Poesie di Salvatore Agueci


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Salvatore Agueci è nato a Salemi (TP) il 01/01/1947, vive nel capoluogo ove insegna nelle scuole superiori, giornalista-pubblicista, collabora col quotidiano "La Sicilia" e si occupa di problematiche sociali, soprattutto nell'ambito migratorio.
Ha pubblicato: "Componenti originarie della problematica migratoria in Provincia di Trapani", "Uomini in cammino. Verso una società interculturale" e "Trapani policroma. Dossier statistico" 99 sull'immigrazione in provincia". Ha curato, inoltre, e coordinato la pubblicazione di "Arabi nel Sud dell'Europa", intervenendo anche con "Gli Arabi, l'Islam e il Cristianesimo". E' in corso di pubblicazione: "La famiglia immigrata in una società interattiva: matrimoni islamo-cristiani".

 

e “campi bonu ntra lu scarsu”.
 

U travagghiu
Pisanti è
ma chiù gravusu è
qnannu ‘n ci l’hai:
cunnanna fu di lu judici supremu
pi l’omini chi lu disubbideru.

Strumentu è di riscattu:
cu campari voli,
li sudura, la fatiga
avi a suppurtari.

Cu travagghia
lu pani si fa e lu vistimentu,
ma s’unni voi
poviru arresti e addumannari vai,
cu la “varda sutta la ventri”.

A lu benessiri ti porta,
felicità ti duna,
pi lassari beddu lu munnu,
e aiutari l’autri a campari.

Cu onestà travagghia pirò,
pirchì si liali nun si,
canagghia addiventi
e “campi bonu ntra lu scarsu”.
 

Il lavoro
Pesante è
Ma più gravoso è
quando non ce l’hai:
condanna fu del giudice supremo
per gli uomini che l’hanno disubbidito.

Strumento è di riscatto:
chi vivere vuole,
i sudori, la fatica
deve sopportare.

Chi lavora
il pane si guadagna e anche da vestirsi,
ma se non ne vuoi
povero rimani e a chiedere l’elemosina vai
con il “basto sotto il ventre” (deluso).

Allo star bene ti conduce,
felicità ti arreca,
per lasciare bello il mondo,
e aiutare gli altri a vivere.

Con onestà lavora però,
perché se leale non sei,
gente vile divieni
e “vivi avendo penuria di tutto”.
 

U pupàru
Nun si canusci cu è lu pupàru,
travagghia ‘n solitariu,
‘mpasta, mudella, vesti li so pupi,
pi poi, darrè, darici la vuci,
falli moviri, comu fannu li cristiani veri:
‘nganna, pirchì tutta è ‘na farsa.

Ci su autri pupàra chi cumannanu:
anch’iddi stannu ammucciati
e li retini di lu cavaddu ‘manu tennu:
prestanu la vuci a li so picciotti,
senza farisi sentiri e vidiri,
u ‘pizzu’ ‘mponinu e li propri voluntà.

Unu sulu è però u granni pupàru,
Iddu darrè li quinti sta,
ogni cosa canusci di la scena,
fa parlari, moviri li so attura,
pi l’innata libertà,
ma a la fini è sulu Iddu chi li cosi fa.

Il puparo
Non si conosce chi è il puparo,
lavora nascosto,
impasta, modella, veste i suoi pupazzi,
per poi, di dietro, dar loro la voce,
farli muovere, come fanno gli uomini veri:
inganna, perché tutto è uno sciocco apparire.

Ci sono altri pupari che comandano:
anche loro stanno nascosti
e le redini del cavallo in mano tengono:
prestano la voce ai loro ragazzi,
senza farsi sentire e vedere,
il ‘pizzo’ impongono e le proprie volontà.

Uno solo è però il grande puparo,
Lui dietro le quinte sta,
ogni cosa conosce della scena,
fa parlare, muovere i suoi attori,
per l’innata libertà,
ma alla fine è solo Lui che le cose realizza.


Mediterraneo
Perle hai di bellezza;
le tue azzurre distese
memoria sono di produzione sublime.

Alcun pennello non potrà mai uguagliare
il tocco dell’abile artista.

Mare nostrum d’un tempo
mare di tutti da sempre.

Campo d’antiche battaglie
e d’intricati segreti.

Cimitero galleggiante.
La speranza hai spento di vite umane:
siano fenice o romane,
avventuriere o laboriose,
desiderio ambito di mobilità nuove.

Centro esclusivo d’accoglienza:
non aspetti di conoscere l’identità,
a tutti un alimento dai,
tutti in pasto offri.

Tesori antichi e nuovi in te conservi,
di frequente agli altrui affetti li ridai.

Se le angosce e le speranze afferrare potessi
una catena inesauribile d’annotazioni avresti:
hai occhi splendidi per guardare,
orecchie attente per sentire,
cuore grato per amare.

Le tue acque siano lavacro,
la tua salinità dalle colpe purifichi,
i tuoi colori a dare continuino:
i toni vivaci dell’arcobaleno,
la ricchezza di una qualsiasi sponda
che confini non ha,
se non la dovizia dell’umanità.
 

Fede
Vivente umano non c’è
che meta non ha
e sguardo non dirige verso un “al di là”.

Essa è calore, fiducia e piena dedizione
in chi risposta gli dà
a ciò che capito ancora non ha.

Salto nel buio non è,
bensì di certezza, d’infinito bisogno,
ricerca di vera felicità.

Sola non è,
compagne unite trova la speranza e la carità,
la triade guida terrena è
verso chi strada non ha.

Non è utopia, né povertà di meta.
Beato chi in lei crede.
Ricchezza di vita sarà
per un perdurare amore di attesa eternità.

È Pasqua!
Il coro celeste esulti,
la schiera dei battezzati gioisca,
d’allegria la creazione erompa.

La luce le tenebre ha infranto,
la vita dignità ha dato alla morte,
la notte ha spalancato al nuovo giorno.

Felice colpa che merito diede
alla gran liberazione:
da schiavi le zolle ha aperto della vita.

Rinati tutti sono:
il passero cinguetti con giubilo,
il leone vicino all’agnello ruggisca,
il povero per lo splendore tripudi.

Il viandante il sentiero riprenda,
il navigante sulla rotta punti,
la stella del mattino apparsa è finalmente.

La partoriente il suo travaglio dimentichi,
è passato il tempo del dolore,
il Santo Venerdì abbandoni la mestizia
e la voce dell’angelo”È tra i vivi” risuoni.

Gli uomini risorgano tra loro:
l’antitesi le tensioni spezzi.
La pace l’unione riveli:
la pietà ritrovi l’afflato della grazia.

Sole d'inverno
Tiepido giorno invernale,
al sole accovacciato,
spoglio quasi dell’essenziale,
con le membra da ritemprare.
Anche la mente rimpiange:
la casa,
la famiglia,
gli affetti.
Tutto vola,
in un baleno;
il solo ricordo,
come il raggio d’inverno,
accarezza la febbrile esistenza.
(I ricordi della vita, anche se tristi, ti aprono uno spiraglio
esistenziale).

Voglia d’amare
Non voglio piangere coi tuoi occhi,
non voglio parlare con le tue labbra,
non voglio ascoltare con le tue orecchie,
non voglio odorare con le tue narici,
non voglio accarezzare con le tue mani.
Non voglio camminare coi tuoi piedi,
non voglio giocare con le tue dita,
non voglio ragionare col tuo cervello,
non voglio pulsare nelle tue vene,
perché non voglio toglierti le soddisfazioni,
le gioie, i dolori della vita,
le emozioni della tua umanità,
della tua identità.
Una cosa sola bramo al mondo:
amare col tuo cuore.

Emigrato
Le tue certezze hai lasciato
per ciò che sicuro ancora non era.
I tuoi caldi amori hai affidato
alle ali del tempo,
al tuo domani di chimera
che limiti non ha
se non della provvisorietà.

Il paese d’elezione da tempo sognato
non sempre ospitale ti è:
sovente non ti scorge,
con altri colori e sapori ti scambia.

Tu abbi dignità!
L’uomo, in ogni dove, è valore creaturale,
se ai viventi mani e cervello sa offrire
e ad ognuno un pizzico d’amore sa donare.

Uomo
Chi sei, uomo, per sentirti offeso,
calpestato e da tanti vilipeso?
Ti senti sovrumano,
immemore dell’origine fangosa.

Hai dignità traslata,
creato con parità angelica:
conoscenza, amore, volontà
doti sono della tua nobiltà.

Ricerchi la tua genesi
nei motivi di logicità,
ma, sia ateo o credente,
unica è la verità:
il tuo è un esistere
per altrui volontà.

La tua è dimensione planetaria,
senza inutile diniego personale,
il tuo legame, alla natura esteso,
memoria sia d’atti docili costanti.

La coscienza morale non sia opzione,
la responsabilità sociale unanime ti renda,
l’impegno politico dovere condiviso.

Pace, libertà… unite alle capacità,
doti sono a te affidati
per il domani dell’umanità.

Innalza la bandiera del dolore,
le reti dell’illegalità fai cadere,
e, superata ogni umana difficoltà,
speranza dai a chi potere non ha.

Con alacrità le primitive origini riprendi,
il credo dall’ideologia separa,
la noia accantona,
nel costruire la quotidiana storia.

In te hai regalità,
il dono grande non sprecare
della tua aspirazione immortale,
ricrea ancora in te l’uomo della novità.

Mani
Le mani,
bianche o di colore,
perle sono dell’umana struttura.
Piccole e innocenti,
ampie e robuste,
si elevano al cielo:
per supplicare, imprecare.
sovente per plasmare e con genio creare.

Le mani,
forza dell’intelletto,
hanno il mondo esplorato
e sui più arcani misteri stilato.

Le mani,
soffice carezza, macigno pesante,
grondanti sangue per laboriosità incessante.

Sono sante, a volte assassine,
spesso tese a liberare
chi condannato è da implacabile “destino”.

Opera immane sono
di geniale artefice sublime
che come arnesi titanici li pose,
perché ciascuno usarli imparari
per la terra incantare
ed il creato celebrare.

Donna
Sei donna non nullità,
dalla terra sei tratta
con pari nobiltà.

Radiosa sei presenza
del divino, dell’umano,
non eguagli alcun arcano.

La tua pazienza, il coraggio
echi sono del tuo amore,
dell’audace valore.

Sei sintesi creaturale,
a te il saggio onore,
sempre ed in ogni dove,
d’esser donna in attesa.

Guida sei e rimani,
voglia accorta di speranza,
se la tua vita chiara sia,
di celestiale virtù e allegria.  

È Natale
È Natale!
Il mondo sembra unanime gioire.
Dai cori al luccichio, ai festoni,
tutto canta la nascita del Creatore.

Per tanti un giorno è di ingurgitare
a molti manca l?essenziale,
per tutti nato è a sobrietà richiamare.

Natale,
tempo è di meditazione,
di richiamo alla celebrazione.

Cristo da Re
l?umanità ha preso per sé
e dalla sua umiltà
l?uomo ottenuto ne ha in nobiltà.

Natale,
inizio della redenzione,
chiamati si è con la tenerezza
ad esaltare il valore grande della dolcezza.

Io scrivo per?
Scrivere è un gioco,
è un esternare il fuoco
che crepitando il cuore infiamma.

Scrivere è frutto dell?intelligenza
del dono divino della sapienza.

Scrivere è passione,
è sintomo d?illusione,
di profonda esternazione.

Ma io scrivo per? amore,
per offrire a tutti
il dono di nostro Signore.

Volontà, conoscenza e carità
segni sono della nostra umanità
che per somiglianza ci ha donato la Bontà.

Io scrivo per invitare,
col simbolo scritturale,
che ogni uomo nato è per amare.        

Coscienza
Mi svegliai dal letargo
per cercare chiarore
e vidi buio.
Mi guardai attorno
e vidi tenebre.
Osservai il mio vicino
e lo vidi cupo.
Mirai il sole
e rimasi accecato.
Mi chinai su me
e, nell?intimo, pazientemente,
cominciai a vedere
la luce.     

Il compromesso
Con occhi languidi lo mirai,
con sguardo arcigno mi rispose,
come voce di chi non accetta confronti.

A descrivermi il fiume lo invitai,
mi parlò a lungo dell?acqua:
scorre, travolge, distrugge, purifica?

E le sponde, il letto? Gli chiesi.
Rimase conquistato, non osò balbettare.

Sono limiti forzati, imposti.
Anche la vita è piena di steccati,
essi diventano ?amore? attraverso la transazione.

Persino con Dio l?uomo fa un patto:
Egli deve sottostare
all?umano che vorrebbe dominare,
ignaro che: ?Io sarò il tuo Dio, tu sarai il mio popolo?.

La gioia, il dolore, il successo?
tutto relativamente efficace risulta,
a patto che il fine si riconosca,
non sempre visibile e trasparente,
e costantemente se ne convenga.     

Immigrato
Ti ho spesso incontrato
per le vie,
nelle rotte del tuo guado.

Mi hai guardato,
col tuo silenzio,
e mi hai gridato.

Ti ho visto abbandonato,
nella ?detenzione?,
e ti ho sempre amato.

Su, amico carcerato,
vivi il momento,
non esser disperato.

Pensa a ciò che hai lasciato,
nella tua casa,
gli affetti che hai sempre cantato.  

L'uomo dell'arcobaleno
In carcere,
una strana avventura...
tutto mi fa eco:
i cancelli,
le chiavi,
la latrina,
la coscienza...
Ascolta, giudice,
la mia "innocenza"...
l'anelito nel sognare:
una colomba vola verso cime lontane.
Chi sono?
Son io?
Posso cambiare,
nonostante tutto,
devo mutare...
sono, anzi, diverso...
Il mio domani,
sarà differente:
apparirò,
per tutti,
l'uomo dell'arcobaleno.

Bagliore
Nel pozzo mi specchio:
un bagliore acceca
la mia nudità.

Le stagioni
Seducente, arcano tempo,
che con l'alternarsi delle stagioni della vita,
nel rincorrersi dei cicli astronomici,
al passante sprazzi offri di tesori armonici.

L'autunno i cuori umilia e afferra.
La natura con l'ingiallir delle castagne,
gli spiriti affligge e ad un coatto letargo serra.

L'inverno nel calore ritiene i sogni,
le gioie della famiglia nel perenne Natale aduna,
tutti richiama a ripensar la vita,
nell'anno nuovo che a presagi invita.

Con la primavera tutto si ridesta,
la natura pavidamente
le sommesse ricchezze della madre terra libera
e il rinverdir dei campi speranza instilla.

L'estate coi frutti finalmente irrompe,
il sole del superfluo ci spoglia
ma inonda i cuori d'arcana voglia.

Il cuore degli uomini
aprirsi debba in ogni ciclicità
e come un florilegio
raccoglier sappia le freschezze della bontà.


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