioni di
cellule muoiono e vengono rimpiazzate, ogni frazione di secondo singole
molecole si creano o vengono scisse, atomi si legano con altri atomi,
singoli atomi si ionizzano, radicali liberi compaiono e si celano.
Dentro di noi qualcosa cambia in continuazione, anche i sentimenti, i
pensieri, le emozioni: è il concetto del divenire, della trasformazione,
della Vita, racchiuso nell’universo. Che scorre inesorabile, riportando
alla luce il “panta rei” di antica memoria. Ed in questo Camilla
assaporava il contatto con l’infinito e lo sconosciuto prolungamento del
mondo reale. Si sentiva un po’ Cassiopea ed a tratti rivendicava
l’opposto che si concretizzava nella legge scientifica
dell’invecchiamento e della corruzione. Per esser perfetti bisogna vivere
nell’imperfezione, lasciarsi schiacciare da essa e riemergere dai flutti
del mare. Come in una leggenda, che riporta mistero nella storia.
Camilla Huge: ballare sotto le note della
pioggia.
Lead the way. Cross the fire. Turn your eyes. Feel. Pray.
E’ la continuazione della continuità. Discontinuità nella continuità.
Era seduta di fronte a lui. La cena sembrava essere un lento preambolo,
fatto di specchi di interiorità, piatti raffinati e leggeri, poche
parole. Lui la guardava e trasaliva: amo la luce fioca, il silenzio, il
calore del camino, la tua compagnia, il vino barricato d’annata
sorseggiato con dedizione. Le poche cose che ci piacciono vanno fatte
bene. I loro passi fermi si facevano sempre più vicini, e si ritrovarono
a gustare la crescente armonia. Sotto il lenzuolo candido del letto
rotondo ad acqua, nel salone regale. Con una grande vista sul parco e sul
mare. Infiniti a confronto. Mentre la pioggia scivolava giù dai vetri
come frecce scoccate da Eros nel mistero di una notte qualunque. E’
difficile innamorarsi. Ma la passione tra loro era nata come d’incanto.
Una pozione miscelata sapientemente da Circe che aveva misteriosamente
unito e legato i destini di due sconosciuti. Non facevano l’amore. Si
baciavano. E intrecciavano i corpi semi vestiti. Sfiorandosi la pelle. E
ascoltavano il vento contro le finestre, il rumore dei loro battiti. Il
colore della notte. Camilla non voleva amare l’uno. Era un atto singolo
che non conteneva la pienezza della generalità e dell’universalità.
Amiamo intensamente e totalmente. Non esistono mezze misure e
abnegazioni.
In quell’istante era calato nuovamente il silenzio dei loro respiri
intrecciati, che disegnavano immagini in movimento come fumo di
sigarette.. Camilla aveva incontrato questo sconosciuto. Una sera, due
anni prima, era un amico, era salito in casa all’una di notte. Portandole
dei campioni di teak da visionare, per il parquet di casa. Si erano
conosciuti. Uomini di tutti i giorni. Accomunati da problemi comuni:
avevano vissuto troppo. Troppo intensamente. Paul viveva a Parigi,
coabitava, saliva tutti i week end. Tornava tutti i lunedì in paese e
quasi non viveva, assorto dal lavoro, le cene con gli organizzatori delle
sue sfilate, i problemi con la sua famiglia, i problemi con sé stesso.
Che sfumavano dal suo sguardo terso e trasparente. Camilla leggeva
interessata i movimenti del suo osservarla, le sensazioni che emanava. E
interiorizzava il suo sentirsi donna realizzata, in contrapposizione a
quest’uomo, troppo vissuto da esser spaesato. Era diventato bisessuale,
dopo anni di meditazione buddista e analisi introspettive. La psicologia
era un’opinione, un punto di vista ingombrante ma utile, per riscoprirsi
in un significato concreto. Il suo psichiatra era un convinto fautore
delle teorie di Nice. Lui era divenuto sibolo della mascolinità e
dell’effeminatezza, della perfezione come le statue di Canova. E Camilla
contemplava il confine del suo corpo, che combaciava con la sua
prosecuzione, compiacendosi dell’ennesima conquista. Che sarebbe restata
storia e presente. Ogni conoscenza restava per sempre. Era un privilegio
per tutti. La vita sua era la bilancia tra molti incontri, un connubio di
gusti in contrasto, perle e cemento. La bellezza della perla per esser
risaltata deve procedere di pari passo con la robustezza e l’assenza di
tonalità cangianti del colore grigio cemento. E’un contrasto che viene
esaltato nella sua stessa forma dalla contrapposizione di opposti. Dopo
un attimo Paul si era alzato e diretto verso la finestra: osservava il
divenire del cielo e il conturbarsi delle nuvole dense e scure. Come il
suo animo che macinava il senso di privilegio che lo aveva pervaso
qualche attimo prima. Riviveva i gesti di Camilla che scivolavano sulla
sua pelle, e svenivano a tratti. Assaporava l’inconsistenza della sublime
sensazione di possesso totale e completo, e l’assenza di tutto. Il
desiderio perfetto. Che prendeva forma in Camilla Agata Huge. Si sentiva
anche perso. Perché avvertiva di essersi impigliato in quella rete
maledetta. Camilla sentiva il senso del suo pensare e fredda attendeva
sul letto il suo ritorno. Ciascuna cosa segue il giusto corso, che porta
tra le braccia della donna il suo uomo. Introduzione.
Camilla Agata Huge : L’inizio.
Se la vostra giornata vi sembra povera
non accusatela.
Accusate voi stessi
di non essere abbastanza poeti
per chiamare a voi le sue ricchezze.
Rainer Maria Rilke
Questa lettura vuole essere esplicitazione di pensieri, stati d’animo,
stili di vita, semplificazione e chiarificazione di quelli che si dicono
incontri casuali, cozzaglia di stili comuni e anche ricercati,
sospensioni del malessere quotidiano, arte pratica dell’inconsistenza,
discontinuità nella continuità. Nelle piccole cose si racchiude il senso
della grandezza, che dal nulla nasce e per nulla svanisce. Resta puro
ricordo.. Percezione.
Camilla è l’immagine del peccato esasperato e redento. Del mistero
nascosto dalla seduzione. Del cedere alle tentazioni e del donare la
mano. Annegare nell’insofferenza e respirare gli abbracci degli altri. In
questo tempo siamo assaliti da istinti che Camilla definisce “bestiali”,
che non ci concedono spazio tempo respiro pensiero, ci affogano e si
prendono l’anima. Il libro rispecchia il vivere umano tarlato da desideri
e realtà, effimertà, debolezze e sogni. Solo Camilla prendendoci a poco a
poco svelerà la sua arte del ben vivere, delle piccole sensazioni che
rendono l’Uomo grande. E dell’Amore.. Amor superat mortem. Ne abbiamo
tutti bisogno. Anche tu che sfuggi. Il silenzio dei vivi è la chiave che
conduce all’immortalità. Il libro ci condurrà a poco a poco alla
percezione del gusto, del sapore dell’esistere. I cui tentacoli ci fanno
girare in un universo di specchi che riproducono all’infinito le nostre
sfaccettature.. Come Arlecchini e Pulcinelle.. Una lacrima e un sorriso.
I perché di Camilla Huge
“Ciao Cami, tutto ok? Noi mica tanto, nel fine settimana scorso ci siamo
beccati l’influenza infida e bastarda e ancora adesso siamo mezzi andati…
Albert l’ha presa più secca ed è stato a casa quasi una settimana intera,
io, invece, visto che riesco sempre ad ammalarmi nel fine settimana alla
fine non ho preso ferie. Pensa che la settimana prossima ricominciamo
anche il corso di latino-americano e questa volta siamo anche al terzo
livello, roba da matti, non si scherza più! Ormai sono 11 mesi che siamo
insieme.
Hai comprato qualcosa nei saldi? Io ho preso un paio di scarpe per
l'ufficio, basse ma molto eleganti proprio da MADAMIN come direbbe mia
nonna, una cappotto sisley, una tuta, un completo nero da versace all'outlet,
un paio di pantaloni da H&M e uno da zara, qualche perizoma da
intimissimi, una cintura di pitone (veramente l'ha presa mia mamma ma poi
gliel'ho rubata) e tre maglie al mercato...forse ho esagerato ma ne avevo
bisogno.... Domenica Albert ha detto che se faccio la brava mi ci porta
ancora un po' all'outlet… Comunque non ho saputo proprio trattenermi….e
ho speso un sacco di palanche ma almeno sono felice!
Hai visto che belle le foto? Sono della ns vacanza in Thailandia…” e
continuava ancora.. Camilla leggeva divertita la lettera e meditava:
“Certamente i commenti di Sabi e le sue descrizioni di stralci di vita
potrebbero esser assimilati a quelle del mondo femminile, riflettono
esattamente il modo di pensare e rapportarsi alla quotidianità”. Ma
quante figure e immagini, equivoche, accavallate e ridondanti, gettate a
matasse, immediate, a volte superficiali, da approfondire e
interiorizzare nel senso complesso. Quanti collegamenti, riferimenti,
allusioni, frasi aperte.
Il concetto della felicità appare altalenante e dubbio. Che consista
nell’arte del ben spendere? O forse nel concetto del ben accumulare? In
senso machiavellico o puramente immediato e diretto? Concetto relativo o
assoluto?
Per Camilla felicità era il ben vivere e la sua consapevolezza. Bisogna
conoscere i propri limiti e a volte tentare di superarli fissandone dei
nuovi, apprezzare le piccole cose. Seguire l’istinto razionale. Vedeva la
vita come una corsa verso l’impossibile reso raggiungibile. Affinché gli
altri vedessero il suo sentiero. Lo valutassero. E seguissero il
tracciato del fiume che si apre ad estuario e conduce al mare, del rumore
delle onde nelle conchiglie che porta il vento delle bufere e le parole
delle sirene, il plenilunio riflesso nell’oceano infinito, le 365 lune di
ogni anno coronate di stelle e di costellazioni, le 120 notti che
contengono i sogni del mondo ed il freddo dei gelidi inverni. Gli uomini
non sognano quasi più. I desideri restano avvinghiati nell’aldilà. Le
poche certezze che ancora ci rimangono vivono la quotidianità. Abbiamo
perso la bussola e giriamo attorno agli altri cercando noi stessi per
comunanze e similarità.
Una vita normale. Quanto si nasconde dietro a un nome ed un aggettivo..
Uno stile di vita. Un semplice pensiero. Un interrogativo. Una certezza.
Serenello, lo avevano chiamato così. Albert. Non si poneva problemi.
Accettava lo scorrere della vita. Su di lui. Era un po’ superficiale e
remissivo. Anche pigro. Fissava con largo anticipo le sue vacanze e
restava in attesa di una donna. Vera. Che lo smuovesse dall’indifferenza.
Accettava intanto ciò che la vita poteva concedergli e diceva di esser
felice. E Sabi lo accettava, sopportava, credeva di amarlo. E si
convinceva di esser amata. Scriveva a Camilla e nelle parole cercava il
senso di un suo sorriso vero. Con il cuore e l’anima.
E Camilla sorrideva anche per lei, come per tutte le donne sole, senza
felicità, sole con gli sbadigli ed i problemi, con le borse sotto gli
occhi ed i portafogli vuoti o bucati. Forse il senso di tutto era riposto
in lei. Nelle sue parole, nel modo in cui queste fuoriuscivano modulari
ed aggraziate e scorrevano come miele sanatorio su chi poteva averne
bisogno. E si risvegliava più vero, si sentiva parte del tutto. Una perla
dell’oceano. Camilla Huge: esperienze e muri a confronto.
Diverse le intensità. Diverse emozioni.
“Eroi sono quelli che vivono ogni giorno come se dovesse essere il primo
di un nuovo viaggio e l’ultimo della vita, massimizzano le emozioni,
amano intensamente, piangono intensamente, abbracciano in silenzio,
apprezzano gli attimi, si commuovono, tacciono, sanno quando parlare,
comunicano la vita, meditano pregando, ammettono i propri errori e a
volte imparano da questi, portano negli altri il senso del tutto, la
gioia dove c’è desolazione, l’esperienza dove non c’è possibilità, i
valori dove mancano, conducono e vincono le battaglie dell’infinito
vivere per sé e per gli altri…ogni giorno”. Camilla si sentiva come
l’ombra di un eroe, che scivolava fra persone valetudinarie e stati
d’animo atavici.. Compativa chi si ubriacava della vita ogni sabato sera,
e la domenica si alzava alle 13 ondeggiando come il mare, tra uno spigolo
e un muro.. Compativa chi non amava i vecchi e non donava loro sorrisi,
costano così poco.. Apprezzava un risveglio sano fatto di arte, scorci,
natura, musica e amore. Assaporava la fragranza del pane d’avena e
cereali riscaldato, ed il fluire del miele su di esso. L’essenza delle
cose va assaporata nella sua pura intensità. L’equilibrio è un gesto,
piccolo ma delicatamente perfetto nella sua piccola flessibilità. Il
tempo diveniva una variabile irriverente ma quasi inconsistente. E lei
guardava dalla parte opposta, ignorandolo. Fino al rumore della sveglia
cinguettante tra musiche di verdi e notizie di tg. Prendeva allora
coscienza di sé e la donna dalle gambe lunghe e sinuose iniziava a
muovere passi.. incantatori, altisonanti. Signorili, di classe. Sebbene
avesse rimosso il trucco dalla sera prima. E tremasse di perfetta nudità.
Era inverno. Aveva cominciato a nevicare e avvertiva qualcosa nell’aria.
“..il mio gatto sarà un gatto comune, ne adotto uno per farlo stare bene”
qualcuno diceva fuori, sulla strada. E lei pensò: Non lo farei mai. O di
razza o nulla. Come gli uomini. Purosangue, intensamente carnali,
istintivi e profondamente cagionevoli. Nella nascita sta il seme della
vita. In questo consisteva la vanità di Camilla, nella diversità. Il
valore supremo è il concetto di bene. Fare star bene un gatto comune
piuttosto che uno di razza non cambia molto: un gatto comunque, starebbe
bene. Le sue convinzioni erano forti e l’intensità con cui le sosteneva
le rendeva ancora più vere e inconfutabili. E la neve scendeva sopra il
paesaggio triste e copriva le brutture della terra e quelle nascoste nel
suo cuore. Bianco accecante dirompente illuminante. Mentre il camino
acceso terminava di bruciare legna e ardere cenere e fogli di carta.. che
vento e musica avevano spinto Camilla a scrivere su di essi.. Sfumavano
come i sogni. Come il senso di incorruttibilità e di infinito. Come la
neve sciogliersi. E gli occhi piangere. Attimi di polvere bucata.. da
scopare via. In un orgasmo brutale e improvviso, quasi a cogliere il
senso del carpe diem. Buttandosi un poco via, regalando parte di sé ad un
qualsiasi sconosciuto che l’avrebbe presa e gettata sul pavimento,
soffocata in un abbraccio profondo, penetrata con un atto violento,
sorpresa e sconvolta: è un desiderio di molte donne. Che Camilla avrebbe
potuto avverare senza rimorsi. Né rimpianti. Ma non lo fece. Restò lì ad
osservare fuoco dentro e neve fuori. Raffrontando il caldo ed il freddo
miscelarsi in sé. In un abbraccio intenso. In un’estasi sublime. Mentre
fuori neve e pioggia si univano in un arcobaleno di colori ed emozioni.
Che il futuro avrebbe presto sprigionato in lei.
Camilla Huge. A volte ci si domanda
A volte ci si domanda perchè le auto si rompano. E ti lascino proprio nel
momento in cui se ne ha maggiormente bisogno.. Si stava dirigendo in
palestra, aveva la sua trainer privata che la stava aspettando e al
rientro, le onde artificiali della piscina di casa per potersi rilassare.
L’usura dell’auto non conosce né ricchi né poveri. Sono tutti sullo
stesso piano e quando il caso li fa trovare in una di queste situazioni,
alcuni si scorano, altri si mettono a gridare, altri spengono l’auto e si
mettono a piangere, altri chiamano il fidanzato, l’amico o il padre.
Certamente l’uomo è l’essere più indicato, lui sa sbrogliare certe
eventualità meccaniche nel minor tempo possibile. E’una mente puramente
pratica, istintiva, meccanica ed elettrica, va a spinta, a stimoli. E poi
si lascia ammaliare da un solo sguardo, fatto nella sua direzione, si
lascia intontire da un abbraccio, si fa appiattire da una donna. Che
stranezze gli umani… Sanno ferire profondamente, deprimersi totalmente, e
dopo poco sorridere alle cose belle che la vita regala loro.. come se
niente fosse. In questo forse consiste un po’ l’immortalità. Siamo passi
nel vento della sorte, orme bagnate di chi è già transitato, capelli al
vento e cappelli volare… siamo terra e cielo, luce rubata e riflessa.
Ora, l’auto si era fermata, Camilla era in ritardo, sul piede di guerra.
Le mancava solo l’ascia in mano.. Anche innervosita dalle beffe della
sorte restava bella e gelidamente dirompente. La grinta le dava tono:
sembrava un avvocato difensore in tribunale, stretta nei suoi vestiti
scivolosi ed aderenti, i capelli lunghi e raccolti, leggermente
scompigliati dal vento ribelle. Come lei. L’attorno carpiva il senso
della sua perfezione e stazionava in attesa del suo muovere. Aveva
lasciato le chiavi a Leonardo, l’avrebbe accompagnata in palestra. Non
dipendeva dagli altri, era l’opposto. La sua vicinanza donava
tranquillità e benessere agli altri che l’adoravano e l’odiavano insieme,
ma non potevano farne a meno. “Pensavo ti fossi dimenticata di me, avessi
cambiato numero.. Sei sempre sublime“ Che bellezza l’eco delle sue parole
che penetravano in lei. Non si scompose. Indossò gli occhiali neri, il
sole aveva iniziato ad aprirsi la via tra le nuvole. Si toccò leggermente
il nastro dei capelli ed il bracciale di liscio argento scorrette sul
polso, fino a sovrapporsi al rolex. Classe in movimento…Estasi. Giunta in
palestra, il portinaio la salutò: “Signora Huge, il suo splendore lascia
senza fiato come sempre.. Le auguro una buona serata”. “Ciao Gregorio.
Alle 20 chiamami un taxi”. Indossò la tuta di fibra nera: era una pantera
dalla criniera d’oro. Quanto valeva. Il suo sospiro. Il suo respiro. La
voce del senso che emanava. Dopo la durezza dello sforzo al quale si era
sottoposta si sentiva meglio. Ritornata a casa si sciolse dall’abbraccio
dei vestiti, e scivolò il suo corpo dentro l’acqua della piscina. Vibrava
e scorreva tra acqua e sudore. Solo il suo.. E l‘arco delle sue braccia
entrava e fuoriusciva dalla superficie.. e ricreava effetti d’arcobaleno
artificiale. Fece un po’ di dorso, osservò il soffitto di legno, le
colonne corinzie, i faretti a luce fioca, le poltroncine di pelle e
acciaio. Pensò. A tratti. Si mosse fuori dalla piscina, salì i gradini,
lasciò le orme dei piedi bagnati sul parquet e si coprì con un velo di
seta. Amava la sensazione del bagnato e umido su di sé. Il velo che
scendeva su di lei si era appiccicato alle sue forme e traspariva il
colore più scuro delle sue parti intime. Nessuno la avrebbe vista in quel
momento. Era sola con sé stessa, la sua perfezione vibrante e la sua
nudità. Regalava all’attimo una parte di sé. In silenzio e armoniosa
religiosità. Camilla Huge: Un balzo indietro nel tempo
Gli attimi scorrevano con la solita consuetudine, il fumo della sigaretta
accecava l’aroma del caffè che trasaliva fino alle narici.. Camilla si lasciava
andare alla pigrizia delle nove scoccate dal pendolo della saletta. Sfogliava
noncurante le pagine della sera davanti ai pensieri della giornata e si sentiva
sfiorare appena dalla solitudine.. Avrebbe voluto sentirsi parte di essa,
condividere il senso del tutto per sentirsi parte dell’infelicità del mondo.
Bisogna conoscerla, accettarla come uno status comune, solo in questo modo non
si cronicizzerà o personalizzerà fino a diventare causa di depressione e
convinzione di disagio individuale. Infatti Camilla non conosceva sofferenza
eccessiva o forme di solitudine forzosa ed ingiusta, si lasciava scorrere tutto,
non tratteneva rancore ed odio. La morte delle persone care la vedeva come un
modo per vincere il loro destino realizzando ciò che in loro era restato in
potenza.. Conquistava i desideri ed i sogni loro “Il sogno è destino”, li faceva
rivivere negli sforzi e nelle gioie della realizzazione. Diveniva l’atto di
condizioni ormai morte. La rinascita e la rivincita. La sofferenza doveva essere
costruttiva, un mezzo macchiavellico per ottenere un fine buono. E giusto. La
giustizia costruisce le ali del ben vivere. Da’ senso alla libertà. Camilla
infatti gestiva la sua libertà nel rispetto del concetto di giustizia morale e
globale. In certi momenti meditava e si vedeva ricoprire la testa di una bianca
parrucca, una nera toga addosso, un alto cappello con scritto “diritti
antichissimi” e martelletto alla mano: la seduta è aperta - l’udienza è
sospesa.. il tiranno sarà custodito nelle prigioni del vecchio municipio del
paese in attesa del processo. Testimoni, cancelliere, pubblico ministero,
avvocato difensore.. arringhe e citazioni latine.. un crescendo liberatorio..
Quale il verdetto secondo il concetto di equità.. Rigorosa solennità. Tutti
danno giudizi, troppi. “no no…ah si forse si” Concetto di relatività. “Io mi
chiamo Nadia”.. Che grande veritàà… Non me lo aspettavo-pensava- alcuni esseri
umani sono proprio vivi.. "Noi Supremi Giudici Popolari Inappellabili, in piena
nostra scienza, sulla scorta dei paragrafi due e cinque del nostro Statuto, Vi
condanniamo alla minima pena, che viene stabilita nella morte mediante
impiccagione". Il boia inizia a rumoreggiare. Momento di coscienza. “Che miseri
i tempi in cui ogni paesello aveva il suo tiranno e ogni tiranno per suo
diletto, faceva ammazzare fra di loro i soggetti che parlavano la stessa lingua
e bevevano l’acqua dello stesso torrente.. trombe, corni, tamburi, secchi e,
padelle, casse di latta..” Meditava Camilla, affogato lo sguardo nella notte del
tempo.. Ogni epoca ha il suo contorno, ogni piatto senza accompagnamento resta
sciatto. Ogni parola senza la sua giusta origine non acquista il suo senso
profondo. Timbri ed essenze diversi muovono gli scacchi del mondo. Scacco matto
–disse lei- l’ora s’è fatta, come la consapevolezza del giusto mezzo. Gestire
l’oggi con l’umiltà, la storia di ieri e il buon sperare a braccetto..
Camilla Huge. I pezzi di una metamorfosi
ricomposta.
"I don’t like intellectuals They are from the top down, not from the
ground up. I’ve always thought of myself—of what I represented—as from
the ground up". Frank Lloyd Wright
Camilla rifletteva, è come la costruzione di una casa: si parte sempre
dalle fondamenta per salire fino al cielo, all’intangibilità del
pensiero. I muri divengono le aperture, e gli spazi divengono la dimora,
il riparo una relazione tra terra e cielo, la luce il riflesso plasmato
dello spazio. Esiste una mappa cosmica, definita come "destino" ed un
progetto che si estrinseca nell’evolversi del futuro. Si definiscono
dogmi da interpretare. Camilla amava l’architettura antropica che trae la
sua forza dall'architettura organica, si basa su un sentiero
pre-cognitivo, unisce interiorità umana all’esteriorità architettonica.
L'espansione della coscienza passa attraverso alcuni sentieri, di
interpetazione della natura; se si cedono risorse si espande la coscienza
e queste tornano poi indietro. Camilla dipingeva ascoltando questi
rumori, quelli che definiva i “passi della natura” ed il suo pennello
ritraeva le forme di scivolosa perfezione che si componevano di fronte al
suo sguardo. In quei momenti l’universo veniva immortalato in un attimo
effimero, ed era lei che lo plasmava. Il divino cadeva ai suoi piedi ed
entrava nelle emozioni delle sue giornate. Non fu il caso dell’ultima sua
opera dell’anno. Delineata durante l’ultimo minuetto invernale. Le era
arrivata una lettera da Adam: “Vedila come vuoi, potrò anche aver torto
ma io non ne ho più voglia. Questo è quello che conta.” I veri uomini
usano gli eccessi per sortire effetti immediati nella controparte. Ma
Camilla non era come tutte le donne. Abbozzò sul quadro una profonda
linea orizzontale e nera che ne disperse l’armonia. Pensò che quello
fosse l’inizio: la divisione è il sottile confine della linea di pace.
Non aveva voglia di farsi girare, le trottole le usava da bambina. Certo
l’affetto la legava a lui ma non le interessava stringersi ad una persona
altalenante, e nemmeno la compassione. Se la vita avesse scelto per lei,
le sarebbe andata bene ugualmente. Non era pigrizia, semplicemente
credeva che una pausa avrebbe sicuramente riacceso la passione, se il
sentimento fosse stato vero ne sarebbe valsa la pena ritornarci
nuovamente. Qualcosa era cambiato. Come nei films anche nella realtà.
Questa scelta non l’avrebbe mai presa lei, amava che la vita, scorrendo
nelle vene degli altri, toccasse anche lei. I progetti più sono forti e
dirompenti più portano in alto, più rischiano, cadendo, di sfracellarsi.
Sta poi a noi ricostruire i frammenti e renderli immortali in qualche
museo. La vita va sempre avanti anche se sembra portarti indietro..
Camilla ambiva a molto, non stringeva nulla, né incatenava nulla,
apprezzava il poco. Amava tenere le briglie della libertà per sé e per
gli altri. Nulla sfuggiva alla sua presa. Era il capitano. Ed il suo
battello seguiva la forma e la foga del vento..
Racconti di Camilla Huge. L’eco lontano
“Stavo ripensando alla tua affermazione di ieri: “Non capisco la mia
preoccupazione per lei. che sia innamorato e non me ne renda conto?”.. rimbomba
nella mia mente come un anima solitaria dannata nell’aldilà dantesco.
Sinceramente, mi ha fatto male ma l’ho apprezzato. La vita mi ha reso forte, la
verità non può far tanto male, sento la pelle staccarsi dalle ossa, la
consistenza del ventre ingombro.. Credo che la felicità sia un diritto dettato
dalla volontà. E bisogna lottare per ottenerla.
Non mi piace dividere il tuo cuore con nessuno. Le poche cose che ho, voglio
siano solo mie, appartengano solo a me. A volte passiamo periodi sotto tono e
non capiamo dove andiamo, cosa siamo o facciamo, il concetto di giustizia
personale e quello di giustizia collettiva..
Ieri ti ho detto che non vorrei essere così sensibile per capire le cose prima
che tu le pensi o le dica. Avrei voluto stringerti più forte per far scomparire
tutti i dubbi che hai e la morte mia.
Comunque ti vorrei vicino. Credo in te, in ciò che rappresenti per me. Hai molte
cose per cui vale la pena anche solo conoscerti. E scoprirsi nella propria
nudità.
Non so la vita dove ci porterà. Tu devi capirti bene, per te stesso prima di
tutto. Sebbene, nella vita, la dimensione temporale sia una variabile molto
determinante, ho tempo.. non so quanto possa averne tu per esser felice. Non mi
è mai piaciuto vivere alla giornata, ma è il massimo che riesca a fare ora ed
oggi..”
Era la lettera che Camilla stava scrivendo ad un ipotetico, lontano, perso,
amore: la sua penna scorreva sul foglio bianco e pareva sapesse già la
continuazione tutta e l’epilogo finale. Riusciva a segnare le persone con la
sola immaginazione..
L’eleganza non è farsi notare ma ricordare con parole e piccoli dettagli, la
classe è l’arte del gesto che commuove ed emoziona, lo stile è la segmentazione
del tempo in variazioni di colore.
La vita è una partita a carte: c’è chi vince perde e poi perde e rivince, c’è
chi gioca in squadra e condivide malessere e benessere, chi passa il turno…
Tocca tutti, prima o poi, bisogna saper giocare e non passare mano.. Mi piace
vederla così. C’è poi chi ha rispetto per le cose e chi invece non si accontenta
e le calpesta. Chi ha avuto troppo e chi nulla stringe, chi solo desidera e chi
invidia. Chi ha la fortuna dalla sua, la tiene stretta e chi scorge solo l’eco
lontano.. e lo confonde.
Siamo pensieri sfiniti dalla loro stessa effimertà.
Camilla Huge. Il senso delle cose e degli uomini
Ma perchè in questa vita amano tutti dare consigli e dire “Te lo avevo detto?“.
E‘ già difficile sistemare tutte le cose al meglio, figuriamoci adattare le
soluzioni comuni secondo il proprio punto di vista...si rischia così di perdere
la concretezza e viaggiare tra nuvoloni densi e neri.. Camilla, mentre ascoltava
le emozioni di Carla, sua sorella, deragliare e inabissarsi, pensava di essere
fortunata. Carla era il suo negativo, una controfigura opposta e disarmante nel
suo splendore pessimista. Capelli neri, carnagione bianca e candida, occhi del
colore del cielo estivo, labbra morbide e sbiancate. Era la fidanzata perfetta.
La spalla su cui appoggiarsi, l’ideale su cui aggrapparsi, il consiglio sincero.
L’appiglio sicuro. Era ingenua. Credeva nella gente. Credeva nel buon cuore e
nella bontà. Per questo molte volte restava sospesa, non sapeva come gestire i
cumuli di fumo degli altri, che la circondavano. E parlava con Camilla. La
stringeva, cercava in lei la durezza e la brutalità del fascino intrigante ed
immortale. Gli opposti si compensano. A lei piaceva vederla così. Dipende dai
punti di vista e questo era il suo. Non era attraente, solo candida e semplice.
A volte così trasparente che quasi scompariva.. E Camilla si dimenticava persino
di avere una sorella. Quando camminavano insieme, sembravano il giorno e la
notte, la solarità ed il candore della luna, l’abbraccio dell’alba con il
tramonto, l’intreccio della pioggia con l’arcobaleno, la voce e l’eco profondo.
Camilla emozionava, Carla interiorizzava, e nel silenzio dei suoi passi
accendeva interrogativi.. Ogni persona ha un piccolo lumino dentro che si
accende e si spegne, pulsa e resta sospeso.. sono gli attimi che lo inondano o
lo sfiorano sfumandolo.. Sono fiaccole che si incendiano e si bagnano, si
gonfiano e si proiettano di sfumature.
Camilla preferiva affiancare l’immagine degli uomini a quella di calici. Di
vino, vodka od acqua. Alcuni, certo, sono astemmi. Non conoscono amore di donna
e mai lo interiorizzeranno. Certe donne li riempiono di vino e li inebriano,
altre li intorbidiscono e li gonfiano di bollicine, altre non fanno nulla,
entrano ed escono come l’acqua dal corpo, non le senti, le vedi solo quando sono
passate nella tazza della tua vita. Altre ancora hanno effetto immediato
devastante e poi scompaiono come il vento d’estate.
Quindi, sia vodka, vino od acqua, non cambia nulla. Dopo un pò non resta
traccia. Questione di tempo, di tempi. Cambia poco. A meno che la dose non
aumenti piano piano fino a creare dipendenza...e Camilla conosceva bene la
giusta dose, era la musa ispiratrice delle donne fatali. Una vampira. Carla non
capiva il gusto dell’attrazione, della provocazione, del desiderio. Lo accettava
ma non lo sentiva. Gli uomini..mah..basta averne uno, spogliarlo, spogliarsi,
togliersi le mutandine.guardarlo venire. Godere con lui. Pochi gesti. Molto
amore, un pò di sesso. E poi cambiarlo. Se avesse trovato di meglio. Ma è già
difficile tenersene uno... Era la ragazza della porta accanto. Le bussavi ma non
rispondeva..era occupata.
Ed in quel periodo fin troppo...stava riflettendo sul senso dell’amore: la
persona giusta da sposare. A 27 anni si deve sapere in che direzione si va e
saper invertire la rotta. Avrebbe voluto cambiare uomo. Ma lui era lì. Presente.
E lei lo conosceva, sapeva i suoi punti deboli, ammirava la sua famiglia, sapeva
accettarlo e compatirlo, si sentiva grande con lui. Lo vedeva piccolo, a volte
troppo, ed anche scontato. Se lo avesse sposato sua madre le avrebbe detto: „Te
lo avevo detto, è lineare, non ha picchi di intelligenza ed astuzia, attimi di
carismatica allegria, è piatto. Non ti sprona alla vita. Muore nei tuoi passi.“
..”Ognuno di noi possiede innovato talento, pochi possiedono la giusta misura di
tenacia forza ed energia innate ed acquisite necessarie per divenire un
talentuoso,.. questo equivale a dire che si diviene ciò che si è, si sfoga e si
esternalizza il proprio talento in opere ed azioni.“ (Nietzsche).
Se lo avesse lasciato: „Te lo avevo detto, restare soli alla tua età è indice di
chi non sa accettare i compromessi, le mezze misure, chi non lotta nella vita,
chi accetta la sconfitta..“
Avrebbe voluto scegliere il miglior compromesso. Avrebbe voluto fare come
Camilla, amare l’amore e la libertà , tenere tutti e non avere nessuno.
Chissà se la vita accetta i nostri compromessi o distrugge il senso dei
sacrifici e delle sconfitte? Tra le lucciole che sfumano la notte
….
Passi d'angeli
Il cielo disegna i suoi archi nel vento E lascia i colori dell'autunno Impressi
in uno scatto fotografico
Che ritrae l'inizio del mio sorriso Che congiunge l'alba al tramonto..
-Da "Quello che raccontano le storie"-
“..Non ti capisco. TI richiamo e scompari. Nulla silenzio e vuoto. Mi dispiace
che tu sia fatto così. Male. E non abbia rispetto per chi ti vuole bene. Buon
Natale.”
Capire, questione di punti di vista. Camilla aveva forse esagerato, ma le
piaceva essere di impatto. Amare di impatto e marcare il territorio come una
belva in calore. Chi la teneva in sospeso non doveva esser redento, avrebbe
dovuto render conto a sé stesso. E a lei. Sorrideva alle cose avverse, sorrideva
al destino.
La vita è una parentesi stretta tra onde e rocce, a lei piaceva vederla così. A
volte scivolava via, era tutto troppo semplice, altre invece doveva
arrampicarsi, agguantare il gusto dell’adrenalina, rischiare e vivere
pienamente. Era l’immensità del mare, il confine irraggiungibile ed
invalicabile, il limite all’orizzonte, il ghiaccio diventato acqua, l’igloo
scontratosi fra le rocce, la luce riflessa, la cascata assordante, il rumore del
sangue, il senso delle possibilità, il vento e la bufera, la vita e la morte, la
contraddizione e la linearità, la percezione sensoriale e l’idea, la fisicità e
la metafora, l’uno e lo zero, l’incastro perfetto, la forma e l’ombra
dell’essenza, la grazia del movimento e la pace del silenzio, la superficie del
corpo e l’intensità dell’anima, lo stato transitorio, l’equilibrio e l’armonia
perfetta. Il suo nome era Camilla. Camilla Agata Huge. Aurora e desiderio.
Tramonto e illusioni. Stupore sospeso e inganno sottile. Rideva. E la luce che
emanava nel volto sapeva di eternità. Aspettava il Natale, era la festività che
preferiva. Decorava l’albero come da tradizione luterana (Lutero) e scriveva nei
fiocchi di seta rossa le parole delle sue poesie…
Le ombre riflesse nell’anima
Soffi di sole albeggiare all’aria mesta
Mentre tu ridèsti
Di me
Nel ricordo del vento
Ito e tornato…di questa stagione
Che pare
Trasudare l’ingombro del cuore
..
Poesie spoglie
Come i rami spenti
Del faro in lontananza
Quando s’apre la sera
E ridesta
ancora
Lente
Le lucciole incespicare in segmenti di vite
Disperse
Oscurate
Divise
Riprese
Sospese
Della vita che parte e si ferma
Quando le ombre
Riflesse nell’anima
Iniziano a parlare..
Ascolto.
Attimi di goccia
Amarsinudi
sinusoidi
iperboli
incastonare
cornici divite
di noi di chi
nudiceneri soffiate..
miriadivolti
comunicare
sensi
sfilano sotto i riflettori
SOTTOBOSCO
balzano luciombre
..
Dipingere
VOLI
ascoltare
dèi e artisti
scrittori
VOLARE
Spiccare
IN CIELIeterodossi
come geni vagabondi
amarsinudi
in foreste D'ARTE
..Lustro sculture sensazioniantropomorfe.
Amo parlare parole al mare
amo parlare parole al mare
nulla risponde
oscilla
parole ite e tornate
maree dispergere sensi..
attimi di pioggia
- Da Attimi di pioggia - Letture e parole di rugiada
“Inseguo il fiato sottile che l’inverno materializza di fronte a me.. Una
vista incorrotta di cielo cristallino e luce divina che si apre agli
occhi del tempo rendendo anacronistica e magica questa dimensione
parallela…”
Camilla cercava con la mano le chiavi di casa nascoste in tasca..
..”..nello spazio resta impresso l’attimo del silenzio e del sospeso.
E nel candore di questo vuoto desidero e vivo”
Camilla sapeva cogliere il senso, anche degli attimi di passaggio. Viveva
d’istanti e stava anche distante, assaporava la prospettiva, ma era come
ci fosse il suo riflesso vicino, come se vivesse nelle cose che solo
sfiorava, nei corpi che toccava, negli attimi che la sua voce scandiva,
lenta e profondamente roca e femminile.
Era appena uscita, in un giorno di uggioso inverno. E il suo cappotto con
il collo di pelo di volpe spumeggiava di pioggia e lacrime.
I suoi occhi tremavano di un leggero strabismo di venere e brillavano di
riflessi di luce. Il suo incedere sottile deciso morbido e delicato
rapiva gli sguardi dei pochi passanti che estasiati restavano a minuti in
sospeso nella nebbia, come maschere e statue di cera. Solo un incantesimo
avrebbe potuto liberarli dal loro stato di intorbidimento. E lei lo
sapeva, godeva, godeva.
Si bagnava. L’ombrello l’aveva dimenticato. Che bello fare a meno delle
cose. Muoversi nel mondo con i nomi della bellezza che varcano
continuamente i confini…bellezza filtrata nel vissuto dell’esistenza.
Bellezza appartata nel corpo compenetrato di allusioni e degenerazioni.
E’ una pagina scritta che diviene poi scrostata e decadente. Immortale
resta solo nella prigione della memoria. Con graffi e scorci della
natura, mutevole totalizzante eterogenea e rivoluzionaria. Stessa barca
che varca i confini del tempo, e devia rotte di altre navi, si scontra
con tragitti di igloo e maremoti, si perde fra rughe del tempo e passi di
luci nel cielo.
Le immagini fastidiose invece stanno accavallate nei corpi immemori, come
sardine. E si coprono di ridicolo nell’attimo in cui vengono percepite o
svelate. Siamo il rovescio dell’anima, mediazioni compromessi e battaglie
infinite, copertine e contenuti, contributi. Inscindibile abbraccio
cromatico e compenetrazione di corpi.
Questo Camilla credeva. Insieme ad altri piccoli dettagli e cose. “La
psiche è appena sotto la pelle, dove emana il desiderio sacro dei moderni
che è la corporalità, il contatto, l’appartenenza ad una dimensione
saldamente tattile e penetrabile.”
Entrava Camilla nel piccolo cortiletto di casa, e sospendeva passi e
fiati, come un minuetto. Sembrava spogliasse la natura del suo stesso
splendore e se ne rivestisse. E accecante la sua essenza vibrava di
sottili tremori immortali nel prolungamento dell’aura di chi la guardava.
Era Camilla. Emozione di sensi e passione. Come la rugiada che lei
assorbiva, come il cielo che rifletteva e la pioggia che la bagnava.
Gli interruttori che non si accendono
Non so se vi capita nella vita, ma a Camilla succedeva spesso di
intestardirsi in una conquista. Un libro, un quadro. Un uomo. Doveva
scontrarsi con la disponibilità economica e con quella personale, come
per la maggior parte di persone.
Nell’anima le ferite scorrono libere si rimargino si ridestano gridano si
placano si affievoliscono. Nella vita concreta, se le hai, gridano forte
si fanno sentire tremano fuori e dentro. Se non le avverti non ci sono,
oppure sei stato troppo duro con te stesso in passato che non le senti e
non le vedi quasi più.
Camilla leggeva” Le petit prince” e altri libri di Guy De Maupassant
prima di addormentarsi. Per accarezzare il sonno con dolci parole. E se
le anime nella notte gridavano per distrarla, qualcuno le avrebbe
ascoltate con qualche preghiera, avrebbe sanato e placato le loro ferite
con cerotti e silenzi. Non lei. Lei adorava leggere a bassa voce per
tutta la notte. Ridere a bassa voce. Parlare. Sognare un poco. Alcuni
vivono male. Altri sono insensibili e a malapena sanno di esistere. Altri
pregano. Certi rubano. Certi non curanti delle cose, non pensano affatto.
Camilla credeva. E lasciava spazio al destino. O almeno così gli faceva
credere. Non si può lottare contro di esso ma semplicemente un poco
trasformarlo, ingannarlo con l’astuzia, la determinazione, l’assiduità,
la compassione (nell’accezione buddista o latina che si voglia)
l’istinto. Erano queste le caratteristiche che le permettevano di vincere
sempre, o quasi.
Peter beveva mojhiti. Affogava nell’alcool le gradazioni alcoliche della
giornata.. Lei lo ascoltava, lui ripeteva “l’architettura è l’arte dello
spirito che si concretizza nei materiali e nelle forme”… Quante parole
potrebbero dipartire dal significato recondito di questa frase, pensava
Camilla… E lasciava che l’arte entrasse in lei.. e la plasmasse. Come
fosse una ventata di coca.. assorbita in un sol fiato con un bel verdone.
“La superficie è la linearità dello spirito acuto. Voglio sorprendere le
nuvole arrotolarsi e risalire la bisaccia. Raccogliere gli spruzzi del
mare in un intreccio di tratti selvatici elettrici ed irrazionali.
Gonfiarsi. Svuotarsi. Annegare fra gli spruzzi del mio animo che risale
il corpo. Vivere lo spirito della natura nel mondo”. L’ubriaco porta le
forme alla circolarità, al movimento ondulatorio instabile ed alla
rotondità, come plasmatore della sfera terrestre.. e lei voleva rapire
dalle sue parole il senso che la vita svela: per ritornare all’origine.
Peter, immerso nella sacralità assordante della basilica, lasciava spazio
alla voce dissacrante che sbiadiva l’aura magica e incorruttibile del
tempio. Camilla lo ascoltava, ascoltava il destino compiersi in lui, lo
ascoltava parlare con se stesso della vita, raccontare “Non siamo noi,
solo riflessi che regaliamo agli altri.. Li abbiamo ingannati con il
nostro corpo.. L’anima si eleva libera e vibra della sua stessa
inconsistenza ascetica.. Le metamorfosi di forme liberano fantasie ed
orizzonti che schiudono i limiti e compiono il fato”.
“L’angelo della morte rovescia il calice di fuoco e protende il corpo
verso la mia inconsistenza, sono la pelle di una copertina, il corpo
morto e violato di un dannato.. Siamo bagni di luci e prigioni di buio,
dipinti del 500 che sfumano di dimensioni in contrasto, dense nella loro
musicalità”. Quanta conoscenza in tutto quel monologo.. pezzi di
cioccolata da divorare.. Ammissione di colpa: scorci ed istantanee.
Era entrata ripetendo “Sto male. La cosa che mi dà più fastidio è che mia
madre non mi ha mai creduto. Certo qualche piccola bugia si dice.. Ma il
problema è che pretende una figlia perfetta: non l’avrà mai. Purtroppo.
Mi ha afflitto e accusato quando ero innocente. Dopo 7 anni si è scusata:
avevi ragione, non lo sapevo. Sette anni. Non, mesi. Una vita. Di pianti
e incomprensioni. Nessuno saprà mai la viva voragine nera e scura in cui
ero piombata. E che, a volte, mi ricorda la sua profondità. Ho vissuto di
sofferenze schiacciate e immemori, sensibilità. Battaglie mentali tra
bene e male. Era l’invidia, sempre lei con la gelosia, che muoveva
un'altra donna a metter i trucchi di mia madre nelle mie borse e poi dopo
averli fatti vedere a lei, accusandomi, li toglieva prendendoli. Mi
tenevano nascosto tutto: mia madre per amore mio, l’altra per odio verso
di me. Mi guardavano male. Soffrivo e non sapevo neanche per cosa. Mi
sono ammalata di anoressia. A volte avrei voluto morire così. Innocente.
Ed invece mi attorciglio nella morte e chiedo venia, pietà. E dimentico
quando mi sorge qualche dubbio sulla mia innocenza.
Che bluff la vita. A volte ti rapisce, non sei tu, e ti dice, tua madre,
reagisci. Medita. Ma come si fa se manca la forza e a malapena si riesce
a sopravvivere?
Sono nata e cresciuta con le piccole bugie ed ora si pretende che sia
candida come la neve. Mia madre crede mi butti via. Pensa mi regali a
tutti. Ma come si fa ad avere da una persona che ti ha donato la vita una
reputazione di tal genere? Se ne convince e ogni volta diviene più
risoluta. E come si fa a dirle: ceno fuori e arrivo a casa alle 3, se
questa pensa che tu faccia altro.. Non è meglio tranquillizzarla
dicendole sono in casa, così non vi sono ulteriori problemi..?” Luisa si
sfogava con Camilla: il suo cuore batteva caldo di lacrime. I nervi sono
fulmini che spezzano il respiro: piangeva. Tremava. Carne e sangue che
respirava nell’abbraccio dell’amica.
Solita razza le madri. Troppo amore, troppa morte nel cuore. Il troppo
stroppia. Si deve lottare contro l’estraneità, abisso vuoto privo di
gravità. Il corpo di Luisa stava perdendo la sua banalità, riscoprendosi
illuminato. mortale. profondamente umano. Si vergognava. Della pluralità
dei suoi significati contrastanti. E Camilla in lei vedeva ciò che non
avrebbe mai voluto sapere e conoscere. Vedeva la vita. lacerata. Avrebbe
dovuto ritrovare se stessa. Aveva spinto il suo corpo nel mondo ma non
voleva prendersi responsabilità per esso, era solo fonte di rischi. Ciò
che ci è stato dato è uno strumento, le diceva Camilla. Quel giorno la
portò al parco: dipinsero lo sbocciare del giorno nei tulipani, il
tramonto dei fiori riflesso nel cielo e nel lago. Solo la natura con le
sue meraviglie poteva sanare e placare l’animo di Luisa, pensava Camilla.
Quale surreale architetto avrebbe mai potuto ideare una meraviglia così
accecante? La nuca porta il sorgere del sole nelle sfaccettature degli
sguardi che avanzano e si aprono d’immensità di vedute e scorci. L’arte
ritorna così all’origine. E dipinge il quadro dell’esistenza. In una
maschera veneziana un po’ goliardica. Luisa sembrava immergersi in questa
condizione di parte del tutto. La vita accoglie riflessi di morte ed
immortalità, sopravvivenza riproduzione, coabitazione divisione,
rigenerazione. “Non voglio colpevolizzare, solo credere e compatire”
sussurrava Camilla con amino di bimbo. Il senso delle cose racchiuso in certi momenti
di passaggio
A volte ci si chiede perché si fanno certe cose. Che a posteriori non si
vorrebbe aver fatto. Poi ci si passa sopra. E poi di nuovo ritornano, si
ripresentano come certi pasti troppo pesanti. I bimbi rigurgitano, gli
adulti no. Ormai i grandi ci hanno fatto l’abitudine. Se si pensa al
concetto di peccato divino siamo ahimè cumuli di sbagli ed errori,
ricettacolo di polvere e scheletri, abonimio e reincarnazione.”Lo ho
fatto perché sono debole. non potevo farne a meno. mi sono trovato nella
situazione sbagliata. Non potevo fuggire. Il no costa più del sì al
momento.” A posteriori invece ci si accorge che era il contrario. In
questo mondo di regole distorte dove tutto gira al contrario e poi
inverte la rotta bisogna crearsi un limite, un confine per non sbandare.
Perciò hanno inventato i timoni nelle barche. Le confessioni e la
coscienza. –nonostante per alcuni il grillo parlante sia stato chiuso in
un cassetto e sigillato-. A volte ci tradiamo con piccoli gesti, altre
volte mentiamo a noi stessi. E guardandoci allo specchio: un po’ ci
compiacciamo del bel risultato raggiunto, altre volte dimentichiamo il
senso della nostra vita e ci crogioliamo nella malinconia di rimorsi e
rimpianti. La malattia è causa del male che generiamo, questa lo placa e
suscita in noi sentimenti di compassione buddista. La nostra mente nel
suo limite percettibile avverte la forma della bellezza solo dopo aver
sperimentato scaglie di imperfezioni, malessere, tristezza, debolezza.
Attimi di passaggio che si accavallano nella vita mortale verso
l’intangibilità dell’universo immortale. La psicologia umana comporta
passi in avanti ed indietro. E’ inafferrabile, per quanto si creda di
riuscire a definire certi suoi range potenziali ed ogni passo della
scienza stravolge i risultati precedenti.
Camilla Cercava l’amore. Nella testa e nell’anima. Donava amore. Come
nelle canzoni di De Andrè. Regalava doni di amore, movimenti divini,
sorrisi abbracci e disinteresse. Nel bene risiede un po’ di male. Anche.
E il cerchio della vita rinasce dalle ceneri come la fenice.
Camilla pensava che gli uomini non fossero in grado di reagire all’amore,
se non subendo o scappando. Si sarebbero dovuti trovare nella situazione
solo gradualmente. E ad un certo punto si sarebbero
auto-responsabilizzati, realizzando che la loro dipendenza da sé stessi
stava mutando verso quella di Camilla e la loro età non poteva che farli
pensare che fosse giunto il momento di prendere una decisione da persone
mature: la convivenza. Altro caso: avendo una scarsa stima di sé stessi
avrebbero cercato subito una donna con cui accompagnarsi nella vita per
non restare scapoli e –perché no- destare fascino ed attrazione nelle
ragazzette giovani. L’uomo non ha più voglia di reagire. Assorbe tutto e
passivamente accetta che la scia del destino lo plasmi. Camilla diceva:
devi conquistarmi. Per loro –gli uomini- significava tutto e nulla. Un
mazzo di fiori, una cena, uno sforzo per 1 weekend al mare, in montagna o
in città, un completo intimo od un paio di scarpe, un soprammobile ikea.
Cos’altro?... Siamo attimi sciatti, spenti insignificanti vuoti. In
questa vita Aspettiamo Corriamo e Godiamo -ogni tanto-.
“Fare l’amore vuol dire godersi un po’ la vita e ti fa stare meglio mille
volte mille. Bisogna fare l’amore sempre e ovunque. Hai cambiato
macchina? La jeep stufa vai di ML mi piace un sacco quella nuova, si nota
meno delle altre ma è una figata. Deciso?” era la mail di un uomo. Amico.
Sarebbe restato tale. Gli uomini hanno una tale propensione a scrivere i
punti focali della vita… Si dopano brutalmente.
Lavoriamo. Nulla di più. Bisogna dare valore aggiunto.
“Possibilità che tu venga a cena stasera?.. Vabbè lo immaginavo” un altro
uomo. Stesso fine, modi diversi, risultati uguali. Qui la matematica non
conta per fortuna. I passi degli angeli
Camilla adorava scrivere poesie ed ascoltare la sua voce sciogliersi in
esse. Sinuosa si estrinsecava in parole ed allusioni sottili incaute
spinose dirompenti evasive, nell’attimo persistenti poi effimere. Leggeva
con fiato sottile sussurrando: all’orecchio una percezione di musicalità
intonava i passi della lettura. Si soffermava poi riprendeva. Ogni parola
era breve e densa, pregna di significato ed intensità. Attendeva
continuava restava sfuggiva. Proprio come la sua essenza, tali le poesie.
Connubio di morbidezza e scivolosità. Parole sdrucciole e piane, versi
alternati. Versi giocondi. Versi opachi. Giochi di versi.
Intonava con arie diverse ogni breve passo ricreando un paesaggio di
sensazioni intangibili. L’astrattezza emanava impercettibilità e
grandezza. Il tono altisonante poi si faceva piccolo piccolo mite
sonnolente. E scivolava via… come la notte aprirsi al giorno.
Mentre lei volgeva lo sguardo al mattino e si aprivano gli occhi di fili
sottili di luci tenui trattenute lievemente dalle persiane. Era capace di
fermare il tempo. Tutto tace nell’istante. Poi un movimento e tutto
ritorna ricomincia la vita e prende con tutta la sua intensità. Travolge.
E se ne compiace. Proprio come Camilla. Adorava cadere dalla luce al buio
e viceversa. Le sensazioni forti la bruciavano. Chi ascoltava il suo
fiato distorcersi come fumo nelle parole restava estasiato. Diventava
dipendente e cessava di percepire sé stesso come singolo homo, si sentiva
parte del tutto, homo hominis, diventava aria tra le parole, atomo di un
corpo smaterializzato, destino fra tanti destini. Le mani si Camilla
scorrevano tra le pagine scroscianti come l’onde del mare, impetuose come
temporali e sopraffine come goccie di rugiada. Era la reincarnazione
della natura. Il denudarsi del settimo sigillo.
Vi ripeterò con le parole dell’immaginazione –diceva- il passo
dell’ultima poesia..
..
Si compie nel tutto
Il destino di un uomo
La follia è sua madre
Figlia della perdizione
Si compie nello sguardo
Che riflette una donna
LA Donna
..
Siamo figlie dello stesso destino -diceva Camilla- solo che lo guardiamo
da scorci e prospettive differenti. Qui risiedeva la sua imperturbabile
vanità: la differenza tra le varie vedute stava nella sua prospettiva,
era quella che rendeva merito alla miglior alternativa possibile, presa
dalle ali della libertà. Fase finale Brevi racconti di Camilla Huge
Camilla sono io ed ora la mia luce è riflessa in te che hai letto vissuto
sentito provato parte di me. Che la mia essenza ti bruci l’anima e conduca il
tuo corpo alla percezione dell’immortalità. Erano piccoli passi per svelarci
nudi e dannatamente vivi. Preziosi raffinati e volgari, complessi lineari.
Contraddittori. Dannati. Che ora la pace sia con voi. Tenete stretta la
conoscenza. Che è arte pura, assoluta e perfettamente rotonda. Coltivate del
cuore l’amore. Che resta impresso come sigillo nella profondità dell’essere.
Camilla si spegne in queste ultime parole e lascia in voi la sua continuazione.
Datemi la vostra mano… Le sensazioni non tradiscono mai, l’istinto
segna la strada del successo, verso il sapore dell’immortalità.
Camilla. Era un nome ereditato dalla bisnonna. Come anche il colore degli
occhi e la rotondità del viso. Alcune cose si tramandano, altre si
acquisiscono, altre ancora si dimenticano ma non cessano di sussistere.
La vita scorre, panta rei, tutto scorre. Camilla tratteneva nelle mani un
piccolo fazzolettino rosso, con le sue iniziali C.A.H. –Camilla Agata
Huge- e si lasciava assalire da tanti ricordi. Cercava di districarsi tra
le serate antiche di giochi fumo sigarette parole armonia amici rubati e
ritrovati. Piccole cose, grandi significati. Dado. Da piccoli erano
inseparabili. Camilla lo rincorreva e poi scappava. Saliva in bicicletta
e pedalava all’infinito, rideva e sospirava, si girava per osservarlo e
lui con lo sguardo la seguiva, contava i metri, i chilometri, la distanza
che li separava. Ma sapeva che sarebbe ritornata. Si sarebbero
abbracciati sotto le stelle nella notte della loro vita. I piccoli sanno
forse più dei grandi, sono puri e illimitati nel bene e nel male. Di
mente e di cuore. Come Socrate sanno di non sapere ed in ciò risiede la
loro incommensurabile forza. La vita esprime ciò che nascondiamo dentro,
gli incontri e gli scontri ci stimolano. Cresciamo e ci spaventiamo.
Mutiamo. Palingenesi e reincarnazioni. Ora Edoardo era un uomo.
Fidanzato. Drogato di fumo ed alcool. Perso. Tra ricordi palco e realtà.
Non bastava più uno sguardo per redimerlo. Camilla lo sapeva e perciò lo
aveva lasciato sfumare via, come la polvere su un quadro. Ed era
ritornata alla realtà.
Tra una settimana sarebbe dovuta partire per Saint Tropez. Un’oasi di
pace e ricchezza. Avrebbe conosciuto un riccone, distesa su un letto a
baldacchino coperta di veli, in spiaggia a NIKKI beach, le avrebbe aperto
una bottiglia di Cristal con l’ascia, e tra le bollicine ed il vento
della notte la avrebbe rapita sulla sua barca. Mah.. lei preferiva
sicuramente una crèpes alla crema di acacia e panna in piazzetta a Porto
Rotondo. Sola. Dannatamente bella ed irraggiungibile. Nessuno si sarebbe
avvicinato per paura di turbare lo stato di estasi che emanava il suo
corpo. Quanta bellezza ed armonia solo per una donna. In lei si compiva
l’assoluta perfezione. Era innamorata della sua anima e la forza del
desiderio e della magia avrebbe accecato qualsiasi uomo. Nei suoi occhi
racchiudeva l’universo. L’anima trascende l’essere. L’armonia acceca
l’imperfezione. I desideri celati completano l’essenza. Era un tutto.
Nella vacuità del mondo. E si compiaceva del suo lasciare l’uomo
stravolto ed inebetito, ridurlo cenere. E anima. Sublimava l’attrazione
carnale e lo faceva con estrema naturalezza e femminilità. Cadeva
nell’amore solo con alcuni. Che si portava passo a passo dentro la sua
vita. Era oggetto e pensiero. La sinuosità delle sue gambe muoversi
vibrava dentro chi la osservava.. Era aggraziata come una pantera nera.
Anche se il candore dei suoi boccoli dorati e soffici la rendeva simile
ad un angelo. Ingannava bene. Lo faceva bene. Ma per amore. Amava
dannatamente. Come la passione di Paolo e Francesca che li condusse
all’inferno dantesco. Anche questo lo faceva bene. Sapeva mentire quando
l’uomo lo voleva, un attimo prima dell’orgasmo, si sentiva di
appartenergli in toto. E il suo pensiero si materializzava nelle sue
gambe lunghe snelle preziosamente aperte. Era classe e stile. Poesia e
riflesso. Emanava profumo di neonato misto a fragranze di fiori rossi e
gialli. Tenui delicati e persistenti. Piaceva a tutti. Era arte
immortale. Dipinta e trattenuta.
La sua esperienza nascondeva anche passi spenti, come tutti, piccoli
scheletri nell’armadio, ma socchiusi appena: i piccoli dettagli
imperfetti rendono più forte l’egocentrismo e la percezione di sintonia.
Siamo complicati ma dignitosamente sempre all’altezza. Ricordava Camilla,
ogni uomo dovrebbe avere il gusto dell’albero secolare della savana,
selvaggio e grezzo; e dell’erba del giardino di città, artificiale e
preziosamente curata. In questo si compie l’immortalità: opposti che si
scoprono simili e siglano la loro esistenza nel riflesso profuso negli
altri. I discorsi di una sera
A volte i discorsi di una sera degenerano davanti a un piccolo drink
alcool e ghiaccio. Fu il caso di Camilla e Parker. Aggomitolati in un
plaid bianco, bianco come la pelle nuda di lei, bianco come i soffici
fiocchi di neve fuori, freddo come il cuore di lui, un uomo perso nel suo
desiderio di impossibilità.
Aveva deciso di chiudere con le donne. Ingannava il suo tempo con la
compagnia di un’amica, qualche cocktail da solo, molti con i pochi amici
veri rimasti. Scriveva il diario giornaliero della sua vita con i
carboncini dei suoi disegni. Ritraeva la perfezione che l’immagine di
Camilla emanava. Il successo sarebbe arrivato. Lo sentiva. Così come
sapeva che l’amore sarebbe rimasto imprigionato. Impigliato nella
bellezza irraggiungibile di lei, che coccolava il suo bisogno di affetto,
e poi scompariva nel freddo dell’alba mattutina lasciandolo di nuovo
spento. Appariva scompariva, come le magie di Silvan, nulla di troppo
complicato..
Quella sera scivolavano le ore con la lentezza dello scorrere della
notte, che rapiva momenti di sonno e alternava parole a silenzi a luci
fioche del proiettore. Scorrevano gelidi i pensieri di entrambi, si
scaldavano un poco fra loro, in attesa di esser rigettati e rapiti per
sempre da un dipinto di Parker. La tavolozza di colori ad olio, poggiata
sul tavolo di noce, emanava calore e sostanza, rammentava tempi in cui
pennelli scorrevano su tele d’alabastro.
Olivia lo aveva lasciato. La colpa si divide, non si moltiplica come
l’amore. Storia di tradimenti, sconfitte, rammarico, delusioni, ritorni,
abbracci, stelle cadenti, illusioni, sprechi, fughe, memorie. Ricordi.
Era per tutti la stessa scena, lo stesso spettacolo, attori diversi ma
sempre reali, dannatamente veri. Il finale era simile per alcuni tardava
solo a venire, per altri era anticipato. Poco cambiava. Stessi passi
nella stessa direzione.
“I divorziati devono stare con i divorziati, dai 25 anni in poi tutti gli
uomini nascondono almeno qualche scheletro”. Ricorda. Parker aveva poche
ma chiare idee. E nella sua stravaganza un fondo di verità c’era sempre.
Dipende da che profilo la osservi.
Dipende dall’angolatura e dalla quantità di luce, dalla prospettiva e
dall’inclinazione. E dalla voglia dell’altro di trovare lo stesso
profilo, la stessa luce, per scoprire la sintonia di vedute. Similis
gnoscit similem. E’ il segreto dei quadri, che si compongono e sommano il
valore di più persone se queste riscoprono qualcosa di simile a loro. Che
rende immortali le loro sensazioni.
Era immortale il loro sentirsi condivisi. Il loro scappare. Lei lo faceva
per non morire, lui per sopravvivere. Esperienze dissimili possono
condurre a sentimenti simili. Possono, Non necessariamente lo fanno. Era
questo il caso, la fatalità che li condusse a condividere i passaggi
della vita, le loro esperienze, delusioni, paure. E si confrontavano
spesso di fronte ad alcool e ghiaccio. Era più semplice. Camilla era
sensibile, sentiva il profumo degli uomini che la pensavano, la loro
intensità. Mentre prima la spaventava ora se ne compiaceva. Era
l’incontro tra soprannaturale e naturale. Sua madre sognava verità, lei
scopriva verità. Sono passi difficili quelli che mi appresto a
descrivere. Sottili verità buddiste e cattoliche. Compresse come le
medicine, che possono fare bene ma anche male, a seconda di dosaggio e
necessità. Passava da un uomo all’altro perché nessuno gli dava tutto, e
lei voleva tutto, ne avvertiva un bisogno crescente. Allora aveva deciso
di non farsi più del male. Dio è amore, ebbene, lei donava amore,
felicità, perfezione purezza. Sarete giudicati per l’amore che avete
donato. Camilla poi scappava perché solo l’allontanamento –pensava- crea
la consapevolezza del desiderio e provoca delirio sfrenato. Ma questo
deve esser misurato. Altrimenti l’uomo fugge spaventato oppure resta solo
e si sente avvolto e disarmato dalla solitudine. Il mondo non è perfetto.
Camilla era un’artista, della mente e del movimento. Leggeva i passi
della bibbia ed i moniti del budda. L’illuminazione. La sola parola la
affascinava. La verità suprema da scoprire e poi celare. Facendone
trasparire solo un poco, con lo sguardo. La sua biblioteca era gonfia di
libri arte poesia, esplodeva di luci tremule e fioche: erano i passi
antichi che dipingevano la penombra e coloravano l’aroma di note vecchie
e polverose. La saggezza antica trasudava: parole aggomitolate come lei e
Parker, strette in attesa di esser liberate.
I punti deboli, li hanno tutti. E’ lampante. C’è
solo chi li nasconde meglio.
Camilla era una donna molto sensibile e a volte anche crudele nella sua
durezza. Era fiato e pesantezza, vento libero e prigione di scheletri. La
sua esperienza l’aveva cresciuta tradita lasciata e ripresa. Aveva
imparato a combattere ed a conoscere la disperazione delle sconfitte.
Perciò vinceva sempre. Sapeva come aggiustare ogni situazione, esasperare
ogni momento avverso. Che si ritraeva e scompariva nel suo nulla.
Aveva appena finito di comporre un sms: “Non ti preoccupare-scriveva- Hai
già una cosa in meno da incastrare nella tua vita. Mi conosci. Sai cosa
perdi.” Tirò un sospiro, chiuse il telefono. Chiuse la mente. Ed il
cuore. Ma chi se ne frega-esclamò. Non era suo solito utilizzare
espressioni colorite come questa, ma forse era la prima volta che si
stava innamorando davvero, e la prima che stava perdendo tutto. Si era
data tutta. Aveva perso tutto. La legge della vita. Adam si era
spaventato. Era abituato a desiderare, sperare, provare. Ed ora che aveva
capito di possedere Camilla, aveva anche realizzato di averne anche una
terribile spaventosa paura. Di perdere la sua libertà. Di doversi
condividere. Ora che poteva soddisfare tutti i suoi desideri d’amore,
realizzare il suo bisogno di felicità, si sentiva spento e incapace di
restare. L’egoismo gli scoppiava dentro e lo affogava pian piano. Questo
errore non se lo sarebbe mai perdonato. Nè lui, nemmeno Camilla. Era lei
la regina dell’amore. Del mistero. Del desiderio. Ed ora ricercava il
senso della crudeltà di questa vita, di questo suo destino. Hai tutto poi
niente. Vive solo il nulla che trascina via tutto il poco che residua. E
ti sembra di non esserti goduto l’attimo abbastanza. E avverti il senso
della vacuità che si materializza negli sguardi della gente, nel tuo
sguardo, nel tuo dentro.
Ma lei rigettava questi momenti. Usciva, via a teatro. Con amici, i 4
soliti mascalzoni che speravano in un suo sorriso, o forse qualcosa in
più. Ma si sarebbero accontentati come sempre, solo della sua compagnia.
Quel giorno aveva trovato un biglietto in prima fila, sempre come 1
abbonata rai. Il lago dei cigni poteva ricaricarla. E sfiorare il suo
animo. Il suo cuore. La sua mente. Si sentiva sprofondare nelle pieghe
della poltroncina e avvertiva un senso di protezione materna.. Le luci
fioche musicavano la penombra e fili sottili di luce le entravano dentro.
Era uno smaterializzarsi ed un rimaterializzarsi. Sensazione di brividi e
fiati. Condivisione passeggera e fruizione. Affidamento e disagio. Le
emozioni dividono ed uniscono. Dipende come si prendono. Ripensava
infatti all’ultima storia più o meno importante, una fra tante. Lo aveva
di nuovo lasciato. E lui non perdeva occasione per criticarla: sei
proprio una velina, non per il fisico, tra l’altro troppo tondeggiante,
ma per la testa, quasi assente e l’autonomia lessicale inesistente. Con
te fiato sprecato. Sei banale. Sei una disgraziata però mi manca quella
sensazione di pacificazione dei sensi di quando dormo con te. Lei non
reagiva, Poveretto diceva. E rispondeva: sei nel mio passato, io sono nel
tuo. Fuggi fuggi, ma da questo destino non puoi, una parte di me resterà
per sempre impressa in te. Una sera lo chiamò, senza neanche leggere
l’ultimo sms. Si aspettava nuove critiche, gli disse che voleva
rivederlo.. La sua risposta fu: Il figliol prodigo…torna torna Camilla,
torna. Ma che strana la vita. Nel bene e nel male. Opposti che si
scontrano si allontanano e poi funzionano. Amicizie negate e poi
riconquistate. Gli uomini vanno e vengono pensava Camilla.
Prima o poi qualcuno resterà. Intanto fuggo. E lascio che il tempo
trasporti la mia essenza negli altri. Dimensione ascetica e dimensione naturale
Scivolano i giorni e bruciano di intensità diverse. Camilla era solita
accendere le candeline e riempire d’aroma le sue stanze. Viveva in una
mansardina condivisa, con finestroni sul cielo e tanta fantasia; non in
una reggia. Come quella di Carlos, uno dei suoi più cari amici. Lui
viveva in un parco di paese, circondato da mura di sua proprietà una
piscina uno stagno ed un piccolo ruscello. Una casa simile a quelle in
Normandia con le torrette gli specchi e gli ascensori, ed un fienile
restaurato dove viveva solo, arredato con scale di cristallo e mosaici
antichi, finestroni aperti sul tempo della natura, una palestra
attrezzata ancora nuova, un rotwailer assassino ed un lcd 72 pollici con
la solita playstation. Organizzava spesso feste in piscina e party
natalizi. L’ultimo era stato organizzato divinamente: la festa hawaiana.
Distribuiva collane floreali e cocktail mango maracuja e ciupiti. Aveva
fatto portare 2 camion di sabbia con cui aveva ricoperto casa e giardino.
Le palme lasciavano spazio all’immaginazione. Ed il tramonto in
lontananza riportava il pensiero ai climi tropicali e alle albe boreali.
L’inizio congiunto alla fine..
“Sandy alza la radio, dammi la mano, come corre il tempo bella senza
rimedio, curve vicino, amore controvento dammi mille sorrisi, i tuoi
paradisi..” cantava la musica nella notte e lasciava il sigillo nel vento
e nell’aria. Camilla restava distesa fra sabbia e cielo, a contemplare lo
scontro tra civiltà ed armonia. Ogni tanto gettava lo sguardo su..in
cielo qualche stella cadente, Camilla desiderava coprirsi di splendore
come loro. Anche solo per poco per imprimere l’attimo passeggero
nell’immortalità del tempo umano.
Camilla andava spesso a trovarlo. Era un gigante buono. Assomigliava
molto al suo cane. Lei lo adorava. Parlava poco ma con buon cuore.
Cambiava donna, accettava passivo il compiersi del fato su di lui. Ce ne
sarebbe stata un'altra, dopo l’ultima. Anche se Camilla restava il suo
punto fermo. Era stata con lui. Come la sua ossessione. Ma non osava
dinuovo. Lui le preparava pasta in busta dal profumo di forno e blanchè
fresco di fritzer. Ma quanto gli riusciva buona… Il solo pensiero emanava
la fragranza del piatto e l’aroma tondo ed avvolgente del vino. Camilla
si sentiva coccolata, le sembrava di mangiare cioccolato fondente in
pezzi. Ma non faceva le fusa, come con gli altri. Era uno degli eletti,
che sarebbe restato puro e candido al ricordo. Lui non la chiamava,
aspettava che lei si facesse sentire. Quando aveva bisogno di confidarsi,
di piangere, di farsi vedere nuda con i suoi silenzi, parole che mai
avrebbe potuto confessare. Carlos giocava sul pc con le avventure di
Laura Croft, mentre lei lo guardava. Come li appassionava... Era l’eterno
bambino. Un giorno,
sapendo della sua passione per i dipinti moderni -Camilla passava le ore
sulla passeggiata di Cannes ad osservare i quadri con le bombolette- le
aveva fatto trovare tutto il kit. Sono le piccole cose che danno il senso
alle grandi.
Tutti conoscono il prezzo delle cose ma solo alcuni il loro valore.
Diceva bene Oscar Wilde, pensò. E lei si sentiva bene, Non desiderava
ammaliarlo. Lo aveva già. E le bastava confidarsi con lui. Era la
classica pietra di ruscello, quella sulla quale poi Dio avrebbe costruito
la sua chiesa, dura resistente muta. Pensare che anni prima era lui ad
esser stato debole, non dormiva la notte. Vedeva spiriti con i quali
doveva lottare, spingersi oltre il confine tra noto ed ignoto, capire la
differenza tra la materia e l’inconsistente spiritualità. Lei gli regalò
un piccolo crocefisso e vi incise il suo nome con la frase: “Vita superat
mortem, amor vincit”. Se lo mise sotto il cuscino ripetendo.. la vita
supera la morte, l’amore tocca la vittoria.. e si trovò a dormire. Strana
la vita, strano avvertire la dimensione dell’immortalità e volerne al
contempo rifuggire.
Racconti di Camilla Huge: Trovare il tempo per
essere sè stessi
A volte la vita ti stupisce, inizia a prendere un corso diverso da quello
abituale, ti trascina in un turbinio di emozioni che ti travolge. Poi ti
sospende e ti ricarica di nuovo. E’ lunatica come alcune persone, dipende
dalla sveglia di ogni mattina. Dipende dal tempo, dai desideri, dagli
incontri astrali. Dalle nebbie mentali.
Camilla pensava spesso: chissà domani mi troverò seduta al tavolo con un
marito di fronte, uno sconosciuto con cui dovrò condividere la mia
esistenza, le aspirazioni, le mie esperienze, passato presente e futuro.
Valuterò anche di avere dei figli, una casa affrescata con il camino. Una
piscina. Un cane ed un gatto, di razza naturalmente. Che abbai a comando
e ruggisca come un leone. Un’estate al mare, inverni in montagna. Una
vita comune fatta di attimi incendiati ed attimi spenti, naturalmente.
Intanto, le esperienze si accavallavano nella sua vita. Ed Adam le
restava a fianco. Inaspettatamente, scrivendo a caratteri d’argento il
suo libro della vita. Le parlava per ore a telefono. Diventava da puntino
insignificante ad un punto di luce nel cielo, una stella che si imprimeva
nel suo cuore.. e lo abbagliava. A lei non piaceva questa cosa, da sempre
era stata abituata a stare da sola ma con tutti, a vivere di attimi
regalati e sorridere per la gioia degli altri, avere contatto e lasciare
spazio alla distanza. Desiderava un mondo pulito fatto di amore e
sincerità. Utopico, surreale ma intensamente vero.
Sognava con gli occhi aperti e con il cuore. Viveva ancora con le
compagne dell’università, pur avendola finita da alcuni anni.
Queste la rincorrevano per la casa per aver l’approvazione sugli ultimi
vestiti acquistati, nutrivano una sorta di ammirazione per lei, quasi
maniacale, al punto tale da intromettersi nella sua vita, criticarla,
esserne gelose fino ad invidiarla. La troppa vicinanza fa schiuma. Come
diceva la nonna. Per questo Camilla aveva deciso di trovarsi una casetta
tutta sua.
Certo aveva i suoi punti deboli e la cattiveria gratuita affliggeva la
sua sensibilità estrema: Dio affligge ma non abbandona. La soluzione era
quella di non pensarci, come faceva spesso. E rigettava questi pensieri.
Si scopriva a poco a poco umana, normale. Ma lei era l’oggetto del
desiderio dell’uomo e si manifestava in ogni sua forma e sapeva di
vaniglia incenso aromatico e riflessi di luce. Era la manifestazione
dell’arte, il risveglio dei sensi, aveva un gusto sublime e movenze
divine. Ecco, bastava pensare a ciò, che la sua autostima esplodeva in
mille primavere e moltiplicava il suo volto nell’essenze del tempo. Tutti
ne restavano abbagliati. Adam ne era felice. Lui era riuscito a
conquistarla. Era sua quell’immagine divina, gli apparteneva. Anche se a
volte pensava che fosse difficile esserne sempre all’altezza ed altre
volte invece la trovava scontata.
Tanti si accontentano e, come la canzone di Ligabue, godono. Altri no, ma
godono ancora di più. Era questo il suo caso. Lui faceva l’occhiolino
alla sorte e si isolava tra il fumo di una o un’altra sigaretta. E
scriveva pensava parlava senza sosta, correva camminava lavorava. Erano 2
anime distinte accomunate dalla voglia di stare insieme. Lui costruiva
certezze, era un dirigente commerciale. Lo faceva anche per lavoro, gli
riusciva così bene. Anche se aveva le impalcature, la gente osservava il
suo progetto e restava ammaliata, si fidelizzava ed ecco, missione
riuscita. Bonus di fine anno e la portava in beauty farm. Lei tornava a
casa, nella sua giornata libera, dopo aver dipinto degnamente un Van Gogh,
ancora con il colore tra le mani, sembrava assorbirne l’intensità e la
potenza. Lui apriva con le chiavi la porta e si trovava tra le sue
braccia, a respirare attimi del tutto, a contemplare l’opera d’arte
troneggiare sulla parete, un po’ si confondeva, tra queste 2 divinità.
Che segreto misterioso, la vita passa sotto gli occhi e poi fugge via..
Resta solo ricordo sbiadito che ritorna. I giorni che si vestono di nubi
Quel giorno Camilla era triste. Aveva concentrato tutti i suoi
desideri su un'unica persona. Per la prima vera volta. Si era
basata sulla sensazione, aveva creduto in essa ed in lui. Voleva
che Adam le dimostrasse quanto tenesse a lei. Lui aveva iniziato a
chiamarla Camilla, non più Cami come tutti gli amici intimi. Forse
per errore. Per sbaglio. E lei aveva iniziato a sospettare
qualcosa. Le piccole cose sono accenni di grandi parole. Chi dà
troppo non stringe nulla. Chi ama veramente, si ritrova con
niente. Che nervi, ripeteva. Una volta che credo nell’amore, mi
trovo a rifuggirne. Si era legata a quell’uomo da subito, se lo
era sentito dentro, ed ora non riusciva a farlo passare: nè avanti
né indietro. L’istinto non l’aveva mai tradita ed ora una piccola
torbida sensazione si stava delineando nella sua mente, che tutto
si stesse velocemente disfacendo? Non voleva crederci. E se la
avesse tradita, anche solo lo avesse pensato, quanti dubbi – lei
ripensava alle sue presentazioni-.. Camilla, nonchè mia
fidanzata.. –e poi si gettava in ansiose meditazioni da corridoio
(appoggiata al fumo di un’umida sigaretta). Se lo sentiva sì, il
pensiero almeno lo aveva avuto il suo Adam. Ma non l’avrebbe mai
confessato. Mai a lei. E si era promessa, avrebbe atteso un altro
mese, quante cose cambiano.. Si fanno delle scelte, si prendono
decisioni. Ci si lascia prendere. Scegliere, accompagnare,
adagiare sotto le coperte. Baciare lungamente. Chissà, forse
stavolta, non sarebbe stata più lei a ridere di gioia luminosa ma
il sole a sorriderle dinuovo.
Camilla sentiva Adam, lo sentiva parte di sé, dannatamente. Glielo
scrisse. Lui rispose” Bene”. Lei si carezzò le gote con una calda
lacrima. Vedi, la vita ti sfugge la riprendi e la ritrovi più
marcia di prima. Non si tocca mai il fondo questo ti porta in un
altro fondo, e così via.. fino alla depressione più tetra e cupa,
fino alla perdita del senso della propria utilità. Ci sono
parecchie persone che soffrono d’amore e parecchie persone che
muoiono di fame. Molti che sorridono, tanti che fingono. Ma tutti
vivono, di intensità diverse.
Adam poi, la chiamò le scrisse si fece avanti per amore e per
vita. Con grosso mazzo di rose. Era una scusa per iniziare da
zero.
Il mazzo più bello che avesse mai visto, sapeva di Amore. Vita,
Luce. Strano, come la vita specchi un‘immagine cupa ed un attimo
dopo rifletta un sorriso. E’ il mistero del Natale. Che si stava
compiendo di fronte ai loro occhi. Avevano deciso di iniziare a
condividere le piccole cose. Quando una donna ha un uomo, per
affermare la sua presenza cerca di cambiarlo. Lei invece lo
lasciava libero. Come era lei nel suo sentimento di unicità che li
ricolmava di passione. Negli altri non vedevano amore ma solo
routine. Che scomoda la vita senza un legame vero. Si erano
ritrovati a fare l’amore rapiti dal loro stesso destino. E ogni
attimo sembrava infinito e caldo. Le aveva chiesto cosa volesse
per cena, ed era sceso alla bottega per farne scorta. Era
delizioso. Cosa fosse cambiato non si sapeva. Forse le radici
iniziavano a irrobustirsi. E l’amore cresceva. A dismisura. Ci
sarebbe stato un momento in cui questo sarebbe stato
incontenibile. Camilla voleva lui veramente. Lo desiderava dentro
e fuori. Il suo sguardo era diventato ammaliatore e seduttore ma
solo per l’uno. Prescelto. Con tanti difetti impegni vizi ma un
cuore grande e pieno come il mare. Poi il giorno si vestì di nubi.
La vita lascia il suo sigillo nel tempo. Nel ricordo.
Nell’immaginazione. Incontri casuali nei grigi mattini
d’inverno che si colorano di musica e fioca luce
Aveva appena aperto gli occhi, un raggio di sole aveva baciato il
suo risveglio, infiltrandosi dalle persiane semichiuse. Era solita
lasciare uno spiraglio in modo tale che si sarebbe svegliata senza
il rumore assordante della sveglia, con il tocco sublime ed
intangibile della natura.. I suoi sensi si sarebbero destati piano
piano e l’avrebbero accompagnata fino al bordo del letto, dove
avrebbe indossato la vestaglietta di seta morbida, scivolata sul
suo corpo freddo. Era una sensazione piacevole, che riviveva ogni
mattina: il bacio caldo della sua anima veniva rapito dai colori
del nuovo giorno e penetrava nello spirito del tempo, per vivere
della stessa intensità, nella stessa armonia.
Dal momento in cui aveva aperto lo sguardo, Adam si era
materializzato, di fronte a lei. Di nuovo. Un immagine che si
ripeteva da qualche settimana… Non avrebbe mai pensato di potersi
innamorare di lui, neanche solo per un attimo. Invece, da quando
lo conobbe, il suo sentimento si era impigliato, non era più
libero di volare tra altri uomini. Si era ancorato. Per morire. In
lei. Pensava a lui spesso, con il trascorrere dei giorni se ne
rendeva conto sempre più frequentemente. Era diventato un
tormento. Lei era molto desiderata, a volte si domandava quale
fosse il motivo, poi ricadeva con il pensiero nelle donne fatali
della vita di Adam, che ingombravano la sua esistenza. Lei gli
aveva dato tutta se stessa, da subito. Per averlo tutto. Dentro,
fuori, nell’anima, nella mente. E si era ritrovata impigliata,
rapita dalla sua stessa intensità e sempre più boccheggiante. In
alcuni momenti desiderava tagliare il filo sottile che li teneva
uniti, ricercando tutti i suoi difetti, in altri realizzava quanto
fosse unico. Non era un uomo bello ma piacente, desiderabile, con
vivo carisma, iniziativa, buongusto, bontà, amici, molto amato ma
anche lasciato. Dal suo ultimo amore. Corinna, una donna con la
quale aveva trascorso 5 anni molto intensi. Avrebbe dato la sua
vita per lei, e si era ritrovato senza la sua stessa vita: l’aveva
appesa ad un cappio, aveva legato la sua esistenza a psichiatri e
medicinali antidepressivi. Proprio vero, pensava Camilla, com’è
strana la vita. Io non avrei mai voluto accanto un uomo con questi
problemi.
Una notte Adam si alzò e ripetè:
“Ho capito perché.”
La sua voce rimbombò nel timpano di Camilla.
“A 35 anni pensi di sapere già tutto ed invece ti rendi conto di
quanto possa cambiare velocemente la tua vita, realizzi che
proprio non avevi capito nulla, che non sapevi quanto ancora ci
fosse da scoprire.”
Queste sue parole restarono come un ombra lungo tutta l’esistenza
di Camilla. Le portava a braccetto in ogni momento, si riscopriva
in ogni sillaba.
“Lei non amava, faceva sesso così, senza voler ricevere nulla.
L’amore è altro. Non ho mai goduto così Camilla.”
E poi si riaddormentò.
Quella notte fu lunga. Per entrambi. Ed il mattino si ritrovarono
stretti in un abbraccio. Restarono a lungo sospesi, con una
canzone di Battisti che lenta tracciava il loro destino.
Lei sognò il primo incontro, quando la prese per mano e le dedicò
un lento. E le parlò all’orecchio, di dune e corse di auto e moto.
La sua passione. E le parlò di donne e uomini. Della sua vita.
Sapeva che, se se ne fosse invaghita avrebbe dovuto accettare i
piccoli spazi, di un grande uomo.
Lui sapeva i punti deboli delle donne. Li conosceva alla
perfezione. Diceva: “se mi fai questo effetto Camilla, dovremmo
iniziare a pensare di vivere insieme”. E poi:” ho sentito alcune
amiche, sono passato a trovarle e mi sono sentito in colpa per
te”. Carlotta era una di queste. Segretaria dell’amministratore
delegato. Scriveva libri e parlava molto. Amava il reiki, la
rigenerazione, la cristallo terapia. Era una donna eclettica, con
profondi disagi esistenziali scaturiti dall’enorme benessere
economico della sua famiglia. Era caduta molte volte tra le
braccia di più uomini alla ricerca di amore. E alla fine aveva
deciso di darsi ad uno solo, l’alcool. Ed Adam voleva aiutarla a
sfuggire da questo fantasma, cercava nelle parole di
autocommiserazione di lei il senso della sua libertà. Si sentiva
sospeso tra i suoi sentimenti. Era padre, ex, preda e amico. Lei
si accendeva quando lui la guardava, ma non perché avrebbe voluto
sentirlo suo per sempre. Ma solo per averlo per un attimo, per non
sentirsi rifiutata, per esser accettata. Compatita. Abbracciata.
Salvata dal suo bisogno di esistenza.
Camilla pensava, mentre penso, scrivo, la vita ha il suo corso. Ed
io la sto raccontando con le mie parole, i miei pensieri, la mia
vita.
Ebbene, lei rimbalzava tra sentimenti in contrasto, viveva di
mezze misure. Forse Camilla lo amava. Ma ne aveva paura. Temeva il
senso di abbandono, la distanza, l’incertezza dovuta alla sua
evanescenza onirica. Nel sonno sussurrava e il suo fiato si
distorceva in parole roche ed esauste.. Raccontava le fiabe del
tempo: regine principi e castelli. E l’amore di chi aspetta il
compiersi del fato. Mentre la abbracciava, lei pensava forte quasi
come parlasse, l’intensità del suo sospiro generava parole:
Vorrei che il senso della mia attesa potesse stravolgere il mio
destino. Vorrei tornare sola e femme fatale. Ma Dio le riservò la
storia di un vero amore. Camilla impegnata a distorcersi nel pensiero
della gente
Spesso ci si domanda e ci si arrovella attorno al perchè delle cose.
Quale sia la ragione di certe coincidenze, affinità elettive, sensazioni
profonde che si confrontano con quelle degli altri. Siamo passaggi del
mondo. Passeggeri di un treno in corsa.. Noncuranti affrontiamo più
cammini e ci perdiamo nel senso del tutto. Ci scontriamo con anime
vagabonde e rispondiamo a voci confuse.
Camilla si sentiva penetrare queste sue sfaccettature solo qualche rara
volta.. quando lasciava che il tramonto le entrasse dentro e facesse
sfuggire dal suo sguardo i profondi pensieri della giornata. Amava molto
soffermarsi sull’uscio sola, appoggiata ad un gradino ed osservare il
paesaggio scorrerle di fronte: le suggeriva tutto ciò che di bello può
stupire.. cercava di cogliere ogni piccolo frammento di luce per
imprimerlo dentro sé. Era l’anima del tutto, il contenitore delle voci
dell’universo. Il senso delle sue domande, la sensazione alle sue
risposte. L’istinto la guidava, la meditazione era indispensabile per
raccogliere, imprimere, plasmare ogni sua giornata. Si ricaricava,
entrava si spogliava e restava commossa ancora qualche istante. Poi,
aspettava che qualche uomo del mondo si presentasse alla sua porta con un
mazzo di rose rosse. Rosse di passione. Rosse del perché della vita.
Adorava questo colore. Si lucidava le labbra e riassettava il suo cuore.
Si sistemava la scollatura, brillava di riflessi, che avvolgevano l’uomo
in un caldo abbraccio.
Le piaceva sconvolgere, rapire, ubriacare di curve e messaggi
subliminali. Li ripeteva con piccoli sospiri e si toccava leggermente i
capelli. Quel giorno ripetè la sua parte. Come un giorno qualsiasi, con
la solita noncuranza da attrice. Era bella e tale bellezza si esprimeva
in un turbinio di emozioni colorate e dirompenti. Il suo fare la faceva
apparire ancora più attraente: ogni gesto racchiudeva il senso del tutto,
la perfezione delle cose, il senso del sesso e dell’amore. Che rapivano
ogni uomo, ogni uomo cedeva per sé stesso e per lei.. per l’effetto che
Camilla ricreava su di lui, quando lo guardava, sospirava leggermente,
rideva piano e distoglieva lo sguardo. Come poteva rigettare un dono
proibito così caldo e morbido?
Qualche volta Camilla parlava di sé, suggeriva qualcosa della sua
profondità, che loro coglievano come radici: queste si piantavano e
portavano negli uomini i suoi semi e questi germogliavano di luce
riflessa. Come si poteva dimenticare? Era troppa per uno solo.. Li curava
con passione e diletto. Guardava intensamente, amava intensamente,
batteva il suo cuore, forte ad ogni istante, batteva per la vita e per
gli uomini. Voleva tutto ed amava restare con nulla. Assaporare il senso
dell’arte vissuta nei suoi movimenti dannati e ribelli. Era luce e
passione. Nebbia e ricordo. Sogno e illusione.
Racconti di Camilla Huge, alter ego di una personalità intrisa di
contraddizioni ed istinti bestiali.
La vacanza di un’estate
Aveva deciso di ripartire da sè. Fondamentalmente non si conosceva. Non
Ancora del tutto. A volte aveva vuoti, a volte troppo pieni. Si sentiva
come quando fuori traspare l’arcobaleno, una situazione di instabilità
passeggera. Un desiderio di esplodere degli stessi vuoti e pieni, di luci
ed ombre. Aveva in sé la notte ed il giorno. L’acquazzone e la tempesta,
l’afa e l’aurora. Viveva di contrasti, come ho già detto. Camilla lo
ripeteva e ci teneva a sottolinearlo. E cresceva nella totale abnegazione
della linearità. Era una palingenesi continua che si autorigenerava.
Inebetiva gli uomini e si lasciava stupire, si lasciava affascinare e
sembrava cadere nel loro mondo..
L’estate dei suoi 27 anni l’aveva vista crescere. Nei dubbi e nelle
fragilità. Per diventare donna sono i giusti passaggi, si era detta.
Aveva deciso di partire, con Ernest -condivideva con l’Autore
l’importanza di chiamarsi Ernest- (l’onestà negli altri era un attributo
che la completava. Per questo vi dava così importanza)- l’amico di
un’intera esistenza, come diceva lei, un piccolo lord inglese conosciuto
in un viaggio in Libano, lui era solo con la sua moto, in cerca di un
fine che potesse completare la sua vita. Anche lei sola, in cerca di
nuove ispirazioni che potessero distrarre il suo animo in pena. E la
conobbe. E si trasferì nella sua stessa città. Casualità. Era uno
stilista, un giovane in gamba dotato di forte carisma. Oltre ad essere un
talento dell’art scouting. Disegnava abiti morbidi che riproducevano il
senso della perfezione imperfetta. E si lasciava ispirare dai quadri di
Camilla, così densi e pregni di significati ed emozioni. In lei rivedeva
l’inizio e la fine delle sue opere, il senso del tutto e l’eco del nulla.
Lei li indossava, le piacevano, si sentiva donna, ricalcavano ogni sua
curva e morivano dentro l’anima di chi la osservava. Non era volgare ma
dannatamente donna. Suscitava sentimenti perfetti che sfociavano in un
sovrapporsi di dettagli amplessi peccati riflessi illusioni certezze
sbagli evocazioni.
Amava suscitare, scovare la forma dell’Amore compiersi in lei.
Avevano deciso, lei ed Ernest, di partire per Fuerteventura. Una
decisione nata da un tea, nel solito Caffè Pasticceria. Il volo, in
orario, li portò nel paese delle dune e delle spiagge di vento e sabbia.
Lo scorcio che si definiva piano piano dall’oblò dell’aereo ricalcava una
di quelle vedute all’argentile, una sfocata istantanea di una diapositiva
satellitare..che colse con uno scatto della digitale.
L’albergo era racchiuso da palme ed arbusti, la prima cosa che Camilla
fece, chiese: Ernest, sorseggiamo per un attimo il senso di questa
giornata per trarne ispirazione? Il mondo è fatto di dettagli e bisogna
saperli cogliere. Avvicinò il volto alla corteccia di un albero e ascoltò
l’aroma profondo di resina e di antico, e scorse inciso, il suo nome:
Libertà. Com’era facile ora poterlo acchiappare…! Ad Ernest piaceva la
loro complicità e la sua stranezza. Era unica, piaceva unica. Ogni suo
gesto aggraziato e sublime, destava ammirazione e deferenza.
Camilla prese la chiave della stanza poi e si gettò nel letto, aspettando
l’Amore. Non ne aveva mai abbastanza. Ernest si domandava come fosse
possibile e sorrideva fra sé e sé. Voleva scoprirla, conoscerla
imprimerla in sé per accecare l’attrazione forte che lui aveva anche
verso gli uomini. Poteva esser una medicina. Un calmante. Un diversivo. E
lei scoprì che il gioco aveva contagiato anche lui. Non ne era una parte
come tutti gli altri, ma era divenuto un coautore, un regista come lei.
Si sentì persa. Doveva costruirsi più in profondità, non poteva crollare
così il suo muro. Si spogliò. E si gettò sotto la doccia. Sensazione già
provata, ma piacevole. Ascoltò sulla sua pelle scivolare le gocce una ad
una come lo sguardo. Era bagnata, gocciolava di sapone ed acqua e le sue
mani scivolavano sul suo stesso corpo. Ernest la guardava e sorprendeva
nel suo sguardo il suo diventare donna. Restò fermo e si sorprese ad
amarla un poco. Anche lui. Racconti di Camilla Huge, alter ego di una
personalità intrisa di contraddizioni ed istinti bestiali.
Dipingere la casa della vita.
La ricerca della casa stava iniziando a portare le sue soddisfazioni.
Camilla desiderava un rifugio, dove nascondere tutti i suoi desideri,
riporre tutti gli oggetti che il tempo aveva raccolto per lei. Adorava
gli amuleti. Erano il simbolo della sua fragilità di donna, un piccolo
dettaglio per sviare le menti lucide, che credevano che lei fosse così
semplice da interpretare… Era semplice, solo perché ciascuno la vedeva a
modo suo, lei gli mostrava sempre la stessa sfaccettatura e lui si
affogava nella convinzione di assaggiare sempre lo stesso pasticcino, che
poi sarebbe diventato avariato, solo a causa del tempo, ma come avrebbe
fatto a disfarsene dopo così tanta intensità di desiderio e affezione?
Era questa la forza della sua convinzione: Camilla credeva che
l’abitudine dell’uomo divenisse con il tempo più forte della passione e
quella che chiamano routine sarebbe diventata un pilastro della loro
esistenza fatto di piccole certezze e di tante piccole fragili delusioni…
Infatti, Camilla con l’attrazione li ammaliava e poi li tratteneva fra
alti e bassi fino a farli diventare dipendenti. E questi realizzavano di
esser finiti nella rete solo quando lei li abbandonava. Lo faceva spesso.
Era il suo punto di forza, adorava gettarli nell’isolamento e farli
annegare nelle certezze che lei stessa aveva plasmato.
Ebbene, l’appartamento che aveva individuato dava una vista impagabile
proprio sul cupolone del duomo, un paesaggio scelto che si colorava di
gradazioni sfumate ad ogni minuto e mutava l’animo, mutava sensazioni,
donava emozioni, proprio così come faceva lei… ad ogni attimo contrasti
sovrapponevano nuvole e cirri densi e poi il vento trascinava e
disgregava le immagini sulla velina del cielo. La sua mente ricreava le
scene tessute nel tempo. E sovrapponeva uomini su uomini, orge di
immagini contrapposte che nell’attimo di un respiro scomparivano tutte.
Il balcone si apriva di luce e di spiragli di vedute, da ogni angolo si
poteva scorgere una piccola aperçue caratteristica, lei prediligeva
quella che apriva lo scorcio del cupolone che troneggiava fra le piante
verdi ed il cielo plumbeo.
Si sedeva spesso di fronte a quell’immenso panorama, le sembrava di
toccare l’infinito. Era in prima fila, come un’abbonata. E non pagava il
canone, era gratuito, ed era ancora più bello. Si sentiva libera proibita
mutevole incontrastata, si lasciava ad un continuo divenire.. questo la
ricaricava, la riempiva più di un orgasmo.
Aveva scelto un tappeto di erba finta ed un tavolino di cristallo che si
colorava dei riflessi delle giornate. Il balcone era un contatto continuo
con la natura e lei ascoltava protendersi fra i rami le voci che il tempo
le regalava. Era meglio di quanto mai avrebbe potuto immaginare, se ne
compiaceva e pensava: Bello, rifugiarsi qui dopo aver catturato l’anima
degli uomini. Per lei erano tutti uguali. Certo qualcuno la stuzzicava di
più e, quando capitava, svaniva più a lungo. Adorava dipingere il sesso
sulle parole e nelle emozioni. Avvertiva lo sciogliersi di tutti i
pregiudizi ed esplodere l’uomo. Tanti burattini pitturati in modo diverso
ma accomunati da un’unica essenza: la fragilità e la ricerca, la
sensazione di cambiamento appagata. Passava le sue giornate a scoprire i
punti deboli e quando li scorgeva penetrava in essi e li faceva
esplodere. Quanto godimento, troppo per una sola persona. Si dava
all’amore. Si lasciava all’amore.
E poi come un’anima dannata ne dipingeva la linfa. Era uno svago. I suoi
quadri racchiudevano l’essenza del tutto, emozionavano, scivolavano in
fondo all’anima. Ne avrebbe riempito la casa. Gli autoritratti li
lasciava inespressi e incompleti. Misteriosa e sfuggente, come la notte
che racchiude i sogni e si apre all’albe del mondo. Era scontro ed
incontro. Contraddizione e liberazione. Disprezzava l’incoerenza e viveva
dei suoi riflessi.
Lo stabile d’epoca aggiustava le arcate di mattoni e le volte del 500 con
contrasti di edera e rose spinate. Era un paesaggio nel tempo. Oltre la
morte dei sensi, un continuo rigenerarsi.
Avrebbe sempre lasciato scorrere note di verdi e rossini, pensava, versi
di Allan Poe ed Harry Potter. Amava l’arte, in ogni sua manifestazione.
Racconti di Camilla Huge, alter ego di una
personalità intrisa di contraddizioni ed istinti bestiali.
Il giorno dei compleanni della vita
Sbucciava un mandarino ed il profumo agrumato esplodeva di contrasti acidi
e dolci nella sala da the. Adorava farsi osservare al di là del vetro
umido di pioggia ed inverno e nessun gesto era più sublime per lei del
tocco di un piccolo frutto tondeggiante. Quel giorno era sola, in vetrina,
stretta in un tailleur di paillettes e cachemire morbido aderente,
indossava un paio di scarpe dal tacco alto e nero e portava i capelli
raccolti nel morbido abbraccio di un pettinino avorio.. Teneva la borsa
per terra, un bauletto hermes color bruno, in mezzo alle gambe lunghe,
lunghe, che parlavano da sole e si intravvedevano sotto, forse,
autoreggenti nere. Le avrebbe scoperte, se le avesse avute. I contrasti
del profumo chanel e della frutta di stagione sbocciavano di unicità. E
lei si muoveva lentamente sembrava ripetere e cadenziare un ballo sinuoso
di movimenti. Ogni gesto parlava e diceva “vieni, avvicinati a me, ascolta
le note che sfumano e t’inebriano, lasciati cogliere”… E gli uomini la
guardavano, si accalcavano di fronte al Caffè Pasticceria con non curanza,
lei era il simbolo della passione segreta nascosta pubblicata
irrefrenabile sregolata e contorta. Ogni uomo in segreto la ammirava e
avrebbe voluto possederla anche solo per una sera. E lei li sceglieva,
facendosi scegliere. Era sempre Camilla, il desiderio proibito. Chiunque
si fosse innamorato, sarebbe morto del suo stesso amore. Si alzò,
abbandonò la tazzina calda di amaro caffè con il sigillo suo rosso e le
bucce umide del mandarino. Le piacevano i contrasti. Adorava impigliarsi
in essi.. Ed ascoltare la fatica degli altri per liberarla.. Loro la
salvavano, lei li imprigionava ammaliandoli. Camminò fino alla cassa:
“signorina per lei tutto offerto, è un onore..”Accennò un sorriso. Il suo
volto si illuminava come fosse il sole e i riflessi accennavano sorrisi
nei volti di chi la osservava. E il suo corpo fluttuò fino all’uscita come
un’opera d’arte in movimento. Amava spesso tornare in quella caffetteria,
aveva molti ricordi legati ad essa: una sera, non una sera qualunque, ma
quella del suo compleanno, si recò là, per rifugiarsi solo un attimo nella
vetrina della sua vita. Non passò nessuno e per un attimo si sentì persa.
Era inopportuno e di cattivo gusto che il giorno del suo compleanno non
passasse proprio nessuno. La vita è così, oggi ti dà tutto domani nulla e
poi si riprende tutto. Ebbene si mise a pensare, non era stupida, e vide
le immagini al rallentatore che avevano scandito il suo passato. Tutto ad
un tratto, entrò un uomo. Lo colpì il suo procedere. Contrastava con
quella fredda giornata di dicembre. Era caldo. Era ebreo. Lo capì dal
cappello nero calcato sul capo. Lei non era religiosa. Qualche brivido
sfiorava la sua pelle. Pensò al freddo. Di una vita gelida, di un cuore
libero, non interamente posseduto. Lui la osservò con uno sguardo. Era
attrazione, corrisposta finalmente. Era il regalo che Camilla attendeva da
Dio. Ma non era credente, non lo era più. Da quando un sacerdote le aveva
spiegato che l’amore non andava regalato come faceva lei. Che si donava
agli uomini nuda indifesa e fragile. In cambio dell’appagamento del suo
bisogno di sentirsi desiderata e trattenuta. Non aveva colpe. L’amore non
gliele dava. Se le prendeva da sole, quando ascoltava di notte il vuoto
che le entrava dentro. Comunque, sembrava che si potesse innamorare.
Ripeteva, Troppo presto, devo ancora far provare l’infinito al tocco degli
uomini che accarezzano il prolungamento dei miei desideri e delle mie
illusioni. E fu allora che si girò. E non lo vide più. Meglio aver
rimpianti o rimorsi?
Racconti di Camilla Huge, alter ego di una personalità intrisa di
contraddizioni ed istinti bestiali.
I passi della vita
Le chiesero se sapesse amare. Mentre si sistemava i capelli accarezzandoli
con la spazzola e le dita.
Camilla rispose: Non so se il tuo concetto di amore è identico al mio.. Io
so amare, il problema è che non si riesce ad amare tutti. In passato ho
amato Herbert intensamente, avrei dato la mia vita per la sua, la mia
gioia per la sua, mi sono sacrificata per lui, ho accettato compromessi
per crescere insieme. Ho amato forse troppo senza equilibrio misura e
ragione. E ancora oggi vorrei la sua felicità. Era amore. Lo so. E spero
di tornare a riamare, un giorno. La difficoltà sta purtroppo nell’esser
corrisposti: l’amore si svela solo in questo, e sta nascosto se è singolo.
Tu magari mi ami, ami il mio sapore, il gusto dei miei baci sospesi, la
rotondità del mio corpo morbido che ti avvolge e ti riempie, i pensieri,
quelli che la mia voce suscita e le mie parole provocano, i desideri che
il mio corpo eccita. Ma non è amore, è stimolo, libidine, attrazione,
passione, droga. Io ci sto perché mi piace vederti sfinito, sfinito di me
Frank”.
Sembrava esser cambiata. Il suo sguardo si era trasformato in quello di
una donna consapevole dei suoi limiti, delle sue potenzialità e,
soprattutto, della sua esperienza. Esperienza che ancora le consentiva di
prendersi in giro, tenere gli uomini al guinzaglio e scappare dalle catene
di una vita piatta e monotona con una famiglia di tradimenti e finzioni.
Sebbene, a volte, la curiosità la riportasse a Frank. Era un uomo, di
personalità forte e decisa, purtroppo tirchio, testardo e volutamente
credulone. La accettava così. La amava così. E lei ci stava un pò, e poi
scappava. Lo sentiva dentro che lui non la resisteva e nemmeno lei, lui
era pesante e un po’ goffo, lei era una fabbricante di cuori infranti, una
plasmatrice di complicità. Frank le dava tranquillità e sicurezza, non lo
amava ripeto ma le piaceva il pensiero di potere e stabilità. Era
perversa. E donava sensazioni. Non le curava, ma esse crescevano selvagge
sempre più rigogliose e imperversanti.
Tutti i suoi uomini sapevano di esser in buona compagnia, ad eccezione di
lui, Frank, che la sera le sistemava il cuscino e piombava in un sonno
letargico. Lei dormiva spesso nel suo letto, a casa sua, resisteva perché
non lo amava. E sognava tutti i suoi amanti, ognuno aveva la sua piccola
parte nella tragicommedia della sua vita. C’era Albert. Adorava esser
rifiutato e poi rapito in evasioni mensili di esagerazione e attrazione
dirompente. Lui si eccitava al solo vederla, si sentiva a disagio per la
sua bellezza viva e carismatica. Le spediva mms con le sue foto, l’ultima
con la fede al dito: la voleva per sé ma non vi riuscì. E predilesse una
moglie, eterna fidanzata, per amore del golf e delle regate. Poteva esser
una buona madre amica confidente, ma come moglie proprio non ci azzeccava,
ripeteva. Camilla gli sfuggiva, avvertiva un filo molto sottile che li
legava ma sorrideva tagliuzzandone il filo. Lei si sentiva attratta
particolarmente dal suo fascino maschile signorile e carismatico. Lui
aveva deciso. E lei era fuggita, per non tornare. Uno in meno. Si vince e
si perde. Come al casinò. Lui sì.. Forse lei avrebbe potuto iniziare ad
amare Albert, ma era tardi. Per l’amore… Nel mondo vince il soldo. Nel suo
cuore scemavano lacrime di brina. Perché si accorse che Amore, colse la
sua vendetta.
Racconti di Camilla Huge, alter ego
di una personalità intrisa di contraddizioni ed istinti bestiali.
La nuova vita di Frank
Frank aveva reciso tutto, ogni piccolo collegamento che poteva condurlo
anche solo con il pensiero a lei. Si era imbottito di preservativi per
evitare ogni possibile contatto con altre donne. Aveva iniziato a
togliersi gli occhiali: era miope ma voleva evitare di riconoscere Camilla
incrociandone lo sguardo.. Prima la sua vita dipendeva da lei, ora
continuava a dipendere da lei, ma aveva prerogative del tutto in
contrasto. Era accecato dal suo pensiero, vedeva le mani di lei che
toccavano altri uomini, i suoi occhi che spogliavano altri uomini, il suo
mondo che andava in delirio. Lei non lo aveva mai amato profondamente come
nemmeno lo aveva fatto con altri. Più non pensava, più la vedeva sul
divano, dopo la doccia, la sorprendeva leccare il gelato davanti alla tv,
con i pop-corn in mezzo alle gambe, la solita tutina attillata e il top di
seta scivoloso e trasparente, mentre parlava fra sè e sè e gustava il
sapore della libertà. Con le mani lunghe lunghe ed affilate sospendeva i
pop-corn tra le labbra ed il cuore…li rigirava come faceva con gli uomini
e li inghiottiva interi leccandoli prima attorno. E lui si lasciava morire
ancora un poco. Poi si girava. Sarebbe stata una questione di giorni.
Avrebbe ripreso a viaggiare per lavoro, pranzare a casa per tirchieria,
usare le scarpe vecchie e le camicie da pensionare. Avrebbe ripreso la
vecchia routine fatta di umidità e mezzi pieni. Avrebbe vissuto la vita
del fratello sposato e fatto da padre ai suoi figli. Sarebbe annegato
nella totale indifferenza e ottusaggine del suo silenzio. Ma volle
cambiare. Camilla ormai aveva troppo o forse le mancava troppo. Non lo
ascoltò. Ormai odiava la sua sopportazione per FranK, gelidamente lo aveva
escluso dai passaggi della sua vita, gli avrebbe fatto male e sarebbe
divenuta un’ulteriore parentesi dolorosa. Era anoressica. E adorava
esserlo. Vedeva il suo corpo divenire sempre più minuto e lo contemplava
come fosse un oracolo. E godeva nel vedere le sue forme perfette che
racchiudevano gli uomini in orgasmo. E più ne aveva e più godeva, più
sentiva amore concretizzarsi. Più la malattia la lacerava. E tutto attorno
bruciava del suo stesso amore. Frank impotente, di amore e di fatto, aveva
deciso di partire, non come di consueto per viaggio, ma per svago. per
sesso. Vedeva disfarsi tutto. E voleva contribuire anche lui. Lei lo aveva
ferito. Profondamente. E lei era fuggita come una ladra di notte. E lui
non riusciva a perdonarla. Ma se lo avesse fatto non sarebbe ahimè mutato
nulla. Le pagine del fato si erano girate. Un nuovo inizio. Nato da una
sconfitta.
Amore e dolore sono figli dello stesso destino.
Racconti di Camilla Huge, alter ego
di una personalità intrisa di contraddizioni ed istinti bestiali.
E ti ritrovi con i rami, senza più foglie
..E lui sorseggiava un tea, pensava al senso dell’esistenza. Fino al
giorno precedente condivideva una famiglia, una casa, un progetto di vita
comune.
Poi la vita ti cambia, tutto passa, ti trovi con i rami, senza foglie.. la
vita ti coglie arido e triste. Ti suggerisce una ragione, e poi ti
conforta.
Sembrava uno dei primi film di Ligabue, Radio Freccia: primo posto, prima
fila, cinema Lara. Pop corn in mano, sguardo fisso. Voce in sottofondo che
s’avverte, lungo il corridoio della mente, profonda e roca e scandisce i
dettagli del senso delle cose..
Era tornato libero, libero di farsi amare, di lasciarsi amare. Di
ripartire con il suo destino, fogli bianchi da scrivere e matite spuntate
per nuovi temperini. Camilla lo aveva deluso, lasciato, tradito, sfinito,
sospeso.
Lei voleva lasciarsi conquistare dai suoi uomini, vecchi e nuovi, mille
volti capaci di farsi sorprendere, alternarsi, dividersi, farsi inebetire
ed ammutolire. Era affascinante come le mattine miste di luce ed alba che
ti prolungano lo sguardo fino al tramonto, si copriva il volto con bianca
cipria ed ombretti oro, riempiva le gonfie labbra di lucido, sorrideva
alla sorte e le faceva l’occhiolino. Amava prendersi in giro e farsi
dannare. Stimolare la mente, suscitare ammirazione e godimento.
Raccogliere consensi e un po’ anche eccedere, ma tutto fatto bene, con
perfezione e gusto.
Con lui non lo sapeva fare. Frank non lo sentiva dentro. Non le parlava,
non la scuoteva e lei ascoltava la propria voce che rifletteva l’eco nel
suo animo, si eccitava, si conquistava da sola e il suo tono pastoso e
dimesso arruffava i capelli e le sue unghie penetravano nella sua nudità.
Era una bambola, dolce e delicata ed il suo profumo inebriava gli uomini..
erano ubriachi di lei, la cercavano, non rispondeva, aumentava il
desiderio di possesso in chi la sorprendeva ritoccarsi il colletto della
camicia o la sottoveste sotto la gonna. Lo aveva lasciato, il povero Frank.
E si lasciava libera, di amare, di fare l’amore, di darsi all’amore. Lui
si era spento. Aveva provato desiderio passione godimento furore istinto
ed ora si sentiva come un ramo secco, libero di attendere il compiersi
dell’inverno.. E lei si dava all’amore libero di sorprendere e rapire. Era
sola, solo la puttana di se stessa.
“La costruzione di un amore non ripaga del dolore che te ne rimane”
Tanti io come il mio ego, pensieri sciolti nell’aria tutti da
raccogliere
A volte la malinconia non ti tocca per mesi e poi ti sorprende. Tutto ad
un tratto. E sei impreparata, non sai cosa dire, senti solo che ti
appartiene, non puoi reagire, non hai difese..non capisci il motivo ma
vedi un bicchiere mezzo vuoto.
Dovrebbero inventare un vaccino, che annulli l’effetto dell’insofferenza.
E scongeli l’allegria passeggera in tanti grappoli di effimera durata.
Devi chiederti: c’è motivo? Forse il cane che non vuole uscire, il lavoro
ripetitivo, l’amico sposato che ti vuole, la famiglia che sospetta, il
cuore in stand by, le ferite accese e riaperte. Non ti devi preoccupare,
basta sospendere tutto, staccare la spina, andare avanti. Credere in
qualcosa. Perciò mi sono trasferita, ho accettato il compromesso di una
lavastoviglie mancante, di un frigo vuoto, di un vuoto d‘amore. Il prezzo
è lo stesso, questione di togliere e mettere. nel posto giusto.
Sono uno spirito legato all’arte e sto morendo. Forse in queste poche
parole risiede l’essenza di tutta la mia materialità. Non amo il
cinguettio degli uccelli la mattina come gli spiriti liberi, non amo
riporre le mie membra in meditazione nella foresta. Voglio esprimere
sensazioni, regalare emozioni, coinvolgere, assillare, toccare
conquistare. Rivendicare l’arte del sonno della meditazione della
sensazione della contemplazione della creazione.
Sta di fatto che sono malinconica. Mi mancano punti di riferimento. Capita
forse quando se ne hanno troppi accessori e sono deboli, fragili e
talvolta assenti. Certi giorni li allontani volutamente, altri giorni li
dimentichi, spesso li trattieni.
Vorrei trovare il tempo per vedere un dipinto del 500 concretizzarsi a
nuovo sotto i miei occhi, sbocciare come la primavera, sfumare i caldi
colori che trasportano il senso dell’antichità, una sorta di Kalos
disciolto in sapienti essenze trascinate dai pennelli, tinte avorio, rosso
rubino, giallo ocra speziato, blu cupo tramontanino.
L’arte emana il suo senso nella profondità del sentimento e
nell’accuratezza del particolare in movimento. Basterebbe solo imprimere
con un carboncino le note scure di questa malinconia per dissolvere la sua
profondità anacronistica ed imprimerla in un istante del tempo per
imprigionarla e disgiungerla dalla mio io di calamita. In modo che sia
riconoscibile ad altri la sua natura e simile conosca simile
riconoscendosi fratello amico compagno. Non vi è tempo per pensare creare
sorprendere. Ora solo per correre e morire. Nella vacquità delle nostre
creazioni. Passaggi intermedi verso il contatto con l’infinito.
Stavo dunque percorrendo questi sentieri, intensamente raffrontavo la mia
vita alle scure macchie degli innumerevoli residui lasciati sulle tazzine
di caffè..sorseggiate in tutte quelle mattine in cui il tempo confonde la
tua voce nell’eco del silenzio...e pensi.pensi.pensi. Capita spesso.
Sono spesso malinconica. Per questo scrivo suggerendo al mio animo un
calmante al mandarino intarsiato di note architettoniche sfocate..Ahimè a
volte la memoria ti abbandona e resta forte il gusto del ricordo,
sopravvivere nel tempo.
Lasciamoci vincere dall’arte e combattiamo per essa. E‘ il prolungamento
dell’immagine immortale che l’esistenza tramanda..
Autobiografia di sogni nascosti
dentro i bicchieri di vodka
Il giorno trascinava lento il passo ed io portavo impressa in me
l’immagine dell’alba che aveva sorpreso il mio risveglio. Strisciava nella
memoria accendendo i suoi colori pastello e fuoco e collegando le sue
forme agli arcobaleni della vita.
Mi piace regalare queste emozioni pensavo, adoro aver aggiunto sorrisi
della gente al mio.
Avevo ricevuto una mail di un amico, che mi ricordava come il mio
bicchiere mezzo vuoto fosse anche mezzo pieno. Ludovico era entrato nella
mia vita da qualche settimana. Era stata un’immagine ingombrante che si
era imposta con tutto il suo passato, una sera in discoteca come tante.
Era insofferente, instabile, eccessivo, egocentrico. Quanti aggettivi
servirebbero per descrivere una personalità così complessa.. Mi aveva
gettato addosso in un colpo solo tutto lo stress della sua vita, le
avventure gli amori le lotte l’onore.
Poco prima avrei voluto esser in lui, poco dopo mi ritrovavo a compatirlo
ed oggi, intravvedono in me, in noi, in tutto ciò, uno spiraglio di vero
lucido coerente scontato Amore. Così dicono, così credo sia.
Tossisco e svuoto anche io l’insofferenza che mi perseguita. Ricaccio i
vuoti. I bicchieri del bancone affiancati riflettono i sogni affogati
dall’alcool. Vorrei riprenderli mentre volano, acchiappare emozioni
passeggere, scoprire pieni nascosti e vuoti evidenti.. Ma tutto passa.
Ebbene dicevo, stavo messaggiando con Ludovico ed il cuore mi batteva, era
un giorno speciale. Aveva deciso di smettere di prendere tranquillanti:
era un’ossessione, un obbligo, un vanto, un quid passeggero, insistente,
ripetitivo, assillante. Era simbolo del suo amore per me, un sigillo del
mio amore per lui. Stavamo in silenzio, occhi negli occhi. Andavamo
abbracciati per le strade di notte, non riusciva a dormire ed io, io avrei
dormito volentieri anche per lui ma stavo sveglia e mi stringevo al mio
senso di appartenenza a lui. Avevo le palpebre rigonfie, avrei potuto
appoggiarvi sopra una vasetto di fiori, rose rosa come quelle che
ricevetti accompagnate dal biglietto “La classe è racchiusa nel pensiero
che t’avvolge, nei gesti, nel sapore che emani, nell’emozione che mi
suscita il guardarti. Perciò ti amo. E sono rinato, come un fiore per te”.
Ripensavo a tutti i bicchieri vuoti che aveva lasciato nella sua vita, al
vuoto di una moglie, di una famiglia, di un cuore solitario, di un bimbo
abortito. E ripetevo chiedendogli.. “Scusa, il bicchiere mezzo vuoto di
vodka e sogni infranti perché ora riflette il mio viso?”
Oggi scrive: il tuo amore mi ha salvato, si è preso le mie catene, ha
avvolto la mia prigione, diventando silenzio meditazione pienezza vita
vera. IO oggi Amo.
Anche se ora. I bicchieri imperversano troppo nella mia vita e c’è posto
solo per un silenzio. quello di un bacio rubato all’infinito mistero…
Comporre i passi dell’inutilità
“Poeta ipse in vincola coniectum et reiectum
Semper sperat “
A volte mi piacerebbe comunicare a tutti che l’amore vince sempre,
scriverlo a caratteri cubitali e sigillarlo nel cuore di tutti come un
assioma.
Non fu il caso di questa storia; non ancora terminata, ma troppo lunga per
condurre a qualcosa di positivo.. Dicono che la speranza sia l’ultima a
morire.. Il mio cuore non è già morto; però, ansima. Da mesi. Da quando
sono tornata dall’Isola Mauritius si è riempito di parole di silicone e
gonfiori da gel fish.. Ho vissuto fino a ieri imbottita di ingenuità e
colori, sorrisi e delusioni. Ho accettato un lavoro normale e faticato per
mantenerlo, creduto in una vita di sacrifici, sperato di morire
prestissimo per evitare di vivere oppure il più tardi possibile per poter
finire di vivere.
Ebbene, quella vacanza mi ha lasciato un’immagine di albe annuvolate con
strascichi infiniti.. campi da golf verdeggianti e pianure rigogliose,
anfratti segreti ed incontri improvvisati. Sono stata come un evaso
rilasciato per riduzione della pena… Se la pena è amore…sarei dovuta
restare tra le sbarre all’infinito, perché eterno è il mio desiderio di
amare, riempirmi di pieni, aver la sensazione di perdere tutti i vuoti o
di riempirli.
Osservavo le punte dei windsurf tra le onde frastagliate del reef..sprezzanti
del pericolo condotte da crociati in cerca di vittorie e pensavo, questo
sport è come l’amore…se c’è vento spira e porta lontano, cresce dentro e
soddisfa interamente. Da grande lo farò oppure, al massimo, sposerò un
windsurfer.
Poi si cresce e si muore un poco, la verità che si svela poi si rivela e
ci lascia persi e più adulti.
Mentre ascolto il ritmo del lavoro che assale ed imperversa questo
ufficio, dirompe il mio annusare attimi di silenzi stranieri che
reimpastano l’esperienza mauriziana.. Stavo, assorta di fronte
all’ondeggiare dell’acqua nella piscina…uragani all’orizzonte e temporali
sopra il cielo.. rieccheggiava con il ricordo la tua sagoma fra il confine
di cielo e terra. Ti avevo idealizzato ed avevo scritto il tuo nome nel
mio cuore. Certe sensazioni Dio le scrive nel libro della nostra vita. E
da lì non cessano di vivere e tessono in noi il prolungamento dei
desideri..
Restavo a contemplare i riflessi tondeggianti di queste sensazioni mentre
scie di aerei pennellavano le stagioni del cielo. Due anni prima ero con
te. Ed ora mi trovavo a cercare di dimenticarti e di chiudere con il
lucchetto per sempre Amore. Amor ci sorprese, Amore che fu.
…………..Le belle storie se finiscono male, è meglio lasciarle sospese. Ai
posteri l’ardua sentenza.
I passi segreti
Herbert continuava a lamentarsi della sua compagna, a lasciarla sola il
giorno di Natale mentre fuori dalla finestra scorrevano immagini di luci,
abbracci e regali. Continuava a preferire gli amici e lo svago
individuale, a rigettare le sue mail, a credere nel proprio infantilismo e
ad autocommiserarsi. E passavano gli anni. E continuava con lei, a farsi
morire.
Natale 2003: leggeva Il lupo della steppa e Il ritratto di Oscar Wilde.
Credeva nei segreti tramandati sui libri e nelle parole suggerite dai
vecchi saggi. Poteva redimersi e liberarsi. Bastava ripartire da se
stesso, capirsi, cercare nel suo desiderio di libertà la chiave del
rispetto. La gente oggi noncurante dell’amore, crede nell’ostentazione e
nell’apparenza, vuole accasarsi e far crescere i propri figli da altri
sconosciuti, proprio come loro. Ipse gnoscit se ipse semel facta est
voluptas existentiae. Suo nonno ripeteva, una volta si ascoltava prima di
parlare, si credeva nelle piccole cose, si lottava per la famiglia. Ci si
alzava presto e si sperava di aver tempo per riscattare la giornata con un
attimo di silenzio, un’offerta a dio, un cero in chiesa, una carezza, un
pezzo di pane condiviso. Una volta si conosceva la povertà materiale, ora
si possiede quella morale.
Herbert si lavava il viso al mattino, sperando di cancellare con un gesto
le macchiette del giorno precedente: ma ogni volta ricadeva dentro,
sprofondava in un'altra voragine identica e forse più grossa ed era come
la continuazione del primitivo brutto sogno.
Sorprendeva Merlina ad aspettarlo sul sagrato ed a gridare “ciò che dio
unisce nessuno divida” ma era un ombra, in una splendida giornata che
colorava gli occhi del tempo tra il rosa di una tenue alba ed il rosso di
un canuto tramonto.
E scorgeva le parole sagge di chi ripeteva come un eco lontano “credere è
anche un poco morire nella convinzione che tutto sia predefinito, devi
ascoltare il tuo inconscio e capire cosa ti suggerisce”
Natale 2003: lo passo’ con le mani fredde in quelle della sua donna,
allungando lo sguardo oltre il limite immediato della sua aura ed
immaginando prolungamenti che lo congiungessero ad una sorta di
palingenesi continua. Era troppo debole ed indifferente per liberarsi
dalle sue certezze e dai suoi riferimenti. Li cercò e si annullò in essi.
Due mesi e si sposò, con l’eco del nonno che lo perseguitava come un’animo
in catene e ripeteva l’immagine delle notti calcate nell’alito forte della
consorte, il suo abbraccio che cercava di racchiuderlo, l’animo soffocato
dal senso forte di appartenenza alla piccola media borghesia. Ora che
aveva una nuova famiglia, sognava di acquistare un auto comoda e lussuosa,
di cospargersi di oli ed unguenti, rilassarsi per intere giornate in sauna
e bagno turco, cercava di non pensare e vivere. Era un odontotecnico che
esercitava la professione del dentista, vantava consigli e ostentava
inutili ricchezze. E ripeteva citando Pascal “L’uomo è una canna che pensa
inesorabile” e si specchiava, raffrontava la sua inutilità fatta di gesti
e parole ripetute, si scopriva simile nella sua similarità. E si accecava
di parole, mentre Merlina si stringeva nel suo senso di tutto, e pensava
all’amore, che in sé cresceva di dolore nelle privazioni. Voleva un bacio,
una carezza, una confidenza. Riceveva Natali rubati con le fredde mani di
Herbert rannicchiate nelle sue tasche.
Pensava: Io amo per due e l’unità vive della sua stessa essenza ed
intensità, ma si sentiva morire. Lei sì, doveva credere nella loro storia
e così continuava, intrecciava uncinetti per riunire tutti i pezzi
rammendati della loro vita.
Le cadde un giorno dalle mani quel centrino.. e scoprì che una parte si
era dissolta.. Chiese ad Herbert come avesse fatto a sciogliersi così
velocemente e lui giratosi, per la prima volta veramente, la guardò e
colse in lei il senso dell’amore eterno che vive del suo stesso amore, che
da sempre cercava per possederlo e rispose “il tuo sguardo puro e
immortale cela l’inutilità che ti ho donato. Chiudimi nelle porte del tuo
cuore e soffoca il mio desiderio di libertà.e vita. Affinché scelga amore
e non commiserazione ed inganno”..
Racconti di Camilla Huge, alter ego
di una personalità intrisa di contraddizioni ed istinti bestiali
Rannicchiata, in un angolo del letto, desiderava riporre i pensieri per un
attimo, sperando di dimenticarsene. Riaprendo gli occhi, drammaticamente
tutto ritornava alla memoria, come in un telefilm di Hally MC Beal, si
sentiva sollevare e gettare nel cassone dei rifiuti.
Mai avuto stima di me stessa, ripeteva, sollevando lo sguardo verso la
parete bianca; un destino ancora da definire ed un eterno silenzio fatto
di passi da interpretare. La sua risposta è sempre stata la stessa,
conoscere l’arte della felicità. Pur avendo identificato lo scopo della
sua esistenza, mancavano al puzzle ancora molti incontri, molte sconfitte,
una gran rassegnazione ed infine un profondo desiderio di sopravvivenza e
amore.
Il maestro di tennis, un tale Juglescowich, materializzatosi in una di
quelle avventure estive, improvvisate dopo un licenziamento repentino,
sarebbe diventato un solido punto di riferimento. Aveva 60 anni lui, era
giovane lei.
Era estate e Camilla Huge cercava di chiudere con l’anoressia. Partì per
Londra.
Ogni giorno, la sveglia mattutina diventava il monito di una nuova
battaglia contro il cibo e la compagnia del maestro che si allenava era un
segno immortale e le sue parole scorrevano come manna su di lei.
Quel giorno il cielo inglese si era tinto di tonalità grigie avorio e le
distese dei prati verdi sfumavano l’orizzonte.
A volte non sai in che direzione ti stai muovendo, ti basta spingere e
seguire l’onda. Ed è quello che Camilla sperava, per non annegare.
nell’indifferenza e nel pattume.
La resistenza, era una lotta contro le sensazioni del mondo, una
rivendicazione del suo desiderio di vivere, di volersi bene. Sebbene il
ragazzo l’avesse lasciata e la famiglia vivesse attimi di sfiducia e lotta
congenita.
Ripeteva Camilla, Grazie maestro, con te scopro il colore profondo della
giornate, il calore vero dei rapporti umani. Imparerò l’inglese, lo farò
per te.
E scriverò una lettera, lunga come la distanza che separa l’America
dall’Italia. Prima di morire. Mi ricorderò di chi ha pianto per me.
Furono le ultime parole che ascoltai. Prima che ripartisse per tornare
nella sua patria, L’Italia.
Il maestro non si scompose e le ripetè “Ho fatto molti sacrifici nella mia
vita, prima combattevo contro la fame in Romania, oggi contro la mafia a
New York. Prima sognavo il successo, ora un tuo sorriso. |