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15 Novembre

Monaco

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 297

ISBN 9788804685739

Prezzo Euro 20,00

La conferenza di Monaco del 1938

Monaco parla di un’illusione, l’illusione di evitare la seconda guerra mondiale, sacrificando la Cecoslovacchia, e quindi non una pace con onore - come ebbe a dire il primo ministro inglese Neville Chamberlain, fautore di una politica estera nei confronti della Germania nazista definita di appeasement, cioè di mantenimento della pace a prezzo di concessioni - bensì come a contrasto disse Winston Churchill “ potevano scegliere tra il disonore e la guerra, hanno scelto il disonore ed avranno la guerra “. Era il 30 settembre del 1938, le popolazioni d’Europa, tedeschi compresi, sperò, ma non trascorse nemmeno un anno e l’1 settembre 1939 le truppe naziste invasero la Polonia, dando inizio al secondo conflitto mondiale.

Robert Harris imbastisce una narrazione indubbiamente di fantasia, ma ben ancorata a ciò che accadde nella conferenza di Monaco, creando due personaggi, Hug Legat, promettente funzionario del servizio diplomatico britannico, segretario particolare del primo ministro Neville Chamberlain, e Paul von Hartmann aristocratico membro dello staff del Ministero degli Esteri tedesco, iscritto al partito nazista, ma in segreto facente parte di una cospirazione contro Hitler. I due si conoscono, anzi sono amici, pur non frequentandosi da sei anni, perché hanno condiviso un periodo di studio a Oxford. Il secondo dei due conta sull’amicizia per far fallire le trattative, mettendo in difficoltà il dittatore nazista e consentendo così di dare vita a un moto insurrezionale. La trama è veramente ben congegnata e, senza mancare di aderenza alla realtà, finisce con lo sviluppare una spy story diplomatica di grande effetto, appassionante e per nulla greve. La storia ci dice che il piano di von Hartmann fallì, e non certo per mancanza di collaborazione da parte di Legat; infatti Chamberlain era partito per Monaco proponendosi di arrivare a ogni costo a un accordo per scongiurare una guerra e quel a ogni costo implicò il sacrificio della Cecoslovacchia, ai cui membri di governo non fu consentito di partecipare alla conferenza. Il risultato di Chamberlain fu, come verificato a posteriori, del tutto effimero e anche squallido, decidendo del destino di altri senza che questi fossero o meno consenzienti, e proprio per questo è giustificata la famosa frase di Winston Churchill. A posteriori si potrebbe dire che gli attori principali, e cioé Hitler, Chamberlain, Daladier e Mussolini furono protagonisti di una commedia grottesca, tutti consapevoli dell’inutilità di quell’accordo.

La capacità di Harris di ricreare l’atmosfera, l’abilità con cui dipinge una trama inconsueta ed intricata sono veramente ragguardevoli, tali da soddisfare ampiamente il lettore, consapevole dell’innesto di fantasia in una vicenda che avvenne proprio così.

A titolo di notizia dal libro è stato tratto un film di buon successo: Monaco. Sull’orlo della guerra, uscito nelle sale cinematografiche nel 2021 e che vede fra i protagonisti Jeremy Irons nei panni di Neville Chamberlain.

Da leggere il libro e da vedere il film, con pieno merito per entrambi.

Robert Harris (Nottingham, 7 marzo 1957), laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times".

È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

 

9 Novembre

La fossa dei lupi

o come proseguono i Promessi Sposi

di Ben Pastor

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 420

ISBN 9788804769057

Prezzo Euro 20,00

 

Un nuovo protagonista

Devo ammettere che ero convinto che Ben Pastor avrebbe continuato a scrivere romanzi storici con protagonista il militare romano Elio Sparziano, l’ultimo dei personaggi da lei creati dopo il celeberrimo ufficiale dell’Abwehr Martin von Bora e la non riuscita coppia di investigatori Kaael Heida e Solomon Meisl. Infatti, visto il successo incontrato con la serie dell’inviato speciale dell’imperatore e considerato anche con l’età non è facile cambiare, tutto mi sarei aspettato tranne che un libro con un nuovo protagonista. Tuttavia, la cosa deve essere stata studiata bene, cercando di fare in modo che l’impatto con i lettori fosse subito positivo, partendo da una storia che più conosciuta di così non può essere e mi riferisco a I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Del resto credo che non a pochi, ultimata la lettura del libro dello scrittore milanese, sia rimasta la curiosità di sapere come la vicenda sarebbe potuta proseguire, cioè che fine avrebbero potuto fare Renzo, Lucia, Don Abbondio, l’Innominato, e a questo ha provveduto Ben Pastor, ambientando la trama del suo nuovo romanzo nell’anno 1628.

Il libro comincia con il ritrovamento del corpo dell’Innominato (al secolo Bernardino Visconti) morto ammazzato con un colpo d’arma da fuoco. Incaricato delle indagini è il Luogotenente di giustizia a Milano Diego Antonio Sarria De Olivares, spagnolo per parte di padre, mentre la madre è italiana, circostanza non inconsueta, stante il dominio spagnolo.

Il nuovo personaggio è particolare, perché ha la vocazione di diventare un religioso, un gesuita, tanto da ufficializzare la scelta con una reciproca promessa fatta con la sorella Sibilla, che ha già preso i voti con il nome di Suor Cattarina.

La vicenda è del tutto particolare e anche intricata, l’indagine si mostra subito difficile, ma alla fine, dopo non pochi patemi d’animo e di colpi di scena giunge alla conclusione, assicurando alla giustizia il non improbabile colpevole.

Direi che l’ aspetto poliziesco è un puro pretesto per imbastire un romanzo che è la descrizione della Milano e dintorni dell’epoca, un ritratto di pregevole fattura che non si limita alla necessaria scenografia, ma che riporta le atmosfere di una città dominata dallo straniero e da poco uscita dall’epidemia di peste. Questo, tuttavia, che pur sarebbe molto, è opportunamente integrato da una vicenda amorosa del De Olivares con la ricca vedova di Don Ottaviano Gallarati e cioè Donna Polissena De’ Stampi. Affascinante, erudita, la donna poco a poco attira in una ragnatela il Luogotenente e lo strappa alla vita religiosa che si era prefissato, ma che, essendo poca la vocazione, non aveva mai intrapreso.

Dalla penna di Ben Pastor esce così un romanzo che è molto piacevole, nonostante un certo ritmo lento, che però l’epoca giustifica, un libro in cui si entra poco a poco e che diventa sempre più avvincente, pagina dopo pagina, al punto che arrivati al termine si desidera che abbia un seguito e questo mi sembra sia la prova migliore della felice scelta del nuovo protagonista.

Da leggere, ovviamente.

Ben Pastor (Roma, 4 marzo 1950), scrittrice italoamericana, all'anagrafe Maria Verbena Volpi, nativa di Roma, ma trasferitasi ben presto negli Stati Uniti, ha insegnato Scienze sociali presso le università dell'Ohio, dell'Illinois e del Vermont. Oltre a Lumen, Luna bugiarda, Kaputt Mundi, La canzone del cavaliere, Il morto in piazza, La Venere di Salò,  Il cielo di stagno, - ovvero il ciclo del soldato-detective Martin Bora (pubblicati da Hobby&Work a partire dal 2001 e poi da Sellerio) - è autrice di I misteri di Praga (2002), La camera dello scirocco, omaggi in giallo alla cultura mitteleuropea di Kafka e Roth (Hobby &Work), nonché de Il ladro d'acqua (Frassinelli 2007), La voce del fuoco (Frassinelli 2008), Le vergini di pietra La traccia del vento (Hobby & Work 2012), una serie di quattro thriller ambientata nel IV secolo dopo Cristo.
Nel 2006 ha vinto il Premio Internazionale Saturno d'oro come migliore scrittrice di romanzi storici. Le sue opere sono pubblicate negli Stati Uniti e in numerosi Paesi europei.
Un suo racconto è incluso nell'antologia Un Natale in giallo (Sellerio 2011).
Nel 2014 esce La strada per Itaca (Sellerio) e nel 2020 Il ladro d'acqua (Mondadori).
Nel 2023 esce per Sellerio La finestra sui tetti e altri racconti con Martin Bora. 

Renzo Montagnoli

 

 

 

3 Novembre

Con la lucerna accesa.
Vita e assassinio del maestro mantovano Anselmo Cessi (1877-1926)

di Giovanni Telò

Arcari Editore

Biografia

Pagg. 192

Prezzo Euro 20,00

 

Una vittima del fascismo

E’ con la copertina di questo libro che si presenta il maestro Anselmo Cessi, in una fotografia di classe, la sua classe, i suoi alunni delle elementari, maestro di insegnamento, ma anche maestro di vita, perché mai si piegò, nonostante la dittatura imperante, quel fascismo che non sopportava chi pensava diversamente al punto di bastonarlo, di rinchiuderlo, o peggio ancora di assassinarlo. Maestro di vita lo è stato anche con la sua morte , ucciso vilmente dai “bravi” dell’epoca, e anche questo fu un delitto che restò impunito, e non poteva essere diversamente, perché l’autorità che governava l’Italia ne è stata, anche direttamente, il mandante, e quindi mai avrebbe potuto sconfessare se stessa.

Anselmo Cessi nacque a Castel Goffredo, in provincia di Mantova, il’8 novembre 1877 e divenne, come la madre, maestro di scuola elementare. Nel 1906 si sposò e dall’unione con Erminia Schinelli, pure lei maestra, videro la luce sette figli, di cui cinque morirono da piccoli. Oltre all’attività di insegnante si impegnò anche politicamente, sia pure a livello locale, dapprima come iscritto del partito democratico-cristiano e successivamente nel Partito Popolare di Don Sturzo, ricoprendo vari incarichi. All’avvento del fascismo lo contrastò da subito democraticamente, auspicando sempre la tolleranza e il reciproco rispetto, ma quell’uomo con i baffi, quel maestro così battagliero nel difendere la libertà agli occhi di qualcuno divenne indigesto e con i metodi spicci della marmaglia lo misero a tacere. Fu la sera del 19 settembre 1926, mentre tornava a casa con la seconda moglie (la prima era deceduta) fu assalito da due uomini che lo presero a bastonate; ma non bastava e infatti uno dei due gli sparò un colpo, uno solo, purtroppo mortale.

Giovanni Telò, pure lui nativo di Castel Goffredo, avvalendosi di un’ampia documentazione, ne ha scritto la biografia, evidenziando il carattere e l’indubbia fede religiosa, con uno stile snello, scorrevole, quasi fosse una narrazione. Non si ferma però alla data della morte, ma va oltre con la ricerca dei responsabili, grazie anche alla testimonianza della vedova. Così furono portati alla sbarra Achille Nodari, il podestà, Enrico Bresciani, capomanipolo della Milizia, e Umberto Vescovi, dipendente della Federazione Provinciale del Partito Fascista. Le prove testimoniali quindi non mancavano, ma l’esito del giudizio era scontato in partenza con la piena assoluzione degli imputati.

Benché si tratti di un personaggio strettamente legato al suo territorio, il fatto stesso di essere annoverato fra i martirizzati dal fascismo lo rende già di per sé meritevole di essere conosciuto. Se poi si considera la sua azione, se si tiene presente la figura integerrima e si hanno presenti i suoi ideali, chiara emerge la nobiltà di questo umile maestro di campagna, un uomo libero che amava la libertà anche per gli altri.

Il libro, che merita senz’altro di essere letto, si avvale anche delle presentazioni di Egidio Caporello, vescovo di Mantova, di Mario Beruffi, sindaco di Castel Goffredo, di Filippo Cerini, presidente della Banca di Credito cooperativo di Castel Goffredo, di Neva Campanini, presidente dell’Associazione italiana maestri cattolici – Sezione di Mantova e della prefazione di Giorgio Runi, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano.

L’opera, corredata da fotografie d’epoca e dalle indicazioni delle indispensabili fonti, è senz’altro meritevole di lettura.

Giovanni Telò, nato a Castel Goffredo (Mantova) nel 1954, è sacerdote e parroco della diocesi di Mantova. Laureato in Scienze politiche, giornalista dal 1978, ha svolto l'attività  pubblicistica presso alcuni giornali e riviste a Mantova, Milano e Roma. Dal 1996 al 2007 è stato vicedirettore del settimanale diocesano La Cittadella (Mantova). Studioso di storia della Chiesa nell'età  contemporanea, ha pubblicato diversi studi, tra cui Chiesa e fascismo in una provincia rossa. Mantova 1919-1928Con la lucerna accesa. Vita e assassinio del maestro mantovano Anselmo Cessi (1877-1926)I cattolici mantovani tra guerra e Resistenza (1940-1945). Collabora con l'Istituto mantovano di Storia contemporanea, anche come componente del Consiglio direttivo.

Renzo Montagnoli

 

 

29 Ottobre

 

Davide Rocco Colacrai

“Ritratto del poeta in autunno"

-edizione Le Mezzelane-

 

A quasi due anni da “D come Davide. Storie di plurali al singolare” il poeta, toscano d’adozione, Davide Rocco Colacrai dal 30 Settembre è nuovamente nelle librerie con la silloge poetica – edita ancora dalla casa editrice anconetana Le Mezzelane – “Ritratto del poeta in autunno – versi di malinconia e perdono”.

La raccolta poetica è disponibile su ordinazione in tutte le librerie e store digitali oltre che sul sito della casa editrice (https://negozio.lemezzelane.eu/prodotto/ritratto-del-poeta-in-autunno-carta). E’disponibile anche la versione ebook.

Il volume si compone di 30 poesie suddivise in 6 capitoli.  L’Illustrazione di copertina dal prepotente richiamo picassiano è di Alessio Gherardini; la postfazione è del critico letterario Gianni Antonio Palumbo.

Davide Rocco Colacrai anche in “Ritratto del poeta in autunno” si conferma poeta dai contenuti civili contemporanei. Nei suoi potenti versi si spazia dalla musica – di cui è appassionato ascoltatore oltre che musicista di arpa – alla letteratura, dal mondo LGBTQI+ (una poesia è “Eva ha due papà”) alla cinematografia (ad esempio la poesia “L‘ora delle formiche – dedicata a Ettore” ispirata al film di Gianni Amelio) e a fatti di storia contemporanea (ad esempio la poesia “11/09/2001 in memoria di Patricia Massari” o “Cantico dall’abisso – in memoria delle vittime del naufragio della Costa Concordia 13 gennaio 2012”) fino a versi  dedicati persone che hanno abitato (o abitano) la sua vita e il suo quotidiano come l’adorato cane Manny (la poesia “Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli? – dedicata al mio cane Manny (perché quello che siamo stati sarà”).

Contemporanee e popolari anche le citazioni musicali che vanno da Madonna a I Pinguini Tattici Nucleari, da Mia Martini a Francesco Gabbani.

“Il libro mi immagino venga letto accanto a un camino acceso con del vin brulé e delle castagne. L’autunno è la mia stagione preferita. Sembrerà un periodo malinconico ma io lo associo alla rilassatezza. E’ la mia dimensione”- afferma il poeta Colacrai.

“(…) È una poesia in cui si può persino avvertire l’odore della pelle (ma anche del sole, della neve, del sangue) così come il tanfo delle prigioni in cui si consumano agonie silenziose. Il verso a tratti si dilata facendosi narrazione; rifugge la cantabilità ma ha una sua musica tutta interiore che il lettore attento avverte distintamente. Le immagini germinano le une dalle altre, mai scontate; alcune si imprimono nella memoria. (…) Se questa silloge – alle porte dell’autunno – ci inchioda alle tante croci di cui ignoriamo l’esistenza – e da cui molti non si sentono toccati (…) – si legge nella postfazione di Gianni Antonio Palumbo.

Alcuni componimenti hanno vinto premi già prima di comparire nella raccolta “Ritratto del poeta in autunno”.

 

Riferimenti social per tag

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Wikipoesia - https://www.wikipoesia.it/wiki/Davide_Rocco_Colacrai?fbclid=IwAR1dGPe_Ks0gjYL3M3525096JXmAs9FMol-3foDXepBGEfgREuQmyF_7QP8

 

 

 

28 Ottobre

Poesie scarlatte

di Mara Motta

Edizioni Tabula Fati

Poesia

Pagg. 128

ISBN 9791259880574

Prezzo Euro 10,00

Un canto d’amore

Mi sembra di essere un gambero, visto che non è la prima volta che, dopo aver recensito l’opera di un autore, non passo alla successiva – che nel caso specifico ancora non c’è -, ma alla precedente. E poi l’impressione di fare come questi crostacei si rafforza nel titolo, che è Poesie scarlatte; infatti, come è notorio i gamberi sono rossi e lo scarlatto è una tonalità di rosso.

Ciò premesso l’opera prima di Mara Motta presenta già, magari allo stato embrionale, gli spunti di In absentia, e non poteva essere diversamente perché un percorso poetico non può non tener conto della strada già fatta.

Anche qui i versi sono esposti in modo semplice, ma sono profondamente permeati di sentimenti, che vanno dall’amore all’affetto, in forza di una visione della vita che tiene sì conto del mondo che ci circonda, ma che lo fa con serenità, perché tutto ciò che accade rientra nell’ordine del cose, e questo non vale solo per le gioie, ma anche per i dolori. Il beneficiario di questi sentimenti espressi con pacatezza dovrebbe essere contento di avere una compagna così che lo innalza su un piedistallo, e poco ci manca perché sia un altare (Da Spazio: Mi hai fatto spazio nel tuo cuore! / Non volevi intrusi…/ tranquillo dietro barriere di nuvole leggere! / Mi hai aperto un varco al sole / teneri sentieri / in cui rifugiarmi / per restare dove sai / di potermi amare./ Hai fatto spazio…/ accogliere il mio cuore / porterà note lunghe /di melodia d’amore!). Ce n’è più che a sufficienza per sentirsi lusingati, ma le repliche non si contano, sono incalzanti e allora… (Da Bacio: leggero / in una notte d’estate / può essere violino / può essere incantesimo / strana aria di sorpresa…/ resta il miracolo dell’attesa!). Se si prosegue nella lettura si passa dall’amore agli affetti, nella memoria che vivida viene fatta apparire, e allora destinataria del sentimento diventa la madre, come in Ricordo (il brecciato assolato / quella casa verde / quella porta sempre aperta. / Mamma cantava / fuori nel cortile. / Il lavatoio cantava / con i panni sotto la fontana! / Tornavo e sentivo / profumo di casa in cucina / musica d’acqua in giardino. / Mamma cantava…). Sono versi scritti in punta di penna, che riescono a colorare un ambiente che richiama immediatamente un sentimento, quello dell’amore, dell’affetto per la madre, e il tutto avviene in modo spontaneo, così che rapida è anche la reazione emotiva di chi legge.

A un certo punto mi sono chiesto come sia possibile che una persona abbia dentro di sé un sentimento così forte, così assoluto, travolgente, un vulcano che della sua forza lascia trasparire solo una sottile filo di fumo. La domanda non è capziosa, volta come è a trovate i motivi di un comportamento, e ho così rilevato che la poetessa trova tutta questa forza nel senso di appagamento che ha della propria vita, in quel piacere sottile che ti coglie la sera prima del buio e che sboccia ogni giorno alle prime luci dell’alba, quando un sospiro e un sorriso sono la certezza di vivere nel modo migliore.

Da leggere, non c’è dubbio.
 

Mara Motta nasce a Pescara e nella città  adriatica trascorre la prima giovinezza. Compie studi umanistici, tesi ad assecondare il suo interesse per la riflessione sul mondo e sull´essere umano. Spende a Milano le prime esperienze lavorative che si concentrano, con sicurezza, sull´insegnamento, idoneo a valorizzare la passione per le lettere e la riflessione. La nostalgia per la sua città  e per gli affetti famigliari favorisce il suo rientro in Abruzzo con un frammento di cuore lasciato nella città  meneghina. A Pescara conclude l´esperienza lavorativa punteggiata dall´impegno di moglie, madre e nonna.

Renzo Montagnoli

 

 

 

22 Ottobre

La vita e i giorni.

Sulla vecchiaia

di Enzo Bianchi

Edizioni Il Mulino

Saggistica

Pagg. 138

ISBN 9788815273642

Prezzo Euro 13,00
 

Un De senectute del XXI secolo

L’accostamento all’opera filosofica di Marco Tullio Cicerone non è azzardato, perché lì, come in questo lavoro di Enzo Bianchi, si parla della vecchiaia. Certo sono passati non pochi anni, tanti in verità, da far temere che lo scritto del filosofo romano possa essere superato, ma non è così, perché l’ultimo periodo della vita di un uomo non è diverso da quello di oltre duemila anni fa. All’epoca Cicerone prese in esame le critiche mosse alla vecchiaia (la decadenza fisica, l’attenuarsi dell’attenzione, l’affievolirsi, fino a scomparire, del piacere dei sensi, la paura della morte incombente) per confutarle; sullo stesso percorso si esprime Enzo Bianchi, con un libro di rara profondità e bellezza, scritto in modo facilmente intellegibile, capace di infondere pagina dopo pagina quel senso di serenità che è proprio di chi si rende conto che tutto è nell’ordine delle cose, che si nasce, si cresce, si invecchia e si muore. Quello che è importante, quello che rende la vita irripetibile e appagante è l’umanità, è la consapevolezza che c’è un senso in tutto e che quindi la vecchiaia, e poi la morte, non devono preoccupare. Non ci si deve fare assalire dalla malinconia o peggio ancora dalla tristezza, ma anche i giorni della tarda età devono essere vissuti con piacere e pienamente, non pensando al dopo come quando si era giovani e la morte ben difficilmente entrava nelle nostre riflessioni.

Si avverte chiaramente che è un libro scritto da una persona non giovane (la prima edizione è del 2018 allorché l’autore aveva 75 anni) ed è del tutto naturale che sia così, perché una fresca età cozza con le possibilità di parlare dei problemi connaturati a una tarda età, problemi che non sono univoci, ma che sono riscontrabili, magari in diversa misura, fra quelli che con un pietoso eufemismo si definiscono diversamente giovani.

Sono pagine in cui è facile ritrovarsi (ovviamente questo vale per i vecchi), scritte con tono lieve, ma che anche commuovono, come quando l’autore motiva la decisione di dimettersi nel 2017 da Priore della Comunità di Bose, che lui ha fondato. Al riguardo riporto il periodo: Giunta per me la vecchiaia e una maggior stanchezza, ho sentito il desiderio di lasciare la presa, soprattutto di lasciare che le generazioni successive alla mia continuassero con un nuovo soffio un’opera che sarà sempre incompiuta.”(Pagina 133)

Peraltro troviamo in questo libro un’emozione sincera per la vita vissuta e ancora l’entusiasmo per quella da vivere (da pagina 105 “ Grama la vita per i vecchi, comincio a sperimentarlo, anche se resisto e lotto perché voglio vivere la vecchiaia: non aggiungere giorni alla mia vita, ma aggiungere vita ai miei ultimi giorni.”); certo, Enzo Bianchi è un credente e questo lo aiuta non poco, ma le motivazioni, che sono di conforto per chi in tarda età vede crescenti i suoi problemi, sono di una tale umanità che anche l’ateo, o addirittura l’agnostico, non possono che convenire con lui.

Timoroso di trovare un quadro irrimediabile degli anni che mi aspettano, pagina dopo pagina sono stato contagiato dalle riflessioni dell’autore, ho apprezzato le citazioni bibliche sul tema, mi sono reso conto che avanti con gli anni, pieno di acciacchi, sono sempre io, con il corpo che sicuramente porta i segni del tempo, ma alla continua ricerca di ciò che di buono può portare l’età, nella piena consapevolezza che anche l’ultima stagione merita di essere vissuta.

Leggetelo, giovani e vecchi, perché è un libro che vale per tutte le età.

Enzo Bianchi (Castel Boglione, 3 marzo 1943), fondatore ed ex priore (*) della Comunità di Bose. Già durante gli anni universitari aveva, insieme ad altri giovani di diverse confessioni cristiane, fondato un gruppo di studi biblici, sulla scorta del Concilio Vaticano II. Si laurea in economia e commercio a Torino, quindi si ritira in solitudine in una cascina a Bose, una frazione abbandonata del Comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica e per tre anni (dall'8 dicembre 1965) vivrà in solitudine. Si aggiungeranno poi uomini e donne che sceglieranno quella via di riflessione e lavoro. la comunità viene approvata dal Vescovo diocesano che raccoglie le prime professioni monastiche. Enzo Bianchi, laico, è molto attivo all'interno della comunità, collaborando anche con importanti testate giornalistiche italiane (La Stampa, Avvenire, La Repubblica...) e straniere (La Croux, La Vie, Panorama). Dirige fino al 2005 la rivista Parola, Spirito e Vita. È membro della rivista di teologia Concilium e fa partedel comitato scientifico di Biennale Democrazia. Nel 1983 ha fondato la casa editrice Edizioni Qiqajon Comunità di Bose dove si pubblicano testi di spiritualità biblica, patristica e monastica. Nel 2009 ha vinto il Premio Pavese con il libro Il pane di ieri. Tra gli ultimi suoilibri ricordiamo: Ritrovare la speranzaNella libertà e per amoreL'amore scandaloso di DioPreghiera come ritmo del tempo.

(*) è stato priore sino al gennaio 2017; a seguito di una  visita svoltasi tra dicembre 2019 e gennaio 2020, nel maggio successivo ne è stato allontanato su indicazione della  Santa Sede, ma ciò nonostante all'inizio non aveva lasciato la comunità. Agli inizi di giugno del 2021 si è trasferito a Torino in un alloggio fornitogli da amici, poiché nel febbraio dello stesso anno la Santa Sede gli aveva ingiunto di abbandonare Bose e di recarsi in una filiale del monastero in Toscana.  Ad aprile 2022 Bianchi ha reso pubblico un comunicato in cui annuncia di aver acquistato un nuovo casale dove andrà con alcuni monaci. Il 16 dicembre 2023 è stato ricevuto da Papa Francesco, che ha benedetto il nuovo progetto della Casa della Madia.

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

16 Ottobre

Le mura di Adrianopoli

di Guido Cervo

Edizioni Piemme

Narrativa

Pagg. 558

ISBN 9788838499869

Prezzo Euro 22,00

I barbari sconfiggono l’Impero

Sul tema avevo già letto 9 agosto 378 Il giorno dei barbari, un interessante saggio di Alessandro Barbero, e sono stato pertanto curioso, più del solito, di leggere il romanzo storico uscito dalla fertile penna di Guido Cervo. Come immaginavo, il narratore bergamasco si è attenuto fedelmente ai fatti, inserendo opportunamente personaggi e vicende di fantasia, sempre plausibili con un’abilità che gli deve essere riconosciuta.

I Goti, pressati dagli Unni, che non sottomettevano, ma uccidevano, chiesero aiuto ai Romani, in particolare domandarono di entrare nel territorio dell’impero e che fossero loro assegnate delle terre da coltivare, promettendo in cambio di servire militarmente sotto di loro. L’imperatore Valente dimostrò il suo interesse, onde ottenere truppe indispensabili per liberarsi una volta per tutte del pericolo persiano, consentendo ai Goti di varcare il Danubio per entrare così nel territorio romano; finì però con il non rispettare i patti, in particolare anche per la corruzione dei suoi dignitari che rubarono gran parte delle provviste destinate agli immigrati, a cui inoltre riservarono terreni pressoché incoltivabili. Ne derivarono reciproche diffidenze che si concretizzarono ben presto in scontri armati a cui Valente credette di porre rimedio provvedendo a una tregua con i persiani e convincendo Graziano imperatore d’occidente a soccorrerlo con una grande armata. Il destino dei Goti, accampati nei pressi di Adranopoli, sembrava segnato, ma quando si combatte per la propria sopravvivenza si aguzza l’ingegno ed è quel che fece il loro capo Fritigerno, ricorrendo a un’alleanza con gli Ostrogoti e gli Alani, che contribuì ad aumentare considerevolmente gli effettivi delle truppe. Valente, peraltro, era talmente sicuro della vittoria che non attese l’armata di Graziano, anche per dimostrare la sua superiorità, e decise di dare battaglia; in verità ci furono più tentativi per evitare lo scontro, uno addirittura anche sul campo, ma con gli uomini di entrambe le parti a fronteggiarsi per delle ore non era da escludere un incidente, il che avvenne per colpa dei romani, che così diedero inizio alla lotta. I Goti che, contrariamente ai calcoli sbagliati effettuati dagli esploratori imperiali, si rivelarono notevolmente superiori di numero, ben condotti da Fritigerno ebbero ben presto campo vinto. Infatti la battaglia si concluse con un’autentica disfatta dei romani, che fra le moltissime perdite registrarono anche quelle di alcuni generali e dello stesso imperatore Valente.

Da quel 9 agosto del 378 iniziò la caduta inarrestabile del più grande impero della storia, con l’esito infausto di una battaglia che non era altro che la conseguenza di un insieme di problemi che emergevano ogni giorno e ai quali non si voleva, ma anche non si poteva, dare soluzione.

Nel contesto della narrazione di Cervo, intorno al fil rouge storicamente del tutto attendibile, si innestano altre vicende minori che, oltre a dare corposità all’opera, mostrano indirettamente come il grande impero, apparentemente monolitico, avesse i piedi ormai di argilla; si tratta con ogni probabilità di pagine in cui prevale la creatività, ma hanno un peso non trascurabile e costituiscono motivo di ulteriore interesse.

Del resto non si possono che apprezzare lo stile snello, la felice caratterizzazione dei protagonisti, l’ambientazione precisa e la descrizione delle scene di guerra, contrassegnate da una notevole dinamicità, e infine, non meno importante, l’autentica pietà dell’autore per i suoi personaggi meno fortunati.

Le mura di Adrianopoli è un romanzo di notevole bellezza.

Guido Cervo vive a Bergamo. È autore di romanzi di successo, tutti pubblicati da Piemme, tra cui Il Teutone, e due titoli che affrontano i tragici conflitti mondiali del Novecento: Via dalla trincea e Bandiere rosse, aquile nere. Nel 2022 è uscito I centurioni del Malabar. La legione invincibile è il secondo volume della serie Il legato romano, che comprende La difesa dell´ImperoL´onore di Roma Il generale di Diocleziano, e che racconta le gesta del legato Valerio Metronio.

Renzo Montagnoli

 

 

 

10 Ottobre

Camon

di Filippo Cerantola

Apogeo Editore

Saggistica

Pagg. 288

ISBN 9791281386211

Prezzo Euro 15,00

Tutto Camon

Non è certo facile scrivere di Ferdinando Camon, anzi sono dell’opinione che sia particolarmente difficile, perché non è un autore monotematico, ma un attento osservatore della società e del suo divenire che analizza in modo accurato, ritraendo quadri letterari che sono sostanzialmente la realtà. Ci ha provato Filippo Cerantola con questo suo Camon, un lavoro che mi è sembrato molto ben realizzato, volto a proporre al lettore un’immagine completa di uno dei maggiori autori della nostra letteratura e credo che anche lo stesso Camon sia d’accordo sul buon risultato dell’opera.

In 288 pagine c’è tutto, proprio tutto, esposto in modo organico e razionale, la sua vita, i suoi rapporti con gli altri, il suo pensiero politico, l’analisi della sua produzione letteraria distinta in Ciclo degli ultimi, Ciclo del terrore e Ciclo della famiglia, i numerosi articoli pubblicati su diversi giornali.

Proprio per quanto concerne i romanzi e anche le poesie ho notato, con piacere, che il giudizio, sia pur necessariamente abbastanza sintetico, è tuttavia esaustivo, a tutto vantaggio ovviamente di chi legge che così può avere una visione completa di tutte le sue opere, tale da comprendere la grandezza del loro autore, ma anche da invogliarlo a procedere alla loro lettura.

Per quanto i libri dei singoli cicli siano rappresentativi delle realtà di una società in evoluzione (basti pensare a Occidente, con la tematica del terrorismo che ha insanguinato a lungo l’Italia) e dunque siano tutti estremamente interessanti, compreso quello della famiglia, così cambiata negli anni, credo che Ferdinando Camon sia più noto per i suoi romanzi del Ciclo degli ultimi (Il Quinto Stato, La vita eterna, Un altare per la madre, Mai visti sole e luna, La mia stirpe). Lì si parla di una civiltà millenaria scomparsa in pochi anni, un mondo che era tutto a sé, fatto di miseria, di superstizioni, ma anche di reciproco soccorso, laddove la civiltà contadina per uno nato oggi sarebbe del tutto incomprensibile. Il tema è particolarmente sentito da Camon perché lui era parte di questa civiltà, figlio di contadini viveva in campagna, e quindi ne ha conosciuto i riti, è stato testimone della sua arretratezza, ha provato sulla sua pelle la sofferenza di essere contadino. Ed è stato proprio Il Quinto Stato il libro che lo ha fatto conoscere ai lettori, un volume che ha beneficiato della prefazione di Pier Paolo Pasolini, suo grande estimatore. Sono poche righe, due paginette sul cui contenuto tuttavia lo scrittore padovano dissente; all’epoca non si oppose, vista anche la notorietà del prefatore, ma in seguito, ripensandoci, si accorse che l’immagine che Pasolini aveva ritratto era di una civiltà sì morta, ma a cui era auspicabile tendere di nuovo, considerandola una sorta di Arcadia. Invece, il mondo contadino si estrinsecava in una situazione statica, in una vita di autentica sofferenza per una miseria atavica e che pareva irrimediabile; pertanto, secondo Camon, era più che giusto che finisse, demolito dall’industrializzazione e dal consumismo, grazie ai quali tanti miserabili potevano accedere a un po’ di benessere e a un’esistenza più dignitosa, ma come sempre capita laddove prevale il denaro si perdono i sentimenti, gli unici pregi fra tanti difetti. Al riguardo mi sovvengo di una frase che Ferdinando Camon inserì in una risposta all’intervista che gli feci l’8 maggio 2009 e che ha una valenza universale, essendo una gran verità: ”Il progresso ha un prezzo. È molto quel che guadagniamo, ma è molto quel che perdiamo. Io racconto quel che perdiamo. Sono un narratore parziale e limitato, lo so e lo dichiaro. Non sono un narratore del progresso, ma del prezzo del progresso.”.  

Per quanto si tratti di saggistica, cioè di un lavoro di lenta assimilazione, mi sento di dire che Cerantola meglio non poteva fare, grazie anche allo stile snello e alla capacità di focalizzare rapidamente le tematiche, riuscendo a dire molto senza dilungarsi eccessivamente. Peraltro l’editore Apogeo ha corredato il libro di due scritti, uno del poeta e scrittore Gian Mario Villalta e l’altro del docente universitario e critico letterario Massimo Onofri, contributi importanti e autorevoli che lo impreziosiscono ulteriormente.

Non dico altro, meglio di me potrà dire la lettura di questo riuscito saggio.

Filippo Cerantola (Castelfranco Veneto, 1988), dopo aver maturato esperienze lavorative in diversi ambiti, dal 2020 insegna materie letterarie nelle scuole medie e superiori. Con Apogeo Editore ha pubblicato nel 2023 il libro Dear Gigi dedicato alle corrispondenze di Luigi Meneghello.

Renzo Montagnoli

 

 

 

3 Ottobre

Faccia di sale

di Eraldo Baldini

Fernandel Editore

Narrativa

Pagg. 144

ISBN 9788898605668

Prezzo Euro 13,00

 

Quel lato oscuro che è in noi

La Città, ormai Città Vecchia, per alcuni problemi deve essere spostata in una località vicina e il trasloco, corre l’anno 1699, avviene con gradualità; è già fatto tutto, ma rimangono da traslocare i morti del cimitero. Per motivi pratici, e anche igienici, si decide di metterli nella cripta della vecchia cattedrale, l’unico edificio che resterà in piedi a testimonianza del passato. Incaricato del servizio è Ruggero Derigo che però, per lucrare sull’incarico, vi adempie solo in parte; della circostanza si accorge il cugino Luigi Derigo, che è il vero protagonista della storia e che fissa un appuntamento nei pressi appunto dell’antico edificio religioso per avere una spiegazione. I due si incontrano, Luigi è da solo e ha la netta sensazione di essere caduto in una trappola, perché Ruggero è accompagnato da alcuni “bravi”. Infatti Luigi viene pugnalato, bastonato e il suo corpo è gettato nella cripta, già piena dei morti del cimitero. Ruggero ha architettato questo in quanto unico erede di Luigi, proprietario di una redditizia salina. Il delitto sembra andato a buon fine, ma Luigi, creduto morto, non lo è. Non vado oltre, perché la storia, che non è un horror, ma un noir, merita di essere scoperta dal lettore e dico subito che è una bella storia.

Al di là della trama, molto ben congegnata, l’interesse del romanzo sta nella dimostrazione di come in noi conviva sempre un lato oscuro, che può emergere in determinate circostanze, ma che in ogni caso si deve cercare di non far prevalere, affinché sia quella luce che portiamo dentro che possa sempre trionfare. Nella vicenda di Luigi, che sopravvive grazie all’aiuto di una vecchietta considerata da tutti una strega, il desiderio di vendetta, più che mai motivato, assume i contorni di una vittoria, sia pur temporanea, della bestia che è in noi e di cui fanno le spese anche degli innocenti. Ma poi, per fortuna, la ragione ha il sopravvento ed è come se l’individuo rinascesse a nuova vita; la tematica non è nuova e in essa si sono cimentati, anche in epoche passate, molti narratori, ma in Faccia di sale l’ambientazione, la trama e l’atmosfera sono resi al meglio, così che il mostro che è in noi emerge quasi con naturalezza, senza essere il frutto di torbide sperimentazioni come nel caso dello strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson.

Per quanto ovvio, la lettura è raccomandata.

Eraldo Baldini (Russi, 21 dicembre 1952)

Scrittore noir, si specializza in Antropologia culturale ed Etnografia, nei suoi romanzi ha saputo coniugare “gotico rurale”, noir e horror in una vena originale. Inizia a scrivere saggi in questo settore e approda alla narrativa negli anni '90. Nel 1991 vince il Myfest di Cattolica con il racconto Re carnevale. Scrive una lunga serie di romanzi, tra cui due per ragazzi: L'estate strana (edizioni EL, 1997) e Le porte del tempo (Disney Avventura, 2001).
La notorietà arriva con il romanzo Mal'aria (Frassinelli 1998, 2003), pubblicato anche in Francia, con cui vince il prestigioso premio "Fregene". Tra i suoi libri ricordiamo Come il lupo (Einaudi, 2006) con cui ha vinto il premio "Predazzo" 2006; Melma (Edizioni Ambiente, 2007), Quell'estate di sangue e di luna (Einaudi 2008), L’uomo nero e la bicicletta blu (Einaudi 2011), Gotico rurale (Einaudi 2012), Nevicava sangue (Einaudi 2013), Stirpe selvaggio (Einaudi 2016), La palude dei fuochi erranti (Rizzoli 2019). Per Fernandel nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti umoristici Fra l'Adriatico e il West.

Renzo Montagnoli

 

 

 

27 Settembre

Donne di carta in Sicilia.

Itinerari sulle orme delle scrittrici

di Marinella Fiume

Edizioni Il Palindromo

Saggistica

Pagg. 256

ISBN 9791281391086

Prezzo Euro 19,50

 

Sempre dalla parte delle donne

Marinella Fiume è una scrittrice caratterizzata dal grande impegno civile volto a porre in risalto i soggetti più deboli, da tempo ingiustamente trascurati o al peggio vessati, e fra questi soprattutto le donne, la cui completa emancipazione e parificazione con l’uomo è ancor ben lungi dall’essere realizzata. Al riguardo rammento le figure che hanno avuto l’impudenza di esprimere un’opinione, in un’epoca in cui anche un parere personale poteva costituire un vero e proprio delitto (La bolgia delle eretiche) , le vittime di una collettiva violenza sessuale

(Le ciociare di Capizzi)  e personaggi in carne ed ossa o anche mitici che, nonostante il loro sesso, sono riusciti a far rilevare la loro presenza (Strèuse. Strane e straniere in Sicilia).

In questa attività, che è fatta anche di partecipazioni a manifestazioni, a convegni, mancava per quella che è una narratrice una ricerca di letteraria di donne della sua terra che hanno lasciato una maggiore, o minore impronta, ma pur sempre un segnale di esistenza e di riscatto, in quest’arte. E così Marinella Fiume si trasforma in un odierno Goethe per compiere un itinerario in Sicilia, alla scoperta sì di località, ma che presentino scrittrici più o meno note, dove meno note non vuol dire meno brave, ma che per motivazioni varie non hanno avuto la fortuna di incontrare un ampio pubblico di lettori. Non crediate che si tratti anche di una descrizione dei principali monumenti di ogni luogo, perché questo è un compito che è lasciato opportunamente alle apposite guide turistiche; qui, invece, si parla di scrittrici o che hanno avuto i natali in una località degli itinerari, oppure che vi hanno soggiornato, o addirittura di personaggi protagoniste di romanzi.

Come struttura nel libro sono presenti tre ampi itinerari di viaggio, di cui il primo si addentra nelle province di Messina, di Catania e di Siracusa, il secondo attraversa quelle di Ragusa, Enna e Caltanissetta, il terzo e ultimo si snoda in quelle di Palermo, Trapani e Agrigento. Tre percorsi finiscono con l’essere tre possibilità di scelta per il turista culturale, che preferendone magari uno già ben delineato dalla Fiume evita di disperdere le sue forze in un’area troppo ampia, mancando, come spesso accade, località di notevole interesse. Ovviamente ogni itinerario ha le sue artiste della penna, così il primo ci porta a scoprire i luoghi dell’infanzia di Goliarda Sapienza, nonché le località della poetessa Maria Lo monaco, e non vado oltre, sia per ragioni di spazio, sia per evitare di fare un riepilogo eccessivamente pedante di quanto riportato nel libro. Ed è solo per questo motivo che non riferisco altro per quanto concerne il secondo e il terzo itinerario.

E’ una lettura senz’altro piacevole, ma anche gratificante, perché la bellezza dei luoghi emerge prepotente unitamente alle caratteristiche e allo spirito delle scrittrici di cui si parla, un connubio fra arte e natura reso molto bene e che molto probabilmente è il maggior pregio di questo libro, che si completa con la scheda biografica di ognuna di quelle che l’autrice ha chiamato graziosamente “donne di carta”.

Se devo essere sincero Marinella Fiume con quest’opera ha portato a una riscoperta della Sicilia, di particolare interesse per chi ama la letteratura in genere, e l’isola non è certamente priva di autori e autrici di rilievo, anzi ne ha in abbondanza.

Da leggere, mi pare ovvio.

Marinella Fiume nata a Noto (Sr), laureata in Lettere classiche, dottore di ricerca in Lingua e Letteratura italiana; già docente di Lettere nei Licei, ha collaborato per un decennio con la “Scuola universitaria di specializzazione per l’insegnamento nelle Superiori” dell’Università di Catania. È stata per due legislature sindaca del Comune di Fiumefreddo di Sicilia (Ct). Tra le sue pubblicazioni: Sibilla arcana. Mariannina Coffa (2000); Celeste Aida Una storia siciliana (2008); la curatela del Dizionario biografico Siciliane (2006) e della raccolta di racconti La memoria dei nonni (2021); Feudo del mare. La stagione delle donne (2010); Sicilia esoterica (2013); Di madre in figlia. Vita di una guaritrice di campagna (2014); La bolgia delle eretiche (2017); Ammagatrìci (2019); Le Ciociare di Capizzi (2020); Strèuse. Strane e straniere in Sicilia (2023). Con Fulvia Toscano è ideatrice e direttrice artistica del Festival “La Sicilia delle donne”. 

Renzo Montagnoli

 

 

20 Settembre

Il segno di Attila

di Guido Cervo

Edizioni Piemme

Narrativa

Pagg. 571

ISBN 978-8856602951

Prezzo Euro 12,00

L’invasione della Gallia

Ho letto ormai pressoché tutto della non trascurabile produzione di Guido Cervo, autore di romanzi ambientati in epoche diverse, opere di cui sempre ho potuto apprezzare la fondatezza storica e l’assenza di eccessi nella creatività, sia per quanto concerne i personaggi realmente vissuti, sia per quanto riguarda quelli frutto esclusivamente di fantasia. In questo libro, Il segno di Attila, si occupa della guerra fra unni e romani, in piena decadenza dell’impero che ha già subito parecchie invasioni barbariche e che addirittura nel 455 ha patito il sacco di Roma da parte dei vandali di Genserico, allorché la città non era più da tempo capitale dell’impero, essendo divenuta tale nel 402 Ravenna, dove Onorio trasferì la sua corte per le maggiori capacità di difesa offerte dal nuovo insediamento. In effetti, l’occidente romano sembrava diventato facile terreno di conquista, consentendo a barbari provenienti dal Nord e dall’Est di erodere piano piano i territori che erano stati parte dell’impero. Una minaccia particolarmente pericolosa veniva dagli Unni, il cui re Attila si era messo in testa di occupare la Gallia, desideroso di impalmare Onoria, sorella dell’imperatore Valentiniano III, in ciò spronato da un desiderio espresso dalla stessa di essere liberata dall’ambiente oppressivo di corte. Attila di certo equivocò, perché a Onoria non era mai passata per la mente l’idea di unirsi in matrimonio con il potente re degli Unni. Agli inizi della guerra i feroci Unni dilagarono in Gallia, ma poi si trovarono di fronte il magister militum Flavio Ezio, che riuscì ad avere come alleati i visigoti e altre tribù germaniche. Lo scontro avvenne il 20 giugno del 451 ai campi Catalaunici e la vittoria arrise ai romani, ma Flavio Ezio evitò di ottenere un risultato schiacciante, nel timore che l’annientamento degli Unni potesse di fatto rafforzare notevolmente i Visigoti. Fu un errore gravissimo, perché l’anno dopo Attila rivolse le sue mire sull’Italia.

Come al solito, grazie al suo stile, mai ampolloso, conciso, senza essere eccessivamente breve, Cervo ha confezionato un romanzo che si legge con vero piacere, un puro e appagante svago che mi ha tenuto compagnia nelle ore torride di un’estate più tropicale che italiana. Quel che stupisce nel romanzo è la capacità di coinvolgimento del lettore, che si sente attratto, oltre che dalla trama, dalla personalità dei protagonisti, veramente indovinati, e per non farci mancare niente Cervo è riuscito anche a inserire una passione amorosa, che è ulteriore motivo di conflitto fra l’unno Balamber e il romano Sebastiano.

Per quanto ovvio Il segno di Attila è più che meritevole di lettura.

Guido Cervo (Bergamo, 19 febbraio 1952) vive e lavora a Bergamo, dove ha svolto la professione di docente di Diritto ed Economia presso l'istituto superiore "Maironi da Ponte". I suoi romanzi, tutti pubblicati da  Piemme, sono il frutto di ricerche storiche approfondite, che contribuiscono alla ricostruzione di affascinanti ambientazioni e scenari, teatro di eventi riguardanti importanti personaggi storici, cui si intrecciano trame nate dalla fantasia dell'autore. Attualmente risultano pubblicate le seguenti opere: Il legato romano (2002), La legione invincibile (2003), L’onore di Roma (2004), Il centurione di Augusto (2005), Il segno di Attila (2005), Le mura di Adrianopoli (2006), L’aquila sul Nilo (2007), I ponti della Delizia (2009), La croce perduta (2010), La battaglia sul lago ghiacciato ( 2011), La setta dei mantelli neri (2013), Bandiere rosse, aquile nere (2016), Il generale di Diocleziano (2020).

Renzo Montagnoli

 

 

 

9 Settembre

Stirpe selvaggia

di Eraldo Baldini

Edizioni Einaudi

Narrativa

Pagg. 298

ISBN 9788806225926

Prezzo Euro 18,00

 

Una indistruttibile amicizia

Stirpe selvaggia è la storia di un’amicizia fra tre bambini coetanei di nove anni, Mariano, Rachele e Amerigo, quest’ultimo concepito in America nel corso di un fugace rapporto della madre con Buffalo Bill; sullo sfondo ci sono  i boschi dell’Appennino bolognese, carichi di leggende che li rendono esseri animati, ammantando il tutto di un alone magico. La trama inizia nel lontano 1906 e finisce nel novembre del 1944, un arco di tempo di particolare rilievo nella prima metà dello scorso secolo. Il paesino dove vivono i tre bimbi, San Sebastiano in Alpe, è popolato da personaggi indimenticabili e ricorda un po’ la Macondo di Gabriel García Márquez, sebbene in veste italiana e per certi aspetti migliore di quella uscita dalla penna del narratore colombiano.  

In mezzo secolo, con la presenza di due guerre, c’è molto da raccontare anche riguardo a quel piccolo borgo montano, ma soprattutto c’è il grande valore dell’amicizia, capace di superare tutte le difficoltà, tanto che anche quando le circostanze, gli eventi separeranno i tre ragazzi, ormai diventati adulti, loro sapranno poi ritrovarsi, suggellando con un atto di eroismo quel lontano sentimento che li ha sempre accomunati.  

In 298 pagine Baldini dice tanto, parla di un Italia in itinere, un paese che non ha ancora trovato la sua via da percorrere unito, un popolo con le accentuate differenze sociali che portano inevitabilmente a dei disordini; poi c’è la tragedia della Grande Guerra, da cui Amerigo, ormai chiamato Bill in virtù del padre, che peraltro non l’ha riconosciuto, e Mariano, entrambi arditi, torneranno, per quanto feriti, con il secondo addirittura privato del braccio sinistro. I giorni e gli anni corrono e se Bill è sempre in cerca di giustizia, il che finirà per metterlo nei guai, Mariano coglierà l’opportunità offerta dall’iscrizione al partito fascista.

Benché divisi politicamente resteranno sempre amici, pronti ad aiutarsi come accadrà nel novembre del 1944 in un finale di grande pathos, ma il pathos non è solo lì, l’emozione è dietro l’angolo in ogni pagina, con le poetiche descrizioni della natura, con i personaggi che ricordano i folletti, come il mingherlino Ercole e la gigantesca moglie Cristofora, oppure come l’albino Giovanni, un campionario di varia umanità che tiene sospesa la narrazione fra realtà e fantasia, un difficile equilibrio che però non viene mai meno.

E’ bravo Eraldo Baldini, ha una scrittura pregevole, esauriente senza che si trasformi in pignoleria, con un ritmo costante che chissà perché mi ricorda quello dei valzer, e forse è così, perché in fondo il romanzo sancisce la fine di un’epoca, chiamata Belle Epoque, felice per pochi, perché i proletari vivevano sempre alla giornata. Prima c’è stata la Grande Guerra, poi il fascismo, poi la seconda guerra mondiale, tutto in nemmeno cinquant’anni, tutto che cambia, tranne una indistruttibile amicizia fra tre coetanei cresciuti insieme, tre protagonisti sicuramente indimenticabili.

Stirpe selvaggia è un capolavoro.

Eraldo Baldini (Russi, 21 dicembre 1952)

Scrittore noir, si specializza in Antropologia culturale ed Etnografia, nei suoi romanzi ha saputo coniugare “gotico rurale”, noir e horror in una vena originale. Inizia a scrivere saggi in questo settore e approda alla narrativa negli anni '90. Nel 1991 vince il Myfest di Cattolica con il racconto Re carnevale. Scrive una lunga serie di romanzi, tra cui due per ragazzi: L'estate strana (edizioni EL, 1997) e Le porte del tempo (Disney Avventura, 2001).
La notorietà arriva con il romanzo Mal'aria (Frassinelli 1998, 2003), pubblicato anche in Francia, con cui vince il prestigioso premio "Fregene". Tra i suoi libri ricordiamo Come il lupo (Einaudi, 2006) con cui ha vinto il premio "Predazzo" 2006; Melma (Edizioni Ambiente, 2007), Quell'estate di sangue e di luna (Einaudi 2008), L’uomo nero e la bicicletta blu (Einaudi 2011), Gotico rurale (Einaudi 2012), Nevicava sangue (Einaudi 2013), Stirpe selvaggio (Einaudi 2016), La palude dei fuochi erranti (Rizzoli 2019). Per Fernandel nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti umoristici Fra l'Adriatico e il West.

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

30 Agosto

L’aquila sul Nilo

di Guido Cervo

Edizioni Piemme

Narrativa

Pagg. 480

ISBN 978885661461

Prezzo Euro 11,50

Un sogno a occhi aperti

Delle notevoli capacità di Guido Cervo ho avuto ampia prova in più occasioni, in romanzi storici ambientati in epoche diverse, ma tutti egualmente avvincenti, scritti in un italiano impeccabile e con uno stile che non solo non affatica il lettore, ma che lo affascina. Tuttavia, come sempre, pur nell’eccellenza, c’è sempre qualcosa di più della stessa ed è questo il caso di L’aquila sul Nilo, un’opera che non è solo frutto di pura fantasia. Infatti la ricerca delle sorgenti del Nilo fu disposta da Nerone e la spedizione che ne seguì, comandata da due centurioni dei pretoriani, si svolse tra il 61 e il 62 d.C.; come accadde in realtà, anche per la limitatezza dei mezzi impiegati per un’impresa ancor oggi di particolare complessità, il risultato non venne, o meglio gli esploratori poterono solo percorrere una parte, anche se significativa, dell’intero percorso. Il libro di Guido Cervo ci parla di questa spedizione dando spazio a un’ampia creatività, pur in presenza di elementi, quali località, popolazioni, eventi dell’epoca che sono veritieri. I protagonisti sono senz’altro ben azzeccati, descritti anche nel loro carattere con poche efficaci parole; troviamo così i due pari grado Marco Damazio e Gaio Terenzio, diversi per carattere, ma ugualmente bravi e atti al comando, il tribuno Marco Valerio, comandante del piccolo contingente di legionari di stanza a Meroe, capitale della Nubia, lì presente dopo aver aiutato quel regno in una difficile guerra, la bellissima ed enigmatica regina Amanikatashan. La descrizione della navigazione sul Nilo, delle avventure e disavventure incontrate in quella via terra, i panorami di un mondo così diverso dal nostro, le languide albe e i caldi tramonti finiscono con l’avvincere il lettore, poco a poco lo rendono partecipe di fatiche immani, gli fanno percepire l’odore dolciastro del sangue, gli incutono i timori e le paure che effettivamente devono avere provato quegli esploratori. Fra tribù amiche e altre ostili, incalzati dagli antropofagi i membri della spedizione, in numero sempre più ridotto per decessi dovuti a febbri malariche o ad aggressioni degli indigeni, proseguono per la gloria di Roma. In questo quadro, di per sé già importante, si inseriscono poi l’amore di un tribuno per la bellissima regina dei nubiani e la guerra che questa deve sostenere contro un tentativo di usurpazione. Ci sono battaglie sanguinose descritte mirabilmente, ma anche scene di intimità coinvolgenti e descritte con mano felice e leggera, insomma tutto quanto si può desiderare in quello che senza ombra di dubbio può essere considerato un romanzo veramente bello e senz’altro, se non il migliore, uno dei migliori fra quelli scritti da Guido Cervo, l’ideale per trascorrere ore piacevoli entrando a far parte di un sogno a occhi aperti.

Guido Cervo vive a Bergamo. È autore di romanzi di successo, tutti pubblicati da Piemme, tra cui Il Teutone, e due titoli che affrontano i tragici conflitti mondiali del Novecento: Via dalla trincea Bandiere rosse, aquile nere. Nel 2022 è uscito I centurioni del Malabar. La legione invincibile è il secondo volume della serie Il legato romano, che comprende La difesa dell’ImperoL’onore di Roma e Il generale di Diocleziano, e che racconta le gesta del legato Valerio Metronio.

Renzo Montagnoli

 

 

26 Agosto

Croce e il fascismo

di Mimmo Franzinelli

Laterza Editori

Storia

Pagg. 400

ISBN 9788858146392

Prezzo Euro 29,00

Il filosofo e la dittatura

I rapporti fra Benedetto Croce e il fascismo costituiscono una storia di particolare interesse che la penna di Mimmo Franzinelli con questo suo saggio fa diventare affascinante. Di questo autore ho già apprezzato i suoi scritti sul fenomeno del fascismo e mai avrei pensato che andasse a indagare sull’attività del filosofo abruzzese, benché sia a tutti noto come nel ventennio abbia rappresentato l’unica voce libera e indipendente espressa sul suolo italico. Certo, Benedetto Croce era un intellettuale di primo piano, di notevole prestigio internazionale, a cui il regime accordò una certa libertà di espressione, non solo per il carisma che era proprio del filosofo, ma anche perché così manteneva la speranza di poterlo avere un giorno fra i suoi esponenti, rappresentando quella figura indispensabile per dare una patina ideologica e culturale a un movimento che invece lì aveva delle notevoli carenze. Il libro di Franzinelli è ben strutturato e ripercorre le varie fasi di avvento, di consolidamento e infine di decadenza del fascismo, ovviamente tenendo conto dei rapporti instaurati con Benedetto Croce che agli inizi, da buon liberale, vide in Mussolini e nei suoi seguaci l’irripetibile occasione per frenare la possibilità di un avvento del comunismo in Italia; in tal senso appoggiò il fascismo, arrivando perfino a votare la fiducia al governo Mussolini successivamente all’uccisione di Giacomo Matteotti. Al riguardo diede una giustificazione del suo comportamento non proprio convincente, che anzi definirei puerile, tanto più che era consapevole che ormai si andava verso una dittatura, che lui era convinto fosse necessaria, ma di carattere temporaneo e comunque passibile di facile rimozione. E’ solo quando scrisse Il manifesto degli intellettuali antifascisti, apparso sul quotidiano Il Mondo il 1° Maggio 1925, che fece chiarezza sul suo comportamento, in precedenza abbastanza ondivago, il che mi induce a pensare che come filosofo fosse indubbiamente valido e coerente, mentre come politico cercasse solo di galleggiare in una successione di fatti che rispondevano sempre meno alle sue aspettative. E’ evidente che con la pubblicazione di quel manifesto Croce fece la sua scelta e fu una scelta di civiltà e di libertà. Inoltre ciò indusse molti giovani a considerarlo come un padre putativo della loro lotta non sola politica alla dittatura, e fra questi valga un nome per tutti, e cioè Piero Gobetti.

Per le masse non costituì un faro proprio per la loro limitata istruzione e fu anche questa una delle ragioni per le quali il regime lo tollerò, convinto che fosse meglio non trattarlo alla stregua degli altri antifascisti, anche perché aveva in tal modo la possibilità di sapere chi era in contatto con lui, anche solo epistolare, e quindi di esercitare tutti quei controlli che sono propri della polizia politica di una dittatura.

Lo scritto di Franzinelli è veramente completo e, benché si sapesse che Croce non fosse di certo un razzista, riporta tutto il suo impegno nell’opposizione alle leggi razziali che interessarono gli ebrei, impegno che non solo non fu irrilevante, ma che risultò ampiamente superiore a quello di altri intellettuali.

Ormai sono diversi i saggi che leggo scritti dal saggista bresciano e trovo una costante ampiezza di esposizione, pur su un percorso di una apprezzabile linearità, al punto che alla fine si può affermare in tutta tranquillità di essere stati resi edotti in modo approfondito e anche piacevole, senza la grevità che caratterizza non pochi testi storici.

Quindi la lettura di Croce e il fascismo è da me senz’altro consigliata.

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019)

Renzo Montagnoli

 

 

 

30 Luglio

Il centurione di Augusto

di Guido Cervo

Edizioni Piemme

Narrativa

Pagg. 223

ISBN 9788838485220

Prezzo Euro 16,90

Il massacro della foresta di Teutoburgo

La più grande disfatta dell’esercito romano dopo Canne avvenne il 9 d.C., nella selva di Teutoburgo, allorché tre legioni, sotto il comando di Publio Quintilio Varo, attirate in un tranello da Arminio, ufficiale delle truppe ausiliarie dello stesso Varo, furono letteralmente fatte a pezzi da una coalizione di tribù germaniche. Data la risonanza dell’evento, a parte i saggi storici, sono stati scritti anche diversi romanzi e fra questi uno dall’esperto Guido Cervo. Il centurione di Augusto è la storia di Calidio, ufficiale romano, presente alla battaglia nella selva e che riesce avventurosamente a scampare al massacro, ben consapevole tuttavia che a seguito della perdita dell’aquila, l’insegna simbolo della sua legione, risulterà agli occhi di tutti gravemente disonorato e subirà delle conseguenze pesanti, prima fra tutte la privazione dell’indennità che gli spetterebbe alla fine di quella ferma che dovrebbe avvenire a breve. La sua vicenda si intreccia con quelle di altri superstiti, non solo militari, ma anche civili e fra questi due donne, con una delle quali vige da tempo una reciproca simpatia che finirà con il diventare amore.

Si tratta di un libro relativamente breve (223 pagine) in cui Cervo riesce a condensare molto, riuscendo anche a mantenere un ritmo piuttosto dinamico in un’atmosfera di terrore, dolore e morte. Una volta di più si appezza lo stile snello, ma non povero, e nemmeno più ci si stupisce per la splendida caratterizzazione dei personaggi, che prendono vita di fronte ai nostri occhi.

La lettura, pertanto, è assai piacevole e consente di trascorrere alcune ore quasi vivendo le vicende dei diversi protagonisti, un pregio non da poco e non frequente.

Guido Cervo vive a Bergamo. È autore di romanzi di successo, tutti pubblicati da Piemme, tra cui Il Teutone, e due titoli che affrontano i tragici conflitti mondiali del Novecento: Via dalla trincea Bandiere rosse, aquile nere. Nel 2022 è uscito I centurioni del Malabar. La legione invincibile è il secondo volume della serie Il legato romano, che comprende La difesa dell’ImperoL’onore di Roma e Il generale di Diocleziano, e che racconta le gesta del legato Valerio Metronio.

Renzo Montagnoli

 

 

25 Luglio

Nevicava sangue

di Eraldo Baldini

Edizioni Einaudi

Narrativa

Pagg. 249

ISBN 9788806214661

Prezzo Euro 18,00

All’inferno e ritorno

Occorre andare all’inferno e poi ritornare per poter reclamare la propria dignità di essere umano, per poter rialzare la testa e non essere più un servo della gleba. Francesco Mambelli, un mandriano di ventisei anni, che vive miseramente con la madre e con la figlioletta in una fattoria romagnola, è un uomo umile e tranquillo che si accontenta della sua condizione quasi che fosse naturale essere sottomessi a un padrone che tutto vuole e nulla dà. Il Morri, così si chiama il proprietario di quell’azienda, gli propone di sostituire il figlio nella chiamata alle armi, una proposta che è accompagnata dalla promessa di mantenere durante la sua assenza i familiari e da un congruo premio al ritorno. Se non dovesse accettare, però, ci sarebbe l’immediato licenziamento e così, con dolore, Francesco accetta, si arruola ed entra a far parte della napoleonica grande armata che si appresta a invadere la Russia. Se la marcia di avvicinamento a quel grande paese e poi la sua invasione fino ad arrivare a Mosca è già una tragedia, con le truppe in preda ai morsi della fame e a epidemie varie che le decimano, il ritorno, o meglio la ritirata, in un inferno di neve, di freddo e di fuoco, è un incubo. E’ vero, però, che certe prove fortificano gli uomini e infatti Francesco, che riesce a tornare a casa fra mille peripezie, si ritrova con l’animo indurito, ma soprattutto consapevole delle sue possibilità, e lo dimostra chiaramente nel verificare quanto accaduto in sua assenza.

Eraldo Baldini, di cui ho già letto con questo tre prose, si dimostra un narratore di razza, capace di attrarre il lettore non solo con le sue trame, ma anche con lo stile conciso, però non povero, con descrizioni di paesaggi di grande respiro, con le atmosfere, sempre attentamente confezionate, senza dimenticare la perfetta caratterizzazione dei personaggi.

L’ho scoperto da poco, quasi per caso, ma è proprio il caso di dire meglio tardi che mai, perché certi autori che inspiegabilmente non hanno ampia risonanza dimostrano spesso qualità letterarie rare a trovarsi ed Eraldo Baldini è senz’altro uno di questi.

Eraldo Baldini (Russi, 21 dicembre 1952)

Scrittore noir, si specializza in Antropologia culturale ed Etnografia, nei suoi romanzi ha saputo coniugare "gotico rurale", noir e horror in una vena originale. Inizia a scrivere saggi in questo settore e approda alla narrativa negli anni '90. Nel 1991 vince il Myfest di Cattolica con il racconto Re carnevale. Scrive una lunga serie di romanzi, tra cui due per ragazzi: L'estate strana (edizioni EL, 1997) e Le porte del tempo (Disney Avventura, 2001).
La notorietà arriva con il romanzo 
Mal'aria (Frassinelli 1998, 2003), pubblicato anche in Francia, con cui vince il prestigioso premio "Fregene". Tra i suoi libri ricordiamo Come il lupo (Einaudi, 2006) con cui ha vinto il premio "Predazzo" 2006; Melma (Edizioni Ambiente, 2007), Quell'estate di sangue e di luna (Einaudi 2008), L´uomo nero e la bicicletta blu (Einaudi 2011), Gotico rurale (Einaudi 2012), Nevicava sangue (Einaudi 2013), Stirpe selvaggio (Einaudi 2016), La palude dei fuochi erranti (Rizzoli 2019). Per Fernandel nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti umoristici Fra l'Adriatico e il West.

Renzo Montagnoli

 

 

 

20 Luglio

L’occhio dei poeti

di Patrizia Fazzi

Edizioni del Leone

Poesia

Pagg. 128

ISBN 978-8873143475

Prezzo Euro 15,00

 

Il terzo occhio?

C’è una poesia in questa raccolta che dà il titolo alla stessa e che, leggendola, mi ha fatto venire in mente il famoso esoterico terzo occhio, per intenderci quello che dovrebbe consentire di vedere chiaramente dentro di noi e di pervenire a orizzonti di coscienza notevolmente superiori. Con ogni probabilità Patrizia Fazzi non ha avuto la mia stessa idea quando l’ha scritta, però è altrettanto vero che il poeta è in grado di andare oltre le apparenze cercando di svelare mondi che sono ai più sconosciuti. Non sarà merito dell’esoterico terzo occhio interiore, la cui esistenza è stata solo ipotizzata, ma sta di fatto che chi scrive poesie ha una sensibilità tutta particolare che gli consente di rimuovere, almeno in parte, i veli che celano l’oltre, ciò che la maggior parte nemmeno percepisce, ma è esistente. E scrive bene al riguardo la poetessa: L’occhio dei poeti guarda lontano / l’occhio dei poeti vede nel buio /…; come è possibile comprendere la poesia parla appunto di questa capacità e lo dice in modo esplicito, chiaro e del tutto comprensibile, un concetto che mi sento senz’altro di condividere.

La raccolta, però, non è solo questo, ci sono composizioni con le quali si esprime una ricerca interiore, di tono intimistico e altre che riflettono esperienze di ogni giorno, mettendo in luce sentimenti che sono propri di ogni essere umano, ma che sono particolari in chi ha un’anima poetica, come in una lirica, che mi ha colpito in modo particolare, dedicata ai suoi alunni e ai giovani e di cui riporto di seguito qualche verso esplicativo: Vi lascio così / come figli miei, / perché così vi ho sentito, / pianticelle cresciute nel vaso angusto delle aule, / terra su cui ogni giorno ho sparso / semi e gocce con pazienza e passione, / …./ Vorrei innaffiarvi ancora di letture, / offrirvi coni gelato di poesie, / .../ Tappezzerò di voi la stanza dei ricordi, / quelli più incancellabili e segreti, / e vi lascio così, / per sempre un po’ anche figli miei. Sono versi scritti con emozione, ma anche con sapienza, visto che l’autrice è riuscita a trasmettere perfettamente il suo stato d’animo, che è in bilico fra la malinconia derivante dal dover lasciare le creature da lei forgiate e l’orgoglio di esserne stata l’artefice.

Si tratta comunque di una silloge quanto mai varia e anche proprio per questo occorrerebbero molte più pagine per parlarne nella misura necessaria; resta però viva un’immagine, forse da terzo occhio, e cioè un canto a una poesia che, al di là della penna che incide le pagine, è un volo verso l’alto dei cieli, è un liberarsi dalle catene degli impegni e dei doveri della materialità di tutti i giorni per ascendere anche noi che leggiamo verso mondi sconosciuti e meravigliosi.

Patrizia Fazzi è nata e vive ad Arezzo. Per completezza si prega di cliccare sul seguente link: https://www.associazionescrittoriaretini.it/patrizia-fazzi/

Renzo Montagnoli

 

 

 

15 Luglio

Delatori.

Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista

di Mimmo Franzinelli

Edizioni Feltrinelli

Storia

Pagg. 460

ISBN 9788807723681

Prezzo Euro 15,00

 

Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto

Chi è il delatore? Il dizionario Treccani così dice: “Chi per lucro, per vendetta personale, per servilismo verso chi comanda o per altri motivi, denuncia segretamente qualcuno presso un’autorità giudiziaria o politica, soprattutto qualora eserciti abitualmente tale attività.”.  Quindi si tratterebbe di omuncoli, almeno nella maggior parte dei casi, e sono personaggi sempre esistiti, ma che fioriscono in modo incredibile durante le dittature. Delatori ci sono stati nell’Unione Sovietica, specialmente all’epoca di Stalin, nella Germania nazista e nell’Italia fascista. Poche volte questi individui sono mossi da ideali, perché prevale l’invidia e la sete di denaro; sotto le dittature sono essenziali per il regime, tanto più che presentano il vantaggio per chi comanda di poterli ricattare  perché ben di rado riescono a mantenere l’anonimato. Franzinelli si occupa di questa categoria che durante il fascismo si era sviluppata in modo incredibile; ricchi e poveri, laureati e quasi analfabeti, persone in vista e sconosciuti, insomma un campionario variegato di persone di notevole bassezza morale ha aiutato la dittatura per cattiveria, per invidia e anche per il vil denaro. Il fenomeno delle delazioni scoppiò, arrivando a livelli incredibili a partire dall’anno 1926 allorché uscirono nuove leggi liberticide per chi esprimeva il suo dissenso o si lamentava dell’andazzo. I provvedimenti contro gli ebrei poi furono la classica ciliegina sulla torta, con migliaia di israeiiti oggetto di delazioni, visto che ai tradizionali motivi si aggiungeva anche quello razziale. Si segnalava anche per avanzamenti di carriera, per evitare la galera per reati comuni, per avere un trattamento di riguardo qualora arrestati per motivi politici. Il regime era contento, perché così poteva stringere il cappio intorno al collo degli oppositori e tutti vivevano in una specie di timore indotto dalla possibilità di essere oggetto di delazione. Mimmo Franzinelli scopre con questo testo un comportamento vergognoso di tanti italiani e se è vero che non pochi aiutarono gli ebrei e i partigiani, è altrettanto vero che tanti li denunciarono all’autorità di polizia.

Insomma non si trattò di casi sporadici, ma i delatori furono una moltitudine, fra cui non pochi insospettabili sia per l’attività svolta, sia perché ben capaci di nascondere il viscido tipico di questi soggetti. Erano utili al regime, come si è detto, e allora è lecito chiedersi che accadde quando il regime finì, nei modi che tutti ben sappiamo. Nei giorni immediatamente successivi alla liberazione avvenne la punizione di alcune spie, quasi sempre condannate a morte con successiva immediata esecuzione. Penso sia superfluo dire che non poche volte si trattò di giustizia sommaria, visto che il reo non veniva a  essere definito tale dopo un rito processuale della magistratura, ma in verità, pur a fronte di eccessi e magari di errori, furono gli unici casi di punizioni, perché trascorso il primo periodo dopo la liberazione in cui gli animi erano ancora esacerbati, subentrò la fase di normalizzazione, che si tradusse anche nel decreto legislativo luogotenenziale che, per i reati commessi dopo l’8 settembre 1943, istituì le corti straordinarie d’assise che operavano nei capoluoghi di provincia e che fino alla loro abolizione alla fine del 1947 celebrarono circa ventimila processi. Circa l’esito degli stessi molto dipendeva dalla storia dei magistrati che le componevano, così poteva capitare che chi giudicava svolgesse analoga attività nei giorni della repubblica di Salò, con prevedibili risultati. Poi larga parte delle sentenze finirono per essere annullate dalla corte di Cassazione o rinviate a corti d’assise di altra provincia. Il colpo di grazia fu poi l’amnistia del 22 luglio 1946 per reati comuni, militari e politici commessi dopo l’armistizio, interpretata in modo largamente estensivo da magistrati cresciuti in epoca fascista. Si venne così a concretizzare il famoso motto “ Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, con tutti che vissero felici e contenti, meno ovviamente le povere vittime, un copione che ben conosciamo.

Mimmo Franzinelli ha parlato con la consueta capacità del fenomeno dei delatori, sulla base di un vastissimo materiale che dà la misura del problema; ne è uscito un saggio di pregevole fattura, in cui viene ben descritto un tassello della nostra storia che dimostra ancora una volta, ammesso che ce ne fosse bisogno, che il fascismo non è finito il 25 aprile 1945 e che il non aver fatto i conti con il nostro passato consente di poter ricadere negli stessi errori.

Da leggere, senz’altro.

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019). 

Renzo Montagnoli

 

 

9 Luglio

Come il lupo

di Eraldo Baldini

Edizioni Einaudi

Narrativa

Pagg. 235

ISBN 9788806175337

Prezzo Euro 14,50

 

Il mistero della Valchiusa

In parte fiaba, in parte romanzo gotico, Come il lupo è uno di quei libri che spiazzano il lettore, ma che anche lo interessano, perché ci sono tutti gli elementi indispensabili allo scopo: una valle, la Valchiusa, isolata, se non proprio fuori dal mondo però ai suoi confini estremi, una bimba malata, ma che ha il dono della preveggenza, una donna che ricorda lo stregone del villaggio unico tenutario di una medicina antica, i lupi che popolano i boschi dell’Appennino, un maresciallo della forestale che cerca di vederci chiaro in un mistero che lo tocca direttamente, il periodo storico, gli anni ‘50, in cui l’Italia ancora non si è ripresa dalle ferite della guerra, ma che sembra incamminata verso un’epoca di benessere e di grandi stravolgimenti.

Il personaggio principale è Nazario, maresciallo della Forestale, ex partigiano a cui sembra che gli crolli addosso il mondo con quel governo Scelba dalla parte dei padroni, con la moglie uccisa in una manifestazione di piazza e che gli ha lasciato una bimba diversa dalle altre, che ha un male che spaventa, l’epilessia; nei boschi ritrova se stesso, in cerca di lupi e in particolare di una femmina, Veruska, un animale sfuggente che quando sembra di poterle arrivare vicino per fotografarla scompare nel fitto della vegetazione e che gli ricorda tanto una giovane partigiana dell’est silenziosa, ma piena di ardimento nei combattimenti, sparita improvvisamente dopo che lui aveva cercato un contatto meno da compagni di lotta. Veruska donna e Veruska lupa rappresentano l’innato desiderio di libertà, quella libertà per la quale entrambe combattono e sono disposte anche a morire. E forse anche Nazario è a suo modo un lupo, solo che ancora non lo sa, perché gli manca la fiducia in se stesso. La Valchiusa è abitata da diverse famiglie, che vivono producendo un vino di grande qualità, unico al mondo, ottenuto da acini di uva rosata, attraversati da venature color rosso sangue che sembrano capillari sanguigni. Il prodotto, che ha la freschezza del bianco e la corposità del rosso ed è venduto a caro prezzo ad autentici estimatori, ha un nome strano, San  Guilatrone, ma non ha niente a che fare con un santo, perché deriva dal latino sanguis latronum, cioè sangue dei ladroni; c’è infatti una leggenda che corre in quella valle secondo la quale alcuni secoli prima quattro briganti vi erano arrivati per rubare e violare le donne, ma gli abitanti li avevano fatti prigionieri, adibendoli al lavoro della macina del mulino al posto degli asini che erano morti; dopo alcuni anni,  i ladroni, stremati e persa ogni speranza  di ottenere la libertà, avevano chiesto di essere uccisi ed erano stati accontentati. Una leggenda, o forse no, perché qualcosa di vero ci deve essere, se dopo un violento terremoto una crepa in prossimità dei vitigni riporta alla luce uno scheletro, di cui si accorge, grazie al suo cane al seguito, proprio il maresciallo. Mi fermo, non vado oltre, perché la vicenda narrata merita di essere letta, evidenziando solo che è particolarmente avvincente.

Eraldo Baldini (Russi, 21 dicembre 1952)

Scrittore noir, si specializza in Antropologia culturale ed Etnografia, nei suoi romanzi ha saputo coniugare "gotico rurale", noir e horror in una vena originale. Inizia a scrivere saggi in questo settore e approda alla narrativa negli anni '90. Nel 1991 vince il Myfest di Cattolica con il racconto Re carnevale. Scrive una lunga serie di romanzi, tra cui due per ragazzi: L'estate strana (edizioni EL, 1997) e Le porte del tempo (Disney Avventura, 2001).
La notorietà arriva con il romanzo Mal'aria (Frassinelli 1998, 2003), pubblicato anche in Francia, con cui vince il prestigioso premio "Fregene". Tra i suoi libri ricordiamo Come il lupo (Einaudi, 2006) con cui ha vinto il premio "Predazzo" 2006; Melma (Edizioni Ambiente, 2007), Quell'estate di sangue e di luna (Einaudi 2008), L´uomo nero e la bicicletta blu (Einaudi 2011), Gotico rurale (Einaudi 2012), Nevicava sangue (Einaudi 2013), Stirpe selvaggio (Einaudi 2016), La palude dei fuochi erranti (Rizzoli 2019). Per Fernandel nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti umoristici Fra l'Adriatico e il West.

Renzo Montagnoli

 

 

 

3 Luglio

L’angelo di Monaco

di Fabiano Massimi

Longanesi Editore

Narrativa

Pagg. 496

ISBN 9788830454002

Prezzo Euro 18,00 

 

Nessuno è come sembra

La vicenda raccontata è accaduta veramente, i personaggi che appaiono vi erano coinvolti, ivi compresi i due investigatori, insomma tutto quanto raccontato è effettivamente avvenuto e l’abilità del narratore è di avere messo nero su bianco, non asetticamente come in un rapporto di polizia, ma dinamicamente e in modo appassionante un fatto che lascia un alone di mistero sulla natura della morte di una bella ragazza, Angelica Raubal. Si è trattato di suicidio, come si è cercato di far credere, o di omicidio? La nipote dell’astro nascente Adolf Hitler, suo tutore, è stata vittima della gelosia dello zio, oppure di una depressione?

In questi casi, ove figurano politici di alto livello, tutto è possibile, soprattutto quando questi uomini importanti sono membri autorevoli del partito nazionalsocialista e rispondono ai nomi di Adolf Hitler, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Hermann Goering, Heinrich Himmler, Reinhard Heydrich, Baldur von Schirach e Heinrich Hoffmann. Il commissario di polizia che indaga, Sigfried Sauer, con la collaborazione del collega Helmut Forster, sa di procedere su un campo minato, costretto peraltro a lavorare fra chi gli intima di chiudere l’istruttoria nel giro di poche ore e chi invece vuole che proceda fino in fondo per scoprire la verità. E che si tratti di un’indagine difficile e pericolosa è testimoniato dal numero delle improvvise morti dei possibili testimoni, pure loro suicidi, ma non con un colpo di pistola come Angelica Raubal, Geli per gli amici, bensì appesi per il collo a una corda. I colpi di scena non mancano, anzi si susseguono, e il povero Sauer, che assomiglia fisicamente in modo straordinario a Reinhard Heydrich, non sa più a che santo votarsi, tanto più che è intervenuto un suo improvviso innamoramento per una cameriera. I giorni sono troppo corti, 24 ore non sono sufficienti, corre di qua e di là, o con un aereo guidato personalmente da Goering, o con una bella auto messa a disposizione, con tanto di autista, da Adolf Hitler. Passano i giorni, da sabato 19 settembre 1931 al venerdì della settimana successiva in un turbinio di avvenimenti, senza che si possa arrivare a una certezza, cioè se si sia trattato di omicidio o di suicidio, ma questo dilemma perde d’importanza nel momento in cui Sauer deve lottare per non soccombere e per salvare la donna amata.

L’angelo di Monaco è un giallo storico confezionato da Fabiano Massimi in modo impeccabile, perché non c’è una nota stonata, non c’è un personaggio che non sia stato tratteggiato con rara abilità; l’ambientazione e le atmosfere sono rese benissimo e il ritmo è costante, non blando, ma sostenuto, con qualche accelerazione dove solo è indispensabile. Il commissario Sauer è un personaggio di tutto rilievo, descritto bene, con i suoi timori, le sue incertezze, più che mai giustificate dal fatto che nessuno dei coprotagonisti è esattamente come sembra.

Il romanzo è veramente bello e talmente ben strutturato da far pensare che possa essere stato scritto da qualche esperto narratore anglosassone, e invece Fabiano Massimi è italianissimo e di Modena.

Mi pare superfluo il mio invito a leggere un’opera che sicuramente risulterà di completa soddisfazione.

Fabiano Massimi (Modena, 29 giugno 1977).  Laureato in Filosofia tra Bologna e Manchester, bibliotecario alla Biblioteca Delfini di Modena, da anni lavora come consulente per alcune tra le maggiori case editrici italiane. Tra le sue pubblicazioni: L’angelo di Monaco (Longanesi, 2020) e I demoni di Berlino (Longanesi, 2021).

Renzo Montagnoli

 

 

 

27 Giugno

I diari di Hitler

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Storia

Pagg. 374

ISBN 9788804505594

Prezzo Euro 10,00

 

Truffatori e truffati

Nell’aprile del 1983 il settimanale tedesco Stern  dichiarò di fronte a un pubblico costituito da circa 200 giornalisti e ventisette troupe televisive che era entrato in possesso dei diari segreti di Adolf Hitler, una notizia sensazionale che purtroppo finì con il rivelarsi il frutto di una colossale truffa, nonostante che fossero stati dati per autentici da tre storici famosi. Fu invece la polizia tedesca a rivelare quanto fossero fasulli, grazie a un’analisi forense attenta e rigorosa che appurò che erano scritti su carta che conteneva poliestere, polimero utilizzato solo dopo il 1953. Il bello è che il contenuto dei diari (60 quadernetti) non portava nulla di nuovo, visto che erano stati scritti copiando testi dei discorsi tenuti dal Fuhrer, e quindi già noti, con l’aggiunta solo di qualche osservazione personale del falsario, tale Konrad Kujau, dalla fedina penale non proprio immacolata. Quindi, qualora fossero stati autentici, non avrebbero avuto un interesse storico, soprattutto non sarebbero riusciti a giustificare la somma di 10 milioni marchi sborsati da Stern per entrarne in possesso.

Come è possibile comprendere il fatto è tanto più eclatante ove si consideri che il reo e la vittima sono tedeschi, gente di teutonica fierezza che è incline a considerare gli abitanti di altri paesi, soprattutto del sud, dei volgari truffatori, gente che magari tenta di vendere il Colosseo a qualche sprovveduto, ma qui se c’era uno sprovveduto è stato chi in Stern autorizzò l’esborso.

Il libro di Robert Harris ripercorre tutta la vicenda, partendo tuttavia da accadimenti ben anteriori, soprattutto per ben definire i personaggi coinvolti; purtroppo, nel far questo, si dilunga un po’ oltre misura, raccontando anche episodi di scarsa utilità, o comunque marginali, e così costringe il lettore a cercare di accelerare i tempi per poter finalmente arrivare alla narrazione della truffa vera e propria, narrazione che è veramente interessante e particolarmente avvincente e che salva l’intera opera, altrimenti gravata da una noia anche eccessiva. Se l’autore materiale, il falsario, è un personaggio del tutto particolare, l’altra figura che tanto è attiva nella truffa è addirittura un reporter di Stern, tale Gerd Heidemann, che prima di essere smascherato riuscì a raggirare molti altri e addirittura anche il falsario, per non parlare di una vecchia volpe come Rupert Murdoch, che abboccò velocemente all’amo.

Come è possibile comprendere si è trattato di una truffa colossale, resa possibile anche dagli errori in buona fede di tre noti storici, fra i quali il famoso Hug Trevor-Hoper, il cui giudizio di autenticità, preso con evidente leggerezza, rese possibile un caso più unico che raro che tenne banco a lungo sui media di tutto il mondo.

Da leggere.

Robert Harris (Nottingham, 7 marzo 1957), laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times".

È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

 

21 Giugno

La donna dei fili

di Ferdinando Camon

Apogeo Editore

Narrativa

Pagg. 216

ISBN 9791281386181

Prezzo Euro 18,00

 

Entrare nella psiche dell’altro sesso

Credo di aver letto tutti libri che ha scritto Ferdinando Camon, tranne tre: La malattia chiamata uomo, Il canto delle balene e La donna dei fili. Perché questa lacuna? Per l’argomento trattato che ha a che fare con l’analisi psicologica, tematica che non solo non mi ha mai interessato, ma che ho sempre considerato non di mio gradimento. Di ciò è consapevole l’autore padovano, anche per il rapporto di conoscenza che ci lega, ma ammetto che questa mancata lettura un po’ mi fa vergognare e pertanto, approfittando dell’uscita della nuova edizione di La donna dei fili, per i tipi di Apogeo, ho deciso di ovviare a questa mia mancanza, certo di fare cosa giusta e perciò ricorrendo al mio massimo impegno.

Con fatica, non poca peraltro, ho letto il libro e se non posso dire che mi ha entusiasmato, posso però anche confessare che, contrariamente alle mie iniziali previsioni, non mi è dispiaciuto. E confessare mi sembra il verbo giusto, visto che l’analisi, questo aprirsi, spalancare il proprio inconscio all’esame di uno specialista, è simile a una confessione, certamente non religiosa, ma civile, anche se i risultati sono diversi, come è ovvio che sia. 

Il romanzo, perché di romanzo si tratta, è la cronaca di un’analisi a cui si sottopone la quarantenne Michela, lei sul lettino, lo specialista su una poltrona.

Viene da chiedersi chi è il protagonista e verrebbe da dire subito Michela, ma non è così, perché il protagonista è Ferdinando Camon che ha usato l’artificio di trasformarsi in donna per entrare nell’intimo più recondito delle figure femminili. Non si pensi che abbia detto uno sproloquio perché del resto lo stesso autore, in quella paginetta bianca del volume che sta all’inizio e che spesso viene usata per una dedica autografata, ha scritto (testuali parole): “Sì, certo la donna dei fili sono io”, seguito dalla sua firma.

Come tutte le analisi va avanti seduta per seduta e progressivamente Michela svela il suo inconscio, da cui emergono notevoli disagi esistenziali (soffre di una grave forma di paranoia, con attacchi di panico e comportamenti asociali). Come in tutte le storie di un certo tipo il lieto fine è d’obbligo e così al termine del ciclo di terapia la donna, che prima si odiava, impara ad amarsi, così che può iniziare a relazionarsi anche con il marito e con la figlia che, per il suo atteggiamento, si erano allontanati.

La prova dell’autore padovano rivela un indubbio virtuosismo, perché, data “la finzione” di ogni romanzo, se Camon si immedesima nella donna (posso solo immaginare con quale notevole difficoltà), lo fa anche con lo psicanalista, che guarda caso è uomo, quasi un rientrare di tanto in tanto nell’essenza della mascolinità, messa indubbiamente a dura prova dal cercare di comprendere e interpretare il comportamento femminile.

Da ultimo mi sembra giusto spiegare il perché del titolo: Michela, nel confessarsi, è sicuramente imprevedibile, ma ha anche un punto fermo rappresentato dai fili, come quelli del telefono, oppure del cordone ombelicale, fili dai quali si sente soffocare tramite i disturbi che l’ossessionano.

 

Ferdinando Camon

Il primo romanzo di Camon uscì in Italia con una appassionata prefazione di Pier Paolo Pasolini e fu subito tradotto in Francia per interessamento di Jean-Paul Sartre. Camon si definisce "narratore della crisi": ha raccontato la crisi e la morte della civiltà contadina (nei romanzi Il Quinto StatoLa vita eternaUn altare per la madre, premio Strega, Mai visti sole e luna, nelle poesie Liberare l´animale, premio Viareggio, e Dal silenzio delle campagne), la crisi che si chiamò terrorismo (Occidente), la crisi che porta in analisi (La malattia chiamata uomoLa donna dei filiIl canto delle balene) e lo scontro di civiltà, con l´arrivo degli extracomunitari (La Terra è di tutti). La malattia chiamata uomo fu recitata a Parigi al teatro L´Aquarium per 4 anni consecutivi. Il regista Claude Miller ne ricavò un film. Camon ha lavorato nel primo Centro Anti-Droga, che aveva sede a Padova, e l´ha raccontato nel libro La droga discussa con i ragazzi. I suoi romanzi più recenti sono La cavallina, la ragazza e il diavolo La mia stirpe. È tradotto in 25 paesi. In Francia, Gallimard ha tradotto tutte le sue opere in prosa e in versi. Nel 2019 è uscito il suo Dialogo sul Comunismo con Pietro Ingrao, che Ingrao aveva bloccato per 25 anni. Ed è uscito il pamphlet A ottant´anni se non muori t´ammazzano, contro l´opzione di non curare i malati troppo anziani. Nel 2022 Apogeo ha ripubblicato Occidente nella stesura definitiva e nel 2023 la raccolta di poesie Son tornate le volpi. Le sue opere sono pubblicate anche in edizioni per ciechi, in Italia e in Francia. Nel 2016 sono state raccolte in 16 ebooks e gli è stato assegnato il premio Campiello alla Carriera. Dal 2021 è in corso la pubblicazione delle sue opere in forma di audiolibri presso la casa editrice Il Narratore, ne sono già usciti otto.

Renzo Montagnoli

 

 

 

15 Giugno


Recensione della silloge “La faglia empirea” di Rosaria Scialpi, edita BRE’ edizioni

“La vita non ha senso. Anzi è la vita che ti dà senso. Sempre che noi la lasciamo parlare.
Perché prima dei poeti parla la vita.”
                                                       Alda Merini

Ho le braccia a pezzi a forza di abbracciare le nuvole.

Per conoscermi non inoltrarti nei territori impervi delle domande;
non chiedere del domani cosa spero; nell’oggi in cosa vivo.
Per conoscermi avventurati nei libri che ho letto, nelle frasi che ho segnato
su un foglio a righe, nelle parole che ho cercato e fatte mie.

Sono nel viaggio fra le pagine che conducono per attraversare la vita.

Leggimi e rileggimi, sfogliami come se non l’avessi mai fatto,
ma fallo con l’ardore delle prime letture.

Scrivere il proprio sentire, il proprio percepire di ciò che l’animo elabora da fuori
le proprie mura d’argilla è un bisogno, una necessità, che va oltre la comune
consapevolezza di conoscenza letteraria.
Rosaria, apre uno squarcio, impossibile da ricucire, nel suo animo, donandoci
frantumi del suo intimo cielo spirituale, che si compone in opera musiva,
composta da vissuto della realtà, spiritualità, terreno e mitologia.
Ogni verso è nello stesso tempo graffio e cucitura della lacerazione che è in lei,
che le permette di avere, nella sua personale identità poetica, i colori
di ciò che è oceano.
Il componimento l’ho trovato più un saggio, analisi critica del testo,
di ciò che è la rappresentazione della essenza dell’autrice, che si rispecchia
nelle peripezie, nelle avventure, nel travaglio, nelle gioie, nelle cadute e risalite,
con cui il quotidiano si manifesta; avendo la saggezza di sapersi fare amica
anche la morte.
 
 Vincenzo Patierno

 

 

14 Giugno

Modenesi per sempre

Viaggio emozionale nel cuore di Modena

di Diversi Autori

a cura di Gabriele Sorrentino

Edizioni della Sera

Narrativa

Pagg. 160

ISBN 9788832213881

Prezzo Euro 16,00

Dove si vive non solo di lavoro

L’idea per pubblicazioni antologiche come questa si basa sostanzialmente sul manifestare per iscritto il compiacimento per la propria città che talora è l’oggetto vero e proprio della narrazione, mentre altre volte risulta magari marginale, un semplice riferimento, quasi lo sfondo di tutta la prosa. Modenesi per sempre rientra in questi contesti che prevedono sempre un coordinatore a cui spetta la scelta dei brani, in questo caso Gabriele Sorrentino, peraltro coautore.

Ciò premesso, il tema proposto è stato svolto con modalità del tutto diverse nei 17 racconti che costituiscono l’antologia, una scelta senz’altro opportuna per venire incontro alle diverse esigenze dei lettori, i cui gusti in materia, per quanto non esattamente identificabili a priori, spaziano in tanti generi. Nei caso di questo libro si va dal giallo allo storico, dall’antropologico alla commedia, addirittura al drammatico, non trascurando il fantasy più proiettato verso la fantascienza.

Si può indubbiamente dire che ce n’è per tutti i gusti e non solo per quelli dei lettori modenesi, ma anche di altre zone, limitrofe e non. Ultimata la lettura e tirate le somme esce un’immagine di una città cresciuta all’ombra della Ghirlandina, questa torre di ben 89 metri che si innalza al fianco dell’abside del Duomo, un agglomerato urbano che pur avendo nei dintorni spunti imprenditoriali legati a un’industria meccanica di qualità non ha perso i legami con le origini, con l’agricoltura e l’allevamento, non solo attività, ma spirito di vita. A Modena, per dirla in breve, si lavora, si produce, ma anche si cerca di godere la vita, con la sua cucina ricca di sapori, con quell’atmosfera di borgo rurale che non si è mai persa. Fra culatelli, prosciutti, tortellini e aceto balsamico il modenese addenta il meglio dell’esistenza, non rinuncia certo alla cultura, ma ama la convivialità, magari intorno a una tavola riccamente imbandita, dove si snocciolano le battute spumeggianti dei commensali, facilitate da quel vino leggero e corroborante, spumoso, gradevole al palato, adatto a tutti i piatti, e che risponde al nome di lambrusco.

Ecco, sarà perché sono di Mantova, città meno lombarda e più emiliana come scrive Giuseppe Sofo in un suo racconto, ma sta di fatto che queste prose mi sembra parlino la mia stessa lingua, descrivano fatti e situazioni che non mi sono sconosciute.  Non mi stupirei pertanto se girando per le vie della città mi dovessi imbattere nel sempre più stranito Dott. Luca Neri uscito dalla penna di Marco Giorgini, o addirittura nella vecchia signora che ha fatto da guida alla Barbara di Daniela Ori. Ci sono personaggi non della grande città, ma della piccola realtà, come quella in cui vivo io, individui che caratterizzano comunità ben unite, come è il caso del nonno Anello, conosciuto da tutti, addirittura più del Papa. Questo è il mondo in cui si vive veramente, un mondo dove incontrarsi, sedersi a tavola a fare uno spuntino con pane e salame e un bicchiere di lambrusco è talmente naturale che lo può notare solo chi non ci è abituato.

Da leggere, ovviamente. 

Gli autori:

Daniele Biagioni, Adriano Bompani, Sara Bosi, Eliselle, Manuela Fiorini, Stefano Frigieri, Marco Giorgini, Luigi Guicciardi, Daniela Ori, Marco Panini, Massimiliano Prandini, Andrea Roversi, Mauro Sighicelli, Giuseppe Sofo, Gabriele Sorrentino, Martino Vecchi, Marcello Ventilati.

Renzo Montagnoli

 

 

9 Giugno

“DOVE NON BATTE IL SOLE” - Carmelo Sardo                        

Narrativa 

Ennesimo capolavoro letterario dell’illustre giornalista Carmelo Sardo, edito da Bibliotheka Edizioni e pubblicato il 25 novembre 2022.

È un romanzo di notevole impegno sociale, che suscita profonde emozioni, davvero avvincente, da leggere tutto d’un fiato. Narra storie inventate che raccontano, però, fatti realmente accaduti, invitando i lettori a riflettere su temi di rilevante attualità del sistema penale italiano, che contempla l’ergastolo ostativo, decidendo, così, il destino di chi sbaglia e precludendo ogni sua possibilità di reinserimento nella società.

È ambientato a Rammusa, una cittadina della Sicilia barocca, dove vengono assassinati marito e moglie, nella loro gioielleria.

Il magistrato che indaga sospetta del figlio della coppia, Stefano Macrì, studente universitario di 27 anni.
Il giovane che crede nello Stato è, però, costretto a liberarsi da quest’accusa infamante. Il suo destino si incrocerà con quello del boss Don Tano Cutella, che lo conosce da quando era un bambino, poiché abitano nello stesso palazzo, e col quale condividerà lo stesso obiettivo, cioè la ricerca della verità.
Questo romanzo, scritto magistralmente, contribuisce, in modo incisivo, al dibattito sull’ “ergastolo ostativo”, perpetuo, punitivo ed espiativo, non rieducativo e non rispettoso della dignità umana dei detenuti.

Espone, chiaramente ed egregiamente, il senso di disperazione di chi vive in carcere, anche ingiustamente, di chi vorrebbe redimersi ma che vede negata qualsiasi sua possibilità di riscatto. 

Le atroci sofferenze e vicissitudini di Stefano, la profonda umanità dell’appuntato Cocilovo, l’atteggiamento paternalistico di Don Tano, la determinazione e l’amorevolezza di Costanza, travolgono empaticamente il lettore, lasciando un messaggio indelebile, nel suo cuore e nel suo animo, cioè il dovere di garantire anche a chi è spesso “invisibile”, il “diritto alla speranza” e ad una “finestra” sul mondo.
 

CARMELO SARDO

Giornalista e scrittore, siciliano di Porto Empedocle. Da quarant’anni si occupa di cronaca e di storie di mafia. Per quindici anni lo ha fatto dalla Sicilia, come cronista di “Teleacras” e corrispondente dei quotidiani “L’ora” e “Giornale di Sicilia”. Successivamente, dopo due stagioni come inviato del programma Rai “Cronaca in diretta”, il passaggio al “Tg5”, dove oggi è caporedattore cronache.

Ha esordito, come scrittore, con il romanzo “Vento di tramontana” (Mondadori 2010). Nel 2014 con il memoir “Malerba” (Mondadori), scritto con l’ergastolano Giuseppe Grassonelli in cui si narra la sua potente storia, vince il prestigioso “Premio Sciascia”. La sua terza opera di narrativa “Per una madre” (Mondadori 2016), si ispira al suo romanzo d’esordio. Nell’aprile 2017 esce il suo quarto libro “Cani senza padrone. La stidda. Vera storia di una guerra di mafia” (Melampo editore). Nel luglio del 2021 pubblica con Zolfo editore “L’arte della salvezza – storia favolosa di Marck Art”.

Adriana Sardo (solamente omonima dell’autore)

 

 

8 Giugno

Il giardino delle belve

di Jeffery Deaver

Rizzoli Editore

Narrativa

Pagg. 500

ISBN  9788817020275

Prezzo Euro 13,00

 

La trasformazione di un killer di professione

Paul Schumann, di origine tedesca, è forse il miglior killer sulla piazza e viene normalmente assoldato da famiglie della malavita per sopprimere altri delinquenti. E’ un tipo metodico e prudente nel suo lavoro, ma finisce tuttavia con l’essere incastrato dall’FBI che gli fa una strana proposta, cioè di eliminare Reinhard Ernst, uomo di fiducia di Hitler e preposto al riarmo tedesco, in cambio dell’immunità e di 10.000 dollari. Corre l’anno 1936 e sono prossime le olimpiadi di Berlino, avvenimento che consente a Schumann di arrivare in Germania come giornalista sportivo free lance. Inizia così un thriller ad altissima tensione, condotto in modo magistrale da Jeffery Deaver, un maestro del brivido, con una serie di eventi e di fatti, spesso rocamboleschi, che avvincono a tal punto che si desidererebbe procedere alla lettura senza interruzioni fino all’ultima delle 500 pagine. E’ indubbio il talento dell’autore perché, al di là della vicenda intricata,  realizza un thriller di rara bellezza, riuscendo perfino a far diventare simpatico un killer come Paul Schumann. Infatti, l’uomo si muove in un ambiente, quello della dittatura nazista, in cui anche uno abituato a uccidere su commissione sembra un agnellino di fronte a dei professionisti della morte che sopprimono senza pietà persone quasi sempre innocenti, anche per fare sperimentazioni sul comportamento dei carnefici. Questo approccio con chi dà una morte asettica come il mezzo per raggiungere elevati livelli di efficienza incrina l’atteggiamento professionale del killer che comincia a commettere degli errori, ma che anche si rende conto dell’aberrante vita che ha fin lì sempre condotto. Ricercato da un poliziotto padre di famiglia, non violento e sicuramente non nazista, la trasformazione di Paul Schumann da belva a essere dotato di umanità si completa appunto in occasione dell’incontro con il suo cacciatore. Ne usciranno entrambi cambiati e in meglio, ma se per il detective della Kripo Willy Khol si tratterà della spinta a uscire dalla spirale di odio e violenza del nazismo lasciando con la famiglia la Germania, per il killer avverrà invece un radicale cambiamento dei suoi obiettivi, e non vado oltre, perché è giusto che il lettore scopra come sarà il finale di questo bellissimo romanzo, un’opera in grado di far trascorrere il tempo libero nel migliore dei modi. E aggiungo che, in un’epoca come l’attuale che vede il risorgere di vecchi movimenti estremisti che si credevano estinti, far sapere, soprattutto ai giovani d’oggi, come era la dittatura nazista si spera possa contribuire a risvegliare le coscienze onde evitare il ripetersi dei dolori e dei lutti che caratterizzarono la stessa.

Oltre alla tensione che non viene mai meno, senz’altro apprezzabile è la fine analisi psicologica dei personaggi, in primis, ovviamente, Paul Schumann, un uomo che da delinquente si trasforma in amante della giustizia, ma anche Willi Khol, un fedele servitore della legge che si rende conto poco a poco di come ci si serva della stessa per realizzare una brutale dittatura, e infine Reinhard Ernst, un tecnocrate che sembra così diverso da elementi come Hitler, Goering, Goebbels e Himmler, ma che forse è peggio, perché non ha sentimenti, né prova emozioni, sembra un contabile della morte e ricorda in questo Adolf Eichmann. Le descrizioni dei luoghi, degli ambienti, e l’atmosfera opprimente e di paura del regime sono riprodotti in modo perfetto e sono un altro merito di questo libro la cui lettura è ampiamente consigliata. 

Jeffery Deaver (Glen Elly, 6 maggio 1950) , ex giornalista ed ex avvocato, nel 1990 ha abbandonato la carriera legale per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Scrittore di romanzi thriller, ha vinto per tre volte l'Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year; ha vinto, inoltre, il British Thumping Good Read Award ed è stato più volte finalista all'Edgar Award. Il suo primo romanzo, un horror intitolato Voodoo è del 1988. I tre romanzi successivi, ambientati a New York, affrontano la struttura delle detective stories. Con i protagonisti dei suoi romanzi, Deaver crea dei perfetti thriller contemporanei, in cui la narrazione si svolge secondo il ritmo e la tensione tipici del linguaggio cinematografico. Ha conosciuto il successo internazionale con Il collezionista di ossa, la prima indagine di Lincoln Rhyme e Amelia Sachs, da cui è stato tratto l'omonimo film. Tra gli altri titoli (editi dal gruppo RCS) ricordiamo: Lo scheletro che balla, La sedia vuota, La scimmia di pietra, L’uomo scomparso, La dodicesima cartaLa luna freddaLa finestra rottaIl filo che bruciaNero a ManhattanI corpi lasciati indietroRequiem per una pornostarLa figlia sbagliataCarta biancaLa consulenteLa bambola che dormeFiume di sangueL'ultimo copione di John Pelham. Più recentemente sono stati pubblicati: La stanza della morteL'ombra del collezionistaSarò la tua ombraL'uomo del soleOctober listSolitude Creek, Hard News, Il taglio di Diola nuova indagine di Lincoln RhymePromesse, Il gioco del maiIl visitatore notturno e Tempo di caccia.

Renzo Montagnoli

 

 

 

3 Giugno

Dictator

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 401

ISBN 9788804667728

Prezzo Euro 12,50

 

La fine della Repubblica e di Marco Tullio Cicerone

Questo è l’ultimo volume della trilogia dedicata a Marco Tullio Cicerone. E’ una biografia romanzata del famoso avvocato e politico romano, divisa appunto in tre libri, di cui il primo, Imperium, parla sostanzialmente della sua ascesa a Console, il secondo, Conspirata, della sua travagliata difesa del rango e della Repubblica con la famosa vicenda di Catilina e il terzo, Dictator, della sua ultima stagione, ormai consapevole della sua parabola discendente e della frantumazione della forma di governo repubblicana.

Appoggiato Pompeo contro Cesare riuscì a non avere conseguenze nefaste dalla sconfitta del primo, pur se la magnanimità del secondo comportò di fatto il ridimensionamento notevole della sua influenza. Ormai avviato verso una china in modo inarrestabile divorziò dalla moglie, gli morì l’adorata figlia a conseguenza di un parto e resosi conto che il tempo che gli restava era sempre più breve, dopo aver dato la libertà al suo fido segretario Tirone gli fece dono di un fabbricato rurale con annesso terreno agricolo, come era suo desiderio e dove poter ritirarsi alla scomparsa dell’ormai ex padrone. Cesare instaurò una feroce dittatura, ma come sempre capita quando il potere è in mano a un solo uomo e di questo abusa nascono delle fronde che si concretizzarono nell’omicidio del despota avvenuto, come noto, alle Idi (15) di marzo del 44 a.C..

L’eliminazione del dittatore, però, creò un vuoto di quel potere su cui molti volevano mettere le mani e così le guerre civili che sembravano terminate con la sconfitta e l’uccisione di Pompeo divamparono nuovamente.

Cicerone cercò di stare in disparte, dedicandosi a scrivere opere di carattere filosofico, però il suo nome, legato indissolubilmente al concetto di repubblica non poteva non coinvolgerlo negli avvenimenti, pur non avendovi parte attiva. Certo stimava Bruto, il capo della congiura contro Cesare, e per contro avversava Marco Antonio, uomo di fiducia del defunto Cesare. Una possibilità di alleanza, anche se tacita, fra i due era impossibile, tanto più che decise di appoggiare Ottaviano, erede di Cesare designato nel testamento e che adottò una politica filo senatoriale, con animo non dittatoriale. Negli scontri, agli inizi solo verbali,  fra Antonio e appunto Ottaviano era sempre più difficile appoggiare l’uno o l’altro, e ancor di più dimostrarsi imparziale, considerato poi che Cicerone era sempre stato un sostenitore degli optimates, nella cui fazione si riconosceva Ottaviano.  Tuttavia, nel desiderio di avere pieni poteri, non subordinati alla volontà del senato, Ottaviano finì con il proseguire in parte la politica cesariana e costituì con Marco Antonio ed Emilio Lepido un triumvirato che nei suoi scopi aveva una massiccia riforma della repubblica, che Cicerone fu costretto ad accettare, però senza  rinunciare alle accuse ad Antonio portate avanti fra il 43 e il 44 a.C. con le Filippiche. Fu la sua fine, perché Antonio, in presenza anche di una modesta opposizione di Ottaviano, inserì il suo nome nelle liste di proscrizione. Consapevole della sua sorte, ormai sfiduciato e stanco di combattere, si ritirò nella sua villa di Formia e lì attese i sicari, che poco dopo eliminarono anche suo fratello Quinto e il figlio di questi. E Tirone?  Sopravvisse, si ritirò a vivere nella sua piccola tenuta di campagna, arrivando a essere quasi centenario, un risultato straordinario per l’epoca.

Robert Harris, autore di opere di alterno valore, alcune modeste, altre ben più che eccellenti, è riuscito a scrivere una biografia, indubbiamente romanzata, ma molto prossima alla realtà, in cui riluce il valore di questo grande avvocato, politico e filosofo romano, strenuo difensore della Repubblica e della libertà che essa garantiva. Nonostante la lunghezza della trilogia (oltre 1.000 pagine) e la complessità della vicenda, con tutte le strategie politiche possibili, le alleanze, i tradimenti, il doppio gioco, il ritmo, non vorticoso, ma moderatamente veloce non viene mai meno, presupposto indispensabile per avvincere il lettore. Inoltre c’è un’analisi psicologica approfondita dei principali personaggi, che non sono fra l’altro pochi, al punto di illuderci di essere presenti, sebbene come semplici spettatori, delle sedute del Senato in cui Cicerone denuncia Catilina, o paventa i pericoli per la Repubblica. Di conseguenza, sia Imperium che Conspirata e Dictator sono libri la cui lettura è senz’altro consigliata.

Robert Harris (Nottingham, 7 marzo 1957), laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times".

È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

 

27 Maggio

Gotico rurale

di Eraldo Baldini

Sperling & Kupfer Editori

Narrativa

Pagg. 192

ISBN 978-8876846137

Prezzo Euro 8,50

Leggende e superstizioni

Nei primi anni del dopoguerra, quando ero ancora un bimbetto, capitava che in estate, ogni tanto, andassi con i miei genitori dagli zii che abitavano in campagna per fare il fine settimana, una villeggiatura alla buona, l’evasione dalle mura cittadine per un’immersione nella natura. Mi piaceva, ma amavo soprattutto stare alla sera, dopo cena, sotto il portico con questi miei parenti e i loro vicini, persone che intessevano una conversazione che sfociava inevitabilmente nella narrazione di qualche leggenda, fatta di morti che ritornavano a vedere i vivi, di spiriti burloni che assalivano chi passava quando era buio davanti al cimitero e che spogliavano le donne, soprattutto quelle giovani. Io ascoltavo, sgranavo gli occhi e credevo a tutto quello che dicevano, al punto che a letto, nella notte, mi sembrava di udire i passi degli spettri. Eraldo Baldini, che ha pochi anni meno di me, nativo in Romagna, territorio un tempo a notevole vocazione agricola, deve aver sentito anche lui da infante o poco più storie analoghe a quelle che ascoltavo dagli zii e deve esserne rimasto impressionato al pari di me, al punto però, diventato adulto, dal prendere come spunto le leggende rurali per dare vita a una narrazione specifica, un gotico che però non è drammatico, ma comunque inquietante, perché appare ben più probabile. Come primo contatto con questo autore ho scelto una sua raccolta di racconti intitolata Gotico rurale, dodici prose in cui Baldini mette in mostra la sua indubbia creatività, pur rimanendo strettamente osservante di quelli che erano gli usi e i riti di una civiltà contadina da tempo scomparsa. Le credenze e le superstizioni sono presenti in queste righe ed erano tipiche di un certo mondo, strettamente connesso alla natura, quasi sempre benigna, ma talvolta feroce, con il cristianesimo che non riusciva a sradicare il paganesimo, ma anzi ne subiva gli influssi. Si potrebbe dire che come si invocavano i santi, per scaramanzia si evocavano anche i principi delle tenebre, i gorghi del fiume dal quale uscivano le mani di un mostro per ghermire chi stava sulle sue rive o il tuono del temporale che era la voce del diavolo in carrozza. Dodici racconti e come sempre ce ne sono di più o meno riusciti, e tralasciando questi ultimi, mi è d’obbligo fare un breve cenno a quelli che più mi sono piaciuti, come La collina dei bambini, che ha un fondamento nella Crociata dei bambini avvenuta nel lontano 1212; A lume di candela è forse il più inquietante, con una punizione, a distanza di anni, di chi avrebbe potuto salvare una persona e invece non l’ha fatto. Ma se Chi vive nel grande olmo? gioca tutto sulla superstizione con un evento che si rivelerà del tutto naturale, Foto ricordo è spiazzante nel suo orrore, nella capacità dell’autore di sovvertire la natura umana, con una candida vecchietta che si rivela un autentico mostro. E che dire di Nella nebbia, con il paesaggio caratteristico delle valli del Po, di per sé misterioso, e che diventa tenebroso con il calare delle nebbie?

Insomma, il mio consiglio è di leggere i racconti di questo libro, perché sarà un modo di trascorrere il tempo libero più che piacevolmente.

Eraldo Baldini (Russi, 21 dicembre 1952)

Scrittore noir, si specializza in Antropologia culturale ed Etnografia, nei suoi romanzi ha saputo coniugare “gotico rurale”, noir e horror in una vena originale. Inizia a scrivere saggi in questo settore e approda alla narrativa negli anni '90. Nel 1991 vince il Myfest di Cattolica con il racconto Re carnevale. Scrive una lunga serie di romanzi, tra cui due per ragazzi: L'estate strana (edizioni EL, 1997) e Le porte del tempo (Disney Avventura, 2001).
La notorietà arriva con il romanzo Mal'aria (Frassinelli 1998, 2003), pubblicato anche in Francia, con cui vince il prestigioso premio "Fregene". Tra i suoi libri ricordiamo Come il lupo (Einaudi, 2006) con cui ha vinto il premio "Predazzo" 2006; Melma (Edizioni Ambiente, 2007), Quell'estate di sangue e di luna (Einaudi 2008), L’uomo nero e la bicicletta blu (Einaudi 2011), Gotico rurale (Einaudi 2012), Nevicava sangue (Einaudi 2013), Stirpe selvaggio (Einaudi 2016), La palude dei fuochi erranti (Rizzoli 2019). Per Fernandel nel 2015 ha pubblicato la raccolta di racconti umoristici Fra l'Adriatico e il West.

Renzo Montagnoli

 

 

 

21 Maggio

Non so resistere
di
Alessandro Ramberti

Fara Editore

Poesia

Pagg. 112

ISBN  978-88-9293-943-8

Prezzo Euro 12,00 

La speranza

Strano titolo, e non me ne voglia l’autore se dico che di primo acchito mi ha ricordato la pubblicità di certi prodotti dolciari che attirano oggi tanto i giovani, e anche quelli più in là con l’età.  Per fortuna niente di tutto questo, perché si tratta di poesia, notoriamente seria, a parte certi sonetti licenziosi di un lontano passato. Ramberti si avvale dei versi per esprimere il suo innato senso etico, una sua religiosità che non è mai un dramma, ma una gioia dello spirito, pur nelle non infrequenti tragedie dell’esistenza.

Nella nostra dimensione la consapevolezza di essere fallaci, incompleti e spesso erranti alla ricerca di un nostro ruolo ci consente di trovare con la spiritualità una via per sopportarci e per tollerare gli altri, anzi per dialogare con loro lungo un percorso terreno troppo breve per far pieno tesoro delle esperienza maturate (L’imperfezione / è il nostro marchio / di qualità / sì noi tendiamo / ad occultarla / addirittura / ce ne incolpiamo / benché riveli / fragilità / non solo nostre / ci spinge ad essere / riconoscenti / a chi ci ama / per come siamo / umili ammassi /contraddittori). Si potrà obiettare che questa profonda convinzione cristiana è frequente nell’autore, ma in fondo qualsiasi poeta che non si fermi a parlare di fiorellini o di fanciulle desiderose d’amore traspone nei versi l’elaborazione dei suoi pensieri più intimi, quella profondità di concetti, di visioni, di scopi della vita che Ramberti ha fatto propri con una religiosità non di maniera, non di aspetti esteriori, ma di sostanza, una religiosità che dicevo non è drammatica, ma gioiosa, perché animata dalla speranza (Prendimi il petto / fallo discendere / dove le ossa/ bruciano-accecano / sei pelle e spirito / tu allora spogliati / in modo ingenuo / entra nel fonte / si aprono i cieli / la mano parla/ salva e conferma / unge la carne /  converte il tempo / lo fa brillare / libera il suono / della conchiglia).

E non è un caso se ho trovato la stessa determinazione, la medesima passione in un’altra silloge (Pianure d’obbedienza), di Marina Minet, poetessa sulla stessa lunghezza d’onda di Alessandro Ramberti, entrambi permeati da una spiritualità che si eleva oltre il formalismo religioso e che è vissuta giorno per giorno, pregio sempre più raro a trovarsi, travolti come siamo dalle esteriorità impellenti della vita moderna.

Forse corro il rischio di andare fuori tema, se già non ci sono addirittura andato, ma sento pressante la necessità, soprattutto dopo aver letto questi versi, di esprimere non tanto un giudizio sugli stessi (e sarebbe senz’altro positivo, considerata la concretezza della struttura, la sua linearità che evita qualsiasi artificio letterario), quanto invece un’opinione sull’autore perché ciò che Ramberti esprime è la sua vita interiore di ogni giorno, è il suo cuore pulsante che riesce a vedere oltre i limitati orizzonti dei più  ( Gli occhi si staccano / dal cuore quando / il male è ovunque / nella catastrofe / ma a volte colgono / bagliori intimi / si fanno ciechi / per ascoltare /  si gela il sangue / ma giunge in petto / il gran silenzio / in cui ti sciogli / così converti / quello che senti / al congiuntivo / che si fa strada). Credo che questi versi sintetizzino al meglio la mia impressione, versi che sento miei pur ovviamente non avendoli scritti io, ma che fluiscono dentro il mio cuore come un gagliardo torrente di montagna che fra mille ostacoli, senza demordere, procede verso la foce, sicuro di arrivarvi.

Alessandro Ramberti  (Santarcangelo, 1960) ha pubblicato: Racconti su un chicco di riso (1991), In cerca (2004), Pietrisco (2006), Sotto il sole (sopra il cielo) (2012), Orme intangibili (2015), Al largo (2017), Vecchio e nuovo (2019, Faglia–Fa?lto (2020), Medèla (2021), La simmetria imperfetta (racconto lungo, 2022), Enchiridion celeste (2022).

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

15 Maggio

L’arciere di Azincourt

di Bernard Cornwell

Longanesi Editore

Narrativa

Pagg. 447

ISBN 978-88-304-2714-3

Prezzo Euro 9,00

Il micidiale lungo arco degli inglesi

Il 25 ottobre 1415, nel contesto della guerra dei cent’anni, avvenne una battaglia nella piana di Azincourt, non molto lontano da Calais, fra le inferiori numericamente truppe inglesi comandate dal re Enrico V e ll poderoso esercito francese condotto da Carlo duca d’Orleans, Giovanni duca di Borbone e Giovanni duca di’Alençon.  Non fu uno scontro decisivo in ordine allo svolgimento della guerra, ma viene ricordato perché gli inglesi, stanchi, a corto di viveri e minati da un’epidemia di dissenteria, ebbero ragione dei ben più numerosi e riposati francesi. Diverse sono cause di questa disfatta, in parte dovute al terreno su cui si svolse lo scontro (un vero e proprio pantano in cui si dibatterono fra mille difficoltà le truppe d’oltralpe dotate di pesanti armature), in parte agli abili e micidiali arcieri inglesi, che grazie anche ai loro particolari archi, fecero scempio della temutissima cavalleria nemica. Dato il risultato eclatante parecchi artisti ne parlarono con le loro opere, come in campo teatrale Shakespeare con il suo Enrico V, oppure, in campo cinematografico Laurence Olivier e Kenneth Branagh con le due pellicole dal medesimo titolo (Enrico V). Inoltre i saggi storici sono assai numerosi e analizzano compiutamente e da diversi punta di vista la campagna militare di Enrico V in Francia.

Bernard Cornwell, autore di rango di diversi romanzi storici, non poteva esimersi dal parlare di questa battaglia e l’ha fatto con un romanzo, che pur seguendo rigorosamente l’effettivo svolgimento della vicenda, propone un testo di una fantasia per niente campata in aria, con la figura di  Nikolas Hook, arciere di umili origini che per salvarsi da una condanna a morte parte come mercenario per difendere Soissons, città francese dominata dal duca di Borgogna. Inizia così una trama notevolmente coinvolgente e che avvince sempre di più, pagina dopo pagina. Da lì si sviluppa una vicenda in cui predominanti sono le armi e che vede il giovane Hook fare carriera, esclusivamente per meriti militari; non manca - ed è giusta la scelta per stemperare le violenze – una tenera storia d’amore fra l’arciere e la figlia di un cavaliere nemico.

Le capacità dell’autore sono indiscutibili,  in grado quasi di stregare il lettore che inconsciamente vede formarsi dinanzi a sé le immagini di una battaglia estremamente sanguinosa, con vere e proprie cataste di morti, con personaggi che hanno tutta l’aria di essere autentici.

Insomma, se uno vuol passare con piacere il suo tempo libero non ha da far l’altro che acquistare questo libro e può esser certo che i 9 Euro del prezzo di copertina saranno soldi spesi bene.

Bernard Cornwell (Londra, 23 febbraio 1944)  dopo aver lavorato per anni alla BBC si è dedicato alla narrativa e, oltre alla serie di romanzi avventurosi ottocenteschi incentrati sul personaggio di Sharpe (I fucilieri di SharpeLa sfida della tigreAssalto alla fortezzaL'eroe di TrafalgarSharpe all'attaccoLe aquile di Sharpe e L'oro di Sharpe), pubblicati da Longanesi, ha scritto moderne avventure di mare (Scia di fuoco e Figlia della tempesta).
Ha trovato la più fortunata delle sue ispirazioni nelle saghe di avventure medioevali.

Dopo la trilogia di L'arciere del re (Longanesi, 2001), Il cavaliere nero (Longanesi, 2003) e La spada e il calice (Longanesi, 2004), ha dato vita a un'appassionante epopea ambientata tra l'Inghilterra e i mari del Nord durante il primo medioevo: L'ultimo re (2006), Un cavaliere e il suo re (2007), I re del Nord (2008), Il filo della spada (2009), Il signore della guerra (2010), La morte del re (2012) e Il re senza dio (2014), La congiura dei fratelli Shakespeare (2019), La spada dei re (2021) e La conquista di Parigi (2023), tutti pubblicati da Longanesi.
Alla saga di Excalibur appartengono Il re d'inverno e Il cuore di Derfel, ripubblicati da Longanesi, presso cui sono usciti anche L'arciere di AzincourtL'ultima fortezza, L'ultimo baluardo.

Renzo Montagnoli

 

 

9 Maggio

Ogni giorno cerco di capire

di Carla De Angelis

Versione spagnola a fronte della stessa Autrice

Fara Editore

Poesia

Pagg. 80

ISBN 978-88-9293-049-0

Prezzo Euro 12,00

Con schiettezza

Della poesia di Carla De Angelis non si può non apprezzare la semplicità, il modo di comunicare il più chiaramente possibile, evitando eventuali fraintendimenti, una poesia che potremmo definire di autentica schiettezza. La poetessa non si cela dietro frasi criptiche, apre il suo animo al pieno sole, insomma è da tanti anni che leggo le sue opere e queste caratteristiche, che ritengo notevolmente positive, non sono mai venute meno. Il suo modo di esprimersi in versi ha affrontato diverse tematiche, ma tutte derivano dall’osservazione del mondo che ci circonda, che dà luogo a inevitabili riflessioni di cui verseggiando ci rende partecipi; oppure si tratta di eventi per niente straordinari, tranne per chi ne è parte, come può essere la morte di una persona cara o anche la nascita della propria prole. E un esempio di questi, anzi due esempi li possiamo trovare nei versi che seguono, così per il primo mi sembrano chiaramente esplicativi questi: I semi sparsi al vento sanno dove cadere / germinano al sole e all’ombra / nell’acqua e nello stagno asciutto / non smarriscono il percorso; per i secondo invece questo Ricordo è di una tenerezza disarmante: Ricordo i giorni i mesi l’attesa / il primo pianto il sorriso / le parole / i primi passi la corsa / l’alfabeto i libri gli esami / i giorni passati a studiare a giocare a ballare / ieri, oggi e domani, punto a capo. / / È il nostro segreto.

Eppure, ciò che può stupire e che forse non ci si aspetta, sono alcune riflessioni che, pur nella loro semplicità di esposizione, esprimono grandi concetti, come questo, dove dimostra che la vita in comune è comunicazione, è un do ut des inconsapevole, ma che è alla base di ogni civiltà, perché si tratta di flussi di conoscenza di cui siamo soggetti attivi e passivi: Lungo la strada lascio parole pensieri / azioni che altri possono raccogliere./  /Altri lasciano parole pensieri e azioni / che raccolgo come fossero perle.

Ho più volte riscontrato nelle sue sillogi, apparentemente senza pretese, questa capacità di essere presente nel mondo sotto un alone di umiltà, quasi fosse timorosa di disturbare, ma non c’è nessun disturbo, troviamo invece una voce sincera di un essere sensibile capace di vedere, di ascoltare, di offrire un punto di vista razionale, e pur poetico, come se Carla De Angelis ci venisse a dire: “Questo mondo è anche il mio, ci sono anch’io, busso alle vostre porte per aprirvi la mia.”.

Da ultimo, una chicca, perché non ci sono solo poesie in questo libro, ma ci sono anche dei racconti brevi che l’autrice chiama racconti flash, poche righe, un’istantanea, opinioni personali liberamente espresse, insomma un altro modo per comunicare.

Da leggere, mi sembra ovvio. 

Carla De Angelis è nata e vive a Roma. Suoi testi sono presenti in riviste e opere collettanee edite da Perrone, Estroverso, David & Matthaus, Limina Mentis, Delta3, Pagine, Aletti, Fara. Nel 1995 il Presidente della Repubblica le ha conferito l’onorificenza di Cavaliere. Con Fara ha pubblicato in poesia: Salutami il mare (2006), A dieci minuti da Urano (2010), I giorni e le strade (2014). Nel 2011 esce Mi vestirei di mare (Progetto Cultura). Ha ideato e cocurato le antologie Corviale cerca poeti per la Biblioteca “Renato Nicolini” di Roma e, con Stefano Martello, per Fara, i saggi Diversità apparenti (2007), Il resto (parziale) della storia (2008), Il valore dello scarto (2016). Sempre con Fara ha poi pubblicato: Mi fido del mare e nel 2019 Fra le dita una favilla sembra sole e, nel 2021, Tutto il tempo sul petto. Poesie (2006-2021). È inserita ne Le ali della terra. Altre poetesse fuori dal coro (a cura di Marco Onofrio, EdiLet 2021). Nel 2021 è stata nominata Accademico de “Il Convivio”.

Renzo Montagnoli

 

 

3 Maggio

Sicilia sconosciuta.

Itinerari insoliti e curiosi

di Matteo Collura

Rizzoli Editore

Narrativa di viaggio

Pagg. 367 con ill.ni

ISBN 9788817088053

Prezzo Euro 25,00

 

L’anima della Sicilia

Ho visitato tutta l’Italia, alcune zone a grandi linee, altre più approfonditamente, ma dal conto è rimasta fuori la Sicilia, che non è mai stata in verità l’obiettivo di una mia escursione turistica, vuoi per la notevole distanza dalla mia residenza, vuoi perché mi sono detto che c’era sempre tempo. Purtroppo con il sopraggiungere di un’età più avanzata, con tutti i problemi di saluta che comporta, questo tempo che sembrava tanto è scaduto, così che temo che l’isola dei miei amati scrittori (la Sicilia ha dato i natali a tanti narratori di gran classe) rimarrà un sogno e pertanto dovrò accontentarmi di vederla in qualche documentario o di leggerne, come in questo libro di Matteo Collura, Sicilia sconosciuta, che è ben più di narrativa di viaggio.

Collura è indubbiamente bravo nel proporre i suoi temi e in più la sua origine è sicula, una garanzia sulla sicilianità dell’opera. Perché dico che non è un semplice cahier de voyage? Perché il volume non si limita a percorrere l’isola per un uso prettamente turistico, ma si propone con tanti itinerari insoliti di far emergere l’anima di questo territorio. Si scopre così che se la Sicilia è un’isola, è altrettanto vero che finisce con l’apparire un arcipelago di molte isole, tanto sono diverse le varie zone per caratteristiche naturali, ma anche per atmosfere, a volte ridenti, a volte cupe; abbiamo così una serie di ritratti del tutto lontani dai consueti stereotipi, in una coinvolgente descrizione di aspetti meno ridondanti, ma che sono questi sì emblematici di questo straordinario territorio. Basti pensare a tutte le bottegucce che a Palermo si affacciano sulla strada, estremità di abitazioni modeste, se non addirittura misere, in cui si propongono al passante delle leccornie da consumare passeggiando, così ben descritte da far venire l’acquolina in bocca, in un dedalo di aromi e di sapori che è tipico della città. Le tappe, se così vogliamo chiamarle e che richiamano un percorso a uso turistico, che proprio non lo è, sono talmente tante e le caratteristiche che contraddistinguono gli itinerari e le mete raggiunte sono tali per dimensione che è difficile ricordarle tutte e che impongono a chi volesse andare là la stesura preventiva di una sorta di giro della Sicilia, che non sia però un mordi e fuggi, perché si vedrebbe tanto senza capire. 

La natura, stupenda, ovviamente è un biglietto da visita, ma è pur vero che è la cornice dove rilucono le chiese e i palazzi palermitani, il convento del Gattopardo a Palma di Montechiaro, i pastori delle Madonie, un mondo così vasto e vario da sorprendere e al tempo stesso da desiderare.

La Sicilia è natura, arte, cultura, perché non mancano, anzi sono presenti i suoi grandi scrittori, Pirandello, Sciascia, Bufalino, Tomasi di Lampedusa, solo per citarne alcuni, a sintomo di una terra che è stata fertile terreno per dei geni della letteratura, universali nei messaggi, ma particolari, territoriali nell’ambientazione delle loro opere.

Da ultimo una menzione particolare meritano le foto a corredo, eseguite con maestria da Giuseppe Leone, capace di cogliere, nel fissare sulla pellicola le immagini di paesaggi e di monumenti, l’essenza di quest’isola.

Non voglio e non posso dilungarmi, anche perché potrei essere necessariamente incompleto e allora non mi resta che caldeggiare la lettura di un libro piacevole, ma al tempo stesso veramente istruttivo.

Matteo Collura (Agrigento 1945), dopo una giovanile esperienza di pittore e dopo aver intrapreso la professione giornalistica, ha esordito in letteratura con il romanzo Associazione indigenti, pubblicato nel 1979 da Einaudi su approvazione di Italo Calvino. È autore della biografia di Leonardo Sciascia Il maestro di Regalpetra (TEA, 1996) e del romanzo sulla vita di Luigi Pirandello Il gioco delle parti (Longanesi, 2010). Ha pubblicato numerosi altri libri, la maggior parte dedicati alla sua terra d´origine; tra questi: Sicilia sconosciuta (Rizzoli, 1984; 2016); Baltico (Reverdito, 1988); In Sicilia (Longanesi, 2004); Qualcuno ha ucciso il generale (Longanesi, 2006); L´isola senza ponte (Longanesi, 2007); Alfabeto Sciascia (Longanesi, 2009); Sicilia. La fabbrica del mito (Longanesi, 2013). È inoltre autore di Novecento. Cronache di un secolo italiano dal terremoto di Messina a Mani Pulite (TEA, 2008) e del romanzo La badante (Longanesi, 2015). Sua la versione teatrale del romanzo di Leonardo Sciascia Todo modo. Scrive articoli di cultura per «Il Messaggero» e il «Corriere della Sera». Risiede a Milano.

Renzo Montagnoli

 

 

29 Aprile

Bandiera bianca a Cefalonia

di Marcello Venturi

Prefazione di Sandro Pertini

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 336

ISBN 9788804741220

Prezzo Euro 14,00

 

Un’opera d’arte

Cefalonia è un’isola del mar Ionio sita a ovest delle coste greche, immediatamente a nord dell’isola di Zante ed è tristemente famosa per l’eccidio degli uomini della Divisione Acqui che vi erano di stanza dopo l’occupazione della Grecia nel corso della seconda guerra mondiale; il fatto avvenne a seguito della proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, allorché le nostre truppe furono lasciate senza precise istruzioni se non quella di reagire a eventuali attacchi provenienti da forze diverse da quelle angloamericane. A Cefalonia i tedeschi intimarono la resa al generale Antonio Gandin, comandante della divisione che ordinò alle sue truppe di reagire, decisione presa non tempestivamente a causa dell’incertezza del comportamento da tenersi, ritardo che agevolò l’afflusso di nuove truppe tedesche a sostegno del locale presidio in origine molto modesto e che ingaggiarono battaglia con l’aiuto dell’aviazione. I combattimenti durarono otto giorni nel corso dei quali non pochi nostri militati caddero sul campo, mentre circa 6.500, dopo essersi arresi, furono trucidati e altri 1.300, imbarcati su navi da trasporto con destinazione i lager tedeschi, morirono a causa delle numerose mine che infestavano il mar Ionio.

Questa è la drammatica vicenda storica oggetto del romanzo di Marcello Venturi in cui il protagonista è il figlio del capitano Aldo Puglisi, una delle vittime dell’eccidio. Si reca a Cefalonia per visitare il luogo dove è morto suo padre, ma soprattutto per rintracciare due testimoni che l’aiutino a comprendere quello che accadde, per riannodare l’intera complessa vicenda. La narrazione si avvale di due diversi piani temporali, quello del figlio che cerca di ripercorrere quel che accadde, e quello del padre, testimone della sua stessa morte. Ne scaturisce un romanzo verità di grande impatto, drammaticamente bello, con un’efficacia largamente superiore a quella che avrebbe potuto avere un diario e che nel lontano 1963 contribuì, in modo determinante, a far conoscere agli italiani e agli europei una tragedia di cui altrimenti si avrebbe avuto solo un vago sentore. Venturi riesce a far convivere abilmente l’orrore di una guerra con la bellezza della natura, non ricorre a stratagemmi inventando improbabili eroismi, non cade mai nella retorica, è un racconto che sulle tracce anche di un amore mai confessato raggiunge vertici sublimi e ha scritto bene Sandro Pertini nella sua prefazione, con parole che meglio non avrebbe potuto trovare riferendosi al senso di pietà dell’autore e alla sua convinzione: “ Forse il vero, il grande colpevole, è da ricercare altrove, in questo spirito di violenza e di sopraffazione che, al di sopra di ogni frontiera geografica e ideologica, continua ancora ad armare la mano di nuovi assassini.”  E’ con questa radicata e profonda persuasione che Marcello Venturi ha raccontato, senza odio, di un eccidio a cui ha guardato con animo dolente, riuscendo con la sua narrazione a consegnare ai lettori una vera opera d’arte.

Non aggiungo altro, un capolavoro non ne ha bisogno.

Marcello Venturi (Seravezza, Lucca, 1925 - Molare, Alessandria, 2008) narratore italiano. I suoi libri più noti s’ispirano alla guerra, nella linea del neorealismo: Dalla Sirte a casa mia (1952), Bandiera bianca a Cefalonia (1963), Gli anni e gli inganni (racconti, 1965). Le opere successive affrontano situazioni legate ai problemi della cultura agricola italiana: Terra di nessuno (1975), Il padrone dell’agricoltura (1979), Sconfitta sul campo (1982). La vena ironica prevale in Dalla parte sbagliata (1985), che racconta le vicende di una persona perseguitata dalla sfortuna, mentre in Il giorno e l’ora (1987) le fantasie del protagonista, un orologiaio, divengono metafora del tempo «scaduto». Sdraiati sulla linea (1991) è un’arguta confessione autobiografica; Tempo supplementare (2000) è un libro di memorie familiari e ritratti di protagonisti della vita culturale italiana.

Renzo Montagnoli

 

 

18 Aprile

Il delitto Rosselli.

Anatomia di un omicidio politico

di Mimmo Franzinelli

Edizioni Feltrinelli

Storia

Pagg. 326

ISBN 9788807889301

Prezzo Euro 13,00

 

Un crimine fascista rimasto impunito

Mimmo Franzinelli è un noto studioso del fascismo e in tale contesto ha scritto numerosi saggi storici; fra questi ce n’è uno che indaga sulla morte dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, assassinati nei pressi di  Bagnoles-de-l’Orne, stazione termale della Normandia, il 9 giugno 1937 da un commando dell’Organisation Secrète d’Action Révolutionnaire Nationale, movimento dell’estrema destra francese più conosciuto con il soprannome di Cagoule. Gli omicidi furono commessi su istigazione del controspionaggio militare italiano e del Ministero degli Esteri del governo fascista. In effetti i Rosselli erano stati da sempre, soprattutto Carlo, ferventi antifascisti, più volte condannati, anche al confino, e riparati in Francia per proseguire alla luce del sole la loro attività di contrasto alla dittatura, accogliendo fra i tanti esuli italiani purtroppo anche spie che tennero costantemente al corrente del loro operato Mussolini e il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano. Considerata la pericolosità dei due fratelli, nel nostro paese si decise di eliminarli e questo fu il frutto di una convergenza di opinioni da parte dello stesso Galeazzo Ciano, di Filippo Anfuso, titolare della Farnesina  e fedelissimo a Ciano, e di Santo Emanuele, capo del controspionaggio militare. Nella questione e nella decisione di sopprimere i due fratelli intervennero anche, in posizioni di rilievo, Arturo Bocchini, capo della polizia, Michelangelo Di Stefano, capo dell’Ovra, Mario Roatta, capo del SIM e Paolo Angioi, vice di Roatta. Ad alcuni giorni dagli omicidi la polizia francese riuscì ad individuare i membri del commando, ma stranamente non procedette ad alcun fermo; fu solo nel mese di dicembre dello stesso anno che dopo approfondite indagini quasi tutti i sicari vennero arrestati, circostanza che preoccupò i mandanti tanto più che la magistratura d’Oltralpe  riuscì a individuare l’implicazione del governo italiano, che fu avvertito in proposito da quello francese, senza che tuttavia ci fosse un seguito per ragioni puramente politiche con il fine di mantenere rapporti tutto sommati tranquilli fra i due paesi. Si arrivò così alla seconda guerra mondiale senza conseguenze per sicari e mandanti. Tuttavia i magistrati francesi avevano iniziato l’iter processuale nei confronti degli assassini che rincominciò a fine conflitto, ma molti degli imputati non poterono essere ascoltati, o perché morti, o perché si erano resi irreperibili, e così nel novembre del 1948 il processo si concluse, senza peraltro che ci fosse stata una anche minima contestazione per la responsabilità italiana nel delitto. Ci furono indubbiamente delle condanne, ben 27, di cui tre alla pena capitale, ma solo per i latitanti, e 11 assoluzioni, ma chi era processata era l’organizzazione di estrema destra Cagoule, imputata di numerosi reati e omicidi, fra i quali quello dei fratelli Rosselli. Sarebbe stato logico attendere un procedimento analogo in Italia e solo per i mandanti, e in effetti ci fu; tuttavia a poche settimane dall’inizio della prima udienza il generale Roatta riuscì a fuggire, il che non impedì lo svolgimento del processo che si concluse in nemmeno due mesi con le sentenze del 12 marzo 1945 che prevedevano la pena capitale per Anfuso e l’ergastolo per Roatta ed Emanuele. Le sentenze ovviamente furono impugnate, ma finita la guerra, il clima cominciò a cambiare e così il 6 marzo del 1948 finirono con l’essere annullate, trasferendo i relativi procedimenti alla Corte d’Assise di Perugia, che il 14 ottobre del 1949 assolse tutti gli imputati con una sentenza che ha dell’incredibile, vista l’inoppugnabile evidenza dei fatti. Franzinelli ricostruisce tutta la vicenda, partendo dalle origini dell’attività antifascista dei fratelli Rosselli e arrivando alla famosa sentenza di assoluzione; lo fa con competenza ed equilibrio e inoltre come al solito evidenzia le fonti, correda il tutto con note, con i profili biografici dei “cagoulards” e dei mandanti, con riproduzioni fotografiche dei documenti e con diverse illustrazioni.

Il delitto Rosselli è un saggio storico che merita senz’altro di essere letto.

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019).

Renzo Montagnoli

 

 

12 Aprile

Conspirata

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 322

ISBN 9788804670452

Prezzo Euro 12,50
 

Il caso Catilina

Imperium era terminato con la vittoria di Cicerone alle elezioni del consolato, una rara, per non dire unica, vittoria con consenso unanime, ed è con la sua figura, trascorsi appena due giorni dalla sua investitura che inizia il secondo libro, Conspirata. E’ un avvio tragico, con il rinvenimento del corpo di un ragazzino trucidato a seguito di un sacrificio umano, un segno del destino avverso al nuovo console, che non riuscirà ad avere, nel proprio incarico, il benché minimo periodo di quiete, dovendo anche e soprattutto affrontare il tentativo di colpo di stato di Lucio Sergio Catilina. E’ forse questo il periodo migliore della vita di Cicerone e anche la parte migliore di questo libro, se non addirittura dell’intera trilogia. Catilina è l’arma con cui si vuole esautorare la repubblica, ma l’arma che tiene la spada va cercata altrove; potrebbe trattarsi di Crasso, oppure di Pompeo, ma entrambi sono alleati e manovrati da un individuo la cui perfidia ha dell’incredibile e che concepisce il potere come totale asservimento degli altri alla sua volontà. Il suo nome è  Gaio Giulio Cesare, un astro nascente che oltre a splendere sempre di più in cielo tesse continue trame per abbattere chiunque lo ostacoli nei suoi disegni e Cicerone è senz’altro il suo avversario più agguerrito e in breve diventerà il suo nemico. In questo libro la politica diventa il mezzo per raggiungere gli obiettivi di potere e per accrescerli, una serie di sotterfugi, di tradimenti, di alleanze, di violenze, tendenti dapprima a isolare l’avversario, poi a renderlo inviso al popolo e infine a emarginarlo, dandogli dapprima la morte civile, poi anche quella fisica. Devo ammettere che l’abilità di Robert Harris è sconcertante, capace come è di descrivere trame sottili, giravolte imperiose, riuscendo a rendere partecipe il lettore all’angoscia di certi personaggi, fra i quali un Marco Tullio Cicerone che in breve diventa l’ombra di se stesso e che non riesce più a subodorare i tranelli e a scegliere le azioni più mirate per difendersi. L’uomo è stanco e con lui il politico, stanco di combattere un nemico dietro l’altro di quel concetto di Repubblica che ha sempre difeso strenuamente e quando si è in queste condizioni l’unica tattica, estrema, è la fuga; ed è così che si chiude Conspirata, con Marco Tullio Cicerone che a piedi, con un paio di schiavi che portano un po’ di bagaglio e con il fido Tirone, che lui ha da poco liberato, ha preso di notte, di nascosto, la strada per il sud, verso il porto di Brindisi.

Il libro è decisamente bello, con l’azione che non manca, ma con in risalto il grande acume di Cicerone, che solo verso la fine sembra spegnersi di fronte a un destino che lo vede soccombente. Ma non è finita, c’è ancora un terzo libro, Dictator, che sarà oggetto di un altro esame.

Da leggere, mi sembra ovvio.

Robert Harris (Nottingham, 7 marzo 1957), laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times".

È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

 

6 Aprile

L’ebrea errante

di Edgarda Ferri

Solferino Editore

Storia

Pagg. 292

ISBN 9788828209638

Prezzo Euro 17,00

 

Una donna coraggiosa

Edgarda Ferri ha una straordinaria abilità nel narrarci le vite di personaggi, più o meno noti, della storia, arricchendo lo svolgimento del tema con ampi approfondimenti sull’epoca di questi protagonisti, di modo che si ha la possibilità di ampliare la propria cultura con quadri precisi di periodi passati, dipinti in modo semplice, ma anche esauriente, con un’apprezzabile completezza che tuttavia non pregiudica il piacere della lettura. Che si tratti del grande Vespasiano Gonzaga di Il sogno del principe, o degli anonimi protagonisti del giorno della liberazione di L’alba che aspettavamo, tutti i personaggi oggetto di studio di questa grande narratrice hanno pari dignità, perché tutti sono protagonisti, in misura maggiore o minore, della storia. E’ in quest’ottica che viene presentata al lettore Beatrice de Luna Mendes, nata nel lontano Portogallo nel 1510, moglie fedele di Francisco Mendes, un commerciante di spezie ricco e famoso, ebreo convertito per aver salva la vita e per conservare le sue proprietà, un marrano come erano chiamati appunto gli israeliti che avevano abiurato la loro fede per abbracciare, quasi sempre solo in apparenza, quella cristiana. In un’epoca che vide alcune delle tante persecuzioni, gli ebrei furono costretti a lasciare la Spagna, dopo che i re di Castiglia avevano sconfitto i mori, invece molto tolleranti delle altre religioni, ed emigrarono verso molti paesi, ma soprattutto verso il Portogallo, agli inizi piuttosto permissivo. In seguito, tuttavia,  il furore religioso di un frate, Diogo da Silva, confessore reale e capo dell’Inquisizione, travolse anche quel regno, con poche alternative per i giudei: o conversione piena, cioè non solo apparente, o confisca dei beni, esilio e in non pochi casi torture e morte sul rogo.  In questo contesto Francisco Mendes si ammalò e morì, lasciando una immensa fortuna che donna Beatrice doveva gestire e amministrare per conto della figlia Brianda, che aveva solo sette anni. La vedova si trovò di colpo in una situazione difficile, perché marrana pure lei doveva essere abile nel dissimulare la sua fede originaria e nel contempo difendersi da chi avrebbe voluto approfittare della situazione. Tuttavia in lei maturò un orgoglio che non solo la spinse a operare per il meglio, ma ad agire, ovviamente nell’ombra, per soccorrere, grazie al denaro e al potere, altri ebrei che non avevano avuto la stessa fortuna. All’inizio si spostò nelle Fiandre, dove il fratello del marito faceva l’intagliatore di diamanti e dove l’Inquisizione era meno forte, poi con il propagarsi in Europa delle guerre di religione cominciò a viaggiare, da Anversa a Venezia, dove riprese il suo originario nome, Grazia Nasi, che era decaduto con la conversione, poi a Ferrara, ad Ancona e infine  a Istanbul, dove diventò un personaggio importante alla corte di Solimano il Magnifico. In poco tempo diventò talmente potente da poter trattare con Papi e monarchi; al riguardo fece pressioni più volte sul Pontefice per alleviare lo stato di oppressione degli ebrei romani e pagò un ingente riscatto al viceré spagnolo di Napoli affinché un migliaio circa di ebrei convertiti, accusati dall’Inquisizione di comportarsi da falsi cristiani, potessero lasciare quel regno  e trasferirsi nel più tollerante stato ottomano.

Questa magnifica donna si prodigò continuamente per aiutare i confratelli e lo fece fino alla sua morte, avvenuta a Costantinopoli nel 1569; aveva 59 anni e fu pianta dalla comunità israelitica, lasciando anche un ricordo positivo e indelebile alla corte del Sultano.

Edgarda Ferri conferma anche in questo libro le sue indubbie qualità, porta alla ribalta un personaggio che merita ogni rispetto, riuscendo a inquadrarlo perfettamente nella sua epoca, un cinquecento fastoso, ma anche cupo, in un’Europa dove l’intolleranza per lo più prevale, e non solo nei confronti degli ebrei, come testimoniato dalle guerre di religione che divamparono in quel secolo e che durarono fino alla metà del secolo successivo, mietendo migliaia di vittime.

Da leggere, merita senz’altro.

Edgarda Ferri è nata a Mantova e vive e lavora a Milano. Scrittrice, saggista, giornalista ha esordito nel 1982 con Dov´era il padre, un romanzo che rimane tuttora un ritratto fondamentale e un punto di riferimento per un´intera generazione. Ha pubblicato inoltre, Contro il padre (1983), La tentazione di credere (1985), Il perdono e la memoria (1988), Luigi Gonzaga (1991), Quello che resta di Cristo dopo 2000 anni (1996) e, per Mondadori, Maria Teresa (1994), Giovanna la Pazza (1996), Io, Caterina (1997), Per amore (1998), L'ebrea errante (2000), Piero della Francesca (2001), La grancontessa (Le Scie, 2002), Letizia Bonaparte (2003), L'alba che aspettavamo (2005), Il sogno del principe (2006), Rodolfo II (2007), Uno dei tanti (2009).

Renzo Montagnoli

 

 

5 Aprile

Emozioni difficili

di Giampaolo Giampaoli

Casa editrice Controluna

Poesia

 

L’autore indirizza la sua ricerca verso una trasfigurazione mentale del vissuto più profondo. Questa premessa ci guida, ci prende per mano, ci aiuta ad entrare appunto nel profondo della sua esperienza.

Già nel primo testo si delineano i temi che accompagneranno tutta la raccolta: la natura nella sua variabile bellezza e i sentimenti come desiderio di condivisione. Una condivisione anelata,  che spesso si coglie in alternanza fra “indecisione e comprensione”.

L’acqua  con le sue sinfonie vivificanti: il “mantice”, che irrora e nello stesso tempo insuffla dando vita al pensiero. Ma c’è anche l’inno alla potenzialità della parola, che viene proposta come energia creatrice,  rigenerante, e soprattutto implorata perché resti a soccorrerci quando il bisogno di dirci chiede aiuto alla molteplicità delle sue significazioni.

Poi si torna alla memoria, alla compenetrazione con l’altro. La  lettura, che è percepita nell’apertura verso un ignoto, che “si genera ai confini del cielo.” Ancora, incontriamo i paesaggi remoti da cui abbiamo avuto origine…

Le riflessioni, che prendono vita da impronte naturalistiche, si dilatano verso l’esperienza personale anche quando si è “distratti da solite emozioni” nella luce che avvolge e scopre ciò che prima  era sconosciuto. E la costrizione a procedere uniti in una ripetitività che  imprigiona “in dimensioni mentali parallele”.  La conclusione è un addio ”che si portava via l’amore”.

Ma non è un addio al  bisogno di scrivere, no!

L’amore per la parola rimane, quale strumento imprescindibile per trasmettere le proprie sensazioni più intime. Anche se i testi sono declinati al passato, la rievocazione ne mantiene intatte e indelebili le pulsioni emotive. Tutta la raccolta nasce dal desiderio di liberarsi da pesi condizionanti, per condividere con l’altro quella aspirazione alla serenità, al quieto appagamento interiore che il contatto catartico con la poesia offre.

Un ideale espresso con parole illuminanti, usate  a mo’ di colpi di luce, come farebbe il pennello di un pittore, non per ritrarre la realtà, ma per riconfigurarla in poesia.

I versi si sgranano con un ritmo compositivo lineare, sciolto, linguisticamente ricco, ma accessibile e sussurrato per non mettere in difficoltà chi legge, perché gli intendimenti dal poeta arrivino nitidi e possano essere accolti e ricordati da chi li incontra.

Carla Paolini

 

 

 

2 Aprile

Vola golondrina

di Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli

Giunti Editore

Narrativa

Pagg. 288

ISBN 9788809977976

Prezzo Euro 18,00

 

Una grande umanità

Pochi giorni prima delle elezioni politiche dell’aprile 1948 a Montefosco, paesino dell’Appennino Tosco-Emiliano c’è una moto che a notte inoltrata attraversa la strada principale con il pilota che canta a squarciagola; la cosa continua fino a quando in una casa abbandonata viene ritrovata la due ruote, anzi tre poiché si tratta di un sidecar, con accanto il cadavere di un uomo con il volto orribilmente sfigurato. Passano diversi anni e si arriva al maggio del 1972, mese in cui si terranno elezioni politiche che riveleranno il successo, inatteso, del Movimento Sociale Italiano; si scopre un altro morto ammazzato, tale Ardito Richeldi, candidato missino e coinvolto in uno scandalo collegato a finanziamenti a gruppi eversivi di destra. Per quanto i due delitti possano sembrare non collegati, piano piano con l’evolversi dell’indagine condotta da una giornalista alle prime armi, si scoprirà che invece lo sono.

La coppia Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli continua a sfornare gialli ambientati sull’Appennino Tosco -Emiliano, questa volta con la particolarità che la narrazione dell’indagine non riguarda un maresciallo dei carabinieri (c’è, ma in pratica non fa niente per venirne a capo, timoroso anche di chissà quali risvolti), ma una giovane giornalista, nativa di Montefosco. Non avrà l’esperienza di un detective, ma di sicuro ha tenacia e quando scopre una traccia si può star sicuri che non l’abbandona più.

Fra l’altro questo Vola golondrina ha la caratteristica non solo di frequenti ritorni dal presente ad anni precedenti, ma anche dell’ambientazione, a tratti a Montefosco, a tratti in Spagna durante la guerra civile, e non è un caso quel Golondrina, un termine spagnolo che significa rondinella e che è il soprannome di una bella rivoluzionaria.

Se a volte la trama può presentare qualche scompenso, se magari induce il lettore a farsi un’idea sbagliata, poi alla fine, come in tutti i gialli che si rispettano, vengono sciolti nodi che parevano inestricabili. Fin qua niente di strano, un percorso obbligato a cui non vengono meno gli autori e in linea con le altre prove precedenti; tuttavia qui c’è qualcosa di diverso, un’appassionata storia d’amore e di amicizia, nel turbinio della guerra, e una profonda umanità espressa dalla giornalista quando avrà una risposta a tutte le sue domande.

Vola golondrina è bello ed è qualcosa di più di una semplice lettura passatempo. 

Francesco Guccini (Modena, 14 giugno 1940) cantautore mito di più di una generazione, anche la sua attività di scrittore si configura come una delle esperienze più originali e suggestive della scena letteraria italiana dell'ultimo decennio. Sporadicamente anche attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Fino alla metà degli anni Ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College di Bologna, scuola off-campus dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della Johns Hopkins University (Washington, DC, USA). La sua vita si è svolta tra Modena, Pàvana e Bologna. Tra i suoi libri si ricordano: Cronache epifaniche (Feltrinelli 1989, ripubblicato da Mondadori nel 2013), Vacca di un cane (Feltrinelli, 1993), Storie d'inverno (Mondadori 1994), La legge del bar e altre comiche (Comix, 1996), Un altro giorno è andato (Giunti 1999), Cittanova Blues (Mondadori, 2003), L'uomo che reggeva il cielo (Libreria dell'orso 2005), Icaro (Mondadori 2008), Non so che viso avesse la storia della mia vita (Mondadori 2010), Dizionario delle cose perdute (Mondadori 2012) e Il piccolo manuale dei giochi di una volta (Mondadori 2015), Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto (Mondadori 2015), Magnifici malfattori. Storia illustrata dei briganti toscani (Baldini + Castoldi 2018), Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto (Giunti Editore 2019). Con Loriano Macchiavelli ha scritto per Mondadori la raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti (2002) e numerosi romanzi tra cui Macaronì (Mondadori 1997), Un disco dei Platters (Mondadori 1998), Questo sangue che impasta la terra (Mondadori 2001), Tango e gli altri (2007), Malastagione (Mondadori 2011), La pioggia fa sul serio (2014), e per Giunti Tempo da elfi. Romanzo di boschi, lupi e altri misteri (Giunti Editore 2017), Non so che viso avesse. Quasi un'autobiografia (Giunti 2019), con Loriano Macchiavelli Che cosa sa Minosse (Giunti 2020) Storie liete, fiabe nere e tempi andati (Giunti 2021), Tre cene (l'ultima invero è un pranzo) (Giunti 2021) e Vola golondrina (Giunti 2023).


Loriano Macchiavelli (Bologna, 12 marzo 1934) ha frequentato l'ambiente teatrale come organizzatore, come attore e, infine, come autore; alcune sue opere teatrali sono state rappresentate da varie compagnie italiane. Dal 1974 si è dedicato al genere poliziesco e ha pubblicato numerosi romanzi divenendo uno degli autori italiani più conosciuti e letti. 
Da un suo romanzo (Passato, presente e chissà) è stato tratto lo sceneggiato televisivo per Rai Due Sarti Antonio brigadiere andato in onda nell'aprile del 1978. In seguito ha curato il soggetto e la sceneggiatura del film per la TV L'archivista, andato in onda su Rai Uno nel settembre del 1988. Il film porta sul piccolo schermo uno dei suoi personaggi letterari più riusciti: Poli Ugo, interpretato per la TV da Flavio Bucci. Il film presenta una Bologna attuale e viva, ben lontana dalla solita vecchia iconografia, e anticipa drammaticamente le mutazioni successive della città.  A fine '87 e primi mesi del 1988 è andata in onda una lettura radiofonica in 13 puntate dei suoi racconti, dal titolo I misteri di Bologna. Nel 1988 Rai Due ha prodotto una serie di 13 telefilm, tratta da suoi romanzi e racconti, i cui esterni sono stati girati interamente a Bologna e dintorni. La serie ha per titolo L'ispettore Sarti - un poliziotto, una città ed è andata in onda su Rai Due a partire dal 12 febbraio 1991 e replicata nel 1993. La serie televisiva di Sarti Antonio è proseguita (sempre su Rai Due) con una coproduzione italo tedesca (Rai-NDR) di sei film di un'ora e trenta, ancora tratta dai suoi romanzi, e andati in onda nell'aprile e maggio del 1994. Il suo personaggio più conosciuto, Sarti Antonio, è entrato anche nel fumetto (Orient Express) con una serie di avventure tratte dai romanzi. I disegni sono di Gianni Materazzo. Numerosi romanzi sono stati tradotti all'estero: Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Giappone, Romania...  Nel 1974 ha vinto, con il romanzo Fiori alla memoria, il premio Gran Giallo Città di Cattolica; nel 1980, con il romanzo Sarti Antonio, un diavolo per capello, ha vinto il premio Tedeschi; nel 1992 ha vinto la XIV edizione del Premio di letteratura per l'infanzia con il romanzo Partita con il ladro; nel 1997, con il romanzo Macaronì (scritto assieme a Francesco Guccini), ha vinto il Premio letterario Alassio, un libro per l'Europa, dopo essere stato nella rosa dei finalisti nel Premio Ennio Flaiano e nel Premio città di Ostia.
Lo stesso romanzo ha vinto l'edizione 1998 del Police film festival. Con il romanzo Tango e gli altri (scritto sempre con Francesco Guccini) ha vinto l'edizione 2007 del Premio Scerbanenco (Courmayeur, Mistfest). Ha pubblicato e pubblica con i maggiori editori italiani. Ha collaborato e collabora con quotidiani e periodici. Altri romazi da ricordare sono I sotterranei di Bologna (Mondadori, 2002), Delitti di gente qualunque (Mondadori, 2010), L'ironia della scimmia (Mondadori, 2012) e Sarti Antonio, rapiti si nasce (Einaudi, 2014). Insieme a Francesco Guccini ha scritto per Mondadori la raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti (2002), Un disco dei Platters (1998), Questo sangue che impasta la terra (2001), Malastagione (2011) e La pioggia fa sul serio (2014), oltre ai già citati Macaronì e Tango e gli altri. Assieme a Marcello Fois e Carlo Lucarelli ha fondato il "Gruppo 13" e con Renzo Cremante ha fondato e dirige la rivista Delitti di Carta che si occupa esclusivamente di poliziesco italiano. Nel 1987 ha tentato di uccidere Sarti Antonio, sergente. Non c'è riuscito. Nel 1990 ha avuto una quantità di guai con il romanzo Strage, ritirato dalla circolazione per ordine dell'Autorità Giudiziaria. Assolto da ogni accusa, il romanzo sarà ripubblicato da Einaudi solo nel 2010. Nel 2001 Rai Sat Fiction è riuscita a farlo recitare in una serie di sei minidrammi dal titolo Bologna in giallo, rapsodia noir, assieme a Carlo Lucarelli. A causa dello straordinario successo ottenuto dalla coppia, l'esperienza si è ripetuta nel 2002 con 12 minidrammi in Corpi di reato. L'Arma contro il crimine. Nel 2019 per Mondadori pubblica Delitti senza castigo e La bambina del lago. Nel 2020 scrive con Francesco Guccini Che cosa sa Minosse (Giunti) e nel 2023 Vola golondrina (Giunti).

Renzo Montagnoli

 

 

25 Marzo

Scipione Gonzaga.

Vita burrascosa e lieta di un aspirante cardinale del Cinquecento

di Luca Sarzi Amadè

Odoya Edizioni

Storia

Pagg. 352

ISBN 9788862883962

Prezzo Euro 22,00

La lotta per un posto al sole

Come era d’uso in tutte le grandi dinastie gli incarichi per la numerosa figliolanza, prima quella legittima e poi quella illegittima, erano predeterminati; in particolare si cercava di avere qualcuno che contava anche nel clero e così, accanto ai principi di ogni signoria, era d’uopo aspirare ad avere un principe della Chiesa. I Gonzaga, una famiglia che ha dominato per lungo tempo, diede i natali, se la memoria non m’inganna, a dodici vescovi e a dieci cardinali, non facendosi mancare anche un santo, che se non aveva poteri terreni, diventava oggetto di culto e infatti ebbe San Luigi. 

Nell’ambito di questi incarichi di potere il più famoso fu indubbiamente il Cardinale Ercole, tanto per intenderci si tratta di colui che presiedette il famoso Concilio di Trento, quello indetto per contrastare la Riforma luterana e per questo definito il Concilio della Controriforma. Inoltre, dopo la morte del nipote Francesco III, fu reggente del Ducato di Mantova, occupandosi anche dell’educazione dei parenti giovani, fra i quali ci fu un certo Scipione Gonzaga, nato a Mantova l’11 novembre 1542, e deceduto poi  a San Martino dall’Argine il 11 gennaio 1593, figlio secondogenito di Carlo Gonzaga ed Emilia Cauzzi, e pertanto destinato alla carriera ecclesiastica. Il giovinetto dimostrò una buona vocazione religiosa e un interessamento particolare allo studio, tanto che frequentò l’Università di Padova, laureandosi in filosofia e teologia. Il cardinale Ercole apprezzò molto la dedizione e l’intelligenza del nipote, al punto da portarlo con sé a Trento ove si teneva il famoso Concilio e dove nel 1563 l’alto prelato morì. Pur venendogli a mancare la solida sponda dello zio, Scipione diventò principe di Bozzolo nel 1568, brigando non poco per difendere la posizione dai parenti che ambivano il possesso del suo piccolo dominio. L’uomo era indubbiamente intelligente, preparato e volitivo, per cui riuscì a farsi largo per ritagliarsi, più che una fetta di celebrità, un po’ di quel potere che il nome della sua famiglia evocava, così che nel 1587 divenne Cardinale e governò il Monferrato dal 1590. Fu indubbiamente un personaggio, non certo minore, della casata e i traguardi raggiunti lo dimostrano, ma è giusto ricordarlo anche per le sue passioni per la musica, per la poesia e per le collezioni d’arte; di certo non ebbe vita tranquilla, perché cercare un posto al sole voleva dire mettersi in concorrenza con altri e Scipione di nemici se ne fece non pochi.

Luca Sarzi Amadè, sulla base anche dell’autobiografia scritta dall’interessato cinque anni prima della sua morte, narra con questo suo libro la vita di un uomo che non si accontentò di essere una comparsa, ma che ambì, riuscendovi, a raggiungere traguardi prestigiosi. Lo fa con quella meticolosità che gli è propria, curando molto il contesto, onde meglio comprendere i comportamenti del protagonista, con correlazioni a volte forse eccessive, in una profusione di fatti, di personaggi, di costumi  che se da un lato stupisce e affascina, dall’altro rischia di far confondere il lettore. Questo è l’unico appunto che ritengo di fare all’opera che peraltro è di notevole interesse per comprendere anche gli eventi salienti di un’epoca, quella della seconda metà del XVI secolo, quella della Riforma e della Controriforma, delle guerre di religione, della Santa Inquisizione, quella della fine di quel meraviglioso periodo culturale che risponde al nome di Rinascimento.

Luca Sarzi Amadè ha collaborato con alcuni tra i maggiori quotidiani e periodici nazionali (La Repubblica, Il Giorno, Famiglia Cristiana, L´Espresso) e, per la televisione, con la Rai. La sua passione per l´indagine storica e per la scrittura si è sviluppata lontano da congreghe accademiche e politiche. Ha svelato (in parte) i suoi segreti di indagatore nel suo manuale di ricerca genealogica (di cui sta curando un´edizione aggiornata). Ha dedicato vari libri alla sua città come: la guida Milano fuori di mano, con prefazione di Jannacci, e il divertente Milano in periferia. Tra le sue opere: Il duca di Sabbioneta. Guerre e amori di un europeo errante (Mimesis, 2013), L' antenato nel cassetto. Manuale di scienza genealogica (Mimesis, 2015), Scipione Gonzaga. Vita burrascosa e lieta di un aspirante cardinale del Cinquecento (Odoya, 2017).

Renzo Montagnoli

 

 

 

20 Marzo

Bombardate Roma!

Guareschi contro De Gasperi: uno scandalo della storia repubblicana

di Mimmo Franzinelli

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Storia

Pagg. 240

ISBN 9788804641025

Prezzo Euro 19,00

Un’accusa infamante

Nel gennaio del 1954 non avevo ancora sette anni e quindi ero troppo piccolo per seguire la politica nazionale e i maggiori eventi; in seguito, però, già a partire dagli inizi degli anni ‘60, ho saputo di questo fatto eclatante, nato con la pubblicazione sul settimanale satirico “Candido” appunto del gennaio del 1954 di due lettere risalenti al gennaio di dieci anni prima, firmate da Alcide De Gasperi, e con le quali si esortava gli angloamericani a bombardare Roma, con il preciso scopo di provocare l’insurrezione del popolo insieme ai gruppi di patrioti. Si può ben comprendere la potenza distruttiva di una simile notizia, considerato che Alcide De Gasperi era all’epoca eminente esponente della Democrazia Cristiana ed ex Presidente del Consiglio. Ne nacque una polemica furibonda, che interessò anche altri giornali; alla base c’era una domanda, alla quale nessuno sembrava in grado di rispondere, e cioè se effettivamente De Gasperi avesse sottoscritto quelle lettere.

Apparve del tutto logica la querela sporta da De Gasperi, che negò decisamente di averle  scritte e sottoscritte, e a decidere fu chiamato il Tribunale di Roma, il quale sentenziò che si trattava di un falso e senza necessità di ricorrere a una perizia grafologica, sulla base di elementi di certezza che non la rendevano necessaria. In particolare non si riusciva a capire come lettere inviate agli alleati, a uno in particolare che non aveva titoli per riceverle, fossero finite nelle mani di terzi. Con il tempo venne evidenziandosi un intricato complotto che aveva prodotto i falsi con l’evidente scopo di creare una gravissima crisi istituzionale, una sorta di colpo di stato, dietro il quale stavano esponenti dell’estrema destra fascista.

La vicenda è intricata, ma Mimmo Franzinelli si destreggia molto bene riuscendo a parlarne approfonditamente e in modo chiaro sulla base, come di consueto, di solida documentazione. Fra l’altro allega al suo libro una perizia della grafologa giudiziaria Nicole Ciccolo, dalla quale emerge in modo inoppugnabile la falsità totale delle sottoscrizioni. Come sempre in Italia, dove entra la politica, i responsabili, gli autentici mestatori, non ebbero a patire conseguenze. Ben diversa fu la situazione per il querelato Giovannino Guareschi. Infatti, il celebre autore della serie di Don Camillo, riconosciuto colpevole di diffamazione, venne condannato con sentenza del 15 giugno 1954 per il reato di diffamazione a mezzo stampa e scontò la pena inflitta (dodici mesi di reclusione più più altri otto di una precedente condanna con la condizionale  di quattro anni prima per vilipendio del Presidente della Repubblica) nel carcere di Parma, essendosi rifiutato di interporre appello, convinto della propria innocenza; ritornò poi in libertà molto cambiato, per non dire distrutto, e non andò meglio al querelante Alcide De Gasperi, provato notevolmente per l’accusa infamante tanto che si ammalò e morì il 19 agosto del 1954.

Da leggere, perché è veramente interessante.

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019). 

Renzo Montagnoli

 

 

14 Marzo

Imperium

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 347

ISBN 9788804671800

Prezzo Euro 12,50

 

Il potere

Robert Harris ha scritto una biografia romanzata di Marco Tullio Cicerone in ben tre volumi, di cui il primo è Imperium (gli altri sono Conspirata e Dictator), avendo l’accortezza di farla apparire come il memoriale  del suo segretario Tirone, sopravvissuto alla purga di Antonio non figurando nella lista dei proscritti, e deceduto a quanto pare in età molto avanzata, intorno ai cento anni; dapprima schiavo e poi liberto, ricordato anche per aver inventato la stenografia, Tirone racconta in prima persona contribuendo a una parvenza di verità, anche perché si basa su quanto ci è dato di conoscere dalle fonti, e inizia non tanto dalla nascita di Cicerone, ma del sorgere della sua vocazione per l’ars oratoria, di cui diventò senz’altro il migliore. La prima parte di Imperium (all’incirca 170 pagine) è dedicata alla famosa causa contro il governatore della Sicilia Gaio Licinio Verre che tiranneggiò l’isola nel triennio 73-71 a C., arricchendosi cospicuamente con i reati di corruzione, concussione e abuso di autorità. Nel libro è possibile apprezzare l’intuito giuridico e politico di Cicerone che, sovvertendo ogni pronostico e nonostante tutte le difficoltà e gli strumenti non solo legali che gli vennero opposti, colse una vittoria piena, costringendo l’imputato alla fuga e all’esilio. Grazie al successo contro il difensore di Verre, l’abile Quinto Ortensio Ortalo, all’epoca considerato il miglior legale esistente nell’impero romano, divenne lui il nuovo principe del Foro. Stranamente la realtà fatta di intrighi e di corruzione, di continua lotta per accrescere il potere e per difenderlo ha più di una rassomiglianza con il mondo attuale, segno che nei secoli vi è ben poca traccia dell’evoluzione umana. Nella seconda parte si parla del crescente successo politico di Cicerone che, fra Crasso e Pompeo, decise infine di parteggiare per quest’ultimo, trovando la soluzione legale affinché si potesse realizzare il proposito di accentrare nelle sue mani e nella sua unica persona il comando di tutte le operazioni per debellare i pirati che avevano attaccato il porto di Ostia, distruggendo diverse navi all’ancora della flotta militare. La presenza di questi banditi del mare era indubbiamente tale da creare pericoli, ma questi furono ingigantiti dal desiderio di Pompeo di diventare l’uomo dai pieni poteri. Dato che in politica vige il do ut des la carriera politica di Cicerone continuò, da edile a pretore, per quanto in quest’ultima veste, a causa del metodo di estrazione a sorte degli incarichi, venne chiamato a presiedere giudizi per il reato di concussione, la sezione tribunalizia meno prestigiosa.

Come romanzo storico è di piacevole lettura, grazie a un ritmo moderato pur in in presenza di eventi di inevitabile tensione; piuttosto devo dire dire che, data la lunghezza del periodo di riferimento  (dal 78 al 63 a. C.) e la notevole varietà degli eventi, a volte si presenta un’alternanza di scrittura narrativa con un’altra che potremmo definire di sunto storico, ma si tratta di difetti di modesta entità perché l’autore riesce a dare a una visione ordinata del periodo di decadenza della repubblica e che sfocerà poi più avanti nella fine della stessa.  

Imperium merita sicuramente di essere letto.                                                                                         

Robert Harris (Nottingham, 7 marzo 1957), laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times". È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

8 Marzo

Ho amato persino la pietra

di Tarana Turan Rahimli

Il Cuscino di stelle Edizioni

Poesia

Pagg.44

ISBN 9791280659637

Euro 10,00

 

Un sentimento immortale

Quando penso alla poesia d’amore la mia mente corre subito a quelle del turco Nazim Hikmet, sicuramente fra le più belle nel genere, ma tanti poeti hanno scritto in proposito, di ogni paese, perché l’amore è un sentimento senza confini. Non mi era però mai capitato fino a oggi di leggere delle liriche in tema di una poetessa dell’Azerbaigian, un paese che ci sembra molto lontano da dove siamo noi e in effetti lo è, perché è situato nel Caucaso, fra la Turchia e la Georgia. Ci si  aspetterebbe di trovare armonie asiatiche, profumi d’oriente e invece troviamo dei versi che sono del nostro tempo, mentre solo il sentimento non lo è, perché quello è senza tempo. E così abbiamo una carrellata in tema sotto tutte le sue numerose sfaccettature, che vanno dall’emozione all’ansia, dalla passione alla sofferenza, dalla bugia alla bruciante verità, ed emblematica in questo senso è la prima poesia della raccolta, Mi riconosceranno dal mio amore, di cui di seguito riporto uno stralcio:  Alcuni lasceranno le loro tracce, in questo mondo / Altri non saranno soddisfatti di nulla. / Una tomba qualunque / Parlerà del suo proprietario, / Una parola qualsiasi  / Sarà detta da qualcuno. / Tutti desidereranno  / Lasciare una qualsiasi parola in questo mondo. / I secoli ce li faranno dimenticare. / I castelli di bugie /  Crolleranno. / …). E’ un incipit che dice tutto, senza remore, e che ben introduce all’intera opera. L’amore, ma anche il desiderio d’amore, il ricordo di un amore accompagnano gli uomini nel tempo e si rivelano quando nell’ultima stagione della vita scocca l’ultimo giorno, come nella stupenda Si recitava il requiem, in cui Mozart, sfinito, è prossimo al trapasso (.../ Il suono scendeva in un pozzo, / E a volte emergeva in superficie. / Il destino del giorno che stava per esplodere / È stato scritto al momento giusto. / Il cuore del compositore /  Annoiato / Stava suonando il "Requiem" / per l'ultima volta. /  / Mancava meno tempo al mattino, /Quel cuore aveva plasmato la sua essenza / Sui suoni. / La sua faccia impallidì / Segni di un bacio sulle labbra / Mozart sorrideva / Alla ninna nanna dell'ultima notte. ). Credo che ogni commento di questi versi sia superfluo, ma mi permetto solo di evidenziare come senza arrivare a una parossistica liricità, facile tranello in questi casi, la sobrietà dell’esposizione riesce a trasmettere nel migliore dei modi quell’ultimo abbandono nel ricordo di un bacio.

Le sfaccettature sono tante e quindi la materia da plasmare non manca, così ci può essere l’amore anche per una città, come nella lunga, ma altamente esplicativa, Buongiorno, Roma!, di cui uno stralcio, anche se necessariamente breve, mi sembra doveroso: Buongiorno, Roma! / Il tuo sole mi sorride / In pieno inverno. / Lascia che il tuo mattino / Sia lontano dalla malizia del mondo / Sii piena di luce! / Terra di Pompei / Dove le spade / Che han tagliato le ombre del male / Brillano da lontano. / Lascia che le tue mattine / Che sono proibite all'oppressione / Siano piene di luce! / Ciao, Fontana Trevi / Lascia che le tue acque / Che scorrono contrariamente / Nel regno dei desideri / Nell'intenzione degli amanti / Siano piene di luce!  /  Buongiorno, Roma! /…

Questa raccolta è un tripudio di sentimenti, di ricordi, di località incontrate, di sensazioni, di emozioni che traboccano dall’animo della poetessa, di momenti in cui più d’uno potrà ritrovarsi. E credo che piacerà, anzi ne sono sicuro, piacerà alle donne perché avranno la conferma della naturalezza dei loro affetti, ma per lo stesso motivo sarà gradita agli uomini, perché ci sono sentimenti immortali, nati con il primo bagliore di vita e che mai verranno meno, veri motori dell’umanità.

Tarana Turan Rahimli è nata il 20 febbraio 1970, a Baku, la capitale dell'Azerbaigian. Nel 1990 entra nella facoltà di filologia dell'Università pedagogica dello Stato dell'Azerbaigian e si laurea nel 1995. Nel 2004 ha conseguito la laurea in filologia. Proprio durante gli anni di tirocinio (1991-1994) ha lavorato al quotidiano "Ganj muallim"

(Giovane insegnante) di ASPU, dopo la laurea ha lavorato come segretaria responsabile di quel giornale (1994-2000), poi è diventata caporedattrice (2000-2007). Nel frattempo, nel 1996-1997 è stata segretaria responsabile del quotidiano "Zaman" (Time), nel 1999 è stata il direttore del quotidiano "Azerbaijan fighters", nel 2007-2008 è diventata l'editor- Capo del giornale "Tahsil problemleri" (Problemi educativi). Dal 2003 è docente del dipartimento di "La letteratura dell'Azerbaigian e del mondo" dell'Università Pedagogica Statale dell'Azerbaigian, dal 2008 è docente presso lo stesso dipartimento, dal 2011 è assistente di professore di quel dipartimento. A partire dagli anni accademici 2012-2015 è l'assistente professore del dipartimento della "Letteratura Mondiale" di ASPU. Contemporaneamente insegna letteratura giapponese alla facoltà di studi orientali dell'Università Statale di Baku. Dal 1992 è membro dell'Unione degli Ashugs dell'Azerbaigian (dalla poesia), dal 1994 è membro dell'Unione dei giornalisti Azerbaigian, dal 1998 è membro del Consiglio dei Costruttori di giovani scrittori turchi del mondo, dal 1999 è Membro dell'Unione degli scrittori dell'Azerbaigian, dal 2007 è membro della ben nota organizzazione onoraria in Turchia Cyprys Balkans, - l'Organizzazione dell'Eurasia Letteratura Turca. È l'addetta del giornale accademico della Storia e del pensiero " Studiando l'Organizzazione Turca Mondiale.

È fondatrice delle riviste letterarie come "Qar Chichey" (Primrose) e "Addimlar" (Steps) (ASPU), membro dell'Unione dei Giovani scrittori turchi del mondo, ha partecipato attivamente alla compilazione e alla pubblicazione delle antologie intitolate come "Qar Chicheyi", "Addimlar" e "La voce del turco. Ha effettuato ricerche nel campo della letteratura azerbaigiana, letteratura turca, letteratura di Bati Trakya, letteratura russa, letteratura giapponese, letteratura dei paesi occidentali, critico letterario dell'Azerbaigian. È impegnata a tenere conferenze sulla storia della critica letteraria dell'Azerbaigian, sulla letteratura dei paesi occidentali, letteratura del popolo slavo orientale, letteratura del Giappone, letteratura moderna dell'Azerbaigian, letteratura del popolo turco.
E’ impegnata a scrivere poesia e prosa, critica letteraria, e traduzioni. Le sue opere sono state pubblicate in Turchia, Russia, Ucraina, Kirghizistan, Kazakistan, Uzbekistan, Iran e altri paesi. Ha partecipato a numerosi simposi internazionali, conferenze e eventi letterari. È autrice di sei libri e più di 400 articoli.
Nel 2007 Tarana Turan Rahimli ha ottenuto il premio "Qelem" (Pen) del concorso "Caucaso Media" in occasione dei Media Nazionali e 170 anniversario di H. Zardabi. Nel 2007 ha ricevuto il messaggio di ringraziamento dall'ufficio del Dekan della facoltà in base ai risultati degli esami da lei tenuti.
Nel 2009 è stata premiata con i premi di "La segretaria scientifica dell'anno: dall'Organizzazione di nuovi scrittori e artigiani. Nel 2012 in Turchia ha ottenuto il Decreto Onorario di Eurasia Letterature Turche di Cyprys Balkans, il Decreto Onorario dell'Università Gediz della Repubblica Turca, grazie a un intervento ufficiale del Comune di Izmir Konak.

È stata onorata con Onorevole Decreto di Istanbul Comune di Tuzla
Nel 2013 a Baku ha ottenuto il premio di "Per il servizio al mondo turco" dall'Unione dei mondi giovani scrittori turchi. Nel maggio 2013 in Turchia ha ottenuto il decreto onorario di KIBATEK, decreto onorario dell'università di Okan della Repubblica turca, nel dicembre del 2014 ha ottenuto decreto onorario e lettera di ringraziamento ufficiale. Nel 2014 è stata onorata con il Premio Internazionale di Akif Samad da parte dell'Unione dei turisti attivisti artigiani.
In agosto 2015 è stata onorata dal decreto onorario dell'artista turco Platforum.

Dal maggio del 205 è titolare del premio del Presidente dell'Azerbaigian Republic.
Sono stati pubblicati alcuni articoli sulla sua attività letteraria nella stampa scientifica e letteraria di Azerbaigian, Turchia, Russia, Grecia, Germania, Uzbekistan. In Turchia sono stati pubblicati i suoi due libri "Mi riconosceranno dal mio amore(Izmir, 2013), "La poesia che non ti ho scritto" (Ankara, 2013).

Renzo Montagnoli

 

 

 

1 Marzo


 

In absentia

di Mara Motta

Edizioni Tabula Fati

Poesia

Pagg. 144

ISBN 979-12-5988-225-7

Prezzo Euro 12,00

 

In punta di penna

Quando ho cominciato a esaminare questa silloge sono stato immediatamente impressionato in modo favorevole per il fatto che la poetessa ha espresso i suoi sentimenti e le sue emozioni in modo semplice, così che, messo al bando qualsiasi problema di comprensione, scevra dalla cripticità che caratterizza molti autori, ci si può dedicare a una lettura che ricerca le sensazioni insite nei versi. Non si creda però che la semplicità stilistica corrisponda a povertà strutturale, anzi è ricchezza di mezzi di comunicazione che consente a chi vi si accosta una piacevole esperienza di lettura. Come esempio di ciò che ho scritto si veda la poesia Tu donna Anse morbide / gallerie / di sabbia calda / sentieri di luce / fra conchiglie e spuma. / / Donna tu... fra le onde avvolta / eterna visione / di immortale bellezza.”. I versi sono pochi, ma anche le parole sono misurate, perché sono mirate. Il ritratto di una femmina, un’Afrodite che nasce dal mare, ha una luce sua che si irradia e colpisce il lettore, così che le parole si trasformano in immagini e le emozioni della poetessa traslano con immediatezza, suscitano sensazioni in grado di appagare la curiosità, ma anche la ricerca di bellezza di chi legge.

Sebbene la poesia di Mara Motta abbia un’indole e un carattere intimistico, trova nella natura che ci circonda le idee con cui realizza le sue composizioni. Sa bene che la bellezza del creato, se proposta avvedutamente, è in grado di comunicare quella serenità che ha dentro di sé e alla cui ricerca e conservazione ha uniformato la sua vita alla ricerca di un senso non banale dell’esistenza. E’ così che possono spiegarsi versi come questi: Da Neve sul mareSogno… / incanto soffice sul mare morbido. / / Mattina insolita / con la neve bianca / sulle rocce solitarie / sembrano attendere sguardi stupiti / di anime che vagano / cercano fra le onde / l’azzurro dell’estate.”. Questa composizione è talmente armonica che si desidererebbe che avesse un accompagnamento musicale, che potesse diventare un canzone. E non è finita, perché l’aspetto della natura si ritrova di continuo, basti pensare a Minuti: “Ancora minuti di luce / sorgente di acqua / nel cielo vestito /  di morbida spuma./ / Fluttuano nell’aria rossa / i sogni che arriveranno. / Il cielo raccoglie il miracolo / di pittori smarriti / che nelle ombre / della sera invadente / lasceranno il dono / di questa luce fiammante.

Come sempre, prima di leggere le poesie di un autore che non conosco sono un po’ titubante, non prevenuto, ma con quell’incertezza che deriva dal timore di incontrare qualcosa che non soddisfa e invece Mara Motta, almeno con questa silloge, che mi risulterebbe essere la sua seconda pubblicazione, è stata una piacevole sorpresa. Delicatezza, leggerezza di esposizione, ricchezza di contenuti, capacità di instaurare una sorta di dialogo con il lettore solleticandogli la sua fantasia, sono tutti pregi che ho riscontrato.

Non c’è nulla di troppo, né di troppo poco, c’è invece il piacere di aprire il proprio animo, di mostrare i sentimenti e penso che a chiusura di questa mia recensione, il cui giudizio è ovviamente positivo, sia  doveroso, come la classica ciliegina sulla torta, riportare una poesia d’amore, un amore descritto in punta di penna (Fra cielo  e mare: Cuore sospeso fra cielo e mare / dolce imbrunire / accompagna / il rientro serale. / / Mi acquieto in attesa / del tuo saluto per la notte / che lenta verrà a riunire / i nostri respiri.)

Mara Motta nasce a Pescara e nella città  adriatica trascorre la prima giovinezza. Compie studi umanistici, tesi ad assecondare il suo interesse per la riflessione sul mondo e sull´essere umano. Spende a Milano le prime esperienze lavorative che si concentrano, con sicurezza, sull´insegnamento, idoneo a valorizzare la passione per le lettere e la riflessione. La nostalgia per la sua città  e per gli affetti famigliari favorisce il suo rientro in Abruzzo con un frammento di cuore lasciato nella città  meneghina. A Pescara conclude l’esperienza lavorativa punteggiata dall´impegno di moglie, madre e nonna.

Renzo Montagnoli

 

 

25 Febbraio

Macaronì

Romanzo di santi e delinquenti

di Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli

Arnoldo Mondadori Editore S.p. A.

Narrativa

Pagg. 344

ISBN 9788804727521

Prezzo Euro 14,00 

Appennino in giallo

Che in poco tempo in un paesino dell’Appennino ci siano quattro morti sospette è già di per sé una serie di eventi insolita, ma che poi si tratti di omicidi ha addirittura dell’incredibile. Il maresciallo dei carabinieri Santovito, esiliato lì  per uno sgarro che probabilmente aveva a che fare con il fascismo all’epoca al potere, brancola nel buio e l’unica ipotesi che gli sembra plausibile è che si tratti delitti collegati a opera di una sola persona. Peraltro trova non poche difficoltà nel corso delle indagini a causa di una certa omertà che vede gli abitanti del paese tacitamente uniti. C’è chi qualcosa sa, c’è chi certamente sa molto, come il parroco di un vicino paese, ma sta di fatto che nessuno vuole parlare. E’ questo silenzio, è questa diffidenza che soprattutto fanno andare in bestia il tutore della legge che si mette a fare la voce grossa, ma che soprattutto cerca di entrare nella psicologia degli abitanti, fra i quali ci sono una contessa che fa una vita ritirata, c’è una sua bella cameriera che fa girar la testa agli uomini e particolarmente all’appuntato dei carabinieri, c’è Bleblè il compagno del maresciallo al tavolo delle carte in osteria, insomma un campionario di varia umanità in cui troveremo due delle vittime, mentre le altre due, un parroco e il precedente maresciallo dei carabinieri, sono già cadaveri a inizio romanzo.

In realtà c’è qualcosa che sembra accomunare gli assassinati che per un motivo o per l’altro sono stati in Francia, dove i nostri emigranti (un tempo eravamo noi a cercare di scappare dalla miseria) erano chiamati dai locali Macaroni, anzi Macaronì, con l’accento sulla i.

Sarà un’indagine difficile, legata a un paio di fatti accaduti molti anni prima, tanto che per buona parte del libro ricorrono capitoli flashback, però molto ben inseriti, tanto che non danno fastidio e anzi si fanno apprezzare, però, come in ogni giallo che si rispetti, nella partita combattuta fra la legge e il colpevole questo finirà con il soccombere con una conclusione forse imprevedibile, ma perfettamente logica.

Con Macaronì abbiamo a che fare con un poliziesco che non scimmiotta le analoghe produzioni americane, ma che è strettamente legato al nostro paese, con ambientazione nostrana e protagonisti che sono schiettamente italiani. Non ci saranno scene di violenza, inseguimenti e sparatorie, ma l’atmosfera tesa di un paese che scopre dentro di sé un assassino e che pur tuttavia non vuole ammetterlo è resa in modo splendido.

E’ proprio per questo che la lettura, assai piacevole, è senz’altro consigliata.

Francesco Guccini (Modena, 14 giugno 1940) cantautore mito di più di una generazione, anche la sua attività di scrittore si configura come una delle esperienze più originali e suggestive della scena letteraria italiana dell'ultimo decennio. Sporadicamente anche attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Fino alla metà degli anni Ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College di Bologna, scuola off-campus dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della Johns Hopkins University (Washington, DC, USA). La sua vita si è svolta tra Modena, Pàvana e Bologna. Tra i suoi libri si ricordano: Cronache epifaniche (Feltrinelli 1989, ripubblicato da Mondadori nel 2013), Vacca di un cane (Feltrinelli, 1993), Storie d'inverno (Mondadori 1994), La legge del bar e altre comiche (Comix, 1996), Un altro giorno è andato (Giunti 1999), Cittanova Blues (Mondadori, 2003), L'uomo che reggeva il cielo (Libreria dell'orso 2005), Icaro (Mondadori 2008), Non so che viso avesse la storia della mia vita (Mondadori 2010), Dizionario delle cose perdute (Mondadori 2012) e Il piccolo manuale dei giochi di una volta (Mondadori 2015), Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto (Mondadori 2015), Magnifici malfattori. Storia illustrata dei briganti toscani (Baldini + Castoldi 2018), Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto (Giunti Editore 2019). Con Loriano Macchiavelli ha scritto per Mondadori la raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti (2002) e numerosi romanzi tra cui Macaronì (Mondadori 1997), Un disco dei Platters (Mondadori 1998), Questo sangue che impasta la terra (Mondadori 2001), Tango e gli altri (2007), Malastagione (Mondadori 2011), La pioggia fa sul serio (2014), e per Giunti Tempo da elfi. Romanzo di boschi, lupi e altri misteri (Giunti Editore 2017), Non so che viso avesse. Quasi un'autobiografia (Giunti 2019), con Loriano Macchiavelli Che cosa sa Minosse (Giunti 2020) Storie liete, fiabe nere e tempi andati (Giunti 2021), Tre cene (l'ultima invero è un pranzo) (Giunti 2021) e Vola golondrina (Giunti 2023).

Loriano Macchiavelli (Bologna, 12 marzo 1934) ha frequentato l'ambiente teatrale come organizzatore, come attore e, infine, come autore; alcune sue opere teatrali sono state rappresentate da varie compagnie italiane. Dal 1974 si è dedicato al genere poliziesco e ha pubblicato numerosi romanzi divenendo uno degli autori italiani più conosciuti e letti. 
Da un suo romanzo (Passato, presente e chissà) è stato tratto lo sceneggiato televisivo per Rai Due Sarti Antonio brigadiere andato in onda nell'aprile del 1978. In seguito ha curato il soggetto e la sceneggiatura del film per la TV L'archivista, andato in onda su Rai Uno nel settembre del 1988. Il film porta sul piccolo schermo uno dei suoi personaggi letterari più riusciti: Poli Ugo, interpretato per la TV da Flavio Bucci. Il film presenta una Bologna attuale e viva, ben lontana dalla solita vecchia iconografia, e anticipa drammaticamente le mutazioni successive della città.  A fine '87 e primi mesi del 1988 è andata in onda una lettura radiofonica in 13 puntate dei suoi racconti, dal titolo I misteri di Bologna. Nel 1988 Rai Due ha prodotto una serie di 13 telefilm, tratta da suoi romanzi e racconti, i cui esterni sono stati girati interamente a Bologna e dintorni. La serie ha per titolo L'ispettore Sarti - un poliziotto, una città ed è andata in onda su Rai Due a partire dal 12 febbraio 1991 e replicata nel 1993. La serie televisiva di Sarti Antonio è proseguita (sempre su Rai Due) con una coproduzione italo tedesca (Rai-NDR) di sei film di un'ora e trenta, ancora tratta dai suoi romanzi, e andati in onda nell'aprile e maggio del 1994. Il suo personaggio più conosciuto, Sarti Antonio, è entrato anche nel fumetto (Orient Express) con una serie di avventure tratte dai romanzi. I disegni sono di Gianni Materazzo. Numerosi romanzi sono stati tradotti all'estero: Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Giappone, Romania...  Nel 1974 ha vinto, con il romanzo Fiori alla memoria, il premio Gran Giallo Città di Cattolica; nel 1980, con il romanzo Sarti Antonio, un diavolo per capello, ha vinto il premio Tedeschi; nel 1992 ha vinto la XIV edizione del Premio di letteratura per l'infanzia con il romanzo Partita con il ladro; nel 1997, con il romanzo Macaronì (scritto assieme a Francesco Guccini), ha vinto il Premio letterario Alassio, un libro per l'Europa, dopo essere stato nella rosa dei finalisti nel Premio Ennio Flaiano e nel Premio città di Ostia.
Lo stesso romanzo ha vinto l'edizione 1998 del Police film festival. Con il romanzo Tango e gli altri (scritto sempre con Francesco Guccini) ha vinto l'edizione 2007 del Premio Scerbanenco (Courmayeur, Mistfest). Ha pubblicato e pubblica con i maggiori editori italiani. Ha collaborato e collabora con quotidiani e periodici. Altri romazi da ricordare sono I sotterranei di Bologna (Mondadori, 2002), Delitti di gente qualunque (Mondadori, 2010), L'ironia della scimmia (Mondadori, 2012) e Sarti Antonio, rapiti si nasce (Einaudi, 2014). Insieme a Francesco Guccini ha scritto per Mondadori la raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti (2002), Un disco dei Platters (1998), Questo sangue che impasta la terra (2001), Malastagione (2011) e La pioggia fa sul serio (2014), oltre ai già citati Macaronì e Tango e gli altri. Assieme a Marcello Fois e Carlo Lucarelli ha fondato il "Gruppo 13" e con Renzo Cremante ha fondato e dirige la rivista Delitti di Carta che si occupa esclusivamente di poliziesco italiano. Nel 1987 ha tentato di uccidere Sarti Antonio, sergente. Non c'è riuscito. Nel 1990 ha avuto una quantità di guai con il romanzo Strage, ritirato dalla circolazione per ordine dell'Autorità Giudiziaria. Assolto da ogni accusa, il romanzo sarà ripubblicato da Einaudi solo nel 2010. Nel 2001 Rai Sat Fiction è riuscita a farlo recitare in una serie di sei minidrammi dal titolo Bologna in giallo, rapsodia noir, assieme a Carlo Lucarelli. A causa dello straordinario successo ottenuto dalla coppia, l'esperienza si è ripetuta nel 2002 con 12 minidrammi in Corpi di reato. L'Arma contro il crimine. Nel 2019 per Mondadori pubblica Delitti senza castigo e La bambina del lago. Nel 2020 scrive con Francesco Guccini Che cosa sa Minosse (Giunti) e nel 2023 Vola golondrina (Giunti).

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

19 Febbraio

Il fango sotto le scarpe

di Santosh Alex

Traduzione di Claudia Piccinno

Prefazione di Alessandro Ramberti

Edizioni Il Cuscino di Stelle

Poesia

Pagg. 66

ISBN 9791280659620

Prezzo Euro 10,00

 

Un grande messaggio di fratellanza

Devo ringraziare Claudia Piccinno per avermi fatto avere questo libriccino di poesie, grazie al quale ho potuto avere un assaggio della poesia indiana, a me del tutto sconosciuta con l’eccezione di quella di Tagore. E non a caso ho fatto il nome di questo grande poeta bengalese perché, per certi aspetti, come vedremo, Santosh Alex sembra procedere nella sua scia, soprattutto per quel rapporto, tipico della filosofia orientale, con cui l’essere umano si accosta alla natura. C’è una palpabile tenerezza con cui Santosh Alex sembra dialogare con il mondo che lo circonda, dove tutto è vita, perfino il fango che si crea con la pioggia e si rapprende con il sole. La sua è una poesia che rivela un misticismo frutto di un mondo immutato nei secoli fino a qualche lustro fa e che ora è avviato a un repentino, e non sempre incruento progresso. Il poeta del Kerala, stato dell’India meridionale, riesce a cogliere questa transizione da un mondo arcaico a un altro moderno, e lo fa con tenerezza, con la stessa tenerezza con cui un figlio vede il proprio genitore anziano. Il tutto è all’insegna della semplicità, dell’immediata comprensione, come  da Progresso (L’albero che era solito / baciare la terrazza di casa sua / non c’è più. / Il piccolo sentiero che conduce / alla scuola si è allargato. / Le risaie sono diventate terra. /…). In pochi versi, mirati, ci sono gli effetti di un cambiamento epocale, con un passato che si rammenta e che nel raffronto con il presente provoca una malinconia con la sensazione di aver perso qualcosa, di essere stati derubati di un pezzo della nostra vita.

Questo ritorno al passato è presente nell’autore che pure ricorre alle invenzioni del presente, frutto di un rapido e incontrollato progresso, ma comunque c’è un rimpianto per cose passate, per azioni che si svolgevano differentemente, che imponevano una nostra partecipazione che non è avvertibile con i mezzi elettronici (Speranza:  Ho carta e penna / nell'era di internet, / E anche un computer. / So che le / e-mail diffonderebbero / rapidamente il mio messaggio. / Ancora / scrivo una lettera / con la speranza che  / Se sarà una lettera / raggiungerà sicuramente / il destinatario. ).

Rimpianto, quindi, per un mondo che non tornerà più, ma c’è anche un proposito, tenace, ed è quello di conservare la memoria di ciò che è stato, di come era l’uomo prima del trascinante progresso e lo esprime bene, anzi molto bene (da Non voglio essere . …./ Non voglio essere un uomo / voglio essere un essere umano / nel mondo pazzo di oggi / In modo che la tradizione, la storia / e la società siano in mani sicure.). 

E’ straordinaria la sensibilità di questo autore, capace di criticare con toni sommessi, di rimpiangere senza versare lacrime, di vivere nella modernità rimanendo attaccato al suo passato. Non c’è argomento o tema della sua poesia dal quale non riesca a emergere una vena sentimentale che non è passione, ma è pudico amore, come in Lei (Era come un fiore selvatico / Che sbocciò su una roccia / Le presi la mano nella mia / e mi tuffai nei suoi occhi /…). In India, quando le sensazioni ed emozioni sono autentiche, è come in Italia, in Francia, ovunque, a testimonianza che non esistono razze, ma persone e questa mia considerazione nasce dal fatto che nel leggere questa silloge ho avuto l’impressione che il messaggio sia universale e cioè che l’uomo, ovunque, senza distinzioni, sia parte, spesso inconsapevole, della grande famiglia del genere umano, un invito alla fratellanza di cui si avverte ogni giorno un crescente bisogno.

Ne raccomando la lettura, perché lo merita.  

Santosh Alex, poeta, scrittore e traduttore multilingue, nato nel 1971 in Kerala.
Ha fatto un dottorato di ricerca sulla poesia di K. Satchidanandan e Kedaranath Singh della VIT University, Chennai. Autore di 63 libri che includono poesie, traduzioni e critiche.

Le sue poesie sono state tradotte in 32 lingue in tutto il mondo e pubblicate in antologie internazionali, come Sunrise from the Blue Thunder (America), Hudson View (Sudafrica), Indo Australian Poetry Anthology (Australia), Poems for Hazara (Afghanistan), XX1st Century Literature (India), Salt Boundaries (Turchia) e altre riviste inglesi rinomate. Le sue poesie sono apparse su Hudson View (Sudafrica), Best Poems Encyclopedia (New York), The Single Hound (USA), Rahapen (Norvegia), The Enchanting Verse e Indian Ruminations. È stato invitato per il programma 2012 dell'Hyderabad Literary Festival, come traduttore nel 2009 per il Translation Literary Skills organizzato dalla Sahitya Academy e dal British Council, nonché al seminario per giovani scrittori condotto dalla Sahitya Academy a Vijayanagaram nel 2011. Ha ricevuto il premio Pandit Narayan Dev Puraskaar (2004), Dwivageesh

Puraskaar (2008), Thalashery Raghavan Memorial Poetry Award

(2015), Sirjanlok Poetry Award (2015), Sahitya Ratna Puraskaar (2016), e P.C.

Joshy, Shabd Sadak Anuvadak Samman (2018).

Lavora come ufficiale hindi in un istituto di ricerca a Cochin, Kerala.

 Claudia Piccinno, insegnante, poetessa, traduttrice.

Nasce a Lecce e vive a Castel Maggiore nei pressi di Bologna, dove ha ricevuto una benemerenza civica per meriti culturali. I suoi libri sono stati tradotti in inglese, spagnolo, serbo, turco, francese, arabo, polacco, macedone. Ha vinto prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali, ha all' attivo circa 50 sillogi poetiche in varie lingue, l'ultima in Italia è uscita per Fara editore nel 2023 e

si intitola Implicita missione.

È redattrice della Gazzetta di Istanbul e della rivista turca Papirus. Collabora a

varie riviste letterarie e a diverse giurie di concorsi poetici nazionali e internazionali.

Tiene seminari e convegni sul valore pedagogico della poesia.

Renzo Montagnoli

 

 

 

 

12 Febbraio

Malastagione

di Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 308

ISBN 9788804724261

Prezzo Euro 14,00 

Una lettura piacevole e senza pensieri

Un bracconiere sta in attesa della preda, un cinghiale commissionatogli dalla trattoria locale,  ma quando questa arriva ed è a portata di un colpo sicuro, non riesce a premere il grilletto perché la bestiaccia ha in bocca qualcosa che si rivela essere un piede umano. Inizia così Malastagione, un romanzo giallo scritto da una coppia affiatata, e cioè il cantautore Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli. E’ ambientato sull’Appennino emiliano, a Casedisopra, tutto attaccato, mentre esiste un Case di Sopra presso Castelnovo de’ Monti e nulla vieta che si tratti della stessa località. L’ambiente naturale e le stesse genti che lo abitano fanno da palcoscenico e attori di questa rappresentazione, in cui la fantasia non manca, ma senza eccessi, nel senso che la trama, ben congegnata, scorre sotto gli occhi lettore come un fiume tranquillo. Peraltro i due narratori sono capaci di avvincere senza angosciare il lettore, privilegiando a scene di violenza o truculente una cronaca nera che sembra smorzare le tensioni in un paesaggio montano rassicurante e perfino idilliaco. Il personaggio principale è il detective di turno, vale a dire l’ispettore della forestale Marco Gherardini, detto Poiana, capace di indagare con rigorosa logica; intorno a lui si affannano tanti altri attori, ognuno con caratteristiche ben definite, anche se la descrizione psicologica resta in superficie. Così si va dalla ragazza di città ribelle, Francesca Bordini, che instaura anche una storia amorosa con l’ispettore, al vecchio bracconiere Adumass, e non sto a elencarli tutti, per ovvi motivi di spazio. Come ogni giallo che si rispetti ci sono dei morti ammazzati e ovviamente chi ha commesso questi omicidi e che alla fine sarà assicurato alla giustizia.  I due narratori sono bravi a confondere le acque, a far balenare una motivazione dei delitti che si rivelerà poi sbagliata, sostituita da un’altra di ineccepibile logica. Il piccolo mondo di paese, una comunità montana, l’Appennino con le sue basse cime, ma popolato da tanti animali sono tutti elementi che rientrano nel mio apprezzamento; anche la trama nel complesso mi ha soddisfatto, così come una certa ironia che affiora qua e là, una vera e propria chicca. Di certo non mi aspettavo qualcosa di particolarmente profondo, e così è stato; comunque per per trascorrere piacevolmente un po’ di tempo Malastagione è senz’altro adatto.

 Francesco Guccini (Modena, 14 giugno 1940) cantautore mito di più di una generazione, anche la sua attività di scrittore si configura come una delle esperienze più originali e suggestive della scena letteraria italiana dell'ultimo decennio. Sporadicamente anche attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Fino alla metà degli anni Ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College di Bologna, scuola off-campus dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della Johns Hopkins University (Washington, DC, USA). La sua vita si è svolta tra Modena, Pàvana e Bologna. Tra i suoi libri si ricordano: Cronache epifaniche (Feltrinelli 1989, ripubblicato da Mondadori nel 2013), Vacca di un cane (Feltrinelli, 1993), Storie d'inverno (Mondadori 1994), La legge del bar e altre comiche (Comix, 1996), Un altro giorno è andato (Giunti 1999), Cittanova Blues (Mondadori, 2003), L'uomo che reggeva il cielo (Libreria dell'orso 2005), Icaro (Mondadori 2008), Non so che viso avesse la storia della mia vita (Mondadori 2010), Dizionario delle cose perdute (Mondadori 2012) e Il piccolo manuale dei giochi di una volta (Mondadori 2015), Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto (Mondadori 2015), Magnifici malfattori. Storia illustrata dei briganti toscani (Baldini + Castoldi 2018), Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto (Giunti Editore 2019). Con Loriano Macchiavelli ha scritto per Mondadori la raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti (2002) e numerosi romanzi tra cui Macaronì (Mondadori 1997), Un disco dei Platters (Mondadori 1998), Questo sangue che impasta la terra (Mondadori 2001), Tango e gli altri (2007), Malastagione (Mondadori 2011), La pioggia fa sul serio (2014), e per Giunti Tempo da elfi. Romanzo di boschi, lupi e altri misteri (Giunti Editore 2017), Non so che viso avesse. Quasi un'autobiografia (Giunti 2019), con Loriano Macchiavelli Che cosa sa Minosse (Giunti 2020) Storie liete, fiabe nere e tempi andati (Giunti 2021), Tre cene (l'ultima invero è un pranzo) (Giunti 2021) e Vola golondrina (Giunti 2023).

Loriano Macchiavelli (Bologna, 12 marzo 1934) ha frequentato l'ambiente teatrale come organizzatore, come attore e, infine, come autore; alcune sue opere teatrali sono state rappresentate da varie compagnie italiane. Dal 1974 si è dedicato al genere poliziesco e ha pubblicato numerosi romanzi divenendo uno degli autori italiani più conosciuti e letti. 
Da un suo romanzo (Passato, presente e chissà) è stato tratto lo sceneggiato televisivo per Rai Due Sarti Antonio brigadiere andato in onda nell'aprile del 1978. In seguito ha curato il soggetto e la sceneggiatura del film per la TV L'archivista, andato in onda su Rai Uno nel settembre del 1988. Il film porta sul piccolo schermo uno dei suoi personaggi letterari più riusciti: Poli Ugo, interpretato per la TV da Flavio Bucci. Il film presenta una Bologna attuale e viva, ben lontana dalla solita vecchia iconografia, e anticipa drammaticamente le mutazioni successive della città.  A fine '87 e primi mesi del 1988 è andata in onda una lettura radiofonica in 13 puntate dei suoi racconti, dal titolo I misteri di Bologna. Nel 1988 Rai Due ha prodotto una serie di 13 telefilm, tratta da suoi romanzi e racconti, i cui esterni sono stati girati interamente a Bologna e dintorni. La serie ha per titolo L'ispettore Sarti - un poliziotto, una città ed è andata in onda su Rai Due a partire dal 12 febbraio 1991 e replicata nel 1993. La serie televisiva di Sarti Antonio è proseguita (sempre su Rai Due) con una coproduzione italo tedesca (Rai-NDR) di sei film di un'ora e trenta, ancora tratta dai suoi romanzi, e andati in onda nell'aprile e maggio del 1994. Il suo personaggio più conosciuto, Sarti Antonio, è entrato anche nel fumetto (Orient Express) con una serie di avventure tratte dai romanzi. I disegni sono di Gianni Materazzo. Numerosi romanzi sono stati tradotti all'estero: Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Giappone, Romania...  Nel 1974 ha vinto, con il romanzo Fiori alla memoria, il premio Gran Giallo Città di Cattolica; nel 1980, con il romanzo Sarti Antonio, un diavolo per capello, ha vinto il premio Tedeschi; nel 1992 ha vinto la XIV edizione del Premio di letteratura per l'infanzia con il romanzo Partita con il ladro; nel 1997, con il romanzo Macaronì (scritto assieme a Francesco Guccini), ha vinto il Premio letterario Alassio, un libro per l'Europa, dopo essere stato nella rosa dei finalisti nel Premio Ennio Flaiano e nel Premio città di Ostia.
Lo stesso romanzo ha vinto l'edizione 1998 del Police film festival. Con il romanzo Tango e gli altri (scritto sempre con Francesco Guccini) ha vinto l'edizione 2007 del Premio Scerbanenco (Courmayeur, Mistfest). Ha pubblicato e pubblica con i maggiori editori italiani. Ha collaborato e collabora con quotidiani e periodici. Altri romazi da ricordare sono I sotterranei di Bologna (Mondadori, 2002), Delitti di gente qualunque (Mondadori, 2010), L'ironia della scimmia (Mondadori, 2012) e Sarti Antonio, rapiti si nasce (Einaudi, 2014). Insieme a Francesco Guccini ha scritto per Mondadori la raccolta di racconti Lo spirito e altri briganti (2002), Un disco dei Platters (1998), Questo sangue che impasta la terra (2001), Malastagione (2011) e La pioggia fa sul serio (2014), oltre ai già citati Macaronì e Tango e gli altri. Assieme a Marcello Fois e Carlo Lucarelli ha fondato il "Gruppo 13" e con Renzo Cremante ha fondato e dirige la rivista Delitti di Carta che si occupa esclusivamente di poliziesco italiano. Nel 1987 ha tentato di uccidere Sarti Antonio, sergente. Non c'è riuscito. Nel 1990 ha avuto una quantità di guai con il romanzo Strage, ritirato dalla circolazione per ordine dell'Autorità Giudiziaria. Assolto da ogni accusa, il romanzo sarà ripubblicato da Einaudi solo nel 2010. Nel 2001 Rai Sat Fiction è riuscita a farlo recitare in una serie di sei minidrammi dal titolo Bologna in giallo, rapsodia noir, assieme a Carlo Lucarelli. A causa dello straordinario successo ottenuto dalla coppia, l'esperienza si è ripetuta nel 2002 con 12 minidrammi in Corpi di reato. L'Arma contro il crimine. Nel 2019 per Mondadori pubblica Delitti senza castigo e La bambina del lago. Nel 2020 scrive con Francesco Guccini Che cosa sa Minosse (Giunti) e nel 2023 Vola golondrina (Giunti).

Renzo Montagnoli

 

 

 

7 febbraio

Puertas, Boleros y Cenizas

Porte, Boleri e Cenere

di Yurai Tolentino Hevia

Traduzione di Claudia Piccinno

Edizioni Il Cuscino di stelle

Poesia

Pagg. 89

ISBN 9791280659897

Prezzo Euro 12,00

 

Un canto malinconico

Provo sempre una certa emozione nell’iniziare a leggere un libro di poesie e anche questo che mi ha inviato l’amica di penna Claudia Piccinno nella sua bella traduzione dallo spagnolo è riuscito da subito a farmi palpitare il cuore. Questa poetessa cubana ha messo in versi il suo piccolo grande mondo, lei e la sua famiglia. E lo fa con pudore, tanto che con il primo verso mostra la sua umiltà dicendo “Non sono Cafavis o Bilitis”, due noti poeti greci, di cui la seconda forse non è mai esistita, ma appunto per questo, evidenziando due miti, mette le mani avanti, quasi a scusarsi per quella che ritiene la sua inadeguatezza. In questo titolo che nel mio assai modesto spagnolo traduco in “Porte, Boleros e Cenere” c’è racchiusa una visione dell’esistenza che non riesce a celare una profonda vena malinconica, dove fra versi che parlano dei familiari si inserisce anche l’aspirazione di poter andar via da un mondo chiuso che se da un lato la soffoca, dall’altro la rassicura. E’ un po’ il tormento degli isolani, difesi dal mare, anelanti a scorgere cosa ci sia all’orizzonte. Peraltro, vi si aggiunge la dolenza per vita che sembra senza sbocchi e che si trascina con morta speranza alla sua fine. C’è tutta la disillusione per un regime che tanto ha promesso e nulla ha mantenuto, per quel senso di inutilità che ti prende ben sapendo ormai che tutto ciò che hai studiato non ti ha avvantaggiato. E la malinconia, verso dopo verso, diventa un dolore lancinante, lascia il posto a un insopportabile senso di vuoto che stringe lo stomaco anche a chi legge. Sono tre le sillogi, appunto Porte, Boleros e Cenere, ma la lacerazione dell’animo che la poetessa lascia trasparire è presente in tutte, richiama una sensazione di ineluttabilità di una condizione con tutto il fragoroso silenzio dell’impotenza della vittima.

La lettura, appagante, non è forse per tutti perché occorre preliminarmente staccarci dalle nostre realtà, cercando di entrare in quella di Yuray, e allora, solo allora, potremo essere in sintonia con la poetessa, un’onda lunga di emozioni a cui sarà impossibile sottrarci.

Yuray Tolentino Hevia (Güira de Melena, 1975, Cuba). Poeta, sceneggiatrice, curatrice, critica d'arte e produttore. Il suo lavoro è stato pubblicato in varie riviste, periodici e antologie di poesia e narrativa a Cuba e in più di 20 paesi. Ha curato più di 40 mostre personali e collettive, come curatrice ha partecipato alla Biennale Internazionale dell'Avana del 2009, 2015 e 2019. 3° Premio X Edizione del Premio Internazionale di Eccellenza "Città di Galateo-Antonio De Ferrariis", Italia, Primo posto del Premio internazionale The Feathers of the Quetzal of a Thousand Minds di Mexico International, 2023. Selezionato tra i 43 semifinalisti del 49° Concorso ACO Karamanov Poetry Award 2022, Macedonia, 2022.  Menzione d'onore al I Concorso Internazionale di Letteratura "Carlos Hugo Garrido", 2022. III e IV Premio Mondiale César Vallejo, Modalità di Eccellenza Artistica, Perù-Messico, rispettivamente 2022 e 2023.Premio VIII Edizione del Premio Internazionale di Eccellenza "Città di Galateo-Antonio De Ferrariis", Italia, 2021. Premio Internazionale "Tulliola - Renato Filippelli", Miglior Libro in Lingua Spagnolo, 2020, Italia. Primo Premio in Poesia del Concorso Internazionale della Fondazione Letteraria Internazionale, Paesi Bassi, 2021. Finalista del I Hyperbrief Literature Competition Canibaal, Spagna,

Ha pubblicato 3 libri di poesia: "Doors, Boleros and Ashes" (2019) e "I Am Them Too" (2019), entrambi della Primigenios Publishing House, Miami e "90 Miles: Diary of an Immigrant" (2023), Stockholm Project 2033 Global Leader e uno dei Fine Arts Chronicles "Between the Helmet and the Bad Idea" (2021), Argosis Iberoamericana Publishing House, Miami.

Renzo Montagnoli

 

 

31 Gennaio

Francesco e Isabella.

L’età d'oro dei Gonzaga

di Luca Sarzi Amadè

Laterza Editori

Storia

Pagg. 344

ISBN 9788858148419

Prezzo Euro 25,00

La strana coppia

Che Francesco II Gonzaga e Isabella d’Este siano stati due personaggi di tutto rilievo nell’Italia del Rinascimento è ormai da tempo assodato e tutti gli storici sono concordi al riguardo, anche Luca Sarzi Amadè che ha dissertato di queste due eminenti figure con questo libro che a tratti potrebbe sembrare un romanzo storico, ma che per la completezza delle informazioni, gli approfondimenti assai frequenti ha più le caratteristiche di un saggio storico, scritto però con una scorrevolezza e una capacità di attrazione che è propria normalmente della narrativa. I due personaggi sono completamente diversi, lui un uomo d’armi che ama anche la bellezza dell’arte, restando tuttavia in superficie, lei una gran dama, letterata, colta, conscia di essere in grado, nonostante il suo sesso, di essere la protagonista di un’epoca; ma la diversità in due figure che sono l’emblema di un’epoca fa sì che si integrino, così che lui si lascia consigliare da lei e lei supplisce al pragmatismo del marito con le sottigliezze di una politica consumata.

E’ grazie a Francesco e a Isabella se Mantova  diventa una delle grandi capitali europee e non muore nei miasmi della palude di una pianura altresì gratificante di messi ubertose. 

Luca Sarzi Amadè riesce a mettere bene in luce queste differenze che tuttavia non stridono, anzi diventano complementari per accrescere il prestigio del marchesato e per difendere la propria libertà in un’epoca in cui i grandi regni cercavano di divorare anche le piccole signorie, come appunto Mantova. Tuttavia la loro storia, per quanto ben descritta, non porterebbe a comprendere la loro importanza se non fosse inserita perfettamente in quel contesto storico, se non emergessero altre figure, direttamente o indirettamente collegate ai Gonzaga, e allora è un continuo susseguirsi di personaggi del tempo, fra i quali, solo per citarne alcuni, Leonardo, Raffaello, Mantegna, Ludovico Ariosto, Baldassarre Castiglione, tutte figure che escono dalle tenebre del passato e che illuminano con la loro luce i due protagonisti. E’ bravo l’autore, però a volte si lascia prendere la mano e fa cadere in un vortice di personaggi, beninteso tutti interessanti, ma che complicano un po’ la lettura, rischiando di perdere il filo. E’ l’unico appunto a un’opera la cui completezza è indubbiamente notevole e la cui lettura permette non solo di conoscere meglio Francesco e Isabella, ma anche di comprendere i meccanismi, il senso logico di quella grande epoca che è stata il Rinascimento.

Luca Sarzi Amadè ha collaborato con alcuni tra i maggiori quotidiani e periodici nazionali (La Repubblica, Il Giorno, Famiglia Cristiana, L’Espresso) e, per la televisione, con la Rai. La sua passione per l’indagine storica e per la scrittura si è sviluppata lontano da congreghe accademiche e politiche. Ha svelato (in parte) i suoi segreti di indagatore nel suo manuale di ricerca genealogica (di cui sta curando un’edizione aggiornata). Ha dedicato vari libri alla sua città come: la guida Milano fuori di mano, con prefazione di Jannacci, e il divertente Milano in periferia. Tra le sue opere: Il duca di Sabbioneta. Guerre e amori di un europeo errante (Mimesis, 2013), L' antenato nel cassetto. Manuale di scienza genealogica (Mimesis, 2015), Scipione Gonzaga. Vita burrascosa e lieta di un aspirante cardinale del Cinquecento (Odoya, 2017).

Renzo Montagnoli

 

 

26 Gennaio

L’inferno di Treblinka

di Vasilij Grossman

Edizioni Adelphi

Storia

Pagg. 79

ISBN  9788845924842

Prezzo Euro 7,00

Un pugno nello stomaco

Vasilji Grossman durante la seconda guerra mondiale fu un corrispondente di grande popolarità, i cui reportage erano pubblicati sull’organo ufficiale dell’Armata Rossa Krasnaja zvezda (Stella rossa). Nell’ambito di questo incarico scrisse nell’autunno del 1944 L’inferno di Treblinka, subito dopo la liberazione del campo, grazie alle testimonianze dei pochissimi superstiti, degli abitanti del circondario e addirittura delle stesse guardie.

Treblinka era il vero e proprio campo della morte, in cui gli ignari ebrei entravano per essere pressoché immediatamente eliminati. In questo senso era una struttura perfetta, perché impostata come un ciclo produttivo, quello che oggi viene definito un macello o mattatoio, ma in cui vengono soppressi solo animali. Lì invece erano esseri umani, a cui con una diabolica perversione era paventata l’orribile fine gradualmente, facendo sorgere il sospetto passo dopo passo fino ad arrivare alla certezza degli ultimi metri. Percorrevano un viale senza ritorno, nudi, verso le camere a gas, ma lungo il percorso c’era chi si divertiva a usare altri metodi, come martellate sul cranio, o aizzando cani feroci che dilaniavano le carni.

Si inorridisce, ovviamente, perché si sa che non è un romanzo di fantasia, ma è la verità; ci si preoccupa anche perché Treblinka è il risultato di una politica dello sterminio nata in uno stato che avrebbe dovuto essere civile, che non avrebbe dovuto partorire simili aberranti idee, né mettere al suo servizio individui che nel commettere il crimine facevano emergere anche le loro folli inclinazioni, tendenze omicide che venivano incentivate, anziché essere condannate.

Sarebbe troppo comodo dare la colpa solo a Hitler, perché il dittatore senza il supporto di molti altri nulla avrebbe potuto fare e questi molti altri si erano costruiti una filosofia della superiorità che consentiva loro di considerare quelli diversi da loro delle bestie, quando invece le bestie erano quegli uomini che nel teorizzare una razza superiore dimostravano con i fatti tutta la loro enorme inferiorità.

A Treblinka venne eliminato un numero imprecisato, ma notevolissimo di uomini, donne, bambini, esseri umani accomunati dalla stessa religione.

Comunque, alcuni degli addetti alla bassa manovalanza, costretti a collaborare con le SS, certi che prima o poi sarebbero stati uccisi, decisero di ribellarsi, dando vita a un comitato che con un po’ di fortuna si procurò le armi dallo stesso deposito del campo e il 2 agosto del 1943 scoppiò la rivolta, che ebbe successo, anche se i ribelli, fuggiti nelle campagne circostanti, furono braccati ed uccisi, tranne un piccolo gruppo. Da allora Treblinka cessò di funzionare e si fece di tutto per cancellarla in modo che non rimanesse traccia, un’operazione impossibile, perché non si poteva costringere al silenzio chi era sopravvissuto. E poi, nonostante il ricorso ai forni crematori, troppi erano ancora i cadaveri sotto terra e bastava scavare, di qua e di là, per rendersi conto dell’orrendo scempio.

Grossman è bravo, e questo già lo si sapeva dagli altri suoi libri, ma in questo mette una partecipazione che è contagiosa, tanto che scorrono davanti agli occhi le immagini dell’orrore, un vero e proprio pugno nello stomaco che si contorce fino alla fine delle, per fortuna, solo 79 pagine.

Vasilij Grossman (Berdyciv, 12 dicembre 1905 – Mosca, 14 settembre 1964) è stato un giornalista e scrittore sovietico di origine ebraica.
Diventò ingegnere e dopo essere cresciuto a Ginevra e aver studiato a Kiev, all'epoca dei piani quinquennali credette talmente nella costruzione dell' "uomo nuovo" da abbandonare i cantieri minerari del Donbuss, dove lavorava, per mettersi a raccontare l'epopea dell'Unione Sovietica. 
Fu corrispondente di guerra per il quotidiano dell'esercito "Stella rossa" e seguì il fronte fino alla Germania. 
In quel periodo cominciò a comporre una grande opera sulla guerra, incentrata sulla Battaglia di Stalingrado, e diede alle stampe "Il popolo è immortale" (1943), esaltazione dei sacrifici sofferti dai popoli dell'Unione Sovietica durante l'invasione tedesca del 1941. 
Tra il 1944 e il 1945 lavorò a un'opera che documentava i crimini di guerra nazisti nei territori sovietici contro gli ebrei ("Il libro nero"). 
Grossman, ebreo sovietico, scrittore e giornalista, conobbe perciò direttamente le devastazioni della seconda guerra mondiale, la lotta contro i nazisti, la sconfitta di Hitler quindi l’ascesa di Stalin. 
Dopo aver assistito alla campagna antisemita (fra il 1949 e il 1953) si trovò in dissidio con il regime e cadde in disgrazia. 
Così la stesura finale della sua grande opera, Vita e Destino, venne sequestrata e non avrebbe mai visto la luce se qualcuno non avesse conservato e fatto pervenire clandestinamente una o due copie a Losanna, dove fu stampato nel 1980.

Renzo Montagnoli

 

 

 

19 Gennaio

Conclave

di Robert Harris

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Narrativa

Pagg. 265

ISBN 9788804682189

Prezzo Euro 12,50

L’elezione di un nuovo Papa

Dopo l’ultima pagina, nei ringraziamenti, Robert Harris precisa opportunamente che, all’inizio delle indispensabili ricerche per scrivere il romanzo, di aver chiesto e di aver ottenuto il permesso per visitare i luoghi in ci si svolge il conclave; aggiunge inoltre di aver avuto conversazioni con diversi eminenti cattolici per poter avere ulteriori notizie, senza dimenticare le opere di altri autori in proposito e che cita testualmente.

In effetti il lavoro preparatorio deve essere stato molto intenso perché nel libro si ha netta l’impressione di essere presenti a un conclave e che, al di là della trama di fantasia, tutto il resto corrisponda a realtà, un risultato indubbiamente notevole ed encomiabile. 

Quando muore un pontefice c’è una procedura particolare per eleggere il suo successore e questa è il conclave e il romanzo del resto inizia con l’intervenuto improvviso decesso del Santo Padre e di conseguenza, una volta terminato il periodo per le esequie, con l’avvio della procedura per l’elezione del successore, compito del cardinale decano, l’italiano Lomeli. Inizia così una fase in cui si confrontano opposte fazioni per arrivare a designare il vincitore delle votazioni, il tutto senza esclusione di colpi. Premetto che ne accadono di tutti i colori, già dall’inizio con l’aumento di una unità dei cardinali votanti, a seguito dell’arrivo dell’arcivescovo di Bagdad, Benitez,nominato cardinale in pectore dal defunto pontefice.

I colpi bassi non mancano, ma Lomeli è un uomo che ama la verità e che persegue con ogni mezzo, visto anche che non ha ambizioni per diventare Santo Padre, ma poco mancherà che lo diventi.

Ad uno ad uno i candidati che sembrano prossimi a giungere al risultato cadranno, vittime di loro segreti inconfessabili, e non mancano fattori esterni, quali un’autobomba che esplode poco lontano dalle mura vaticane e altri attentati indirettamente rivolti alla Chiesa cattolica che provocano numerosi morti.

Eppure lo Spirito Santo finisce con lo scendere sul capo dei cardinali votanti e alla fine ci sarà un plebiscito per un nome nuovo, una persona indubbiamente meritevole, molto pia e degna di rappresentare l’Istituzione della Chiesa Cattolica. Si tratta di un uomo del tutto privo di difetti, tranne uno…

Il romanzo si legge come un thriller, anche se di morti ammazzati non ce sono, ma è anche vero che le parole a volte possono ferire più di una spada.

L’abilità di Robert Harris è fuori discussione e il libro si legge quasi tutto d’un fiato, avvincendo dalla prima all’ultima pagina..

Robert Harris (Nottingham, 7 marzo 1957), laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times".È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Renzo Montagnoli

 

 

12 Gennaio

Schiavi di Hitler.

I militari italiani nei lager nazisti

di Mimmo Franzinelli

Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

Storia

Pagg. 432

ISBN 9788804771388

Prezzo Euro 25,00

La Resistenza disarmata

L’armistizio dell’8 settembre 1943  da un lato pose fine al conflitto fra le truppe alleate e quelle italiane, ma dall’altro determinò la tragedia dell’occupazione tedesca e della guerra civile con la nascita della Repubblica di Salò. Si è sempre messo in risalto, giustamente peraltro, il movimento partigiano, un fenomeno di grande rilevanza a livello europeo e che indubbiamente diede il suo contributo, non trascurabile, alla vittoria degli anglo americani, mentre, pur riconoscendone l’importanza, non è stato a lungo attribuito il giusto merito ai tanti soldati italiani catturati dai nazisti e rinchiusi nei lager tedeschi. Ebbene, nonostante che a essi (all’incirca 750 mila) fosse offerta l’opportunità di arruolarsi nell’esercito tedesco, di far parte del nascente apparato militare fascista, oppure di diventare lavoratori volontari, solo una minoranza aderì. Gli altri, una maggioranza schiacciante, per quanto debilitati dalla fame, dalla pressoché totale assenza di cure mediche e dai vincoli della restrizione, tanto più evidenti ove si consideri che non furono trattati come militari prigionieri – e questo come ritorsione per il maldestro tradimento del re e di Badoglio – non accettarono e in una sorta di reazione necessariamente senza armi non intesero collaborare per portare vantaggi allo stato nazista. Molti morirono, altri contrassero malattie che li segnò per il resto della loro vita, ma questa torma di scheletri cenciosi diede una dimostrazione di resistenza passiva quale non si ebbe modo di vedere in tutto quel conflitto. Non bastarono le lusinghe, come gente che pranzava lautamente davanti agli affamati, né furono sufficienti le minacce, così che in un atteggiamo non certo preorganizzato, bensì spontaneo, gli internati militari italiani diedero prova di grande coesione, nonché, soprattutto, di una maturità impensabile per gente che era stata allevata a “libro e moschetto”. 

Quindi mi sembra che parlare di loro sia un valido modo non solo per portare a conoscenza dei posteri il valore del loro grande gesto, ma anche per tributare in tal modo il riconoscimento che è più che doveroso; furono partigiani senza armi, esseri umani che non si piegarono, un fulgido esempio di eroismo silenzioso. Mimmo Franzinelli ha fatto bene a scriverne con questo libro dove riporta tutto, proprio tutto, dall’armistizio allo sfacelo del Regio Esercito, dalle catture dei nostri militari in Italia e nelle zone di occupazione all’impatto con il Lager, dal collaborazionismo alla totale impunità degli aguzzini degli IMI (Internati militari italiani), insomma non si tratta di un volume in cui ci si limita a fornire qualche notizia, restando in superficie, perché quando necessario, e la cosa è frequente, l’autore va in profondità. Non manca, come si addice a uno storico, l’elenco delle fonti ed è possibile trovare perfino un piccolo corredo fotografico inerente la vita concentrazionaria, oltre a testimonianze scritte, come i diari di prigionia. Di conseguenza si riesce ad avere un quadro ampio e preciso di quel  che fu un’autentica tragedia, attese le sofferenze patite, a dispetto delle false notizie diffuse in Italia dalla Repubblica di Salò, secondo le quali i nostri militari internati sembrava dovessero trovarsi in villeggiatura.

Purtroppo, come è abitudine consolidata nel nostro paese, questi coraggiosi soldati non hanno avuto il riconoscimento dell’importanza del loro gesto, e questo nonostante i reduci si siano resi parte attiva; quindi il libro di Franzinelli, unitamente ad altri che hanno parlato solo abbastanza recentemente dell’argomento, ha il grande merito di aver sollevato la polvere di un tempo, che è trascorso tacendo ai posteri fatti della nostra storia di rilevantissima importanza, come è proprio questo.

Da leggere, senz’altro. 

Mimmo Franzinelli (Cedegolo, 1954) studioso del fascismo e dell´Italia repubblicana, componente del comitato scientifico dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione "Ferruccio Pari", è autore di numerosi libri, fra cui: per Bollati Boringhieri, I tentacoli dell´Ovra (1999, premio Viareggio 2000), Rock & servizi segreti (2010) e Autopsia di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia (2011); per Mondadori, L´amnistia Togliatti (2006), Il delitto Rosselli (2007), Beneduce. Il finanziere di Mussolini, con Marco Magnani (2009), Il Piano Solo (2010), Il prigioniero di Salò (2012), Tortura (2018); per Rizzoli, La sottile linea nera (2008). Con Feltrinelli ha pubblicato: La Provincia e l´Impero. Il giudizio americano sull´Italia di Berlusconi, con Alessandro Giacone (2011), Delatori. Spie e confidenti anonimi: l´arma segreta del regime fascista (UE 2012), Il Giro d'Italia. Dai pionieri agli anni d'oro (Feltrinelli, 2013), - per gli Annali della Fondazione Feltrinelli - Il riformismo alla prova. Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), con Alessandro Giacone (2013) e Fascismo anno zero (Mondadori 2019).

Renzo Montagnoli

 

 

7 Gennaio

La Resistenza delle donne

di Benedetta Tobagi

Edizioni Einaudi

Storia

Pagg. 376

ISBN 9788806253660

Prezzo Euro 22,00

La Resistenza al femminile

Sono state almeno settantamila le donne che hanno partecipato, in diversi ruoli, alla Resistenza; benché il numero sembri elevato, non è gran cosa se rapportato alla popolazione femminile dell’epoca, ma, come rilevato nel saggio di Benedetta Tobagi intitolato La Resistenza delle donne, queste furono senz’altro di più se vi si ricomprendono le centinaia di migliaia che nei giorni immediatamente successivi alla dichiarazione d’armistizio dell’8 settembre 1943 si adoperarono, spesso con grave rischio per la loro vita, a soccorrere i nostri soldati fuggiaschi, fornendo loro gli indispensabili abiti civili. Quest’ultimo fenomeno è quasi sempre trascurato, ma è di notevole importanza, perché in tal modo molti nostri militari evitarono la cattura e la deportazione, andando poi spesso a ingrossare le file dei partigiani; c’è da rilevare, inoltre, che fu un comportamento spontaneo, che non vi fu nulla di organizzato, dato tanto più rilevante ove si consideri che l’Italia era già stremata dalla guerra e che le donne italiane erano più condizionate degli uomini nell’assumere decisioni, e non solo per l’indottrinamento fascista, ma anche per una radicata convinzione di subalternità, frutto di una mentalità maschilista e di una visione ecclesiastica tendenti a ritenere la femmina inferiore al maschio.

Di libri che spiegano il fenomeno della Resistenza, le sue origini, le sue caratteristiche con rigore scientifico non ce ne sono molti e quindi non si può che plaudire a questo saggio della Tobagi anche se è limitato alla figura femminile, che però fu di non poca importanza. La maggior parte delle donne svolgevano il lavoro di staffetta, portavano giornali antifascisti, opuscoli, armi, munizioni, esplosivi, passando per i posti di blocco e non poche furono scoperte, arrestate, sottoposte a sevizie, fucilate oppure inviate nei lager in Germania. Se per un uomo la cattura voleva dire tortura certa e forse anche la morte, per le donne purtroppo quasi sempre c’era lo stupro, un’esperienza che segnò per sempre le vittime, le cui superstiti spesso non osarono raccontarlo nel dopo guerra vista la mentalità vigente soprattutto allora  e che additava quasi al pubblico rimprovero la femmina disonorata.

Benedetta Tobagi per la stesura del libro si è avvalsa di interviste, di fotografie reperite negli archivi, di testimonianze di terzi, arrivando a completare un grande quadro che vede le donne protagoniste, riuscendo perfino a parlare di alcune che, per indubbie capacità, finirono con il comandare dei reparti misti, o di soli uomini, un che di impensabile in un paese che riconobbe al sesso femminile il diritto di voto solo nel 1946.

Risulta così un quadro abbastanza completo relativamente alla presenza e all’importanza delle donne nella resistenza, con una narrazione che a volte presenta la tipicità del saggio storico, mentre in altre sembra lasciare un certo spazio alla creatività pur partendo da dati effettivi; questo dualismo non nuoce all’opera, anzi è in grado di rendere snella la scrittura, a tutto beneficio di chi legge. Tuttavia, Benedetta Tobagi qualche volta si lascia prendere la mano e appare ripetitiva, circostanza che rende noiose alcune pagine e finisce con il distogliere l’attenzione.

Nel complesso l’opera appare meritevole di lettura e in questo senso penso che il riconoscimento che ha avuto con il Premio Campiello 2023 sia meritato.

Scrittrice e storica, la milanese Benedetta Tobagi è nata nel 1977. Laureata in filosofia PhD in storia, ricercatrice indipendente, è stata conduttrice radiofonica per la Rai e collabora con “Repubblica”. Si occupa di progetti didattici e formazione docenti sulla storia del terrorismo e degli anni Settanta. Nel 2009 pubblica il suo primo libro Come mi batte forte il tuo cuore (Einaudi) dedicato alla memoria del padre Walter, ucciso da un gruppo terroristico di estrema sinistra, che vince numerosi premi letterari. Nel 2011 per la sua attività giornalistica riceve il “Premiolino”. Nel 2013 esce Una stella incoronata di buio. Storia di una strage impunita, sempre edito da Einaudi, nel 2016 La scuola salvata dai bambini (Rizzoli). Nel 2019 con Einaudi escono Piazza Fontana. Il processo impossibile e l’edizione aggiornata di Una stella incoronata di buio. Nel 2020 pubblica Giona nella collana “I libri della Bibbia” dell'editore Piemme. Nel 2022, sempre con Einaudi, La Resistenza delle donne, vincitore del Premio Campiello 2023, e nel 2023 Segreti e lacune. Le stragi tra servizi segreti, magistratura e governo.

Renzo Montagnoli

 

 

3 Gennaio
 

La casa di Giulio Romano

di Edgarda Ferri

Tre Lune Edizioni

Storia

Pagg. 112

ISBN 9788831904063

Prezzo Euro 13,00

 

La ricerca della bellezza

Edgarda Ferri ha la straordinaria abilità di far rivivere i personaggi di cui scrive la biografia; che si tratti di Letizia Bonaparte, la madre di Napoleone, o di Baldassarre Castiglione, il fine diplomatico dei Gonzaga, emergono prepotenti dalle righe, si delineano davanti ai nostri occhi, tanto da apparire presenti, quasi figure che prendono corpo poco a poco accanto a noi. E’ anche questo il caso di Giulio Pippi, detto Romano, il più capace allievo di Raffaello Sanzio, che da Roma, aderendo all’invito di Federico Gonzaga, si recò a Mantova, città che lui abbellirà e che divenne la sua nuova patria, coniugandosi con una mantovana e lì dimorando in una casa, tuttora esistente e di proprietà privata, costatagli mille scudi d’oro, come nelle prime pagine dice a Giorgio Vasari giunto nella città lombarda per prendere appunti per il suo libro “Le vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani” e fra questi artisti non poteva mancare il più grande, proprio lui Giulio Romano.

Per un genio come il prediletto fra gli allievi di Raffaello il periodo mantovano fu il più fecondo della sua esistenza, con la possibilità di concretizzare il suo grande genio creativo, in un flusso continuo di idee che derivava anche dalla comunione con il carattere del Signore di Mantova, tutto teso alla ricerca del bello. Ed è così che nacque dalle vecchie scuderie il palazzo di rappresentanza, ma anche luogo d’amore con l’amante Isabella Boschetti; il Te, così verrà chiamato prendendo il nome dall’isola, poi resa unica con la terraferma, su cui fu eretto, da un lato è l’emblema di una signoria che vuole distinguersi non tanto per la potenza quanto invece per l’amore per le arti, dall’altro è un laboratorio in cui Giulio Romano dà sfogo alla sua creatività, realizzando, con l’aiuto dei pittori della sua scuola, affreschi di una bellezza incredibile, quali la celeberrima sala dei Giganti. Indubbiamente Federico II molto aveva preso dalla madre Isabella d’Este in ordine alla passione per le arti, con la differenza che aveva un carattere più impetuoso che riflessivo, e così s’imbarcava in imprese piuttosto onerose, tanto che per le tasse i mantovani si immiserirono; in particolare una grande uscita di denaro ci fu per i festeggiamenti per la venuta dell’imperatore Carlo V, festeggiamenti organizzati e realizzati ovviamente da Giulio Romano, che alla morte del suo amato duca, avvenuta nel 1540 per colpa del “mal francese”, ebbe l’intenzione di tornarsene a Roma, ma trovò la ferma opposizione del reggente, il cardinale Ercole Gonzaga, che continuò a commissionargli lavori senza discutere sul prezzo, analogamente a quanto aveva fatto il fratello Federico II.

Impreziosito da numerose fotografie delle opere realizzate dall’architetto e pittore romano, il libro, anche per il numero ridotto di pagine, si legge velocemente e con grande piacere, consentendo un’escursione in un mondo lontano i cui monumenti testimoniano la grandezza di una casata ormai estinta.

Edgarda Ferri è nata a Mantova e vive e lavora a Milano. Scrittrice, saggista, giornalista ha esordito nel 1982 con Dov´era il padre, un romanzo che rimane tuttora un ritratto fondamentale e un punto di riferimento per un´intera generazione. Ha pubblicato inoltre, Contro il padre (1983), La tentazione di credere (1985), Il perdono e la memoria (1988), Luigi Gonzaga (1991), Quello che resta di Cristo dopo 2000 anni (1996) e, per Mondadori, Maria Teresa (1994), Giovanna la Pazza (1996), Io, Caterina (1997), Per amore (1998), L'ebrea errante (2000), Piero della Francesca (2001), La grancontessa (Le Scie, 2002), Letizia Bonaparte (2003), L'alba che aspettavamo (2005), Il sogno del principe (2006), Rodolfo II (2007), Uno dei tanti (2009).

Renzo Montagnoli

 

 


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