OMELIA DI DON ENRICO NEL
FUNERALE DI COCOLO DIEGO .
sabato 21/04/2012 ore 09.00
"Quando tornerò a casa, mi condurrai alla Messa
in carrozzella", sono le parole che il nostro carissimo Maresciallo
Maggiore Diego rivolse al suo amico Tullio qualche giorno prima di
lasciare questo mondo. Diego ha lasciato la sua cara Adriana, la sua
amata figlia Tiziana, il suo Don (come era solito chiamarmi), i suoi
amici, le persone di Campitello che salutava con devozione e rispetto
mentre stringeva tra i denti la sua inseparabile pipa, per entrare in
un regno ben più prezioso e affascinante di questo povero mondo; e
Diego lo sapeva bene dove si va a finire dopo la morte: tra le braccia
misericordiose del Padre, stretti in un abbraccio d’amore che non avrà
più fine. Così ce lo ha appena ricordato San Paolo nella lettera ai
Romani quando dice: "Nulla mai potrà separarci da quell’amore che
Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù nostro Signore." (Rom. 8, 39).
Lo sapeva bene Diego questo, perché la sua vita
era illuminata dalla luce della fede, che alimentava ogni Domenica
alla fonte dell’Eucaristia in questa "affascinante” Chiesa (come lui
la definiva spesso), dove si riunisce la comunità cristiana nel giorno
del Signore.
Ricordo bene che spesso, quando alla Messa delle
ore 11.00 da lui puntualmente frequentata, mentre procedevo nella
corsia centrale per la processione introitale, mi batteva la mano
sulla spalla e con un cenno di saluto mi sussurrava piano piano: “Non
si preoccupi, don Enrico, se c’é poca gente, ci siamo noi! “ Sono le
parole di un cristiano che voleva condividere con delicatezza l’ansia
pastorale del suo parroco, immaginando il suo dispiacere nel vedere
alcuni banchi vuoti.
Non posso dimenticare quel pomeriggio, poco tempo
prima di Pasqua, quando mi sono recato a fargli visita presso
l’ospedale Carlo Poma nel reparto di Oncologia dopo alcuni giorni dal
suo ricovero, come mi accolse con gioia, quasi facendomi capire:
"Finalmente sei arrivato" e accennando un abbraccio sottovoce mi
disse: "Ha gia preparato il mio sermone? ". Era l’espressione di un
uomo che, pur provato e debilitato nel corpo, non era affatto
sconfitto e amareggiato
nell’anima, perché era gia preparato per
incontrare il suo Signore. Ecco il segreto del suo sorriso pieno di
fiducia e di speranza, senza far trasparire nulla della sua sofferenza
tisica ed interiore. Anche nella vita dei santi, leggiamo
testimonianze che nel momento di lasciare questo mondo ci edificano e
ci incoraggiano, ma soprattutto ci fanno capire che non temevano la
morte perché sapevano bene cosa li attendeva: il cielo, il Paradiso,
la gioia del Signore senza fine. Pochi giorni fa (precisamente
Mercoledi 4 Aprile) abbiamo celebrato la memoria del beato Francesco
Marto, uno dei tre pastorelli di Fatima, che vide la Madonna il 13
Maggio 1917 insieme alla sorella Giacinta e la cugina Lucia. Fu il
primo ad ammalarsi quando nel 1919 scoppio l’epidemia di "febbre
spagnola"
che decimo l’Europa. Ma sopporto tutto senza un
lamento e, prima di morire, disse a Lucia: “Ormai mi manca poco per
andare in cielo. Lassù consolerò molto nostro Signore e la Madonna.”
Questo continuo riferimento al "cielo" lo
ritroviamo spesso anche nelle composizioni di Diego in veste di poeta,
le quali riprendono lo stesso slancio e passione tipiche dei santi, un
desiderio di comunione profonda con il Signore, una nostalgia della
sua pace e della sua consolazione, una fede profonda nella vita oltre
la morte. Vi voglio offrire a questo proposito uno stralcio della sua
poesia intitolata "Preghiera per la vita", che mi consegnò in quella
mia prima visita come augurio
pasquale non solo per me, ma per tutta la
comunità cristiana:”L ’amore di Dio é passato attraverso il tuo
cuore, o Maria lo so che sei entrata nella nostra tormentata storia
…. Maria, siamo figli della tua sofferenza e noi veniamo a te per
riempirla di luce e di speranza. Maria, la tua bontà ci ispira
fiducia.. Accompagna benevolmente la nostra preghiera.”
Non vi sembra questa una testimonianza eroica,
per di più avvalorata da una penna che scrive su un letto d’ospedale
tra le sofferenze dentro il corpo di un malato grave, che non dispera
dell’amore di Dio, ma si affida a lui completamente mediante la Madre
Maria, come è raro trovare nelle persone di questo mondo? Negli
incontri successivi il grande insegnamento che ricevevo era sempre
quello: Diego mi faceva capire, anche col suo silenzio che nascondeva
una sofferenza interiore, che non sono le grandi cose che rendono
grandi gli uomini, ma le piccole, spesso nascoste e insignificanti
agli occhi del mondo, ma non certamente agli occhi di Dio, perché il
mondo, lo sappiamo bene, guarda alle apparenze, Dio invece guarda al
cuore.
Anche il Vangelo di Matteo (13, 44-47) che
abbiamo appena letto, ci ha fatto capire che la meta é Dio, che siamo
fatti per Lui, per il cielo. Questo é il tesoro da cercare. La vita e
un dono troppo prezioso per essere sciupato e banalizzato e non deve
essere ridotta ad emozioni e passioni per spremere più che si può
dalle occasioni che di giorno in giorno si presentano; ma la vita per
il cristiano e come un pellegrinaggio alla ricerca e alla scoperta del
vero tesoro che non finisce
mai, perché il tesoro e l’Amore di Dio che e
racchiuso nei nostri cuori.
Ora Diego e pronto per consegnarsi a quel tesoro
prezioso che ha cercato nella sua vita e che finalmente ha trovato
come ci ricorda lui stesso in questa poesia tra le ultime da lui
composte e consegnatami personalmente come testamento spirituale che
intende trasmettere e regalare a ciascuno di noi perché lo conserviamo
gelosamente: “Ogni sera prima di addormentarmi, guardo il cielo
stellato, alla ricerca nel firmamento della mia stella. Ma poi mi
addormento con il profumo e il sapore di te. T u sei vicino al mio
cuore.”
La stella che brilla per l’eternità ora ti
illumina, caro Diego, e questa stella che sorge dall’oriente (come
dice la sacra liturgia), è Cristo, il cui volto che ora tu stai
contemplando con gli angeli e i santi é avvolto di una luce che non
tramonta mai. E mentre ti immaginiamo con la penna in mano per
scrivere la poesia più bella della tua vita dinnanzi a quel volto
trasfigurato, ti chiediamo di pregare per la tua cara sposa Adriana,
la tua amata figlia Tiziana, per i tuoi famigliari, per don
Enrico, per questa comunità cristiana perché un
po’ di quella luce abbagli anche ciascuno di noi e ci faccia provare
tanta nostalgia di quel Paradiso che ora ti accoglie per sempre.
Don Enrico.
I giovani non hanno momenti per
riflettere
Quando si è giovani quindicenni si è ancora acerbi; ricordo con gli
amici un episodio successo dopo l'8 settembre del quarantatre. La
truppe tedesche si attestavano verso Salerno, gli americani sbarcarono
sulle coste calabre. A Cosoleto c'era un posto d'avvistamento della
milizia nazionale fascista. Avevano requisito una casa in mezzo ai
vigneti, sopra l'acquedotto avevano sistemato una serie di razzi di
comunicazione che segnalavano ogni aereo che passava e la sua
provenienza per allertare le artiglierie di Reggio Calabria. Quando si
sentì alla radio che l'Italia si era alleata con gli americani, i
soldati buttarono via tutto, armi, divise e sparirono.
Noi ragazzi non avevamo momenti per riflettere e siamo andati in
questo luogo, ove c'erano le postazioni militari, erano posizionati i
razzi di segnalazione e noi pensando di fare chissà che cosa, alla
notte abbiamo lanciato alcuni razzi credendoli fuochi artificiali.
Nel cielo, una scarica di razzi sul litorale di Palmi e Gioia Tauro .
Le truppe accampate all'interno del paese vedendo questi razzi in
cielo si allertarono; un carro armato piazzato all'inizio del paese
era pronto a distruggere tutto, due motociclisti americani, dalla
piana di Gioia Tauro salirono fino al paese per vedere cos'era
successo e se ci fossero state truppe in attesa di combattere.
Questo luogo fu ispezionato e noi ragazzi scappammo via: era stata una
ragazzata.
Ecco perché spesso i ragazzi non hanno tempo per riflettere, non sanno
ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: ma noi eravamo solo ragazzi ed
i ragazzi sono sempre perdonabili.
E' stato un momento di paura ma il peggio era passato.
I tedeschi, avevano abbandonato sotto gli ulivi le munizioni e i loro
armamenti e tutti i ragazzi si divertivano a smontare e rimontare le
armi, talvolta lasciandovi braccia, gambe ed occhi…
Molti miei amici restarono mutilati per questo motivo.Una squadra di
artificieri si è fermata sulla zona per bonificarla e renderla meno
pericolosa: momenti tristi della nostra storia.
Per le strade, camionette abbandonate, camion nei fossi e i meccanici
del paese smontavano i motori per riutilizzarli, sembrava tutto un
cantiere militare.
Carri armati capovolti, si raccoglievano uomini morti e si
seppellivano. Pagine sconosciute di storia.
Io e mio cugino Giuseppe abbiamo scoperto dentro un garage una vecchia
motocicletta tedesca , l'abbiamo messa in ordine e lui, più anziano di
me ha iniziato a guidarla per le strade del paese, non so che fine,
poi abbia fatto.
La tradizione delle "Colombe
pasquali"
Era grande tradizione che tutti i bambini dovevano andare a Messa con
la "Colomba pasquale"
Teresa, mia madre non aveva gli ingredienti per cucinarle e
confezionarle e allora una mattina di fine marzo, mio fratellino
Rosario ed io siamo andati a trovare Giovanni in campagna, un nostro
cugino che lavorava al frantoio con mio padre. Coltivava un terreno
ove seminava grano, cereali, aveva una vigna ed un aranceto.
Mia madre mi mise al collo una bisaccia e senza scarpe, perché in
marzo noi bambini andavamo scalzi per non consumare le scarpe per le
stagioni fredde, ci avviammo verso Marviano per andare in visita al
cugino.
Appena ci vide, ci ricevette molto felicemente. Maria, mia sorella,
lavorava sempre in fattoria dalla semina del grano alla trebbiatura.
Ci vide:" Venite bambini, avete già mangiato qualcosa?" e ci
rifocillammo con latte e pane. "Siamo venuti, perché la mamma non ha
ingredienti per fare le colombe e tra poco è Pasqua…lei ti chiede se
hai qualcosa da darci" Nella bisaccia mise due chili di farina, dodici
uova e un po' di strutto di maiale. Latte non ce n'era perché la capra
non ne faceva, ma ci diede fichi secchi e alcune arance. Ci ha
accompagnato per un tratto di strada fino a "Vignacurta" una fattoria
di fronte la stalla di Francesco Zucchi, un nostro compagno di scuola
delle elementari. Siamo entrati per scaldarci, non aveva la madre, ma
la zia; allevavano mucche e vitelli anche se non producevano formaggi.
Mia zia ci ha messo un bel pane nella bisaccia senza che noi ce ne
accorgessimo e una bottiglia di latte. Francesco ci ha accompagnati
vicino al paese perché ci ha dato una mano con la bisaccia che era
molto pesante ove c'era anche uva passa per la colomba.
Siamo arrivati a casa stanchi ma felici.
Durante la notte, mamma Teresa ha impastato il composito e ha fatto
due belle colombe con quattro uova ciascuna; in genere ne matteva solo
due, da ciò si dimostrava che non eravamo poveri.
Le altre colombe, quelle di Maria e di zia Cristina erano di semplice
pane con un uovo sopra.
In casa non c'era zucchero: la "bagnarota" girava per le strade per
vendere la sua merce e fermatasi a casa nostra ci propose di scambiare
dello zucchero con un litro d'olio d'oliva che a noi non mancava mai.
Avanzò farina anche per le tagliatelle e allora mia madre tirò il
collo alla gallina piu' vecchia per fare il ragu'. La mattina di
Pasqua si diffuse nell'aria un delizioso profumo di dolci. Indossammo
i vestitini migliori e gli stivaletti in gomma per le grandi occasioni
: io e Rosario andammo a Messa e ci sedemmo davanti, nei primi banchi
vicini ai ragazzi ricchi, con le nostre colombe in mano (come
richiedeva la tradizione) che sembravano fatte in pasticceria….
Abbiamo fatto invidia a tutti gli altri e un nostro amico che aveva un
negozio ci dono' anche una bottiglia di vino. Sulla tavola pasquale
anche le tagliatelle fumanti con il ragu' di gallina, invitammo anche
zia Cristina che abitava a fianco a noi, per festeggiare insieme.
Eravamo felici quel giorno di Pasqua.
Sull'Aspromonte mancava la
comunicazione ma non il "coraggio"
Otto settembre del quarantatrè: cinque anni di guerra terminati.
L'Italia aveva firmato l'armistizio con l'America e le battaglie
navali si trasferirono lungo le coste calabresi.
Sull'Aspromonte un battaglione di paracadutisti aveva preso posizione,
le nostre truppe furono prese di sorpresa: "è mancata la comunicazione
ma non il coraggio." Fu una battaglia storica.
Le truppe tedesche si defilarono sotto il grande uliveto della piana
di Gioia Tauro, anche a Cosoleto si accamparono sotto i balconi delle
case e dopo alcune settimane le truppe tedesche si attestarono nel
porto di Sorrento. Le truppe alleate continuavano a percorrere il
litorale calabro verso nord.
I paesi della Calabria costiera, furono abbandonati; l'annonaria non
forniva più pane e provviste, i magazzini erano esauriti, la
popolazione allo sbaraglio.
Noi, piccoli contadini coltivavamo appezzamenti di terreno in varie
località: cereali, grano, pomodori e verdure.
Le nostre mamme raccoglievano tutto ciò che potevano nelle campagne
per poi essiccarli e conservarli per la stagione invernale.
Raccoglievano i fichi e li facevano essiccare al sole, le melanzane
sotto sale.
Il paese era circondato da un torrente che forniva acqua potabile;
lungo le rive ci sono ancora oggi boschi di castagne e frutti di
bosco. In autunno si andava a castagne, il pane dei poveri. Dai boschi
si ricavava la legna per accendere il fuoco e cucinare le castagne.
Tutto veniva conservato con devozione e rispetto, ogni piccola cosa
serviva al proseguimento della nostra vita.
Nel boschi raccoglievamo i funghi che venivano selezionati e
conservati.
Una cosa trascurata voleva dire un giorno senza cibo.
Si raccoglievano persino le ghiande per alimentare Pasqualino, un
maialino che ci seguiva come un cagnolino. Non c'era molto mangime e
perciò cresceva lentamente; talvolta in inverno anche lui serviva per
fornirci carne e lardo.
Ciò che abbondava in casa era l'olio d'oliva ricavato dalle nostre
piante. Nelle giare venivano conservate le olive in salamoia.
Ognuno chiude dietro di se' il
cancelletto della fanciullezza e segue la scia di chi prima di noi.
Paese mio…. che stai ai piedi di una verde collina di uliveti e
castagneti.
Il nostro è un antico borgo di vecchi palazzi, costruito dagli antichi
greci.
Si racconta che al termine della guerra di Troia, i greci sbarcarono
sulla costa della Calabria, portando gli ulivi, gli agrumi e la vite.
Non si conosce la data esatta, ma il primo borgo di Cosoleto è
sprofondato in un grande lago, in seguito ad un abbassamento del
terreno, li' sono rimasti solo i ruderi del castello; quindi fu
ricostruito l'attuale paese nella medesima posizione e prese il nome
di "Cusolito"
E' un altopiano da cui si vede il mare, è circondato da torrenti e da
sorgenti d'acqua corrente.
In questo paese non c'erano per noi giovani prospettive di un prossimo
futuro, ad un certo punto uno chiude il cancelletto della propria
fanciullezza, come si dice, e si segue chi prima di te ha iniziato
l'emigrazione; non si sapeva se sarebbero state rose o spine ma
bisognava seguire la loro scia-
Io sono stato fortunato, ho seguito la carriera militare nell'Arma
Benemerita , ho raggiunto il massimo grado dei sottufficiali,
coronando cosi' il sogno di mia madre Teresa che mi accompagnò alla
corriera e mi disse:"… vai mio piccolo cavaliere e torna valoroso."
Sarebbe felice di sapermi "cavaliere della repubblica."
Due chili di grano
Seconda guerra mondiale: i tedeschi erano in fuga, gli americani erano
da poco sbarcati, non c'era piu' nulla da mangiare, Maria, mia sorella
ha pulito il granaio e ha ricavato due chili di grano, li ha messi in
un sacchetto che mi ha spedito al mulino. Quindi con quella farina
c'era da mangiare tagliatelle per una settimana.
Vicino al mulino sul fiume c'erano i militari italiani che avevano
situato delle contraeree, uno di essi mi ha disse: "Dove vai ragazzo?
"
Risposi:"Sono andato al mulino per sopravvivere qualche giorno"..
Allora lui: "Fermati, non andare via" mi riempì il sacchetto di
scatolame e di gallette
" Prima che li mangino i tedeschi, è meglio che li mangiate voi…. "
In famiglia sembrava fosse tornata la ricchezza.
Basta poco per fare felice una famiglia; ieri come oggi.
Il Trenino Rosso del Bernina:
Cent’anni portati bene.
Escursionismo
Il trenino del Bernina
Oggi non siamo qui davanti al nostro personal computer, per descrivere
le consuete passeggiate sui sentieri Alpini e Dolomitici, su quel
paesaggio innevato ed ovattato dalla neve, per scoprire che la
tendenza del nostro corpo, nonostante la leggerezza dell'aria e dello
spirito, è comunque quella d scendere verso il basso e poi, già che ci
siamo fino a valle, mentre oggi ci succede al contrario, dalla grande
valle terrazzata di Tirano, saliamo verso il Morteratschh, il
ghiacciaio più grande delle Alpi Retiche, dove regna il silenzio e la
solitudine interiore di questi luoghi incantati, di questi luoghi dei
folletti e delle fate.
Il CAI di Mantova, sotto la guida sapiente dell'amico Sandro Zanellini,
ha messo da parte i tradizionali sentieri dolomitici, e ha come si
vuol dire, rotto il guscio ed ha varcato i confini del nostro
meraviglioso Paese, per scoprire una località particolare e non
consueta alla maggior parte di noi vecchi veterani dell'escursionismo
nostrano.
Mentre il Trenino Rosso, attraversava la grande vallata gelata al
cospetto del grande e superbo ghiacciaio, dove regna soprattutto la
pace, la meditazione, l'armonia e la bellezza dei luoghi, della luce e
dei colori, ma soprattutto dove regna il silenzio, che per un attimo
ti sembra di rivivere quel religioso silenzio dei chiostri. Ad un
tratto del percorso, Adriana mia moglie, parlando del silenzio, mi ha
chiesto:
" Ma da dove scaturisce tanta pace e questo infinito Silenzio ovattato
dalla grande valle ghiacciata?"
Oh, si, il silenzio, viene di là dei tempi, dalle epoche anteriori ai
mondi, dai luoghi dove i mondi più non esistono".
Ci voleva proprio il famoso "Trenino Rosso: una ferrovia
internazionale a scartamento ridotto Tirano- Bernina - At Moritz" Il
treno che scala le montagne incantate, per farci scoprire una pagina
l'una meravigliosa favola creata dalla tecnologia e alla sapiente mano
dell'uomo. Si, è proprio così, oggi parleremo di un trenino che scala
le montagne in uno scenario spettacolare da quinta teatrale: un
indimenticabile percorso ferroviario che inizia, appunto da Tirano e
termina nella bellissima cittadina di St Moritz, in territorio
Elvetico.
Prima di iniziare a parlare di questo nostro viaggio mozzafiato sul
Trenino Rosso, che supera una pendenza del 7 % ( senza cremagliera),
raggiungendo un'altitudine di 2253 metri sul livello del mare, che
senza dubbio, è una cosa unica in Europa, ci dobbiamo soffermare e
raccontare le nostre impressioni sulla cittadina di frontiera di
Tirano, che sorge in una bellissima vallata terrazzata, dove germoglia
fin dall'antichità, la vite, probabilmente portata dai .Romani. Tirano
conserva resti delle mura e del castello medioevali, due porte turrite
del XV secolo ( erette per volere di Lodovico il Mori), la
quattrocentesca collegiata di St Martino, con campanile romanico e bel
portale laterale. Palazzi signorili dei secoli XVI. XVII e XVIII,
adorni e di stucchi e "stufe" pregevoli affreschi, stucchi e "stufe".
Notevolissimo è il Santuario della Madonna di Tirano, con portale
romanico e l'interno di un bellissimo barocco fiorito, mentre l'organo
ligneo è l'opera più pregevole che dà al Santuario la larga fama e
suscita l'ammirazione dei visitatori. Silvio il bravissimo conducente
del pesante pullman, appena entrato nel centro storico della bella
cittadina di Tirano, con una manovra a lui congeniale, che fa parte
delle sue quotidiane abitudini, ha effettuato un seme giro della
piazza e si è andato a fermare proprio di fronte alla collegiata di
San Martino, dove è ubicato un bar, dandoci la possibilità di poter
sorbire in santa pace, la tradizionale tazzina di caffè fumante. Gioia
e delizia di noi italiani. Poco discosto della collegiata di San
Martino, sorge il Palazzo Salis dove eravamo attesi dalla simpatica
bravissima signora Angela, la direttrice dell'antica casa vinicola
Salis. Appena ci ha visti, ci ha accolti con il tradizionale saluto:
"Allegra!" che è il saluto ospitale degli Engadinesi si scambiano
quando si incontrano. La signora Angela ci stava aspettando per la
visita dell'antico maniero. La storia della famiglia Salis ha origine
nel lontano Medioevo, quando attorno al XII secolo i primi
rappresentanti infeudati dal vescovo di Coira, si trasferirono dalle
originarie terre comasche a Soglio in val Bregaglia, la valle che da
Chiavenna porta nord- est verso l'Engadina, qui ebbero origine vari
rami della famiglia Salis, che si sparsero successivamente in diverse
località dell'attuale Svizzera, soprattutto nella regione di Coira. Un
ramo della famiglia Salis, e precisamente Rodolfo Andrea von Salis
Zizers fu infeudato di vari beni in Valtellina e cosi toccò al figlio
Giovanni pensare ad amministrarli Dopo essersi stabilito a Tirano nel
1646, egli fu nominato due volte podestà Grigioni e poi governatore
della Valtellina, iniziando la costruzione del Palazzo di Tirano, che
abbiamo visitato, locale dopo locale. Alla fine della visita del
bellissimo palazzo Seicentesco, siamo stati introdotti nel " Santuario
della cantina". Sul lato sinistro dello Scalone, si accede attraverso
un vecchio portone in legno di castagno, alle cantine che si
sviluppano sotto l'intero perimetro del corpo centrale del palazzo. La
nostra accompagnatrice, ci ha spiegato che documenti dell'epoca
attestano che nel 1665 la famiglia Salis riforniva, con i suoi
pregiati vini, le nobili famiglie locali oltre al vescovado di Coira e
alla Corte dell'imperatore Leopoldo I dì Asburgo. Nel nostro percorso
esplorativo, abbiamo constatato che le cantine si collegano ad
un'ampia struttura a rustico, adiacente al palazzo, dove ha sede
produttiva l'azienda vinicola. Prima di congedarci, la signora Angela,
ci ha offerto un ricco spuntino, innaffiato il tutto con gli ottimi
vini che si producono nelle vigne terrazzate della Valtellina.
Nel tardo pomeriggio, abbiamo raggiunto il piccolo Borgo terrazzato di
Teglio, che è abbarbicato al vertice della collina, dove germoglia da
sempre la vite e da dove si ammira un paesaggio mozzafiato. E'
circondato dell'acrocoro di montagne altissime che hanno per sfondo il
massiccio delle alte e innevate montagne Orobiche che fra l'altro, fu
sede del trattato del 1512, in virtù del quale, Tirano passò ai
Grigioni. In questo Borgo medioevale di grande bellezza paesaggistica,
in posizione panoramica di grande respiro. Sorge l'Hotel Ristorante
Combolo, che ci ha ospitanti per la cena ed il pernottamento.
Ben venuti alla cena in Valtellina.
Qui a Combolo, è nata l'Accademia del Pizzocchero, una specie di
tagliatelle confezionate con la farina di grano Saraceno e condite con
i famosi formaggi di Teglio. Nel menù del nostro convivio, perché di
un convivio si è trattato, oltre agli Sciata di Teglio su prato di
cicorietta, Per primo, piatto ci sono stati serviti i famosi "
Pizzoccheri dell'Accademia, mentre per secondo piatto, la bresaola con
Crema di Braulio. Naturalmente, come succede in queste cene convivio,
non si è andato o per il sottile con le libagioni. Le bottiglie
dell'ottimo vino dei colli terrazzati di Teglio, hanno fatto la loro
parte. Insomma, eravamo tutti allegri e felici di aver trascorso una
serata in grande allegria. Il nostro pullman, condotta dall'amico
Silvio, alle ore 8 del mattino, era già pronto davanti all'albergo
Combolo, gestito dalla famiglia di Laura Valli, che ci ha accompagnati
con il famoso trenino Rosso del Bernina fino a St Moritz. Dalla
Stazione di Tirano ci accingiamo a compiere per la prima volta un
viaggio che possiamo definirlo, un viaggio d'avventura. Attraversando
regioni di confine così diverse, ma per certi versi molto simili,
potremmo cogliere gli aspetti più suggestivi di un tragitto che non si
limita ad essere semplice collegamento tra l'Italia e la Svizzera, ma
si rivela un'occasione per un diretto confronto tra due realtà che
presentano una certa affinità sia dal punto di vista geografico che
culturale.
Quindi, è stata un'avventura unica nel suo genere a bordo di un mezzo
unico nel suo genere in Europa: Il Trenino Rosso del Bernina, che
senza l'aiuto della cremagliera , ma esclusivamente per adesione, " si
arrampica" sulla montagna raggiungendo, nel punto più alto la stazione
ferroviaria dell'Ospizio Bernina, a 2253 metri, fermata che prende il
nome dell'omonimo ospizio, situato sul valico della carreggiata del
Passo Bernina a 2309 metri. Dopo un paio d'ore di viaggio su quel
fantastico Trenino Rosso, eccoci giunti all'agognata meta della nostra
singolare avventura. Siamo a St Moritz, il cuore della mondanità
engadinese di fama internazionale, dove sorgono le ville più belle dei
grandi personaggi dell'industria, del cinema e dello sport. Le piante
dei giardini di queste bellissime residenze erano tutte fiorite.
Insomma era un'esplosione di luci e di colori in quella vallata
riparata delle grandi montagne innevate, dove grazie al micro clima,
ti sembra di vivere in un altro mondo, in un'altra dimensione. Per
concludere questa nostra avventura molto piacevole, dobbiamo
doverosamente rendere omaggio alla simpatica signorina Laura Valli,
che tra l'altro, è autrice di un bel libretto escursionistico. Che
illustra sapientemente la valle di Tirano e di St Moritz, che ci ha
fatto da guida per tutto il viaggio, raccontandoci ogni particolare
sia storico che culturale. Ella, oltre che bravissima guida turistica,
è una giovane molto simpatica ed estroversa. Grazie Laura.
Concludiamo questo nostro itinerario, con questa breve poesia:
Il poeta così faceva a scrivere:
" Oltre la montagna,
Nella gola della luna
Crescente, là,
Dove Oriente
Sposa Occidente,
Mimun ricerca ognor
Quel Cosciente che
D'attraente
Le riserva il presente.
Eterna
Giovinezza
In coppa poi accarezza,
Anelando
Dentro al vino,
Ciò che a noi
Cela il divino".
Il fiordo di Lovere
Un'escursione a Lovere
La Lombardia non è soltanto la regione dei colori velati della nebbia,
ma è un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestivi,
quasi al limite dell'irreale. Questa mattina, quando siamo partiti per
raggiungere il Lago d'Iseo, la pianura Padana era immersa in una
sottile nebbiolina che con il levarsi del sole, tutto è ritornato alla
normalità, facendoci ammirare un paesaggio autunnale bellissimo. Con i
suoi lunghi filari di pioppi colorati, i cascinali dai colori stinti e
i lunghi fossati. Dappertutto risaltava il paesaggio piatto ma
bellissimo e colorato dai caldi colori autunnali, con quel tappeto di
foglie morte, dove è sepolta la storia della grande pianura padana.
Da Brescia, con la veloce l'Autostrada, abbiamo raggiunto la bella
località bergamasca, con le sue stupende montagne e la costa
rivierasca, vestita dai colori caldi dell'autunno. La splendida
cittadina di Sarnico era inondata di un sole caldo, un sole quasi
primaverile.
Molte sono le strade che dalla pianura padana portano ai ventiquattro
chilometri delle montagne frastagliate. La più pittoresca, senza
dubbio, è la via che si incontra a Sarnico con il lago d'Iseo, il
Sabino dei romani, il "fiordo italiano" caro alla San, che lo disse
"dolce come un'egloga virgiliana". Una dolcezza ancora più seducente
se si percorre questa strada che tocca Prudore, Tavernello, Riva di
Sotto, Castro; spesso è scavata nella roccia che scende a picco, tra
un continuo mutare di prospettive, fino a raggiungere gli strapiombi
danteschi dell'Orrido di Bon, per poi sfiorire la sponda tranquilla
sino a Lovere.
Questa cittadina è situata a 197 metri sopra il livello del mare, da
Bergamo dista 27 km, e si trova all'estremità sud-occidentale del lago
d'Iseo. Conta 5.681 abitanti ed è nota per l'estrazione della pietra
arenaria e per la motonautica. Abitato in epoche antiche conserva del
periodo medievale numerose tracce del tessuto urbano. In una cornice
unica, con la sua Porto Turistico, è una delle strutture nautiche più
moderne e attrezzate del panorama lacustre europeo. Situato in una
posizione ideale, all'avanguardia dal punto di vista funzionale e
tecnologica, costituisce l'attracco ideale sia per chi vuole godersi
un lago bello e affascinante come quello Sebino, sia per chi vuole
visitare e scoprire le meraviglie dell'entroterra e delle isole
vicine. La bellezza stilistica e architettonica, la qualità dei
materiali, gli ampi spazi verdi, ricreativi e commerciali e le
numerose opportunità sportive ne fanno una struttura moderna idonea ad
una nautica di alto livello e un luogo dove godere della bellezza del
paesaggio in un'atmosfera raffinata e rilassante.
Da questo stretto braccio del lago, che possiamo benissimo definire un
fiordo, anche se ha il significato di "approdo") è un braccio di del
lago d'Iseo che si insinua nella costa bergamasca (anche per vari km)
inondando un'antica valle glaciale o fluviale. Solitamente, infatti,
le pareti del fiordo sono molto simili a quelle dei calanchi, ripide e
scoscese ma coperte di foreste. Un fiordo può anche essere un caso
particolare di costa alta: lunghe e strette insenature che penetrano
all'interno del territorio anche per molti chilometri.
Dopo una curva
Appare la cittadina di Lovere.
Seguiamo la strada scavata nella montagna rocciosa che costeggia il
fiordo che si eleva superba con i suoi magnifici boschi colorati con i
colori autunnali che fanno da cornice alle sponde dello splendido e
antico Borgo di Lovere, la sua lunga passeggiata che costeggia il
meraviglioso e placido lago. Uno stormo di bianchi gabbiani sorvola
l'abitato e segue il vaporetto, che è appena partito alla volta di
Mont'Isola. Il tessuto urbano di questo simpatico borgo è sviluppato
in funzione del suo territorio, stretto tra il lago e la montagna, e
si presenta come un grande anfiteatro. Con le sue case stinte del
tempo e di color pastello colorate.
Splendidi palazzi costruiti con buon gusto e perfetto senso
architettonico, fanno da secoli degna cornice e splendida corona alla
piazza del porto, una delle più belle dei laghi Lombardi. Il lungo
lago era splendido con i bianchi cigni e le anatre che nuotavano e i
bambini divertiti a dare loro del cibo. I giardini e le aiuole fiorite
ti davano la sensazione di un paesaggio astratto e metafisico. Con le
aiuole variopinte
Qui, in un apposito parcheggio, Mauro, ha parcheggiato la sua
autovettura " Ulisse" mentre Tiziana e Adriana, continuavano a
scattare delle fotografie di quell'angolo di paradiso terrestre Nel
vicino Bar ci siamo fermati per sorbito un ottimo caffè, ristoratore,
godendoci la bellezza del lago illuminato dal sole di quest'autunno
tiepido. E' bellissimo passeggiare lungo la sponda del lago Dopo
questa magnifica pausa distensiva, dalla piazza, attraversando il
rione delle "beccare", si sale per il centro storico e si arriva in
piazza Vittorio Emanuele II, dove l'orologio della vecchia torre
civica scandisce il passare del tempo. In questa piazza, racchiusa
tutt'intorno da splendidi edifici, confluiscono tutte le vie piccole e
strette del borgo medievale. Si sale ancora e si arriva alla chiesa di
S. Giorgio. Eretta alla fine del XIV sec. sulle strutture della
medievale torre Sica, fu ampliata e modificata nel tempo, fino al XIX
sec. Contiene una grandiosa tela posta sulla controfacciata
raffigurante "Mosè che fa scaturire l'acqua dalla rupe" del pittore
fiammingo Jean de Hertz (1657); la pala dell'altare sinistro dipinta
da Gian Paolo Cavagna (1556-1627) con l'"Ultima cena", e la pala
dell'altare maggiore del bresciano Antonio Andino (1565-1630).
All'altare della madonna addolorata il 21 novembre del 1932 le due
future Sante di Lovere presero i voti.
Sul lungolago fa bella mostra di sé il palazzo che ospita la Galleria
dell'Accademia di belle arti Tadini. La storia ci racconta che il
palazzo fu costruito in gradevoli forme neoclassiche tra il 1821 e il
1826 per ospitare nelle sale affrescate le ricche collezioni d'arte
del conte Luigi Tadini, che aprì al pubblico il suo museo - tra i più
antichi della Lombardia - nel 1828, oggi ospita le raccolte in 33
sale. Significativo è il gruppo di opere di Antonio Canoa (1757 -
1822): il raro bozzetto la terracotta della Religione e la Stele
Tadini (collocata nella cappella gentilizia) tra le ultime e più belle
opere del grande scultore, che sembra tradurre nel marmo quella
'corrispondenza d'amorosi sensi" che Ugo Foscolo legava ai sepolcri.
Tra i dipinti si evidenziano le opere di Jacopo Bellini (una
meravigliosa Madonna con Bambino), del veronese Francesco Benaglio di
Parsi Bordon, di Palma il Giovane. Le epoche successive sono
documentate dai dipinti di Giacomo Ceduti detto "il Pi tocchetto",
fra' Malgaro, Giandomenico Tiepolo, Francesco Hayek, Cesare Tallone e
G. Operandi.
La Galleria inoltre ospita una ricca collezione di porcellane, tra cui
importanti pezzi delle manifatture di Seveso, Meissen, Hochst,
Capodimonte.
Negli ultimi anni è stata aggiunta una sezione di arte moderna
contemporanea.
L'Accademia di Belle Arti istituita dal conte comprende anche le
scuole di musica e di disegno, ancor oggi attive e frequentate.
Proseguendo per il lungolago - dominato dalle belle facciate di
numerose ville e palazzi (tra cui il cinquecentesco palazzo Marinoni e
villa Milesi con il suo parco) - appena passata la piazza si risale e
ci si trova di fronte all'imponente basilica di S. Maria in Valvendra,
edificata dal 1473 e consacrata nel 1520, in un periodo di particolare
floridezza economica per Lovere. La Basilica dà a sua volta il nome al
borgo rinascimentale di Santa Maria, una silenziosa strada
fiancheggiata da case del Quattrocento e Cinquecento che conduce al
borgo medievale.
La Basilica presenta forme classicheggianti rinascimentali di gusto
lombardo, con influenze veneziane. L'interno è a tre navate, suddivise
da dodici colonne, con cappelle sul lato sinistro. L'opera di maggior
pregio è costituita dalle grandi ante dell'organo, collocate
originariamente nel Duomo Vecchio di Brescia, dipinte, all'esterno, da
Floriano Ferramola con l'Annunciazione e, all'interno, da Alessandro
Bonvicino detto "il Moretto", con i Santi Faustino e Giovita a
cavallo. L'abside e il presbiterio sono affrescati da Ottaviano
Viviani. Il solenne coro ligneo è cinquecentesco; l'altare maggiore
ricco di sculture e marmi policromi è opera della bottega dei Fantoni
di Rovetta; la tribuna centrale di Andrea Fantoni è del 1712. La pala
dell'Assunta, ispirata a motivi del Moretto e di Tiziano, è attribuita
al bresciano Tommaso Bona. Molti anni fa, nell'escursione ad Assisi,
il frate Roberto che ci guidava. Ha detto: " Dopo la mistica ci vuole
la mastica". Egli aveva ragione.
IL BORGO DEL FILATOIO
Subito dopo il pranzo, nelle prime ore del pomeriggio, abbiamo
lasciato il Lago di Lovere e ci siamo diretti nel borgo di Sovere,
raggiungendo il Borgo del Filatoio, dove sorge un moderno villaggio
turistico, di recente costruzione, dove Tiziana, nostra figlia, ha
acquistato uno di questi appartamenti, quale residenza estiva.
Ma che cos'è il " Filatoio"? La località un tempo occupata da un
antico filatoio, dove si crede venissero trasformati i bozzoli da
seta, ha preso vita un importante progetto di riqualificazione urbana,
che attraverso la realizzazione di un piano integrato di intervento,
convenzionato con il comune di Sovere, propone la costruzione di
edifici residenziali all'avanguardia, sia in relazione al contesto
(parco, piscina centro benessere ecc) sia costruttivo, tutte le unità
immobiliari sono costruite con criteri improntati al risparmio
energetico e possono usufruire di un impianto di riscaldamento
all'avanguardia che sfrutta in gran parte l'energia geotermica.
Borgo del Filatoio ", è collocato in un contesto naturalistico di
grande interesse, rappresentato dall'area di rispetto del fiume
Borlezza. In adiacenza a detto fiume e parte del piano, verrà
realizzato un parco pubblico di circa 8.000 mq, un ampio spazio di
verde attrezzato con l'altro uno spazio dedicato al gioco dei bambini.
Questo Borgo sorge su di una verde collina, da dove si ammira un
paesaggio bellissimo fra le montagne bergamasche. L'aria e pura ed il
sole illumina quella collina fino al tramonto.
Lovere, il Borgo più bello d'Italia, dista soltanto tre chilometri,
che è collegato con un pullman di linea, due volte al giorno. Quindi,
di giorno, si prende il sole sul lago e la sera si gode il fresco
sulle alture di Sovere.
La cittadina di Lovere era probabilmente una roccaforte contro i
camuni. Molti sono i ritrovamenti archeologici di età gallica e di età
romana. Fu luogo di scontri, di contese e di saccheggi nel Medio Evo.
Ma già verso la metà del Settecento i riverberi cupi di un passato
tumultuoso dovevano essersi dissolti, se la scrittrice inglese Lady
Wortley Montagu diceva di Lovere: "Questo paese è il più vagamente
romantico che abbia visto in vita mia". E Lovere meritava sicuramente
una sosta, alla ricerca dei suoi scorci romantici, le vie strette
della città vecchia che a tratti lasciano apparire, quasi con
riluttanza, ritagli di lago, e il variare degli azzurri dell'acqua,
delle montagne bresciane, del cielo. Dove continuano a volare i
bianchi gabbiani sulla scia dei vaporetti che trasportano allegre
comitive di simpatici turisti.
IL LAGO di LOVERE
Le aiole fiorite
Con il loro intenso profumo
E poi c'è la spettacolare vista
Del Lago di Lovere
Che ti rapisce
E ti riempie il cuore
Per la sua meravigliosa bellezza
Una sosta nella Piazzetta
Da dove si ammirano
Le montagne con i suoi
Vasti orizzonti
I fiori di campo
Hanno nei petali
Il respiro
Dell'acqua che scorre
Nel ruscello
Nel cuore del villaggio
La luce del sole
Che morbida l'accoglie
Ne seguono le verdi
Colline
E la catena montagnosa
Con le sue alte cime
Che si perdono all'orizzonte
L'erba del prato dei giardini
Ondeggia nel verde
Della collina
Il lago di Lovere
Con il suo lungo Lago
E le sue caratteristiche
Stradine e case colorate
Di pastello
Con le sue placide acque
E i gabbiani che sorvolano
Il cielo e il lago
Gocce di pioggia
O di rugiada
Cadono alla fine della
Giornata
Come melodia
Scivola sui colori
Scivola sulla pelle
Lieve come i pensieri
Genova-Quarto
Rievocazione storica
Nel nostro girovagare nelle località e nei borghi del Bel Paese, siamo
ritornati a rivedere il Borgo marinaro di Boccadasse, La passeggiata
Anita Garibaldi, nota soprattutto con il nome di passeggiata di Nervi,
è un'importante luogo turistico di Genova nella delegazione di Nervi e
da qui ci siamo spinti fino al Borgo marinaro di Quarto. Luoghi a noi
molto conosciuti, perché meta nelle nostre giornate libere. Quarto,
oltre ad essere un luogo felice è anche un bellissimo borgo marinaro,
con le sue tradizioni, che ci ricorda una pagina della storia del
nostro Risorgimento. La storia ci racconta che la sera del 4 maggio del
1860 le vie di Genova brulicavano di una gran moltitudine; tutti
ripetevano le parole: " Partono stanotte". In tanta agitazione di animi
solo il governo sembrava dormire. Cavour aveva capito l'immenso
risultato che si poteva sperare da questa spedizione: se falliva, n'era
responsabile solo Garibaldi; se riusciva, essa avrebbe portato un
grande vantaggio all'interesse; perciò non solo lasciò fare, ma favorì
indirettamente in tutti i modi la spedizione.
La notte dal 4 al 5 maggio Nino Bixio fingeva d'impossessarsi con
violenza, nel porto di Genova, di due navi, il Lombardo ed il Piemonte,
appartenenti alla società Rubattino ( con la quale però si era già
d'accordo) Be le conduceva al vicino villaggio marinaro di Quarto, dove
1200 volontari s'imbarcavano per recarsi a soccorrere l'isola insorta.
Il ricordo di quei momenti entusiasmo Garibaldi, tanto che nel narrare
nelle sue Memorie la partenza dei Mille egli eleva il suo stile e par
quasi diventato poeta:
"- Ove ci sono dei fratelli che pugnano per la libertà. Italiani, là
bisogna correre, - Voi diceste, ed accorreste senza chiedere s'eran
molti i nemici da combattere, se sufficiente il numero dei volontari,
se bastanti i mezzi per l'ardua impresa: Voi accorreste sfidando gli
elementi, i disagi, i pericoli con cui ve attraversaron la via nemici e
sedicenti amici. Invano il Borbone col numeroso naviglio incrociava
stringendo in un cerchio di ferro la Trinacria insofferente di giogo, e
solcava in tutti i sensi il Tirreno per profondarvi nei suoi abissi:
Invano! Vogate, vogate pure, argonauti della libertà! Là sull'estremo
orizzonte meridionale splende un astro che non vi lascerà smarrire la
via, che vi condurrà al compimento della grande impresa; l'astro che
scorgerà il grandissimo cantore di Beatrice, e che scorgeva i grandi
che gli successero, nel più cupo della tempesta: la stella d'Italia.
"Vogate! Vogate impavidi! Piemonte e Lombardo, nobili veicoli d'una
nobilissima schiera; la storia rammenterà i vostri nomi illustri a
dispetto della calunnia, E quando gli avanzi dei Mille, che la falce
del tempo avrà risparmiato per gli ultimi, seduti al focolare domestico
racconteranno ai nipoti la favolosa impresa, a cui ebber l'onore di
partecipare, ben ricorderanno alla gioventù attonita i nomi gloriosi
che componevano l'in trepidissima spedizione".
In quella bella schiera di prodi spiccavano Nino Bixio ( che come
scriveva Giuseppe Garibaldi, fu certo il principale attore della
sorprendente impresa), Crispi, Turr, La Masa, i fratelli Cairoli,
Sirtori
, Mosto ed un giovane poeta padovano, che doveva poi miseramente perire
l'anno dopo in un naufragio, Ippolito Nievo.
Il lombardo ed il Piemonte si fermarono al promontorio di Telamone, e
qui i Mille, riuscirono ad ottenere dal comandante piemontese della
vicina fortezza di Orbetello molte cartucce, alcuni fucili ed un
piccolo cannone. Garibaldi credette opportuno di far scendere 60 uomini
e dirigenti verso lo Stato Pontificio per dare una diversione
all'attenzione delle potenze a far credere che la spedizione fosse
diretta contro il papa, Poi le due navi ripresero il viaggio alla volta
della Sicilia, tenendosi fuori della rotta ordinaria per sfuggire alle
navi borboniche.
Nel nostro breve soggiorno nella bella cittadina di Milazzo, abbiamo
appreso che si concentrarono le truppe borboniche, e là Garibaldi andò
ad assalirle. Da principio le sorti del combattimento volsero a
favorevoli ai borboni; solo verso sera esse si mutarono in favore di
Garibaldi.
Il 20 luglio, data sotto la quale il combattimento di Milazzo. Tutta
l'isola, si può dire, aveva abbattuto il governo borbonico.
Garibaldi, l'eroe dei due mondi, da Reggio Calabria a Napoli, egli non
fece che una grande, entusiastica marcia trionfante, Il 6 settembre
Francesco II, vedendo che i suoi stessi consiglieri cominciavano ad
abbandonarlo, o cercavano di tradirlo, partiva da Napoli per ritirarsi
a Gaeta ed invitava la sua flotta a seguirlo; ma essa invece di
ubbidirlo si univa alla flotta piemontese giunta nel porto. L'indomani
Garibaldi faceva il suo ingresso in Napoli in mezzo alle ovazioni di un
popolo folle di gioia.
Nel 26 ottobre 1860 - si legge nella storia - avvenne a Teano
l'incontro di Vittorio Emanuele Il° con Garibaldi. I due grandi fattori
del Risorgimento si strinsero la mano, e il sovrano per la prima volta
fu acclamato " Re d' Italia ":
Un viaggio nel Sud d'Italia
IL nostro viaggio, é' iniziato dalla verde Lombardia, che non è
soltanto la regione dai colori velati dalla nebbia, ma è un
susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestive, quasi al
limite dell'irreale, con il suo verde fiume Mincio cantato dal poeta
Virgilio, che scorre attraverso un paesaggio che non colpisce al primo
impatto, fatto di pochissimi elementi, ma dal sottile incanto: acqua,
canali, prati, lunghi chiassosi filari di pioppi che bucano il cielo,
però non c'è il mare!
Noi volevamo il mare, come milioni di italiani per trascorrere una
breve vacanza, lontani dal caldo afoso e soffocante della val Padana.
Dall'aeroporto di Verona, che dista 60 km da Mantova, un aereo
dell'Alitalia, in poco tempo, ci ha portati nella bellissima città
siciliana di Catania. La grande montagna di Vulcano, che sovrasta la
città, da qualche giorno aveva finito di eruttare e la " sciara di
fuoco" si era fermata, ma la grande montagna era avvolta da nuvole
basse miste a cenere. Per motivi di sicurezza, non ci è stato
consentito di raggiungere la vetta e il nostro viaggio è proseguito
per Milazzo: una cittadina ricca di storia di cui il castello è la
prova più eclatante.
Mi sembra doveroso tracciare due righe su questa simpatica e storica
cittadina sul mare. Milazzo, é un'antica terra, già decantata dagli
Antichi come la Terra dove il Dio Sole pascolava gli armenti; si
tratta di una città bellissima, celebrata come "Aurea Chersoneso",
cioè la Penisola Aurea, perla del Tirreno, terra celebrata dall'epopea
come patria del gigante Polifemo e sede della Spelonca eccelsa, dove
Odissèos approda nel suo peregrinare. Milazzo, è una Penisola che si
protende nel mare, situata nella Sicilia Nord-Orientale, porto di
imbarco per le isole Eolie e meta di un turismo d'èlite che va alla
ricerca della cultura, terra che va senz'altro visitata. Certamente è
una bella donna, ma non sappiamo se sposata ad un buon marito!
Cenni storici.
La storia di Milazzo, ci racconta che nel "quaternario" non c'era, ma
verso il 400.000 C. il promontorio emerse, come per incanto, dal mare,
proprio come la Dea Afrodite, a seguito pare di movimenti tellurici,
fino a raggiungere l'elevazione di 88 Mt dal livello delle acque. La
Piana si formò intorno al 140.000 a.C. L'uomo compare a Milazzo 4.500
A C., è un uomo evoluto, che sa navigare ed abita al capo, all'estrema
punta del promontorio: acquista ossidiana a Lipari e fabbrica
utensili. Altri insediamenti umani si ebbero nell'area del Castello e
della Piana, ma qui inondazioni tra il 3.500 ed il 2.500 spazzano
tutto. A Vaccarella, invece, si sono ritrovati resti di una Civiltà
del Bronzo, datata 1850 a.C. e così pure altri resti ancora sotto il
Castello, dove le civiltà di allora seppellivano i cadaveri in pythos,
cioè grandi vasi, su cui ponevano una protezione di muratura. Nell'età
del ferro compaiono i Siculi, che bruciano i morti e pongono le loro
ceneri in recipienti di terracotta. Essi riescono a commerciare
perfino con la Grecia, da dove importano vasi che si trovano ancora
nelle loro necropoli. Ma nel VI secolo le popolazioni greche di
Messina, dopo Rometta e Monforte invadono Milazzo e la trasformano in
una loro fortezza. Milazzo, dopo questo disastro non si solleva più
fino a quando non giungono da noi gli Arabi. Nel periodo della
dominazione Romana i Milazzesi, facendo parte della città stato di
Messina, godono dei diritti politici di Cittadini Romani e quindi sono
esenti dal pagamento della decima. Si ricorda, nelle acque di Milazzo,
davanti all'attuale Raffineria, la battaglia navale di Caio Duilio
quando l'ammiraglio sconfisse i Cartaginesi. E successivamente Marco
Agrippa vinse in aspra battaglia la flotta di Sesto Pompeo. Nel
periodo Arabo si rammenta di un'altra battaglia tra Arabi e Bizantini,
dopodiché gli Arabi si stanziarono a Milazzo definitivamente ed
edificarono il Castello, che comprendeva il Maschio col suo grande
torrione ed otto torri. Nel periodo di dominazione Normanna il
Castello venne modificato da Riccardo Lentini e tenuto in buone
condizioni, come da un documento di Federico II di Svevia. Nel periodo
aragonese, sotto Giacomo e Federico II d'Aragona Milazzo fu la sede
dei due Sovrani a governarla. In questo periodo si racconta di un
Parco meraviglioso, quello di Re Giacomo (speriamo che venga
ricostruito per dar modo ai milazzesi di respirare un po' di aria
buona e godere della frescura degli alberi!). Di palo in frasca nel
1456 il Castello venne fortificato con la Cinta di Mura Spagnola.
Infine nel periodo Garibaldino si ebbe la battaglia di Milazzo tra
Garibaldi ed i Borboni, comandati dal generale Bosco. Da qui i Borboni
persero la Sicilia e Milazzo.
Scusati se ci siamo a lungo soffermati su Milazzo, ma la storia è come
un paesaggio attraversato in macchina o sorvolato in aereo. E'
possibile passare velocemente, correre in poche ore da un capo
all'altro di un continente, indovinare sotto i nostri occhi lo stivale
d'Italia, la punta della Florida. E' possibile anche fermarsi ad ogni
passo, prendere dei sentieri che ci aprono si aprono al nostro destra
e alla nostra sinistra, bighellonare nei campi, sulla spiaggia, nella
città. C'é continuità dal quadrifoglio che attira il nostro sguardo in
mezzo all'erba, dalla tavola della cucina in cui consumiamo i nostri
pasti fino al pianeta e oltre. Possiamo adottare l'andatura che più ci
piace, possiamo insediarci ad ogni piano dell'edificio dello spazio e
del tempo. Possiamo vedere sfilare molto velocemente gli avvenimenti e
gli uomini, i paesaggi, i secoli e gli oceani. Possiamo anche scendere
ai dettagli più minuscoli, alle pieghe più segrete e nelle dissimulate
delle valli e dei cuori. E' tutta una questione di scale. Certe volte
mi sembra addirittura che questa nozione di soglia o di scala sia uno
dei nodi nostalgici della metafisica.
Se siete un poco stanchi del nostro procedere con gli eventi della
storia, volete che andiamo un po' più in fretta, che saltiamo a piè
pari paesi e anni? Concludiamo dicendo che la città di Milazzo, ha
contribuito moltissimo alla realizzazione del sogno Garibaldino, di
quello che fu il " Risorgimento del nostro Bel Paese".
Nei giorni che seguirono il nostro soggiorno in questa bellissima
località della Sicilia, abbiamo visitato alcuni monumenti e località
bellissime e letto, delle lapidi commemorative:
Prima Targa
Commemorativa
"Valga per tutto la riconoscenza
Che i combattenti del luglio 1860
Devono
Al Generoso popolo di Milazzo
Giuseppe Garibaldi 1878
Il contegno della valorosa popolazione
Di Milazzo
Patriottico e civile
Per larga parte nell'esito
Di quella giornata fortunata
Contro un nemico forte
Per numero e per posizione
Menotti Garibaldi 1897"
Seconda targa commemorativa
" Per complimento del nobile Veto
Dell'eroica Milazzo
Il Generale egli stesso
Nelle sue memorie racconta:
L'ora critica in cui a Milazzo
Stettero in bilico le fortune
Critica, terribile ora
Perché Milazzo perduta
Voleva dire tutto a rifarsi
I nomi
Marsala- Calatafini e Palermo
Dati inutilmente
Alla Storia
On. Felice Cavallotti 1890
Comandante del 20 luglio 1860
ALLA SCOPERTA
DELLE ISOLE EOLIE
Dopo la visita ai monumenti della città di Milazzo, il nostro
programma, comprendeva l'escursione alle isole Eolie. L'aliscafo si è
fermato nel porto della bella cittadina di Lipari, per consentirci di
visitarla, come pure i suoi musei. Le isole prendono nome dal dio
Eolo, re dei venti. Secondo la mitologia greca, Eolo riparò su queste
isole e diede loro nome, grazie alla sua fama di domatore dei venti.
Viveva a Lipari, e riusciva a prevedere le condizioni del tempo
osservando la forma delle nubi sbuffate da un vulcano attivo,
probabilmente lo Stromboli. Grazie a questa abilità, determinante per
gli isolani che erano in gran parte pescatori e necessitavano di
conoscere gli eventi meteorologici che sarebbero avvenuti, Eolo si
guadagnò grande popolarità nell'arcipelago, e secondo una teoria, fu
da questi fatti che un semplice principe greco, abile nel prevedere il
tempo dalle nubi, alimentò il mito del dio Eolo in grado invece di
controllarle.
Il nome di isole Lipari viene invece dal re Liparo, successore di
Eolo. Secondo Plinio, venivano queste isole chiamate, dai greci
Efestiadi (Hephaestiades, ???????????) e perciò, dai romani, assieme a
Aeoliae e Lipari, Volcaniae (Plin. III, 92.)
Quando il cielo è terso e c'è pochissima umidità nell'aria, dalla
costa messinese si può vedere una nuvoletta su ciascuna delle isole,
quasi un puntino vezzoso su quelle sette "i" dipinte sul mare da un
bizzarro pittore. Perché è questo che sembrano le Eolie, un esercizio
artistico di un modellatore esperto, che ha saputo divertirsi con il
nero della lava e il bianco della pomice, con il giallo delle ginestre
e il verde dei cespugli, per dare una forma a sette capolavori,
diventati terra di conquista dei popoli mediterranei e fonte di
ispirazione di artisti e sceneggiatori che ne hanno diffuso in tutto
il mondo il fascino e la fama. Le isole Eolie sono un arcipelago di
origine vulcanica a forma di ypsilon proprio di fronte a Milazzo,
perle del Mar Tirreno, patrimonio dell'Unesco per i fenomeni
vulcanici. Ormai meta di turisti innamorati di paesaggi estremi e
romantici, tappe fisse d'agosto per vip del mondo politico e
cinematografico, sono riuscite a mantenere la semplicità e genuinità
di vita di quarant'anni fa, quando la luce elettrica era ancora
garantita solo da un generatore e la sera era illuminata dal chiarore
tremulo delle candele.
Ormai, da alcuni anni, è consuetudine che anche il nostro Presidente
Napolitano e la gentile consorte, trascorrono pochi giorni di vacanza
nell'isola di Stromboli
L'attività' dello Stromboli si e' intensificata nelle ultime 24 ore.
Il vulcano ha dato luogo a esplosioni e ha emesso fumo e lapilli a
altro materiale lavico. Il picco dell'attività' la scorsa notte.
Rimangono sospese le escursioni turistiche al cratere del vulcano.
Sono undici le scosse sismiche, associabili a eventi franosi di
piccola entità, registrate, nelle ultime 24 ore, sullo Stromboli,
nell'area della Sciara del Fuoco, dai tecnici della sezione
dell'Istituto di geofisica e vulcanologia di Napoli (Osservatorio
vesuviano) che continuano a monitorare il vulcano. Alcuni di questi
segnali seguono gli explosion-quakes e sono quindi attribuibili,
secondo gli esperti, al rotolamento lungo la Sciara del Fuoco di
materiale emesso dalle esplosioni stesse. L'ampiezza del tremore e'
compresa tra i valori medio - bassi e medio - alti, con un picco. E'
veramente uno spettacolo osservare la " Sciara di Fuoco", che
precipita nel mare, provocando una colonna di vapore acque. Di fronte
al gigante fumante, che nelle sere limpide d'estate, vedovo dai
giardini della villa di Palmi, sorge Strombolicchio con la sua
spiaggetta nera.
Il nostro viaggio in un mare da scoprire, ha raggiunto oltre alla
Grotta del Cavallo, anche l'isola di Vulcano, che non sappiamo se la
fucina degli dei si trovasse qui, ma è sicuro che da tempo immemore
sull'isola abitassero solo i forzati e gli schiavi, costretti ad
estrarre lo zolfo, Lo scenario doveva essere quello del girone
dantesco, tra le esalazioni sulfuree che toglievano il fiato. Oggi
nelle sue acque e fanghi caldi, i turisti fanno i bagni curativi.
Dopo la vita di Stromboli, aliscafo ha proseguito verso la grotta del
Cavallo, dove ha effettuato una breve sosta per permetterci di
fotografare le bellezze naturalistiche dell'isola.
Nelle prime ore della sera, prima che tramontasse il sole sul quel
mare Omerico. La comitiva è rientrata nel porto di Milazzo, felici di
aver visitato un mondo fantastico, che la Madre natura, ha creato in
milioni di anni.
La Storia ci racconta.
La presenza umana nell'arcipelago risulta sin dalla notte dei tempi.
Le genti preistoriche vennero, infatti, sicuramente attratte dalla
presenza di grandi quantità di ossidiana, sostanza vetrosa di origine
vulcanica grazie alla quale le Eolie furono al centro di fiorenti
rotte commerciali sin dai tempi di Roma antica. I primi insediamenti
si ebbero già alcuni secoli prima del 4000 a.C., nell'età neolitica.
L'ossidiana, che a quei tempi era un materiale ricercatissimo grazie
al fatto di essere il più tagliente di cui l'uomo dell'epoca
disponeva, generò traffici commerciali così intensi da conferire
grande prosperità alle isole. Da Lipari era esportata in gran quantità
verso la Sicilia, l'Italia meridionale, la Liguria, la Provenza e la
Dalmazia. A Lipari nacque così uno degli insediamenti più popolosi del
Mediterraneo, e a partire dal 3000 a.C. la ricchezza di Lipari si
estese alle altre sei isole, che cominciarono ad essere popolate. Tra
il XVI e il XIV secolo a.C. divennero importanti perché poste sulla
rotta commerciale dei metalli, in particolare lo stagno che giungeva
via mare dai lontani empori della Britannia e transitava per lo
stretto di Messina verso oriente. Mentre in Sicilia si afferma la
Cultura di Castelluccio, a Capo Graziano, nell'isola di Filicudi, e
anche a Lipari, si diffonde la cosiddetta Cultura Eoliana
caratterizzata dal commercio più che dall'agricoltura, con le sue
capanne circolari con pareti di pietre a secco, quasi a strapiombo sul
mare e una propria ceramica. Le isole furono colonizzate dai Greci,
intorno al 580 a.C., che chiamarono le isole Eolie poiché ritenevano
che fossero la dimora del dio dei venti, Eolo, un mito questo
destinato ad affermarne la "grecità".
La leggenda vuole che il Dio Eolo, un mattino ventoso, prendesse
alcuni pietre preziose e le sparse nel mare, nacquero così le isole
Eolie.
Nel 260 furono teatro della battaglia di Lipari tra Roma e Cartagine.
In epoca romana divennero centri di commercio dello zolfo, dell'allume
e del sale.
Lo storico biblico Giuseppe Flavio menziona una popolazione forse in
relazione con le Eolie: "Elisa diede il nome agli Eliseani ed essi
sono ora gli Aeoliani". Elisa si riferisce al nipote di Iafet, figlio
di Noè.
Nel 1544, quando la Spagna dichiarò guerra alla Francia, il re
francese Francesco I chiese aiuto al sultano ottomano Solimano il
Magnifico. Questo mandò una flotta comandata da Khayr al-Din
Barbarossa che facesse rotta sulle isole Eolie e le attaccò uccidendo
e deportando i suoi abitanti. Secondo il suo disegno le Eolie
avrebbero dovuto essere l'avamposto dal quale attaccare Napoli.
Nel corso dei secoli l'arcipelago venne ripopolato di nuovo da
comunità spagnole, siciliane e del resto d'Italia. In epoca borbonica
l'isola di Vulcano veniva usata come colonia penale per l'estrazione
coatta di allume e zolfo. Gli abitanti del luogo, nelle notti fredde e
ventose, asseriscono di sentire ancora oggi, dei lamenti provenire dai
visceri del Vulcano, ma altro non sono, che i lamenti che ricordano la
sofferenza dei condannati della colonia penale.
LA COSTA VIOLA
La Costa Viola è tra i più spettacolari paesaggi marini che regali
Reggio Calabria. Così chiamata per il colore meraviglioso delle sue
acque cristalline si snoda da Capo Barbi alla rupe di Scilla, lungo il
litorale tirrenico, toccando diversi comuni, da Palmi a nord fino a
Bagnara Calabra a sud. Le spiagge ed i vari litorali sono a tratti
rocciosi, a tratti ghiaiosi piccole insenature sabbiose. La cittadina
di Palmi, è una località della Calabria sud-occidentale, in provincia
di Reggio Calabria, è situata a 228 m di altitudine, su un terrazzo
affacciato sul mar Tirreno. Questo paese, di origine medievale, ricco
di bellezze naturali e abitato da una popolazione molto cordiale, fu
devastato dai saraceni (musulmani di origine araba e berbera
provenienti dall'Africa settentrionale) e più volte distrutto da
terremoti. Nel 1952 Palmi offrì asilo ad una parte degli abitanti del
vicino paese di Africo, tragicamente colpito da un'alluvione. Dopo di
aver percorso un tratto dell'Autostrada Salerno Reggio Calabria, siamo
usciti al casello di Palmi, ove eravamo attesi da Lucia.
Dopo l'attraversamento del centro cittadino, ci siamo diretti verso la
Stazione delle Ferrovie dello Stato, situata sul litorale. A pochi
passi della scalo ferroviario, sorge l'abitazione dei nostri parenti.
E' una località immersa nel verde degli ulivi. Siamo stati accolti in
modo caloroso da nostra Zia Maria, dal figlio Franco e dai numerosi
nipoti.
A pranzo con gamberoni e pesce spada.
IL BRACIERE
La storia del vecchio braciere ci porta lontano nel tempo.
I nostri parenti di Palmi, nel salutarci e ringraziarci della visita
che gli abbiamo fatto, ci hanno donato un vecchio braciere di rame che
nostra zia Maria, con il quale nelle fredde giornate invernali seduta
attorno al braciere acceso con il carbone di legna, che lei vendeva in
un piccolo commercio. Prima di morire, aveva deciso di lascarci, per
ricordo, il braciere che a sua volta era appartenuto alla nonna
Teresa. Questo braciere verrà sistemato all'interno della nostra
Cappella funeraria, con una luce perpetua. La storia del vecchio
braciere, ci porta lontano nel tempo, Alcuni storici lo attribuiscono
alla Magna Grecia, mentre altri ai Romani, ma la vera derivazione si
perde nella notte ei tempi.
MY OLD CALABRIA
Per descrivere le bellezze della vecchia Calabria, ci vorrebbe la
penna scorrevole di un grande scrittore, ma noi non siamo scrittori e
quindi cerchiamo di attingere dai nostri ricordi recenti e lontani, la
Calabria è fiera: e con ragione, perché dimostrano quale apporto di
alta spiritualità in tutti i campi essa ha dato alla patria comune. Ma
è anche fiera della sua bellezza paesistica, che pochi conoscono.
Siamo in fondo allo stivale, nel più bel paese del mondo. Così
scriveva Luigi Paolo Courier, che vi era giunto con l'esercito
napoleonico del generale Regnier. " E' contrada ricchissima di
meravigliosi spettacoli della natura" scriveva un altro francese, il
Lenormant, nella sua celebre opera " La Magna Grecia" Ed invero quei
pochi che si sono indotti a percorrere la costa tirrena sino a Reggio
e a penetrare nell'interno, ne sono tornati entusiasti come della
scoperta di un mondo nuovo pieno d'incanti.
Che cosa sia questa bellezza, non è facile dire. Certo dipende in gran
parte dallo spiccato contrasto fra monti e marine, dall'alternarsi di
vallate ubertose e cime granitiche arse dal sole, dalla lieta
improvvisa apparizione di un paesaggio pieno di luce all'oscura ombra
di foreste impenetrabili, dagli ampi orizzonti aperti sui mari alle
numerose gole alpestri, sonore di acque correnti.
La nostra è una descrizione sintetica ma calda di Viva simpatia, che
in passato, nella nostra verde età, abbiamo percorso in lungo e in
largo.
La Calabria, lungo ed angusta lingua di terra, protesa con le sue
montagne centrali, tra due mari, quasi a stender la mano alla Sicilia,
appunto per questa sua peculiare conformazione, presenta, come poche
regioni d'Italia, panorami di un'incomparabile bellezza e vastità.
Nell'interno, a brevi passi delle coste e delle colline aspre montane,
dove sorge il piccolo Borgo di Cosoleto, che ci diede i natali e che
sa di sapore della Magna Grecia, si ergono ripidi monti con carattere
alpestre, con dense e cupe selve, clima rigido d'inverno, freschissimo
d'estate, lungo le coste invece, clima e flora completamente
meridionali, Le valli di erosione che si portano dal crinale
appenninico, per lo più brevi ed anguste, offrono al turista panorami
di suggestiva bellezza, soprattutto negli sbocchi a mare visti
dall'alto.
Qui termina il nostro fugace ricordo di lunghe passeggiate.
Concluderlo in una sintesi non è facile. Come tutte le cose veramente
forti e pure, la My Old Calabria, ha bisogno di spiriti profondi per
essere compresa e di anime vergini per essere amata. Terra di
meditazione si apre intera con le sue luci abbaglianti e le sue cupe
ombre ai pellegrini silenziosi e pensosi della bellezza. Il suo
fascino, lontano dai soliti allettamenti preparati in altri luoghi, è
lento ma duraturo: è come quei profumi, che sembra debbano subito
svanire, eppure resistono al tempo e penetrano di sé ogni cosa.
Ricordi della Seconda Guerra Mondiale
Nel 1943, ero ragazzo e non avevo compiuto neppure 16 anni, e i
ricordi di quel tempo lontano in cui si verificò lo sbarco sulle Coste
della Calabria, dagli Alleati, Inglesi e Americani sono ancora chiari
nella mia memoria. In questo nostro racconto, abbiamo per protagonisti
due piloti, di cui uno inglese e l'altro canadese, abbattuti in
conflitto aereo da caccia tedeschi. Di cui uno al Nord e uno al Sud
d'Italia.
Ricordo che sia di notte che di giorno, le truppe corazzate tedesche,
si ritiravano dalla Sicilia e transitavano sulla provinciale che
attraversa il piccolo borgo Aspro montano di Cosoleto che é situato
nella fascia di colline pre-aspromontane che coronano la piana di
Gioia Tauro, sul cui paesaggio si affaccia. La sua economia è
prevalentemente agricola, basata sulla coltura dell'ulivo (varietà
Sinopolese e Ottobratica, i cui boschi secolari di alte piante (spesso
superano i 20 metri) ricoprono le pendici collinari e caratterizzano
il paesaggio del territorio. Il nostro paese, affonda le sue radici in
epoche lontane della Magna Grecia, quando sulle Coste Ioniche,
sbarcarono i primi coloni provenienti, probabilmente dal Peloponneso,
dopo la distruzione di Troia. La Piana di Gioia Tauro (talvolta detta
Piana di Rosarno), localmente meglio nota come Piana di Gioia o
semplicemente la Piana (a Chjàna in dialetto reggino), è un'area
geografica della provincia di Reggio Calabria che confina ad ovest con
il Mar Tirreno (golfo di Gioia Tauro), a nord con il Monte Poro, ad
est con il Dossone della Melia ed a sud con il Monte Sant'Elia di
Palmi. È per estensione, dopo la Piana di Sibari, la seconda delle tre
pianure calabresi. Il fiume più importante è il Mésima.Il territorio è
prevalentemente coltivato ad ulivi ed agrumi e molte delle attività
svolte dalla popolazione sono connesse con l'agricoltura (specie
l'estrazione dell'olio d'oliva, la trasformazione dei prodotti
agrumari ed oleari). In via di sviluppo sono il commercio e
l'artigianato. Spesso di notte, si fermavano sotto le ombrose
piantagioni di ulivi, per non essere visti dai ricognitori inglesi.
Che sorvolavano l'Aspromonte e le vie strategiche del litorale e
montano. Dopo aver conquistato la Sicilia, la decisione se sbarcare
sul continente portò a un nuovo confronto tra inglesi e americani: i
secondi accettarono, nel quadro della conferenza di Quebec nel mese di
agosto 1943, ma solo con la promessa che la priorità restasse
l'"Operazione Overlord". In ogni caso, l'avanzata inesorabile verso
Roma era scritta. Nel pomeriggio di un giorno limpido di primavera, un
ricognitore inglese, che tutti i giorni sorvolava la regione
dell'Aspromonte e attaccava le truppe tedesche in ritirata. Quel
giorno, il piccolo ricognitore è stato attaccato da un caccia tedesco
e abbattuto. Dalla piazza del paese, ricordo che abbiamo assistito al
duello aereo e abbiamo seguito la caduta dell'aereo inglese in fiamme
in un campo di ulivi sulla collina. A due km del paese. Come succede
spesso in questi casi, la popolazione del borgo, per curiosità, ha
raggiunto la vicina località. Il piccolo ricognitore abbattuto, nella
caduta al suolo si era infondato nel terreno. Il pilota è stato
estratto dal rottame seme carbonizzato. Dai documenti personali e di
bordo si è saputo che era di nazionalità Canadese. Il suo cadavere é
stato seppellito nel cimitero del paese e la mitragliatrice di cui era
dotato il ricognitore, è stata consegnata ai carabinieri della locale
stazione, unitamente ai suoi documenti personali. Ricordo che in quel
periodo, tra il territorio del Comune di Delianova e quello di
Cosoleto, fra gli uliveti e i castagneti, si era accampata una
compagnia della Divisione Nembo, autotrasportati su camion Fiat 26,
armati di mitragliatrici pesante e armi automatiche Beretta (Mab) e
alcuni motociclisti.
La Nembo in
Aspromonte
L'ultima battaglia
Di Carlo Baccellieri
Nei giorni che seguirono, sull'altopiano delle Gambarie, proprio dove
fu ferito Giuseppe Garibaldi, nel 1862, un battaglione di truppe
canadesi, si é scontrato con una compagnia di italiane della Divisione
Nembo, che frenarono l'avanzata, verso Salerno.
Lo scrittore Carlo Baccellieri così descrive lo sbarco degli Alleato
sul litorale di Reggio Calabria:
Arrivati a Reggio gli invasori trovarono altri soldati che, deposte le
armi, si misero volontariamente al servizio degli invasori in qualità
di servili facchini per aiutarli a scaricare il materiale bellico dai
mezzi da sbarco!
Resasi impossibile la
resistenza sul posto il III e XI battaglione paracadutisti del 185°
Nembo si ritirarono verso nord mentre l’VIII, attardato tra il 4 ed il
7 di settembre da alcuni scontri intorno agli abitati di S. Lorenzo e
Bagaladi mentre, in marcia di retroguardia, cercava di raggiungere il
comando di Reggimento che era a Platì, giunse nella notte tra il 7 e
l’8 settembre ai piani dello Zilastro (7) e si accampò presso
una faggeta a quota 1050. Gli uomini, esausti per la lunga marcia, la
fame e gli scontri sostenuti, si abbandonarono ad un sonno ristoratore
e non si avvedono di essere capitati in mezzo quasi ai canadesi del
reggimento Nuova Scozia. Ancor prima dell’alba il comandante di
battaglione Gianfranco Conati Barbaro con il capitano Piccoli de
Grande vanno in perlustrazione e s’imbattono in alcuni militari
canadesi in avanguardia che li fanno prigionieri. Piccoli riesce a
fuggire e da l’allarme ed il CAP Diaz, vice comandante di battaglione,
a mezzo di un portaordini comunica al tenente Romano che l’VIII
battaglione, o quel che rimane di esso (circa 100 uomini), è
circondato: “Agisci perciò di conseguenza”. Il tenente sveglia
gli uomini e con la pistola in pugno urla con quanto fiato ha in gola:
Savoia mentre si lancia contro il nemico. I paracadutisti a lui
vicini, una ventina, si svegliano, si alzano ed imbracciano le armi, i
famosi mitra Beretta che non tradiscono mai. Ma la lotta è impari
perché di fronte hanno un nemico molto più numeroso e bene armato.
Poco da presso il capitano Piccoli combatte ferocemente seguito da un
altro gruppo di parà: l’intento è quello di aprirsi un varco per
liberare il comandante di battaglione impegnando i canadesi mentre il
resto del battaglione cercherà di sganciarsi. La lotta prosegue fino
all’esaurimento delle munizioni, segue uno scambio di bombe a mano,
poi si va al corpo al corpo con i calci dei fucili, ma alla fine i
nostri parà vengono sopraffatti. Cinque (ma sull’ esatto numero vi è
incertezza) sono i caduti tra le fila italiane: capitano Ludovico
Piccoli de Grandi (medaglia d’argento); sergente maggiore Luigi
Pappacoda (medaglia di bronzo); parà Vittorio Albanese, medaglia di
bronzo; parà Bruno Parri (medaglia di bronzo); caporale Serafino
Martellucci (medaglia d’argento)- Un’altra medaglia d’argento verrà
conferita al parà Aldo Pellizzari. I Feriti sono circa una dozzina. I
Canadesi registrano la morte di due sergenti ed il ferimento di due
ufficiali. Vengono catturati 57 paracadutisti mentre gli altri
riescono a ritirarsi per raggiungere il resto del reggimento verso
nord.
Il colonnello Borget,
comandante il reggimento canadese, rimane ammirato dal comportamento
dei parà italiani, che contrasta nettamente con quello degli altri
contingenti italiani, esprime il suo apprezzamento e dispone che i
feriti vengano soccorsi ed aiutati.
Un parà, preso da sconforto, getta a terra le sue decorazioni, ma il
colonnello lo invita a riprenderle facendogli comprendere che non ha
nulla di cui rimproverarsi.
Da fonte canadese il Report 144 citato
così relaziona sull’accaduto: “ ... verso le ore 5,30 dell’8
settembre, mentre gli uomini del reggimento West. “New Scozia
stavano riposando nel faggeto dell’altopiano Mastrogiovanni al di là
della strada furono impegnati in una scaramuccia con i paracadutisti
italiani che approssimativamente erano in numero di cento
Cinquantasette di loro vennero fatti prigionieri e sei trovarono la
morte, mentre gli uomini degli Edmontons che stavano lavorando lì
vicino inseguirono i rimanenti che cercarono scampo nelle vicine zone
montagnose. Un maresciallo ed un sergente del West Nuova Scozia
rimasero uccisi e due ufficiali furono feriti. Gli Italiani
combatterono ferocemente e questo fu il più notevole scontro
considerato l’atteggiamento supino adottato dalle altre truppe
italiane incontrate fino ad ora. Essi avevano bivaccato a 100 yards
dai Canadesi e la loro presenza, nel buio, era passata inosservata.”.
Questa fu quindi
l’ultima battaglia combattuta tra il regio Esercito Italiano e le
truppe Alleate l’8 settembre 1943, 5 giorni dopo la firma
dell’armistizio ed alcune ore prima della sua proclamazione. I resti
del 185° reggimento Nembo continueranno a combattere, alcuni con gli
Alleati altri (quasi tutti appartenenti al III battaglione) con i
tedeschi secondo le scelte che ogni paracadutista, solo, di fronte
alla propria coscienza, fece in quel drammatico autunno del ‘43 ma
sempre per l’onore d’Italia. Toccò ai paracadutisti italiani dello
“Squadrone F” l’ultimo lancio dietro le linee tedesche della Campagna
d’Italia.
Qualche tempo dopo la
battaglia dello Zilastro un impresario boschivo, Salvatore Accardo,
chiese al parroco di Platì di benedire quei luoghi prima di procedere
al taglio degli alberi. Nel 1951 il sindaco di Oppido Mamertina, rag.
Giuseppe Muscari ne fece apporre una croce in ricordo nel luogo della
battaglia. Successivamente un altro sindaco di Oppido, avv. Giuseppe
Mittica, fece innalzare un grande crocefisso a ricordo dell’evento che
prese il nome di Crocefisso dello Zilastro. Nel 1988 il
generale Franco Monticone, comandante della Brigata Folgore, che era
impegnato con esercitazioni in Aspromonte venne informato della
battaglia e da quell’anno nella ricorrenza dell’8 settembre gruppi di
paracadutisti e le sezioni A.N.P.d.I. di
Reggio Calabria, Praia a Mare, Cosenza, Messina, Siracusa, Palermo e
Catania costituenti la X zona organizzano ogni anno, in occasione
dell'8 Settembre una marcia che, seguendo l'impervio percorso allora
effettuato dall’Ottavo Battaglione Paracadutisti del 185° Reggimento
della Divisione Nembo, commemora quei fatti
per rendere omaggio ai caduti. Nel 1999 venne eretto un
semplice monumento in pietra che ricorda che:
Qui sullo Zilastro
dopo una guerra disastrosa l'8 settembre 1943, suscitando
l'ammirazione ed il rispetto delle preponderanti forze Anglo-Canadesi,
i 100 paracadutisti dell' VIII BTG. del 185° RGT della div. "NEMBO",
combattendo per l'onore della patria si coprirono di Gloria.
A questo punto ognuno
di noi si chiede se quel fatto d’arme fu un inutile spargimento di
sangue nel quale alcune giovani vite trovarono una morte senza scopo.
Io ritengo che, quel piccolo ma cruento evento che si compiva tra i
faggi dell’Aspromonte, a 1000 metri d’altitudine, in un’alba di 62
anni fa, nonostante la guerra perduta e l’armistizio già firmato ed a
poche ore dalla sua proclamazione, non fosse inutile Quando tutto
crollava, quando a centinaia e migliaia i soldati del nostro paese
tornavano a casa senza più combattere, senza contrastare il nemico che
molti sentivano non essere più tale, quando ognuno pensava soltanto a
se stesso, quando le popolazioni del paese invaso dallo straniero,
sebbene rassereniate dalla fine dell’incubo dei bombardamenti,
salutava con gioia e battimani gli eserciti invasori, quando la patria
sembrava non esserci più e la confusione degli animi era al colmo,
quando gli ordini erano contraddittori e carenti, quando la fame, gli
stenti e le continue offese belliche avevano piegato il fisico, quando
si era affranti per i compagni scomparsi e la sconfitta patita, quando
tutto crollava, un pugno di giovani di 20 anni sulle montagne
dell’Aspromonte aveva ancora la forza, nello spirito più ancora che
nel fisico, in un soprassalto di orgoglio, di imbracciare il mitra
Beretta per rivolgerlo contro il nemico di allora al solo scopo di
difendere la bandiera, il none e l’onore d’ ITALIA. No, non è stato
vano quel sacrificio se a distanza di tanti anni noi lo ricordiamo con
amore e con orgoglio perché la coscienza di un popolo si forma nel
tempo attraverso il ricordo del suo passato negli aspetti più nobili
in cui è possibile cogliere lo spirito e gli ideali che hanno animato
i migliori dai quali occorre prendere esempio”.
In Calabria la manovra diversiva non ha
raggiunto lo scopo, i tedeschi si sono ritirati avendo deciso di
concentrare le forze nella zona di Salerno, gli inglesi sono così
avanzati per 300 km verso nord senza trovare resistenza. Il 16
settembre elementi della V Armata USA e dell'VIII Armata Inglese si
sono così ricongiunti presso Vallo della Lucania. A Taranto dopo lo
sbarco gli inglesi della prima divisione aviotrasportata sono avanzati
nell'interno ed hanno raggiunto l'Adriatico conquistando Brindisi l'11
settembre e Bari il 14 settembre. Il 16 settembre la 4a brigata
paracadutisti occupa l'aeroporto di Gioia del Colle. I tedeschi
arretrano ordinatamente opponendo agli inglesi l'azione delle loro
retroguardie mediante imboscate e blocchi stradali. In uno di questi
scontri a fuoco muore il 9 settembre presso Castellaneta il comandante
della 1ma Divisione aerotrasportata il generale
George Frederick Hopkinson. Verrà sostituito dal comandante della
1a Brigata Paracadutisti generale Ernest Down. Il giorno 21 gli
alleati sono a Trani. Il 24 settembre sono liberata Andria e Barletta.
Il 25 settembre gli inglesi attraversano l'Ofanto. Il 27 settembre i
tedeschi abbandonano Foggia facendo prima saltare in aria alcune
importanti infrastrutture, lo stesso giorno arrivano le forze speciali
inglesi del Popsky Private Army subito seguite da alcune
compagnie della Prima Divisione
aviotrasportata. Il 29 settembre il generale
Bernard L. Montgomery al comando
dell'VIII armata entra a Foggia. Il primo ottobre elementi del
Popski's Private Army completano
la liberazione degli
aeroporti della zona di Foggia
raggiungendo il primo dei due obiettivi che si erano prefissi gli
alleati. Sul fianco occidentale, il 23 settembre comincia
l'offensiva del X Corpo d'Armata Inglese che supera il Passo di Molina
e Cava dei Tirreni conquista Nocera il 28 settembre superando
l'accanita resistenza della Divisione Goering ed entra nella piana di
Sarno. Il primo ottobre gli Alleati entrano a Napoli e trovano la
città liberata dai tedeschi cacciati dalla rivolta dei cittadini
durante le famose 4 giornate di Napoli 27-30 settembre e raggiungono
così il secondo obiettivo della campagna militare.
Nel mese di Novembre, con una squadra di
amici, dalla Stazione di Palmi, alle ore 22, partiamo su di un treno
con alcuni vagoni bestiame, probabilmente una vecchia tradotta
militare, diretti a Napoli. In quel vagone eravamo in trentacinque
persone costretti in uno spazio abitualmente riservato a sette
persone. Parecchi sedevano sui porta bagagli. Tutti gli sportelli
erano aperti, e lungo l’intero treno c’è gente che viaggia seduta
sulle soglie degli sportelli, le gambe penzoloni nel vuoto. La
locomotiva, era una di quelle locomotive che andava a carbone e sbuffa
un fumo acre che ci soffocava, specialmente quando entrava nelle
gallerie. Ognuno di noiportava nello zaino, una tanica contenente 20
litri d’olio di oliva. Appena giunti nella città di Napoli, che era
semi distrutta, vendemmo la nostra mercanzia alla borsa nera. Trovammo
alloggio nella casa di un’anziana signora, per tutto il periodo della
nostra permanenza nella città Partenopea. Dopo qualche giorno,
trovammo anche lavoro al porto nei magazzini degli americani. Il vitto
nella mensa militare era ottimo e il lavoro non era pesante e poi,
anche la retribuzione era accettabile Dopo qualche mese di permanenza
nella città di Napoli, abbiamo buttato i vecchi vestiti e nei
mercatini rionali ne abbiamo comperato dei nuovi, come pure le
calzature e i regali da portare a casa. E’ stata una bella esperienza.
Posso dire che siamo cresciuti, siamo diventati giovani e forti,
capaci di affrontare ogni situazione. La nostra avventura, in una
città caotica, come era Napoli in quel tempo, è stata direi positiva.
Dopo lo sbarco di Salerno, gli alleati
Liberarono la città di Roma e la guerra avanzava verso le città del
Nord e l’Appennino Tosco emiliano. L’obiettivo era quello di occupare
la Va padana, per raggiungerla bisognava attraversare il grande Fiume
del Po. Ogni giorno gli aerei alleati bombardavano i paesi e le città,
dove resistevano ancora i tedeschi. In una delle tante battaglie
aeree, il bombardiere del pilota poeta, fu abbattuto ed è rimasto
sepolto per 66 anni nella palude del ferrarese, come ci riferisce Luca
Angelini
In un suo bellissimo articolo, che
racconta una storia “piovuta dal cielo e finita sottoterra” apparso
sulle pagine della Gazzetta di Mantova, mercoledì 3 Agosto che
riportiamo qui di seguito, a conclusione del nostro racconto di un
altro aereo abbattuto dai tedeschi, sulle pendici dell’Aspromonte
“COPPARO (Ferrara) -
Questa è una storia piovuta dal cielo, ma finita sottoterra. La storia
di un aereo che dormiva sepolto sotto un campo di grano, nelle
campagne di Copparo, pianura ferrarese a qualche tiro di schioppo dal
Po. Una storia di guerra. A essere precisi, di quattro giorni prima
che la guerra finisse. E di quattro ragazzi (tre inglesi e un
australiano) di cui non era rimasto che il nome, sul memoriale che, a
Malta, ricorda i 2.298 aviatori del Commonwealth morti o dispersi nei
cieli del Mediterraneo. Da allora, e fino a ieri mattina, di questa
storia era saltato fuori solo un pezzo. Il motore destro dell'aereo. A
guerra finita, Giordano Melchiori l'aveva portato via con il trattore.
Se questa storia, seppellita sotto cinque metri di terra, è tornata
alla luce del sole, è anche per merito suo. Oggi ha 82 anni, allora
era solo un ragazzetto troppo giovane per la divisa. Ma se la ricorda
ancora, la notte del «Pippo», il bombardiere tirato giù dalla
contraerea tedesca. «Ho guardato in alto e ho visto l'aereo venire
giù. S'è incendiato. Dicevano che, nel campo, ci fossero due corpi
bruciati. Solo più tardi siamo andati a prenderci il motore. Sa, per
via dell'alluminio. Dopo la guerra, lo compravano anche per farci le
macchinette per tirare la sfoglia in casa». Se l'era quasi
dimenticato, Giordano, quell'aereo. Finché un'amica, anche lei di
Copparo, non gli aveva detto «sai, Fabio, mio figlio, c'ha la passione
di andare a ritrovare gli aerei caduti». Fabio Raimondi è il webmaster
del blog «Archeologi dell'aria». Duecento cacciatori di «crash point»,
i punti dove si sono schiantati gli aerei di guerra. Ritrovano i
relitti, consegnano i pezzi ai musei e i resti umani alle ambasciate,
per farli avere ai parenti. «Siamo andati nel campo con un metal
detector - racconta Fabio -. Appena abbiamo trovato dei pezzi di
alluminio accartocciati, abbiamo capito che Giordano non si
sbagliava». La macchina del recupero si è messa in moto. Prima i
permessi per scavare, poi il reclutamento di altri volontari. Quelli
dell'Air Crash Po di Cremona, e quelli del Museo della Seconda guerra
mondiale del fiume Po di Felonica (Mantova), il cui direttore, Simone
Guidorzi, ha chiamato a raccolta anche i toscani di Gotica Toscana
(insieme ad altri due musei vogliono dar vita a un itinerario per
turisti col pallino bellico, il North Apennines Po Valley park). Dal
campo di frumento è saltato fuori un orologio. Con un nome inciso,
Hunt. È bastato quello, al reggiano Michele Becchi, grafico
pubblicitario di professione e scandagliatore d'archivi militari per
passione, per dare un nome ai quattro ragazzi morti sul Douglas A-20
Boston decollato da Forlì alle 20.45 del 21 aprile 1945 per bombardare
un punto di attraversamento a Taglio di Po. John Penboss Hunt,
l'australiano, era il mitragliere; Alexander Thomas Bostock
l'operatore radio; David Millard Perkins il navigatore e David Kennedy
Raikes (21 anni, uno in più dei suoi tre compagni di sventura), il
pilota. E qui è arrivata la sorpresa. Perché quando il sergente Raikes
non volava con un bombardiere, lo faceva con le parole. Era un poeta,
nel suo piccolo, se volete, un Saint-Exupéry d'Oltremanica. Stessa
fine, quantomeno. E ha fatto in tempo a raccontarlo, come si senta un
poeta dentro un uccello di metallo con un carico di morte nella
pancia. The poems of David Raikes è la raccolta dei suoi versi,
pubblicata postuma nel 1954. Forse ci voleva la sua penna, per
raccontare quel che si prova a trovare, come ieri mattina, un anello
di fidanzamento sepolto da 66 anni: sopra, le iniziali del sergente
Perkins. Dentro, una dedica: «Chris, with love». Forse andrebbe
scomodato Foscolo, e il «santo e lacrimato sangue per la patria
versato». Magari, però, bastano le parole di Michele Becchi: «Da un
pezzetto di metallo, ridiamo vita alle persone».
(Sognando California) foto CAI
Le Sequoie
SOGNANDO LA CALIFORNIA
Escursionismo
Oggi, sfogliando le
pagine della Rivista del CAI – Luglio-Agosto 2011, mi sono soffermato
sul bellissimo articolo sulla California e le sue altissime sequoie,
che bucano il cielo. Leggendo l’articolo, sono ritornato con la
memoria indietro nel tempo, quando oltre dieci anni fa, con gli amici
del CAI di Mantova, siamo partiti per effettuare un lungo Trekking
nella vecchia America, con i suoi deserti, il Gran Canyon e gli
indiani, in sella ai loro destrieri e con la piuma fra i capelli. Dopo
l’escursione nella grande città di Las Vegas, che sorge nel deserto
del Colorado, famosa al mondo per altre virtù, nel corso degli anni ha
sempre più affrancato la sua posizione nel panorama culturale
americano. La più nuova iniziativa in città è lo Springs Preserve.
Aperto nel 2007, sorge in un’area considerata il luogo di nascita di
Las Vegas e racchiude musei, gallerie d’arte, spazio per concerti
all’aperto. Vi sono inoltre percorsi che spiegano la storia e
l’evoluzione di Las Vegas e progetti per renderla sempre più
eco-compatibile, cosa fondamentale per una città che sorge appunto nel
deserto. Dopo il soggiorno in questa città del divertimento, il nostro
pesante e veloce pullman si è fermato ai bordi della Valle della Morte
La Valle della Morte
(Death Valley National Park) è un Parco nazionale degli Stati Uniti
siti nello Stato della California e in piccola parte nel Nevada. ,
dove il regista Antonione ha girato il suo capolavoro, un film che ha
fatto la sua storia. La Valle della
Morte è un luogo speciale e pieno di contraddizioni. Assolutamente da
non mancare se si è in viaggio in California. Dalla Death Valley,
abbiamo raggiunto nella serata la cittadina di Sacramento, dove
abbiamo pernottato e al mattino, dopo la prima colazione, la squadra
degli escursionisti mantovani, è partita per raggiungere San
Francisco.
L’accogliente città
del Nord della California, melting-pot di cultura e di gente. E una
località dai ritmi unici, la città sulla Baia e’ probabilmente la
città più bella del Paese. La sua particolare forma a “pugno”,
circondata dalle acque dell’oceano, racchiude incantevoli quartieri.
Il colore rosso del Golden Gate Bridge da un tocco singolare alla zona
nord della città, a ponente si estendono bellissime e invitanti
spiagge (aperte anche ai naturisti) e a levante si può ammirare la
magnifica vista delle colline della Baia. Famosissime sono le
caratteristiche funicolari di San Francisco, ma altrettanta attenzione
meritano gli antichi tram recuperati e restaurati che servono con
efficienza i pendolari lungo Market Street sino a downtown San
Francisco
A nord, attraversando
la graziosa Chinatown, s’incontra North Beach, un quartiere vivo dai
tratti italiani che ospita molteplici caffè, bar e negozi colmi di
prodotti tipici italiani. Da non trascurare è la notissima Lombard
Street con le sue incredibili multiple curve.
Salendo per via
Lombard Strit ai piedi della collina a sud della città, abbiamo notato
che ai balconi delle villette bianche, sventolavano bandiere coi
colori dell’arcobaleno sventolano su Castro, abbiamo chiesto alla
nostra guida italiana, e precisamente di Napoli e generalizzata
americana, ci ha detto che quello è il quartiere gay tra i più
popolari dell’intero Paese, dove si trova anche il rinomato cinema
Castro, in stile coloniale spagnolo con la facciata barocca, di fronte
alla quale spesso suonatori d’organetto eseguono musiche d’altri tempi
Non e’ difficile godersi un buon pasto a San Francisco, ma
assolutamente da non perdere e’ il “mission burrito” da gustare nella
sua località d’origine “Mission”, il quartiere Latino Americano/trendy
dove le taquerias a gestione familiare servono squisiti pasti
Uno splendido panorama
della città si può ammirare dal turistico Twin Peaks o da Bernard
Heights (preferito dai residenti) dove la tentazione di trasferirsi in
questa seducente località si impossessa di ogni visitatore. Al vertice
di questo punto d’osservazione, da dove, come detto sopra, si ammira
un paesaggio mozzafiato, dove è affollato dai “vocumprà” messicani che
vendono magliette e souvenir di San Francisco.
Quel giorno, lassù,
abbiamo trovato una fitta nebbia, che in poco tempo ha oscurato il
paesaggio, come pure la Città di San Francisco, ci è apparsa sotto una
coltre di nebbia, bassa e molto umida, tanto che ci sembrava di essere
ancora a Mantova, patria della nebbia autunnale.
A San Francisco, la
nebbia la troviamo anche in estate ed è un fatto molto normale, è una
nebbia che viene direttamente dal mare è porta l’acqua, l’alimento
prezioso per la sopravvivenza dei boschi delle alte sequoie, che
bucano il cielo.
A pochi kilometri
della grande città californiana subito dopo il rosso Golden Gate
Bridge che attraversa le fredde acque dell’oceano Pacifico si
raggiunge la bellissima cittadina di Sausolito, un centro marinaro
dove i pescatori sono connazionali, arrivati in diverse epoche
dall’Italia. Lì, abbiamo conosciuto alcuni di questi bravissimi
pescatori, originari di Posillipo, Amalfi, Capri, di Tropea, Palmi
dalla Sicilia e della vecchia e bellissima Genova. Nei Bar della
cittadina, dove sorge il porticciolo, abbiamo conversato con alcuni di
loro. Ed erano felici di parlare con noi. Dopo la sosta in questa
cittadina di mare, il nostro pullman, si è diretto verso le sequoie
Le Sequoie Se siete a
San
Francisco,
e volete farvi un’idea della natura in California senza dover guidare
fino allo
Yosemite Park
o alla zona del
Big
Sur, potete andare,
come abbiamo fatto noi, al vicino parco di
Muir Woods
(a soli 20 chilometri a nord
del
Golden Gate)
o da Sausolito dovete potrete
mettere alla prova la vostra abilità di fotografi nel riprendere una
delle tante sequoie (qui si trova la varietà “piccola” chiamata
redwoods)
che lì sono protette In autunno e non solo, in quella località del
Parco delle Sequoie, troverete la nebbia che sale dalla costa di San
Francisco, ed è l’elemento principale della loro vegetazione. Il
Parco, è un luogo fresco e bellissimo, dove abbiamo trovato piante
antiche come il mondo e nuove virgulti. Le piante che cadono, per via
dei temporali o per gli incendi, rimangono sul terreno fino alla loro
decomposizione. Abbiamo fotografato un tronco grandissimo, che
scavato, sotto passano anche l’autovettura, tanto per rendere l’idea
quanto sono queste grandi meravigliose piante.
La baia di San Francisco, è solcata da 4
ponti principali (da sud a nord, il Dunbarton Bridge, il San Mateo
Bridge, l'Oakland
Bay Bridge e il San Rafael Bridge) oltre al
Golden Gate Bridge
che svetta sull'ingresso verso l'Oceano Pacifico. Sono presenti
diverse isole: Angel Island è la più grande, parco naturale visitabile
a piedi o in bicicletta (si raggiunge via traghetto). Incluse nella
contea di San Francisco e quindi facente parte la città ci sono le
isole di
Alcatraz,
Treasure Island,
Yerba Buena Island
e le isole Farallons a 43 km dalla costa (disabitate). Se si escludono
le isole, l'intera contea di San Francisco, che corrisponde (unico
caso in California) alla municipalità di San Francisco è pressappoco
un quadrato di 11 km di lato. La penisola su cui si trova San
Francisco è collinosa e addirittura montagnosa in alcuni tratti; la
tormentata conformazione orografica è per lo più dovuta al passaggio
della faglia di San Andreas a solo una ventina di chilometri a sud
della città tagliando diagonalmente la penisola e infossandosi
nell'oceano. Nel territorio della città si contano 43 colline; sono
quasi tutte abitate e i quartieri che ne nascono prendono spesso il
loro nome. Di seguito la lista delle colline e la loro altezza sul
livello del mare:
L’ultima sera che siamo stati a San
Francisco, siamo stati a cena in un lussuoso ristorante di
Chinatown, una cena che ci è stata offerta dalla società dei pullman,
che ci hanno trasportato in tutti i luoghi che abbiamo visitato negli
Stati Uniti ancora conserviamo i famosi bastoncini cinesi. Abbiamo
lasciato la bellissima città di San Francisco, e la comitiva ha
raggiunto Il Sequoia National Park, fondato nel 1890 da Muir,
ampliatosi con l’annessione nel 1940 del Kings Canyon e nel 1978 della
valle del Mineral King, ha uno sviluppo da ovest ad est di
trentaquattro miglia; la su geografia, come leggiamo nell’articolo del
Cai, garantisce quindi una biodiversità davvero impressionante. E’
sufficiente paragonare il paesaggio della Joachin Valley, con le sue
coltivazioni di frutta, a quello delle creste rocciose della Sierra
Nevada. Il Sequoia comprende: a nord la foresta delle sequoie; ad
ovest la San Juanchin valley; a sud il Middie Fork Kaweah River; ad
est le vette del Great Western Divide che giungono fino ai 4418 m del
Monte Wintrey-.
IL GRAN CANYON
Questa
enorme fenditura nel deserto dell'Arizona, negli Stati Uniti é
certamente la più grande al mondo. In alcuni luoghi il Gran Canyon
raggiunge una profondità di 1600 metri e nel punto di massima ampiezza
misura 29 chilometri. Il fiume Colorado, il cui corso va dalle
Montagne Rocciose al golfo di California, percorre questa fenditura
per tutta la sua lunghezza.
Il Gran
Canyon rappresenta uno dei più spettacolari fenomeni naturali e
riveste un'importanza particolare per i geologi che studiano la storia
del pianeta. Nel 1919 fu istituito il Parco Nazionale e nel 1979 il
Gran Canyon fu dichiarato patrimonio mondiale. Le pareti del Gran
Canyon ci permettono di ripercorrere la storia di milioni di anni. Le
rocce alla base del Canyon hanno 2000 milioni di anni; a quel tempo
costituivano il fondo di un antico oceano. Nel corso di centinaia di
milioni di anni si depositarono in successione strati di arenaria,
scisto e roccia calcarea di differenti colorazioni. Circa 60 milioni
di anni fa, poco dopo l'era dei dinosauri, lungo il letto roccioso,
scorrevano due fiumi che esercitando la loro azione erosiva sulle
rocce, scavarono le acque impetuose dei due fiumi con la loro
aumentata potenza, proseguirono in modo ancora più incisivo la loro
opera e la fenditura si fece via via più profonda. Il Canyon é
talmente profondo da comprendere diverse fasce climatiche. In
altitudine la neve é presente per tutto l'inverno; la zona più fredda
é detta North Rim e qui le precipitazioni nevose raggiungono in media
i 3 metri di altezza. Sul fondo del Canyon invece il fiume attraversa
un torrido paesaggio desertico. Il Canyon ha un aspetto brullo, ma in
realtà le differenze di clima consentono la crescita di numerose
specie arboree e la sopravvivenza di svariati tipi di animali. Si
possono contare altre 1000 diverse piante da fiori e almeno 300 specie
di uccelli. Presso la sommità della gola si incontrano abeti e pioppi;
sul fondo, dove le temperature sono molto più alte, le piante più
comuni sono le cactacee. Lungo le pareti del Canyon, dove il clima é
più fresco, vivono volpi grigie; lucertole, moffette e scorpioni
preferiscono invece la macchia desertica sul fondo.
Prima di percorrere un lungo tratto
dello spettacolare Grand Canyion, nel Centro Visitatori, abbiamo
assistito ad un lungo documentario, girato da bordo di un aereo. E’
stata una proiezione molto bella e spettacolare. Alcuni di noi
escursionisti mantovani, ha voluto visitare il grande serpentone
geologico da bordo di un elicottero e vi assicuro che è stata una
cosa unica e spettacolare, che ne è valsa la pena
La Pietra di Bis Mantova
BIS MANTOVA
-Escursionismo-
Quando abbiamo chiuso dietro di
noi il cancelletto del giardino, le stelle in cielo brillavano ancora, mentre la
luna stava per tramontare, lasciando un alone rossastro, che precedeva il
sorgere del sole. Nel Piazzale Mondadori di Mantova, due grossi pullman erano in
attesa. Egli escursionisti del CAI di Mantova, che aveva organizzato
l’escursione Da dietro l’angolo della stazione dei Pullman, nel parcheggio,
un’auto per volta e un gruppetto di escursionisti mantovani, ancora semi
addormentati alla chetichella, come si è solito dire, arrivavano nel luogo di
partenza. I primi raggi del sole ci hanno accolti sull’autostrada Piacenza
Bologna. Da quella località, gli Appennini sono un’indistinta Catena di cime
azzurrognole, ma una di loro spiccava sulle altre in modo netto ma in una forma
mosto strana, come se fosse un tronco di castagno tagliato alla base, una cima
lobulare simile alle. bellissime montagne che abbiamo ammirato tanti anni fa,
quando sempre con il Cai di Mantova, siamo stati. Negli Stati Uniti d’America
Percorrendo il grande “ Far West”, abbiamo incontrato le “ Mesetas”, parete
perpendicolare, fittamente frastagliate di arenaria rossa. In una di quelle
località, il regista John Ford, ha girato il film “ Il lungo sentiero (titolo
originale, Cheyenne Autumn, con John Wayne, un film del 1964.
Il massiccio della Pietra di Bis Mantova, è
composto di arenaria risalente a oltre venti milioni di anni fa, la Pietra è un
luogo unico e affascinante, soprattutto per gli sportivi appassionati di
arrampicata libera e mista. Sormontata da un ampio pianoro ed è alta 1.047
metri, è posizionata lungo la dorsale del medio Appennino reggiano all'interno
della provincia di Reggio Emilia: non per nulla è considerata la più
interessante e completa palestra di roccia dell'intera Emilia Romagna, che gli
escursionisti “Caini”mantovani conoscono molto bene, per averla scalato più
volte.
E’ un imponente
Pietra. che la si ammiri dallo
scosceso versante sudest o dal più dolce e rigoglioso lato ovest, la Pietra di
Bis Mantova appare subito come un magico insieme di fessure, pianori e
strapiombi che fanno la felicità di qualunque innamorato dell'arrampicata
libera. Senza dimenticare le enormi frane di massi che scendono da questo
massiccio dell'Appennino reggiano fino a lambire gli abitati dei borghi di
Fontana Cornia e Casale, dando vita a due tra le più suggestive zone scalabili
dell'enorme palestra di roccia formata dalla Pietra di Bis Mantova: sono i
cosiddetti 'Orto del Mandorlo' e 'Sassaia’.
Abbiamo lasciato l’Autostrada è
abbiamo raggiunto le bellissime colline reggiane, con i suoi verdi boschi di
castagne e con i suoi lindi villaggi barbicati sulla cima. Seguendo la strada
Provinciale che attraversa verdi sentieri con i suoi queruli ruscelli, che mi
sembravano molto familiari, infatti, le colline ed i boschi di castagneti
dell’entroterra di Cosoleto, del paese nativo, che dell’alto domina la grande
piana di antichi uliveti dove scorre la fiumara di Petrace, delimitata
dell’Appennino Calabrese e quella striscia di mare del Tirreno, dove sorge il
grande porto di Gioia Tauro, che spesso da bambino mi domandavo che cosa fosse.
Il sole era alto nel cielo
quando i due grossi torpedoni si sono fermati nel parcheggio accanto alla
chiesetta attaccata alla rupe della montagna della Pietra di Bis Mantova,
piantata nel mezzo dei rilievi reggiani, la dove le colline cominciano a
diventare vere e proprie montagne.
Questo strano masso roccioso,
nei secoli ha stupito molti persone. Scrittori e poeti, come il grande Dante
Alighieri, che paragonandolo a una vetta del Purgatorio, affermò a chiare
lettere che arrivare fin lassù è possibile a condizione di avere almeno un paio
di ali, come le aquile o i bianchi gabbiani.
In quella bellissima giornata
d’autunno, con i caldi colori dei boschi, il nostro obbiettivo è stato di
raggiungere la cima della grande e misteriosa montagna. In effetti, nel vederla
dal basso, la si direbbe, un’impresa da provetti alpinisti, ma non è stato così.
Dal piazzale panoramico, dove attaccato alla Pietra, sorge l’Eremo Benedettino
Il dislivello è minimo, si parte da quota 872 metri
del parcheggio sottostante il Santuario, e si sale in 15-20 minuti a 1080 circa.
Dalla sommità dopo aver attraversato un vasto prato verde siamo arrivati alle
sporgenze rocciose dalle quali si apriva uno splendido panorama: ci sono
diversi sentieri e vie per l’arrampicata, come pure la via ferrata. Adriana ed
io, con una squadra di amici abbiamo scelto quel comodo sentiero, dapprima
pianeggiante poi a spirale circonda la montagna fino alla vetta In poco tempo,
senza fare molta fatica abbiamo raggiunta la sommità. Di lassù si ammira un
paesaggio grandioso ed è vertiginoso sporgersi dalla rupe. In fondo, fra i
boschi e la collina, c’è Il borgo di Castelnuovo nei Monti.
In un depliant, abbiamo letto
che, seguendo quel comodo sentiero con i segnavia bianco-rossi detto “Sentiero
Spallanzani”, dedicato all’illustre naturalista reggiano. Non si può mancare la
direzione giusta, basta puntare verso la Pietra che, vista dal fondo valle
sembra un vascello incagliato in un dolce mare di onde verdi, campagne ben
tenute con un fastoso corredo di siepi e boschetti. In meno di mezz’ora abbiamo
raggiunto la vetta. Il primitivo impianto medievale ha subito varie
trasformazioni e oggi appare un po’ artefatto. Di singolare interesse la
raccolta di ex-voto della Canonica avente come soggetti fatti miracolosi
avvenuti sulla Pietra. Sulla cartina distribuita ad ognuno di noi da Carletto
Borghi, che oltre a guida del Cai era anche il nostro cine-reporter. Ogni gita
che abbiamo effettuato con il Cai, è documentata e nelle lunghe sere d’inverno,
le rivediamo ed è subito festa. Per i bravi arrampicatori dei vari sentieri
attrezzati si consigliava l’Anello della Pietra che in un paio d’ore consente di
apprezzare la montagna sotto diversi punti di vista e anche di toccarne la
vetta. Transitando dinanzi al Rifugio della Pietra, un largo sentiero cinge
dapprima la base della scarpata poi pian piano ne guadagna il fianco, dalla
parte che volge verso Castelnovo ne’ Monti. Una breve rampa, in una fessura
della parete, conduce infine alla sommità dove si stendono ampie radure e
macchie di noccioli, aceri, roverelle. Pannelli didattici illustrano le
singolarità della zona. Montana con le sue bellezze naturalistiche.
“Contornando l’orlo del ripiano si intercetta
l’accesso storico alla rupe, lungo il quale si discenderà. La sagomatura,
qualche pietra selciata e le larghe curve ne attestano l’origine medievale
quando sulla rupe erano posti un caposaldo difensivo, fondato dai Bizantini, e
il nucleo di una pieve con ampie dipendenze territoriali. Rispettando il
segnavia 697 il percorso aggira dal basso la punta nord-orientale della Pietra
in una zona brulla, disseminata di pietrame, frutto dello sgretolamento della
parete arenacea, piuttosto instabile - si parla di movimenti in tempi geologici
- perché sovrapposta a un potente letto di argille.
Dopo aver avvicinato il sito della necropoli di Campo Pianelli (reperti, non ‘in
situ’, della tarda età del Bronzo), il sentiero procede lungo il contorno
orientale in un variato contesto di sfasciumi rocciosi e di dolci praterie.
Giunti alla strada d’accesso all’Eremo, si riprende la via sterrata per
Ginepreto, percorsa all’andata.
Una volta raggiunta la parte terminale della Pietra,
in quel grande pianoro, si ammira, come abbiamo riferito sopra, un paesaggio
grandioso, un paesaggio mozzafiato. Dopo un meritato riposo al vertice della
Pietra eravamo pronti per la discesa. Alcuni dei nostri amici, hanno preferito
scendere dalla via ferrata, dove vi era sistemata nella parete della Pietra, una
lunga scala a pioli, naturalmente in ferro. Avevo espresso il desiderio di
scendere anch’io, ma Adriana non ha voluto. Infatti, quando ero piccolo era
terrificante salire anche su di una scala a pioli, ora, ma quel giorno non avevo
affatto paura, ma come ha fatto Giuseppe Garibaldi quando a Teano, ha incontrato
Il Re, lo stesso ho fatto io con Adriana: “Obbedisco”! Così, siamo ridiscesi sul
comodo sentiero, che avvolge la montagna di Bis Mantova, raggiungendo il
piazzale panoramico. Dal resto il costone della Pietra è davvero qualcosa di cui
ci si può fidare e ti domandi come mai è finita così presto la discesa. La
pietra è un enorme masso erratico di arenaria, rimasto lì nei millenni
appoggiato su di un fondo marnoso e argilloso della meravigliosa collina.
Sicuramente, ti viene la tentazione di fantasticare su di un passato molto
remota, dove cavalieri e guerriglieri si rifugiavano nei meandri della montagna
e le donne e i bambini sognavano un mondo fatto di fate e di mostri. Anche il
grande poeta Dante Alighieri, ha fantasticato dicendo: “ Noi salivam per
entro il sasso rotto/ e d’ogni lato ne stringea l’eremo/ e piedi e man voleva il
sol di sotto/ Poi che noi fummo in su l’orlo supremo/ dell’alta ripa, alla
scoperta piaggia, “.
Noi che siamo abituati a percorrere i sentieri anche
estremi, abbiamo constatato che quello della Pietra era un semplice sentiero con
il quale se ne raggiunge facilmente la sommità
che si presta bene per i picnic domenicali, ma si tratta anche di una montagna
temibile. Gli alpinisti lo sanno. La singolarità di questa montagna è la
solidità della sua roccia, le arenarie che compongono le vette maggiori, più
alte, del crinale appenninico non sono così solide, geologicamente sono
costituite a strati, come dei dolci "millefoglie" si sfaldano. Navigando
su Internet, ci siamo documentati sulla Pietra e abbiamo letto alcuni
articoli da persone che hanno fatto il nostro stesso percorso in anni
precedenti, uno di questi articoli così recita:
“Il
Gigante è
fatto così, di roccia che si sfalda. è forte perché è grande,la Pietra
invece è forte perché solida .Se ricordo
quel momento sento ancora il vuoto urlarmi dentro, risucchiarmi fuori, e giù.
Ma potrei sbagliarmi, vado a memoria e non sono
un geologo. Il "Diamante". Figlio
piccolo, coi sui fratellini, della pietra. Uno di quei sassolini che i Bambini
Giganti si toglievano dalle scarpe, o che ne rimanevano sotto le suole.
Il Diamante rappresenta una palestra
d'arrampicata ideale per i climbers, esso vede attrezzati sui due lati maggiori
diversi "monotiri", vie di arrampicata brevi assicurabili tramite un solo tiro
di corda, anche dall'alto raggiungendo per via comoda la sommità del masso e
passando la corda nell'anello fisso posto lì sopra. Alcuni sono semplici, adatti
per chi inizia, altri invece sono davvero difficili, per esperti che vogliano
lavorare sulla tecnica senza le problematiche ambientali date dalle vie più
lunghe percorrenti le pareti maggiori della Pietra.
La vista dalla cima, sempre bella, con un cielo
screziato di temporali ormai smontanti. A
12 mm con il 12-24 il campo è largo, tanto cielo e le vette del crinale
schiacciate, sulla linea d'orizzonte si vede la piccola piramide del Cimone,
sulla zona sinistra-centrale, e il Gigante sulla destra. E'
una montagna per tutti, per gitanti domenicali e per gli alpinisti. La
difficoltà più grossa che questo ambiente per me è ora resistere al profumo di
gnocco fritto che sale dal rifugio e dal ristorante sottostanti, infatti, ora
che sto per chiudere questo post, e sono le tredici e trenta, lo sento ancora, e
la fame monta. Quindi, vado a pranzo, salutando giganti e bambini giganti e gli
insetti che si divertono sulle loro spalle “.
Al termine
dell’escursione sulla meraviglioso Pietra, anche noi mantovani, abbiamo fatto la
stessa cosa dell’autore del brano, che è stato attratto dal profumo dello gnocco
fritto. Noi eravamo attesi per il pranzo in un noto ristorante nella vallata,
all’ombra dei castagneti. Quello era un luogo molto bello, accogliente e
familiare. Era pronta una montagna di tagliatelle ai funghi, coniglio arrosto e
costolette ai ferri, il tutto innaffiato da un vinello dei colli emiliani che
faceva scaldare le orecchie. Al termine del luculliano pranzo, era pronta
un’enorme torta. Il nostro non è stato un semplice pranzetto, ma un pranzo delle
grandi occasioni e quel locale si è prestato alla bisogna. Noi mantovani del
CAI, siamo abituati a queste feste, perché siamo gente allegra ed amiamo la
vita. Al temine dell’improvvisata festa, dopo il caffè e il grappino, non
poteva concludersi che con un caloroso saluto dal presidente Sandro Zanellini,
alzando il il calice per il brindisi finale.
I due pesanti pullman,
erano pronti per fare ritorno a Mantova, ripercorrendo a ritroso la strada
Provinciale, che collega l’autostrada per Mantova.
Questo è il racconto
di una meravigliosa giornata, trascorsa con gli uomini del CAI di Mantova,
scoprendo un luogo fantastico, che persino il grande poeta ha percorso quel
sentiero incavato nella roccia di Bis Mantova.
Verdon: La grotta dei colombi
Il drago verde
E'd'obbligo il paragone con il Grand Canyon, ma non gli rende del tutto
giustizia. Perché se non può rivaleggiare con il capolavoro geologico del
Colorado per le misure e varietà di stratificazione, il canyon più spettacolare
e profondo delle Alpi vanta molti altri primati. Il colore del fiume che lo ha
creato innanzitutto, un mix unico di giada, smeraldo e acquamarina che i cugini
francesi hanno tradotto in un nome semplice ma eloquente: Verdon.
La prima volta che siamo stati in questa bellissima località della profumata
Provenza, con il CAI di Mantova, ormai sono passati molti anni. Negli anni
successivi, ci è stata riproposta questa lunga e bellissima escursione e ci
siamo ritornati molto volentieri, perché conoscevamo e sapevamo che cos'era il
Verdon. Una escursione così lunga, di nove ore circa, non l'avevamo mai
effettuata sulle nostre vallate e montagne del Trentino- Alto Adige. Ricordo che
abbiamo cenato in un buono ristorante francese dove non mancava per primo, il
famoso " potasche", che noi traduciamo: passato di verdura. Con pernottamento
nel vicino Rifugio del CAI Francese: Un grosso edificio, costituito da una sola
camera, con centro una grossa stufa a legna. Per dormire non c'erano le
brandine, come succede nei nostri rifugi, ma un grande tavolato, a due piani
come quelli che abbiamo visto più volte nei film dei L'Agar tedeschi, dove
venivano alloggiati i prigionieri ebrei e anche quelli italiani.
Questo tavolato disponeva di una coperta procapite. Naturalmente, non dormiva
nessuno, perché era impossibile dormire. C'erano alcuni amici che russavano,
mentre altri che dovevano spesso recarsi al bagno e allora si rideva e si faceva
così passare la lunga notte. Anche queste sono avventure da ricordare, perché
fanno parte della vita escursionistica.
Dopo di quest'inciso, che abbiamo definito coloristico, ritorniamo a parlare del
" Verdon". E poi in quella sorprendente miscela di contraddizioni e di stimoli
che, a due passi dalla Costa Azzurra e dal profumo di mare portato dal mistral,
vento e anima della Provenza, ricrea un ambiente dolomitico orientato verso il
basso. Sul fondo delle gole del Verdon, muraglie rovesciate di calcare alte 700
metri culminano in vette surreali e metafisiche attraversate da nuvole di spuma
vaporizzata e da squarci verdi- azzurri.
Al Grand canyon delle Alpi si arriva in meno di due ore dalle spiagge dorate di
Nizza, Cannes, St. Tropez, inoltrandosi in quell'entroterra ( ma il termine
francese di errier-pays ne rende meglio il senso di reame nascosto)spopolato,
roccioso, battuto dal vento ma pervaso anche da mille profumi e di incanti,
aspro e pure capace di improvvise dolcezze, che si chiama Provenza. La strada
risale un tavolato di calcare appena affiorante tra cespugli di macchia, vecchi
ulivi e piccoli appezzamenti di bosco, e poco dopo giungiamo a Castellane,
seguendo le indicazioni stradali per la Corniche e la Palud, eccoci al belvedere
della rivelazione. La porta d'ingresso al Verdon non poteva che chiamarsi Point
Sublime e mantiene le promesse. Il pesante pullman, si ferma sulla piazzola
laterale e gli escursionisti scendiamo Da quella posizione si vede il fiume
scomparire in una gola selvaggia, tuffandosi con un rombo di tuono nel primo dei
21 chilometri delle gole. Ai lati del cuoloir Samson, le pareti sono tagliate in
verticale per centinaia di metri ( 800 nel punto più profondo) e si avvicinano
fra loro fino a 6 metri nella buia fenditura dello Stige. " Sembra che proprio
qui", come apprendiamo dalla nostra brava guida del CAI, Sandro Zanellini, che
proprio qui scrisse il geografo Reclu, " Rolando abbia tagliato la montagna con
la sua mitica spada". Il pesante pullman riprende la marcia, lungo la Corniche,
ma per ritrovare la vista del fiume bisogna fermarsi, affacciarsi sul ciglio
delle rocce, vincendo il senso di vuoto e la vertigine.
Leggiamo sulle carte geografiche, che il Verdon nasconde la propria identità
sotto di quella di un anonimo fiume prealpino. La sua lunghezza è di 170 km,
dalle sorgenti del Col d'Allos alla confluenza con il Durance. Ma sono quei 20
chilometri nei quali ha scavato il canyon più profondo d'Europa che lo rendono
unico.
Nel grande piazzale de la Malin, dove sorge il Rifugio del CAI francese.
Il torpedone si accosta sulla destra e si ferma. Il nostro lungo viaggio è
giunto al capolinea. Dal Piazzale de la Malin, si poteva godere una visione
panoramica di grande bellezza paesaggistica, il grande serpentone del Drago
Vede, scorreva laggiù infondo ad oltre due chilometri.
Nel canyon del Drago Verde sfumano i confini tra la realtà e l'immaginazione.
Come sa bene chi percorre a piedi o in canoa le acque ormai placate delle Basse
Gole, quando scopre il dedalo di grotte che fu la tana imprendibile del brigante
Gaspard de Bosse, un feroce fuorilegge nella Francia di Napoleone. Il suo
tesoro, assicurano, è ancora nascosto lassù: un'ultima emozione, se mai ce ne
fosse bisogno, offerta dal Verdon e chi si è lasciato conquistare delle sue
mille meraviglie, come è successo a noi del CAI di Mantova. Il nostro viaggio
fra i visceri del Drago Verde, ha avuto la durata di 9 ore circa, terminando
nelle Grotte dei Colombi.
Adriana ed io, come pure i nostri amici escursionisti, eravamo stanchi, ma
felici di aver partecipato a quella lunga e meravigliosa escursione nelle
visceri del Drago Vede.
Las Vegas
Lontani ricordi della città di Las Vegas.
Siamo arrivati in questa mega città di notte nel buio
totale del deserto, si intravedeva da lontano,
soltanto una forte luce bianca, come se in cono di
risplendesse la luna piena. Un depliant di viaggio ci
spiegava che da quando è stato costruito il Luxor
Hotel, dove eravamo attesi per il nostro soggiorno.
L'hotel a forma di Piramide dalla cui punta parte un
fascio di luce dritto in cielo. Las Vegas è visibile
nelle limpide sere estive anche a più di 200 kilometri
di distanza ( si dice che la sua luce permette di
leggere un giornale a dieci miglia di lontananza) noi
non abbiamo letto il giornale, ma abbiamo ammirato un
angolo del deserto illuminato a giorno. Negli ultimi
due anni, Las Vegas si è trasformata in un gigantesco
parco di divertimento, Abbandonata l'immagine di una
città in preda al vizio e al peccato, teatro di risse
e sbronze, oggi La Vegas si presenta come
l'avanguardia tecnologica di un campo, quello del
family entertainment (industria dell'intrattenimento
famigliare), che si é rivelato l'affare degli anni
Novanta per i grandi businessman americani ( Dove ha
pubblicato sul numero di settembre 1994 un ampio
servizio sulla manifestazione di Las Vegas).
Il nostro tour in America, si è svolto nell'estate del
1992 è L'hotel Luxor da tutti i due i tour operetor,
se l'esterno è estremamente spettacolare con la
gigantesca sfinge che accoglie i visitatori e la
struttura completamente in vetro nero, l'interno ha
dell'incredibile. L'immenso atrio, studiato in
collaborazione con il mago degli effetti speciali di
Hollywood Dougla Trumbull, accoglie cammelli parlanti,
contiene le acque di un finto Nilo navigabile in
compagnia di guide in divisa coloniale su battelli di
simil papiro, un finto museo archeologico con la tomba
di Tutankhamon ricostruita da serissimi studiosi
dell'antico Egitto e i più avanzati giochi elettronici
studiati dal colosso dell'elettronica Sega: cioè
quanto di più kitch e affascinante che Las Vegas possa
offrire. Note meno entusiasmanti giungono invece dalle
camere ( ce ne sono ben 2526), disposte lungo i
quattro lati della piramide e quindi obblighue: gli
arredi non vanno più in là di un buon Hotel, a non
sono neanche tanto pacchiani come in realtà si
desidererebbe avere in una città come Las Vegas. Dalla
finestra della nostra camera nr 2010, si ammirava
l'aeroporto e si vedevano gli aerei decollare.
Sensazioni meno faraoniche ma camere un po' più
lussuose le riserva l'Hotel Mirage, che sorge a fianco
del glorioso Caesar's Palace. Edificato quasi in
contemporanea al Luxor, il Mirage lo si riconosce dal
gigantesco vulcano artificiale che dopo il tramonto
erutta fuoco e fiamme ogni 15 minuti. La hall,
sovrastata da una sorta di vera foresta tropicale
coperta da una gigantesca cupola di vetro, stordisce
l'ignaro cliente. Le stanze sono state ridecorate
recentemente e hanno bagni di marmo, moquette
quadretti color crema e letti con il solito copriletto
sintetico. L'atmosfera è comunque più accogliente
rispetto al Luxor, anche se ambienti con una certa
classe bisogna andare a cercarli a centinaia di
chilometri di distanza.
Quello che ci ha sorpreso moltissimo è stata la doccia
fresca, che veniva vaporizzata dai lampioni. La sera,
fuori degli alberghi, i turisti aspettavamo i
tassisti, che ogni 5 minuti arrivavano e ignari di
quella innovazione, siamo rimasti molto sorpresi,
quando appena giunti sotto il lampione, al margine
della strada e sentiti arrivare dall'alto l'ebbrezza
fresca, vaporizzata. A volte ci intrattenevamo sotto
quei lampioni, per il solo motivo della frescura
ristoratrice. Il clima nella città di Las Vegas, è
caldissimo e anche afoso, ecco perché era piacevole
effettuare della sovente soste sotto i piacevoli
lampioni.
Flash dì memoria
Death
Valley.
Il mattino, prima che sorgesse il sole, il nostro
grande pullman, condotto da "Concettina", figlia di
italo americano ma nata in California, dopo di aver
sistemato con cura i bagagli è partito alla volta
della Valle della Morte (Death Valley), la grande
valle di sale, piena di luce, circondata da colline
colorate come coni di gelati, e adorata dagli
appassionati di cinema per Zabriskie Point, la zona
dove Michelangelo Antonioni girò l'omonimo film nel
1969, detta Death Valley. In questa felice località,
Adriana ed io, ci siamo fatto fotografare seduti su di
una roccia appuntita, che era solito sostare
Antonioni. Da dove si ammirava un bellissimo panorama.
In pullman, a Sud del Parco, la strada segue la sponda
del lago salato. La strada scende sotto il lavello del
mare appena dopo Ashord Mill e non risale a Fornace
Creek. Al punto più basso ( a Badwater - il bacino del
male acque) la strada è a 86 metri sotto il livello
del mare. A nord di Badwater, una breve strada in
terra battuta al Divil's Golf Course ( il campo del
Golf del diavolo), che percorre un terreno selvaggio
colorato ricoperto di blocchi dentellati di sale. Poco
oltre è Artists Drive ( il Camino degli artisti che
ricopre una zona rocciosa. Iniziando dal Centro
Visitatori Furnace Creek, una strada di 38 km
attraversa la regione pittoresca del Furnace Creek
Wash, per terminare al Dante, s View ( veduta di
Dante) Da questa località si gode una vista panoramica
del punto più basso all'Emisfero Occidentale. Fra gli
altri punti d'interesse lungo tale strada, vi è
Zebriskie Point, dalla quale si gode una magnifica
vista. Una strada anulare assai interessane percorrere
il Twenty Mule Tea Cabyon dei Venti Mili.)
In una delle nostre soste, abbiamo parlato con il
ranger, Wayne Wesph il quale ci ha raccontato che in
una caverna, in fondo ad una pozza d'acqua color verde
cupo, vicino al masso di roccia che si eleva dalla
polla d'acqua possiamo scorgere, lungo non più di tre
centimetri, un pupfish, intento a cibarsi di alghe e
piccoli insetti La grotta non era lontana, si trovava
nei paraggi, e quindi siamo andati a vedere questo
piccolo pesce preistorico. Guardando questi resti
minuscoli di un'epoca lontanissima ho provato insieme
soddisfazione e apprensione: Qui, nel mezzo di
quest'inferno riarso che è la Death Valley, in un
a<ambiente totalmente ostile ala vita, una specie
animale non più grande di una piuma è riuscita a
resistere per migliaia di anni, finché la sua
sopravvivenza non è stata minacciata dagli
insediamenti umani. Che l'uomo possa essere più
pericoloso della Valle della Morte, fa davvero
pensare.
Il Calore.
Il clima durante l'estate è molto severo ed alcune
situazioni d'emergenza possono portare al pericolo di
morte. Occorre portare con se una provvista d'acqua di
scorta nelle vetture. Bisogna bere almeno quattro
litri a giorno. Prima di iniziare l'escursione,
bisogna richiedere il libretto " hot Werther Hints" al
centro Visitatori. Vicino al centro, vi è una targa
che cos' recita:
" La Death Valley appartiene a Lei ed alle generazioni
future. Ne faccia saggio uso, cosicché tutti possono
godere della sua bellezza, come ha fatto lei.
ALLA
SCOPERTA DI LAMPEDUSA
Era un
pomeriggio chiaro e luminoso, quando ci siamo
imbarcati sulla nave traghetto, che dal porto di
Agrigento, in poco tempo, abbiamo raggiunto l’Isola di
Lampedusa. Appena sbarcati, ci siamo fermati per
ammirare il sole che stava tramontando sul mare. Per
noi che giungevamo dalla pianura Padana, l’immagine
dell’isola era come un angolo del paradiso terrestre.
Il tramonto sul mare è stata una visione da sogno,
dove lo sguardo poteva spaziare all’infinito e i clori
si fondevano creando una visione fantastica, tra il
reale e l’irreale,
Qui a
Lampedusa c’è una comunità di pescatori che compone in
silenzio una sua cultura, fa la sua storia e propone
un progresso, una nuova educazione. Conosce le sue
pietre ed i suoi scogli che cadono a picco nel mare,
le sue spiagge e spiaggette, i suoi piccoli
promontori, le terre rosse, biancastre, nere che
ricordano l’antico vulcano, ogni costa e anfratto, i
pianori seminati di sassi bianchi perché bruciati dal
sole, le piccole colline, ogni collina con il suo nome
in un susseguirsi di calde immagini, nella maniera che
su una tela mobile si fanno vedere gli aspetti delle
persone più care ai nostri gusti. Si distende, si
diffonde, si comprende nella sua terra la gente di
Lampedusa, Ogni pietra sui sentieri e nei piccoli
triangoli di terra coltivata è stata sistemata al suo
posto, come ogni pietra di una collana sul petto di
una bella dona dell’isola. solo perché si confà in un
certo ordine predisposto, non reca danno, diventa più
utile, più accasata, umanizzata. Come dappertutto
cercano i bambini le viole, qui gli uomini adulti
sentono il piacere dell’ordine, la funzione delle
pietre, persino esse, le piccole a mille, varie nelle
forme e nei colori, come disposte per essere accanto
ad altre più grosse, anche giganti, alcune messi lì
come chiocce che guardano i pulcini ed il mare, quel
mare azzurro come il suo cielo. Alcune rocce sono
scolpite dallo sciupio che fa il tempo come su una
faccia contorta dalle rughe dai segni della vecchiaia
o lasciati dalla salsedine, che corrode anche l’anima
degli uomini di Lampedusa. Comincia il gioco dei
ragazzi con i sassi nella prova dei disegni dalla
misura delle distanze, nella ricerca delle figure
nelle prove dei lanci a campanile, nel senso della
lunghezza:
IL
Parco Naturale della Montagna Grande:
Con i suoi 836 metri,
è per decine di chilometri, il punto più alto del
Mediterraneo Centrale. Questa caratteristica l'ha resa
strategicamente. importante: dalla sua cima si poteva
controllare tutto il movimento che avveniva nel tratto
di mare che collega l’Africa all’Europa. E' per questo
motivo che Pantelleria fu probabilmente abitata fin
dal mesolitico. Gli Arabi ne riconoscevano la
possibilità per meglio innalzarsi verso Allah, così
essa viene considerata Montagna Sacra e chiamata
Sciaghibir: grandiosa, eccezionale, meravigliosa.
Ricoperta da boschi e foreste di lecci e di pini, con
specie botaniche singolari ed uniche, la Montagna
Grande è il cuore della Riserva Naturale Orientata
dell’Isola di Pantelleria. Inoltre questo parco
naturale è l'unico in Europa dove nidificano due
graziosi e coloratissimi uccelli: la Cinciarella
Algerina e il Beccamoschino. Notevole il panorama sul
Canale di Sicilia e al tramonto spettacolare la vista
della costa africana.
Contrade
Contadine:
agglomerati di dammusi con annesso giardino d'agrumi
protetto da particolari costruzioni circolari in
pietra chiamati Jardini, le undici contrade
disseminate su tutto il territorio, conservano ancora
il nome originale arabo come Khamma, Rekhale, Gadir,
Bukkuram, Bugeber.
Il Salto della
Vecchia:
Un panorama
indimenticabile, uno strapiombo alto 300 metri sulla
cui parete nidificano numerose varietà d'uccelli
marini fra cui il bianco gabbiano con i piedi rossi,
che fa la spola in continuazione tra la falesia e il
mare, per imboccare i suoi piccioni che hanno voglia
di spiccare il volo verso quel meraviglioso mare.
Nicà,
sono le sorgenti termali che sgorgano fra gli scogli
della riva mischiandosi subito con l'acqua del mare.
Hanno una modesta radioattività, come quelle di Gadir,
Sateria e Scauri, quindi con indubbie virtù
terapeutiche. Nelle vicinanze si trovano piccoli
depositi di zolfo, incrostazione di silice idrata e di
allume. La temperatura dell'acqua si aggira tra 85°C e
100°C.
La
Piana di Ghirlanda:
considerata il giardino dell'isola, è una pianura
fertilissima riparata dai venti e circondata da
vulcani, in un boschetto di lecci una necropoli
bizantina scavata nella roccia. L'architettura rurale
dei muretti a secco che disegnano, a gradoni, i
declivi dei vulcani.
La Macchia Mediterranea del Khagiar:
un'antica colata lavica lunga 3 km, ricoperta
da una rigogliosa vegetazione di mirto, corbezzolo,
lentisco ed erica, che cresce fitta e bassa, forgiata
dal vento; sono presenti numerose colonie di conigli
selvatici e diversi esemplari della rara tartaruga
greca.
IL Lago Specchio di Venere:
È un
bacino lacustre situato nella parte Nord dell’Isola ed
occupa il fondo di una depressione di origine
calderica. Il livello delle sue acque è mediamente di
2 metri sul livello del mare ed è alimentato sia dalle
sorgenti termali che dalle piogge, infatti, nei
periodi di scarsa piovosità la sua superficie si
riduce lasciando a secco la fascia marginale poco
profonda e ricca di fango nero-verdastro, dovuto a
depositi di alghe termofile, dal caratteristico odore
di zolfo che viene utilizzato, per uso terapeutico,
sulla pelle. Il lago ha una profondità massima di 12
metri. Le sorgenti che alimentano il Lago sono quasi
tutte concentrate sulla sponda Sud ed hanno una
temperatura variabile tra i 40°C e i 50°C.
Il nostro soggiorno in questa meravigliosa isola è durato una
settimana. In questo periodo, oltre a fare il bagno
in qualche cala dalla sabbia finissima, ci siamo
crogiolati al sole. In un certo senso, queste piccole
spiagge, hanno una rassomiglianza con quelle della
Sardegna, come Cala Gunone, Cala Luna e l’Insenatura
dell’Olivastra, che sarebbe la spiaggia di Santa Maria
Navarrese e la punta di Golorizé, ti fa sentire
all’unisono con quel maestoso paesaggio roccioso, che
si corrisponde alle numerose viste panoramiche di
Lampedusa. Una volta che sei lì, non puoi fare a meno
di effettuare in barca un giro dell’intera isola. Il
fatto è che sei solo e nessuno ti viene a rompere le
scatole. Quelli sono luoghi per giovani coppie di
innamorati, che vogliono rimanere da sole.
UN GIRO
DELL’ISOLA IN BARCA
Dopo qualche giorno di permanenza nell’isola, ti
senti la necessità di effettuare un giro in barca, per
renderti conto delle bellezze naturali, come le
grotte marine, qualche volta maestose come cattedrali,
dove all'interno l'acqua riflette colori che vanno dal
blu intenso al verde smeraldo. come per esempio, di
quelli della Grotta Azzurra di Capri. Durante il giro
dell’isola vi si incontrano numerose e meravigliose
luoghi molto interessanti, come: Karuscia, Campobello,
Kattibuali, la riparata cala Cinque Denti, il Laghetto
delle Ondine, le sorgenti termali della Cala Gadir e
poi, cala Tramontana, il Faraglione e cala Levante. Un
cenno a parte per l'incredibile Arco dell’Elefante,
che è il monumento naturale dell'isola. Si continua
con cala Rotonda, la Ballata dei Turchi, dove è
ubicata l'antichissima cava di ossidiana,Ne Medioevo,
con questo minerale si costruivano lance e coltelli
che servivano sia per la caccia che come utensili
domestici. Nicà, dove le sorgenti termali arrivano
quasi a 100 gradi e ancora, Scauri, l'antico approdo
romano e la grotta termale di Sateria. Suvaki, Punta
Fram, dove le colate laviche hanno plasmato
fantastiche sculture naturali, molto belle da vedere e
fotografare e nelle sere d’inverno rivedere con gli
amici vicino al focolare. Mursia e cala del Bue
Marino, sono due località molto caratteristiche,
scavate nella roccia.
Proseguendo la navigazione si incontra La Ballata dei
Turchi: si tratta di un grande e levigato lastrone
di roccia lavica che degrada sul mare, circondato da
imponenti scogliere a strapiombo, alte fino a 300
metri. Le recenti ricognizioni archeologiche hanno
dimostrato che la zona fosse frequentata dall'uomo già
7000 anni fa per l'estrazione dell’ossidiana. Inoltre,
per chi navigava per il mediterraneo, era (e rimane
tuttora) un ottimo punto riparato dalle improvvise
tempeste. Il toponimo, secondo Angelo D'Aietti, deriva
da un atto d'arme verificatosi verso la seconda metà
del 1700, quando tre galee piratesche tentarono, in
una calma notte primaverile, di attraccare per
occupare l'isola e per "far de' schiavi". L'attacco fu
sventato dalla popolazione e i pirati catturati
"restarono in schiavitù". Alla Ballata dei Turchi, la
tradizione vuole che sia sbarcata, dopo un naufragio,
l'icona della Madonna della Margana.
Dietro l'Isola.
Nella
parte sud dell’isola una pineta (pini d'Aleppo, pini
marittimi e querce) che sfida la roccia a strapiombo
fino al mare; un’esplosione di profumi aromatici. E'
la continuazione del bosco della Montagna Grande.
Gadir:
Queste
sorgenti termali sono conosciute ed apprezzate fin
dall'antichità. Infatti, la località dove sorgono,
Gadir, è un nome di origine semitica che significa
"luogo protetto". Furono proprio i Fenicio-Punici che
per primi cominciarono ad apprezzare le qualità
terapeutiche di queste acque. Recenti studi inoltre
hanno stabilito che il probabile stabilimento termale
sia stato coperto da un crollo di origine vulcanica.
Le piccole vasche esistenti scavate nella roccia, si
dice che siano i resti dell'antico impianto. Le
sorgenti seguono un percorso che dall'alto scende
verso il mare e le acque vengono catturate in queste
piccole vasche. Le acque delle sorgenti,
particolarmente dolci ma ricche di sali minerali,
servono per curare soprattutto artrosi e reumatismi in
genere ed hanno una temperatura non costante che va
dai 39°C fino a raggiungere i 50°C. Sulle pareti delle
vasche nasce una particolare qualità di alga che viene usata
con molta efficacia per curare sinusiti, raffreddori e
piccoli problemi alle vie respiratorie.
La
grotta di Sateria:
È
conosciuta fin dall'antichità per la qualità delle sue
acque termali. Recenti studi la fanno identificare con
l’omerica grotta di Calipso, nell'isola di Ogigia. Al
suo interno sgorgano sorgenti d'acqua calda ad una
temperatura di circa 40°C che confluiscono in tre
vasche. Il nome Sateria deriva dal greco "Soterìa" e
significa grotta della salute.
Margana:
In località Margana sorge l'omonimo santuario, dov' è
custodita l'immagine della Madonna della Margana,
protettrice dell'isola di Pantelleria e dei suoi
abitanti. Il dipinto risale all'857 e pare che sia
arrivato a Pantelleria per mezzo dei monaci del
cenobio del Patirion, con il quale i basiliani di
Pantelleria erano in contatto, per nasconderlo dalle
numerose scorrerie piratesche che all'epoca
infestavano le coste calabresi, come Palmi e Bagnara..
Da
una ricerca sulle isole di Lampedusa, fatta in
Internet, abbiamo appreso che l‘isole di Lampedusa è
la più grande delle isole Pelagie
(le altre 2 sono
Linosa e Lampione), dista 205 Km. dalla Sicilia e
115Km. dall'Africa. Il suo territorio è pianeggiante
con una superficie che si estende su circa 20 Kmq e
con massima altezza 133 m. presso Albero Sole. Essendo
geologicamente terra africana presenta un paesaggio
arido e selvaggio; appartenendo alla piattaforma
continentale africana è costituita da terreno calcareo
per cui le spiagge sono costituite da sabbia bianca e
assieme all'acqua cristallina fanno si che possiate
trascorrere a
Lampedusa vacanze
estive indimenticabili.
Lampedusa
con il suo aspetto arido e selvaggio ricorda a molti i
paesaggi messicani e addirittura a qualcuno sembra di
"essere sulla Luna". Nella zona di muro vecchio c’è un
fondale roccioso con cernie, grotte sommerse e tane di
saraghi e ombrine, mentre allo Scoglio Vela c’è un
fondale di posidonia e sabbia bianca. Per avere una
visione più completa dell’isola, se siete motorizzati,
potete percorrere sia la strada panoramica che
costeggia.
La parte Nord, alta a e
piena di affascinanti insenature, sia qualche strada
dell’entroterra in cui si possono incontrare pastori
con greggi di pecore o capre al pascolo, dalla quale
si producono eccellenti ricotte e formaggi.
Incontrerete terreni coltivati da pochi contadini di
Lampedusa e recintati da tipici muri in pietra
lavorati a secco e vecchi ammusi, come quelli della
zona detta Batola o la famosa caca Teresa. Girando per
le campagne si possono trovare piante di capperi,
rosmarino, asparagi selvatici, gelsi neri, fichi e
fichi d’india. Il Corpo Forestale Di Lampedusa ha
sotto la sua protezione alcune zone dell’isola, le
zone: Alaimo, Grecale, Cala Francese, Albero Sole,
Sangue dolce e Capo Ponente. Dal 1968 opera per la
conservazione, la cura e il rimboschimento con piante
di pino d’aleppo, acacie, carrube, ginepro fenicio,
lentisco, olivastro, corbezzolo, acacie spinose,
tameriggio e ginepro coccolone.
Inoltre in queste terre si
possono trovare piante spontanee di macchia
mediterranea, carciofi spinosi selvatici, timo,
finocchi selvatici e capperi. Tutte le aree vengono
recintate, da squadre di abili operai del corpo
forestale, con muri di pietra locale lavorata a secco,
come si usava anticamente. I terreni di Lampedusa
sono di varia costituzione. Ha secondo delle zone
possono essere costituiti da terra rossa, sabbiosa o
argillosa. L’argilla essendo molto friabile viene
facilmente erosa dal vento formando piccoli cumuli a
mo di piccoli forni.
GLI SBARCHI CONTINUANO
TUTTE LE NOTTE.
Da alcuni anni ormai,
l’isola di Lampedusa è sotto dominio, é invasa dagli
sbarchi dai nord africani, In questi ultimi tempi
migliaia di Tunisini, Africani, Eritrei, Somali e
grazie alla guerra civile in Tripolitania, non c’è
notte che non sbarcano centinaia di immigrati che
scappano dal’inferno della guerra, che ha distrutto
città e paesi, causando danni ingentissimi e migliaia
di morti da parte delle truppe speciali del
Colonnello GHEDDAFI, che faceva sparare a zero sopra
la folla che chiedeva uguaglianza, pane e lavoro. In
seguito a tutto ciò, l’Onu, è intervenuto bombardando
gli impianti petroliferi e le piazzarti del Colonnello
dittatore.
Duemila immigrati
nelle ultime 24 ore
Venendo nuovamente a
parlare del’isola di Lampedusa. Risulta che nelle
ultime 24 ore sono sbarcati 1.933 immigrati: è il
numero più alto di arrivi da quando sono ripresi gli
sbarchi. Impressionante anche il dato degli ultimi tre
giorni: da venerdì sull'isola sono arrivati 3.721
clandestini. Intanto un nuovo barcone con circa 300
persone a bordo è stato individuato al largo di
Lampedusa: verso il natante, che starebbe imbarcando
acqua, si stanno dirigendo le motovedette della
Capitaneria di porto.
Unhcr: si cercano due
barconi partiti dalla Libia
Sono almeno due i barconi partiti dalla Libia dai
quali in queste ore è stato lanciato l'sos attraverso
telefoni satellitari e dei quali finora non è stata
trovata traccia. Lo conferma Laura Boldrini, portavoce
dell'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati.
A bordo ci sarebbero persone di nazionalità somala,
eritrea e libica, comprese molte donne e molti
bambini.
Nuovo sbarco a
Lampedusa.
Nuovo sbarco di immigrati
nordafricani sull'isola di Lampedusa. Un'imbarcazione
con a bordo una quarantina di extracomunitari è
approdata al porto, dopo essere stata soccorso dai
mezzi della Guardia costiera e della Guardia di
finanza. Allarme per gommone partito dalla Libia.Non
si hanno più notizie di un gommone con 68 migranti a
bordo, tra i quali numerose donne e bambini, che
domenica sera aveva lanciato l'SOS perché si trovava
in difficoltà nella sua traversata dalla Libia. La
richiesta di aiuto, attraverso un telefono
satellitare, era stata raccolta da Don Mosè Zerai, il
presidente dell'agenzia Habeshia che si occupa di
rifugiati e richiedenti asilo. Nell'ultimo contatto
con l'imbarcazione, gli immigrati avevano raccontato
di trovarsi a circa 60 miglia dalle coste libiche, con
poco carburante e senza viveri.
Il Presidente Giorgio
Napolitano: "No reazioni sbrigative"Di fronte alle
nuove ondate di immigrati, In Italia "ci sono ogni
tanto delle posizioni, delle reazioni un po'
sbrigative a livello di opinione pubblica" alle quali
non bisogna indulgere. Piuttosto bisogna ricordare il
nostro passato di paese numero uno in Europa per
numero di emigranti e "governare" la nuova situazione
che si è creata, anche se "non è semplice". ha detto
il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
rispondendo a una domanda a margine della
inaugurazione dello spazio espositivo "Industria
Gallery" a New York.
La giornalista
Fiorenza Sarzanini così scrive nel suo reportage:
“Il piano alternativo
se non si fermano gli sbarchi. Individuati 13 siti per
gli immigrati:
ROMA - Le aree per
l'allestimento dei centri provvisori dove trasferire i
migranti sono state individuate in tutta Italia. Sono
tredici «siti» messi a disposizione dal ministero
della Difesa e gestiti direttamente dal Viminale. Ma
soltanto domani, al termine del Consiglio dei
ministri, si saprà se davvero ospiteranno i tunisini
portati via da Lampedusa. Perché il piano alternativo
del governo prevede il respingimento di massa e dunque
- se fino a domani non ci sarà un blocco degli sbarchi
- la nave San Marco e quelle della flotta Grimaldi
potrebbero fare direttamente rotta su Tunisi.
Sono numerosi i dettagli che si stanno mettendo a
punto in queste ore, anche per superare le numerose
difficoltà giuridiche soprattutto per quanto riguarda
il diritto internazionale. E per evitare - questo è il
rischio più temuto - che gli stranieri si rifiutino di
lasciare l'isola. Il piano studiato con il prefetto
Giuseppe Caruso, commissario straordinario per
l'emergenza immigrazione, prevede che gli stranieri
approdati sull'isola siciliana senza permesso vengano
portati altrove. Tra le città individuate oltre a
Taranto, ci sono Caltanissetta, Pisa e Potenza. Ma la
linea che il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha
già illustrato al presidente del Consiglio e agli
altri esponenti di governo prevede un'azione di forza
se le autorità di Tunisi decidessero di non dare
seguito all'impegno preso venerdì scorso di
intensificare i controlli sulle proprie coste per
fermare le partenze.
«Procederemo con i rimpatri forzosi», ha affermato due
giorni fa il titolare del Viminale. E poi ha
predisposto questo piano alternativo partendo dal
presupposto che imigranti si trovano ancora in una
zona di frontiera dove sono sottoposti alle procedure
di identificazione e dunque possono essere «respinti».
Un avvertimento alla Tunisia, ma anche una sfida nei
confronti dell'Unione Europea che non ha fornito
alcuna risposta agli appelli dell'Italia.
Un'iniziativa che - come avvenne per i respingimenti
concordati con la Libia - rischia di provocare nuove e
durissime polemiche a livello internazionale. Anche
perché si tratterebbe di una decisione presa senza
l'assenso del Paese d'origine.
Il primo ostacolo da
affrontare riguarda la guida delle navi, perché si
tratta di mezzi civili e dunque è difficile che si
possa obbligarli non soltanto a entrare in acque
internazionali, ma soprattutto a sconfinare in quelle
tunisine. E poi bisogna stabilire a chi spetti il
compito di effettuare le scorte.
Non meno complicato da risolvere è il problema
dell'ordine pubblico che vedrà impegnati la polizia, i
carabinieri e la Guardia di Finanza già chiamati a
tenere sotto controllo la situazione di Lampedusa.
Il potenziamento dei contingenti è già stato
predisposto in vista dello «sfollamento» e riguarderà
anche i servizi di vigilanza nei Cie temporanei
perché, a differenza dei profughi, gli extracomunitari
irregolari non sono liberi di muoversi ma possono
essere trattenuti fino a diciotto mesi. Una situazione
pesante che già provoca la reazione allarmata dei
sindacati di polizia.
È Nicola Tanzi, segretario del Sap, fa mettere in
guardia sulla «necessità urgente di concordare una
efficace strategia e mettere in campo una linea di
comando chiara. E poi bisogna incrementare il numero
di personale in servizio, oltre ai mezzi, perché con
le forze a disposizione non siamo in grado di
controllare nel miglior modo possibile gli immigrati e
di impedire fughe, tenendo anche conto che la maggior
parte di loro è costituita da uomini e giovani,
pochissime donne».
Preoccupazione forte
per le conseguenze che questa emergenza può avere
viene espressa anche da Claudio Giardullo, segretario
del Silp Cgil che parla di «piano alternativo
irrealizzabile perché la condizione necessaria a
rimpatriare un clandestino è l'accertamento della sua
identità e dunque del Paese d'origine. Il rimpatrio
forzoso rappresenta una torsione delle norme e degli
indirizzi internazionali che rischia di far degenerare
la situazione creando più problemi che soluzioni e che
espone in maniera forte anche le forze dell'ordine
chiamate a gestire la crisi».
Si, è vero, il nostro
Paese non può gestire da solo questo grande caos che
si è venuto a creare nell’isole di Lampedusa. L’Europa
si vuole “lavare le mani” come fece Pilato nella
condanna a morte di Gesù.Non è facile gestire migliaia
e migliaia d’immigrati, che ogni notte sbarcano
sull’isola senza la collaborazione dell’Europa e
degli altri stati che ne fanno parte.
L’uomo
della strada come me, si chiede: Che cosa servono le
alleanze fra gli stati? Servono per collaborare nei
casi di emergenza e di grande bisogno di uno di essi.
Con questi continui sbarchi, l’isola di Lampedusa, con
l’avvicinarsi della stagione turistica, viene a subire
u da non indifferente, sia per i pescatori quanto per
gli albergatori.
LAMPEDUSA:
ISOLA DI SOGNI E DI CHIMERE
Sei bellissima,
E
silenziosa,
Sei uno scoglio brullo
E roccioso
In mezzo al mare.
Sei diventata
Caotica di giovani
Con il cuore in mano
Che chiedono ospitalità
Al popolo Italiano.
Che arrivano ogni notte
Da non molto lontano,
Sono libici,
Tunisini
E tripolitani
Che fuggono dalla
guerra
Che sognano una vita
migliore
In un paese di pace
Parlano della nostra
vita,
Come eravamo e come
siamo.
Nascono con noi,
E ci raccontano di noi;
Seguono eventi bellici
Di un paese distrutto
Camminano,
Dandoci la mano,
Fin da bambini.
Al fratello italiano
Tu sorridi,
E ti rivedi ragazzo
E gioisci,
Avanzato negli anni
E intenerisci…
Sono le sole cose
Che rimangono,
Laggiù nelle dune
Del deserto,
Le fotografie e i
vecchi ricordi,
Quando la grande
cantante
Lale Anderson
Cantava l’Inno a
Tripoli:
“Tripoli, bel sol
d’amor”
Allora eri una città
Bellissima
Oggi sei un mucchio di
macerie
Con centinaia di morti
E migliaia d’immigrati
Aggrappati
An un vecchio
peschereccio
In cerca di una nuova
Patria.
Il giallo di Bugarach
Nel sud-ovest della Francia, vicino al Mediterraneo,
c'è Bugarach Peak, proprio nel paese cataro. Questa
montagna sacra dei Pirenei, vicino a Carcassonne e
Perpignan, la catalisi è attualmente il fervore
spirituale degli europei.
Alcuni considerano Bugarach come l'equivalente europeo
del Monte Shasta (California). Diverse montagne sacre
in tutto il mondo, hanno un potente vortice ed hanno
sempre svolto un ruolo spirituale. Oggi, essi
partecipano alla discesa spirituale della nuova
coscienza dell'Era dell'Acquario Per l'Europa,
Bugarach è al centro di una ruota di medicina enorme.
Oltre ad essere un paradiso spirituale, la regione è
di una bellezza mozzafiato e purezza. Vaste zone con
un'abbondanza di alberi da frutto, luoghi termali, ne
fanno un luogo ideale per rilassarsi nella natura.
Peak Bugarach ispirò grandi scrittori come Jules
Verne, per i suoi libri profetici e Victor Hugo, che
ne conosceva il valore energetico. Anche Nostradamus,
che viveva nella regione, predisse che sarebbe
diventato un importante snodo della storia. Più
recentemente, il mistico Omram Mikhael Aivanhov, aveva
una residenza lì e lo visitò spesso. Spielberg,
regista statunitense, dopo un soggiorno in Bugarach,
ha scritto la sua sceneggiatura "Incontro del terzo
tipo".http://bugarach.ifrance.com
Alcune leggende vogliono che l'interno della montagna
fosse abitato da giganti e che Verne stesso fosse un
membro del priorato di Sion, un'antica società segreta
legata ai templari.
Volendo approfondire il discorso su queste cose ho
trovato una testimonianza sconcertante segnalata sul
sito del centro ufologico di Taranto: buongiorno, sono
Osvaldo, seguo il vostro sito e sono appassionato di
archeologia e "misteri" collegati, sono molto amico
con Giorgio Baietti, scrittore e studioso della storia
e della zona intorno a Rennes le Chateau, nel sud
della Francia. Ci siamo chiesti molte volte e di
recente ancora qualche giorno fa in viaggio in quella
zona, cosa ci sia di strano e particolare sul monte
Bugarach in Francia. Questa montagna considerata sacra
già dai Catari, prima che venissero sterminati dalla
Chiesa, e' sempre stata oggetto di studio da molti
ricercatori, addirittura Hitler con i suoi Nazisti
fece studi e scavi su questa montagna. Anche la NASA
alcuni anni fa condusse studi e rilevazioni, nonché
scavi e pare questa zona sia controllata dai militari
e servizi segreti. In un video reperibile su you tube
c'e' addirittura un filmato di un ricercatore della
zona di nome Jac de Rignies che e' stato mandato in
onda su una trasmissione francese che si occupava di
studi su quella zona, e afferma che oltre ad aver
registrato su nastro ( e si sente ) rumori provenienti
da alcune gallerie sotterranee della montagna che ne
e' piena, ci sia un disco o cupola metallica del quale
ne da' anche le dimensioni a circa 30 metri di
profondità. Ci stiamo chiedendo in molti: cosa
nasconde quella montagna? Tra l'altro dà anche delle
''sensazioni" strano tipo vibrazioni o fruscii
captabili dall'uomo normale ed e' capitato a molti
frequentatori di quella zona. fiume per circa 32
chilometri vicino alla cittadina di Ozark", ha detto
Keith Stephens dell'Arkansas Game and Fish Commissione
alla Cnn.
Le prime carcasse sono state trovate giovedì e da
allora non hanno smesso di aumentare fino a quota
100mila, i funzionari stanno conducendo dei test per
capire quale sia la causa. "Se fosse colpa di un
agente inquinante dell'acqua, avrebbe colpito ogni
specie, non solo i pesci tamburo. Questa ipotesi è
stata subito scartata", ha aggiunto Stephens
Allora il mondo finirà a Bugarach? La psicosi di massa
per un paese francese:" Sarà l'unico luogo risparmiato
dal'Apocalisse del 2012", come leggiamo sula Stampa di
Torino, del 24 corrente mese. L'articolista incomincia
dicendo: Di matti, si sa, è pieno il mondo. Ma una
quantità fuori del comune si sta concentrando a
Bugarach, un paesino che conosciamo da molto tempo,
per esserci stati con gli amici del CAI di Mantova. In
quel tempo non si parlava di Apocalissi, ma di
sentieri e della meravigliosa natura di quei luoghi
aspri e selvaggi della bellissima montagna che
sovrasta quella stupenda montagna- Bugarach, è un
paesino di 190 abitanti a 427 metri d'altezza e 800
chilometri da Parigi, fra Carcassonne e Perpignano, in
un angolino sudorientale della Francia, terra di
eresie catare e di foie gras, Il motivo è
semplicemente folle, ma anche follemente semplice; la
fine del mondo. Come tutti sanno perché se n'è parlato
moltissimo, i Maya l'avrebbero prevista nel dicembre
2012, non si capisce bene se il 12 o il 21 Ma come
invece sanno pochi, all'Apocalisse generale
sopravvivrà soltanto Bugarach o meglio la montagna che
lo sovrasta, il Pech versione occitana del "Pic"
francese, 1231 di roccia distribuita in modo bizzarro
per uno scherzo della geologia. Perché il mondo debba
finire dappertutto tranne che la sopra è dato capire.
Sta di fatto che cliccando sul sito " Googol", come
abbiamo fatto noi, appaio moltissime risorse e il tam
tam dell'approssimarsi della scadenza fiale, aumenta.
Le ipotesi variano; sul Pec un'anomala magnetismo ( la
montagna sarebbe un enorme calamita e infatti,
assicurano - gli aerei non possono sorvolarla, ma la
Deiezione generale dell'aviazione civile, come
leggiamo in un altro articolo, smentisce; altri dicono
che dentro c'è una base di alieni, no, c'è l'Arca
dell'Alleanza; no il sepolcro di Cristo. Oppure il
tesoro dei famosi templari, che si è parlato in
tantissimi libri) però nella vicina Rennes- le.
Chateau, 800 abitanti e 100 mila visitatori) la
sepoltura di Maria Maddalena, la terza dimensione, una
città catara, un parcheggio di Ufo e via delirando.
L'articolista della Stampa, continua dicendo, l'unico
modo per capirci qualcosa è di andarci a vedere da
vicino. E qui si scopre subito che é vero, si:
Bugarach sopravvivrà alla fine del mondo. Per
arrivarci da Parigi bisogna prendere un aereo, poi un
treno, poi un autobus ( a bordo tre persone compreso
l'autista e 'altro passeggero scende prima) e poi una
macchina con il taxista che attraversa borghi
sonnolenti, dove l'ultimo evento eccitante è stata la
Crociata contro gli albigesi, dice che Bugarach è
proprio "perdu" Questo paese di montagna fa 194
abitanti E' la popolazione di Bugarach, ma il numero
di visitatori sta aumentando in modo esponenziale man
mani che si avvicina la data fatidica del 2012.
Perduto, ma é un borgo montano molto carino: sotto il
Pech coperto dalla bruma ( si dice che abbia ispirato
Spielberg per la montagna di " incontri ravvicinati
del terzo tipo", e dai) c'è un paesino con la
chiesetta, una torre medioevale diroccata, un po' di
casette basse, tre bed&breakfast aperti solo d'estate
e i cartelli stradali in occitan. In torno, un
suggestivo nulla. Non c'è neppure un bar: già la fine
del mondo è una seccatura, ma senza un drink diventa
una tragedia. E poi piove, fa freddo e tira sempre il
vento, quindi la passeggiata per Bugarach da un nuovo
significato all'espressione del mondo, almeno
l'attuale impazzimento per Bugarach dà un nuovo
significato all'espressione " solo come un cane" un
cane incontinente è in effetti l'unico indigeno che
s'incontra. Nel periodo estivo si incontrano gli
alpinisti, che hanno uno scopo: quello di scalare la
montagna di cui si parla tanto. Con degli affacci
mozzafiato. Questo Solo c'è di bello sulla cima della
montagna e tanta fatica per arrivarci.
Per concludere, insomma, andare a Bugarach o morire?
In America si vendono già i viaggi organizzati ( ma
comprensivi di ritorno), è attesa per un reportage
persino la tv giapponese e viene ricordata la profezia
di tal Guillaume Bélibaste, un cataro arso vivo nel
1311 nella vicina villa Villerouge, che prima di
finire in flambé, proclama " 700 anni questo lauro
rifiorirà. Milletrecento più 700, i conti tornano.
Nell'attesa, indovinate chi é il personaggio italiano
su cui il sindaco di Bugarach chiede lumi al cronista
di passaggio della Stampa. Si è proprio quello che
immaginate. Quindi anche da Bugarach, cattive notizie.
Quando il resto del mondo, sarà finito, ci sarà ancora
un posto dove si parlerà di Silvio Berlusconi.
A Bugarach, dove si crede che il mondo finirà il 2012,
come abbiamo detto sopra, ci siamo stati una sola
volta , molti anni fa. , ma conosciamo molto bene
altre località stupendamente belle, come La Provenza,
che si trova a sud della Francia, a pochi km dal
confine di stato con l'Italia , è una regione
bellissima, dove fiorisce la lavanda ed è bagnata dal
fiume Verdon , chiamato così per le sue acque verdi,
dovute ad un'alga. In questa regione siamo stati
diverse volte con gli amici del CAI di Mantova. Nel
Rifugio " La Maline" vi abbiamo pernottato più volte e
nel Ristorante di fronte abbiamo anche cenato. Oggi
leggiamo un articolo sulla Stampa di Torino, dove la
"'Psicosi di massa per un paese francese: Sarà l'unico
luogo risparmiato dall'Apocalisse del 2012"?
E' d'obbligo il paragone con il Grand Canyon, ma non
gli rende del tutto giustizia Perché se non gli può
rivaleggiare con il capolavoro geologico del Colorado
per misure e varietà di ratificazioni , il canyon più
spettacolare e profondo delle Alpi vanta molti altri
primati. Il colore del fiume che lo ha creato
innanzitutto, un mix unico di giada,, smeraldo e
acquamarina che i francesi chiamano tradotto in un
nome semplice ma eloquente: Verdon E poi quella
sorprendente miscela di contraddizioni e di stimoli
che, a due passi della Costa Azzurra e del profumo del
mare portato dal mistral, vento ed anima della
Provenza, ricrea un ambiente dolomitico orientato
verso il basso. Sul fondo delle g del Verdon, muraglie
rovesciate di calcare alte 700 metri culminano in
vette surreali e metafisiche attraversate da nuvole di
spuma vaporizzata e di squarci verde-azzurri
Al Grand canyon delle A si arriva in meno di due ore
dalle spiagge dorate di Nizza, Cannes, St-Tropéz
,inoltrandosi in quell'entroterra ( ma il termine
francese di arriére- pais ne rende meglio il senso di
reame nascosto). Almeno qui, nel Verdon, fra queste
montagne fantastiche a forma di cono rovesciato, non
si nasconde nulla loro visceri e neanche la terra e le
rocce che le compongono, tremano dalle scosse dei
terremoti. Qui, nessuno ha paura che fra un anno il
mondo finirà. In questa meravigliosa località di mille
profumi e di incanti, aspro eppure capace di
improvvise dolcezze, che si chiama Provenza . Qui i
turisti arrivano da tutto il mondo,per godere delle
bellezze del paesaggio e dei deliziosi profumi, non
perché colti dalla psicosi di massa per un paese
francese, che come dicono è l'unico luogo che sarà
risparmiato dall'Apocalisse del 2012.. come Bugarach.
Noi non siamo scienziati e neppure indovini, ma
riteniamo che la fine del mondo o prima o poi ci sarà
e quando avverrà sarà improvvisamente e nessuno di noi
si accorgerà.
"Mille e ancora Mille. Mille e non più mille" L'antico
ammonimento, fatto di una speranza o di una profezia,
è rotolarono lungo il corso dei secoli, dall'inizio
del cristianesimo, per giungere con tutti i suoi
significati più reconditi e spesso contraddittori in
piena età informatica alle soglie del secondo
millennio Giovanni apostolo, scrivendo l'Apocalisse,
uno dei testi più affascinanti e visionari della
letteratura d'ogni tempo, annunciava ''imminenza del
ritorno di Cristo e della Nuova Gerusalemme, mentre la
Chiesa delle origini ammoniva i propri fedeli a non
sposarsi e a non procreare perché il giorno del
giudizio, il giorno dell' Armefedon, era ormai
prossimo.
Era dunque scritto: ci sarebbe stata la fine di questo
mondo che si sarebbe tramutata in una palingenesi che
avrebbe segnato l'inizio di un nuovo mondo Ma quale
mondo? Un nuovo mondo spirituale o u nuovo mondo
materiale? Dagli sconvolgenti scritti di Rodolfo il
Glabro nei cupi tempi del Medio Evo attorno all'anno
Mille alle sconsolate ma consapevoli previsioni di
Oswald Splengler, dai terribili anni della peste nera
a Nostradamus, dai sogni utopici di Gioacchino da
Fiore e di Tommaso Moro alle speranze rivoluzionarie
di Karl Marx. Si ,da sempre, gli uomini hanno sentito
irresistibile il bisogno di un anno Mille, di una data
nella quale tutto venisse azzerato e fosse possibile
riconoscere da capo, nella Nuova Gerusalemme o in una
nuova società terre, nella città di Dio o nella città
degli uomini. Ed è stato forse questo bisogno che ha
fatto fiorire religioni, scrivere libri
indimenticabili, dato all'uomo la forza di andare
avanti, di cercare di raggiungere _ come è stato
scritto - non un luogo, ma un nuovo modo di vedere le
cose. Ed è proprio se entriamo in tale ottica,
troveremo le ragioni di rovesciare l'antico
ammonimento: non " Mille e non più Mille", ma " Mille
e ancora mille.
Il Mondo non ha torto di lamentarsi, per come noi
inquilini disordinati ci stiamo comportando in questi
ultimi 50 anni. Si, in questi ultimi tempi, non
abbiamo fatto altro che inquinare ogni cosa: il mare,
i fiumi e l'aria che respiriamo. O prima o poi, un bel
giorno, arriverà improvvisamente la Apocalisse e
allora scomparirà completamente questo meraviglioso
mondo.
Escursione a Pastrengo.
Il 15 settembre 2010, In un dolce pomeriggio
settembrino, da Campitello (Mantova), abbiamo deciso
con Adriana mia moglie, di fare un viaggio a Pastrengo.
Il sole era alto nel cielo quando la nostra auto
percorreva la strada statale lungo il Lago di Garda.
Mentre ammiravo il placido lago e quel paesaggio
incantato, mi sono detto fra me: che cosa c'è di più
bello di questo cielo azzurro, dei prati del verde
intenso e poi i colori dei fiori che come un inno alla
vita, infondono dolcezza e allegria allo stesso tempo?
A questo punto senti il bisogno di raggiungere le
dolci colline con gli uliveti e i vigneti delimitati
dei lunghi e bellissimi cipressi che bucano il cielo.
Questo paesaggio pittura ti trasmette le bellezze
della natura. Si procede sempre così in questo
paradiso terrestre. Superiamo Riva del Garda e
proseguiamo verso La punta di San Vigilio, che si
specchia sulle sponde del Lago.
I contadini stavano vendemmiando e nell'aria si
sentiva il profumo del mosto Siamo arrivati nel
piccolo centro storico a bordo della nostra
autovettura Peugeot 1400, nelle prime ore del
pomeriggio, quando il sole incominciava a declinare
verso Ovest. Un'intera giovinezza risorge al primo
tocco della memoria d ogni contatto con i luoghi, con
le antiche parole da cui si irradiano tremore e
dolcezza - sulla soglia del tempo che sempre più si
allunga alle mie spalle, Tornano emozioni, fantasie di
una sommersa Atlantide; lontane stagioni avvolte da un
velo notturno.
Ogni parola non detta, ogni gesto più segreto si
compone in un quadro bellissimo dipinto da un grande
pittore De Albertis - 1828-1897. Stiamo parlando della
Carica di Pastrengo Questo piccolo paese è situato
sulle colline moreniche che dividono il fiume Adige
dal bacino del Garda, a centocinquanta metri sul mare,
diciassette chilometri a nord-ovest da Verona, sempre
al centro di una rete importantissima di strade fra il
Mantovano e il Tirolo, fra le regioni del Bendo e le
città dell'entroterra veneto. E' un paese in cui, fin
dall'antichità, facevano tappa mercanti e soldati in
viaggio dalle terre del Centro Europa a quelle del
centro Italia. La sua posizione strategica, non
sfuggita ai popoli della preistoria e già esaltata in
epoca romana, assunse particolare importanza in età
longobarda. Qui i longobardi, in un probabile
preesistente agglomerato urbano, collocarono un loro
presidio militare, tra Adige e Garda, all'incrocio
delle strade per Verona, Mantova e Trento, con
possibilità di usufruire di risorse d'acqua,
abbondanti foraggi e prodotti agricoli. Per questi
motivi, per molti secoli le pertinenze di Pastrengo
hanno costituirono una ben nota tappa militare, con
edificio apposito, situato in località Campara. Il
territorio di questo che è uno fra i più piccoli
comuni del veronese, gode anche di posizione climatica
e panoramica incantevole, tale da avere sempre
favorito in un tempo l'agricoltura e l'allevamento del
bestiame, nonché l'edilizia residenziale.
STORIA DEL COMUNE
Il ritrovamento di reperti archeologici (frammenti
d'anfora, coltelli dell'età del bronzo) è indicativo
dell'esistenza in Pastrengo di un insediamento
preistorico. Durante il IX e X secolo, Pastrengo e
Piovezzano (quest'ultima era stata comunità autonoma
fino alle innovazioni napoleoniche) facevano parte
amministrativamente della cosiddetta Giudicaria
Gardense. Poi, fino alla metà del XII secolo, del
Comitato di Verona e in seguito del Comune veronese.
Pastrengo era però di proprietà del monastero di San
Zeno fin dal 966, l'esercizio della giurisdizione
feudale sul paese da parte del monastero zenoniano,
terminò nel 1797 (quando cadde la Repubblica Veneta).
Il diritto e i privilegi feudali sul paese, propri
dell'Abbazia di San Zeno, vennero gestiti dagli avi di
Guglielmo da Pastrengo, letterato, giurista e
fondatore della prima università di Verona. Le tre
guerre risorgimentali dal 1848 al 1866, svoltesi in
prevalenza nella zona compresa tra il fiume Mincio, il
lago di Garda e il fiume Adige, videro il territorio
di Pastrengo percorso e ripercorso dagli eserciti del
Regno di Sardegna e dell'Impero d'Austria. In
particolare, a Pastrengo si svolse il 30 aprile 1848
la celebre battaglia conosciuta come "La Carica del
Carabinieri" a cavallo in difesa del Re Carlo Alberto
di Savoia, la cui vita correva pericolo a seguito di
un improvviso attacco di tre brigate austriache: i tre
squadroni dei carabinieri che accompagnavano re Carlo
Alberto di Savoia, comandati dal maggiore Alessandro
Negri di Sanfront (1804-1884), impedirono, con una
carica, che il sovrano fosse fatto prigioniero. Questa
carica contribuì poi a risolvere felicemente le sorti
dell'intera battaglia, fino a quel momento non
favorevoli alle truppe sardo-piemontesi Il monumento
di Pastrengo, opera dello scultore Romeo Rota, di
Pastrengo, inaugurato il 17 maggio 1925 dal Duca di
Bergamo, vuole ricordare con i Caduti del paese anche
la gloriosa "Carica dei Carabinieri" di cui ogni anno
si celebra solennemente l'anniversario. Per questo
motivo, alcuni bassorilievi che abbelliscono la
scultura - tra cui le effigi del Re Carlo Alberto e
del Maggiore Negri di Sanfront - si riferiscono
all'eroico episodio. Anche lo stemma del Comune
ricorda in qualche modo il celebre avvenimento. Esso
raffigura una collina a tre punte con un pastore
munito di bastone in piedi sulla cima centrale più
alta, al suo fianco due pecore con stella a sei punte,
simbolo di nobiltà e splendore, e sulla sinistra due
spade poste in decusse (queste ultime richiamanti
proprio la battaglia del 1848). Un ultimo omaggio,
come simbolo di celebrazione della Carica di Pastrengo,
è stato ideato nell'anno del 150° anniversario
dell'evento: si tratta di un francobollo con relativo
timbro annullatore. Il francobollo raffigura un
particolare del dipinto ad olio "Carica dei
Carabinieri a Pastrengo", realizzato da Sebastiano De
Albertis (1828-1897) e custodito nel Museo del
Risorgimento di Roma.
La bellissima storia della Carica di Pastrengo,
l'abbiamo appresa molti anni fa, quando frequentavo la
Scuola Allievi Carabinieri di Bari. Alla fine della
Seconda Guerra Mondiale. 22 febbraio 1947. Da quella
data ne è passata molta acqua sotto i ponti. Sotto le
potenti ali dell'Arma Benemerita, andando in
quiescenza a gennaio 1985, con il grado di Maresciallo
Maggiore. In 42 anni di servizio, non ho avuto il
piacere di andare a visitare il piccolo e meraviglioso
paese di Pastrengo. Quest'autunno, ecco che
quell'antico sogno si è avverato. Campitello (Mn),
dove abito con la mia famiglia, dista pochi chilometri
dal luogo della famosa Carica di Pastrengo. Un
paesaggio verde e bellissimo, linde colline che
degradano verso la vallata di vigneti. Tutto mi
incide, tutto mi ressa al cuore. Quelli sono i luoghi
della storia e della memoria dell'Arma.
Qui, ogni parola riacquista peso e fervore, vibra del
sangue, in un rimpianto di libertà. Grazie anche a
quella Carica contro un nemico da sempre, il 17 marzo,
l'anniversario del 150, compleanno della nostra bella
Italia anche, come in tutta l'Italia, anche nel borgo
di Pastrengo, si festeggia la ricorrenza. Con
l'emissione di un francobollo- raffigurante la "
gloriosa Carica di Pastrengo". Concludiamo questo
nostro viaggio, nelle meravigliose colline di fronte
al Garda, Con questa storica carica, su queste
bellissime colline, si è contribuito notevolmente
all'Unità del nostro meraviglioso Paese_
Questa poesia, che rievoca e immortala la leggendaria
Carica dei Carabinieri:
La Carica di Pastrengo
Il 5 giugno di ogni anno
E' la ricorrenza della festa dell'Arma
Benemerita.
Che fu fondata il 14 giugno 1814
Quest'anno ha compiuto 195 esimo anniversario.
Della sua gloriosa fondazione
Al servizio del nostro Paese.
Nella magnifica Piazza di Siena
Nel verde di Villa Borghese in Roma
Che vede circa 145 cavalli
Lo squadrone a cavallo dei Carabinieri
Anche quest'anno ci ha deliziati
Con le sue ripetute cariche ed evoluzioni
Con cavalli e cavalieri
Oggi è come ieri
Con la rappresentazione
Della leggendaria
Carica di Pastrengo.
E' una meravigliosa rievocazione
Storica che si ripete nel tempo
Questa storica carica
Si verificò il 30 maggio 1848
Durante la prima Guerra d'indipendenza
Quando il maggiore Alessandro Negri di Sanfront
Che galoppava in testa al suo reparto di cavalleggeri.
Sulle verdi e meravigliose colline di Pastrengo
Notò una strana situazione
E ordinò al suo plotone
Di carabinieri a cavallo.
Che erano di scorta al sovrano Carlo Alberto.
Era al principio della giornata
Tra vigneti e uliveti e paesaggi mozzafiato
Quando improvvisamente
Ordino la carica
Ad una dozzina di carabinieri di avanguardia
Che si batterono in un'unità nemica
Non si capisce esattamente quale rischio
Abbia corso. Il sovrano Carlo Alberto
Ma in ogni caso,
La reazione fu rapida
San Font il comandante
Con la sciabola sguainata
Nell'incitare gli uomini all'avanzata
Galoppava in testa alla sua valorosa brigata.
Dello squadrone dei carabinieri
Che scortavano il sovrano.
Ordinò al trombettiere la squillo di tromba.
Che accompagna la carica
(Nota come la carica di Pastrengo)
Eseguita dallo stesso Carlo Alberto
La famosa carica ruppe e spezzo il nemico
Da Le Bionde
Contemporaneamente si mosse
Il generale Broglia,
Che mandò in supporto
I Cacciatori delle Guardie del sovrano
Saliti dalla località dell'Osteria Nuova
Mentre il primo Reggimento di Fanteria
Aggredì il Monte San Martino
Ed entrò a Pastrengo dalla parte del cimitero.
Raggiunto il centro della Fanteria
Di Vittorio Emanuele
Scesa a sua volta da Monte Bolega,
Mentre sulla sinistra lanciò la brigata Piemonte.
E oltre le costiere si posizionò l'armata Austriaca.
A Piovezzano
La pugna fu cruenta fra gli entrambi
Reparti
E molti cavalieri e cavalli
Caddero sul campo
Mettendo in fuga il comandante austriaco
Gen Wocher, che sulla collina di Pastrengo
Aveva schierato 7.000 uomini
Tenne per quanto possibile il paese
Lanciando anche la cavalleria
La contro carica di alleggerimento
Ma ormai le posizioni erano
Compromesse
E l'obiettivo era tenere aperto il varco
Per il ripiegamento
Verso la città di Verona.
Cosa che avvenne verso le ore 18,30
Quando la divisione attraversò l'Adige
In disordine sui ponti di barche
A nord di Pastrengo.
E' sempre bello, scenografico
Ed emozionante il carosello dei Carabinieri
Con le loro antiche uniformi
Ed il famoso pennacchio
Rosso e blu.
Siviglia e il
Flamenco
Sesta parte
ESCURSIONE A SIVIGLIA
Ai lati degli antichi marciapiedi di Siviglia, ci sono
64 gigantografie in bianco e nero che raccontano i
volti delle donne del flamenco. Volti dalle
espressioni intense, drammatizzate dal trucco acceso,
che non esalta la loro bellezza, quanto la loro
espressività. A volte sembra di vedere le maschere del
cinema muto, senza però il glamour che circonda
Hollywood. Le bailaoras che il fotografo colombiano
Ruven Afanador ha ritratto vestite da Gucci e da
Galliano, da Prada e da Dolce & Gabbana, non sono
belle, hanno corpi a volte molli e disfatti, posano
sedute, con le ginocchia distanti, come una ragazza di
Hollywood, per quanto trasgressiva, non farebbe mai,
sembrano esaltare la loro decadenza e allo stesso
tempo esprimono una grande forza e una grande
sicurezza. Hanno quel fascino, quel certo non so che
le fa accostare alla passione, al fuoco, alla
bellezza. "Eso es arte", come ci suggerisce la guida
locale Signora Dolores, puro sangue di Siviglia, alla
quale racconto le mie impressioni. In questa
carrellata che inizia nella "plaza de san Francisco",
ci sono tutte le più grandi, dalla Farruca, al secolo
Rosario Montoya Manzano (è la madre di Farruquito, una
dei bailaores più apprezzati del momento.
Ci sono le bailaoras di Siviglia e di Jerez de la
Frontera, l'altro grande centro andaluso del flamenco,
di cui è originaria Lola Flores, l'indimenticata
Faraona. Cantaoras come Speranza Fernández, che appena
vista assomiglia a una Rossa de Palma flamenquizzata e
drammatizzata, per ricavare maggior intensità dal
volto irregolare. Il fotografo "è fuggito dalla
perfezione per esprimere la loro forza interiore, le
loro vite appassionate" ha spiegato la truccatrice,
Anale Beato, durante la presentazione della mostra.
"Si è inspirato a Goya, all'arte barocca, a Botero, a
Frida Kahlo, ai muralisti messicani, al neorealismo
italiano e ovviamente all'espressionismo tedesco" ha
spiegato l'assessore alla cultura Savigliano Rosa
Torres, sottolineando che "fino adesso la
rappresentazione del flamenco si è fatta in un modo
stereotipato, tradizionale, Ruven invece ha voluto
vincolare quest'arte millenaria un'immagine
contemporanea".
.
La mostra è terminata a Siviglia il 15 ottobre. Lo
Jerez de la Frontera è confluito nell'archivio del
Centro Andalusa. Qui si trovano le più belle
fotografie della bella galleria fotografica dedicatale
da El Pois.
Nei giorni che seguirono, nel grande salone degli
spettacoli nell'Hotel di Torremolinos, era tutto
pronto per la serata conclusiva del nostro soggiorno.
Una serata dedicata tutta al Flamenco. C'era un po' di
confusione nel grande salone dell'Hotel, ma con
l'arrivo del corpo di ballo, subito dopo è tutto
ritornato alla normalità. I camerieri avevano appena
terminato di servire la " Sangria", e subito dopo,
abbiamo incontrato le ballerine nel Bar del locale,
erano giovani e belle, forse era un po' troppo
sgargiante il trucco delle ragazze, ma nel complesso
tutto era secondo il programma. Le luci della sala si
sono attenuate e la musica era potente e molto
ritmata, ma soprattutto coinvolgente: il semplice
passo di danza, le sue complessità e la bravura delle
ballerine, nella fluidità. Le ballerine di flamenco
raffigurate, invece come corpi presi dalla passione
che cercano di dominare la danza. Grazie alla magia
del cinema e incontrollabile grazia dell'oro bravura.
La serata è continuata nel ritmo della danza e nelle
canzoni andaluse. Comunque, per noi italiani, che non
siamo abituati a questo genere di musica e di danza, è
stata una serata veramente degna di averla ricordata
in queste nostre pagine. Nell'occasione abbiamo
scritto una breve poesia sul " Flamenco". Che è stata
pubblicata sulla "Pagina Azzurra i Poetare"
Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia
Quinta parte
LA CITTA' di SIVIGLIA:
LA PATRIA DEL FLAMENGO
Non solo don Chisciotte e Sancio Panza, con la
bellissima Dulcinea e i mostri dei mulini a vento
fanno parte integrante del paesaggio, ma soprattutto
il Flamenco. Durante la settima del nostro soggiorno
turistico a Malaga e Torremolinos , abbiamo visitato
diverse linde cittadine della Costa del Sol,
attorniate da un paesaggio bellissimo e in alcuni casi
paradisiaci e mozzafiato, tra cielo, mare e terra. Una
terra antica, dove nel passato, ha visto transitare
gli eserciti Romani, Arabi e Fenici. La Costa del Sol,
in un certo senso rassomiglia alla meravigliosa terra
di Sicilia, con i Pupi e il suo meraviglioso mare e i
suoi profumati giardini di zagara. Ma la Costa del
Sol, è un'altra cosa, con il famoso Flamenco, un ballo
caratteristico di quei luoghi fantastici, dove i volti
intensi delle signore del flamenco.
La prima volta che abbiamo assistito ad una serata del
Flamenco, è stato molti anni fa nella Città di
Barcellona. Qui si svolge la Biennale del Flamenco che
scende per le strade e invade Siviglia. Lo fa nella
meno sivigliana delle vie del centro, l'Avenida de la
Constitución, l'unica via larga e retta, di aria
moderna e cosmopolita, nonostante vi si affaccino la
Cattedrale e l'Archivo de Indias. Da qualche tempo è
stata chiusa al traffico e lasciata ai turisti e a un
tram dall'enigmatica utilità.
Granada è la città senza tempo.
Oggi la sveglia è squillata di buonora. Mattinata
stupenda ma fresca, è in programma la visita
all'Alhambra, la rossa, la fortezza araba per
eccellenza. Ci spostiamo con l'autovettura che Mauro
ha noleggiato il secondo giorno che siamo arrivati a
Torremolinos. Per muoverci con più libertà nel
territorio della Costa Del Sol. Dopo un lungo viaggio,
ecco giunti a Granada, che è la città senza tempo. E'
circondata da uno splendido paesaggio, con lo sfondo
della Sierra Nevada come la vediamo nella sua
meravigliosa bellezza. Granada è una delle città più
attraenti della Spagna. Si tratta di una ricca città
dove si respira u'atmosfera internazionale dovuta
all'alto numero di turisti attratti soprattutto dalle
meraviglie dell'Alhambra, uno dei più celebri
complessi architettonici e massimi capolavori
dell'arte araba, che non abbiamo mai visto prima.
Parcheggiamo l'autovettura in un garage a pagamento
nella parte alta della città vicina all'ingresso nord
dell'Alhambra, con un passaggio da brivido tra la
stretta porta araba che si supera prima del posteggio.
Siamo i primi ad entrare e subito veniamo colpiti
dall'impressionante bellezza dei giardini e dei fiori.
In un certo senso, i giardini sono come quelli che
abbiamo ammirato nell'escursione a Malaga. Sullo
sfondo la Sierra Nevada che contrasta con il verde
cupo della vegetazione. Procediamo con ordine e
secondo il programma alla visita, passando da una
meraviglia all'altra, in un susseguirsi di bellezze
architettoniche che rievocano i fasti della
dominazione araba. Seguendo l'itinerario indicato
sembra di essere nel cuore di una favola, immersi in
quella magica atmosfera orientale che ancora si sente
fra queste antiche mura. Man mano che saliamo, notiamo
un certo movimento di turisti ancora assonnati e nel
giardino dei leoni incontriamo due coniugi italiani di
Venezia, che si affiancano a noi per tutto il
percorso. La nostra intenzione era di iniziare la
visita di mattino presto ed è stata azzeccata ancora
una volta. Conoscendo le abitudini dei turisti
spagnoli e di quelli internazionali. Infatti, abbiamo
incontrato moltissimi italiani e tedeschi, che come
nostra figlia Tiziana, fotografavano ogni cosa. Ci
fermiamo ed ammiriamo ogni particolare per arricchire
le nostre conoscenze- storiche e architettoniche di
questo Museo all'aperto. Terminata la visita scendiamo
nella parte bassa della città accolti da un gran
frastuono proveniente dall'altra parte del fiume. Si
annuncia un'altra processione che va verso il
quartiere periferico posto a circa 500 metri. Da dove
avevamo posteggiato l'autovettura. In fretta e furia
andiamo verso questo nuovo spettacolo che si snoda tra
stradine e vicoli e carruggi, archi e archetti
finemente scolpiti per giungere fino alla grande e
bella piazza del Municipio. Attraversiamo le ultime
propaggini della Sierra Nevada, superando il "Puerto
del Sospiro del Moro". Pare che l'ultimo re moro
(1492) in fuga spagnolo di Isabella si fosse girato
sospirando malinconicamente per ammirare Granada e
tutte le sue bellezze che lasciava definitivamente
alle sue spalle, per non vederle mai più. .
Sicuramente, La Sierra Nevada, come la vediamo oggi
nella sua meravigliosa bellezza, sicuramente noi non
la vediamo più come è successo al re morto. Tiziana
scatta l'ultima fotografia ricordo.
Non c'è dubbio, Granada è una delle città più belle ed
attraenti della Spagna. Si tratta di una ricca città
dove si respira u'atmosfera internazionale dovuta
all'alto numero di turisti attratti soprattutto dalle
meraviglie dell'Alhambra, uno dei più celebri
complessi architettonici e massimi capolavori
dell'arte araba, che abbiamo visitato nella nostra
escursione in questa antica terra. Questa è terra di
artisti, musicisti e cantanti, che ognuno di loro, ha
lasciato un piccolo segno, come il nostro grande
cantante Claudio Villa, con sua splendida canzone che
non tramonta mai.:
GRANADA
Granada, tierra ensangrentada en tardes de toros;
Mujier que conserva el embrujo de los ojos moros,
De sueno rebelde y gitana, cubierta de flores
Y beso tu boca de grana jugosa manzana
Que me habla de amores
Granada, Manola cantada en coplas preciosas
No tengo ontra cosa que darte que un ramo de rosas
De rosas de suave fragancia
Que le dieran marco alla Virgen Morena
Granada, tu tierra est llena
De lindas mujeres, de sangre y del sol."
Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia
Quarta parte
ANDALUSIA
L'Andalusia raggruppa tutti gli stereotipi spagnoli:
toreri, spiagge, flamenco, villaggi bianchi, grotte,
chiassose fiesta, processioni religiose, topas e
sherry. Ogni elemento fa parte di un insieme più
vasto, che si compone di arte e architettura, natura e
un modo di vivere rilassato, quasi indolente.
Le provincie andaluse sono otto e si estendono lungo
tutta la Spagna meridionale, dai deserti dell'Almeria
al confine con il Portogallo. Uno dei fiumi spagnoli
più lunghi, il Guadalquivir, taglia in due la regione,
unita all'altopiano centrale da un passo, denominato
il Desfiladero de Despenaperos. Le cime più alte della
Spagna continentale sono quelle andaluse, appartenenti
alla Sierra Nevada. La storia ci racconta che le
continue invasini hanno lasciato un'impronta in
Andalusia. I romani costruirono nella provincia
meridionale, che chiamavano Baetica, città come
Cordova, il capoluogo, e Italica, nei pressi di
Siviglia. I mori occuparono l'Andalusia per secoli e
vi lasciarono gli edifici più grandi e significativi -
la Mezquita di Cordova e lo splendido palazzo di
Alhambra.
In giro per l'Andalusia.
L'Andalusia e la Regione spagnola più variegata, con i
suoi scenari desertici a Taverna, gli sport acquatici,
sulla Costa del Sol, lo sci in Sierra Nevada e lo
sherry di Jerez. Dalle tante riserve naturali, l'ampia
Donana brulica di volatili, mentre Cazorla, e' un
aspro massiccio di pietra calcarea, Granada e Cordova,
per la loro eredità moresca, sono tappe obbligate;
Ubeda e Baeza sono perle rinascimentali; e Ronda è
solo una delle tante, superbe, bianche città. Le
spiagge della costa mediterranea spagnola attirano
migliaia di turisti durante tutto l'anno. La Costa del
Sol è una delle regioni più famose grazie ai paesini
pittoreschi e alle spiagge favolose.
Le Isole Canarie e le Baleari offrono ai visitatori
tutte le possibilità che ci si possa immaginare: dalle
spiagge di Maiorca e Formentera alla singolare
bellezza vulcanica dell'arcipelago canario. La
Carihuela: "Storica" spiaggia di Torremolinos, è stata
la prima spiaggia turistica di tutta la regione. Da
visitare.
Nerja e la Costa vicina: a est di Torremolinos, ai
confini con la Costa Tropical, si trovano due
destinazioni di sicuro interesse, la prima è Nerja,
famosa per il celebre Balcone d'Europa, da cui si gode
di uno splendido panorama, e per le Grotte, poco
distanti dal centro cittadino. Come molte altre
località della costa del Sol, la città è molto animata
da giovani e famiglie durante tutto il periodo estivo.
Poco distante si trovano Frigiliana, località
molto"in", grazie alle sue case bianche, che la
rendono uno dei centri più caratteristici di tutta la
zona, e Torrox, famosa anche per la produzione di
ottimo vino. Marbella e la costa vicina: ovest di
Torremolinos invece si possono visitare Benalmadena,
altro centro di divertimenti grazie al Casinò e al
Parco Tivoli, Fuengirola, la splendida Marbella,
sicuramente la località di spicco della Costa del Sol
grazie alle sue ottime strutture su cui spicca
sicuramente Puerto Banùs, il porto turistico in cui
approdano alcune delle più belle imbarcazioni private
del mondo. Nella città si trovano inoltre molti negozi
dove effettuare lo shopping più esclusivo di vestiti e
gioielli. Proseguendo si incontra Estepona, altra
località turistica importante, e Manilva, con alcune
delle spiagge più belle di tutta la costa.
LA CITTA' BIANCA di MIJAS
La sierra di Mijas è conosciuta come il polmone della
"Costa del Sol", grazie ai suoi fitti boschi di pino,
tra cui sorge il paese di Mijas,intonacato a calce e
bianco Sa Mijas è possibile ammirare l'intera Costa
del Sol e persino i rilievi costieri dell'Africa. Il
nucleo urbano di questo lindo paese ci mostra la
tipica struttura araba dalle strette viuzze e dalle
pareti bianche intonacate a calce. Mijas è divenuta la
fissa dimora di numerosi artisti e stranieri, come
tanti pizzaioli italiani, attratti dal suo
pittoricismo e della bellezza dello spazio naturale
che lo circonda. Per raggiungere questo stupendo
paese, abbiamo percorso una strada tortuosa, con tante
curve, ma ne valeva la pena. Abbiamo trovato un intero
paese costruito a nuovo, con moderne villette , strade
e stradine nonché vicoli e carruggi lastricati in
marmo. Non c'è nulla che ti riporta indietro nel
tempo, soltanto la rupe che emerge per la sua grande
bellezza e soprattutto per la sua spiritualità, E' la
Belvedere del Compas ed eremo della Vergine della
Roccia. Questo eremo scavato nella roccia e situato
vicino alla Belvedere del Compas dove si venera
l'immagine della Madonna, patrona di Mija. Secondo
quanto racconta la leggenda, la statua della vergine
rimasta nascosta per cinque secoli, fu scoperta nel
1586 da un muratore, padre di due pastorelli che
furono guidati sul luogo da una colomba.
PREGHIERA
Oh vergine Maria,
Della Pena,
Siamo venuti da molto lontano.
Sulla possente ala
Del bianco gabbiano
E siamo sbarcati
Nell'antica terra
Dell'Andalusia
Terra di Canzoni,
Del flamenco,
Della musica
E della Poesia,
Per piegare il ginocchio
In questo Eremo,
Scavato nella roccia
Migliaia di anni fa,
Dove si venera la Vergine
E Padrona di Mjias
A Te rivolgiamo riverente
Una speciale preghiera,
E attendiamo un segno
Della tua benevolenza,
E della tua grazia.
Per raggiungere gli irti luoghi storici e
panoramici della cittadina Andalusa, ci sono a
disposizione una squadra di somarelli Tax, che con la
modica spesa di 5 Euro, ti portano il giro per il
paese di Mijas. Noi abbiamo preferito girare per il
paese a piedi, perché ti puoi fermare e ammirare il
paesaggio che è così bello e illuminato dal sole.
Abbiamo visitato la famosa muraglia della Belvedere e
i sui verdi e fiorito giardini, mentre qui da noi
nevicava e la nebbia faceva da padrona. Sì, altri
luoghi , altro clima e altri paesaggi bellissimi.
Dell'antica fortezza dove si trovava la cittadella
sono visibili oggi solo alcuni resti del muro
principale, i giardini sono stati concepiti in modo
tale da avere una fioritura continua per tutto l'anno
e il belvedere è uno dei più belli e spettacolari
della costa.
Dopo i giardini della Belvedere , abbiamo visitato le
Grotte dell'antica fucina, che sono vicine all'eremo
di nostra Signora Ausiliatrice e rione di Sant'Anna.
L'eremo è particolarmente noto come la Chiesa di
Sant'Anna risalente al XVIII secolo. Nel rione si
trova la bellissima piazza delle Sette Fontane. Qui, è
riprodotto il tipico " paese bianco andaluso", rimasto
praticamente intatto nel corso dei secoli. La casa del
Museo etnografico contiene strumenti di antichi
mestieri e tradizioni della cittadina bianca.
All'interno del Museo, sono stati ricostruiti due
mulino da olio, una tipica osteria, un fornaio e una
casa tradizionale. Sulla parte più alta del paese
Andaluso, sorge la Plaza De Toros. Una targa ci dice
che fu costruito nel 1900 su richiesta degli abitanti
di Mijas e venne inaugurato l'8 settembre dello stesso
anno. Curiosa è la sua forma ovale. Quello che ha
attirato molto la nostra osservazione, è stata la
pulizia totale elle strade e dei carruggi. Non abbiamo
visto neppure visto un pezzetto di carta, tanto che ci
è venuto in mente la città di Napoli, con le sue
montagne di immondizie e il fetore che infesta l'itera
città. E' un vero paradosso: quella che è sempre stata
la città più bella del mondo, per la sua posizione e
per le sue bellezze paesaggistiche e artistiche ed è
stata cantata dai poeti e dagli artisti, oggi è la
città più puzzolente del mondo .
Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia
Terza parte
MARBELLA.
Un bel pomeriggio di sole, abbiamo deciso di raggiungere la bella città di
Marbella, che si trova sulla Costa del Sol a ovest di Torremolinos invece si
possono visitare Benalmadena, altro centro di divertimenti grazie al Casinò e al
Parco Tivoli, Fuengirola, la splendida Marbella, sicuramente é la località di
spicco della Costa del Sol grazie alle sue ottime strutture su cui spicca
sicuramente Puerto Banùs, il porto turistico in cui approdano alcune delle più
belle imbarcazioni private del mondo. Nella città si trovano inoltre molti
negozi dove effettuare lo shopping più esclusivo di vestiti e gioielli.
Proseguendo si incontra Estepona, altra località turistica importante, e Manilva,
con alcune delle spiagge più belle di tutta la costa. Dopo una breve sosta,
abbiamo visitato la città di Marbella, con il suo centro storico e il famoso
passeggio con una bellissima fontana e artistici statue in bronzo. Tiziana, che
conosceva questa cittadina di mare, ha scattato molte fotografie e. subito dopo
abbiamo deciso di raggiungere la città antica di Ronda, che dista 40 km circa.
Per raggiungere questa cittadina, abbiamo percorso una strada provinciale che
scala le "Sierra"(montagna) brulla e pietrose e villaggi bianchi illuminati da
sole. Dopo un'ora circa di curve e contro curve, abbiamo raggiunto la cittadina
di Ronda che sorge sul vertice della Serranìa de Ronda ( Colline di Ronda)
RONDA
La provincia malaguena, che dal capoluogo si apre verso occidente, seguendo le
anse del fiume Guadalhorce, può essere considerata oggi come il massimo
esponente del più genuino aroma andaluso . I lecci, i pini e " los pinsapos",
abeti spagnoli delle colline che circondano la cittadina di Ronda, sono stati un
tempo il nascondiglio preferito di numerose bande di briganti tradizione le cui
origini non risalgono al famoso José Maria el Tampranillo o Pasos Largos, come
la storia tramanda, ma addirittura allo splendido Califfato di Cordoba, con la
sommossa provocata da Omar Ben Hafsun che stabilì il proprio centro di
organizzazione nella località di Bobastro . Ronda, il capoluogo principale di
queste colline, sorge a 750 metri di altitudine. E' una città millenaria, in cui
si conservano ancora oggi importanti rovine storiche artistiche Uno squarcio
nella montagna di 150 metri di longitudine, la divedono in due parti; la prima
chiamata La Giudal e la seconda El Mercadillo, entrambe unite da un ponte in
pietra del XVIII Secolo, La prima, ha conservato l'atmosfera tradizionale delle
viuzze contorte e dai balconi in ferro battuto, dei palazzi e delle chiese
antiche dal colore estinto, impronte indelebili dell'antico passato di questa
località. El Marcadillo, invece, separato de La Giudad dalla famosa fenditura
che salva il Puente Nuovo, è il centro commerciale ed amministrativo, anche se è
possibile visitare edifici e chiese di notevole interesse storico. Il Ponte
Nuovo fu costruito tra il 1735 e il 1797 e prende tale nome dal fatto che venne
costruito per sostituirne uno precedente che era crollato nel precipizio. E'
possibile ammirare tre aperture, quella del centro formata da due archi, uno
sull'altro. Non possiamo dimenticare di visitare la Plaza de Toros de la
Maestranza di Ronda, una reliquia dell'arte del toro costruita nel 1785
dell'architetto Martin de Aldehucla; le tribune sono realizzate in pietra, così
come anche le due gallerie degli archi ribassati: il portone d'ingrasso è in
stile neoclassico con particolari barocchi, Particolarmente interessanti anche
la Puerta de Carlos V (XVI) Secolo, il minareto di San Sebastian, in stile
mudejar, la chiesa dello Spirito Santo, costruita durante il regno dei Re
cattolici, la chiesa di Santa Maria la Mayor eretta su un'antica moschea, o
l'elegante facciata del palazzo del Marqués de Salvatierra, del XVIII Secolo.
Prossimi al fiume, troviamo i bagni arabi di cui ancora oggi si conservano tre
sale. A 10 km. Da Ronda si possono visitare i resti dell'Ancinipo . Ronda la
Veja ( la vecchia) - che conserva un teatro romano. Dopo la visita all'antica e
storica cittadina con il suo spettacolare punte, ci siamo portati verso la
Piazza della Corrida, è abbiamo assistito alla parte finale, cioè all'uccisione
del toro , e agli onori attribuiti al torero da parte del pubblico. Per dire la
verità, a noi questa mattanza è piaciuta poco, ma il pubblico di Ronda è andando
in visibilio, con un pubblico caloroso che sembrava da campionato di calcio,ma
anche la corrida è per loro un avvenimento eccezionale, che richiama migliaia di
tifosi. Questa è l'Andalusia che raggruppa gli stereotipi spagnoli, corride ,
toreri e Flamenco.
LA PLAZA DE TORO
Di RONDA
Tra luci e ombre
Tra specchi vuoti
E tripudio di colori
Labirinti bui
Muto tra la folla
Acclamante
Il ricordo dell'esuberante toro
La sabbia arrossata di sangue
Il cavallo che trascina fuori
Dall'arena il toro senza vita
Massa di muscoli morti
Una tromba che suona
La folla che applaude
Manuelito e i banderilleros
Mentre il solo stava per tramontare
Alle cinque della sera
Si percepisse un odore di morte
Nella grande Arena di Ronda
Gli spettatori fuori fanno festa
Come i tifosi di calcio
Lungo e vie del borgo antico
Di Roma
Ed è subito sera.
Un viaggio nel cuore
dell'Andalusia
Seconda parte
Necessità di evadere
In un momento di pausa nella nostra vita di routine di
ogni giorno, che scorre ad un ritmo mai uguale, spesso
si dice " ho bisogno di un viaggio", pur breve che
sia. I nostri vicini di casa ( si fa per dire) le
cugine francesi le chiamano " escapades".
Qui di seguito, vi voglio raccontare la nostra "escapade"
a Malaga, la perla dell'Atlantico". L'idea di andare a
Malaga nasce qualche mese fa: la voglia di staccare un
po' la spina, la possibilità di evadere 8-10 giorni
liberi, e il desiderio di un posto dove sia sempre
primavera. Tutto questo è difficile in Europa trovare
posti così miti, se non all'estremo sud, anche nella
nostra bella Italia: ma quando si vuole " fuggire" si
desidera qualcosa di diverso dal solito, ed ecco
allora uno sguardo alla carta, dell'Atlantico; le
Canarie, le Azzorre, il sogno di sempre, ed infine
abbiamo scelto per Malaga. Il viaggio per Malaga si
snoda attraverso Lisbona, scalo obbligato per
raggiungere l'isola, essendo quest'ultima una
dipendenza della Regione di Andalusia. Partenza da
Milano Malpensa, volo per Malaga. Possiamo dire che il
clima è accogliente, il termometro segnava 18-25 gradi
e il cielo era sereno. Dopo una lunga giornata di
trasferimento ci fa propendere per la sistemazione in
hotel e la cena nel ristorante dello stesso: una breve
passeggiata dopo cena, per ammirare le sue bellezze
naturali e artistiche di Malaga. La cittadina di
Malaga, è la seconda città andalusa, è ancora oggi un
porto fiorente, attività già pirosfera in epoca
fenicia ( quando si chiamava Malaga) e, in seguito,
romana e saracena. La città si sviluppò molto nel XIX
secolo, quando il dolce vino di Malaga divenne una
delle bevande preferite in Europa finché nel 1876, la
filossera devastò anche qui i vigneti della zona. Il
mattino dell'Epifania, uno degli ultimi giorno di
permanenza a Torremolinos, abbiamo riservato per la
visita della bella città di Malaga. Qui la festa
dell'Epifania viene festeggiata la notte che precede
la festa, con carri molto colorati e fioriti. Quindi,
il mattino di sabato abbiamo trovato la città di
Malaga, completamente deserta. Per le strade abbiamo
incontrato poche e sparute persone. Potremo dire che
la città era riservata a noi turisti. La grande e
bellissima Cattedrale era chiusa e abbiamo potuto
ammirare le sue bellezze architettoniche nella parte
esterna. Di fronte alla Chiesa, si trova una bella
Piazzetta con lato un Bar stile 800, dove ci siamo
fermati per sorbire un buon caffè. La storia ci
racconta che la Cattedrale fu iniziata nel 1528 da
Diego de Silo, La riconquista dell'attuale provincia
di Malaga si realizza nel corso del XV Secolo, tra il
1485 e il 1487. E' in questi anni che prende
lentamente avvio la modellazione della città per
adattarla al nuovo stile di vita differente dal
modello musulmano. Avvenuta la conquista di questi
territori, la prima preoccupazione dei monarchi
cristiani è la riparazione delle muraglie,
preoccupazione che durerà nel corso del XVI Secolo a
causa dell'insurrezione musulmana e al pericolo
corsaro.
La Cattedrale di MALAGA
Dopo la visita esteriormente della Cattedrale, ci
siamo avviati verso il Castello. In questa nostra
escursione, abbiamo visto che il perimetro della
muraglia è ancora lo stesso che venne costruito dagli
arabi, ma è uno strano miscuglio di stili. Nel
complesso è molto interessante nei suoi vari stili
(arabo, romano) La facciata della Cattedrale di
Malaga, fu consacrata nel 1588.)
La seconda torre, costruita a metà quando i lavori
furono interrotti per mancanza di fondi, come spesso
succede anche nel nostro Paese. Il mese scorso anche a
Barcellona, il Santo Padre Paolo XVI, ha consacrato la
"Sagrada Famiglia, progettata dall'architetto Gaudy)
hanno dato alla Cattedrale il soprannome di La
Manquita ( la manca.)
Il Castello dei Gibralfaro
E' il più importante complesso monumentale d'epoca
musulmana che comprende La Alcazaba e il Castillo dei
Gibralfaro. Dal 711, dopo l'invasione vandala e
visigota, la città inizia la sua avventura musulmana:
Nel 1031 si stabiliscono a Malaga gli Hammudies, in
seguito cacciati dagli zieì del regno di Granada, al
cui re Badis sarà il promotore del notevole sviluppo
della città 1057 in poi. Nel lato nord del Parque (
Parco) sorgono i meravigliosi giardini della Puerta
Oscura e dell'Alcazaba, uno dei pochi c testimoni
dell'epoca musulmana ancora esistenti nella città di
Malaga. L'edificazione dell'Alcazaba ebbe inizio nell'XI
Secolo sui resti di antiche rovine romane ( 1057-1063.
Si tratta di un recinto fortificato la cui struttura
attuale è dovuta alla costruzione realizzata dal re
taifa Badis el Zirì, verso la metà dell'XI secolo. La
residenza privata della corte è dell'epoca bazar e
risale al XIII - XVI secolo Nel XIV secolo i re arabi
di Granada la modificarono e l'ampliarono- Presenta
una doppia cinta muraria con numerose torri difensive
e ingressi sinuosi per rendere più difficili
l'accesso. Tra le belle porte costruite all'interno di
questo bellissimo monumento. Spicca l'Arco di Cristo e
l'Archi di Granada, attraverso i quali si accede alla
zona residenziale dell'edificio, con tre palazzi
paralleli che ricordano molto l'Alhambra di Granada.
Malaga: IL Museo delle belle arti
Un pomeriggio siamo andati a visitare il Museo delle
Belle Arti, che esponeva opere di Ribera, Murillo,
Zurbaran e Morales ed alcuni schizzi di Pablo Picasso
giovanissimo. La casa Natale de Picasso dove per i
primi anni abitò l'artista, è oggi sede della
fondazione Picasso.
La grande Alcázaba e il Castello de Gibramlharo,
monumento nazionale, è una delle più importanti
eredità dell'arte musulmana. All'interno di questo
monumento si trova il Museo Archeologico. Ai piedi
dell'Alcazaba, sul lato occidentale, è possibile
ammirare i resti di un antico teatro romano, costruito
nel I Secolo all'età di Augusto e in uso fino al III
Secolo. Gli architetti arabi lo usarono da cava per la
ricostruzione dell'Alcazaba, motivo per il quale è
giunto fino a noi in un avanzato stato deterioramento.
La nostra escursione a Malaga, il giorno
dell'Epifania, si è conclusa con la visita del
Castello, dove Tiziana, nostra figlia, ha scattato
tantissime fotografie, per testimoniare la bellezza
dei luoghi. Durante la visita del monumento, abbiamo
incontrato molti visitatori, fra cui due simpatici
coniugi spagnoli, che parlavano benissimo la nostra
lingua, per essere stati, per motivi di lavoro a
Venezia e a Marghera. Il marito della signora ha
svolto la sua attività di Ingegnere negli stabilimenti
di Marghera.
Nel parlare si vedeva che era ancora innamorato della
città di Venezia e del nostro Paese. A Venezia, ha
soggiornato per molti anni, con la sua signora e non
faceva altro che parlare delle bellezze di questa
stupenda città. A tutte quelle scene del passato che
si animavano per lui sulla Piazza della Basilica di
San Marco, non accordava un'importanza smisurata:
Egli, continuando nel suo ricordo dei tempi felici, in
una pausa del suo discorso, concludeva dicendo: Non
credo affatto che il passato basti a comprendere il
futuro, arrivo fino a pensare che la tanto diffusa
convinzione che lo illumini e lo spieghi non significa
gran che. Quello che è vero fino all'evidenza è che il
passato costruisce il basamento su cui s'innalza il
presente, che esso accumula le condizioni di ogni
storia futura. La vita ha questo di caratteristico,
che viene fuori spontaneamente. E' sempre l'inatteso
ad avere le maggiori probabilità di sopravvenire. Ma
anzitutto deve partire dell'esistente e ciò che si
conosce. Sì, miei cari amici, la storia è la
costruzione della vita.
Sulla sommità ella collina,abbiamo visitato i resti
dell'antico Castello de Gibralfaro, che comunica con
l'Alcazaba attraverso un camminamento sulle mura. Le
origini di questo edificio si perdono nella notte dei
tempi; già in epoca romana si trovava in questo luogo
un faro, da cui precede il nome. Ricostruito varie
volte dagli arabi, oggi rimangono pochi resti di
quella che fu la costruzione originale. Dalla sommità
di questa collina è possibile godere di un eccellente
panorama sulla città.
Alla fine della nostra escursione nella città di
Malaga, diciamo che ci siamo trovati in difficoltà nel
centro storico ed in nostro aiuto sono intervenuti i
Vigili urbani, facendoci da battistrada con la loro
autovettura di servizio fino a fuori città. Li abbiamo
ringraziati, per l'oro squisita gentilezza, è abbiamo
raggiunto la cittadina di Torremolinos.
PARQUE NATURAL di MALAGA
Nel giorno che seguirono, uno dei pochi pomeriggi
vuoti, ci siamo diretti nei dintorni nelle splendide
alture a Nord e a Est di Malaga , dove si trova il
Parque Natural de los Montes de Malaga. Tra cui si
trovano aquile e qualche cinghiale, che vivono allo
stato brado, tra l'interno profumo di lavanda e fra cu
erbe selvatiche, Per chi ama camminare, ci sono molti
percorsi escursionistici, con sentieri ben tracciati,
Andando verso Nord, si trovano diverse aziende
agricole del 1840. Sulla fertile valle Guardahorce,
dietro il Villaggio di "El Chorro, si trova una delle
meraviglie geografiche dell'Andalusia. La Garganta del
Chorro è un'immensa voragine, profonda 180 metri e
larga 10, che squarcia una montagna calcarea. A valle
una centrale idroelettrica attenua l'atmosfera
selvaggia del luogo. Dal villaggio, per avere una
visione reale delle sbalorditive dimensioni della
gola. Si prende il camino del Roy, un sentiero
abbarbicato sulla roccia che porta a un ponte sul
crepaccio. Questo crepaccio assomiglia a quello del
Verdon, in Provenza, che viene indicato con il nome
"La grotta dei colombi" solo che la Garganta del Chor,
sul fiume Guadalhorre è più profondo. Nei dintorni,
abbiamo visitato una tipica città bianca con le rovine
di un castello moresco e una chiesa del XVIII secolo,
è si trova a 12 km in fondo ala valle, Lungo la
tortuosa MA 441, partendo da Allora si arriva al
villaggio di Carratraca. Tra la fine dell'800 e i
primi del 900, l'alta società europea venivano qua per
le cure termali, grazie alle fonti sulfuree locali,
Oggi la fama di Catraca e quasi del tutto scomparsa.
L'acqua scorga ancora al ritmo di 700 litri al minuto
e i bagni sono tuttora in funzione, ma scarsamente
utilizzati.
La Carihuela: "Storica" spiaggia di Torremolinos, è
stata la prima spiaggia turistica di tutta la regione.
Da visitare. Nerja e la Costa vicina: a est di
Torremolinos, ai confini con la Costa Tropical, si
trovano due destinazioni di sicuro interesse, la prima
è Nerja, famosa per il celebre Balcone d'Europa, da
cui si gode di uno splendido panorama, e per le
Grotte, poco distanti dal centro cittadino. Come molte
altre località della Costa Del Sol, la città è molto
animata da giovani e famiglie durante tutto il periodo
estivo. Poco distante si trovano Frigiliana, località
molto"in", grazie alle sue case bianche, che la
rendono uno dei centri più caratteristici di tutta la
zona, e Torrox, famosa anche per la produzione di
ottimo.
Un viaggio nel cuore
Dell'Andalusia
LA MALPENSA
La settimana prima di Natale, il nostro Paese è stato
stretto in una morsa di freddo e di neve. Le città e
le campagne del Nord e del Sud sono state invase dalla
neve e quindi impraticabili. La circolazione stradale
è stata completamente annullata, creando disaggi in
tutti i settori. Un freddo così pungente era da anni
che non si faceva sentire in val Padana. Per fortuna
che dopo le feste Natalizie, tutto si è normalizzato e
così abbiamo potuto prepararci per partire per la
nostra vacanza a Malaga.
Malaga (Spagna), è tra i centri principali della costa
andalusa, e ne racchiude i tratti più caratteristici.
La città si trova sulla Costa del Sole, meta tra le
più suggestive al mondo, per le numerose spiagge, gli
impianti turistici e il clima particolarmente
accogliente. Nel centro della storica città di Malaga,
si trovano il maggior numero di monumenti ed è il
centro d'arrivo e di partenza escursionistica, per
raggiungere la città di Cordova e di Granada. ( La
città definita senza tempo).
La città è attraversata dal fiume Guadalmedina, che la
divide in due parti: ad est la parte più antica con il
porto e ad ovest la parte più piccola e moderna. Il
Paseo de l'Alameda, un grande ed ombreggiato viale
unisce la città nuova al centro antico e al porto. Sul
suo proseguimento si apre il Parque, una bellissima e
vasta area verde, con palme, specie tropicali, fontane
e chioschi, Qui scopriamo che nella luce del mattino,
con le botteghe ed i locali chiusi, con i soli
autoctoni in giro per le strade, le metafisiche
architetture senza tempo del centro sono, se
possibile, ancora più belle e che quelle case che si
sovrappongono l'una sull'altra, quelle ringhiere,
scale e balconi colorati e lanciati verso il cielo
siano fatte della stessa materia che qui forgia
spiagge e rocce, alberi e mare, e tutto è aria e luce.
Bei tramonti, spiagge da sogno, paesi di case bianche,
cieli e mari blu: mai visti così tanti luoghi comuni,
così tante frasi fatte, slogan da catalogo, promesse
effimere diventare così stupefacentemente vere. Ma le
nostre vacanze sono appena cominciate e altri tramonti
e villaggi ci aspettano per essere ammirati, come le
cittadine della Costa del Sol o dell'Andalusia con le
sue case bianche barbicate sulla montagna scoscesa che
degrada nella stupenda baia di una bellezza
stupefacente. A sera, dopo il tramonto, senza
malinconia e rimpianto: solo per scoprire che, anche
senza la luce del sole, immersa nel chiarore di una
notte di quasi plenilunio Malaga è pur sempre
straordinariamente bella.
Malaga può vantare un patrimonio storico e
archeologico di notevole varietà, dovuto
all'avvicendarsi di varie dominazioni. Dell'epoca
romana è rimasto il teatro romano che conserva ancora
in parte la struttura originale, dell'epoca araba il
castello de Gibralfaro (su resti fenici preesistenti)
e l'Alcázar, una fortezza-palazzo che domina la città.
Dell'epoca cristiana è invece la Cattedrale de l'Encarnaciòn:
in calcare bianco, progettata in stile gotico e
realizzato da più architetti, in epoche diverse
presenta una sorprendente sovrapposizione di elementi,
neogotici, tardo-gotici, neoclassici e barocchi.
L'imponente edificio non venne ultimato e per la
mancanza di una delle due torri campanarie della
facciata è stata ribattezzata affettuosamente La
Manquita (la monca).
Sul lato nord delle così chiamate Casas de Campus,
costruite nella seconda metà del 1800, all'angolo
sinistro, secondo piano, nacque Pablo Ruiz Picasso.
Oggi questa è la sede della Fundaciòn Picasso, mentre
il Museo Picasso (uno dei maggiori al mondo dedicati
all'artista) e il Centro di Arte Contemporanea (CAC)
sono il fiore all'occhiello dell'offerta museale della
città, che ha sottoposto la propria candidatura come
capitale europea della cultura nel 2016.
Nella zona del porto la vita notturna è intensa. In
particolare sul lungomare (zona del Palo) moltissimi
sono i ristoranti, i locali, le terrazze. Sulla
spiaggia del Pedragalejo potrete trovare i pub più in
vista della città e i ristoranti che propongono la
tradizionale cucina dell'Andalusia.
L'Istituto Picasso, nato nel 1982, è considerato una
delle scuole più importanti di Malaga, situata nel
centro storico in una delle zone più affascinanti
della città, Nelle sue vicinanze potrete ammirare la
casa museo dove nacque Pablo Ruiz Picasso e solo dopo
pochi metri troverete il Nuovo Museo Picasso Malaga,
uno dei tre musei al mondo dove espongono le geniali
opere del geniale artista. Proseguendo verso Ovest,
lungo il litorale, che offre le bellezze dei famosi
centri come Torremolinos e Marbella. A pochi kilometri
della cittadina balneare di Malaga, sorge quella di
Torremolinos.
E' il luogo di villeggiatura più grande della Spagna,
questa città rappresenta un punto centrale della Costa
del Sol, priva di attrazioni culturali o monumenti per
distrarre i visitatori dal mix di sole implacabile,
mare e sabbia, particolarmente apprezzata dai
villeggianti o da quelle persone che amano il mare Vi
sono bellissimi negozi, i bar e i caffè di Calle San
Miguel, sono uno dei luoghi di ritrovo di questa città
ricca di alloggi a prezzi estremamente convenienti.
L'ex villaggio di pescatori, La Carihuela, ti
consentirà di assaporare da vicino la cultura
spagnola. Concediti una passeggiata tra le spiagge e i
locali o noleggia un'autovettura o uno scooter se vuoi
muoverti più velocemente, come del resto abbiamo fatto
noi, che abbiamo noleggiato per 5 giorni
un'autovettura che ci ha permesso di raggiungere tutti
i centri, come Malaga, Cardava, Gran dada, Marbella,
La Ronda, ( la città delle corride e del famoso ponte)
e Mijas, la città bianca barbicata sulla montagna
brulla.
Questa linda cittadina, come leggiamo in un depliant
turistico, fu la località che guidò il primo boom
turistico della Costa del Sol dopo il 1950. Dal punto
di vista urbanistico, Torremolinos è un lungo
susseguirsi di alti palazzi sul lungomare, studiati
per accogliere il massimo numero di turisti con
comodità vicino al mare. Molto bello il lungomare di 7
km, il Paseo Maritimo. In un certo modo, possiamo dire
che, rassomiglia molto alla città di Rimini o di
Cattolica, sia per i grandi alberghi che per le ampie
e moderne spiagge attrezzatissime anche in questo
periodo, che per noi è in pieno inverno con nevicate,
gelate e molto freddo, mentre qui è eterna primavera
con le aiuole fiorite. Non si fa il bagno, ma il clima
è dolce ti consente di passeggiare lungo le grandi
spiagge. La temperatura di giorno non è mai al di
sotto i 18 gradi.
Riportiamo qui di seguito un brano della canzone di
Fred Buongusto, dedicata alla bellissima città di
Malaga:
Malaga di Fred Bongusto
"Malaga. Il mio amore è nato a
Malaga malaga malaga
Il mio cuore resta a
Malaga malaga malaga
Unitamente alla mia famiglia, la notte
del 2 gennaio corrente mese, siamo partiti da
Campitello (Mantova) diretti a Milano Malpensa, per
trascorrere una breve vacanza nella Costa del Sol.
L'aereo è partito in perfetto orario alle ore 7 e
siamo sbarcati all'Aeroporto di Malaga, alle ore
10,30. Un moderno autopullman ci ha portati a
Torremolinos, presso L'hotel Sol Don Pedro, Un grande
Hotel modernissimo che si trova in un'elegante e
tranquilla zona turistica di Torremolinos, sul
lungomare (Paseo Maritimo) della spiaggia El
Bajondillo. E' parte del complesso alberghiero Don
Hotel, con Sol Don Pablo e Sol Don Marco. A 800 m dal
centro della città, a 5 km. dalla Porto Marina a
Benalmádena, a 7 km. dall'aeroporto e a 51 km. da
Porto Banús a Marbella. Nelle prime ore del
pomeriggio. Nei giorni successivi, abbiamo capito che
le prime spiagge affollate non sono quelle caldissime
del Mediterraneo, bensì quelle più temperate della
Normandia, del Mar del Nord e del Baltico. L'isola di
Madera, nell'oceano Atlantico, è una delle mete
preferite dell'alta aristocrazia europea. In questa
felice località viene spedita anche l'imperatrice
Elisabetta (Sissi) per le sue cure. Ogni tanto accade
che ognuno di noi sente il bisogno di staccare un po'
con la quotidianità, con lo stress a cui siamo
costantemente sottoposti per mille motivi. Abbiamo
scelto di effettuare questa breve vacanza qui nella
Costa del Sol, come si dice, per cambiare l'aria e
vivere questa vacanza in armonia con questi luoghi
temperati, nella speranza che ci facciano bene alla
nostra precaria salute. Sono circa due anni che
andiamo e veniamo dall'Ospedale di Mantova, e quindi,
ne abbiamo sentito la necessità di evadere, per un
breve periodo di riposo. Mauro, il compagno di
Tiziana, che è un amante del Golf, ha trovato a Malaga
i campi di golf molto attrezzati, con i campi verdi,
dove ha potuto esprimere la sua capacità, appagando
così la sua passione. Anche noi, siamo stati in questo
paradiso terrestre che è il grande campo di Golf, di
alcuni migliaia di ettari in una vasta zona
pianeggiante di origine vulcanica, con spalle il prato
in ottime condizioni. Da quella località, si ammira un
paesaggio mozzafiato, è veramente un luogo bellissimo
con tutti i conforti e Adriana ed io abbiamo seguito i
giocatori di questa specialità a bordo delle mine
macchine elettriche, che sembrano giocattoli, ma sono
vere e proprie macchine, fatte a posta per questi
luoghi bellissimi, fra cielo, terra e mare.
In questo parco, se non fosse per il transito degli
aerei del vicino aeroporto di Malaga, si potrebbe
definire un paradiso terrestre, dove vivono e volano
in assoluta tranquillità, moltissime razze di uccelli,
dalle cocorite, ai pappagallini verdi ecc.
I borghi marinari più belli
d'Italia
Dopo le bellezze naturali che caratterizzano le Cinque
Terre, ci sembra naturale citare alcuni Borghi
marinari e medioevale della vecchia e bella Liguria a
noi molto cari, perché ci riportano indietro nel tempo
e ci fanno rivivere gli anni più belli della nostra
vita.
Andora è formata da un complesso di una trentina di
piccole ridenti borgate, raggruppate in cinque
frazioni o parrocchie: S. Pietro, il capoluogo, S.
Giovanni, Rollo, Conna e S. Bartolomeo, disseminate
sopra un territorio ora pianeggiante ed ora montuoso,
ricco di olivi, di vigneti, di foraggi, di legname, di
ortaggi, di frutta e di pesca.
Nel 967 l'Imperatore Ottone I, perdonando alla propria
figlia Adelasia la fuga con Aleramo, assegnava a
costei il Marchesato del Monferrato, al quale
incorporava il territorio di Andora, che
successivamente passò al Marchese Teti del Vasco,
quindi ai Clavesana. In seguito a guerre fra Genova
guelfa e Albenga ghibellina, i Clavesana, nel 1252,
cedettero alla Serenissima il feudo di Andora per otto
mila lire genovesi. Così Andora seguì le sorti di
Genova e quindi dei Savoia.
Oggi Andora è una cittadina moderna con le sue
bellezze naturali di cielo, di mare, di territorio
disseminato di ville e villini deliziosi, una vasta
spiaggia di finissima arena, un clima perennemente
primaverile e salubre, fanno di Andora una stazione
climatica, con il suo moderno porto e la sua lunga
passeggiata a mare, ombreggiata da una lunga fila di
palme. Il suo difetto, se di difetto si vuole parlare,
è di essere cresciuta troppo in fretta con i suoi
nuovi palazzi, alberghi e la bella chiesa con la sua
Piazza. Insomma non possiamo parlare più di un
caratteristico borgo, come quello che abbiamo
conosciuto noi, ma di una moderna cittadina.
Sulla sommità del borgo medioevale, a fianco ai ruderi
del vecchio castello, sorge una meravigliosa chiesa
romanica del XII secolo. Al principio del borgo sorge
un edificio del 1200 ben restaurato, un tempo
apparteneva a un priore benedettino e da questi ha
preso nome. Nello stesso edificio oggi c'è un
ristorante, un piano bar e una "brasserie" con qualche
tavolo all'aperto durante la bella stagione.
L'ultima volta che siamo stati ad Andora con Adriana,
siamo andati a pranzo con alcuni nostri vecchi amici
andoresi. L'accoglienza è stata gentile e il servizio
molto premuroso e accorto, l'atmosfera, raffinata e
romantica, nonostante la severità delle volte in
pietra e mattoni.
Da qualche tempo un giovane chef piemontese di nostra
lontana conoscenza, Ferrero, delizia gli affezionati
avventori con caviale Malossal, (servito con crostini
caldi, burro, uovo tritato e scalogno), insalatina
tiepida di crostacei con verdure al vapore, fantasia
di pesci affumicati, sottile filetto aromatizzato
all'olio di tartufo bianco, ravioli alla crema di
tartufo, spaghetti ai crostacei, risotto del Priore al
champenois con crema di tartufo bianco, tagliolini
alle triglie e zafferano in pistilli, pesce fresco di
giornata al forno e agli aromi, astice al burro fuso,
filetto di Agnes - beef al rosso di Borgogna, lombata
di agnello normanno con salsa di rosmarino.
Si tratta di una cucina piuttosto originale con
abbinamenti talvolta arditi ma di grande
soddisfazione.
Ricordo che quella volta è stato un pranzo fantastico,
all'altezza della situazione. La carta dei vini
proponeva ben 200 etichette, tra cui il rosso Ormeasco
di Ramò, il Barbera Burdinoto del Ciabat e la
Bianchetta genovese Bisson oltre a qualche francese.
Possiamo dire che si tratta di un locale raro in
Liguria e i proprietari, i fratelli Bestoso, sono
stati giustamente premiati con una affluenza che rende
quasi indispensabile la promozione, come potrebbe dire
un vero esperto di culinaria.
In quella occasione abbiamo potuto capire che la
clientela della "brasserie" è più informale. Tutti i
clienti, però, sia nel ristorante sia nella
"brasserie", sono accomunati dalla ricerca del buon
cibo e del bell'ambiente immerso nella quiete e nel
verde degli ulivi secolari, nonché fra i ruderi delle
antiche costruzioni medioevali.
Con queste sensazioni l'escursionista percorre le
colline e i dirupi strapiombanti di Capo Mele con in
cima il Faro e Capo Mimosa su quel mare meraviglioso,
sicuro di incontrare l'aspetto immutato come può
accadere solo in un'opera d'arte, la quale, non appena
il suo creatore se ne stacchi, domanda soltanto
d'essere guardata e conservata nella memoria.
Qui le immagini sono contornate dal profumo delle
ginestre, del rosmarino e delle altre piante
aromatiche che crescono spontanee sui costoni e
attorno alle povere case colorate e costantemente
illuminate dal sole sui crinali. La fitta macchia di
lecci, lentischi, pino marittimo e pinastro che
attecchiscono molto bene in quei luoghi aridi sono
ancora plasmate in un antico silenzio. Qui nel Borgo
Marinaro di Andora, abbiamo trascorso, unitamente alla
mia piccola famiglia, oltre cinque anni. Giunti dalla
città di Alessandria, nell'autunno del 1957, in
seguito al matrimonio con Adriana mia moglie. Due anni
più tardi è nata la piccola Tiziana, che ha riempito
di gioia la nostra minuscola famiglia. Il Comando
della Stazione Carabinieri di Andora, è stato per me
un'esperienza bellissima. In seguito alla promozione
di V, Brigadiere, siamo stati trasferiti al II
Battaglione CC. di Genova, quale istruttore. Il nostro
Reparto meccanizzato era accasermato nel Forte di S.
Giuliano, alla periferia della Città di Genova.
Dall'alto del Forte si ammira un paesaggio mozzafiato,
fra cielo, mare e monti.
Il Forte San Giuliano lambisce il mare a levante di
Genova, in una zona che anticamente era dominata da
scogliere e che oggigiorno ospita la promenade sul
mare di Corso Italia.
Proprio la vista da Corso Italia del Forte San
Giuliano non rende merito a questa struttura poiché
nel 1937, lato mare, vennero edificate delle
postazioni di contraerea che alterarono
definitivamente il prospetto sud.
Il Forte San Giuliano venne costruito tra il 1819 e il
1836 e comprendeva due caserme, nella caserma a nord
(l'attuale Via Gobetti) è presente l'ingresso
principale del forte, originariamente con ponte
levatoio.
Dal maggio 1995 è diventato sede del Comando
Provinciale dei Carabinieri e nel 2001, in occasione
del G8 di Genova, ha subito un'ulteriore
ristrutturazione di ammodernamento, rendendo i locali
del Forte più vivibili. La storia ci racconta che fino
ai primi anni del '900 al posto del lungomare di corso
Italia esistevano delle magnifiche scogliere. Strette
creuze, delimitate dagli alti muraglioni di cinta
delle ville signorili, iniziavano dall'odierna via
Albaro e terminavano al mare. La zona tra Punta Vagno
e San Giuliano era servita da una creuza. La
costruzione di corso Italia ha irrimediabilmente
rovinato quel romantico sito che era la Marinetta,
zona antistante al Forte San Giuliano. In quella
bellissima spiaggia, gestita dal Presidio Militare, vi
portavamo la piccola Tiziana, per fare i bagni e
prendere il sole. La spiaggetta era servito da Bar-
Ristorante, gestito dall'Amministrazione Militare.
La primitiva opera fortificata nella zona di San
Giuliano è stata la Batteria Sopranis, approntata
nella tarda estate 1745 sulla scogliera a picco sul
mare. Nel 1818 fu presentato un progetto per
rinforzare le strutture della prospiciente villa
Sopranis con lo scopo d'impedire attacchi e sbarchi
nemici. L'idea, in un primo momento resa esecutiva, fu
successivamente accantonata a favore del Forte,
realizzato, con alterne vicende, fra il 1819 ed il
1832 (la realizzazione del Forte vero e proprio iniziò
nel 1827 e terminò dopo il 1836).Questo era in parte
circondato dal fossato e comprendeva due caserme.
L'ingresso principale è situato nella caserma nord,
oggi ben visibile da via Gobetti, la quale conserva,
ancora funzionante, l'originario sistema di chiusura
del ponte levatoio. Una galleria di scarpa ed un'altra
di controscarpa, ancora conservate ed alle quali è
legata una strana leggenda, circondavano quasi
completamente il complesso. Nel corso degli anni
l'opera ha subìto sostanziali modifiche e mutilazioni,
delle quali quelle visibili da corso Italia sono le
più eclatanti. Intorno al 1937 furono edificate, sul
lato mare, numerose postazioni della contraerea.
Ulteriormente guarnito, divenne inoltre triste luogo
di tortura e condanne a morte: all'alba del 3 marzo
1944 vi furono fucilati sei partigiani, tra i quali
Giacomo Buranello. Nell'immediato dopoguerra si
demolirono le piazzole della contraerea, ricavando un
ampio slargo. Successivamente venne assegnato alla
Regione Carabinieri Liguria. La fortificazione, con
l'inaugurazione del 13 maggio 1995, è divenuta sede
del Comando Provinciale Carabinieri di Genova, per
questo motivo non è visitabile.
I FORTI E LE MURA DÌ GENOVA
Genova é stata, da sempre, epicentro della vita
politica e culturale del mediterraneo per la sua
posizione strategica. Per difendere questa posizione
Genova si é lungamente dotata di mura, torri e
castelli.
Della cerchia più interna (e più antica) rimangono
pochi tratti di mura, alcune porte e alcune torri
medievali.
Delle "nuova mura" costruite tra il 1700 e il 1800,
invece, rimangono notevolissime testimonianze
cancellate dall'espansione della città solo nella
parte a mare (in particolare con l'abbattimento del
promontorio tra la città e Sampierdarena). In questo
percorso, che lambisce e protegge la città, si trovano
forti, mura, torri, polveriere ancora in buone
condizioni e in un contesto naturale bellissimo e
quasi incontaminato per una città così stretta tra il
mare ed i monti come è Genova. Da una di queste rupe,
nel grande Porto Commerciale, sorge il grande e
caratteristico Faro, detto comunemente la " Lanterna
di Genova".
Durante il periodo della nostra permanenza al Forte
San Giuliano, in qualità di istruttore, con la mia
famiglia, abbiamo effettuato moltissime passeggiate e
abbiamo scoperto meravigliosi angoli suggestivi della
costa. In quel tempo esisteva e forse esiste ancora
oggi, un caratteristico tranvai, che da Piazza Verde,
ci portava fino a Nervi.
La storia ci racconta che dal Borgo marinaro di
Quarto, dove avvenne la spedizione dei Mille. E' un
celebre episodio del periodo risorgimentale italiano,
avvenuto nel 1860 allorquando un corpo di volontari,
protetto dal Piemonte, al comando di Giuseppe
Garibaldi, partendo dalla spiaggia di Quarto, in
Liguria, sbarcò in Sicilia, presso Marsala, e
conquistò il Regno delle Due Sicilie, Giuseppe
Garibaldi l'eroe dei Due Mondi, Raccolto un corpo di
spedizione composto da circa mille uomini (le Camicie
rosse), Garibaldi raggiunse via mare la Sicilia
partendo appunto da Quarto, presso Genova con due
piroscafi: il Piemonte e il Lombardo. Approdò a
Talamone per rifornirsi di armi. Successivamente
Sbarcò nel porto di Marsala proclamandosi dittatore
della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, da lui
appellato re d'Italia.Liberata la Sicilia dai
Borbonici 29 agosto 1862 ebbe luogo la giornata
dell'Aspromonte, quando l'esercito regio fermò il
tentativo di Garibaldi e dei suoi volontari di
completare una marcia dalla Sicilia verso Roma e
scacciarne papa Pio IX.
Nel 1862 a seguito della questione romana, in cui
sembrava che il governo italiano volesse tenere un
livello di basso profilo, e dell'accordo con Napoleone
III, Garibaldi tentò di arrivare a Roma con 3.000
volontari. Ma la risoluta reazione dei francesi
costrinse Urbano Rattazzi ad intervenire e a mandare
il generale Enrico Cialdini a fermare Garibaldi.
Lo scontro si svolse a pochi chilometri da Gambarie il
29 agosto 1862, nel corso del quale Garibaldi fu
ferito e preso prigioniero, insieme ai suoi seguaci.
Questo episodio è ricordato come la (giornata
dell'Aspromonte), alcuni dei quali vennero fucilati.
Garibaldi fu condotto all'ospedale militare del
Varignano, presso La Spezia per esservi curato e, dopo
la guarigione, gli venne concesso di tornare alla sua
residenza di Caprera.
Nella località del comune di Sant'Eufemia
d'Aspromonte, dove l'eroe fu ferito, si trova un
mausoleo con un suo busto e delle lapidi che lo
ricordano ed è indicato l'albero che secondo i ricordi
è quello dove egli si appoggiò ferito. Al Museo del
Vittoriano a Roma sono conservati i cimeli
dell'episodio (lo stivale forato e la pallottola).
La località di Gambarie, dove fu ferito Giuseppe
Garibaldi, dista pochi chilometri da Cosoleto, il
piccolo Borgo Aspro montano che mi diede i natali. Nel
periodo della mia giovinezza mi recai più volte a
visitare quella località storica, e soprattutto, dove
l'occhio si perde all'infinito in un paesaggio
fantastico.
IL VOLTURNO, con la battaglia del Volturno del 1860:
che fu l'ultima battaglia dei Mille . Infine, quella
del Volturno è una battaglia che merita di essere
ricordata nel 150esimo anniversario dell'Unità
d'Italia. La Battaglia del Volturno è il nome sotto di
cui si raccolgono alcuni fatti d'armi tra i volontari
garibaldini e le truppe borboniche, avvenuti tra il
settembre e l'ottobre 1860 nei pressi del fiume
Volturno, corso d'acqua dell'Italia meridionale che
bagna Capua e sbocca in mare tra Napoli e Gaeta.
La battaglia principale si svolse il 1º ottobre 1860 a
sud del fiume. Furono impegnati circa 24.000
garibaldini, costituenti l'esercito meridionale,
contro circa 50.000 borbonici Al conflitto partecipò
anche Carmine Crocco, allora sconosciuto disertore
alleato di Garibaldi e divenuto poi noto
insurrezionali sta del periodo post-Unitario. Essa è
una delle più importanti del Risorgimento, tanto per
il numero dei combattenti coinvolti che per i
risultati ottenuti da Giuseppe Garibaldi, che arrestò
la ripresa offensiva dell'esercito borbonico dopo la
sua ricostruzione tra le mura di Capua. Ragioni
politiche e incomprensioni non diedero per lungo tempo
la dovuta importanza a questa battaglia, di carattere
offensivo per le truppe borboniche. Ai borbonici, bene
armati ed equipaggiati, con buoni ufficiali e soldati,
venne meno l'abilità dei capi, a differenza dei
garibaldini, mal preparati, ma comandati da militari
capaci e di grande ascendente, a cominciare da
Garibaldi, che mostrò un notevole intuito tattico. I
borbonici persero giorni preziosi prima di attaccare,
a tutto vantaggio dei volontari che ebbero tempo di
rafforzarsi sul terreno. "Le cui ossa si sono forse
mischiate con quelle di cui parla Roberto Saviano, Che
sia stato qui o lì, di quell' incontro resta, bella e
amara, Mi venne quasi buio per un istante; ma potei
vedere Garibaldi e Vittorio. ... Garibaldi accompagnò
il Re a Teano.dove avvenne la famosa e stretta di
mano":
Per rimanere nella bella Campania del nostro tempo,
nella battaglia della spazzatura, che ha infestato la
città di Napoli e la rivolta dei cittadini che non
vogliano le discariche, dove sono prigionieri
dell'immondizia", abbiamo letto un bellissimo
articolo, che riportiamo qui di seguito, che è di
grande attualità ed è apparso sul Corriere della Sera,
a firma dei giornalisti Stella Gian Antonio e Rizzo
Sergio, con il seguente titolo.
"Le campagne sacre all'Italia tra discariche e
disumanità"
"Le terre Intorno al Volturno, che videro la storica
stretta di mano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II,
sono un girone infernale dove tutti sono prigionieri.
Hanno sepolto perfino un camion con rimorchio, nelle
discariche abusive sparse per queste campagne "sacre
all' Italia". Un tir tutto intero. Motrice, cabina,
cassone, traino, assali, pneumatici. Tutto. Magari
insieme, chissà, col cadavere del camionista. Le cui
ossa si sono forse mischiate con quelle di cui parla
Roberto Saviano, che racconta come i cimiteri per
liberarsi periodicamente delle salme più vecchie "che
i becchini più giovani chiamano "gli arcimorti"" diano
una mazzetta a questi becchini "per farli scavare, e
poi buttano tutto sui camion. Terra, bare macerate e
ossa. Trisavoli, bisnonni, avi di chissà quali città
si ammonticchiavano nelle campagne casertane" al punto
che "ormai la gente quando passava vicino si faceva il
segno della croce, come fosse un cimitero". E se qui
son capaci di seppellire un camion, che problema ci
sarà mai a seppellire un pezzo di storia? Queste
campagne intorno al Volturno, dove si andò a compiere
la saldatura tra il Nord e il Sud dell' Italia, sono
irriconoscibili rispetto a quelle che videro la
celeberrima stretta di mano, un secolo e mezzo fa, tra
Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi.
Quando il condottiero si fece incontro al sovrano
pronunciando le parole entrate nella leggenda, "Salute
al re d' Italia!", non dovevano essere poi così
diverse da quelle cantate nei secoli da tanti
scrittori. Da Plinio il Vecchio ("da questo punto
hanno inizio i colli pieni di viti e l' ubriachezza
nobilitata da un succo famoso nel mondo intero e (.)
comincia qui l' estrema lotta di Libero Padre con
Cerere", cioè tra Bacco e la dea della fertilità) a
Goethe ("Si aprì innanzi ai nostri occhi una bella
pianura") fino a Charles Dickens, ammaliato da "una
strada piana che si allunga in mezzo a viti tenuti a
tralci che paiono festoni tirate da un albero all'
altro".. Doveva essere stupenda, questa campagna poi
stuprata da decenni di assalti cementisti, sciatteria
amministrativa, smottamenti morali, prepotenze
camorristiche. Stupenda. Oggi nel Volturno, che porta
al mare tra le altre le acque reflue di Benevento
(dove il depuratore è in programma dal 1977: campa
cavallo.) o nei canali dei Regi Lagni costruiti dai
Borboni a partire dal' 700 per drenare le acque nell'
agro casertano, versano decine di comuni. E al mare
marroncino arriva di tutto: il percolato delle
discariche di immondizia, i rifiuti degli allevamenti
bufalini, le carcasse dei bufali maschi neonati.
Uccisi perché non produrranno latte e anzi per
crescere ne consumano. Qualche esemplare destinato
alla riproduzione si salva. Gli altri buttati nei
canali.
O ammazzati e sepolti. A marzo l'Asl ha trovato nella
campagna di Castel Volturno una fossa con 57 bufalotti.
Seppelliti in una cava di sabbia in disuso. Sono state
una peste, quelle cave. Scava scava ("nessuno
dimentica le file infinite dei camion che depredavano
il Volturno della sua sabbia", si legge in Gomorra) il
cosidetto "cuneo salino", complice l' erosione
costiera provocata dalla cementificazione selvaggia,
come da tempo denuncia inascoltata Italia Nostra, è
penetrato in profondità nel territorio. Anche per
quattro o cinque chilometri. Compromettendo l'
ecosistema una volta straordinario. "Presto",
profetizza l' ex sindaco di Castel Volturno Mario
Luise, "non si potrà più coltivare". Discariche
abusive, montagne di eco balle e pattume dappertutto:
fra le case, lungo le strade, nei campi. Nella
Provincia di Caserta la raccolta differenziata non si
sa manco cosa sia. Nel 2007 era al 7,1%, contro una
media regionale, infima, del 13,5% e una media
nazionale, già modesta, del 27,5%. Sette per cento: un
settimo scarso rispetto al 51,4% del Veneto. Quel po'
di agricoltura che resiste si regge sul lavoro nero
degli immigrati. Li vedi alle 5 di mattina alle
rotonde, assonnati e infreddoliti d' autunno, che
aspettano i Califfi, così chiamano i caporali,
sperando di svoltare una giornata. A tirar su un muro
di mattoni, a scaricare ponteggi, a raccogliere
cipolle. La paga è da fame: 15 o 20 euro per dieci,
dodici ore di lavoro, cambia a seconda del colore
della pelle. Più ce l' hai scura, più fatichi. Tutti i
lavori pesanti spettano agli africani della Nigeria e
del Ghana che a Castel Volturno sono le comunità più
numerose. Quanti sono? Quelli regolari duemila. Ma i
clandestini il triplo. Seimila o molti di più.
Ammucchiati soprattutto in città fantasma come la
"Destra Volturno". Una distesa di case abusive
presidiata dai cani randagi. Qualche donna, come
Amina, ha una tessera con scritto "Permesso di
soggiorno elettronico". Per averla ha pagato seimila
euro a un italiano che l' ha registrata come badante
per consentirle di accedere all' ultima sanatoria.
Seimila euro: quattro anni di stipendio, in Nigeria.
Ma quella carta salva dai carabinieri, dal foglio di
via, dal rischio di passare sei mesi in un Cie, i
Centri di identificazione ed espulsione. Anche se poi
nessuno degli africani clandestini che abitano sulla
costa Domizia va mai via davvero. I soldi per le
espulsioni non ci sono. I pochi che finiscono nei Cie,
passati i sei mesi escono con un altro foglio di via e
la giostra continua. All' infinito" La stessa cosa è
successo nella Piana di Rosarno (R.C.), con la rivolta
degli operai di colore, che erano costretti a dormire
in baracche fatiscenti al freddo e senza acqua
potabile. Anche questi immigrati venivano e vengono
mal pagati e sono diretti dal caporalato locale. Gli
agrumi: aranci, mandarini e limoni della Piana,
vengono raccolti dagli operai di colore, perché non si
trova la manodopera locale. Sì, tutto il mondo è
paese, recita un vecchio proverbio. Qui nella bella
Liguria, profumata di mille qualità di fiori, ogni
tanto, le acque della costa, vengono avvelenate dagli
scarichi delle navi, che arbitrariamente scaricano in
mare nottetempo, il lavaggio delle cisterne. In
passato è successo che qualche petroliera si è trovata
in difficoltà, a causa di grosse mareggiate,
affondando con tutto il carico e avvelenando le coste
e i fondali. Ma qui, per fortuna, non centra la mafia
o la camorra. Lasciamo questa storia triste, che
purtroppo è una piaga dolorosa e che fa parte
integrante del nostro Paese e ritorniamo a parlare dei
nostri ricordi e dei luoghi caratteristici, che ci
hanno impressionato.
Prima di scoprire le Cinque Terre, Portofino e San
Fruttuoso, abbiamo scoperto un meraviglioso e
pittoresco borgo marinaro, chiamato appunto Boccadasse.
E' un antico e caratteristico borgo di pescatori.
Boccadasse è oggi un quartiere come un altro nel mezzo
della città di Genova, ma allo stesso tempo è un borgo
antico, che ha mantenuto le sue caratteristiche di
borgo pressoché intatto come l'avrebbe potuto vedere
qualcuno un centinaio d'anni fa e prima ancora.
L'origine del nome è incerta, una delle teorie più
accreditate fa derivare il nomi del borgo dalla forma
della piccola baia, Boccadasse è la contrazione di
bocca d'asino ("böcca d'äse" in genovese).
Boccadasse è un quartiere amatissimo dai genovesi,
proprio perché è rimasto quasi immutato nel tempo. A
Boccadasse il tempo sembra essersi fermato: non ci
sono stabilimenti balneari, non c'è traffico
automobilistico, c'è solo una piazzetta, le barche, la
spiaggetta e la vista eccezionale che si spinge nelle
giornate limpide fin' oltre la silhouette del
promontorio di Portofino.
L'antico borgo (dove abita - tra l'altro - anche
Livia, l'eterna fidanzata del Commissario Montalbano,
l'eroe dei gialli di Andrea Camilleri) è un luogo di è
da tempo immemorabile è luogo dove i genovesi vanno a
fare due passi ed a mangiare il gelato, come spesso
abbiamo fatto noi. A boccadasse è ancora attiva una
delle poche gelaterie che oltre 30 anni fa facevano il
gelato durante tutto l'arco dell'anno!) La piccola
baia e le piccole case dalle tinte pastello che la
incorniciano, formano un luogo ideale per coppie
innamorate alla ricerca del romantico.
BORGO MARINARO
Dal piazzale
Del forte San Giuliano
Tra una pausa e l'atra
Delle esercitazioni militari
Spesso mi fermavo a guardare
L'orizzonte colorato
E l'azzurro mare
Ma poco lontano dal forte
Sorge il borgo marinaro
Di Boccadasse
Con le sue case color pastello
E le barche ancorate nel pontile
Oggi è un quartiere come un altro
In mezzo della città di Genova
Ma è rimasto come un'isola felice
Mantenendo le sue caratteristiche
Del Borgo antico
Come era tanti anni fa.
L'origine del nome è incerto
Boccadasse
Che deriva da ( bocca d'asino
("böcca d'äse" in genovese).
Vi è rimasto intatto il Borgo
Le barche e la spiaggetta
Il tempo sembra essersi fermato
Anche i vecchi marinai
I lupi di mare con la pipa in bocca
Si fermano a guardare il loro mare
Non ci sono stabilimenti balneari
La vista è eccezionale
Che si spinge
Nelle giornate limpide
Fin oltre la silhouette del promontorio
Di Portofino.
PORTO VENERE
Tra un borgo marinaro e l'altro, abbiamo scoperto
quello di Portofino, che é' una zona lodata nei secoli
per la sua bellezza. Da Plinio il Vecchio a Goethe,
fino a Charles Dickens ammaliato da "una strada piana
che si allunga in mezzo a viti tenuti a tralci che
paiono festoni tirate da un albero all' altro".
Charles Dickens I comboniano hanno messo su "una
parrocchia volante" per stare accanto agli immigrati.
La città della Spezia è posizionata al centro del
Golfo dei Poeti che si apre a Levante con il
suggestivo paese di Porto Venere e le sue isole e si
chiude a ponente con il castello di Lerici. Una terra
racchiusa tra le baie con la costa frastagliata e il
monte Parodi il più alto tra la catena collinare che
cinge il golfo.
Cantato da Byron e Shelley Petrarca e Montale, il
Golfo dei Poeti è molto apprezzato nelle calde
giornate estive tra scorse mare ad ammirare la
splendida baia o fra gli stretti vicoli dei borghi
medievali che lo compongono.
I. Nella parte più occidentale del golfo di La Spezia
si trova il borgo di Porto Venere. Il paese è disteso
su un promontorio frastagliato da alte scogliere e
completato da tre piccole isole: Palmaria, Tino e
Tinetto Prende il nome da un tempio eretto in onore di
Venere Ericina, in epoca romana, costruito sul
promontorio che chiude il paese in cui ora si può
ammirare la Chiesa di San Pietro in stile gotico
genovese (XIII sec ) Nella parte alta del paese spicca
il Castello, una fortificazione realizzata nel XVII
secolo, adibita a carcere per detenuti politici al
tempo di Napoleone Bonaparte, da cui si gode un'ottima
vista del tramonto sulla costa che conduce alle 5
Terre. Lungo questi sentieri panoramici di grande
bellezza naturalistiche e di magnifici Borghi Marinari
e sullo sciogliere di Porto Venere, i poeti inglesi
Giorg Sander e Bayro, hanno scritto bellissime pagine
nei loro libri, che sono stati letti in tutto il mondo
e rendendo più questi popolare incantevoli luoghi.
Un po' di storia
Le origini di Portofino si perdono nella più remota
antichità: c'è chi lo vuole di origine fenicia, chi di
origine greca, chi solamente romana. Ma è probabile
che la sua nascita risalga alla protostoria, poiché
non è pensabile un luogo così riparato dai venti e dal
mare senza alcun insediamento umano.
E se i fattori geografici favorirono il sorgere dei
primi nuclei abitati, questi stessi fattori hanno
contribuito a rendere Portofino un centro turistico
conosciuto in tutto il mondo.
L'antico "Portus Delphini" ricordato da Plinio, ha
origini molto remote, legate alla sua ubicazione che
lo rendeva un sicuro approdo per le navi. La sua
posizione e la natura incantevole attrassero non solo
l'attenzione di Plinio, che le descrisse
nell'itinerario ligure, ma anche quella dei cartografi
e dei geografi dell'antichità quali Pomponio Mela e
l'Anonimo Ravennate.
L'Itinerarium Maritimum, un portolano del III secolo
D.C. , considerato il più antico documento di questo
genere, fa menzione di "Portus Delphini".
Con la romanizzazione della Liguria, Portofino divenne
colonia romana per poi passare sotto la giurisdizione
degli imperatori del Sacro Romano Impero nell'Alto
Medioevo. Nel secolo X divenne proprietà dell'abbazia
di San Fruttuoso, sottraendosene poi nel 1175, quando
i diritti sul borgo vennero acquistati dai consoli di
Rapallo per 70 lire genovesi.
Dal cronista pisano Bernardo Marangone apprendiamo che
nel 1072 i suoi concittadini, armate diverse galere,
andarono all'assalto del borgo, rimediando una dura
sconfitta.
Nel 1425 il paese fu in possesso di Tommaso
Campofregoso. Il dominio di questa famiglia non si
protrasse però a lungo: già nel 1430 i genovesi, alla
guida di Francesco Spinola, si impossessarono di
Portofino e vi rimasero per quindici anni; nel 1445,
infatti, Giovanni Antonio Fieschi, in aperta ostilità
con la Repubblica di Genova, occupò Portofino e vi
esercitò il suo potere. Questa occupazione doveva
avere carattere dimostrativo perché il Fieschi, in
breve tempo e volontariamente, restituì il paese a
Genova. Nel 1459 un altro Fregoso, Pietro, riprese il
borgo alla Repubblica. Ma anche stavolta il dominio fu
di breve durata. Nel 1513 gli Adorno e i Fieschi,
appoggiati militarmente dal duca di Milano Francesco
Sforza e da truppe svizzere, occuparono il borgo. La
Repubblica riuscì tuttavia, con un'azione affidata a
4000 fanti, fra mercenari e genovesi, a rientrare in
possesso del paese, sconfiggendo anche i valorosi
uomini di Andrea Doria che l'ammiraglio aveva sbarcato
dalle sue galere in aiuto di Filippino Fieschi,
comandante della fortezza portofinese. Andrea Doria
non dimenticò però la sconfitta, e nel 1527, tornò
nelle acque del Tigullio dove dopo una lunga battaglia
contro le milizie dogali, riuscì ad impadronirsi del
paese. Nel 1554, affidandosi alla direzione del
milanese Gian Maria Olgiato, la Repubblica di Genova
fece rimodernare il sistema difensivo di Portofino, ed
in particolare la fortezza di San Giorgio.
La storia successiva di Portofino si identifica con
quella di Genova. Nel 1814 il piccolo borgo di
pescatori fece da sfondo ad un duro scontro fra
inglesi e truppe napoleoniche, scacciate, queste
ultime, dal castello nel quale si erano asserragliate.
Le uniche conquiste che il più famoso borgo del
Tigullio dovette subire, furono quelle da parte del
movimento turistico internazionale che con il costante
favore accordato a Portofino gli hanno fatto
guadagnare l'appellativo di "Perla del mondo".
VENTO DI MARE
Oggi è una giornata
Grigia. Fredda e senza sole
E come due innamorati
Senza amore
E'una giornata noiosa
Piovosa e sciroccale,
Soffia un forte vento
E gonfia pauroso il mare.
Le onde sono alte
E spinte dal vento maestrale
Che spazza via ogni cosa
Le imbarcazioni sono
Nel piccolo porticciolo ancorate
E i vecchi marinai
Stanno sulla riva a guardare,
Anche le ville sul litorale
Sono raggiunte dalle alte onde
Che s'infrangono sul costone
Dove i bianchi gabbiani
Stanno a guardare:
E' bello sognare sul mare
E vedere come l'onda che si colora
E subito dopo scompare
Prima che la si possa sognare,
Vedere e comprendere
Scendere sul litorale e camminare
Sulla sabbia bagnata
Che cosa romantica:
Il Faro, il tramonto,
Le barche dei pescatori colorate,
Per prendere il mare mosso
E farne tempesta e rabbia di stelle
Qui sulla magnifica
E pittoresca baia di Portofino
Dove anche le sfortunate principesse
Sognavano un mondo diverso
Illuminato da quello spicchio di luna.
Con la gobba che si dondola nel cielo ......
Il contrasto con località come Portofino
E San Remo,
E la baia dei Poeti e ...
Violentata dall'Orco e dai
Media.
Il volto moderno di un paese sta dipinto su lo sfondo
della sua storia, e questo paesaggio storico è
disposto naturalmente in più piani, che sfumano e si
confondono su l'orizzonte, tra cielo, terra e mare,
tra preistoria e leggenda. Stiamo parlando dell'antica
terra di Puglia e della bellissima regione del
Salento. L'anno scorso siamo stati in vacanza nel
Salento e precisamente a Torre Mozza, in quel
bellissimo mare di Santa Maria di Leuca, in quel mare
che anche Sarah e sua cugina volevano andare a fare il
bagno, ma l'Orco di suo zio l'ha uccisa e violentata,
occultando il corpo in un pozzo, fra gli antichi e
contorti uliveti, piantati dagli antichi coloni della
Magna Grecia. Gli inquirenti stanno ancora completando
le ultime indagini del caso. La nostra è una
deformazione professionale, che ci porta a dubitare ,
non solo dello zio reo confesso, ma anche della cugina
amica del cuore di Sarah. Non so perché, ma ho un
presentimento che in questo delitto ci sono dei lati
oscuri che gli inquirenti stanno, giorno dopo giorno,
dipanando la lunga matassa dei tanti indizi che vanno
chiariti.
Sì, ne sono convinto anch'io, che al mosaico del
delitto della giovane Sara Scazzi, mancano ancora
molte tessere. Sembra che sul telefonino ci sono
diverse impronte da definire da parte del Ris di Roma.
In questi ultimi giorni sia sugli articoli apparsi dei
vari giornali e soprattutto nei dibattiti televisivi
di Porta a Porta, condotto da Bruno Vesta e sul
programma di "Domenica In", condotto da Massimo
Giletti, dove secondo il mio modesto punto di vista da
uomo della strada, altro non sono che un vero e
proprio dibattito o meglio dire; un processo mediatico
alle intenzioni. In questi dibattiti o trasmissioni
come dir si voglia, spesso vi partecipano degli
studiosi, professionisti e luminari del "Crimine", che
dibattono sulla sfumatura di un piccolo indizio, per
approfondire e ricercare qualche elemento che possa
chiarire ogni dubbio sulle modalità del delitto della
povera Sarah.
Oggi, non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo,
succedono fatti di una tale gravità, che fanno
raddrizzare i capelli, sotto lo sguardo della gente
nella loro totale indifferenza. L'indifferenza la vedi
nelle persone che non si degna di fermarsi e guardare
cosa e' successo e neppure per dare un segno di
conforto, come nel fatto successo a Roma nel piazzale
della Metropolitana, dove una signora romena e stata
aggredita e buttata a terra, battendo la testa
sull'asfalto e che versa in gravi condizioni in
ospedale.. Ecco cos'e' l'indifferenza. Ai miei tempi
non succedevano certe cose, o meglio succedevano, ma
non nella misura e gravità di oggi. In 41 anni di
servizio nell'Arma, in qualità di Comandante di
stazione distaccata, in molte provincie del Nord e in
Liguria, non ho mai rilevato dei reati per esempio di
" stupro", reato questo, perseguibile per querela di
parte, mentre oggi si procede d'ufficio ed è previsto
l'arresto del colpevole. In quei tempi, si diceva che
i "panni sporchi" si lavavano in famiglia. Questo
brutto reato, che fa drizzare i capelli, spesso si
consumava fra le pareti domestiche ed era un disonore
della famiglia se si sapesse in giro. Ecco, perché non
si arrivava alla denuncia vera e propria alle Autorità
competenti. Qualche volta si veniva a conoscenza,
perché la gente ne parla, specie nei piccoli paesi di
provincia, ma venivano a mancare gli elementi per
procedere d'Ufficio, al massimo, per dovere d'Ufficio,
si inviava all'Autorità giudiziaria una segnalazione e
tutto finiva lì. Oggi, le strade della periferia sono
infestate dalla prostituzione e dell'accattonaggio. Si
vedono circolare gente di ogni nazionalità e colore,
che commettono furti, rapine e stuprano le donne che
circolano da sole specie nelle ore notturne o
all'uscita delle discoteche . " Non c'è pace fra gli
ulivi", come recitava un vecchio film neo realista
degli anni Cinquanta .
Alcuni giorni fa, come al solito faccio tutte le
mattine, mi fermo al Bar del paese, per incontrare gli
amici e dare uno sguardo ai giornali, per vedere che
cosa é successo durante la notte. Nell'occasione mi è
capitato di leggere sulla Voce di Mantova un articolo
dell'omicidio di Sarah Scazzi, barbaramente uccisa e
violentata dall'orco dallo zio. L'articolista l'ha
immedesimato al caso di Maria Goretti, che è stata due
volte vittima. Due volte, perché oltre alla ferocia di
uno zio mostro che l'ha uccisa e stuprata, c'è stata
la continua morbosa attenzione dei mass media, durata
42 giorni.
Su Facebook, leggiamo che ogni tanto la Cronaca è un
luogo di terribili nefandezze, in cui il mestiere di
giornalista o cronista mostra il suo lato più
negativo. E la cosa si scatena soprattutto quando
soggetti dei grandi fatti di cronaca sono persone
deboli, culturalmente e soprattutto incapaci di
difendersi. Con la povera Sarah è successo anche
questo. Ad altra persona sono stati pubblicati i diari
di scuola, dalle frasi da adolescente ai disegnini? A
chi è capitato vedere pubblicate le confessioni?
Private fatte con le amiche? Frasi del tipo. "Ho
litigato con mia madre, mi mancano mio fratello e mio
padre"? E poi i differenti profili di Facebook,
proposti raccontati, analizzati come terribili prove
del reato, diventati subito terreno di congetture
maligne. Gli adulti conosciuti in chat, la sua
passione per Marilyn Manson, la sua cameretta ripresa
in ogni angolo e mostrata nei collegamenti tv… Non ci
è stato risparmiato niente. Sì, è proprio così, non le
è stato risparmiato nulla.
Nel caso della povera Sarah, appunto, sui programmi
televisivi si sta dibattendo su dei probabili segreti
di Sarah, come per esempio sui probabili palpamenti
dello zio Michele Misseri e sulle regalie che di tanto
in tanto le faceva il mostro alla nipote. Si è
dibattuto anche sulle indagini degli inquirenti,
perché non sono stati posti sotto sequestro i locali
dove si è verificato il delitto, come il garage? Noi
in qualità di lettori non siamo in grado di dare
alcuna indicazione, si tratta di indagini in corso e
gli inquirenti sanno che cosa devono fare e non hanno
bisogno dei nostri suggerimenti. Ognuno fa il proprio
mestiere, il cronista deve svolgere quella di cronista
e gli inquirenti quella di inquirenti.
Il cronista mantovano, è ritornato indietro nel tempo,
è ha paragonato il caso di Sarah Scazzi, a quello di
un'altra ragazza, quando nelle paludi dell'agro
pontino, nel pieno della sua fanciullezza, è stata
uccisa barbaramente da un coetaneo, un giovane
spasimante del luogo, perché voleva abusare di lei:
Quella ragazza, era Santa Maria Goretti, nata il 16
ottobre 1890 a Nettuno e il fatto si è verificato il 6
luglio 1902.)
Mi sono domandato, cosa hanno in comune questi due
avvenimenti con la piccola "Marietta" (così veniva
chiamata familiarmente Maria Goretti), che preferì
farsi uccidere piuttosto che perdere la sua
illibatezza? Sono storie diverse, soprattutto se
consideriamo tutto il contesto in cui sono avvenuti i
fatti... Ma la purezza del cuore può essere desiderata
da chiunque, anche da chi ha una vita che per alcuni
può sembrare "traviata".
Dai commenti apparse sulle pagine di FaceBook, abbiamo
tratto queste considerazioni:
"Non solo i giornalisti devono chiedere scusa, ma
anche ciascuno di noi telespettatori che abbia
ascoltato con avida curiosità tutte queste squallide
sciocchezze e che ancora adesso coltivi magari la
morbosa attesa di altri scabrosi particolari non
ancora chiariti. In tutta questa vicenda il lavoro
degli inquirenti è invece un fatto positivo ed
encomiabile. Si deve al loro ostinato, incrollabile
impegno il fatto che oggi una famiglia può piangere,
celebrare le esequie della propria bambina, curarne la
tomba e, nel tempo, ritrovarla in un'altra dimensione
dove l'amore è ancora possibile.
Nei tanti commenti dei lettori, su FaceBook, abbiamo
scelto questo che ci è sembrato molto significativo ed
equilibrato:
"L'altra sera casualmente finisco "sul terzo canale" e
seguo la pantomima della conduttrice del programma
"Chi l'ha visto della Rai, condotto dalla brava
giornalista Sciarelli Non appena sentii l'intervista
allo "zio" di Sarah Messeri Michele, il giorno del
ritrovamento del famigerato cellulare, ed ho pensato
che questo signore stava facendo "Tahiti" (tattica
dissimulava dei terroristi arabi) e che ero fortemente
convinto che lui fosse coinvolto. Lungi da me essere
moralista) lo scopo di una trasmissione come chi l'ha
visto? È quello di cercare (possibilmente e trovare)
persone, quindi ci sta anche un epilogo che definirei
tragico in diretta. La madre della povera Sarah ha
utilizzato l'eco mediatica per fare luce, altrimenti
il caso non sarebbe stato archiviato, ma le indagini
sarebbero quindi proseguiti con molta difficoltà .
La giornalista Sciarelli ha chiesto (in modo tardivo e
sornione) l'interruzione della trasmissione, quando la
frittata era già fatta e la madre, non adusa ai tempi
tecnici delle trasmissioni televisive, ne è rimasta
vittima. In tutto ciò LA FAMIGLIA di Sarah non ha
avanzato nessun rimpianto, ma allora smettiamola di
fare commenti "in vece" di altri, di chi avrebbe il
diritto di farlo, evitiamo falsi (o peggio veri)
moralismi e preghiamo per Sarah ed anche per lo
sciagurato mostro dello zio.
Secondo altri lettori
E' veramente indicibile che una madre debba scoprire
in diretta televisiva la morte della propria figlia
scomparsa da molti giorni: ma la conduttrice, ricevuta
la notizia della confessione dell'assassino, non
poteva chiudere la trasmissione (o almeno il
collegamento) invitando la signora a recarsi a Taranto
a telecamere spente? C'è proprio bisogno, nel nulla
totale del panorama televisivo sia pubblico che
privato, di questo altro "Grande fratello" che è la
trasmissione "Chi l'ha visto?" che è capace di
generare e alimentare la morbosa curiosità di alcuni
telespettatori? Forse bisogna avere solo un puh di
buon senso, se si sono perse le tracce della dignità
delle persone già duramente provate dalla cattiveria
degli uomini. Il calce all'articolo, riportiamo la
poesia di Ida Guarracino , alla quale chiediamo scusa
Sarah
Fiore strappato nell'età
più bella,
in un giardino incolto e
arido.
Nemmeno la morte
l'ha difesa,
come appassisce una rosa,
così nei suoi occhi,
un crudele profumo
di un segnale evidente
di un malessere,
invisibile a chi non vuol vedere.
Ida Guarracino
GAZZUOLO:RICORDI
STORICI
TRA PASSATO E PRESENTE.
Oh! Sì, Gazzuolo, il piccolo Borgo Gonzaghesco, che ci ha ospitati
per dieci anni, quale comandante della locale Stazione. Dopo
vent’anni che siamo in pensione, per raggiunti i limiti d’età, ci
siamo passati più volte, ma sempre di corsa e non abbiamo mai avuto
il tempo per fermarci un momento. Noi viviamo in un mondo senza
tempo e senza pace, siamo sempre indaffarati dalla mattina alla
sera. Oggi 4 agosto 2010, con la nostra principessa Tiziana, ci
siamo ritornati, per firmare nella sede Comunale, la concessione
per costruire la cappella cimiteriale di famiglia, perché nel
cimitero di Campitello, non c’è area disponibile. Dal giorno del
nostro collocamento in quiescenza, viviamo nel piccolo e simpatico
paese di Campitello di Marcaria, un paese che da Gazzuolo dista
soltanto 4 km, e ci divide il fiume Oglio. Qui a Campitello abbiamo
fatto costruire la nostra casa d’abitazione, poiché a Gazzuolo non
erano reperibili aree pronte ed adibite all’edilizia abitativa.
Mentre a Campitello esisteva la possibilità di acquistare una casa
nuova. Oggi succede la stessa cosa, per quanto riguarda l’area
cimiteriale. A Campitello non ci sono aree libere, mentre a
Gazzuolo esiste queste possibilità di costruire una cappella di
famiglia. Quindi, abbiamo pensato appunto a Gazzuolo, al quale
siamo molto affezionati. In quella occasione, l’Amministrazione
Comunale di Gazzuolo, ci ha conferito una pergamena, quale
riconoscimento del servizio prestato in quella sede, in data 25 -
06 - 1985.Gazzuolo non è una grande città, ma come abbiamo detto
sopra, è un piccolo e tranquillo paese, come è stato definito dallo
scrittore Giovanni Nuvoletti, un loro figlio prediletto, nel suo
libro: “ Un Matrimonio Mantovano”. Il paesetto dove si svolse
felicemente il nostro ultimo Comando di Stazione Carabinieri, prima
di fare parte nella forza in congedo. Gazzuolo: paese che in fondo
non è una strada, tutta una lunga strada ordinata e abbellita di
qualche palazzotto, di un nobile porticato e di tante dignitose
casette. Si apre il nostro paese, in una terra di fiumi, si stagni
e di acquitrini che le continue bonifiche redimevano. Fra gli alti
pioppi si alzano i canti dell’antica pazienza, intrecciandosene
qualche nuova delle prime rivolte. Lunghe file di scariolanti
uscivano all’alba a scavare nelle umide terre circostanti per
rientrare al tramonto grigi di fango senza più canzoni. In questi e
simili luoghi s’era levato cupo il grido dei diseredati, “la boje”,
che tradotta in lingua, vuol dire (bolle la pentola).
Ma i veri poveri non erano di lì, quanto immigrati di terre e paesi
più povere. La gente del luogo non conosceva la disperazione delle
grandi miserie, gli impietosi rigori della fame. Nella generale
parsimonia era diffuso un certo benessere, un civile costume che
gli anni volgenti aprivano alla speranza.
La roba, la proprietà, il denaro erano oggetto di venerazione là
dove aver del suo costituiva il primo titolo al rispetto. L’anima
degli uomini era piena, solida, uniforme come il paesaggio, tutto
conquistato alle acque, che il poeta cantava:
C'era una volta, ieri,
Vecchia canzone d'amore
Sulle alte cime dei pioppi
Del nostro placido fiume.
Acque serene ch'io corsi sognando
Nella dolcezza
Delle notti estive
Acque che vi allargate fra le rive
Con un occhio stupito, a quando, a quando
O! Nostalgiche acque di sorgiva,
Acque lombarde"
NATURA DEL SUOLO
Le poderose correnti acque, che nel volgere dei secoli dai
monti discesero precipitosamente nella gran Valle Lombarda, un
tempo vasto seno del mare Adriatico. Stoppani – Nel Bel Paese)
trascinando seco abbondanti detriti di terre e sabbie, formarono le
attuali alluvioni, modificate poi dal Diluvio, ultimo cataclisma
acque- tellurico e fatto accertato dai recenti studi geologici.
In generale tutti i fiumi dell’alta Italia, al dire di Carlo
Cattaneo, con tempo corrosero con i loro filoni il fondo, e lo
infossarono sotto di quello degli stagni circostanti, mentre con le
loro inondazioni colmarono di materiali i luoghi più bassi, da
produrre quei rialzi di terra dette molte, o altopiani di leggeri
si possono scorgere nel nostro territorio.
Noi non possiamo stabilire e determinare con certezza l’epoca in
cui il fiume Oglio si restrinse nell’attuale letto: quello però che
è certo si è che le nostre valli, costituendo un suo seno furono
ridotte allo stato attuale della mano solerte ed infaticabile
dell’uomo. Come si spiegherebbe diversamente la cosa se poniamo
mente alla depressione di questi valli che un giorno e non molto
lontano erano più basse del livello dell’Oglio stesso? Dunque fu
l’opera dell’uomo ad incanalare il fiume con arginature, lottando
per secoli contro l’azione devastatrice delle sue grosse piene.
La nostra è una lussureggiante campagna, immersa nel
silenzio fervore delle opere; riposato paesaggio d’argine da cui
per la gran distesa si possono scorgere lontani profili di monti,
il Baldo e le prime cime delle Alpi discoste e nevose. Ancora oggi,
i vecchi passeggiando per quelle rive e traendo dalla vista
infallibili presagi del tempo, ripetevano e ripetano allora i nomi
quasi misteriosi di vette che nessuno di loro aveva mai visto da
presso. Essendo, i più modesti viaggi, robe da sior- Nei giorni
limpidi, volgendo lo sguardo a mezzogiorno, l’Appennino si disegna
domestico e quasi confuso nella linea dell’immensa pianura.
IL LAGO GERUNDO
Negli anni 70, due nostri amici
geologici, hanno fatto alcune ricerche nella località, dove un
tempo molto lontano, sorgeva il famoso LAGO GERUNDO. La gente di
Balforte di Gazzuolo ne parlava. Nel corso delle loro ricerche
hanno rinvenuto alcuni focolai, dove, probabilmente sorgevano delle
tende dei primi pastori che dalle montagne bergamasche erano scesi
nella pianura Padana, con il loro gregge. In questi focolai, hanno
rinvenuto frecce ed oggetti di ossidiana, che adoperavano per la
caccia e come utensili di lavoro e in cucina al posto dei coltelli.
Questo minerale generalmente si trova in quelle alte montagne,
oppure nelle rocce vulcaniche. Oltre a questi strumenti, hanno
rinvenuto tra la cenere dei focolai i resti del cibo con il quale
le famiglie di questi uomini primitivi si nutrivano. Ossa di capra
e spine di pesci, che probabilmente pescavano in quel lago. La
storia di Gazzuolo, come scrive Don Domenico Bergamasci nel suo
libro, Storia di “Gazolo” e il suo Marchesato - edito a
Casalmaggiore – Tipografia- libreria Contini Carlo ci parla
brevemente e tra l’altro, di questo famoso lago che in tempi
lontani è sparito completamente. Quando eravamo di stanza nel paese
di BAGNOLO CREMASCO, che dista pochi km da Lodi, quale comandante
di quella Stazione CC: in provincia di Cremona, abbiamo sentito
molto parlare di questo lago. Infatti, questo paese sorgeva su di
una duna sabbiosa, prodotta appunto, da questo storico e antico
lago fluviale. Da una ricerca che abbiamo effettuato su Internet,
abbiamo trovato molti articoli che parlano di questo antico lago.
L’articolo di GIUSEPPE PETRUZZO), abbiamo appreso tra l’altro, che
a formare questo antico lago, sono state le acque: alluvionali. Tra
i fiumi Adda, Serio e Oglio, un tempo c'era il mare. Non
però il mare del Pliocene che faceva della pianura padana un grande
golfo adriatico, bensì un mare o lago d'acqua dolce di epoca
geologica molto più tarda, post glaciale: il Gerundo, o Gerundio,
che per la prima volta appare citato in certe carte notarili
dell'inizio del secolo XIII. Esisteva ancora in epoca storica,
ricordato parallelamente e confusamente dalla cronaca e dalla
leggenda. Veniva chiamato ora lago ora mare, ma la parola mare va
presa con cautela: nel nostro caso è una parola del basso latino 'mara'
che significa palude. Su di esso si è molto scritto e ancor più
favoleggiato cercando di definirne confini, dimensioni e durata
temporale. Oggi si è propensi a credere che si trattasse di un
insieme di paludi, acquitrini, “lanche”, corsi d'acqua dolce,
stagni che, progressivamente, avevano occupato l'esteso piano di
divagazione dell'Adda durante l'anarchia della regolamentazione
delle acque manifestatasi dalla tarda antichità e fino all'alto
medioevo. Da questo specchio d'acqua poco profondo ma molto esteso
(circa 35 Km da est a ovest e 50 Km da nord a sud) emergevano isole
e isolette molto allungate parallele alla direzione della corrente.
La più grande era l'isola Fulcheria su cui si sviluppò la città di
Crema. Lodi era città costiera affacciata alla sponda ovest del
lago, Orzinuovi era costiera sulla sponda opposta (o meglio, tale
sarebbe stata se fosse esistita ai tempi del lago). A nord il lago
raggiungeva a Vaprio, a sud Pizzighettone. Il lago doveva essere
una distesa di acqua alimentata dagli straripamenti dei tre fiumi e
dalle risorgive di provenienza sotterranea. La profondità variava
dai dieci ai venti metri con punte sui venticinque. E aree meno
profonde erano frequenti le formazioni paludose; a Genivolta venne
trovata un'ara, conservata oggi al museo di Cremona, dedicata alla
dea italica Mefite, sovrana delle paludi. L'uomo era insediato
sulle sue sponde e sulle isole sia su terraferma che su palafitte
(la pretesa città di Acquaria nei pressi di Soncino) e navigava sul
lago con piroghe monoxile, scavate da un unico tronco di quercia,
di cui si sono rinvenuti alcuni esemplari. Si nota, inoltre, in
molte località, la presenza di torri con infissi grossi anelli di
ferro cui si ancoravano presumibilmente queste piroghe, le navi del
lago Gerundo. Proprio la presenza di imbarcazioni ritrovate anche
piuttosto lontano dall'attuale riva dell'Adda farebbe pensare che
le popolazioni che abitavano l'area fossero in comunicazione con un
più vasto bacino a valle e che proprio da tale situazione abbia
avuto origine l'equivoco di nomenclatura che riguarda il lago o il
mare Gerundo. E' altrettanto probabile che all'epoca delle
invasioni barbariche, a causa di frequenti intense piogge e
dell'abbandono delle opere di bonifica che erano state incominciate
dai romani, l'estensione del lago Gerundo sia andata aumentando
progressivamente spingendosi anche molto lontano verso sud.
Lo scrittore
Lorenzo Rossi, così scrive: “Che cosa si nascondeva veramente nelle
acque di questo lago lombardo oggi scomparso?
Benché al giorno
d'oggi non ne esista più alcuna traccia, se non nella storia dei
sedimenti geologici e nelle antiche toponimie, il territorio
lombardo attualmente compreso tra la parte meridionale di Bergamo e
il nord di Cremona e Mantova era in passato il bacino di una
vastissima area acquitrinosa formata dalle esondazioni dei fiumi
Adda, Oglio, Serio, Lambro e Silero, conosciuta con il nome di lago
(o mare) Gerundo. Le testimonianze storiche più antiche circa la
sua esistenza sembrano risalire all'epoca romana, tramite alcuni
accenni contenuti nelle opere di Plinio il Vecchio, ma le
informazioni più significative sono datate al 1110 d.C. e
provengono dal monaco Sabbio.
Particolarmente
interessanti da un punto di vista cripto zoologico risultano essere
le numerose testimonianze e aneddoti inerenti a misteriose creature
che ne infestavano le acque, alle quali la tradizione popolare
diede il nome di "draghi".
Generalmente
descritti come grandi animali serpentiformi dall'alito pestifero,
erano sicuramente considerati ben più di una leggenda dalle
popolazioni che abitavano le coste del Gerundio, basti considerare
che gli abitanti di Valenzano erigessero delle mura alte tre metri
e lunghe quindici chilometri per proteggersi dalle sortite del
mostro lacustre che si credeva vivesse in quella zona e che la
contrada principale del paese, a ricordo della vicenda, era
chiamata "via della biscia".
La credenza nella
reale esistenza di simili creature è testimoniata anche da alcuni
interessanti reperti ossei che fanno ancora mostra di sé in diverse
chiese, un tempo stanziate lungo le propaggini dell'antico lago
Gerundo, considerati per lungo tempo dalle popolazioni locali i
resti appartenuti ai temibili draghi acquatici.
Dal soffitto
dell'abside della chiesa di Almeno S. Salvatore pende una
gigantesca costola animale della lunghezza di 260 cm, che secondo
la tradizione sarebbe appartenuta a una creatura catturata nei
pressi del fiume Brembo. A soli tre chilometri di distanza in linea
d'aria, un altro reperto simile, della lunghezza di 180 centimetri,
è conservato all'interno del Santuario Natività della Beata Vergine
di Sombreno. Si narra che provenisse da un drago del Gerundo,
ucciso da un giovane eroe. La costola attirò l'attenzione del
naturalista Enrico Caffi, al quale è dedicato il Museo di Storia
naturale di Bergamo, che la identificò come appartenente ad un
mammut.
Gli abitanti di
Lodi e quelli di Bagnolo Cremasco erano talmente spaventati e
abituati allo stesso tempo della presenza di un grande "serpente"
acquatico al punto da affibbiargli persino il nome proprio di
"Taranto" o "Tarantasio", anticipando così di molti secoli la
popolazione scozzese di Inverness, che verso gli anni Trenta
ribattezzò "Nessie" la più famosa delle creature lacustri
leggendarie: il mostro di Loch Ness. Ancora oggi, ogni tanto ne
parlano le cronache giornalistiche, di avvistamenti del famoso
drago di cui si è parlato tanto in passato.
Si narra che agli
inizi del 1300, a seguito delle opere di bonifica avviate nel XII
secolo, a Lodi, presso l'Adda, fu rinvenuto lo scheletro di
Tarantasio, successivamente custodito nella sua interezza
all'interno della chiesa di S. Cristoforo. Col tempo però se ne
persero le tracce, ma verso il 1800 il medico di Lodi Gemello Villa
riuscì a riportarne alla luce e ad esaminarne una presunta costola.
I suoi studi non lasciano intendere informazioni di particolare
interesse, se non nel passaggio in cui si afferma che "la
costola ha la pellucidità delle ossa fresche", lasciando così
intuire che possa non trattarsi di reperto fossile.
LO STEMMA DEI
VISCONTI
L'elemento più
caratteristico dell'iconografia araldica dei Visconti, antichi
signori di Milano, è senza dubbio il sinuoso "serpentone" ritratto
nell'atto di ingoiare uno sventurato essere umano, ma le leggende
circa la sua reale origine sono talmente diversificate e numerose
che risalire a una sicura genesi storica è impresa praticamente
impossibile.
Lo stemma dei Visconti a Milano raffigura un serpente che divora un
giovane uomo. Secondo alcuni il serpente sarebbe proprio il mostro
del lago Gerundo ucciso da Umberto Visconti nel 1200.
Nel suo De
Magnali bus Mediolani Bonvesin de la Riva riporta quanto segue:
"Viene offerto dal comune di Milano a uno della nobilissima stirpe
dei Visconti che ne sembri il più degno un vessillo con una biscia
dipinta in azzurro che inghiotte un saraceno rosso: e questo
vessillo si porta innanzi ad ogni altro: e il nostro esercito non
si accampa mai se prima non vede sventolare da un'antenna l'insegna
della biscia. Questo privilegio si dice concesso a quella famiglia
in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente
contro i saracini da un Ottone Visconti valorosissimo uomo".
Il cronista
Galvano Fiamma, riferendosi sempre allo stesso episodio, lo ha
tramandato ai posteri con maggiore dovizia di particolari,
spiegando che durante l'assedio di Gerusalemme Ottone sconfisse in
un duello il terribile nobile saraceno Voluce il quale, per
sottolineare la sua presunta invincibilità, era solito combattere
sotto il simbolo di un serpente che ingoiava un uomo.
Un'altra versione
vuole che, dopo la morte di San Dionigi, un drago giungesse nei
dintorni di Milano trovando dimora in una grotta situata oltre le
mura della città. Dopo diversi infruttuosi tentativi di uccisione
da parte di disparati cavalieri, giunse a Milano Umberto Visconti
che affrontò e sconfisse il mostro prima che quest'ultimo potesse
ingoiare del tutto un fanciullo che aveva già cominciato a ghermire
tra le sue fauci.
I più romantici
saranno di certo disposti a collegare tra loro la leggenda di
Umberto e quella dei draghi dell'antico Gerundo, ma a ben vedere
pare proprio che lo stemma del serpente fosse simbolo della città
di Milano molto prima dell'arrivo dei Visconti, tanto che, secondo
alcuni, la sua origine risale all'epoca di Desiderio, ultimo re dei
Longobardi, che successivamente tramandò lo stemma ai Visconti,
suoi successori.
Possibili
spiegazioni
Pur ammettendo che
le leggende inerenti agli antichi mostri dello scomparso lago
Gerundo potessero avere un fondo di realtà, ipotesi sulla quale
ritorneremo in seguito, esistono molti buoni motivi per escludere
categoricamente che le gigantesche costole conservate come reliquie
possano realmente essere appartenute a questi ultimi. Anticamente i
pellegrini erano infatti soliti portare in dono ai santuari i più
esotici e singolari reperti. Non è affatto da escludere l'ipotesi
che le ossa attualmente custodite nel bergamasco e nel cremonese
potessero essere appartenute ad animali quali elefanti o cetacei,
successivamente donate alle chiese in qualche modo legate alle
leggende sui draghi. A tal proposito è interessante notare come la
chiesa di S. Salvatore sia consacrata a S. Giorgio, il più famoso
uccisore di draghi della tradizione cattolica.
Ulteriori
indicazioni della presenza umana vengono dai toponimi come Gerola,
Girola, Gera d'Adda, derivati dalla radice gera, ossia ghiaia, che
compare nel nome stesso del lago Gerundo. L'acqua si stendeva,
infatti, su un fondo ghiaioso di origine glaciale e oggi, in alcune
zone, dopo un primo strato argilloso spesso un paio di metri,
dovuto ai sedimenti del mitico lago, si trova un banco di ghiaia,
profondo circa otto metri in cui si riconosce il sedimento dovuto
alle acque di scioglimento dei ghiacciai, infine, un nuovo fondo
argilloso, lasciato dal mare vero che occupava la pianura padana
prima dell'era glaciale. Quanti secoli esistette il mitico
lago?
Non si sa quando si formò, ma si
può ragionevolmente ipotizzare l'epoca in cui cominciò a
scomparire: l'epoca intorno al Mille e nei primi secoli successivi.
Il drenaggio del lago fu in massima parte opera dell'uomo: le
bonifiche dei benedettini, cluniacensi e cistercensi, poi i canali
costruiti dal comune di Lodi o da famiglie feudali come i Borromeo
o i Pallavicino il cui nome è ancora legato a rogge o navigli.
Le campagne tra Lodi e Crema. Si diceva venisse dalle viscere della
terra di Soncino dove era. Del lago Gerundo sono rimasti ricordi e
leggende dove storia e fantasia sono difficili da separare. Anche
il Gerundo ebbe il suo drago, come il suo fratello scozzese di Loch
Ness: il drago Tarànto, un grosso biscione con la testa così grande
da sembrare un drago che terrorizzo stato sepolto Ezzelino da
Romano, feroce tiranno di parte ghibellina. Ezzelino rimase a lungo
nella fantasia della gente. Era un gigante e sulla torre di Soncino
si conservarono a lungo, dice la leggenda, due ferri murati che
indicavano la sua statura sia a piedi che a cavallo. Della sua
sepoltura si è persa traccia , ma in compenso ha lavorato la
fantasia. Si tramanda perfino l'epigrafe latina che sarebbe stata
incisa sulla sua tomba:
Terre Suncini /
Tumulus canis est Ecelinis quem lacerant manes / tartareique canes
che tradotta liberamente suona: Qui in terra di Soncino / giace il
cane Ezzelino. Le sue spoglie mortali / son date in pasto ai
cerberi infernali.
Una ricostruzione del Lago Gerundo (da M. Mosca).
Un'ipotesi ancora
più plausibile può essere presa in considerazione se, affidandoci
alle cronache sino a noi pervenute, le misteriose costole non
sarebbero state portate da pellegrini e viaggiatori, ma
effettivamente rinvenute in territori prossimi alle chiese e
santuari che le espongono...
Nel 1995 il
Corriere della Sera riportò questa notizia: "Cremona -
Un'enorme vertebra di un animale preistorico è stata ritrovata nei
fondali del fiume Adda nei pressi di Pizzighettone (Cremona). Il
reperto ha un'altezza di 75 centimetri, una base di 39 e la sede
circolare ha un diametro di 16 cm. Ritrovamenti di questo tipo non
sono nuovi in una zona che millenni fa ospitava le paludi del lago
Gerundo. A scoprire il reperto è stato Walter Valcaregni, un
muratore di 47 anni che in passato ha già donato fossili al museo
civico di Pizzighettone. Un paleontologo incaricato dal museo dovrà
stabilire a quale animale la vertebra appartenesse e a quale epoca
risalga".
In effetti
ritrovamenti di ossa appartenenti a mammut e a rinoceronti dell'era
glaciale non sono infrequenti in quelle zone. Simili reperti
vengono scavati a monte dalle correnti e poi trascinati sino a
valle, spiegando così i misteriosi ritrovamenti tutt'ora esposti in
alcune chiese.
Per quanto ne sappiamo però, tutte le costole che rientrano
all'interno di una documentazione storica più o meno attendibile,
sono posteriori alla bonifica delle zone ed al prosciugamento del
Gerundo: questi reperti avrebbero così contribuito ad alimentare la
leggenda di Tarantasio e dei suoi simili, ma non è altrettanto
certo che siano anche state la causa della loro origine, per
risalire alla quale si rende forse necessario affrontare una
particolare caratteristica dei draghi milanesi: il loro alito
pestilenziale...Nel Medioevo non era infrequente attribuire morti
improvvise o inspiegabili alla minacciosa presenza di misteriosi
rettili e il caso del basilisco è un esempio lampante di ciò. Molto
spesso questa mitologica creatura, che secondo la tradizione nasce
da un uovo di gallo covato da un rospo, prendeva dimora in pozzi le
cui acque avrebbero avvelenato tutti coloro i quali vi avessero
attinto. Secondo la leggenda, nel IV secolo San Siro liberò la
città di Genova da un basilisco che si era insidiato in un pozzo,
mentre a Vienna sarebbe esistita una lapide le cui iscrizioni
indicavano che nell'anno 1202 un pozzo infestato da un basilisco fu
sotterrato dopo che numerose persone erano morte per essersi lì
abbeverate. Nel suo volume Dall'unicorno al mostro di Loch Ness
il cripto zoologo "ante litteram" Willy Ley spiega che in
passato la presenza di falde acquifere sature di idrogeno solforato
a causa del loro odore di uova marce hanno potuto contribuire alla
leggenda delle esalazioni pestifere del basilisco. Se ora
consideriamo che in passato gli acquitrini del Gerundo rendessero
l'area malsana provocando numerose vittime per malaria, gli
abitanti del tempo avrebbero potuto attribuirne la causa a grandi
serpenti pestiferi, cioè a basilischi a misura di lago.
Considerando però che i meccanismi che stanno dietro alla nascita
di ogni leggenda sono sempre più complessi e vari di quanto una
spiegazione univoca e semplicistica possa talvolta fare pensare, è
giunto il momento di affrontare come precedentemente accennato, una
possibile spiegazione zoologica che possa avere contribuito, se
pure in piccolissima parte attraverso sporadici e fugaci
avvistamenti, alle tradizioni popolari
sui mostri del lago. Stando al cripto zoologo Maurizio Mosca
che ha affrontato il problema sulle pagine del suo libro Mostri
lacustri edito da Mursia, i possibili candidati possono essere due:
storioni presenti nel fiume Po, che in passato raggiungevano
dimensioni molto più ragguardevoli di quelle alle quali siamo
abituati ai nostri giorni e che, benché innocui per l’uomo,
possiedano caratteristiche anatomiche talmente peculiari e diverse
da quelle degli altri pesci europei da conferire loro un aspetto
minaccioso e vagamente “rettili forse” si tratta di coccodrilli
importati che secondo alcune leggende si erano adattati a vivere
nel fiume Serio, come testimonierebbe l’affascinante reperto
custodito nella chiesa di Ponte Nossa. Un coccodrillo impagliato
lungo tre metri, di cui parla un documento conservato presso la
curia di Bergamo, risalente nell’anno 1594, Ma, mentre sappiamo che
questi rettili vivevano in alcuni fiumi della Sicilia sino al 1600
dopo che furono importati dagli arabi, individui di una popolazione
presumibilmente esigua difficilmente sarebbero potuto sopravvivere
a lungo nel Nord Italia. Nel soffitto del Santuario della Madonna
delle Grazie di Curtatone, dove anche qui si trova un coccodrillo
impagliato, che moltissimi anni fa, è stato catturato nel
sottostante lago, prodotto da una insenatura dal fiume Mincio che
scorre verso la Città di Mantova, dove forma i sul bellissimo tre
laghi, che sono navigabili e dove germogliano i bellissimi fiori di
loto, ( Che fra l’altro appare imbalsamato è appeso al soffitto
della Chiesa) Che fra leggenda e realtà, forse scappato dallo zoo
esotico del giardino privato dei Gonzaga, si racconta come é
andato, uno dei due fratelli boscaioli che riposava sulle rive del
fiume, L’altro chiedendo l’interiezione divina si armò di coltello
e riuscì a uccidere il predatore. L’altro miracolo “ illustre” è
quello di San Bernardo da Siena, che nel 1420 posò i mantello
sull’acqua del Mincio vicino alla Chiesa e venne traghettato senza
che si bagnasse verso Mantova per opera della Madonna. A questa
miracolosità si devono aggiungere i numerosissimi ex voto dei
fedeli che si ritengono miracolati. Quest’anno, anche noi abbiamo
dipinto un quadro e lo abbiamo appeso in quella parete, per grazia
ricevuta di nostra figlia Tiziana. Ogni volta che transitiamo o che
ci troviamo nel Santuario di Curtatone, entriamo in quel tempio e
pieghiamo il ginocchio per devozione alla Madonna del Carmine.
Dispensatrice di grazie.
Il 15 Agosto, di ogni anno, si festeggia questa ricorrenza e
richiama migliaia di fedeli. In questa occasione, da molti anni,
partecipano i famosi madonnari, ( i cosiddetti pittori di strada)
che con i gessetti, sulla grande Piazza, ognuno disegna la sua
Madonna. Questa simpatica manifestazione richiama migliaia di
fedeli. Quest’anno, la storica manifestazione è stata interrotta da
un nubifragio, che si è abbattuto su quel borgo antico, allagando
la piazza dei “madonnari”e le strade del piccolo paese rivierasco,
interrompendo così la bellissima festa del “ Ferragosto”. Questa
storica ricorrenza insomma, è una festa popolare molto sentita,
specialmente nel mantovano, che richiama migliaia di fedeli. E’
d’usanza, che in questa giornata si mangiano nelle osterie i primi
cotechini della stagione.
In quegli anni 80, anche noi da Gazzuolo, siamo stati chiamati a
svolgere servizio d’Ordine Pubblico.
GAZZUOLO.
Quando nell'autunno del 1975, raggiungemmo da Bagnolo Cremasco il Borgo di
Gazzuolo, per prendere possesso del Comando di ella Stazione Carabinieri e del
nostro piccolo territorio, che comprendeva il Comune di Gazzuolo, la frazione di
Noce Grossa, quella di Pomara, la frazione di Belforte e quello del Comune di
Commessaggio.
In questi nuovi territori regnava un certo benessere fra la popolazione. I
lunghi tempi della carestia erano passati da molti anni. All'ora come oggi, i
contadini con i loro poderi in proprietà ed in affitto, coltivavano e coltivano
i campi e allevavano e continuano ad allevare ancora oggi il bestiame. Si vedeva
che avevano raggiunto un ceto benessere economico - sociale, ma il lavoro dei
campi era ed è tutt'oggi duro e faticoso.
Nel nostro territorio, l'ordine pubblico era di normale amministrazione per
tutto il periodo della nostra permanenza. Non sono mai successi degli omicidi e
neppure delle rapine. Il nostro servizio si svolgeva generalmente sulla
vigilanza degli abitati e sulla circolazione stradale.
Gli abitanti della frazione di Belforte, una piccola minoranza svolgeva
l'attività contadina, mentre il resto degli abitanti, da sempre hanno svolto
diverse attività: dal raccoglitore di ferro vecchio, stracci usati e piccoli
altri commerci. Il loro lavoro lo svolgevano nell'interland della provincia e
fuori di essa. Si racconta che nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, si che
portassero i gatti macellati nel veronese e li spacciavano per conigli.
Il Pallone aerostatico.
Negli atti del nostro ufficio, abbiamo rilevato un fatto di una certa gravita,
un fatto davvero piratesco per merito di alcuni abitanti della frazione di
Belforte. Il fatto si è verificato subito dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale. Sul cielo di Belforte, stava volando un pallone aerostatico, il quale
per un guasto tecnico è precipitato nella località di San Pietro, frazione di
Belforte. Sul pallone viaggiavano lo scienziato Jacques Piccard, grande
esploratore degli abissi ... idronauta, inventore del pallone stratosferico e
del batiscafo e il suo assistente ... Lo scienziato ed il suo segretario, furono
spogliati e derubati di ogni cosa, persino i denti d'oro gli furono asportati,
nonché il pallone che era di pura seta. I belfortesi, con la seta del pallone,
la trasformarono in camice. Il Corriere della Sera pubblicò in prima pagina a
colori l'atto barbarico. Naturalmente i responsabili sono stati denunciati
all'Autorità giudiziaria.
In quello stesso periodo, sempre nella giurisdizione di Gazzuolo, si è
verificato l'uccisione di un guardia, mentre in bicicletta percorreva l'argine
sull'Oglio, nei pressi di Bocca Chiavica. L'omicidio è rimasto ad opera
d'ignoti. Qualche mese prima che assumessimo il comando della Stazione CC, di
Gazzuolo, si è verificato un omicidio a causa di un malato di mente, che
lavorava nella stalla con il suo datore di lavoro. Per futili motivi, con il
forcone del fieno, lo infilzo decedendo subito dopo.
Nei dieci anni della nostra permanenza a Gazzuolo, non si sono verificati reati
di tali gravità.
Di fronte a via Roma, nei giardini comunali, in questi ultimi tempi, è stato
costruito un piccolo e grazioso centro ristoro, con un chiosco che funziona
anche da Bar. Con Tiziana, mia figlia, ci siamo seduti all'ombra dei grandi e
ombrosi cedri del Libano, dove la simpatica cameriera chi ha servito l'ottimo
caffè espresso. Di fronte a noi, vi è via Roma, dove fa bella vista di se il
meraviglioso porticato gonzaghesco, che da una nota artistica del tempo dei
Signori Gonzaga.
La storia ci racconta che Gazzuolo e Belforte sotto il dominio dei Signori
Gonzaga di Mantova - Francesco - Gianfrancesco primo marchese - Privilegio delle
due comunità di Gazzuolo-Belforte - Il Conte Brasco Panicelli investito della
Corte di Belforte - Il Conte Remesini Luzzara investito da quella di Gazzuolo -
Ludovico -Carlo - Gianfrancesco Lodovico - Pirro Rodomonte - Carlo Federico -
Gazuolo elevato al grado di Marchesato - Usurpazione di Vespasiano Gonzaga Duca
di Sabbioneta - Cessione del Marchesato al Duca di Mantova ( dal 1403 al 1569.)
Mentire fervevano le lotte tra Quelfi e Ghibellini, i nostri paesi, stanchi
della tirannia di Gabrino Fondalo, spontaneamente nel 1403 si danno a Francesco
Gonzaga, signore di Mantova, che aveva stretto una tregua per undici anni con
Galeazzo Visconti, nemico acerrimo dei guelfi cremonesi. E però le guerre
insorte tra Milanesi e Veneziani posero in grande vicende i territori di
Cremona, Brescia e Mantova, da non potere per allora Gazzuolo risorgere dalle
sue rovine.
Succeduto a Francesco il figlio dodicenne Gianfrancesco sotto le tutele dello
zio materno Carlo Malatesta, che lo conquistò a viva forza, e nel 18 giugno 1415
anche Viadana ed altri paesi, che si erano ribellati ai signori Cavalcabò, già
investiti di quel castello fino ai tempi di Federico Barbarossa.
Insorta una lite fra i guelfi Cavalcabò, sostenuti dai Cremonesi ed il nostro
Gianfrancesco, nelle valli di Casalbellotto detta la sparata rimangono quelli
sconfitti ed il loro territorio perduto irreparabilmente Forse fu in odio ai
Cavalcabò che Gianfranco nel 1415 dominava il castello di Belforte ed altri
ancora, che al dire dello storico Cavitelli erano covi d'indipendenti guelfi.
Infatti, i Signor Cavalcabò fino al 1398 nei nostri paesi possedevano estese
tenute comperate da Luigi Benzoni, come a rogito Gauzzi di Cremona Prode in armi
e buon principe in pace, il nostro Gianfrancesco si fui distinti onori dai
signori dominanti d'allora e da Papa Giovanni XXIII il grado di generale supremo
del suo esercito. Allora correva l'anno 1412.
Da Paolo Malatesta, Gianfrancesco ebbe quattro figli: Lodovico primogenito,
Gianlucido, Alessandro e Carlo.
Mentre sembrava che la fortuna gli sorridesse, ecco che la morte venne a
troncagli a mezzo a via dei grandiosi disegni, poiché nei giorni 23 Settembre
1444 morì all'età di 49 anni, lasciando così diviso o Stato fra i suoi quattro
figli: a Lodovico primogenito il Marchesato di Mantova ed altre terre: a Carlo
secondogenito Gazzuolo, Isola Dovarese, Rivarolo Fuori, Bozzolo, S. Martino,
Sabbioneta, Viadana, Luzzara, Suzzara, Gonzaga e Reggiolo: ad Alessandro terzo
lenito, vedovo della Principessa d'Urbino e poi Frate, Redondesco, Canneto,
Mariana, Castelgolfredo, Medole Castiglione delle Stiviere ed Ostiano:
Finalmente Gianluigi, acciaccato e gobbo, Cavriana, Volta Ceresara, Rodigo,
Piubega, Castellaro, S. Martino di Gusnavo ed altre Corti E a Cecilia, che
contro il volere del padre si era fatta religiosa. Assai giovanissima nel
Monastero di S. Paola, assegnò una gran dote.
Possiamo proprio dire, con tutta verità, che al nostro Gazzuolo da lui ricevette
tanto lustro e splendore, da essere paragonato ad una piccola metropoli di un
piccolo Stato,come lo erano altri borghi a quell'epoca, in cui la nostra Italia
era divisa in mille regnicoli, fiorenti per commerci., arti lettere e scienze.
Appassionato cultore delle belle lettere, alla sua corte chiamò distinti
letterati, quali il Bondello, il Muzzarelli, l'Ariosto, Castiglioni ed altri,
dei quali taluni furono precettori dei suoi figli.
Come Principe, quantunque non avesse una zecca in Gazzuolo, ma pure facendo
battere moneta a Rodigo dietro autorizzazione imperiale, come ne assicura il P.
Irineo Affò, appunto per mostrare la sua giustificazione anche su quuel castello
a lui ceduto dal Duca di Mantova per commutazione con Viadana, come si disse. Le
sue monete portavano la leggenda: " Joahnes Franciscus de Gonzaga Marchio -
Comes Roting.
Non si sa con precisione la data sotto la quale è nato il paese di Gazzuolo,
quello che sappiamo è che sorto sopra un'ansa sabbiosa, prodotta nel tempo delle
acque dell'Oglio, che scorrevano libere nella valle senza argini. Sulle ridenti
sponde del fiume Oglio, in un'area quanto mai salubre e come scriveva Alessandro
Manzoni, nei Promessi Sposi, parlando della Lombardia: " sotto un cielo così
bello quando e bello, cosi splendido, così in pace, siede Gazzuolo, capo luogo
di Comune, un giorno sede di Marchesato e lieto soggiorno d'un ramo cadetto dei
Signori Gonzaga di Mantova: che lo ampliarono, abbellirono e fortificarono
munendolo di ragguardevole rocca, circondata di larga fossa, da riuscire
inespugnabile Castello, Il suo territorio, ebbe in gran parte si estendeva sulla
destra dell'Oglio, ha per confine a se a settentrione il detto Oglio; a oriente
e a mezzogiorno i Comuni di Viadana e di Commessaggio, e ad occidente quelli di
Bozzolo e di S. Martino dall'Argine
LA STORIA:
GAZZUOLO E BELFORTE.
I primi abitanti.
Non è possibile precisare con certezza l'epoca in cui vennero a stanziarsi i
primi abitanti, né chi sono stati. La civiltà conviene cercarla prima dall'alto,
e noi possiamo dire che i primi popoli d'Italia dovrebbero essere stati tutti
abitatori delle montagne Orobiche, che successivamente costretti dalla necessità
per la vita nomade e pastorizia, discesero al piano ed alla Valle, nelle fertili
praterie della Lombardia. Non poteva essere diversamente, essendo che le nostre
praterie un giorno formando vaste paludi di acque limacciose e stagnanti, o
letto dell'Oglio, con lo scemarsi di quelle e con il deviarsi divennero un
processo di tempi ubertosi e saporiti pascoli. Possiamo dire senza tema di
errare smentiti che i nostri primi padri furono gli Etruschi, popoli di paludi e
di stagni, occupanti nel mestiere di vasai e tessitori di giunchi e di nasse.
Infatti, se vogliamo prestare fede all'antica Cronaca Mss. della città di Vegra,
molti secoli prima della venuta di G.C. deve essere stato edificato Belforte, al
termine dell'argine innalzato da Telamoni greco, fondatore di Terziglio.
Il Tartaria e Figlio vorrebbe che Bel forte, fosse sorto dalle rovine
dell'antica Vegra, distrutta da Attila, mentre ne pare provato ad esuberanza la
località nelle Aree di S. Andrea nei pressi di Calvatone.
E' certo per questo che gli Etruschi costruirono argini colossali per
prosciugare il paese palustre e delle grandi acque correnti, e da quell'epoca si
è ripetuto il prosciugamento dei nostri valli, antico seno d'Oglio, che da
questo Castello arrivava fino a Belforte: Finalmente, perché anche nel 1180 e
chiamata con questo nome di Belforte.
Via Cava doveva essere piuttosto la Chiesa madre di Gazzuolo, convenendo con
questa ai suoi doveri del culto degli abitanti sparsi nei quartieri degli Orti e
della Costa, mentre per gli Aldi o Aldini di Berforte doveva trattarsi di una
Cappella od Oratorio nel fortilizio, dedicato all'Apostolo San Bartolomeo.
Nel corso dei secoli, sono successi molte vicende dolorose fra i due piccoli
Stati di Gazzuolo e di Belforte, fino al periodo della peste di
Milano-1629-1632, si verificò una nuova epidemia di peste nel ducato di Milano
La causa di questa peste fu la guerra di successione al trono di Mantova
Infatti, il ducato di Venezia aveva assoldato per vincere la guerra, e quindi
allargare il dominio al regno di Mantova, un famoso esercito di mercenari, i
Lanzichenecchi, soldati che godevano di una pessima fama, visto che dove
passavano portavano distruzione e, spesso volentieri, gravi malattie. Visto che
i Lanzichenecchi provenivano dall'Austria, per arrivare a Mantova dovettero
passare per Milano e ne approfittarono per depredarla; purtroppo vi lasciarono
anche la peste. Quest'ultima viene descritta da Alessandro Manzoni nei suoi
Promessi Sposi. " I PROMESSI SPOSI", senza ombra di dubbio, è il romanzo più
famoso della letteratura italiana
I Comuni - Gazzuolo e Belforte- per superare quest'ultima crisi economico-
sanitaria, cessarono di essere belligeranti e fondarono un solo Comune. Prima di
quest'evento storico, si combattevano anche per questioni di confini. L'esercito
di Belforte, erano un esercito di ventura, come quello di Gazzuolo,arruolato nel
territorio spagnolo e probabilmente nell'Andalusia. Persone che si
differenziavano da quelle di Gazzuolo, per il colore olivastro della pelle. .
Belforte, in località " La Motta", nei tempi remoti, aveva costruito il suo
Castello a mo di fortezza. In seguito a guerre intestine, non si sa in quale
epoca venne completamente distrutto. Le colonne in marmo e in porfido, con
pregiati capitelli, furono trasportati a Gazzuolo, dove i Signori Gonzaga, vi
costruirono le stelle per i loro cavalli. Ancora oggi, quel porticato fa bella
mostra di se in Via Roma. Quel bellissimo porticato, è quello che è rimasto a
testimonianza del passaggio dei Sig. Gonzaga.
Anche il Castello del piccolo Stato di Gazzuolo, non si sa quando e per mano di
chi, venne completamente distrutto e non è rimasto neppure un capitello, anzi, è
rimasto un blocco di pietra arenaria, che costituiva un elemento della vasca,
dove venivano allevati i pesci. Questo maniero fortificato, con larghi e
profondi fossati, sorgeva nell'area proprio dove oggi scorre il placito fiume
Oglio. Si crede che, con i mattoni del maniero vennero costruiti i palazzetti e
il Palazzo D'Arco, dove oggi vi è la sede Comunale. Tiziana, per documentare i
famosi portici di Gazzuolo, li ha fotografati, immortalando così nella foto
anche il sottoscritto. Con quella fotografia, abbiamo illustrato quest'articolo.
In ricordo dei Signori Gonzaga di Gazzuolo. Oggi rimane soltanto la bellissima
Chiesa in stile Romanico di San Pietro, con accorpato il Convento. In questi
ultimi anni, l'Amministrazione Comunale di Gazzuolo, ha provveduto ai restauri,
ma non P stata aperta al culto.
Gli studenti delle Scuole Medie di Gazzuolo e Belforte, hanno fatto una ricerca
su questo complesso religioso. All'interno della Chiesa di S: Pietro,si trovano
ancora alcune tombe dei Gonzaga.
I ragazzi così scrivono nelle loro ricerche: La Chiesa di S. Pietro è molto
probabilmente, una delle cappelle fondate per volere di Ansa regina longobarda (VII
secolo) lungo il corso del fiume Oglio. Il primo documento che accenna
all'edificio è una permuta del 966 avvenuta tra il Vescovo di Cremona e il Conte
Wilfredo, dove si parla di cappella di S. Pietro in Via Cava. Un'altra permuta
del 1034, invece, non si parla più di cappella, ma di chiesa. E quindi
probabilmente che la costruzione, in questo periodo, abbia subito, delle
trasformazioni . Altri documenti del XII secolo confermano la proprietà di Via
Cava ai benedettini che svolsero un ruolo importante sul territorio sia dal
punto di vista religioso che sociale, bonificando le campagne paludose. Tra il
1478 e 1479 Gianfrancesco Gonzaga divenne signore di queste terre ed insieme
alla moglie del Balzo diede vita a Gazzuolo ad una corte raffinata che vidi la
presenza di molti intellettuali ed artisti come Ludovico Ariosto, Bernardo
Tasso, Matteo Bandello, Baldassarre Castiglioni e Pier Jacopo- Alari Bonacolsi
detto l'Antico- Contemporaneamente al fiorire di questa situazione la Chiesa di
S. Pietro assunse un ruolo sempre più importante divenendo pantheon gonzaghesco
pur mantenendo sempre la sua funzione originaria di parrocchiale, tanto è vero
che in documenti quattrocenteschi, relativamente a Belforte si parla di due
chiese parrocchiali, una dedicata a S: Bartolomeo e una a S. Pietro.
Nel 1506 Pirro Gonzaga, figlio di Gianfrancesco affidò il complesso religioso ai
frati Girolomi e in questo periodo chiesa e convento vennero modificati, forse
ricostruiti.
Dal 1704 al 1773, S: Pietro venne affidato ai Gesuiti di Mantova che ne fecero
un luogo di villeggiatura da maggio ad agosto. Alla soppressione dei Gesuiti, la
chiesa e il convento passarono ,prima al Fisco di Mantova, successivamente a
Domenico Petrozzani, quindi nel 1840 a Giuseppe Raimondi che nel 1869 lasciò
l'intero complesso alla comunità di Belforte. La chiesa venne riaperta al culto
nel 1893 e poi definitivamente chiusa attorno al primo decennio del ventesimo
secolo avviandosi un arrestabile declino con crollo parziale del tetto già nel
1924.
Durante la Seconda Guerra Mondiale venne utilizzata come granaio e magazzino;
negli anni Sessanta parzialmente restaurata, con il rifacimento del tetto che
però è crollato nuovamente il primo aprile del 2000, per essere riparato a spese
del Comune di Gazzuolo, cui d'edificio ora appartiene. Spoglio e devastato
dall'incuria senza più tracce di arredi sebbene quanto ancora rimane, porti i
segni sul piano architettonico di rifacimenti settecenteschi. Si possono
intravedere i resti della volta a botte, elemento tipico dell'architettura
gesuita, mentre non restano tracce degli altari che devono essere nel XVIII
secolo in numero di tre laterali più l'altere maggiore, mentre nel secolo
precedente i documenti parlano anche della presenza di cappelle laterali. Tra i
vari quadri che ornavano la chiesa la " Sacra Famiglia" di Teodoro Ghisi, donato
a Monsignore Parazzi, parroco di S. Maria in Castello a Viadana, ( dove ora si
trova, come ricompensa per aver sovrinteso ai lavori di restauro della
parrocchiale di Belforte fra il 1879 e il 1880) e quello di S. Girolamo ora
nella parrocchiale di Belforte. Rimangono, oltre ad un affresco cinquecentesco
sotto l'arco trionfale, una loggetta rinascimentale appena dopo l'ingresso, che
fungeva da cantoria e alcune lapidi sepolcrali di notevole interesse tra cui:
1) Tomba di Antonia Del Balzo, Nell'epigrafe vi è scolpito, a mezzo rilievo, lo
stemma dei Del Balzo e, più sotto, un altro piccolo stemma marchionale della
parentela, mentre alla base due aquile relative allo stemma dei Gonzaga. Sulla
destra vi è rappresentata la stella dei Te Magi da cui Antonia discenderebbe.
Le tombe furono violate dai soldati della repubblica cisalpina ( a cavallo tra
XVIII e XIX secolo) alla ricerca di un fantomatico tesoro. Nel 1890, il
direttore dell'archivio di Sato di Mantova, fece alzare la lapide rinvenendo
resti mortali di diversi personaggi, così da far ritenere che la tomba sia stata
sepolcro ad altre persone della famiglia Gonzaga.
Negli anni 80, quando ancora ero in servizio alla Stazione CC: di Gazzuolo,nei
giorni di riposo, essendo un appassionato della pittura, ho piazzato il
cavalletto nei pressi della Chiesa di San Pietro ed ho dipinto alcuni mini
quadri, riproducendo l'antica chiesa romanica di S. Pietro. Alcuni di questi
quadretti ad olio, li inseriamo in questo contesto- storico- culturale, per
illustrare queste pagine.
Da qualche anno, il complesso chiesa - convento, di cui sopra, è stato
completamente restaurato e trasformato: La Chiesa di San Pietro, è stata
restaurata ad opera del Come di Gazzuolo e adibita a sala congressi, mentre l'ex
Convento ad un moderno Ristorante. Nell'area circostante, sono state costruite
due bellissime piscine che fanno parte del centro benessere.
Quindi, da quando abbiamo lasciato il Paese di Gazzuolo per quello di Campitello,
qualche cosa di nuovo è stato fatto.
Viaggio dì nozze a Capri
CAPRI è un luogo fatto apposta per gli innamorati e gli uomini stanchi della
vita: Lo scrittore inglese, Norma Douglas che ha scritto il libro My Hold
Calabria, venne a morire a Capri nel 1952, all'epoca il solo straniero ad essere
stato nominato cittadino onorario dell'isola. Aveva passato gli anni della
Seconda Guerra Mondiale a Londra, imprecando contro il cibo, la dissolutezza di
vita e di costume specialmente delle giovanissime, la loro mentalità e
soprattutto del clima inglese. L'unico sollievo era di sedersi su un divano in
compagnia di Nancy Cunardi e di giocare ai Wagons Lits, immaginando di essere su
di un treno che attraversava la Francia diretta in Italia. Il suo ritorno a
Capri, da lui tanto atteso, avvenne nel 1946, non senza difficoltà. Quando
Norman, oramai vecchio - aveva settantotto anni - andò a chiedere il visto al
consolato italiano a Londra, si sentì rispondere che i permessi erano rilasciati
a chi volesse fare un breve viaggio in Italia, non a chi avesse l'intenzione di
viverci. " Ma io non ci vado a vivere". Rispose Duglan, " ci vado a morire".
Non saprei indicarne un altro luogo così bello in cui coloro i quali ebbero a
soffrire dispiaceri, potessero finire più tranquillamente i loro giorni. Capri
dove la natura fa mostra di tutte le sue bellezze, di tutta la sua magica
varietà di fiori e dei famosi "limoni" e lo splendore delle sue tinte
dell'azzurro mare. Basta fermarsi in uno dei tanti affacci, da dove si gode la
stupenda vista da una parte del golfo di Napoli e del Vesuvio, dall'altra delle
ripide pendici del monte Solaro e della sua triplice vetta. Di giorno e speciale
modo la sera, ci trovavamo nella Piazzetta: Piazza Umberto che è la famosa
Piazzetta di Capri, aperta sul panorama di Monte Solaro dalla terrazza con le
bianche colonne della Funicolare e se tu affacci sul mare puoi ammirare i
caratteristici "Faraglioni", il monumento più fotografato dai turisti. Nel
calore della giornata queste rupi splendono di una tinta incomparabile, al lume
di luna si perdono in una luce magica. Sono sogni, è vero, ma chi può rimanere
qualche istante sulla Marina piccola di Capri senza lasciare sciolta la propria
fantasia? La solitudine e l'aspetto deserto della spiaggia sono magici, in
specie nel silenzio della notte, al chiarore ella luna, quando non si ode altro
che il frangersi delle onde che incessantemente si succedono le une alle altre,
quando gli scogli cupi si perdono nell'ombra, e le fiaccole delle barche dei
pescherecci ora brillano sulla superficie del mare, ora scompaiono. Questa notte
pochi sono i pescatori che tengono ivi le loro barche: Adriana ed io li abbiamo
visti seduti sulla sabbia bianca, intenti a raccogliere le reti, silenziosi,
immersi in profondi pensieri come gente che sa mirabili cose belle delle
profondità marine e delle sirene che vi abitano. Uno dei tanti scogli porta il
nome di scoglio delle Sirene L'immaginazione bel popolo sa sempre dare ai luoghi
le dominazioni che più vi si adattano; certo sarebbe impossibile trovare in
Capri. Qui si possono passare lunghe ore a godere la brezza marina ed a
contemplare gli effetti di luci sul mare: tutto è tranquillo e tutto risplende;
scintillano le onde, e scoccano i baci fra i novelli sposi che sono venuti, come
noi, in questo paradiso terrestre, per trascorrere qualche giorno della loro
luna di miele. Tutto è tranquillo, tutto risplende; scintillano le onde, e gli
scogli nel colore della giornata; non si ode altro che il canto monotono dolce
delle cicale. Ecco che cosa vi abbiamo trovato qui a Capri. Luce, aria, profumi,
tutto vive sotto il regno dell'armonia, e l'animo si inebria di solitudine.
Tra la Marina piccola ed i Faraglioni, si apre una delle più vaste grotte
dell'isola, la grotta dell'Arsenale. L'acqua non vi penetra, perché trovasi
dentro terra. Vi si scorgono vestigia di costruzioni romane. Anche a Capo
Tragara, sorgono fra i famosi lo scoglio detto il Moncone. Anche qui si scorgono
più avanti le vecchie mura della regia dell'Imperatore romano, Tiberio.
Le brevi vacanze della Luna di miele a Capri stavano per terminare. Abbiamo
vissuto nell'isola incantata di Capri ed abbiamo goduto, in tutta la sua
pianezza, la solitudine magica di quella marina. Così potessi riprodurre le
sensazioni ivi provati! Ma in poche pagine è impossibile descrivere con parole
la bellezza e la tranquillità di quella romita solitudine. Lo scrittore
Giampaolo Richter, contemplandola dalla terra ferma, ha paragonato Capri a una
sfinge: la bella isola. La visita dell'isola ha esercitato su di noi un vero
fascino per la sua conformazione monumentale, per la sua solitudine, e per i
cupi ricordi di quell'imperatore romano che signore del mondo intero considerava
quello scoglio come sua unica e vera proprietà.
La domenica mattina, con un tempo stupendo, andammo con il veliero a Sorrento, e
di lì ci dirigemmo vero la Città stupenda di Napoli, che sorge ai piedi del
grande e caratteristico Vesuvio Il mare era meno tranquillo del cielo; le linee
del paesaggio si perdevano all'orizzonte in una luce vaga ed indecisa. Quando
siamo entrati nel porto di Napoli, il sole illuminava ancora le cime del
Vesuvio, creando un'atmosfera di bellezza e di pace. Alla Stazione Principale di
Napoli, fu qui che salutammo gli amici veneziani che stavano effettuando il loro
viaggio di nozze in Vespa. Amichevolmente li avevamo definiti in veneziano" i
veci" i vecchi. Ci siamo salutati, mentre il treno - Napoli Reggio Calabria era
pronto per partire.
Alla scoperta di Aquileia
- Brani di vita-
Sfogliando le pagine ingiallite della vecchia Agenda di viaggio, sono emerse
brani di vita vissuta che sembravano essersi sopite nel tempo, ma il fluire, lo
scorrere del tempo che passa così velocemente, esse rivivono ancora dentro di
noi, come se si fossero verificati ieri.
Quando abbiamo chiuso dietro di noi il cancelletto del giardino della nostra
abitazione di Campitello (Mantova), erano le ore antilucane. Quando il pesante
pullman lasciava la bella piazza Garibaldi, le lancette dell'orologio
parrocchiale segnavano le ore 5. La nostra destinazione era il Friuli e
precisamente la storica e archeologica città di Aquileia. Abbiamo attraversato
un paesaggio magnifico in fiore e da lontano abbiamo ammirato la Laguna e la
città bellissima di Venezia. Superato Porto Marghera, l'autostrada per Trieste
era scorrevole e in poco tempo siamo giunti nella terra dei friulani e la nostra
meta era prossima. Una sosta nella città di Cervignano del Friuli, dove il
nostro pesante automezzo si è fermato nel centro storico. La nostra è stata una
sosta tecnica, come si dice. Nel Bar Centrale, che è sito nell'angolo della
magnifica Piazza, abbiamo fatto colazione. Prima di ripartire, abbiamo fatto un
piccolo giretto per la città, tanto per sgranchirci le gambe e per visitare
qualche monumento. Come al solito, sto sempre a guardare il paesaggio che scorre
come un film e ho visto che a fianco alla Strada Statale, corre un semplice
itinerario per gli amanti della bicicletta che si snoda in Friuli per circa 50
chilometri, attraverso un territorio quasi completamente pianeggiante,con
piccole colline, dove germogliano ricchi vigneti e ci permette di scoprire uno
dei centri più importanti dell'Impero Romano, godendo di paesaggi e panorami
incantevoli. Questo interessantissimo itinerario alterna tratti su piste
ciclabili vere e proprie ad altri su strade comuni ma agevolmente percorribili
su due ruote. Il percorso parte dalla stazione ferroviaria di Cervignano del
Friuli, passa per la storica Aquileia, quindi raggiunge Grado e, dopo essersi
affacciato sulla laguna e sulle foci dell'Isonzo, termina a Monfalcone. La
strada più breve da Cervignano ad Aquileia è la statale, piuttosto trafficata e
non molto larga, e quindi da percorrere con una certa attenzione. In
alternativa, si può allungare il percorso per la più tranquilla strada per Villa
Vicentina, dove si affaccia la splendida Villa Ciardi-Baciocchi. Abbiamo
appreso, che questa meravigliosa testimonianza storica e artistica, in passato
appartenne a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte, che commissionò
all'architetto Charles Sambucy il restauro della sua residenza estiva, ma anche
lo splendido parco punteggiato di reperti lapidei romani, secondo la moda del
tempo. Giunti nell'abitato di Villa Vicentina, si prende la strada a destra, si
passa sotto la ferrovia e si raggiunge la storica Città di Aquileia. Percorriamo
la parte del parco delle rovine del porto fluviale romano, che qui fiorì tra il
I e il IV secolo d. C. Nell'epoca di massimo splendore romano. Aquileia era una
delle città più importanti della penisola. Dell'età felice della città
permangono numerose testimonianze in vaste aree di scavo e nella superba
collezione del Museo Archeologico Nazionale, ritenuto uno dei più importanti
dell'Italia settentrionale. Devastata da Attila, Aquileia non si riprese mai
più, ed è oggi un piccolo borgo agricolo che sorge intorno alla basilica
paleocristiana e al suo campanile. Qui, una scala a chiocciola di 127 scalini
porta alla torre campanaria, da cui si gode di uno splendido panorama sul borgo,
sulle Alpi e sul Golfo di Trieste. Prima di visitare la basilica paleocristiana
di Aquileia, la squadra dei Campitellesi, ci siamo diretto verso quello che
rimane del sito archeologico del Porto fluviale e egli importanti edifici
demoliti e rasi al suo da Attila ed i suoi guerrieri. Anche la chiesa, come il
resto della città romana, è stata rasa al suolo, ma molto più tardi, é stata
completamente ricostruita dopo il passaggio distruttivo di Attila, mentre il
meraviglioso mosaico della navata è ancora quello originale della vecchia
chiesa, che non ha subito alcun danno, perché è stato coperto dai calcinacci
della chiesa stessa. All'interno ci siamo a lungo soffermati ad ammirare quel
gioiello museale unico al mondo, che da secoli dura nel tempo e nella storia. In
quel luogo abbiamo scattato molte fotografie del grande tappeto, costituito da
milioni di tessere di vari colori, che rappresentano scene religiose e
naturalistiche dell'epoca romana. La nostra guida che ci accompagnava nel sito
archeologico e ci spiegava le bellezze storiche di quel museo archeologico
all'aperto, ci disse: " Dopo le bellezze di questi capitelli, colonne e mosaici,
dell'epoca e romanica e Bizantina e la mistica della religiosità di Aquileia,
naturalmente dopo la mistica viene la mastica ed io devo lasciarvi, perché sono
atteso per il pranzo", vi saluto e vi auguro un buon proseguimento e un buon
viaggio di ritorno nella vostra bellissima Mantova. Anche noi escursionisti
mantovani, dopo un lungo viaggio dalla Valle padana al Friuli, sentivamo la
necessità di una sosta per rifocillarci. Nella periferia del piccolo borgo di
Aquileia, in un noto ristorante, eravamo attesi anche noi per il pranzo. Il
locale non era eccessivamente elegante e neppure era una bettola, ma un modesto
locale pulito ed ordinato, gestito da bravissime persone a carattere famigliare.
Lo chef aveva superato se stesso con il risotto ai frutti di mare e le lasagne
alla parmigiana. Per secondo ci è stato servito un piatto ricco di frittura
appena pescata. Il vino era quello locale: un Cabernet DOC, che coltivano nelle
loro vigne di fronte al mare. Dulcis in fundus, per addolcire il palato dei
commensali, una torta eccezionale, accompagnata da un vinello locale bianco
dolce, che piaceva molto anche alle gentili signore. Insomma, non è stato un
semplice pranzo turistico, ma lo definirei un vero convivio fra amici, perché
l'amicizia è l'amicizia. L'amicizia è un'avventura che appassiona e che stupisce
sempre più mano a mano che il tempo passa e la si vive concretamente fra degli
amici con cui confidarsi ed è altrettanto bello sentirsi un vero amico. È la
consapevolezza che qualcosa più che essere importante per noi, sia invece
importante per l'amico, la necessità di sapere che tra di noi tutto andrà bene,
la voglia di proteggerlo dai pericoli della vita, seppure comunque non potremo
evitare che alla fine si verifichino, ma l'amicizia è una cosa molto importante
da coltivare. Dopo il pranzo, abbiamo lasciato il borgo antico di Aquileia, ed
il pullman, condotto dal bravissimo amico Vittorio, si è diretto verso la
meravigliosa città di Trieste. Prima di lasciare la storica città di Aquileia,
vogliamo riportare alcuni cenni storici; La storia ci racconta che fu fondata
dai Romani come colonia militare nel 181 a.C. in un luogo che era all'incrocio
di popoli e traffici commerciali. Fu dapprima baluardo contro l'invasione di
popoli barbari e punto di partenza per spedizioni e conquiste militari.
Collegata da una buona rete viaria, col tempo divenne sempre più importante per
il suo commercio e per lo sviluppo di un artigianato assai raffinato. Raggiunse
il suo apice sotto l'impero di Cesare Augusto: con una popolazione stabile di
oltre 200.000 abitanti, divenne una delle maggiori e più ricche città di tutto
l'impero. Fu residenza di parecchi imperatori, con un palazzo assai frequentato,
fino a Costantino il Grande e oltre. Quando vi giunse il messaggio cristiano (la
tradizione parla di una venuta di S. Marco evangelista che portò a Roma S.
Ermacora per farlo consacrare da S. Pietro come primo vescovo di Aquileia), esso
ebbe rapido sviluppo sotterraneo, tanto da esplodere prontamente appena venne
concesso il culto pubblico con l'Editto di Milano del 313 DC Basti pensare che
sarebbero stati erette prontamente tre grandi aule, lussuosissime, poste tra
loro a ferro di cavallo: due principali, tra loro parallele, unite da una
trasversale. Ciascuna poteva contenere comodamente da due a tre mila persone:
cosa impensabile per un semplice "inizio" di evangelizzazione e per le ingenti
risorse necessarie per realizzarle. Queste poi, ben presto risultarono
insufficienti per contenere tutti i fedeli, e dovettero essere demolite per far
posto ad altre aule più ampie. Infatti crediamo che, qualche decina di anni più
tardi (verso il 345), parta dalle fondazioni dell'Aula Nord, fu eretta una molto
più ampia (lunga ben 70 metri e larga 31: 5 metri più lunga di quella che
vediamo), la più vasta in assoluto per Aquileia: quella che nel 452 d.C. fu
distrutta da Attila e mai più risorse. A proposito di Attila, pochi giorni fa,
nella trasmissione su Rai Uno di SUPER QUANRK di Piero Angela , abbiamo
assistito al grande capolavoro che ci ha coinvolti nell'evento distruttore del
passaggio di Attila in Italia e della completa distruzione di quella
meravigliosa città lagunare di Aquileia. In seguito a quel lungo assedio, dove
la città romana venne completamente rasa al suolo, senza più risorgere. Nella
nostra escursione, abbiamo potuto soltanto ammirare e fotografare quello che è
rimasto: capitelli abbattuti, colonne spezzate e marmi sparsi qua e là. Quello
che abbiamo ammirato nella sua integrale e meravigliosa bellezza, è stato il
mosaico romano, che è conservato per i posteri nella navata della chiesa, che è
stato risparmiato fortunosamente dai calcinacci dell'edificio religioso. Sì, è
proprio vero , come dice la storia: " non c'sarà domani senza ieri".
Ritorniamo alla storia di Aquileia e diremo che anche l'Aula Sud, ampliata sotto
il vescovo Cromazio rimase semidistrutta dall'invasione degli Unni. A questo
punto c'è da notare una caratteristica tipica e unica di Aquileia: tutte le
varie basiliche erano strettamente a forma rettangolare e senza abside. Quando i
figli degli scampati e degli esuli ritornarono ad Aquileia e pensarono ad una
ricostruzione, volsero l'attenzione alle strutture residue dell'Aula Sud, che
ancora fu ampliata in lunghezza e larghezza: saranno le fondazioni di
quest'ultima a fare da supporto, dopo un lungo periodo di completo abbandono
(dai Longobardi all'800), alla costruzione di una vera e propria basilica, come
noi l'intendiamo, e che sommariamente costituisce il perimetro di quella
attuale.
Da Aquileia, il nostro viaggio continua, per mezzo della statale, fino al ponte
translagunare che porta a Grado, la città dove si rifugiarono il vescovo e gli
abitanti di Aquileia, in fuga dalla furia devastatrice degli Unni di Attila.
Oggi Grado è una stazione balneare, rinomata in tutto l'Adriatico per le
bellissime spiagge dorate, per le marine e le terme. Proseguendo verso est, si
costeggia la laguna e si imbocca la strada per Monfalcone, vivace località
marittima dal passato glorioso. Leggiamo che la cittadina è stata infatti
decorata al Valore Militare sia per il sacrificio offerto durante la Prima
Guerra Mondiale, sia per il contributo alla Guerra di Liberazione. Sul centro,
dall'alto di una collinetta carsica, domina la Rocca di origini medievali.
Questa ottima postazione panoramica, sede di un interessante Museo
Paleontologico, può essere la meta finale dell'itinerario. In alternativa ci si
può dirigere verso il Parco Tematico della Grande Guerra: un vero museo a cielo
aperto che conserva i rifugi e le trincee italiane e austroungariche,
contrapposte a pochi metri le une dalle altre. Sulle pareti delle grotte e
presso le postazioni militari si leggono tuttora i messaggi e le invocazioni
incise dai combattenti di entrambi gli schieramenti. Dalla stazione ferroviaria
di Monfalcone, infine, è possibile tornare al punto di partenza. Ma il nostro
viaggio è proseguito verso la città meravigliosa di Trieste.
A Trieste siamo stati più volte, ma la prima volta fu quel fatidico giorno che
il Tricolore fece ritorno con in resta i valorosi Bersaglieri. In quel tempo,
prestavo servizio nella città di Alessandria, in qualità di Carabiniere
motociclista. Che in testa al corteo fra due ali di folla dei triestini che ci
hanno accolti in un tripudio di bandiere. Quella è stata una manifestazione
senza pari, in omaggio al ritorno della città alla madre Patria. Era un martedì
di cinquant'anni fa, e precisamente il 26 ottobre 1954. Ricordo che, nonostante
la pioggia e la bora, sin dall'alba i triestini erano nelle strade ad
accoglierci, non solo noi carabinieri che con i plotoni motociclisti eravamo i
primi che aprivamo la strada invasa dalla folla festante. Ai nostri soldati che
arrivavamo a Duino: la gente piangeva, cantava, rideva e cercava di portarsi a
casa un ricordo di quella straordinaria giornata, strappando ai militari
mostrine, bottoni della giubba, piume dai berretti. E quando attraccarono al
molo l'incrociatore Duca degli Abruzzi e i tre caccia di scorta anche i marinai
vennero gioiosamente "aggrediti". Fu una festa liberatoria. La gente usciva da
un incubo in tripudio di tricolori. Non c'è città d'Italia, più di Trieste, che
solo a pronunciarne il nome, Le parole Trieste, Italia, Patria, si fondono in un
unico indiscutibile assioma! .... Questa è la grande verità che commuove ed
esalta tutti: è ritornata la Madre. Quando ritorna la madre la casa è piena di
luce, tutto sembra più bello, ...
Una storia di dolore e gloria che ha segnato il nostro Risorgimento sino ai
Caduti nella prima guerra mondiale, centomila dei quali riposano a Redipuglia.
Ma poi, alla guerra vinta, seguì quella perduta. Con le tremende ingiustizie
patite dai triestini dopo il 30 aprile 1945 in un'alternanza di violenze e
barlumi di speranze: nove anni che hanno conosciuto l'orrore delle foibe,
l'esodo di trecentomila istriani, fiumani, dalmati, scacciati dalle loro terre,
tragicamente conclusi nell'eccidio dei sei "ragazzi del '53" uccisi dalle forze
di occupazione Alleate, mentre manifestavano chiedendo di veder esposto il
Tricolore in Municipio. Morti per rivendicare nella bandiera il simbolo di
un'identità nazionale e un radicato sentimento di amor di Patria.
Lo scrittore Bruno Ralza, nel suo libro così scrive: Il triestino, che dopo una
lunga assenza arriva nella sua città, giunga dal mare, dalla strada costiera o
dall'altopiano, rimane sempre incantato dal meraviglioso e immutato panorama che
gli si presenta davanti all'oggi. E' una vista che lo affascina e lo avvince in
qualsiasi stagione. Trieste, come una madre che sempre attende e spera che i
suoi figli ritornino,gli si fa incontro in un ampio abbraccio affettuoso e
commovente.-Noi oggi, siamo appunto, come quel triestino descritto da Bruno
Ralza.
Il nostro torpedone, proveniente da Grado, con la sua meravigliosa costa
lagunare, si è fermato nei pressi del Castello di Miramare, per visitare il suo
bellissimo museo, con il suo parco ricco di piante e di alberi d'ogni parte del
mondo. Di questo gioiello si è scritto e parlato molto. Volendo dargli
un'appropriata definizione sceglierei quella del Carducci. " Nido d'amore
costruito invano", un verso che racchiude tutta la triste e appassionata storia
degli infelici principi Carlotta e Massimiliano. La principesca dimora, situata
su di un roccioso promontorio, da turista il più accogliente benvenuto della
città ed è un luogo di piacevoli sorprese per tutti coloro che arrivano in
questo estremo lembo della penisola. Centinaia di migliaia di visitatori
ammirano ogni anno stupefatti, come del resto lo siamo stati anche noi, il
candido castello sul mare che lo lambisce.
Dopo la visita al Castello Miramare, abbiamo raggiunto il centro della città di
Trieste con il suo centro storico. La città si apre ad anfiteatro sul mare e
racchiude notevoli monumenti ed imponenti palazzi, i più importanti dei quali si
affacciano sulla bellissima Piazza dell'Unità d'Italia. Salendo sulle pendici
dell'altopiano Carsico troviamo la città " Vecchia" con l'antico Anfiteatro
Romano e la famosa chiesa di S. Giusto, massimo monumento e simbolo della città.
Abbiamo lasciato nel tardo pomeriggio la bella città di Trieste, facendo ritorno
nel nostro piccolo borgo di Campitello, di sapore medievale, immerso nella
brumosa e grande Valle padana, con i suoi lunghi filari dei chiassosi pioppi.
"C'era una volta…ieri", vecchia canzone d'amore sempre viva, sentita su le cime
dei pioppi alte su le verdi golene del nostro fiume. Solferino e San Martino
nell'idea di Croce Rossa.
Ieri sulle ridenti colline moreniche dove germogliano i verdi uliveti e svettano
gli alti cipressi, da dove si ammira il ridente Lago di Garda, proprio lì su
quella piccola vetta sorge la cittadina di Solferino e quella di San Martino,
dove si è svolto il 150° della Battaglia ed era presente anche il Ministro della
Difesa Ignazio La Russa ieri mattina alle celebrazioni ufficiali
dell'anniversario della Battaglia di Solferino e San Martino, nonché le Autorità
civili e religiose di Mantova. La giornata di ieri clou degli eventi con la
commemorazione dei caduti alla presenza di ambasciatori e capi di Stato di tutta
l'Europa. Alla cerimonia ha presenziato anche la banda dell'esercito italiano e
quella della Legione Straniera, mentre nel corso della giornata si è alzata in
volo l'esibizione di una pattuglia acrobatica dell'Aeronautica Militare. Alle
ore 10 la Santa Messa, celebrata dal Vescovo di Mantova Monsignore Roberto
Busti, in suffragio dei caduti nella cappella Ossario. Sono proseguite le
celebrazioni con discorsi commemorativi, il primo il Sindaco di Solferino e
deposizione corone con successivo trasferimento al parco monumentale di San
Martino della Battaglia. Qui in questi luoghi di guerra, dove germoglia l'ulivo
della pace e della fratellanza, un seme di speranza da ancora oggi i suoi
frutti: è nata qui la Croce Rossa. Il filo conduttore dei valori di fratellanza
tra i popoli, amicizia e solidarietà nati dopo la cruenta battaglia di Solferino
e San Martino, una delle più sanguinose per l'epoca. Il sindaco Germano Bignotti,
oltre a rimarcare lo straordinario sforzo logistico e organizzativo di
Solferino, un paese di 2500 abitanti che in questi giorni arriverà a ospitare 10
mila persone, ha ricordato anche la fiaccolata della Croce Rossa." E' un
appuntamento ormai tradizionale quello del 27 ghigno che però quest'anno
assumerà una connotazione del tutto particolare. Pure il ministro Sandro Bondi
ha manifestato interesse a parteciparvi" Del comitato per le celebrazioni del
150° fanno parte la Regione Lombardia, la Provincia di Mantova e di Brescia, i
Comuni di Solferino e quello di San Martino.
Noi non è la prima volta che saliamo su queste verdi colline dove svettano nel
cielo i lunghi cipressi, alberi caratteristici del Lago di Garda. In passato, in
un giorno feriale, siamo saliti fin quassù, per visitare i luoghi della famosa
battaglia e nell'occasione, abbiamo inoltre visitato l'ossario che conserva i
resti dei caduti nella famosa battaglia del 24 giugno 1859 che decise le sorti
della guerra in favore dei Franco-Piemontesi. Sulla cima del colle, attorniata
da alti cipressi, sorge la torre, di origini scaligera, detta la " Spia d'Itala"
per la posizione dominante, racchiude un museo della battaglia di Solferino con
interessanti cimeli e documenti.
Un nuovo museo della battaglia è stato inaugurato il 24 giugno 1931 in un
apposito padiglione sorto per ospitare in degna sede la cospicua raccolta messa
insieme dal commendatore Gaudenzio Carlotti di Cavriana, e da lui ceduta alla
Società di Solferino e di S. Martino.
La torre di S. Martino della Battaglia, dedicata a Vittorio Emanuele II, è un
cospicuo monumento a ricordo della famosa battaglia vinta dai Piemontesi,
contemporaneamente alla vittoria francese di Solferino, il 24 giugno 1859. In
un'altra visita, abbiamo appreso che fu costruita dal Pezzalli, inaugurata nel
1893, ha le pareti decorate da pitture storiche del Bressanin, del De Stefani,
del Vizzotto - Alberti e dai fratelli Pontremoli. Ricordo che dalla terrazza
merlata, a m.74 d'altezza, si abbraccia tutt'intorno ad un panorama stupendo, in
cui occhieggiano i luoghi famosi ove i patrioti santificarono col sangue
quell'ideale di unità italiana che solo alla nostra generazione spettava di
vedere meno incompletamente realizzato.
Sulla Voce di Mantova, del 22 giugno, è apparso un bellissimo articolo sulla
battaglia di Solferino San Martino, nella ricorrenza dei 150° anniversari a
firma del giornalista Gastone Savio e prima che questo articolo diventasse
effimero, lo facciamo rivivere in queste nostre pagine rievocative della
sanguinosa battaglia, infatti, oggi, come abbiamo ripetuto più volte, il 24
giugno 2009, a Solferino e a San Martino, si commemora tale ricorrenza, alla
presenza delle più importanti autorità civili e militari, nonché di molti
giovani della Croce Rossa internazionale. La storia ci racconta che il 24 giugno
1859, le truppe francesi e piemontesi sconfissero gli austriaci a Solferino e
San Martino, a sud del Lago di Garda. La battaglia fu un bagno di sangue, ma
aprì le porte all'unità d'Italia.
"Il sole del 25 [giugno 1859] illuminò uno degli spettacoli più spaventevoli che
si possano presentare all'immaginazione", annotò poco tempo dopo la battaglia
Henri Dunant. Lo scenario descritto dall'imprenditore ginevrino aveva toni
apocalittici. "Il campo di battaglia è in ogni parte coperto di cadaveri
d'uomini e cavalli; le strade, i fossati, gli avvallamenti, le macchie, i prati
sono cosparsi di corpi morti, e gli accessi di Solferino ne sono letteralmente
coperti. I campi sono devastati, i frumenti e il grano turco sono calpestati, le
siepi rovesciate, i frutteti saccheggiati, di tratto in tratto si incontrano
pozze di sangue".
Dunant fu profondamente sconvolto da quanto vide. Per elaborare il trauma,
qualche tempo dopo la battaglia scrisse un libro destinato a diventare famoso e
a fornire l'impulso per la nascita della Croce Rossa. Il libro, Un ricordo di
Solferino, è una testimonianza degli orrori bellici che a un secolo e mezzo di
distanza non ha perso nulla della sua drammaticità.
Una grande battaglia
La presenza di Henri Dunant sul campo di battaglia di Solferino fu frutto del
caso. L'impressione che i combattimenti fecero su di lui non fu però casuale: la
battaglia di Solferino e San Martino è ricordata come uno dei più grandi scontri
armati dell'Ottocento. Secondo le stime più prudenti, sotto le bandiere della
Francia, dell'Impero austro-ungarico e del Piemonte, erano schierati almeno
230'000 soldati. La battaglia, che avvenne su un fronte lungo una quindicina di
chilometri, durò oltre dodici ore. La mattina del 24 giugno gli eserciti si
trovarono all'improvviso l'uno a ridosso all'altro sulle alture a sud del lago
di Garda. Entrambe le parti non si aspettavano di trovarsi di fronte il grosso
delle truppe nemiche. I combattimenti si svilupparono in modo caotico e gli
scontri furono spesso all'arma bianca. Al termine della battaglia, rimasero sul
campo migliaia di cadaveri. "Le relazioni ufficiali dell'epoca parlavano di poco
meno di 5000 morti", ricorda il sociologo Costantino Cipolla, curatore di
un'opera in quattro volumi su Solferino. "Nel 1870 per motivi di igiene si
riesumarono però i cadaveri seppelliti nel campo di battaglia. Furono ritrovati
ben 9500 teschi. Senza contare i morti sepolti nei cimiteri e quelli deceduti
più tardi, a causa delle ferite". I soldati che persero la vita nella battaglia
di Solferino sarebbero stati oltre 20'000, il 10% circa dei combattenti.
"Una vittoria della rivoluzione"
Solferino fu l'ultimo episodio della seconda guerra d'indipendenza italiana. La
vittoria delle truppe francesi e piemontesi, alleate contro l'Impero austriaco,
aprì le porte all'indipendenza e all'unità d'Italia. "Senza Solferino, la
spedizione di Garibaldi in Sicilia e quindi l'unificazione del paese sarebbero
stati impensabili", osserva Costantino Cipolla. "La battaglia fu il'crinale dei
crinali' dell'Unità d'Italia. Da allora non si tornò più indietro".Ma la
battaglia ebbe anche conseguenze di portata più ampia, rileva il professore di
sociologia all'università di Bologna. "Solferino segnò la definitiva vittoria
del concetto di sovranità popolare contro i principi di legittimità monarchica.
Non per niente la letteratura reazionaria dell'epoca parlò di una 'vittoria
della rivoluzione'".Curiosamente, Solferino fu anche una delle ultime battaglie
in cui erano presenti - in qualità di comandanti supremi delle truppe - i
sovrani di tutte le potenze in guerra: Napoleone III per la Francia, Francesco
Giuseppe I per l'Austria e Vittorio Emanuele II per il Piemonte. "La loro
presenza fu una sorta di gioco della storia", nota Cipolla. In ogni caso,
precisa, "Vittorio Emanuele II si trovava a 4-5 chilometri dalla battaglia e
fumava il sigaro. Anche Francesco Giuseppe era lontano dagli scontri. Solo
Napoleone III era alla portata dei tiri di cannone, tanto che alcuni dei suoi
aiutanti furono feriti".
Grazie alla penna di Henri Dunant, Solferino segnò una svolta anche da un altro
punto di vista: "Da allora, la guerra non fu più letta solo come momento di
gloria, di vittoria. Con Dunant la guerra cominciò a essere osservata dal punto
di vista delle vittime" Così scriveva. Andrea Tognina, di quella grande
battaglia, che non trova nella storia altri precedenti così sanguinosi.
IL CAMPO DELLE TENDE BIANCHE DELLA CROCE ROSSA
Dove, 150 anni fa, si dispiegava il campo di battaglia ora sono tende bianche su
cui campeggia il simbolo della Croce Rossa. Saranno, per la settimana che ha al
centro la data del 24 giugno, la casa comune per centinaia di giovani
provenienti da 187 Nazioni, tante sono quelle che nel mondo hanno firmato la
Convenzione di Ginevra. A Solferino troveranno il tempo per onorare i Caduti,
ma, soprattutto, prenderanno contatto con le terre su cui, un secolo e mezzo fa,
uno spettatore inerme della battaglia del 1859, il ginevrino Hanty Dunant, mosso
da spontanea pietà per quelle migliaia di giovani travolti dell'immane tragedia
della guerra, maturò l'idea del soccorso universale che, nel 1863, si tradusse
in un atto concreto con la fondazione della Croce Rossa, Centocinquant'anni
dopo, l'anniversario della battaglia di Solferino e San Martino appare così
lontano da non essere più offerto ai giovani studenti nei loro libri di storia.
Risorgimento, Unità d'Italia, Unione europea sono tappe successive di un
percorso invaso da tanti altri importanti avvenimenti, la cui forza si impose
alla memoria comune attenuando o facendo scomparire il ricordo della battaglia,
a detta, la più cruenta del 19° secolo, che per anni ebbe il primato nelle
pagine dei libri di storia. Sono grandi ricorrenze largamente scadute nella
memoria dei posteri fino ad appartenere più ai cerimoniali che alla spontaneità
del popolo, ma del ricordo dell'Idea di Croce Rossa mai c'è stata flessione.
Potendo parlare, 150 dopo, non della sua sopravvivenza, ma di validità viva,
vitale, traendo conclusioni eterne ed universali per la forza che continua ad
emanare a favore dell'umanità. Il 24 giugno si celebrerà ancora l'evento
militare, Solferino e San Martino susciteranno, certamente, commozione per
l'alto numero di giovani vite, allora, sacrificate alla guerra. I nomi di questi
due località solleciteranno, è pensabile, l'emozione delle citazioni: il
Risorgimento, il Re Galantuomo ( Vittorio Emanuele II), Napoleone III, Niel, Mac
Mahon, Manfredo Fanti, Auger, La Spia d'Itala; lo scontro di San Cassiano (
Cavriana), di Ca' Morino (Medole), le avanzate e le ritirate, un'intera giornata
di combattimenti, attacchi inumani all'arma bianca; la sete, la fame, le urla
strazianti dei feriti, il rantolo dei moribondi; le perplessità dei patenti per
un armistizio ( Villafranca) e pur anche la delusione per quella conclusione
mutilata che non poteva corrispondere alle aspettative di quei patrioti. L'idea
di Croce Rossa porterà ai piedi della Rocca e davanti agli Ossari di Solferino e
San Martino i giovani volontari che il 24 giugno saranno ospiti del Grande Campo
della Croce Rossa. Figli di generazioni dal sentimenti diverso di quelle che
vennero a morire nelle forre dell'anfiteatro morenico, educati ai valori
universali, hanno sostituito all'idea di patria quella della globalità. Si
inchineranno, certamente, davanti a tanti morti, per di più loro coetanei, ma
dichiareranno, nella preghiera ecumenica, la loro ribellione all'orrore della
guerra, avendo maturato la convinzione come si disonori l'umanità quando si
voglia far apparire, come ineluttabile, la necessità di affidare al fragore
delle armi l'affermazione della giustizia.
Saranno, poi, questi stessi giovani volontari che, appartenendo a Paesi diversi,
ma fraternamente uniti dalla medesima aspirazione di pace, la fiaccola della
vita nella mano, la sera del 27 giugno, data che 50 anni fa, vide
l'inaugurazione del Memoriale dell'Idea di Croce Rossa sito in fondo al Viale
dei Cipressi sul Monte della Rocca, cammineranno fianco a fianco e percorreranno
gli stessi sentieri che avevano attraversato i campi di battaglia del 1859. E,
fra i tanti slogan, grideranno quello proprio del soccorso: " Siamo i primi ad
arrivare e gli ultimi a partire ", avendo imparato ad affrontare le calamità con
le " armi" della vita, onorando l'umanità con la solidarietà. Racconto escursionistico:
un viaggio attraverso la Puglia
Siamo in tempo di vacanze, fra non molti giorni incominciamo il nostro
viaggio nella vecchia e meravigliosa terra di Puglia. Le valigie sono
quasi pronte ma ancora mancano tante cose da portare. Oltre ai vestiti e
gli oggetti da mettere nella valigia, prima di tutto, ci sarebbe da
mettere qualche buon libro da leggere sotto gli ombrosi, contorti e
secolari ulivi e la vecchia agenda di viaggio, la cinepresa e la macchina
fotografica con parecchi rollini e persino anche il Computer portatile,
perché no! Come recita un vecchio proverbio, quando si va per la prima
volta in una località nuova, bisognerebbe documentare ogni cosa con la
macchina fotografica, mente sull'agenda di viaggio, perché oltre che
fissare le immagini sulla pellicola, bisogna raccontare un luogo, che
significa andare al di là della figura, fino al punto in cui si sprigiona
l'energia di un abbaglio, dove monta un'onda, dove l'eterno e il
transeunte si ritrovano e si confondono.
Il racconto di un luogo è sospensione del tempo, riverbero della memoria
o fantasticheria, figurazione che combina reale e immaginario, sguardo e
ricordo. Allora un luogo si fa ritmo, movimento, pulsazione, parola,
silenzio, respiro comunque linguaggio-. Il racconto di un luogo è sempre
una mediazione tra quello che si incontra e quello che si vorrebbe
incontrare, tra una condizione di realtà e una di attesa, tra una
risposta che viene dalle immagini e quella che si vorrebbe scoprire oltre
le immagini, dentro di esse. Ecco, allora: andare oltre le immagini,
dentro di esse; scavare, indagare, disarticolare, scomporre per cercare
quelle risposte che sono oltre, che sono dentro, e poi articolare,
ricomporre, ricoprire lo scavo, perché si è trovato il senso di quel
luogo, di quella terra: che è il solito senso che si ripresenta sotto
forme diverse, con sembianze cangianti. Un senso semplice. Semplicemente
essenziale. L'essenzialità dell'ambivalenza: armonia e disarmonia, il
contrario e l'uguale, il niente e il tutto, il buio e la luce, il vero e
il falso, la vanità e la sapienza. Qualcuno scriveva: " La vita e la
morte".
C'è sempre una differenza lo scarto di un ricordo, la nostalgia per una
distanza, una condizione di separazione, la sfumatura per il tempo che
passa, l'offuscamento dell'orizzonte tra la realtà di un luogo e la
nostra idea di quel luogo, tra la sua sostanza concreta e la nostra
memoria fluttuante, tra il nostro desiderio di consegnarlo ad una
figurazione immutabile e il suo trasformarsi continuo, la sua mutazione
incessante. Nelle nostre ricerche e letture di libri e articoli sul
racconto di un luogo, abbiamo compreso che altro non sono che il
riverbero della nostra memoria del nostro passato prossimo e delle
continue osservazioni, tra l'arte, la storiografia e la paesaggistica di
un luogo e di una regione come la terra di Puglia. In principio di questo
contesto letterario, c'è un articolo in cui parliamo dei nostri ricordi
del nostro passato prossimo, quando abbiamo chiuso dietro di noi il
"cancelletto della mera fanciullezza, e siamo entrati in un giardino
meraviglioso, dove ha avuto inizio la nostra carriera militare nell'Arma
Benemerita. Sì, ha avuto inizio da questa terra antica, dove germogliano
gli antichi ulivi come quelli del paese natio. Ricordo che un treno a
vapore, sbuffante di fumo nero che impestava 'aria che si respirava, mi
portò nella Città moderna e bellissima di Bari, nelle Casermette "
Porcelli", dove gli istruttori e i superiori mi insegnarono come amare la
Patria e servire le Leggi dello Stato.
Oggi, siamo ritornati e stiamo cercando di esplorare e soprattutto di
conoscere ogni sua sfumatura. Il bravissimo scritto pugliese, Vittorio
Bodini, che oltre ad essere scrittore è un filosofo, egli così descrive
un luogo che si presenta a noi come una creatura: sempre, anche se
impercettibilmente. Si presenta con quella fisionomia che per noi
costituisce la sua identità; pretende di essere quello che in realtà è:
configurazione di uno spazio. Non un paesaggio interiore, elaborazione
del sentimento, proiezione dell'emozione. Ma pietra, bosco, caverna,
grattacielo, vicolo, autostrada. Nient'altro.
Ancora: un luogo dice che c'era prima che noi ci fossimo e che ci sarà
anche quando noi non ci saremo più. Cambierà. Diventerà un altro luogo
rispetto a quello che è. Allora tra un uomo e un luogo comincia la sfida:
tra le parole e un tramonto, tra il colore e un intrico di rovi, tra la
screpolatura di un muro e lo sguardo di una fotografia. Noi non ci
rassegniamo che possa essere soltanto quello che è; vogliamo pretendiamo
- che sia fatto a nostra immagine e somiglianza.
Sì, Egli ha proprio ragione, è proprio così, un luogo si presenta al
nostro sguardo con tutto il suo tempo, con le sue stratificazioni e gli
intrecci di relazioni, con la sua appartenenza plurale, il suo essere di
tutti. Quel luogo, quel paesaggio, ci guarda passare. Impassibile. Siamo
comunque forestieri e sconosciuti di quel luogo. Siamo come chiunque
altro che sia passato da lì, per caso, o che vi abbia abitato una vita,
in un passato prossimo o remoto. Siamo come chiunque altro che vi
passerà, che lo abiterà, in un futuro immediato o lontano. Noi invece
vorremmo che fosse nostro soltanto. Lo vorremmo per appartenenza
esclusiva, essenziale. Vorremmo che solo a noi fossero concessi i suoi
colori, il suo orizzonte, le sue bellezze naturali, i suoi paesaggi
mozzafiato, la sua polvere, la luce, il buio. Che solo per noi fosse
possibile afferrare l'irripetibilità di quell'istante. Ma quell'istante
lo possiamo soltanto fissare sulla pellicola o sul vecchio taccuino di
viaggio, ma sarebbe meglio se lo fissassimo sulla tela o su di un foglio
bianco con i colori vivaci dell'Acquarello, come abbiamo fatto in passato
con il " Tempio dei Trulli", di Alberobello, il Castello del Monte e i
Sassi di Matera.
Vorremmo poter essere soltanto noi a ricordare, a dialogare con le ombre,
ad ascoltare i silenzi, a interrogare le pietre, ad insinuarci nelle sue
storie per prenderne il senso, il lievito, la sostanza. Vorremmo essere
solo noi ad avere nostalgia. Di un luogo siamo gelosi come lo siamo di
chi amiamo. Così tentiamo di farci dare in dono l'anima. Oppure di
rubargliela. Ma chiediamo in dono, o rubiamo, quella condizione che non
sappiamo bene cosa sia, che, come dice James Hillman né L'anima dei
luoghi, sfugge a ogni definizione: " le sue definizioni, come i tentativi
di trovarla, non hanno mai avuto successo".
A volte l'anima di un luogo è costretta a darsi alla fuga, o a morire.
L'anima scappa " dal chiasso, dalla sfacciataggine, dalla violenza, dalla
mancanza di misura, dall'enormità, dalla purezza, dal minimalismo".
L'anima muore quando non ci sono più parole per raccontare il desiderio
ansioso di cercarla o la sapiente pazienza di aspettarla. " Qui s'era
fatto il mio volto", scrive Vittorio Bodini.
Allora chi scrive di un luogo, come stiamo cercando di fare noi oggi in
questa bellissima e antica terra di Puglia, che in un certo senso ci
appartiene si confronta con questo sentimento dell'appartenenza, anche se
il gesto della scrittura si compie in una situazione di lontananza. Forse
anche di più, quando è nella lontananza. Perché la lontananza attiva un
processo di distacco dallo spazio fisico per un'espansione dello spazio
memoriale.
La memoria essenzializza: individua quelle immagini che hanno una più
consistente stratificazione di senso, circoscrive i tempi - a volte
istanti - che rappresentano i nodi dell'esistere, definisce nel pensiero
quelle figure del reale e dell'immaginario che hanno fatto l'essere com'è
alla sua età e che ne condizioneranno il passaggio verso età ulteriori.
Colui che scrive una terra, spesso deve scavare, anche se può accadere
che si ritrovi a dover scavare in un'ellisse d'aria, come diceva Vittorio
Pagano. Talvolta deve anche disseppellire. Perché spesso il suo volto
rassomiglia a quello dei morti: a quello degli antenati che gli hanno
lasciato in eredità nient'altro che una fiaba da raccontare, da ripetere
all'infinito a qualcuno che può essere anche solo il proprio sé davanti
allo specchio del presente, a qualcosa che può essere la propria
nostalgia o la propria coscienza. Quando è così il tempo della terra ha
tutta la pesantezza della Storia oppure la leggerezza di una parola di
poesia. Quando è così, colui che scrive una terra avverte l'attrazione
provocata dalla seduzione dell'origine e il turbamento per la scoperta di
quel lievito antropologico che il passaggio e il mutamento dell'età a
volte hanno rimosso oppure hanno occultato.
Ancora Vittorio Pagano: " ai grassi fichidindia, ai magri fichi/ La
campagna dà un cuore per concime/ Ed è il mio cuore".
Ricercare quel cuore, ritrovarlo, in qualche caso forse ricomporlo,
restituirgli forma e pulsazione: forse chi scrive una terra ha questa
cosciente o incosciente ambizione: riappropriarsi di quello che ha dato
ad essa per poi consegnarglielo di nuovo, dopo aver riconosciuto che non
c'è stata cancellazione, dopo essersi accertato di vivere ancora in
quella terra, come un altro elemento qualsiasi, una pianta qualsiasi,
forse anche una pietra. Chi scrive una terra deve riconoscersi:
riconoscere il sé che si è conformato nel passaggio delle stagioni,
identificarsi in un paese originario che ha, ad un tempo, la fascinazione
di un dove e di un altrove, che genera, quasi simultaneamente, un
movimento di fuga e uno di ritorno che molto spesso costituiscono il
motivo o il movente del racconto. Per scrivere di una terra come la
Puglia, occorre muovere costantemente lo sguardo dal proprio esistere
fisico, storico, emozionale, a quello del luogo reale o immaginato, alla
sua storia, alle sue leggende, alle sue espressioni visibili e a quelle
che appartengono alla lontananza, all'anteriorità, alla sua physis e alla
sua poesia, alle sue figure e alle ombre che da queste si staccano, si
slargano, si spandono. Bisogna tener conto dei vivi e dei morti- Noi
questa terra con la sua storia e le sue bellezze naturalistiche, un tempo
molto lontano l'abbiamo conosciuta, ma oggi, dopo una lunga vita,
un'eternità, siamo ritornati nella vecchia terra dei sassi, che gli
uomini raccolgono disseminati nei campi, e i sassi ripuliamo, li diresti
tuberi che si moltiplicano smossi dall'aratro. Essi sono le rughe, le
crepe, i bitorzoli, i porri, le chiazze di una faccia che è stata
sbattuta dalla sofferenza, che non è risparmiata nella fatica e nella
privazione, che non ha avuto il tempo di truccarsi. Poi c'è l'altra
pietra sotterra, a un palmo della superficie. I rabdomanti cercano
inutilmente la vena profonda, dove il cavatore urta nel calcare sotto le
radici della gramigna. Una pietra che intorno a Lecce diventa tenera e
pastosa, color di crema, come abbia assorbito il poco d'acqua non ancora
bevuto dal sole Pietra da incidere come una lastra di cera, da intagliare
e traforare quasi per gioco. Il ferro la intaglia e sfrangia senza colpi
di martello. Artefici rustici la lavorano a guisa d'argilla per forgiare
vasi da fiori e statue di Madonna. Pochi anni a rivestirla della patina
bruna dei secoli.
Oggi siamo ritornati nell'antica terra di questo meraviglioso paese, dove
il suo volto moderno sta dipinto sullo sfondo della sua storia e su
questo paesaggio storico, disposto naturalmente in più piani, che sfumano
e si confondono sull'orizzonte, tra cielo e terra, tra poesia e leggenda.
Il Quadro della storia di Puglia
Il quadro della storia di Puglia ha nel primo piano i colori solidi ai
paesi di conquista, colori di temporale e d'incendio. Innanzi ai moti
d'insurrezione e d'indipendenza annunziatori del Risorgimento, che
mandarono una primavera di martiri alle forche dell'Ammiraglio Nelson e
del Cardinale Ruffo, la vita politica ed economica di questa regione non
fu che una vicenda d'incursioni, invasioni e devastazioni. Non c'è altra
regione che abbia tanto alternarsi di trapassi, dai primi Longobardi agli
ultimi Borbone, tra la raccolta degli eserciti crociati, qui convenuti da
ogni parte della Cristianità per salpare verso il Sepolcro di Cristo, e
la disfida in campo chiuso che Italiani e Francesi combatterono sugli
spalti di Barletta. Ma gli invasori non venivano soltanto d'oltre monte e
d'oltre mare, poiché i Veneziani non si rassegnarono mai di lasciare la
presa, come di un posto avanzato della madre paria verso il loro dominio
orientale, e vi accampò pretese anche Lodovico il Moro. Incuneata in
mezzo del Mediterraneo, tra Oriente e Occidente, aperta a Nord dalle
vaste pianure della Capitanata, e non difesa lungo il suo doppio mare da
un'adeguata corazza di scogliere, questa penisola, che ha maggior
sviluppo costiero tra le regioni marittime d'Italia. Noi oggi, siamo
sbarcati dalla lussureggiante e piatta Valle padana, in questo paradiso
terrestre tra cielo e mare. Le cittadine si spargono largamente, ma basta
salire sulla scarpata della ferrovia per abbracciare dall'alto con lo
sguardo tutta la distesa. Case basse e bianche entro il folto
dell'oliveto o in riva all'Adriatico danno il presentimento del paesaggio
orientarle, come quei villaggi e antiche città del Marocco o della
Tunisia, che più volte abbiamo visitato.
Dai villaggi e dalle città in tal modo aderenti al suolo, emergono le
cattedrali Il contrasto le fa più grandi. Sembrano favolose anche
ormeggiate in quella marea di fumi che sale la sera dai casolari accesi.
Danno il senso dell'eternità immanente tra le cose caduche. Ritengono del
baluardo e del tempio, mostrano un aspetto sacro e guerriero. Si direbbe
che l'arte lombarda allontanandosi dalle origini territoriali siano
quaggiù riempita di nuovo vigore e giovinezza. Ammirando queste opere
d'arte, ci vengono in mente delle reminiscenze arabe e mussulmane. In
queste cattedrali di Bari, di Corato, di Ruvo, d'Altamura, essa ha
mostrato quanto potessero le virtù dei suoi maestri e di questi rosoni
hanno un loro carattere nativo che le distingue dalle altre regioni.
All'appassionato,come noi, al cercatore d'arte antica e nuova le
cattedrali pugliesi offrono la maggiore attrattiva, insieme con qualche
palazzo patrizio, con alcune chiese del Salento, con i castelli svevi e
angioini, con le colonne terminali della via Appia, con l'anfiteatro di
Lecce, con le anfore preziose e i cammei venuti alla luce negli scavi di
Tarantino. Le arti sorelle, scultura e pittura, non hanno avuto eguale
fiorilmente. Fideliter excubat; è il motto della città di Gallipoli, e
può essere impresso come insegna su tutta la regione. Esso ci porta alla
memoria il dolce rito nuziale che si compie in uno dei villaggi garganici.
Genuflessa all'altare, la sposa dispiega un lembo della veste sotto le
ginocchia allo sposo. Tacita promessa di fedeltà e devozione, pegno
amoroso di obbedienza.
Il SALENTO
E' una terra di miraggi, ventosa, è fantastica, e piena di dolcezze.
Resta nel mio ricordo più come un viaggio immaginario che come un viaggio
vero. Il Salento, noto anche come penisola salentina e conosciuto come il
Tacco d'Italia, è una sub regione dell'Itala che si estende sulla parte
meridionale della Puglia tra il mare Ionio ad ovest e il mare Adriatico
ad est. Gli abitanti o dell'area che comprende l'intera provincia di
Lecce, quasi tutta quella di Brindisi e parte di quella di Taranto, si
distinguono per caratteristiche glottologiche e culturali rispetto al
resto della regione. Da un punto di vista storico il Salento ha fatto
parte per molti secoli dell'antica circoscrizione denominata Terra
d'Otranto.
La Puglia. Una volta erano le Puglie, e il nome era giustificato proprio
dalla diversità di paesaggi, di dialetti, di tradizioni, di gastronomie,
di ambienti antropizzati. Un coacervo di misture di monumenti, di marine,
di colline, di vegetazione, di pietanze.
Chi scende in Puglia dall'Adriatica incontra subito il Gargano. La luce
del sole che illumina il promontorio continua ad esercitare il suo
richiamo insieme al verde della festa e alla limpidezza del mare. Da
Rodi, Peschi, Vieste, Mattinata, gli arroccati paesi-presepe, alle
mirabolanti grotte dai mille riflessi, agli archi e ai richiami della
remotissima roccia, alle lunghe distese di sabbia, alle baie di tenera
bellezza che s'accendono all'improvviso per il rifugio del pescatore o la
gioia del bagnante.
La strada che s'allunga morbida per le pendici offre vertiginosi scenari
mozzafiato. E sotto, oltre i pini odorosi, nel silenzio rotto solo dalle
cicale, si svolgono i "riti profani" delle vacanze, con alberghi,
villaggi e camping. Più in là al centro dell'Adriatico, le isole Tremiti
sono schegge incontaminate di roccia, memorie e colori staccatesi dal
promontorio. E all'interno, sulle brulle dorsali, Monte Sant'Angelo, col
santuario, le case bianche e le stradine, è la faccia aspra e rispettosa
del Gargano "sacro", centro di un turismo religioso che accomuna anche
San Giovanni Rotondo, il paese di padre Pio, che ci vide più volte in
rispettoso pellegrinaggio. Infine la grande e misteriosa Foresta Umbra,
dal fascino sorprendentemente nordico, insieme ai laghi di Lesina e
Varano, completa lo straordinario scenario.
Dal Gargano al Salento, passando per la bianca, superba ed elegante
Ostuni e per i suoi insediamenti turistici, eccoci all'altro polo del
turismo in Puglia. Otranto, la più orientale delle città d'Italia, è
l'avamposto di una costa punteggiata di torri di avvistamento contro le
incursioni dei Saraceni, tra il Conio e l'Adriatico. Ora lunghe distese
di pineta introducono dolcemente alle dune sabbiose tra fiori e cespugli,
ora l'alta costa di bianco tufo s'affaccia sullo strapiombo di un mare
trasparente e di mille calette dalla luce rarefatta.
L'antichissima Gallipoli, Castro con la grotta Zinzulusa, Porto Cesareo,
Leuca, ho sì, Leuca, sono le punte di diamante di questo lembo di Puglia
dalle tinte tenui e dai profumi marini. Anche qui il turismo
internazionale, dal Mediterraneo ai villaggi sui laghi Limini, alle mille
linde casette sembra assorbito da una natura che avvolge tutto senza
violenza. Qui, sulle coste di Leuca,abbiamo trascorso gli ultimi due
giorni del nostro soggiorno,due giorni meravigliosi a contatto con la
stupenda natura, navigando su di un veliero bianco e soffermandoci,
grotta dopo grotta.
Ma la Puglia contiene anche tesori d'arte e di cultura pari al grande
ruolo di crocevia di popoli che ha svolto nella storia. Dalla Magna
Grecia ai Romani, dai Longobardi ai Bizantini, dai Normanni agli Svevi,
agli Angioini agli Aragonesi, finanche ai Borbone: qui il rocambolesco
scorrere dei secoli ha lasciato tracce che non potranno mai essere
cancellate. Figlia della sua luce e della sua pietra è la Puglia delle
Cattedrali. Svettano al cielo e ora s'affacciano sul mare ora s'innalzano
al centro di vecchi paesini. Monumenti viventi dell'arte romanica
pugliese: arte semplice e grandiosa.
C'è poi la Puglia dei castelli, anzitutto del sublime Cartel del Monte.
Poi vennero le masserie e le torri, "cattedrali verdi" ora in gran parte
abbandonate al centro delle campagne o soggiogate dalle città. Molto
spesso sorsero su grotte in cui per secoli si mimetizzò la vita
sotterranea del popolo delle caverne. E' il fascino itinerario della
civiltà rupestre pugliese. Si può dire che il territorio pugliese sia un
parco archeologico ininterrotto. Dolmen e menhir, città scomparse
dissepolte, villaggi medievali abbandonati, necropoli d'ogni epoca che
hanno restituito stupefacenti corredi funerari. Dalla pulizia delle forme
delle cattedrali al bizzarro groviglio di pietra che emerge dalle
facciate di case e chiese nel Salento. E' il barocco, una scultura che
sembra un disordine ma che è uno splendido ordine sovrano. Capitelli,
balconi, stemmi. La magia dei fiabeschi paesaggi spontanei creati
dall'acqua e dal calcare nelle grotte di Castellana, le più grandi
d'Europa. Stalattiti e stalagmiti salgono e scendono goccia su goccia,
granello su granello. Pochi passi più in là bianchi e protesi verso il
cielo illuminano il paesaggio di un'altra meraviglia. I trulli, ho sì, i
trulli, che ci fecero innamorare per la loro originalità e bellezza, essi
sono la testimonianza irripetibile ed ingenua di una saggezza contadina
che ancora stupisce.
Alberobello, Loco rotondo, Costernino e Martina Franca sono le città dei
trulli, avamposti della dolcissima Valle d'Itria. Il mare e le coste. La
Puglia ha un esteso sviluppo costiero; le sue coste, infatti, si
allungano per circa ottocento chilometri. La natura delle coste pugliesi
è varia; ampi tratti bassi e sabbiosi s'alternano con tratti rocciosi più
o meno scoscesi sul mare Il Salento Il Salento e' una delle cinque
regioni che formano la Puglia insieme al Gargano, al Sub Appennino danno,
al Tavoliere di Foggia, alle Murge. Noto anche come penisola salentina e
popolarmente conosciuto come Tacco d'Italia, è situato all'estremità
meridionale della Puglia e inserito tra due splendidi mari: lo Ionio (a
Ovest) e l'Adriatico (a Est) con più di 250 Km di costa, a volte bassa e
sabbiosa, a volte alta e frastagliata.
La ricchezza del patrimonio storico culturale è esaltata da ciò che le
popolazioni messapiche, romane, bizantine e aragonesi ed i periodi
rinascimentali, barocco e neoclassico hanno lasciato in eredità a questa
fortunata terra. Nel Salento sorgono oltre 100 splendidi paesi, molti dei
quali basano la propria economia sull'agricoltura ed offrono al
visitatore di passaggio quelle sensazioni di calma tranquillità e
armonia, tipiche dei luoghi in cui il tempo si è fermato. Il Salento,
terra di conquista, terra che conquista, sintesi di religioni, di pelli,
di dialetti e di diversità, metafora di una felice adesione della storia
e della natura alle esigenze e ai desideri del viaggiatore, che si tratti
del pellegrino in cerca di spazi sacri e vitali, o del viaggiatore avido
di sorprese e di novità, o del turista che ama le spiagge affollate, i
tramonti dorati sul mare. Un cantiere di inestimabili tesori artistici e
di sconfinate bellezze naturali accessibile tutto l'anno. Una libertà di
vivere il territorio che rappresenta il vero punto di forza del Salento
Architettura. Tale è la ricchezza delle testimonianze e delle tradizioni
che non è facile definire l'immagine, il simbolo più rappresentativo con
il quale il Salento si identifica e attraverso il quale viene
rappresentato. Visibili e immediati o nascosti, molteplici sono i segni
che hanno modificato il paesaggio in maniera unica e originale: grotte,
cripte, castelli e torri costiere, masserie e cinte fortificate. A volte
sono organismi immersi nel frastuono della vita, spesso sono sospesi nel
silenzio delle campagne o si lasciano cullare dolcemente dalla risacca
del mare I luoghi del sacro. Tra le tessere più preziose che compongono
il territorio salentino, un posto di primo piano spetta ai luoghi della
sacralità, dovuto riconoscimento alla profonda devozione di un popolo che
da millenni ha custodito sostanzialmente integri valori universali, come
il culto dei morti, la sopravvivenza dell'anima, il mistero dell'aldilà
la fede in un Dio onnipotente.
La dimensione sacra insieme con la memoria delle proprie radici e con la
dimensione laica del Salento, completa a perfezione l'immagine di un
territorio e di un popolo in sintesi di armonia Nella dimensione del
sacro, cripte eremitico bizantine e chiese rappresentano i termini di una
medesima realtà, l'anima autentica e custode dell'arcano che domina
nell'universo Artigianato. La terra, il sole, l'abilità degli artigiani.
Le ceramiche di Puglia, fra le più belle d'Italia, hanno una storia molto
antica. Risale ai tempi dei Messapi e dei Dauni, e quindi all'VIII secolo
a.C. Ma è solo nel 1600, con l'apoteosi del Barocco che questi manufatti
cominciano ad acquisire una vera dignità artistica. E' una storia
semplice fatta di elementi poveri. Ma grazie alle mani degli artigiani
questo impasto di terra e acqua plasmato, asciugato, cotto nel forno e
infine decorato, diventa un capolavoro. Tradizioni e folklore. Tra le
tante attrazioni che suscitano l'interesse del turista sagre, feste sacre
dove è possibile ritrovare passato e presente, fede e riti pagani, con la
possibilità di scoprire e apprezzare le antiche tradizioni che
caratterizzano questa terra. La riscoperta della "piazza" come luogo dove
incontrarsi e trascorrere momenti indimenticabili, ammirando magari uno
spettacolo di danza classica o un concerto di musica di tradizione.
La taranta. La pizzica, ritmo e ballo ancestrale del Salento, il suo nome
deriverebbe dal morso della taranta, capace di indemoniare le persone.
Della pizzica, fino a poco più di dieci anni fa, nel Salento si sentiva
solo qualche eco. Si diceva fosse la musica della povertà,
dell'arretratezza. Poi, grazie al lavoro di ricerca di alcuni musicisti e
appassionati, questa terra si è riappropriata con orgoglio della sua
musica. Da tutto questo fermento è nata l'idea di creare una
manifestazione di musica popolare tra tradizione e contaminazione per far
conoscere, magari con l'aiuto di musicisti di fama, il Salento e i suoi
ritmi ad un pubblico più vasto. Ecco dunque la notte della Taranta
della zona, per arricchire le nostre conoscenze sulle bellezze del
territorio.
Concludiamo questo nostro excursus storico e paesaggistico dell'antica
terra di Puglia, con una nota storica, è da rilevare che intorno al 1880,
come del resto in gran parte delle città italiane, Ugento subì un grosso
sventramento nel cuore del suo piccolo centro urbano, furono abbattute
numerose casupole per far posto all'attuale piazza Vittorio Emanuele II e
all'apertura di alcune strade che oggi costituiscono il tessuto del
Centro Storico. Tutto ciò conferma che un giorno il piccolo centro è
stato florido e potente. Oggi, invece, non ci rimane altro che
crogiolarci sulla storia e gli allori che un tempo remoto la piccola
cittadina riuscì a conquistare. Il visitatore mi vorrà scusare se, pur
nella consapevolezza che la secolare storia di Ugento meriterebbe una
trattazione ben più ampia di quella consentita nell'economia di queste
frettolose e fugaci notizie, per lo spazio a mia disposizione sono stato
costretto a limitarmi a questi brevi cenni. Per scrivere questo nostro
lungo articolo, abbiamo attinto a testi tratti dal Comune di Ugento, e da
vecchie riviste dell'epoca.
Il Tacco dello stivale
Fra i due mari
C'è un posto vicino al mare
Di villaggi bianchi
Dal sapore orientale
Tra fiori bianchi e blu dei curati giardini
Dove si vede il mare brillare
Sotto i pallidi raggi della luna nella sera
Che muore.
Ovunque percepisci il sapore di mare
Il profumo di erbe aromatiche,
Rosmarino, finocchietto e peperoncino
Di eucalipto che risveglino i sensi
E i ricordi della gioventù.
E' un posto dove è tutta poesia, musica
Spensieratezza e allegria
Il Salento è una terra di miraggi
Ventosa e fantastica località,
Ma piena di dolcezze
E' conosciuta come il " Tacco d'Italia".
La splendida marina di Ugento
Tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca
Con le sue spiagge lucenti
Un litorale splendido e sabbioso
Nel mare Ionico Salentino
Un luogo ricco di tradizioni
Con le storiche sagre e le
Feste paesane
Con i bambini che giocano sulla battigia
A costruire i loro castelli di sabbia dorata.
Che hanno la durata
Di una sola giornata
Con i pescatori dalla pelle bruciata
Dalla salsedine e dal sole
Che fanno ritorno all'alba semi addormentati.
Ma felici e con le reti gonfie di pesci
Questa é una terra sacra a Cerere
A Pallade e a Dionisio
Splendida di cattedrali maestose
Di castelli possenti
E dei caratteristici Trulli
(Che significano cupola)
E che deriva dal greca antico
Dei palazzi, monumenti e cattedrali
Del Barocco di leccese
Eccezionale
Abbiamo ammirato la bianca Gallipoli
Di visione orientale
La molle Taranto adagiata
Fra i due mari
Fra insenature e villaggi strapiombanti
Che sono come perle incastonate
In un anello di mare, rifulgi di bellezza
Ti cinge, trepidando"
E ti bacia il vento che geloso ti rapisce
E ti porta via con se.
Nei vari siti archeologici puoi ammirare
Colonne e capitelli spezzati,
E la loro bellezza quasi dimenticata
Dall'ellenica fonte
Il riverbero di civiltà di storia e d'arte
Si spande per le vie del mondo
Verso i mari e gli oceani
In altre sponde approda.
Addio fiume e addio mare, io mi fermo qui, al confine tra la terra e il
mare. Il tuo ricordo sarà sempre con me.
Adriana ed io, siamo qui, davanti a te, dolce mare che ti disperda
nell'immenso Mediterraneo, tra paesi vicini e lontani. Fra poco la nostra
breve vacanza sarà terminata e fino al prossimo anno non ci vedremo più.
Al solo pensarlo, le mie labbra tremano e le palpebre dei miei stanchi
occhi sono lucidi di pianto: Sono giunto fino ai confini del nostro
meraviglioso Paese, per ammirare le bellezze di questo angolo felice del
"Tacco d'Italia", dove le tue onde si fondono nell'infinito orizzonte,
tra cielo e mare. Sì, è vero, il mio viaggio non è finito qui. So che
dovrò ancora scoprire altri angoli meravigliosi del nostro Stivale, con i
suoi borghi barbicati sui pendii dei monti e sulle coste di questo mare
della vita.
Mi mancherà il tuo mormorio incessante delle piccole onde che sfumano
lungo il litorale della sabbia dorata, ma anche il ruggito delle maree
che il vento fa piegare le cime dei secolari ulivi. Mi mancherà il fresco
fruscio del vento che accarezza il mio viso e mi ha fatto dimenticare la
grande calura della val Padana infuocata dal sole. Di tutto ciò è rimasto
soltanto un sogno. Addio fiume della vita, addio mare della ritrovata
serenità, io mi fermo qui, al confine tra questa bianca e dorata spiaggia
e il mare.
Terminiamo questo nostro libro con i versi di un grande poeta un figlio
prediletto di questa antica terra: Aldino De Vittorio.
Come perla incastonata
In un anello di mare, rifulgi di bellezza
Ti cinge, trepidando
E ti bacia il vento, geloso ti rapisce e porta con se.
Granelli di carparo, tua bellezza
Dall'ellenica fonte
Il riverbero di civiltà di storia e d'arte si spande.
Verso i mari e gli oceani in altre sponde approda.
Girgenti.
Girgenti è l'antica Agrigento. Questo nome ci ricordano alcuni versi della bella
canzone del grande cantante Domenico Mudugno, che un nostro caro amico canterino
del CAI, quel giorno cantava su quell'impervio sentiero che ci portava appunto a
" Girgenti".
I primi versi recitano così: Siamo tre somari e tre briganti sulla strada di
Girgenti…" Infatti, noi eravamo di più di tre, ma non eravamo né somari né
briganti, ma soltanto persone che ci eravamo avventurati in quella bellissima
località, aspra e selvaggia, alla scoperta del passato, perché ci aiutasse a
comprendere il nostro presente. Fin dalle prime ore del mattino, ci siamo
accorti che la giornata era magnifica: superata Monreale, percorremmo una strada
montuosa e deserta per la quale non trovammo anima viva, anzi sulle pendici
della montagna, trovammo un pastorello che guardava il suo piccolo gregge ed il
suo magnifico cane nero che non faceva altro che correre per tenere insieme il
gregge. Ma qualcosa abbiamo visto le aquile di Giove che ci guardavano dall'alto
tranquille e silenziose, oppure disegnavano nell'aria ampie spire coi loro voli.
Così la nostra lunga e rutilante fila degli escursionisti camminammo parecchie
ore sino a che alla nostra vista non si distese la meravigliosa pianura di
Partinico e di Sala, che si trova vicino al golfo di S. Vito. Sulla nostra
destra si trova Borghetto, l'antica Hykara, patria di Laide, la più bella donna
dell'Ellade, che i Greci condotti da Nicia portarono bambina ad Atene.
Dall'alto della brulla montagna si vedevano le linee del golfo di S. Vito che
sono belle e insieme grandioso, come quelle che abbiamo ammirato a Cefalù; la
pianura, poi, è tra le più feraci della Sicilia, così lussuriosa nella
vegetazione da far pensare ai tropici. Un gruppetto di amici, ci fermammo a
Sala, minuscolo villaggio, e quindi, risaliti, un passo dopo passo, traversate
regioni fertili, vigneti bassi, senza il sostegno dei pali che ingloba i tralci
della vite, come succede nella my Calabria e nel resto del nostro Paese. Gli
oliveti erano bassi come quelli che germogliano in Toscana. Nel pomeriggio
giungemmo ad Alcamo, città montanara. Il paesaggio acquistava in grandiosità a
misura che avanzavamo, assumendo quasi carattere greco con l'armonia delle sue
montagne colorate da tinte calde, or rosse, or veramente cupe. Il carattere di
quella località - grazie ai giganteschi pini, i malinconici cipressi, le palme
annose, gli aloe dagli snelli fusti fioriti - è reso più greve dall'autunno. Qui
tutto è monocromo, scuro soprapposto allo scuro e, con meraviglia, si vede
quando passa la natura con una sola tinta fondamentale.
Stanchi di una così lunga camminata di nove ore, con la non lieta prospettiva di
doverne percorrere dieci all'indomani, undici il terzo giorno e nuovamente dieci
il quarto giorno, prima di giungere a questa benedetta Girgenti, arrivammo in
Alcamo che il sole era già tramontato.
Alcamo è una città linda e piacevole, di circa 20 mila abitanti, con un vetusto
castello saraceno. Altro non posso dire, se non che in una molto modesta locanda
fummo attaccati tutta la notte dalle zanzare, tanto che mi sembrava di essere
sulle paludi della Laguna di Venezia o di Ferrara.
Il giorno successivo raggiungemmo Segesta, con il suo rinomato tempio.
Ripartimmo mentre nel cielo lucevano ancora le stelle. Orione vera stella
sicula, della quale Missina ha fatto un mito, sfolgorava su tutta l' altra Nella
lunga escursioni che facemmo in Sardegna alcuni anni fa, ho appreso che il
popolo sardo l'ha nominata stella dei Re Magi, avevo ammirato questo astro; ma
fu solo in Sicilia che lo potei contemplare in tutta la sua magnificenza; i suoi
raggi sprizzavano come fuoco d'artificio. Intanto s'alzava la brezza mattutina,
il cielo si imbiancava ad oriente, si diradavano le tenebre e si dissipavano le
nebbie notturne; le sagome dei monti accennavano a dileguarsi e compariva il
mare di purpureo si tingeva la campagna e Orione spariva. La stessa visione si è
presentata davanti ai miei occhi, quando alcuni anni dopo, di notte, scalammo la
montagna di fuoco dello Stromboli e tra Orione che sprizzava da ogni parte la
vecchia Vulcano dello Stromboli, con i suoi fuochi d'artificio e la " sciara di
fuoco" ha fatto il resto. Questi sono momenti e luoghi da non dimenticare,
perché fanno parte della nostra storia escursionistica.
Siracusa: un flash di memoria.
La nostra lunga escursione nell'antica terra di Sicilia stava volgendo a
termine. Quella lunga e rutilante squadra degli escursionisti del CAI di
Mantova era compatta e procedeva con tanta allegria, ammirando quel
meraviglioso paesaggio siracusano, che per la prima volta, mi apparve,
mentre il sole volgeva al tramonto, illuminando il mare Ionico e la
ricurva costiera fino ai monti d'Obla, di quelle tinte calde che sono
quasi un segreto e un prodigio del cielo siciliano. Avendo davanti agli
occhi un paesaggio così meraviglioso, valeva la pena di fermarsi e
fotografare, oltre che ammirare nella sua meravigliosa bellezza di
quell'angolo di paradiso terrestre.
Nessuna parola varrebbe ad esprimere le sensazioni che quella vista mi
produsse io dirò soltanto che l'emozione che ne ebbi fu di molto
superiore a quella che avevo provata ammirare la cima dell'Etna, dal
balcone panoramico di Taormina alcuni anni prima, quando con Adriana mia
moglie eravamo in luna di miele in quella località da sogno, da dove si
scorgono tutta quanta l'isola, i tre mari che la recingono, e più
lontano, le coste del continente italiano. Così scriveva Ferdinando
Gregorius, uno dei più grandi scrittori dell'Ottocento: "La storia parla
all'anima più che gli spettacoli della natura e l'uomo non vive che di
memorie. Il sentiero quasi pianeggiante, ci ha portati a Lentini, patria
del sofista Gorgia, seguendo la via di Catania e passando dinanzi alla
deserta penisola di Magnisi - l'unica Tapso - e per il porto Trogilo.
Tra queste località s'innalza, per sessantacinque metri circa sul livello
del mare, un vasto e bellissimo altopiano, dalla forma triangolare, e con
il vertice segnato dalla vetta del monte Eurialo. Su questo altopiano
sorgeva un tempo molto lontano l'antica Siracusa che si prolungava fino
all'isola di Ortigia, congiungendo questa alla terra ferma per mezzo di
una diga foranea.
Oggi dal sommo dell'altopiano si vede l'isola con la città di Siracusa
moderna, ai lati di essa i due stupendi porti e dietro il capo Plemmirio:
paesaggio classicamente severo, certamente paragonabile soltanto alla
campagna romana. Verso terra si aggruppano neri ed imponenti i monti d'Ibla
ed ai loro piedi lo splendido mare Ionio, solcato una volta da vittoriose
moltitudini di galee, s'inargenta di spume. Da tutti questi luoghi
deserti e sassosi, dalle pianure ove germogliano magri oliveti, dai
ruderi di cui sbucano a fronte gli uccelli di rapina, dovunque si volga
lo sguardo, sorgono in folla le memorie di tempi trascorsi, di
generazioni distrutte, di una civiltà che originò tanti grandi
avvenimenti storici. Dalla parte opposta appare il capo Plemmirio,
anch'esso un luogo arido e pietroso e l'isola di Ortigia che formano i
due bracci di quel porto che i Siracusani avevano sbarrato a Nicia con
navi e con catene, in fondo l'Anapo scorre fra i suoi papiri; vediamo
qualche casetta, costruita di pietre e poche mattoni, dove vive il
pescatore biancheggia su quella solitudine e niente più della
meravigliosa corona di giardini e di ville che anticamente facevano
superba la contrada.
La lunga e rutilante squadra dei " Caini" mantovani, prosegue la strada
deserta verso l'isola, osservando i numerosi sepolcri scavati nelle rocce
ed i bizzarri accidenti di cave abbandonate. Appena abbiamo raggiunto il
piccolo porto, abbiamo incominciato a vedere alcuni giardini di aranceti
e parecchie vigne, le quali forniscono il rinomato vino di Siracusa che
una volta ed ancora oggi, procura molta ebbrezza. Si tratta di quello
squisito vino che procurò ebbrezza a Gelone, a Yerone ed a Pindaro, come
ci racconta la storia antica di Siracusa. Dinanzi all'isola s'innalza
un'antica e bellissima colonna, forse l'unico avanzo di quella città
ricca di industrie e popolata di un milione di abitanti. Per concludere
questo nostro excursus cercherò di dare un'idea approssimativa
dell'antica città della Magna Grecia, come ci appare nel XXI secolo,
dagli avanzi rimasti a testimonianza. Essa dovrebbe essere composta di
cinque città; Cicerone non ne annoverò che quattro, poiché, sicuramente,
non tenne conto di quella parte superiore di Epipola, la quale non
constava che di castella e di fortificazioni. Le cinque città erano
pertanto: Ortigia ( isola), Achraina, Neapolis, Tycha ed Epipola. Le
ricerche di Fazello, di Cluveio e di Mirabella e quelle più recenti di
Ferdinando Gregorius, permettono di assegnare a ciascuna città la propria
località di un tempo e di precisare a quali edifici debbono riferirsi le
rovine che ancora oggi esistono.
Scilla
Dopo la cittadina di Palmi, che dalla grande finestra panoramica della Villa
comunale, da dove si ammira la Costa Viola, le coste della Sicilia, con la
montagna più alta da dove continua a fumare il grande vulcano dell'Etna. Da
questa meravigliosa finestra aperta sul Mediterraneo, ho scoperto per la prima
volta i miei giganti fumanti, che poi altro non sono che lo Stromboli e le isole
Eolie. La seconda località che ho visitato nella mia infanzia, è stata la
cittadina rivierasca di Scilla, che è un fiore pregevole sbocciato tra mari e
monti nella Sua originale e selvaggia bellezza è una delle cittadine più
conosciute dell'intera Calabria. Qui, molti anni fa, è nata mia zia Cristina. Un
giorno di primavera, mi ha portato a Scilla, per farmi conoscere il luogo dove
era nata e dove c'erano i suoi ricordi di ragazza. Il mattino presto, a bordo
della corriera di linea - Cosoleto- Reggio Calabria, siamo giunti nella bella
cittadina marinara e mitologica di Scilla.
Essa, sorge su un massiccio roccioso di fronte allo Stretto di Messina e si
protende sul mare limpidissimo con straordinari fondali intorno ai quali in ogni
epoca pullularono molte leggende di cui la più famosa e conosciuta è quella del
mostro marino immortalato da Omero nell'Odissea. .
Nella mitologia Greca Scilla e Cariddi erano due mostri dalla forma canina che
situati sulle due sponde dello stretto di Messina (Scilla su quella Calabra e
Cariddi su quella Sicula) costituivano il maggior pericolo per i marcanti e le
navi che attraversavano lo stretto.
Scilla che in Greco significa colei che dilania (Cariddi invece colei che
risucchia), era figlia di Zeus e di Hera, trasformata in mostro si pose sulla
costa calabra cibandosi dei marinai naufraghi in quelle anguste acque, con le
sue 6 teste e 12 zampe rappresentava uno dei mostri più effimeri della mitologia
Greca. Le fonti letterarie, infatti, spesso citano l'incontro dei marinai e dei
mercanti Ellenici con queste tempeste che regolarmente si abbattevano presso
questa zona di mare, trasformando nel corso dei millenni il fondale in un vero e
proprio cimitero archeologico.
Scilla con il suo splendido mare, con la sua splendida spiaggia di Marina
Grande, e con la Chiana Lea, mitico borgo antico Residenza dei pescatori, è oggi
un paese molto accogliente dotato anche di un piccolo porto turistico. La sua
economia che prima era basata quasi esclusivamente sulla pesca.
La Rocca di Scilla.
Ora si è lentamente trasformata in una florida attività Turistica. Rimane
comunque molto praticata, nel periodo che va da Aprile a Giugno la tradizionale
pesca del Pesce Spada esercitata oramai da millenni, lungo il tratto di costa
Calabra, con i suoi caratteristici battelli, con centro l'albero maestro
sormontato da un appostamento, dove la vedetta scruta il mare alla ricerca dei
branchi di pescispada in arrivo ed allerta i compagni, per le manovre di pesca.
Il turista che giunge per la prima volta in questo paradiso terrestre, oltre ad
assistere alla pesca del pescespada, basta un colpo d'occhio emozionante ai
palazzi nobiliari di preziosa architettura alle chiese di vario stile
architettonico al Castello Maniero ricco di storia, al borgo di Chianalea
caratteristico per la posizione delle abitazioni che sembrano fontane
monumentali e le sue scalinate che nell'insieme compongono incantevoli e
romantici angoli. Quelli sono angoli pittorici da scoprire, da fotografare e da
amare. Sono i luoghi, oltre che della mitologia, cantati da Omero, sono le prime
città fondate della Magna Grecia.
Chi avrà il privilegio di trovarsi a Scilla a circa 10 Km è Melia, luogo circa
circondato da boschi di castagni, stupendi panorami si possono ammirare dalla
strada che collega Scilla con l'Aspromonte, sul posto da visitare la sorgente di
Paolo Re la cui acqua è ricca di proprietà e le Grotte di Tremusa sulle cui
pareti si possono ammirare molte conchiglie e stalattiti. Oltre lo Stretto do
Messina, di fronte a Scilla, si trova la leggendaria Cariddi ( in greco
????????) nella mitologia greca è un mostro marino.
In principio, Cariddi era una donna, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle
rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione
e ne mangiò alcuni. Allora Zeus la fulminò facendola cadere in mare, dove la
mutò in un mostro che formava un vortice marino, capace di inghiottire le navi
di passaggio. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di
Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla.
Le navi che imboccavano lo stretto erano costrette a passare vicino ad uno dei
due mostri. In quel tratto di mare i vortici sono causati dall'incontro delle
correnti marine, ma non sono di entità rilevanti. Secondo il mito, gli Argonauti
riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, perché guidati
da Teti madre di Achille, una delle Nereidi. Cariddi è menzionata anche nel
canto XII dell'Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse preferì affrontare
Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo. Secondo alcuni
studiosi, la collocazione del mito di Scilla e Cariddi presso lo stretto di
Messina sarebbe dovuta ad un'errata interpretazione: l'origine della storia
potrebbe in realtà avere avuto luogo presso Capo Scilla, nel nord ovest della
Grecia.
Oggi Cariddi è collocabile sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro.
Cariddi è anche il nome del più famoso traghetto delle Ferrovie dello Stato,
tristemente affondato il 14 marzo 2006 nelle acque antistanti al porto di
Messina nello stretto
Oggi Cariddi è collocabile sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro.
Cariddi è anche il nome del più famoso traghetto delle Ferrovie dello Stato,
tristemente affondato il 14 marzo 2006 nelle acque antistanti al porto di
Messina nello stretto
Villa S. Giovanni.
Quando il nostro pesante torpedone è entrato sul molto di Villa San Giovanni, il
sole stava per tramontare sullo Stretto di Messina, creando un paesaggio
metafisico e lunare, un paesaggio da favola. Dopo qualche ora del nostro arrivo,
il traghetto è partito per Messina. La maggior parte degli escursionisti è
rimasta sul ponte del traghetto, per ammirare fino in fondo lo spettacolo del
tramonto sullo Stretto. Non ci sono parole per descrivere la bellezza di quel
momento catartico , mentre le luci si andavano ad affievolire, rimanendo ancora
sulla superficie del mare quel luccichio sulle onde che andavano ad infrangersi
contro la prua della nave traghetto "Garibaldi". La città di Messina, che era di
fronte a noi, era splendida, illuminata dagli ultimi bagliori del sole che stava
per tramontare. Dopo quaranta minuti di viaggio, la nave traghetto è entrata nel
porto, posizionandosi per lo sbarco degli automezzi e dei passeggeri sull'ampio
piazzale portuale La maggior parte dell'allegra brigata, prima di partire , per
la breve escursione alla città di Messina, ha voluto sorbire una tazza del buon
caffè siciliano, nel Bar della Stazione Marittima. Visitare la città di Messina,
al tramonto del sole, è un vero spettacolo. Uno spettacolo senza precedenti, che
si può ammirare solo sullo Stretto di Messina.
L'arte in Sicilia.
Molte cause contribuiscono a far sorgere in Sicilia un'eccellente architettura
ecclesiastica ed a dare un'impronta tutta speciale, e soprattutto di quel secolo
in cui il cristianesimo venne in lotta con l'islamismo, in contatto del quale sì
a lungo si era vissuto, specie quando la dominazione dei Normanni si trovò di
fronte alla religione di Maometto. Trionfante, allora, risorse in Sicilia la
fede di Cristo e riacquistò il terreno perduto. Ovunque siamo stati, nel nostro
tour siciliano, abbiamo ammirato chiese stupende, capolavori in cui
l'aspirazione orientale sopravviveva, monumenti della vittoria della religione
cristiana su quella di Maometto, sorsero ovunque.
La storia dell'arte ci riferisce che qualcosa di simile era già avvenuto quando
gli Elleni avevano sconfitto nella battaglia d'Imera i Cartaginesi, che avevano
invasa tutta quanta l'isola: essi, nell'ebbrezza della vittoria, avevano
disseminato il suolo conquistato delle loro magnifiche costruzioni. Gli Dei
della Grecia, Giove, Apollo, Cerere e Venere, avevano atterrato il Moloch
africano, e il contrasto della civiltà e della religione greca con la barbarie
africana si era pronunciato meravigliosamente, avendo Gelone di Siracusa, fra le
altre condizioni di pace, imposto ai Cartaginesi di cessare del tutto, qualsiasi
sacrificio umano. Nell'escursione che abbiamo effettuato l'autunno scorso nelle
rovine di Cartagine, nel viale che porta alle famose terme di Antonio, abbiamo
visto, i piccoli loculi allineati, dove venivano sacrificati i loro bambini e
poi sepolti in quelle urne di pietra.
Seguendo quel periodo storico, abbiamo appreso che dopo oltre quindici secoli,
nel secondo grande periodo architettonico siculo, un fatto quasi identico si
ripeté, fatto degno di osservazione, unico, che prova ad un tempo come la
civiltà umana si svolga secondo le leggi esterne immutabili nella sostanza, vari
nella forma. Nella stessa guisa che i Greci nel primo periodo innalzarono i
famosi templi di Segesta, di Selinunte, di Agrigento e di Siracusa, i Normanni,
una volta liberata l'isola dai novelli Cartaginesi, innalzarono le splendide
cattedrali di Monreale, di Palermo, di Cefalù e di Messina. In questo nostro
lungo e bellissimo tour attraverso le più belle città della Sicilia, abbiamo
ammirato con grande interesse questi eccellenti monumenti dell'arte sacra.
Il grande scrittore e storico tedesco, Ferdinando Gregorius, accanito
viaggiatore e grande estimatore del nostro Paese, ci dice che nel primo periodo
la civiltà si era rivolta verso il mezzodì, nel secondo invece si estese nel
settentrione, mentre le contrade di mezzodì e di levante decadevano.
A lato del tempio greco a colonne sorse la cattedrale cristiana; a lato del
tempio marmoreo, maestoso, severo di Giunone ad Agrigento, sorse il duomo
scintillante d'ori dedicato alla Vergine Maria di Monreale: ambedue segnarono
un'epoca di florido rinnovamento nella storia dello spirito umano; ambedue
avevano un carattere originale diverso e diverso è quindi l'impressione che oggi
suscitano. Sì, è proprio così, chi può esprimere la commozione che si prova nel
contemplare, in mezzo alla solitudine della campagna siciliana, uno dei templi
maestosi di Agrigento? Si direbbe impossibile poter trovare cosa più perfetta,
più bella, più armoniosa nelle forme. Ma anche entrando in una cappella
normanna, nella sua semioscurità, fra le sue navate, sotto i suoi archi, fra
quelle pareti splendenti di mosaici, non si può fare ameno, dimentichi
dell'antichità, come è successo a noi, appena siamo entrati in una delle tante
chiese rupestri della Cappadocia, affrescate da valenti pittori Bizantini. La
chiesa romana di fronte a Bisanzio, che sosteneva essere la Sicilia sua
proprietà, dovette dare alla conquista dei Normanni quasi un diritto sacro,
un'alta consacrazione.
Ritornando a Morreale, ad ogni passo si vede il contrasto del sublime e
dell'umile; la quale cosa è caratteristica dell'architettura gotica molto più
ricca di quella dei Greci, specialmente sull'espressione delle idee che le
diedero vita, perché maggiormente è rivolta a riprodurre sotto i suoi vari
aspetti la meravigliosa natura, quella natura che circonda e avvolge l'intera
terra di Sicilia.
La
Lucania:
I Sassi di Matera.
S. Agostino così scriveva:
“Il mondo è come un libro, chi non viaggia
legge soltanto la prima pagina”.
Noi non ci siamo fermati alla prima pagina
di questo meraviglioso libro, ma abbiamo fatto come i viaggiatori
dell’Ottocento. Noi amiamo moltissimo viaggiare, per conoscere le bellezze che
la Madre natura, ci regala in ogni parte del mondo. Però prima di andare a
visitare le località fantastiche negli altri paesi, come quelli del continente
americano e del Mediterraneo, con il Gran Canyon, il Brice Canyon, la Turchia,
con la Cappadocia, la Grecia, con le sue antiche città e la sua storia
millenaria e le altre meravigliose località di quell’antico continente che si
chiama Mediterraneo, abbiamo iniziato a esplorare e conoscere le regioni del
nostro Bel Paese. Oggi, in questo nostro reportage, ci soffermiamo sull’antica
terra della Lucania, che altro non è che la continuazione della nostra amata é
bella Calabria, con le sue verdi montagne e le sue solare spiagge e meravigliosi
paesaggi, da dove l’occhio del turista spazia sull’infinito orizzonte.
Una diecina di anni fa, con gli amici del CAI di Mantova, abbiamo intrapreso il
lungo viaggio, sui sentieri del “ Cammino Italia”, attraversando una buona parte
della bella Lucania.-Incominciamo a dire che la Lucania, è una terra antica e fu
istituita da Augusto nella sua terza regione italica, era assai naturalmente
limitata secondo la costituzione geologica e la configurazione geografica: a
occidente dal mare Tirreno, tra la foce del Sele e quella del Lao; a oriente del
mare Ionio, tra la foce del Bradano e quella del Grati; a nord- ovest dai corsi
del Sele e dell’Ofanto, che la separavano dalla Campania e dall’Irpina; a nord
-est dal corso del Bradano, che la divideva dalla Puglia: a mezzogiorno dai
corsi inferiori del Lao e del Grati, che la dividono dai Bruzi, o attuale
Calabria. Tale denominazione, come ci spiega la storia, è durata per circa
cinque secoli, svanì con la caduta dell’?Impero e nel secolo undecimo sorse,
mutilato della parte occidentale, il nome bizantino di Basilicata ( dal
governatore regio o basilico), fino a che più tardi è riemerso quel nome antico
di Lucania, che si trova per la prima volta autentico in uno dei più vetusti
monumenti romani, la tomba del suo conquistatore romano, il console Scipione
Barbato: Cornelius Lucius Scipio Barbatus Gnoivod padre pagnatus fortis vir
sapiensque… subigit omne Looucanam. Sull’etimologia di quel nome molto hanno
discusso i filologi moderni: derivandolo alcuni, ma a torto, dal nome latino dei
boschi sacri, locus, altri infine dalla radice indoeuropea Luc o Ric,
propriamente la luce del mattino e del sole levante. Quindi Lucania sarebbe
stata la terra lucana, orientale, verso cui emigravano con le primavere sacre le
stirpi osco- isabelle provenienti dall’occidente, dalla Campania, e recenti con
loro, oltre i buoi e gli aratri, anche molti nomi, che si trovano tuttora
ripetuti nelle due limitrofe regioni: Atella campana- Atella lucana, Atina-
Atena, Amalfi- Melfi, Ravello – Lavello, Serino, Volturno – Volture, ecc.
A loto volta i romani conquistatori riportarono nel Lazio molti nomi lucani; per
esempio conobbero nella Lucania, e adottarono come loro alimento in conserva, la
salsiccia affumicata, che chiamarono Luganiga; nome che ancora sussiste nella
luganega del Veneto e nella provincia di Mantova. La storia ci racconta che
anche nella Lucania, e propriamente nella battaglia di Eracle, Roma, anzi, come
dice Plinio, l’Italia vide per la prima volta gli elefanti, negli esemplari
indiani portati da Pirro, e li chiamò “ buoi lucani”: Elephantos Italia primum
vidit Pyrrhi regi set bovis lucae appellavit, in Lucania visos.
Dopo
l’introduzione storico- geografico di questa antica terra della Lucania, con i
suoi paesaggi metafisici e lunare, nonché artistici tramandateci nel tempo.
Sfogliando le pagine ingiallite della nostra agenda di viaggio, troviamo gli
appunti, che con mano tremante, abbiamo, molto tempo fa, tracciato su queste
pagine che ci parlano di questa stupenda Regione, con i suoi paesaggi
mozzafiato, Guardando dal colle di Potenza verso mezzogiorno, la vista, di là
della verde valle del Basento, ascende per clivi erbosi, e passando pei piani
dei Cardi, si aderge fino alla cima della Serranella, che porta a 1477 metri i
pascoli profumati, verso cui d’estate salgono gli armenti delle vacche candide e
le fulve cavalle. Questa cima più alta dei dintorni di Potenza costituiscono le
prime acque del Basento. Poco più a sud sorge, con spalle più ampie e con cime
più alte, la massa montuosa del Vulturino, da cui fianchi sgorga l’Agri. E
ancora più a sud, fin quasi al limite della My Old Calabria, s’eleva un più
vasto, più alto aggregato montana, quello del Sirino, che culmina a 2007 metri e
delle cui visceri erompono le acque del Sinni e del Noce. Ammirando questo
gruppo montagnoso bellissimo, mi sembra di percorrere uno di quei sentieri
dolomitici, da dove spuntano superbe le cime bellissime che bucano il cielo, ma
qui non siamo sulle Dolomiti con i suoi giganti innevati ma questi tre più alti
gruppi montuosi, da cui scaturiscono i maggiori fiumi della regione della
Lucania, hanno una stessa struttura geologica e un medesimo aspetto morfologico.
Li costituisce una poderosa impalcatura di calcari triasici a noduli di selce e
halobie, sormontata da fitte stratificazioni di scisti silicei, curvate e
corrugate in pieghe tettoniche d’una mirabile precisione. Dovunque, sotto
l’ombra dei maestosi faggi secolari o sugli alti pascoli verdi o nei profondi
burroni rimuggenti per le stupende cascate, si vedono sempre gli stessi grandi e
solidi banchi calcarei, resi anche più solidi e più duri dei noduli di selce, e
coperti della durissima corazza di rocce silicee, smaltate di varii colori, per
l’alternanza della buna pietra focaia col calcedonio cereo e con il diaspro
verde e sanguigno.
Tali rocce silicee triassiche non solo rappresentano, dopo le rocce cristalline
calabresi, i terreni più antichi dell’Italia meridionale, ma costituiscono una
specialità della Lucania. Incominciano presso Lagonegro, si dirigono verso nord,
formando i tre gruppi del Sirino, del Volturino e di Pignola – Abriola, mandano
qualche propaggine laterale, o oriente verso il Raparo e a occidente verso
Paluda, e terminano in uno sperone, che sostiene le case di San Fele, in
cospetto dell’estinto vulcano del Volture.
Ai lati di questa aspra spina dorsale, di questa durissima e potente colonna
vertebrale, si addossano le grandi masse di dolomiti e di calcari del Hauptdonga,
del Giura e della Creta: come i monti di Muro Lucano, del Marmo e di Serralonga;
del Coccovello, con le splendide balze e terrazze digradanti nel Tirreno, a
Maratea e Arcquafredda, simili a quelle di Amalfi e di Capri: del Raparo e della
bellissima Alpe di Latronico, con le sue vene di alabastro orientale: fino al
grandioso Pollino.
Solitario, tra l’Ofant e la fiumara di Atella, si erge l’estinto vulcano
pleistocenico del Vulture, con i suoi laghi craterici a specchio delle faggete.
Nel nostro lungo viaggio, abbiamo ammirato altri laghetti di origine glaciale,
accompagnati da magnifiche morene, che si trovano nel gruppo del Sirino, presso
Lagonegro. Anzi a uno di essi, come ci spiega la storia, deve il suo nome
Lagonegro, Lacus Neruli, il lago di Nerulum: del paese, cioè, espugnato
dai romani, e citato da Tito Livio. E nelle valli maggiori, di Venosa, di Atella,
dell’Agri, del Noce e del Mereure, si stendono depositi di laghi quaternari, con
giacimenti di ligniti e con avanzi di grandi pachidermi, ora estinti. Passando
dalla storia geologica alla preistoria umana, si trova un’uguale complessità di
manifestazioni.
Nelle grotte di Matera e altrove, abbiamo appreso che si sono scoperte armi di
pietra polita e suppellettili e mura ciclopiche delle genti neolitiche ed
eneolitiche: le quali furono poi gradatamente respinte, verso il sud, delle
genti che usavano le armi di ferro e portarono il rito funebre
dell’incinerazione nelle terre del Mediterraneo, ove vigeva, insieme con le armi
di pietra, il rito dell’inumazione.
Tra queste tracce delle genti, le più significative sono quelle della civiltà
greca: delle colonne dei templi di Metaponto alle monete, le monete coniate tra
il sesto e il terzo secolo prima di Cristo, che ci parlano un linguaggio di vita
e di bellezza. La bellezza dell’incisione e la finezza del conio di questa
simbolica spiga di Metaponto richiamano alla mente i bei campi seminati, le
messi mature, ondeggianti sotto il soffio del vento, quasi col ritmo delle onde
del mare.
Ma quegli artisti finissimi non si contentarono di imprimere sulle loro monete
il simbolo del principale prodotto della loro terra, e segnarono anche le forme
della vita animale e vegetale pullulante lungo la loro aprica spiaggia.
Di altro genere, forse meno fine, ma certo più forte, soni i sentimenti, che in
noi destano le tracce della civiltà romana nella Lucania. Traccia sicuramente
materiali di romanità si trovano d’dappertutto, per esempio, negli sparsi ruderi
dell’antico Grumentum in val di Agri, in quelli dei dintorni di Venosa e nei
superbi avanzi marmorei, quali il famoso sarcofago di Melfi e l’altro di Atella,
conservato nel Museo Nazionale di Napoli. Ma il vero e maggiore suggello di
romanità la Lucania l’ha nell’essere la terra Natale del Poeta, che innalzò a sé
medesimo monumento più perenne del bronzo e più alto delle piramidi.
Perché Orazio, pur essendo conscio che la sua fama avrebbe superato i secoli,
non dimenticò mai i luoghi, in qui nacque e di cui ci ha tramandato le sue prime
visioni infantili nel suo canto immortale. Così ora nei suoi versi vediamo
rivive il nido aereo dell’alta Aderenza e i boschi di Banzi e i pingui campi di
Forenza: sentiamo soffiare gli aridi venti su gli arsi piani della Puglia
siticulosa, mentre sui limitrofi monti lucani si prepara l’algida neve
invernale, in cui pernotterà il cacciatore alla posta del cinghiale destinato
alle mense romane: e vediamo con variare delle stagioni le mandrie dei bovini e
le greggi degli ovini murare i pascoli lungo i grandi tratturi, che da millenni
segnano l’alterno peregrinare del bestiame nelle nostre contrade.
Alcuni giorni fa, in una ricerca su Internet, ho trovato un sito che parla
appunto dei Sassi di Matera. Che fanno parte del Patrimonio dell’Umanità.
I SASSI DI MATERA
Navigando in Internet,
siamo entrati in un sito di “ Matera”, dove abbiamo appreso che, Il Sasso "Caveoso"'
ed il Sasso "Barisano", insieme al rione "Civita", formano un
complesso nucleo urbano, oggi così denominato:
I
Sassi di
Matera sono stati iscritti nella lista dei
patrimoni dell'umanità dell'UNESCO
nel
1993. Sono stati il primo sito iscritto
dell'Italia meridionale. L'iscrizione è stata motivata dal fatto
che essi rappresentano un
ecosistema urbano straordinario, capace di
perpetuare dal più lontano
passato preistorico i modi di abitare delle
caverne fino alla
modernità. I Sassi di
Matera costituiscono un esempio eccezionale di accurata
utilizzazione nel tempo delle risorse della natura:
acqua,
suolo,
energia. Nel rapporto della commissione che
ha verificato la rispondenza del luogo ai criteri di valutazione dell'UNESCO, la
candidatura di Matera risponde ai seguenti criteri:
« Criterio”
I Sassi ed il Parco delle chiese rupestri di Matera costituiscono un’eccezionale
testimonianza di una civiltà scomparsa. I primi abitanti della regione vissero
in abitazioni sotterranee e celebrarono il culto in chiese rupestri, che furono
concepite in modo da costituire un esempio per le generazioni future per il modo
di utilizzare le qualità dell'ambiente naturale per l'uso delle risorse del
sole, della roccia e dell'acqua.
Secondo Criterio : I Sassi ed il Parco delle chiese rupestri di Matera sono un
esempio rilevante di un insieme architettonico e paesaggistico testimone di
momenti significativi della storia dell'umanità. Questi si svolgono dalle
primitive abitazioni sotterranee scavate nelle facciate di pietra delle gravine
fino a sofisticate strutture urbane costruite con i materiali di scavo, e da
paesaggi naturali ben conservati con importanti caratteristiche biologiche e
geologiche fino a realizzare paesaggi urbani dalle complesse strutture.
Criterio v: I Sassi ed il Parco delle chiese rupestri di Matera sono un
rilevante esempio di insediamento umano tradizionale e di uso del territorio
rappresentativo di una cultura che ha, dalle sue origini, mantenuto un armonioso
rapporto con il suo ambiente naturale, ed è ora sottoposta a rischi potenziali.
L'equilibrio tra intervento umano e l'ecosistema mostra una continuità per oltre
nove millenni, durante i quali parti dell'insediamento tagliato nella roccia
furono gradualmente adattate in rapporto ai bisogni crescenti degli abitanti.
Descrizione
La città della pietra,
centro storico di
Matera scavato a ridosso del burrone, è
abitata in realtà almeno dal
Neolitico: alcuni tra i reperti trovati
risalgono a 10.000 anni fa, e molte delle case che scendono in profondità nel
calcare dolce e spesso (calcarenite) della
gravina, sono state vissute senza
interruzione dall'età
del bronzo (a parte lo sfollamento forzato negli
anni cinquanta). La prima definizione di
Sasso come rione pietroso abitato risale ad un documento del
1204.
Il Sasso Caveoso con vista di
Santa Maria de Idris
I Sassi sono davvero un
paesaggio culturale, per citare la definizione con cui sono stati accolti
nel Patrimonio mondiale dell'Unesco. Il Sasso Barisano, girato a
nord-ovest
sull'orlo della rupe, se si prende come riferimento la Civita, fulcro
della città vecchia, è il più ricco di portali scolpiti e fregi che ne
nascondono il cuore sotterraneo. Il Sasso Caveoso, che guarda invece a
sud, è disposto come un anfiteatro romano,
con le case-grotte che scendono a gradoni, e prende forse il nome dalle cave e
dai teatri classici. Al centro la Civita, sperone roccioso che separa i due
Sassi, sulla cui sommità si trova la
Cattedrale. Ed infine di fronte, sul
versante opposto della Gravina di Matera, l'altopiano della
Murgia che funge da quinta naturale a tale
scenario, con le numerose chiese rupestri sparse lungo i pendii delle gravine
protette dall'istituzione del Parco archeologico storico-naturale delle
Chiese rupestri del Materano, detto anche
Parco della Murgia Materana. Un paesaggio
in parte invisibile e vertiginoso, perché va in apnea in dedali di gallerie
dentro la pietra giallo paglierino del dorso della collina, per secoli difesa
naturale e ventre protettivo di una città che sembra uscita dal mistero di una
fiaba orientale. "Grotte naturali, architetture ipogee, cisterne, enormi
recinti trincerati, masserie, chiese e palazzi, si succedono e coesistono,
scavati e costruiti nel tufo delle gravine" Così scrive
Pietro Laureano nel suo libro Giardini
di pietra.
Facciate rinascimentali
e barocche si aprono su cisterne dell'VIII, trasformate in abitazioni.
Chiese bizantine nascondono pozzi dedicati al culto di
Mitra. Alcuni
ipogei sono stati scavati a più riprese fino agli
anni cinquanta, altri murati e dimenticati,
nascosti nei fianchi della collina. Il Palombaro lungo, l'immenso
serbatoio d'acqua sotto piazza
Vittorio Veneto, ha delle sezioni costruite
tremila anni fa, mentre le più recenti sono del
1700. I Sassi, la città popolare, insieme
alla Civita aristocratica e medievale eretta su un'antica acropoli, sono
in effetti un palinsesto pieno di sorprese, anche se sembrano immobili e
compatti, chiusi nella pietra nuda a tratti appena corretta da una mano di
calce”.
Nella città di Matera,
ci siamo fermati un paio di giorni. Il nostro lungo viaggio si è concluso
appunto in questa bellissima città che abbiamo definito medioevale. Avevo
letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che
c'è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche, si è
veramente proprio così. Ho preso alloggi in un modesto alberghetto di periferia,
che altro non era che una modesta locanda, perché in quei tempi non esistevano
alberghi di lusso. Dopo pranzo, abbiamo fatto un giro per la città e la
periferia. Era una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie
case, e dall'altro costeggiava un precipizio. Da questo punto molto panoramico,
si poteva ammirare un paesaggio bellissimo. In quel precipizio è Matera. La
forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati,
separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si
vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata
nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la
forma con cui, a scuola, immaginavamo l'inferno di Dante, in quello stretto
spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti
per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Sopra la mia
testa vidi finalmente apparire, la città di, Matera. Vedendo questa bella città,
mi sono emozionato moltissimo, per la sua bellezza. Era un angolo pittoresco e
nello stesso tempo molto impressionante. Il giorno dopo, un giovane con il suo
asino, mi ha dato una mano a trasportare nella valle sottostante la mia cassetta
dei colori e alcune tele. Ad un certo punto sono salito in groppa al quadrupede,
perché incominciavo a stancarmi. Dopo qualche ora siamo giunti in fondo alla
valle da dove si vedeva la città di Matera e i famosi Sassi. Ho sistemato il
cavalletto ed ho iniziato a dipingere quel paesaggio struggente e meraviglioso.
Ritornai il giorno successivo, perché volevo dipingere alcuni acquarelli e
tracciare sull’album alcuni schizzi. Vi confesso che mi ero veramente innamorato
di quel luogo così bello e nello stesso tempo pittorico. Ho dipinto una serie di
acquarelli e un quadro ad olio.
Precedentemente al
mio viaggio in Lucania, avevo letto il famoso libro di Carlo Levi – Cristo si è
fermato ad Eboli. La descrizione di quelle pagine evocano uno spalancare d’occhi
su quel paesaggio straordinario.
“La
descrizione di
Carlo Levi in
Cristo si è fermato a Eboli evoca un
paesaggio straordinario. Alla sorella, che fa da voce narrante, i Sassi appaiono
come due mezzi imbuti separati da uno sperone di roccia, la Civita, e la
chiesa bianca di
Santa Maria de Idris, che pareva ficcata
nella terra. I due mezzi imbuti sono i Sassi, e per Levi hanno la forma
con cui, a scuola, immaginavamo l'Inferno
di
Dante. Levi, spedito al confino in
Lucania dal regime fascista, visita i Sassi
quando sono all'apice di un collasso demografico che era iniziato quattro secoli
prima. Gli abitanti erano aumentati in maniera esponenziale e la pastorizia era
in declino: sulle case nella roccia erano stati sopraelevati più piani, erano
spariti gli orti e i giardini pensili, e le cisterne erano state riadattate a
monolocali in cui in Grotte sul versante opposto della Gravina
Ma quelli che allo
scrittore in esilio erano sembrati i gironi dell'Alighieri,
in realtà facevano parte di un sistema complesso ed efficiente. La pianta
dell'antica Matera vista dall'alto, si presenta come un omega greca. Piazza del
Sedile, nella Civita, appare in equilibrio tra il Caveoso e il Barisano.
Si scende nei Sassi per delle arcate, che sembrano dei passaggi occulti. Le
calate erano affiancate da canali d'irrigazione che rifornivano cisterne a
goccia, in alcune case ci sono fino a sette cisterne. Orti e giardini pensili si
affacciavano dai tetti. I tetti a volte servivano da cimiteri: i vivi
sottoterra, i defunti in superficie. Così, dice il cronista Verricelli nella sua
Cronica de la città di Matera 1595-1596, «in Matera lì morti stanno
sopra li vivi». All'imbrunire gli abitanti accendevano i loro lumi al di
fuori delle loro abitazioni, così allo spettatore che guardava dall'alto, i
Sassi si illuminavano come un cielo stellato; quindi a Matera, concludeva il
cronista cinquecentesco, come i morti sono sopra i vivi, il cielo e le stelle si
possono vedere al di sotto dei piedi degli uomini. Tale immagine ha talmente
impressionato i visitatori del passato che un'interpretazione suggestiva,
sebbene poco attendibile, dell'origine del nome Matera lo faccia risalire al
greco meteora, cioè cielo stellato.
I vicinati, costituiti
da un insieme di abitazioni che affacciano su uno stesso spiazzo, spesso con il
pozzo al centro, erano il modello della vita sociale, della solidarietà e della
collaborazione dei Sassi. Il pozzo comune dove si lavavano i panni, il forno
dove si impastava il pane facevano del vicinato la cellula fondamentale
dell'organizzazione comunitaria. Nelle case, la luce arriva dall'alto come in
una
casbah nordafricana, e la temperatura è
costante a 15 gradi, con la massa termica del tufo marino che funziona da
climatizzatore. Se i raggi del sole d'estate, perpendicolari e roventi,
rimangono fuori, d'inverno, obliqui, scivolano sul fondo delle grotte. Questo
degradare e sovrapporsi di case e casette, è solo apparentemente caotico, perché
poi risulta costruito con molti accorgimenti. Ma la discesa nei Sassi è una
sorpresa continua. Tra viottoli e gradini si arriva in formidabili complessi
monastici scavati nella roccia, Cenobi benedettini e laure bizantine, in cui le
celle di monaci si stringono intorno a una chiesa sotterranea.
Intorno all'anno
1000, Matera si riempì di monaci basiliani,
che portarono le esperienze religiose e artistiche dei confratelli delle chiese
rupestri dell'Anatolia
e della
Siria. La pietra dei Sassi si apre in
conventi straordinari come la Madonna della Virtù, San Nicola dei Greci, Santa
Lucia alle Malve. Difficile distinguere le influenze: si trovano iconostasi
ortodosse in chiese a pianta latina. Gli affreschi sono meno rigidi di quelli
degli anacoreti dell'Asia
minore, le madonne meno regine e più popolane, cosa che deve essere piaciuta a
Pier Paolo Pasolini, quando girò
Il Vangelo secondo Matteo. A fare
raffronti, la struttura dei Sassi ricorda la splendida
Mistrà in
Laconia, la città ad alveare, che
sopravvisse dieci anni in libertà dopo la caduta di
Bisanzio. È una struttura dovuta al sistema
della raccolta delle acque tipica dei centri bizantini - sostiene Laureano - che
ritroviamo in altri insediamenti rupestri in
Puglia e
Basilicata, da
Massafra a
Gravina in Puglia. È allo studio dell'Unesco un progetto per far entrare anche questi luoghi nella
lista dei
Patrimoni dell'umanità: un parco di
paesaggi culturali di cui i Sassi di Matera saranno l'epicentro.
Mel Gibson, ha girato il suo film sulla
passione di Cristo,un film molto contestato ma bellissimo,e ricordo questa
cittadina bianca, mentre percorreva le rampe e i passaggi che s'inoltrano
labirintici nei Sassi di Matera. Egli andava alla ricerca degli angoli giusti
per installare i set delle riprese per il suo film
La Passione di Cristo, perse - parole
sue - la testa. Per un
australiano, cresciuto come attore e
regista al sole di
Hollywood, le ombre delle case che dopo
l'ingresso diventano grotte, quei blocchi di pietra, le parti della città
antiche di 2000 anni, erano estranee alla modernità e quindi perfette per
ambientare il film sugli ultimi giorni di
Gesù. Il nome dei Sassi è giunto fino in
Giappone (da cui provengono un discreto
numero di turisti a
Matera). Il popolo nipponico ha realizzato un
anime ambientato nella zona dei "Sassi"
chiamato
Il Fantasma di Matera. Giorni fa, nel
ricordo di quel meraviglioso viaggio attraverso il nostro Bel Paese, abbiamo
composto una bella poesia che ci è stata ispirata , appunto dai Sassi di Matera.
Brani di vita
Abbiamo incominciato questo nostro itinerario nel tempo, tra passato e presente,
parlando della bellissima terra antica dei liguri: La Liguria è una lunga e
sottile striscia di costa, ai piedi di montagne coperte di vigneti. Qui, ovunque
si vedono case color pastello che si crogiolano al sole del mediterraneo, mentre
i loro giardini, fiorenti nel dolce clima, risplendono di piante colorate. In
contrasto con la località come Portofino, San Remo e la splendida città di
Bordighera, che è rinomatissima per il suo clima invernale e soprattutto per le
sue meravigliose palme altissime e sempre verdi. Poi c'è la laboriosa città di
Genova, per secoli uno snodo marittimo di immenso potere, è la sola grande
città.
Il clima della Liguria è uno dei più felici. I monti proteggono la regione dai
freddi venti settentrionali; l'influsso benefico del mare e le piogge abbondanti
nell'autunno favoriscono una lussureggiante vegetazione di tipo mediterraneo. La
maggior dolcezza di temperatura si ha a San Remo, Bordighera, Ospedaletti e in
molte altre località delle due provincie di Imperia e di Savona. Nel mese di
giugno del 1946, siamo sbarcati nel paradiso terrestre di Bordighera, dopo un
lunghissimo e rocambolesco viaggio attraverso un'Italia che non esisteva
praticamente più. La lunghissima Seconda Guerra Mondiale aveva lasciato soltanto
una grande miseria oltre che una desolante distruzione di interi villaggi e
grandi città. Le comunicazioni praticamente non esistevano più, con i grandi
ponti ferroviari e stradali distrutti dalle bombe. Il nostro era un Paese in
ginocchio. Nel primo capitolo, con il quale abbiamo iniziato questo nostro libro
" Il Fiume della Vita", abbiamo raccontato della nostra avventura. Siamo giunti
a Bordighera, sperando di trovare un po' di serenità, ma abbiamo trovato
soltanto la bellezza dei luoghi ed un clima eccezionale e una grande miseri. Non
vi era nessuna fonte di lavoro, esisteva solo il mercato nero. La Liguria è
grande produttore d'olio d'oliva e con questo eccezionale prodotto, avveniva lo
scambio nel vicino Piemonte, con la farina e con il riso. Dopo poco tempo,
abbiamo fatto ritorno al piccolo paese nato, nel borgo aspro montano di Cosoleto,
che è ubicato nel cuore dell'Old Calabria, da dove eravamo partiti con la gioia
nel cuore in cerca di fortuna. Anche qui, grande miseria come nel resto del
Paese. Un concorso nell'Arma, ci ha aperto la strada per incominciare una
lunghissima carriera militare. Nel mese di febbraio dell'anno successivo,
abbiamo raggiunto la Scuola Allievi Carabinieri di Bari, che era sita in una
delle Casermette, della cittadella militare, che distava pochi chilometri della
bella città di Bari.
La Città di Bari
BARI, è una bellissima città moderna con i suoi giardini, le sue bellissime
Piazze e le sue strade ampie che convergono tutte sulla splendida passeggiata
del Lungomare. E' una città antica e nello stesso tempo moderna e solare, che
conserva la sua storia millenaria e che sorge di fronte dell'Adriatico.: una
città ancora intatta, risparmiata dalla distruzione della disastrosa guerra,
come pure le cittadine e i villaggi del suo entroterra. Le Casermette "Porcelli"
dove era ubicato il nostro Battaglione, con due compagnie allievi carabinieri,
distava pochi chilometri dall'Ospedale Militare, dove c'era la fermata del
trenino, che proseguiva verso la cittadina di Carbonara: un grosso centro
agricolo, dove spesso andavamo in libera uscita. Per raggiungere la nostra "
Casermetta Porcelli", bisognava percorrere un paio di chilometri e attraversare
la cittadella militare. In senso contrario, dovevamo percorrere la stessa strada
quando eravamo intenzionati di raggiungere la città di Bari.
Il volto moderno di un paese sta dipinto su lo sfondo della sua storia, e questo
paesaggio storico è disposto naturalmente in più piani, che sfumano e si
confondono su l'orizzonte, tra cielo e terra, tra preistoria e leggenda.
Il quadro della storia di Puglia ha nel primo piano i colori soliti ai paesi di
conquista, colori di temporale e d'incendio.
La Puglia, grazie alle sue fertili pianure è una zona più ricca, dove si produce
la maggior parte dell'olio d'oliva e del vino italiano. Le sue città - Lecce,
Bari, e Taranto - sono attivi centri commerciali. Rimasta a lungo sotto
l'influenza greca, la regione godette di un periodo di grande splendore durante
la dominazione normanna e durante il regno di Federico II che, tornato dalla
Germania come imperatore nel 1220 si stabilì qui fino alla sua morte. Abbiamo
più volte visitato sia la moderna città di Bari, che quella parte antica della
città vecchia, dove tutto parla della Grecia, dove sorge la Chiesa di S. Nicola.
La storia ci racconta che per opera di alcuni marinai baresi che avevano
trafugato le ossa di S. Nicola vescovo di Mira, per la munificenza del duce
Ruggero che fece dono del palazzo del Catapano, e per la devozione del popolo,
fu iniziata nel 1087, sopra l'antico edificio dei governatori bizantini, la
basilica, una delle quattro chiese palatine della Puglia. Lasciamo la storia di
Bari e ritorniamo a parlare del nostro corso presso la Scuola Allievi di Bari,
che ha avuto la durata di sei mesi. Al termine del quale siamo stati destinati
alla Legione CC, di Alessandria e da qui nel piccolo paese di Ormea, provincia
di Cuneo, che sorgeva fra le alte montagne. La nostra vita, per motivi di
servizio, negli anni ha subito molti trasferimenti, alcuni per motivi di studio
ed altri per motivi di servizio. Nella ridente cittadina di Mondovì, abbiamo
frequentato quale uditore, le lezioni presso le scuole superiori.
Dopo alcuni anni, siamo stati trasferiti da Mondovì nella città di Alessandria e
da qui, per motivi di salute, nella meravigliosa costa ligure e precisamente ad
Andora: piccolo borgo marinaro di grande bellezza paesaggistico. Una località
salubre che si addiceva per la nostra salute. Da sottufficiale, siamo stati
trasferiti nella bellissima città di Genova. Insomma, come si dice, abbiamo
fatto la gavetta, raggiungendo il grado di Maresciallo Maggiore, Comandante di
Stazione.
Quello che notai nella mia esperienza da carabiniere nei vari Comandi di
Stazione e che mi resta ancora oggi impresso nella memoria, e che mi è servito
da guida, fu la figura del maresciallo- austero ma indulgente, severo ma
tollerante, che le penne di illustri scrittori, come l'amico e grande scrittore
Mario Soldati, che conobbi ad Alessandria, perché amico del maresciallo Luigi
Faroppa, comandante l'ufficio Amministrazione, dove ero addetto, quale scrivano.
Egli ha scritto I Nuovi racconti del Maresciallo, dal quale ha anche girato un
bellissimo film. Ultimamente ho letto sulle Fiamme d'Argento, un bellissimo
articolo dello scrittore e giornalista Riccardo Berti, che ci parla della figura
del maresciallo. Tanto per citare un esempio tra i molti, hanno saputo
egregiamente tratteggiare nei loro romanzi, come il grande scrittore Andrea
Camilleri, che nel suo libro parla di un piccolo paese di montagna chiamato
Belcolle, che sembra un paese da cartolina, una barca arenata su di una montagna
verde, e sullo sfondo il mare di Cefalù. Ma da vicino e ben altra cosa:
d'inverno è gelido e nevoso, e per tutto l'anno è abitato da persone taciturne e
diffidenti, " gente di montagna". Sono cinque anni che il maresciallo Antonio
Brancato, " un uomo preciso al quale piaceva che tutto stava in posto in dove
doviva stare". Di questi paesi dove c'è un comando di Stazione, in tutto il
territorio nazionale, dalle Alpi alla Sicilia e le isole comprese, vi sono
Cinquemila comandi di stazione retti da un maresciallo o da un brigadiere. Esse
sono come un rader sempre acceso, un occhio vigile notte e giorno, che captano e
trasmettono ogni variazione che si verifica su tutto il territorio nazionale.
Nel suo articolo, ci ricorda Riccardo Berti, che in questi ultimi anni, sul
piccolo schermo facesse indossare gli alamari a grandi attori come Turi Ferro,
Gigi Proietti e Nino Frassica. Gli stessi alamari portati anche da Totò e dal
grande De Sica in molte pellicole che sono diventate le pietre miliari della
storia del cinema italiano. Queste pellicole hanno fatto il giro del mondo,
facendo conoscere il valore del maresciallo e soprattutto il prestigio dell'Arma
dei carabinieri.
La figura del maresciallo, mirabilmente riflessa anche nelle tavole di Beltrame
per La Domenica del Corriere e del grande pittore Delle Piane, che nel 1955, ha
dipinto la pattuglia dei Carabinieri a cavallo, il grande pittore impressionista
Giovanni Fattori, che illustrava e dipingeva soltanto cose militari e
Carabinieri a cavallo e scene delle battaglie del Risorgimento, era un pittore
dei paesaggi dell'anima. Un quadro memorabile che immortala la famosa Carica di
Pastrengo, l'ha dipinto Sebastiano De Albertis nel 1880.
L'icona dei Carabinieri che, fin dalla loro nascita, hanno ancorato il resto
dell'Istituzione ai comandi di stazione che con il passar del tempo, sono
divenuti i terminali non solo dell'Arma ma anche dello Stato là dove, - accade
anche questo - lo Stato non c'é. Non esiste, come succede oggi nel territorio
partenopeo e attorno a Napoli e in alcune provincie della Sicilia.
Ribadiamo che il maresciallo dei carabinieri, ieri come oggi, non è soltanto il
tutore dell'ordine, l'investigatore, il militare: esso è, al contempo, l'amico,
il confessore, il padre di famiglia, il fratello maggiore e a volte, come è
capitato a noi, anche l'ostetrico in una stazione di montagna, in una località
isolata e lontana dai centri ospedalieri, con le sue strutture sanitarie. La
signora Maria viveva in una baita di montagna con la sua piccola famigli e una
magra mucca, un vitello e un vecchio mulo, e per caso o per fortuna, eravamo in
servizio perlustrativo su quel sentiero innevato e lontano dal primo centro
abitato. Il marito della signora che aveva le doglie, ci ha chiamati, abbiamo
visto la situazione e ci siamo dati da fare, come si usa in questi casi e con il
nostro modesto aiuto è nato un bel bambino.
A lui non si ricorre soltanto per denunciare un reato, a lui si confidano i
piccolo - grandi segreti, a lui si chiedono consigli e aiuti, per un lavoro o
per un sussidio. Perché del maresciallo ci si può anche oggi fidare. Nonostante
l'evento delle tecnologie più avanzate, nonostante l'affannarsi della vita
moderna la figura del maresciallo resta nell'immaginario collettivo quello che,
appunto, ci hanno tramandato nei decenni la letteratura, il cinema, la
televisione: e non è vero che il maresciallo dei carabinieri abbia perso in
retorica per guadagnare in efficienza. Egli è rimasto in mutato e questo ve lo
conferma uno che di servizio effettivo nell'Arma ne ha svolti 41 anni. Sì, è
vero, egli è rimasto immutato nella sua alta uniforme che lo contro distingue
dalle altre forze di polizia benché oggi abbia abbandonato la storica bicicletta
" Bianchi", il moschetto 91/38 e le ghette e sappia usare alla perfezione i
nuovi strumenti che la tecnologia ha messo a disposizione dell'Arma.
Così continua Berti, nel suo articolo: " Sono gli occhi e le orecchie di una
istituzione complessa ma una tra le più efficienti del Paese: sono i sensori di
una "macchina" di cui gli italiani si fidano ciecamente e che amano più di ogni
altra cosa. Le stazioni dei carabinieri sono in ultima analisi, il punto di
riferimento di quell'esercito del Bene che si contrappone all'esercito del Male:
sono gli estremi baluardi della sicurezza, gli impareggiabili modelli di
prossimità" - saccheggio l'immagine degli interventi che il comandante generale
dei Carabinieri ha tenuto all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Scuola
Allievi Ufficiali - ai bisogni dei cittadini e, quindi, di vere e proprie
rassicurazioni. Sociali".
La fiction televisiva, ci hanno proposto personaggi come i marescialli Rocca e
Cecchini e la trasposizione romanzata della vita della Stazione è entrata nelle
nostre case facendoci amare ancora di più queste figure, con i loro pregi e i
loro difetti, alle prese con i problemi di tutti i giorni nei confronti dei
figli, della moglie, dei colleghi ma pronti ad abbandonare anche i momenti più
belli della vita famigliare per correre in caverna e mettersi alla guida dei
propri uomini per catturare l'omicida, il truffatore o per salvare la vita a chi
la vuole gettare al vento. Sì, è proprio così, che si svolge la vita di ogni
giorno del maresciallo comandante della stazione. Oh, sì! Quante volte mi è
successo tutto questo, ma il dovere è il dovere e bisogna andare, con il bello e
cattivo tempo, di notte e di giorno, perché la tua presenza è richiesta per
risolvere una questione importante o meno, perché qualcuno ha bisogno di noi. In
quel tempo non esistevano i famosi reparti di eccellenza- come il Ris, i Nas, i
Ros - a combattere la nuova criminalità. Esisteva soltanto l'intelligenza del
maresciallo a capire e a risolvere a volte empiricamente, la vera origine del
delitto e di arrestare il vero colpevole. Oltre all'intuito, in quei casi,
serviva la grande esperienza investigativa e la grande rete informativa nel
territorio, iniziando dal medico condotto, dal farmacista, dal veterinario, dal
sindaco, dal parroco e finendo all'oste, e qualche volta anche nei bassi fondi
della piccola criminalità locale. Il maresciallo, spesso era invitato nelle
feste private, nelle ricorrenze e nei pranzi sociali di paese dove vi trovava
anche i personaggi pubblici sopra indicati. In queste occasioni, tra un
bicchiere e l'altro, si veniva spesso a conoscenza di fatti nuovi,importanti in
relazione a qualche piccolo furto che era rimasto ad opera d'ignoti e di fatti
privati e piccoli drammi familiari. Ma anche per il maresciallo, ogni 4 o 5
anni, si verificavano dei piccoli drammi soprattutto familiari. C'era qualche
trasferimento in vista. Per noi che avevamo scelto questo lavoro eravamo
preparati ad ogni evenienza, ma per la famiglia era un piccolo dramma,
specialmente per i figli, per i loro amichetti e per la nuova scuola. In ogni
trasloco bisognava impacchettare tutto, dalle stoviglie ai mobili, che quando
giungevano alla destinazione erano da sostituire, perché rotti o danneggiati, ma
anche questa faceva parte del gioco.
"Ma nelle finzioni televisive che poi altro non sono che la riproposizione delle
attività giornaliere dei carabinieri all'interno di un contenitore virtuale
quale è il piccolo schermo - la figura del maresciallo comandante di stazione
finisce per essere coinvolta in ogni operazione di servizio perché "nessun
processo decisionale, nessun programma di razionalizzazione, nessun sistema di
e- governement cito ancora le parole del generale Gianfranco Siazzu- può
prescindere dalla valorizzazione delle risorse umane, Insomma, oggi come ieri,
la centralità dell'uomo è per l'Arma la chiave di lettura dell'intera attività
istituzionale. E chi meglio del maresciallo, può rappresentare questa centralità
in una fase storica dove la macchina, purtroppo sempre più spesso, finisce per
sostituire l'uomo. Ai miei tempi, purtroppo, non c'erano macchine e computer che
potessero sostituire l'uomo e l'uomo, come un piccolo Maigret, con la vecchia
pipa fra le mani, doveva risolvere ogni situazione, dall'incidente stradale al
furto di polli. Il maresciallo era da solo e al massimo poteva contare di due
carabinieri, come il personaggio di Andrea Camilleri, nel piccolo paese di
montagna di Belcolle. Cinque anni non facili, ma durante i quali il maresciallo
Brancato è riuscito a guadagnarsi la confidenza e la stima dei belcollesi.
Succedeva sempre così, ogni volta che si cambiava comando di stazione. Bisognava
ricominciare sempre d'accapo, crearsi quella rete informativa e dei nuovi
confidenti. Da quando siamo in quiescenza, siamo rimasti legati al cordone
ombelicale dell'Arma e alle Istituzioni ma ahimè sono trascorsi 20 anni, nel
corso della quale ci siamo dedicati all'arte, alla letteratura e
all'escursionismo, percorrendo in lungo ed in largo quasi tutti i sentieri
dolomitici ed ammirando le cime più belle e più alte del mondo, seguendo il
Fiume della Vita, che ci ha portati alla serenità del cuore.
Diversi anni fa, con Adriana mia moglie, ci siamo ritornati nella bella Puglia e
abbiamo visitato alcune località fra cui la città di Bari, il caratteristico
paese e la bella cittadina di Taranto, con il suo ponte girevole, la
caratteristica cittadina dei Trulli . Tutto un grosso villaggio, ch' è monumento
nazionale, è stato costruito di capanne a cupolino - i trulli - ed ha un
bellissimo nome , Alberobello, in una terra che canta a distesa i più leggiadri
sonori festanti nome di villaggi ( Altamura, Gioia del Colle. Acquaviva delle
Fonti.) ed è un lindo villaggio in una plaga dove un tempo la povertà dell'acqua
e le necessità della vita promiscua colorivano eccessivamente per l'innanzi il
riposo degli uomini e delle bestie. Ma gli uomini ancora oggi, raccolgono i
sassi disseminati sui campi, e i sassi ripulano , li diresti tuberi che si
moltiplicano smossi dall'aratro. Essi sono le rughe, le crepe, i bitorzoli, i
porri, le schianze di una faccia che è stata sbattuta dalla sofferenza, che non
si è risparmiata nella fatica e nelle privazioni, che non ha avuto il tempo di
truccarsi.
Poi c'è l'altra pietra sotterra, a un palmo della superficie. I rabdomanti
cercano ancora inutilmente la vena profonda, dove il cavatore urta nel calcare
sotto le radici della gramigna. Una pietra che intorno a Lecce diventa tenera e
pastosa, color di crema, come abbia sorbito il poco d'acqua non ancora bevuto
dal sole. Quella è una pietra speciale, è una pietra da incidere come una lastra
di cera da incidere o da intagliare e trasformare dall'artista quasi per gioco.
Il ferro la intaglia e sfrangia senza colpi di martello. Artefici rustici la
lavorano a guisa d'argilla per forgiarne vasi da fiori e statue di Madonna. Un
vecchio artigiano con il quale abbiamo parlato, ci ha detto: " Pochi anni
bastano a rivestirla della patina bruna dei secoli. La pietra di Santa Croce a
Lecce, barocco senza esempio e senza imitatori, visione fastosa e favolosa di
colonne e cariatidi, masse trine, fregi e cornici, di rose volute e balaustri,
eccesso di una fantasia fatta di ebbra e frenetica dalla facilità stessa
dell'opera. Le costruzioni moderne della città di Bari e delle altre città
maggiori, le abitazioni pugliesi han dato all'architettura della regione
un'impronta singolare. Transitando nei villaggi, abbiamo visto che le case
antiche tutte ad un piano. Non hanno tetti a chiglia di embrici o di ardesia ma
volte di tuffo a cupola, che si spianano al sole in ampie terrazze. Le cittadine
si spargono largamente, ma basta salire sulla scarpata della ferrovia per
abbracciarne dall'alto con lo sguardo tutta la distesa. Così basse e bianche
entro il folto degli oliveti o in riva all'Adriatico danno il presentimento
immanente tra le cose caduche.
Ritornando a parlare e camminando lungo le vie curve ed gli ampi gradini di
questa cittadina monumentale, d'Alberobello, dove s'aggruppano nella campagna
tra gli orti e il grano o tra i bassi vigneti punteggiati di ulivi e di
mandorli. Il sole violentemente riflesso dalla candida calce di quei muri, rende
chiare e diafane le ombre.
Al cercatore d'arte antica e nuova le cattedrali pugliesi offrono la maggiore
attrattiva, insieme con qualche palazzo patrizio, con alcune chiese del Salento,
con i castelli svevi e angioini, con le colonne terminali della via Appia, con
l'anfiteatro di Lecce, con le anfore preziose e i cammei venuti in luce negli
scavi del Tarantino. Le arti sorelle, sculture e pittura, non hanno avuto eguale
fiori mento: il Colosso di Barletta è una statua mediocre e gli affreschi delle
chiese restano quasi sempre modesti. Due grandi artisti, come de Nittis, di
Barletta, che ebbe a Parigi gran fama e fortuna: Gioacchino Toma, galatinese,
che visse e morì oscuro per divenire poi ricercatissimo.
Per terminare, diremo che la poesia latina ebbe qui la sua culla, Virgilio vi
morì, e vi nacque, sui margini, Orazio: ma la grande letteratura italiana non si
ha da cercarla in questi luoghi dove la tradizione fu rotta da molti secoli di
assoluta depressione spirituale e sociale. Meglio la musica - vena di melodia in
cui affluiscono le sparse sorgenti di un popolo naturalmente canoro e
malinconico.
Su questo scenario pugliese del tempo si stacca il volto della Puglia odierna.
E' un volto vegetale di varia, sparsa e spesso faticosa vegetazione, poiché
l'industria e il commercio solo di recente si sono affermati in questa regione
tradizionalmente agricola e artigiana a Bari specialmente, con il suo gran porto
di attrezzatura moderna e la Fiera del Levante, a Taranto con il grande e
moderno arsenale e il porto militare. E' una bellissima città solare, dove
l'occhio spazia in un infinito orizzonte tra cielo e mare. Parlando di quel mare
azzurro, abbiamo frequentato molte spiagge e ammirato molte e bellissime
insenature, borghi marinari barbicati sui pendii e paesi sperduti nell'entro
terra del Tavoliere delle puglie. Lì, si ammira un paesaggio fantastico, esso
domina in sublime regalità l'orizzonte immenso, con i suoi rossi tramonti. Il
viaggiatore, incontrerà un paesaggio da favola, che sembra uscito dalla penna di
un bravo scrittore.
Nella Riviera delle Palme
tra passato e presente.
Escursionismo
Un salto nel tempo, una carrellata tra oggi, ieri, domani. In questo nostro
tempo che trasvola tra passato e presente. Quanto per cambiare, abbiamo seguito
le astruse volute del Grande Fiume della vita, che ci ha fatto percorrere nella
nostra giovinezza, un lungo itinerario, attraverso villaggi e città del nostro
meraviglioso Paese, facendoci scoprire le brutture della guerra, con le sue
profonde ferite e le grandi distruzioni, ma anche ci ha fatto scoprire città e i
paesaggi più belli del mondo.
Il grande scrittore Joseph Conrad, nel suo libro " La linea d'ombra", così
faceva a scrivere: Uno chiude dietro di se il piccolo cancello della mera
fanciullezza ed entra in un giardino incantato. Là perfino le ombre splendono di
promesse. Ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione. E non perché sia una
terra ignota. Si sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella strada. Ma si è
attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui ci si attende di trovare
una sensazione singolare o personale: un po' di sé stessi". Noi, abbiamo voluto
vivere questa sensazione singolare o personale come la vogliamo chiamare, per
trovare un po' di noi stessi. Eravamo ancora ragazzi, ma ci sentivamo ormai
grandi e volevamo scoprire in anticipo il mondo. Sì. Uno va avanti. E il tempo
pure va avanti, finché ci si scorge di fronte una linea d'ombra che ci avverte
di dover lasciare alle spalle anche la ragione della prima gioventù.
Noi che viviamo nella brumosa val Padana, non siamo più abituati alle bellezze
delle verdi colline e dei borghi antichi barbicati sui pendii della vecchia e
sempre bella Liguria della nostra giovinezza. Sì, è così, la Liguria, è stata la
prima regione che abbiamo incontrato nel nostro lungo cammino, partendo dall'Old
Calabria, terra generosa che ci diedi i natali. Era un mattino luminoso di
giugno del 1946, quando con un piccolo fagotto contenente qualche cambio di
biancheria e nel tascapane qualche cosa da magiare, Giovanni ed io, siamo
partiti all'avventura su di un treno a vapore, un residuato bellico della
Seconda Guerra Mondiale dallo scalo ferroviario di Reggio Calabria, diretti al
nord. Quel vecchio treno non partiva mai e dopo un giorno intero e una nottata,
il mattino siamo sbarcati nella città semidistrutta di Napoli. Falò tra le
rovine della stazione. Gruppi di persone attorno ai falò. Scendiamo dai vagoni
bestiame e giriamo qua e là, ci confondiamo ai gruppi di persone senza meta.
Dovunque vediamo una nazione in dissolvimento. Rare, purtroppo anche fra i
cittadini di Napoli. Nota dominante fra questa massa omogenea di persone senza
meta. Ormai non credo più a nulla. In quella confusione ho compreso che ciascuno
vuole raggiungere la propria meta, la propria casa, il proprio letto, la propria
famiglia. Dal sud al nord. Dal nord al sud. Nessuno che vada al sud perché al
sud c'è la libertà e tutto si stava normalizzando. Dopo qualche giorno di sosta
nella città di Napoli completamente distrutta, abbiamo fatto un giro per il
porto che era presidiato dagli americani. Un soldato di colore ci offre degli
scarponcini militari e altri capi di biancheria, come magliette e giubbini.
Compriamo qualcosa e il mattino successivo, alle prime luci del giorno, un
vecchio treno è in partenza dalla Stazione principale. Alla Stazione di Roma
Termine, troviamo le stesse rovine delle altre città che abbiamo attraversato,
gli stessi falò e gli stessi posti di rifocillamento, costituiti da alcune
persone che facevano cuocere in una pentola fagioli con un po' di pasta. Abbiamo
fatto la fila per ottenere un piatto di minestra calda, pagando con le Am lire,
moneta corrente in tutto il Paese. Durante il lungo percorso, abbiamo visto
molti ponti ferroviari distrutti, dove il treno si fermava e decidiamo di
continuare a piedi, e scendiamo. Uno stretto sentiero pietroso che costeggia le
rotaie. E' mezzogiorno passato. Il sole scotta, l'aria del mese di giugno è
calda, pesante. Nella Stazione di Genova Principe, la tradotta si ferma. Tutti a
terra alla ricerca di un piatto caldo da mangiare. Davanti alla stazione
troviamo la stessa situazione delle altre città. Dopo qualche giorno, due e tre
vagoni che compongono il treno per Ventimiglia è in partenza. Stanchi, affamati,
arriviamo nei pressi della cittadina rivierasca di Rapallo, una galleria breve,
poi una più lunga. Prima di imboccare una terza galleria, il treno si ferma
nell'aperta campagna, proprio sulla scarpata tra il mare e la costa, dove abbia
visto sulle rocce, molte persone che con grosse pentole facevano bollire l'acqua
del mare per ricavare il sole da cucina che scarseggiava in tutto il Paese.
Dobbiamo scendere e continuare a piedi. Attraversiamo il lungo ponte della
ferrovia interrotto in tre parti. Quindi sale e scendi, tra i rottami ferrosi
del ponte distrutto dai bombardamenti aerei. Dall'altra parte del ponte
diroccato, c'è un altro treno che è diretto a Ventimiglia. Come abbiamo detto,
eravamo stanchi e affamati. Alle prime case del paese ci indicano un'osteria
dove, dicono, troveremo da mangiare. E' una stanzetta piccola, non
sufficientemente pulita, il letto basso, costituito da una rete, pareti nude e
screpolate. In fondo una finestra che da mare. Non ci sono né tovaglie e neppure
tovaglioli e piatti. Qualche bicchiere, qualche panino con formaggio, un po' di
vino e qualche frutta. Mangiamo un panino al formaggio di capra, beviamo un
bicchiere di vino e andiamo a dormire sulla rete. Il mattino successivo, ci
fermiamo in un bar trattoria dove ci viene offerto un buon cappuccino. Verso
l'imbrunire, quando il sole stava per tramontare dietro le montagne, oltre il
quale si trova il territorio francese. Fintamente, dopo una settimana di
viaggio, siamo giunti nella stazione ferroviaria di Bordighera, che è una
signorile cittadina, definita la città delle "Palme". Nella città vecchia, sopra
il litorale dove sorge il borgo di pescatori di Capo S. Ampeglio, la città nuova
o Marina, sul pendio di ponente e Arziglia, ad oriente del capoluogo di cui
dista un chilometro. La città è adagiata a poggi ricoperti di ricchi uliveti,
disseminati di giardini, di eleganti ville, di palme che prosperano un po'
d'dappertutto, è stazione d'invernale preferita specialmente dagli stranieri e
primi fra tutti dagli inglesi, per il clima mite e costante, per gli incantevoli
panorami e le solatie passeggiate.
Borghighera, d'origine preromana, venne fondata sul Capo di S. Ampeglio da pochi
villici convenuti dal vicino contado. Subì ripetute invasioni dai Saraceni, fu
distrutta e poi riedificata sotto la breve dominazione della vicina Ventimiglia;
nel 1499 passò a Carlo VIII; verso la fine del 1504 ai Genovesi, quindi ai
Savoia per ritornare, nel secolo XVII, a Genova, da cui otteneva, nel 1686
d'essere staccata da Ventimiglia e di costituirsi a comunità indipendente. E
tale rimase sino all'occupazione francese nel 1793. Dodici anni dopo da
Napoleone veniva annessa al dipartimento delle Alpi Marittime con Nizza a
capoluogo e, caduto Napoleone, fu aggregata agli Stati Sardi con i quali nel
1860 cessò di far parte del Regno d'Italia. A Bordighera vecchia, dove da prima
della guerra viveva una delle mie sorelle dove coltivavano i garofani, ma in
quel periodo critico post bellico, non erano richiesti i fiori, ma gli ortaggi
per la sopravvivenza.
Ci siamo adattati a qualsiasi lavoro, da quello dei campi a quello della
ricostruzione, con scarsi profitti. Il ricavato era appena sufficiente per
sopravvivere. Facevamo lunghe passeggiate lungo gli interessanti sentieri che si
sviluppano sulla catena di verdi colline che contornano i villaggi e le
cittadine prospicienti il mare, transitando tra fasce coltivate ad ulivo
sorrette da pregevoli muretti a secco, nella profumata macchia mediterranea, tra
siepi lussureggianti di salvia, roseti e rosmarino, pinete formate da pini
Marittimi e d'Aleppo, lecci, querceti e vigneti, probabilmente era quello
l'ambiente climatico dell'antica Liguria.
Questa è la regione di dolci colline, dove germogliano le rose e le mimose,
nonché il vecchio ulivo dell'amicizia e anche di montagne affacciate sul mare.
Questa è una regione di confine, anzi di confini: fra l'Italia e la Francia,
Alpi Appennino, Mediterraneo e Pianura Padana, dove noi oggi viviamo da oltre 50
anni, e dobbiamo affermativamente dire che la Lombardia non è soltanto la
regione dai colori velati dalla nebbia, ma è un susseguirsi di panorami
incantevoli e sensazioni soggettive, quasi al limite dell'irreale. Da quando
viviamo in questa ricca regione di pianura solcata dai grandi fiumi, come il
vecchio Po, l'Oglio e il Mincio, facciamo parte del CAI di Mantova. Con questo
sodalizio, ogni anno, in primavera, organizzano delle meravigliose escursioni
sui sentieri della costa ligure e sul vicino Piemonte. Scopriamo insieme qualche
angolo verde e bellissimo come il Gran Paradiso, il più bel parco d'Europa,
animato da stambecchi e camosci, il bellissimo borgo antico di Cogne e le
affascinanti Langhe, terre di tartufi, di vino e di castelli, l'armoniosa
Ossola, simile ad una foglia.
RIOMAGGIORE E MANAROLA
La prima escursione che abbiamo effettuato molti anni fa con Adriana mia moglie
e gli amici del CAI, sono state le Cinque Terre. Il due grossi pullman, con
oltre 100 escursionisti mantovani si sono fermati al principio della cittadina
marinara di Portovenere, che si adagia di fronte alla Palmaria, sull'estrema
punta del continente e sopra un'erta scogliera, le cui origini risalgono a tempi
remotissimi.
Le sue case alte, ristrette e insieme congiunto, ai piedi del quale
continuamente s'infrangono le onde spumeggianti; la fantastica torre che ne orna
la porta d'entrata, dove si sono fermati i nostri due grossi torpedoni, la
graziosa piazzetta al lido e l'antico castello su in alto, e intorno a cui
l'ulivo e il fico stendono i loro fruttiferi rami, le mura cadenti di vetusti
edifici, stranamente connessi agli scogli e alle rocce; e finalmente gli avanzi
del gotico tempio di S. Pietro sull'ultima rupe che signoreggia due mari,
presentano allo sguardo un panorama insolito di grande bellezza e molto
pittoresco. Non dobbiamo quindi meravigliarci se un tempo trovò qui culto e
omaggio la dea dell'amore, figlia delle onde. Venere, infatti, vi fu all'epoca
del paganesimo, adorata.
La storia ci racconta che nel secolo XII sulle rovine dell'antico tempio di
Venere si erigeva una chiesa dedicata a S: Pietro. Posa essa su alta rupe di
marmo portoro e di là si gode una vista magnifica, e l'occhio, vagando sul mare,
dalla Palmaria e dai lidi liguri trasvola fino alla Gorgogna, alla Capraia, alla
Corsica lontane.
Oltrepassata la batteria di S Francesco, e lasciata indietro la punta della
Castagna, tutta ricoperta d'ulivi, si giunge a un basso promontorio su cui siede
la fortezza di S: Maria, costruita dai Genovesi nel 1569, rovinata dagli Inglesi
nel 1800 e poi riparata dai Francesi.
Da S: Maria si scopre, in tutta la sua pompa maestosa, la città di La Spezia,
circondata dalle rive del suo incantevole golfo, Ed eccoci al piccolo e quanto
vago e profondo senso del Virgnano.
Avevamo accennato che i due grossi torpedoni si erano fermati vicino alla Porta
di Portovenere, proprio dove esiste un sentiero che sale irto fino al vecchio
Castello. Guardando dalle prime propaggini si vedevano salire, uno dietro
l'altro, in fila indiana, gli escursionisti del CAI, già sfiancati dalle prime
propaggini. Il sentiero si fa più pianeggiante man mano che si raggiunge l'apice
dell'irta collina. Lassù, ci aspettava una vista eccezionale e una pineta
pianeggiante il cui sentiero procede molto allegro verso Vernazza. Eseguendo
quel sentiero incontriamo un altro sentiero che scende a gradoni verso la valle
dove sorge appunto, fra meravigliosi vigneti terrazzati il borgo marinaro di
Vernazza.
Le unga fila degli escursionisti si è fermata al centro del vecchio e
caratteristico borgo e ha dato l'assalto all'unica focacce ria: la tipica e
unica focaccia genovese. Oltre alla focaccia tipica, abbiamo scoperto anche il
delizioso vino locale Scic tra, che si accompagna benissimo con la focaccia e le
acciughe fritte. E' stata una bella scampagnata, seduti alla bella meglio sui
gradoni delle stradelle o meglio definirle con il loro nome: i carruggi di quel
fantastico paese.
Vernaza è un antichissimo borgo marinaro di origine romano, è posto sulla
pendice di uno scoglio dirupato, sporgente sul mare. Difeso, per la sua
posizione, dai venti del nord, presenta un clima sano, temperato e costante. Per
quanto il territorio ( circa mille ettari di superficie) si svolga tutto in
piena regione montuosa, la vegetazione e varia e abbondante. Vi si producano
agrumi e castagne, ma soprattutto olio e vino; da Vernazza appunto si vuole da
taluno che tragga il nome il vino Vernaccia. Caratteristica, come nelle altre
località delle Cinque Terre, la coltivazione della vite a causa del terreno
sassoso, erto e a strapiombo, quasi a perpendicolo, sul meraviglioso mare. La
popolazione è dedita alla coltivazione dei propri terreni o all'industria
marinara o al lavoro d'officina nell'Arsenale di La Spezia. Gli abitanti di
Vernazza, hanno apportato delle innovazioni ai loro vigneti: li hanno dotati di
una moderna seggiovia che costeggia le fasce dei vigneti, per portare in paese i
prodotti della terra e viceversa. E' un servizio molto importante, che gli
consente di salire e scende senza fare alcuna fatica, specie nel periodo della
vendemmia.
Abbiamo lasciato il piccolo porticciolo di Vernazza, quando il sole stava per
tramontare e stando sulla tolda del battello, abbiamo incontrato, procedendo
verso La Spezia, per fare ritorno a Portovenere, Riomaggiore e Manarola.
Guardando quei caratteristici borghi, ti sembra di ammirare un paese incastrato
a forza tra le altissime ed aspre rocce che gli consentono tra le ombre degli
alti monti incombenti, ma la rude e tenace opera della popolazione abbiamo
compreso che ha vinto la natura matrigna e convertendo le bigie ed irte rocce in
opulenti vigneti che formano la celebrata ricchezza del luogo. Popolazione
attivissima che vive sul mare e dà largo contributo al vicino arsenale di La
Spezia.
A Manarola, non esiste nessuna strada carrozzabile. Manarola è unita al
capoluogo, da cui dista un chilometro circa, per mezzo di una spaziosa galleria
e da una strada prospiciente il mare, con panorami incantevoli. Questo borgo
marinaro, sorge sopra uno scoglio a picco sul mare; ha strette viuzze e ripide
gradinate, serpeggianti fra le case dai tetti di ardesia e uno scalo tagliato
nella viva roccia, ottimo rifugio alle barche. Si ritiene che i primi abitanti
del luogo, che si presume venissero dalla Grecia nel 790. Quindi, anche qui a
Manarola come nella My Old Calabria, gli antichi greci erano già di casa .
Il grande poeta Eugenio Montale, un figlio prediletto della vecchia e bella
Liguria, così faceva a scrivere questa bellissima poesia di Portovenere.
Là fuoriesce il Tritone
Dai flutti che lambiscono
Le soglie d'un cristiano
Tempio, ed ogni ora prossima
È antica. Ogni dubbiezza
Si conduce per mano
Come una fanciulla amica.
Là non è chi si guardi
O stia di sé in ascolto.
Quivi sei alle origini
E decidere è stolto:
ripartirai più tardi
per assumere un volto….
Il lungo viaggio di Eluana.
Giorni fa, ho avuto modo di leggere una bellissima favola sulla Voce di Mantova,
firmata Carla S, che parlava di Eluana. Dopo di averla letta, l'ho ritagliata,
perché il giorno successivo il giornale sarebbe stato effimero, fuggevole,
passeggero, come la speranza e la gloria e per non farle fare la stessa fine di
tutte le cose passeggere l'ho conservata. Oggi, che è calato definitivamente il
sipario ed è ritornato il silenzio assoluto sul caso Eluana, perché di un caso
si tratta, l'ho ripreso e ho cercato di farlo rivivere in questo nostro
intervento. L'articolo della signora Carla S. incomincia con queste parole: "Eluana
si è staccata di questa terra e se ne è andata in silenzio,quasi in punta di
piedi. Ha guardato dietro le sue spalle se nessuno la seguisse, ormai era troppa
stanza di presenze pronte per accudirla e non lasciarla libera di fare quello
che voleva". Si, é vero, e proprio così. Eluana era stanca di persone silenziose
che entravano ed uscivano da quella stanza che è stata la sua prigione. Troppo,
troppi anni di sopportazione ed ora…via… basta silenzi, basta camici bianchi,
basta luci soffuse, basta finestre chiuse, basta buio, basta mani sul suo corpo,
finalmente era ritornata in possesso della sua dignità. Non si è fermata su
questa terra piena di imposizioni, di dinieghi, è vola verso l'universo che l'ha
accolta e ha dato la possibilità di scelta. Era ora.; un desiderio di muoversi,
di camminare, di correre, di ridere, di decidere dei suoi obiettivi. In questo
suo nuovo mondo non ha trovato orologi, qui il tempo era tutto in suo favore,
passava dalla luce più intensa del sole, a Plutone, voleva conoscere di persona
i nuovi pianeti scoperti ultimamente. Ha fatto salti di gioia da una stella
all'altra, da una ha fatto cadere polvere di stelle sui suoi capelli che si sono
illuminati, finalmente uno sciampo fatto a modo suo ed ha agitato le sue
bellissime chiome che hanno dato luce ai tanti punti scuri. Ha abbandonato di
proposito le " NEBULOSE", non aveva bisogno di nebbie, di spostamenti poco
chiari, è andata per un po' sulla luna, ma non ha trovato pochi accoglienti. Ha
fatto le corse sulla scia della cometa fino a stancarsi, avanti e indietro,
scivolava e si alzava, cadeva e rideva, in salita e in discesa come su un campo
da sci, solo che erano i suoi piedi a muoversi, il suo bellissimo volto pieno di
luce, le sue braccia che quando cadeva si portavano in avanti per sostenerla e
le sue mani che si aggrappavano alle stelle che ben felici le davano di
continuare nel suo meraviglioso viaggio. Ha dormito per diciassette anni ed ora
doveva stare sveglia per altrettanti e godere del tempo perduto. E' salita con
un balzo sull'arcobaleno, si è vestita dai suoi colori e come una modella dello
spazio ha avuto finalmente la gioia di sentirsi libera, felice e bella, bella,
bella, come da tanto tempo non lo era più. Buon viaggio, Eluana, divertiti, hai
il diritto di vivere la tua nuova vita fra le tue meravigliose montagne".
Le Montagne Carsiche.
Come di solito si dice, Eluana è ritornata ieri sulle sue bellissime montagne
della Carnia in silenzio e in punta di piedi, su quelle montagne silenziose che
la videro bambina giocare con le caprette e i suoi coetanei nei campi innevati e
in primavera fra i verdi prati. Dove l'occhio spazia e si perde in un infinito
orizzonte. Era appassionata raccoglitrice di stelle alpine e più volte si è
spinta sulle rocce a strapiombo per raccoglierle, ma adesso che è ritornata si è
trasformata in una stella alpina e aspetta di essere raccolta da una ragazza
sognatrice del suo paese. Noi facciamo parte del CAI di Mantova e nelle zone
Carsiche ci siamo stati parecchie volte e vi posso confermare che è il paesaggio
più bello che abbia mai visto e gli abitanti sono molto cordiali e soprattutto
molto ospitali. Nelle zone povere e montagnose, innevate per molti mesi
dell'anno, la vegetazione è molto più scarsa. La roccia appare più o meno
ovunque fratturata. Siamo in presenza di un campo solcato. Qui i corsi d'acqua
superficiali sono molto brevi. L'acqua piovana scompare rapidamente nelle
fessure delle montagne carsiche. Dove il sole accarezza le pittoresche cittadine
dell'adriatico. I suoi raggi sono innamorati delle bellezze del Carso,dove,
appunto, germogliano le stelle alpine e più a valle viene coltivato l'antico
ulivo dell'amicizia e della pace, vigneti, pesche e ciliegi. Sotto le radici
degli alberi si trova il più bel pezzetto di mondo sotterraneo del nostro
pianeta. In Slovenia ci sono più di seimila grotte ed abissi carsici, dieci di
questi capolavori in calcare, opera delle acque intermittenti carsiche, sono
aperti per visibile turistiche.
Quando c'è abbastanza manto nevoso si sviluppano dei pozzi a neve E' la grande
abbondanza di questi inghiottitoi, spesso ostruiti dalla neve, che rende
affascinanti e insieme difficile le esplorazioni in alta montagna. L'azione del
gelo diventa molto evidente a una maggiore altitudine. Le rocce calcaree sono
leggermente porose e si spaccano in piccole scaglie che otturano le fessure (si
parla di geli frazione o anche di crioclastismo). In queste regioni troviamo più
raramente abissi spettacolari; la loro altitudine, d'altra parte è spesso
disincentivante per uno speleologo. Ma, se noi oggi siamo ritornati nel piccolo
borgo montano di Paluzza (Udine), non vogliamo solo parlare di escursionismo ma
soprattutto dell'ultimo viaggio di Eluana. Quindi diremo "Bentornata Eluana,
nella terra del tuo papà, dei tuoi nonni... " Le prime parole della cerimonia
funebre sono come un richiamo, il segno che allora è proprio vero, sta davvero
accadendo. Armando Englaro comincia a piangere, a singhiozzare. Guarda davanti a
sé la bara di questa nipote così sfortunata, si morde le labbra per frenare le
lacrime. La chiesetta del piccolo cimitero si riempie delle voci che intonano il
Kyrie eleison, e lui assume un'espressione spaesata, si allunga per vedere da
dove arriva quel coro. Un cronista del Corriere della Sera, così scrive: Lo zio
di Eluana ha gli stessi occhi azzurri di Beppino, lo stesso profilo aguzzo. Ma è
più alto e massiccio, è un uomo sanguigno, che mostra le proprie emozioni
essendo incapace di nasconderle. Si vogliono bene gli Englaro, ma. Dopo tanto
chiasso, tra politica, magistratura, religione e laici e semplici cittadini del
nostro Bel Paese, finalmente possiamo dire che è sceso il silenzio assoluto su
queste montagne carsiche dove è stata sepolta Eluana. Abbiamo ancora negli occhi
le grandi masse di cittadini che sfilavano in corteo per le strade e le Piazze
delle grandi città. A Porta a Porta, come pure negli altri siti televisivi non
si è fatto altro che dibattere se era giusto togliere il sondino o no. Dovunque,
in ogni paese, in ogni casa non si è fatto altro che discutere su ogni cosa,
insomma si è fatta molta confusione. Abbiamo costatato che c'erano poche persone
presenti nella piccola chiesetta di quel cimitero di montagna e questa nostra
impressione è stata avvallata dai filmati televisivi e dalla cronica
giornalistica. Sì, Eluana ora può riposare in pace fra quelle sue montagne dove
sorge il piccolo cimitero, racchiuso fra le alte cime di queste montagne brulle
e rocciose ma bianche di neve, anche il piccolo viale del cimitero, la chiesetta
e le tombe erano imbiancate di soffice neve. Abbiamo notato una piccola folla di
parenti e amici di Paluzza. Una piccola folla composta che era salita fin lassù
per dare l'ultimo saluto a Eluana.
Abbiamo letto sul Corriere della Sera di oggi, che l'ammirazione e la
riconoscenza che Armando prova per il fratello maggiore si mischia con il dolore
per il suo destino. "Mi ha sempre aiutato", racconta alla fine di questo lungo
pomeriggio. "Tre fratelli emigrarono in Lussemburgo, lui in Svizzera". Io ho
scelto di rimanere a casa. Tante volte mi ha invitato a raggiungerlo. Io non me
la sono mai sentita di lasciare Paluzza. E allora lui mi ha aiutato ad aprire la
nostra ditta di moquette, ha creato la società. Beppino ha fatto tutto, io sono
solo un artigiano". Ogni tanto anche i fratelli minori, e con i suoi 62 anni
Armando è l'ultimogenito, riescono a farsi ascoltare. Il funerale l'ha voluto
lui. È riuscito a convincere Beppino, che invece è del 1941, troppo amareggiato
con la Chiesa per riuscire a vedere la necessità di quest'ultimo saluto alla sua
Eluana. "Ne abbiamo parlato, e alla fine si è fidato. Mi ha lasciato fare su
tutto. Penso di aver fatto la scelta giusta, anche per lui. Sono convinto che se
avesse cremato Eluana, alla fine se ne sarebbe pentito. Credo di avergli evitato
il rimpianto". Il funerale ha finito per somigliare a chi l'ha così fortemente
voluto. A lui, Armando. I due vigili urbani in divisa che controllano i fedeli e
intanto hanno i lucciconi agli occhi mentre ascoltano la bella omelia di don
Tarcisio Puntel. Egli ha concluso dicendo: Fra queste rocce carsiche, nascerà
una nuova stella alpina, che si chiama Eluana.
I paesani che dicono "mandi" a noi forestieri, e assistono attenti e partecipi
alla funzione. La sobrietà dei gesti, le poche parole, nessun applauso
all'uscita del feretro. Un funerale fatto di silenzi e dignità, a immagine di
questa Italia diversa che si chiama Carnia. "È la mia piccola patria" dice
Armando, e si capisce che lo pensa davvero, che l'adesione a questa identità
così forte è sincera, sentita. "Eluana doveva essere sepolta qui, e doveva avere
il suo funerale. Era un tributo che dovevamo a Paluzza, ai nostri compaesani. E
poi riposerà qui, tra queste valli. Le guardi, non sono belle? A mia nipote
avrebbe fatto piacere, ne sono sicuro". Nello scandire queste ultime parole
Armando Englaro si emoziona. Anche lui ha sofferto molto, viveva Eluana come una
figlia, ma ha sempre cercato di non farlo vedere a Beppino. Armando è cattolico,
è stato pellegrino a Santiago di Compostela e tante volte a Lourdes. Beppino lo
ha ripetuto spesso, "non ho il conforto della fede". Tra fratelli magari si
discute, ma nel dolore ci si tiene, si sta insieme, si annullano divergenze e
differenze. "Sono preoccupato per lui. Adesso è molto provato, ma sono sicuro
che ce la farà. Mio fratello è molto forte".
Armando è un uomo che usa parole semplici per farsi capire. Il suo mondo è tutto
qui. Paluzza, tremila anime, la piazza rettangolare con municipio, scuola e
banca. Il bar Picin per giocare a carte con gli amici, l'azienda di moquette
all'inizio del paese, la villetta sulla statale, una manciata di chilometri tra
l'osteria. Le Trote e le montagne, la neve che arriva a settembre e chissà
quando se ne va. "Eluana - dice lui - aveva dentro di sé lo spirito di questa
terra. Era una carnica vera, una ragazza ostinata e libera". Per un'ora
soltanto, l'ultima del suo passaggio su questa terra, zio Armando le ha fatto da
padre. Si è commosso anche al saluto finale di don Tarcisio, pronunciato in
dialetto. Le ha fatto ciao con la mano, come se stesse per partire. "Adesso puoi
davvero riposare in pace" ha detto sulla tomba. Aveva ragione il più piccolo dei
cinque fratelli Englaro. I funerali servono anche a questo, a ricordare chi era
la persona che stiamo perdendo, da dove veniva, quali erano le sue radici. Mandi
Eluana.
Tempo fa, quando i quotidiani e la televisione incominciavano a parlare del caso
di Eluana,"Il Gabbiano" ha scritto un semplice e bella poesia, al quale
chiediamo umilmente scusa per esserci impossessati e con la quale termina questo
nostro escursious del caso di Eluana. Essa così recita:
Il Silenzio di Eluana
Con rispetto e in punta di piedi
Tento di avvicinarmi a questa tragedia della vita.
Oh, sì, la vita!
La vita è fragile e leggera
Come la piuma di una capinera
Portata dal vento che tutto trascina
E come una nuvola rosa
Che si disperde nell'infinito orizzonte
Sorvolando mari e monti
Ma per rompere questa fragilità
Bastano poche ore alla Cassazione
Per sospendere l'alimentazione
Che da molti anni fornisce attraverso un sondino.
La linfa vitale al giovane corpo.
Quella vita concepita non aveva mai sognato.
Tutto ad un tratto giunge la condanna a morte.
Ma l'appello disperato
È stato lanciato
"Salvate la vita di Eluana!"
Nel giorno del verdetto,
che consente al padre d'interrompere la vita vegetativa.
E dare degna sepoltura
Alla sua amata bambina.
Nell'ora del tramonto dipinto di rosa.
Con grande rispetto, abbiamo ricordato
Una giovane vita che se ne va
Fragile e leggera
Come la piuma di una capinera
Di valle in valle portata
Dal vento che tutto trascina.
( Il Gabbiano)
Caronte Il Traghettatore
Tra realtà e fantasia
Racconto
Quel mattino, camminavo nel corridoio ed ero quasi nervoso e pensavo che fra
pochi minuti mi sarebbero venuti a prendermi per portarmi nella sala operatoria,
infatti, verso le ore 11,30, si è presentata nella stanza numero.19/20 del
Reparto di Chirurgia Toracica , dove ero ricoverato da un paio di giorni una
simpatica infermiera, mentre io aspettato il Traghettatore Caronte con gli
occhi di brace, di dantesca memoria per trasportarmi con la sua barella
nella sala operatoria, dove ero atteso dallo Staff dei chirurghi, per essere
sottoposto all'operazione del "Talcaggio", nella pleura di destra. Per dire la
verità sono rimasto alquanto deluso, perché aspettavo il traghettatore Caronte.
La traghettatrice: era una simpatica infermiera, con gli occhi azzurri e il
foulard sui capelli legato dietro la nuca. La signora Caterina, che svolgeva il
suo servizio di volontariato in quel moderno e funzionale nosocomio del Carlo
Poma di Mantova, mi ha fatto togliere il pigiama e gli indumenti intimi e mi ha
fornito un camice di colore verde di carta, mi coprì con una coperta e ci siamo
avviati verso agli ascensori ed in poco tempo, siamo giunti al piano terra,
percorrendo alcuni corridoi e si è fermata davanti alla sala operatoria.
Confesso che ero alquanto scioccato, ma nello stesso tempo sereno e consapevole
di quello che a momenti dovevo essere sottoposto: ad un intervento chirurgico.
Salutai e ringraziai la "traghettatrice", che mi ha consegnato alla dottoressa
addetta all'anestesia. In quel luogo poco illuminato, ricordo che questa
signora, specialmente nel sentirla parlare era molto simpatica, come del resto
erano i dottori. Del reparto di Chirurgia Toracica e tutto lo staff. La
dottoressa mi ha tranquillizzato, circa lo svolgimento operatorio. Rimanendo con
essa in attesa davanti alla grande porta d'ingresso alla Sala Operatoria, nel
mio subcosciente mi sembrava di leggere le parole che sono scritte a grosse
lettere davanti alla ciclopica porta dell'entrata dell'Inferno dantesco,(
disegno di Gustavo Doré) dove vi era scritto:
"Per me si va nella città dolente,
Per me si va nell'eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
Dopo la breve attesa in compagnia della dottoressa, mi sono venute in mente i
seguenti versi ":Ma poiché la sua mano alla mia pose/ con lieto volto,
anch'io mi confortai,/ mi mise dentro alla segrete cose".:In quel
momento la barella si mosse e siamo entrati nella stanza fredda e poco
illuminata, dove mi hanno traslocato sul tavolo operatorio. Subito dopo
l'iniezione dell'anestesia totale, mi sono addormentato ed ho iniziato la
navigazione nel mondo dei sogni. L'operazione ha avuto termine dopo un'ora
circa. Al termine mi ha svegliato il chirurgo che ha eseguito il " Talcaggio",
dicendomi: Diego! Svegliati perché noi abbiamo finito e tra poco ti riporteranno
nella tua camera. Lo ringraziai, anzi ringraziai tutto lo staff e una mano
poderosa ha spinto il lettino verso la grande porta d'uscita. All'uscita non
trovai più la traghettatrice dagli occhi marrone, ma una giovane e graziosa
allieva infermiera con il camice bianco che sembrava un angelo, ci mancavano
solo le ali, gli altri attributi erano al loro posto. Mi hanno colpito i suoi
occhi azzurri che mi guardavano con grande tenerezza, mentre le sue labbra
esprimevano parole di gioia e di soddisfazione, oltre che di incoraggiamento.
Ella mi ha detto: Diego, allegro, perché è tutto finito e fra pochi giorni
ritornerai a casa, dove scriverai i tuoi racconti e le tue poesie.
All'uscita dell'ascensore, c'era Adriana mia moglie, che mi stava aspettando.
Una lieve carezza ha sfiorato il mio volto. Sì, Adriana, sono ritornato
dall'inferno dantesco, da quel girone dove camminano le anime che da molto tempo
attendono il vecchio Caronte con gli occhi di brace che li traghetterà verso
quel paradiso che ognuno di noi ha sempre sognato. Così scriveva il poeta:
La vita e la gioia di vivere è grande e meravigliosa/, ma è fragile e
leggera/ come la piuma di una capinera ferita/, di valle in valle portata/ dal
vento che tutto trascina. Se è vero come è vero, che la vita è un dono
meraviglioso, il più grande che potessero farci, di cos'altro stiamo parlando,
se non di una parte di quel dono? Una parte che coincide con il tutto, se ci
pensiamo bene, perché senza le piccole foglie che ne ornano i rami non ci
sarebbe neppure l'albero.
Per questa volta siamo riusciti a rivedere le stelle in questo cielo azzurro e
meraviglioso, dove risplende il sole e dove germoglia il seme della vita e
dell'amore.
L'intervento è riuscito benissimo e di questo, dobbiamo ringraziare i bravissimi
chirurghi ed il loro staff, che sono stati molto bravi sia professionalmente che
umanamente. Se siamo giunti fin qui, dobbiamo doverosamente dire grazie anche è
soprattutto al dr dell'Ospedale di Bozzolo dott. Rino Frizzelli e al suo Staff,
che aveva accertato eco graficamente del secondo versamento pleurico, disponendo
del nostro immediato ricovero ed il giorno successivo il dott. Scarduelli, che
ci ha praticato l' amniocentesi. cioè l'asportazione del versamento pleurico.
Durante la nostra breve permanenza in quel nosocomio, che tra l'altro, ci siamo
trovati a nostro agio. Nei giorni che seguirono il dr. Frizzelli, suggeriva ai
suoi colleghi del reparto di Chirurgia Toracica, per la vidiotoracoscopia ( VATS)
e prendendo accordi diretti per il successivo ricovero presso il C. Poma, come,
in effetti, si è verificato, secondo le sue previsioni dove hanno eseguito, come
abbiamo visto sopra il " Talcaggio".
Il sogno artificiale.
Durante il sogno artificiale prodotto dall'anestesia generale, abbiamo sognato
il territorio dove sorgono le meravigliose Piramidi d'Egitto, che si trovano
nella regione occidentale di quel paese, perché quella era la regione del
tramonto in cui l'anima trovava riposo, ma anche il sotto del dio, cioè la terra
sacra delle necropoli, posta sotto la protezione divina e infine " Vicino
all'alto", poiché Ciba era il luogo che permetteva allo spirito dei faraoni di
accedere agli spazi celesti. Per il momento ringraziamo gli dei, ma vogliamo
continuare a vivere sulla nostra vecchia terra, che tutti amiamo moltissimo,
perché la vita è la vita e vale la pena di essere vissuta.
L'Egitto. Il mito eterno.
Chissà che questo nostro sogno onirico, fatto soltanto sotto l'influsso
dell'anestetico, un giorno non molto lontano, si possa realizzare. Quella è una
terra di antiche vestigia, perché racchiude in sé la magia di una natura
spettacolare e i misteri di culture e tradizioni che si perdono nelle origini
della storia e della memoria. E' una terra che merita di essere scoperta e
visitata. I sogni non sono altro che la realtà concepita in un momento
particolare dal nostro sistema cerebrale che in particolare momenti, affiorano
dal profondo del nostro io, che raramente si avverranno, ma a volte si
realizzano davvero, in modo che la vita continua a fare il suo corso in questo
mondo, che ci avvolge l'universo come un cerchio.
Il lento veleggiare al ritmo naturale del vento fa scorrere di fronte agli occhi
siluette di contadini che compiono gesti antichi, di bimbi allegri che corrono a
perdifiato. Mentre splendidi tramonti fanno da cornice ad isolotti di papiro
dove volano e nidificano egrette e martin pescatori; s'interrompe di tanto in
tanto un incontro per incontrarne un altro quando si è in vista di templi e
necropoli millenarie ed un altro ancora quando si scoprono improvvisamente
luoghi incantati dove si trascorre la notte, sotto le stelle, in una rada
tranquilla, fuori del tempo e della storia faraonica.
Il Nilo dei Faraoni è una cosa indescrivibile ed un paesaggio di una grandiosa
bellezza paesaggistica, con i riflessi d'oro sull'acqua. Era un'ideale
scenografia per lungo tempo e anche e soprattutto l'idillio di Giulio Cesare e
la sua bellissima Cleopatra, che trovarono la loro ideale scenografia navigando
a bordo della loro barca di papiro, dove assaporavano le delizie e le bellezze
dell'amore.
Questo nostro sogno onirico è sicuramente scaturito, dalle continue letture che
ogni giorno facciamo, per conoscere paesi diversi dal nostro. Da molto tempo,
sognavamo di fare un viaggio in quel paese meraviglioso dei Faraoni, per
ammirare le famose Piramidi e gli altri monumenti faraonici. Forse questa è la
volta buona per organizzare un'escursione nel vecchio e bellissimo Egitto.
Quel sogno onirico, nel periodo della nostra convalescenza lo abbiamo
realizzato. Abbiamo trascorso un periodo di riposo sulle calde spiagge delle
coste del Mar Rosso, dove abbiamo fatto non solo i bagni di sole ma anche quelli
di mare. Prima di visitare le antiche Piramidi, siamo saliti sul deserto del
Sinai, dove abbiamo ammirato grandi distese di sabbia rossa, montagne
arrotondate dal venti e lontani orizzonti, dove l'occhio si perde nella sua
enorme vastità, da dove non si vede la fine. È un mondo tutto particolare, dove
solo i beduini del deserto sanno trovare il loro habitat sotto il sole cocente,
Ogni escursionista, che i beduini, sotto il sole indossano il grande foulard di
Arafat. Lo abbiamo indossato anche noi. Abbiamo navigato sul Verde e
meraviglioso Nilo e ci siamo fermati ad ammirare le millenarie Piramidi,
scoprendo i segreti dell'Antico Egitto. Ci siamo fermati inoltre ad ammirare la
Grande Sfinge che volge il suo sguardo verso il sole che sorge, custode
silenziosa dei segreti dell'Antico Egitto. Dietro di lei, le grandiose Piramidi
di Ciza, tombe maestose costruite per assicurare il passaggio dei faraoni alla
vita ultraterrena. Bisogna ritornarci, per completare il nostro viaggio in quel
paese senza orizzonte, dove le sue meravigliose bellezze ti fanno vivere un
mondo diverso con la storia del passato, un mondo bellissimo e meraviglioso di
quel paradiso terrestre che si chiama Egitto.
Ma che cosa è il sogno?
IL sogno, scriveva Massimo Rinaldi , è un immancabile accompagnatore delle
nostre notti. . Alcuni ricordano i propri sogni ogni mattina e con facilità;
altri, invece, solo raramente trattengono le immagini di un qualche sogno oltre
il risveglio, magari solo quando esso è a forte contenuto emotivo. C'è anche chi
afferma di non ricordare mai i sogni al risveglio. Tutti, tuttavia, sogniamo
ogni notte più volte. Gli studi degli psicologi e dei neuropsichiatri hanno
dimostrato che non è possibile non sognare e che, anzi, la fase del sonno con
sogni (chiamata R.E.M., ossia Rapid Eye Mouvement, a causa del fenomeno dei
movimenti oculari che si verificano concomitantemente) si ripete ogni notte più
volte, con un ciclo di circa quindici - venti minuti ogni novanta. Ma ci
domandiamo che cos'è il sogno? Abbiamo appreso da continue letture e
ricerche che sono state fatte numerose affermazioni in merito: per alcuni
ricercatori di orientamento neuro-fisiologico esso è il guardiano del sonno,
poiché difenderebbe il sonno dagli stimoli sensoriali; per altri, invece, è una
specie di esercizio cerebrale a vuoto, utile alla fisiologia neurale. L'aspetto
più incongruo, per essi, è nella sua significatività: il sogno non risulta
indifferente al sognatore, ed emozioni e impressioni dense di significato si
affollano frequentemente in esso. I neurologi non si occupano molto di questo
aspetto, che risulta il meno comprensibile alla scienza. Dobbiamo ammettere
tuttavia, fenomeno logicamente, che il sogno ha un valore ed un significato
psicologico, che si interseca e si correla con quello fisiologico. Da questo
punto di vista, esiste una letteratura scientifica alquanto ricca - almeno, per
chi accetta di considerare scientifica la psicologia di orientamento analitico.
Da studi e ricerche effettuate, è risultato che sull'interpretazione dei sogni
Sigmund Freud ha edificato il metodo di indagine psicoanalitico. Esattamente
cento anni fa, nel 1899, egli dava alle stampe il libro omonimo, che costituisce
il vero e proprio manifesto del metodo psicoanalitico. Dobbiamo salutare in esso
la svolta nell'approccio allo studio e al trattamento dei disturbi nervosi e la
nascita della psicologia clinica. Da queste indagini, abbiamo compreso che
l'interpretazione freudiana del sogno si basa essenzialmente sul metodo delle
libere associazioni, e poggia sulla concezione del sogno come manifestazione del
desiderio, la cui espressione viene però mascherata dall'azione della censura
onirica. Inoltre, per Freud il desiderio è essenzialmente di natura sessuale,
per cui il sogno esprime sempre un desiderio sessuale, attuale o pregresso. La
tecnica interpretativa freudiana risulta così riduttiva, poiché esclude ogni
altro significato e finisce col riportare tutti i contenuti onirici a
manifestazioni sessuali. Questo è il limite proprio della psicologia freudiana,
incentrata sulla teoria sessuale della libido.
Da questo indirizzo risolutivo per un'interpretazione dei sogni più aperta e più
profonda, e quindi più efficace per raggiungere la psicologia del paziente, lo
ha dato Carl Gustav Jung, con la sua concezione di psicologia del profondo non
riduttiva alla sola sfera sessuale. Il metodo, tecnicamente, è in parte simile a
quello freudiano, poiché anch'esso utilizza le libere associazioni. Se ne
differenzia, invece, in quanto l'interpretazione si basa anzitutto sull'analisi
del contesto, che comporta l'esame della struttura drammatica del sogno, la
"storia" che viene raccontata; e inoltre poiché nella ricerca del significato
delle immagini e dei simboli alle libere associazioni viene affiancata
l'amplificazione, che consiste nell'individuazione di similitudini e analogie
tratte dalla vita spirituale dell'umanità intera, ossia dai miti e dalle
leggende dei vari popoli, dalle fiabe, dalla letteratura. La ricerca del
significato dei sogni, in questo modo, viene riportata alla dimensione globale
dell'esistenza del sognatore, ai significati che egli vive interiormente e le
esperienze che ha attraversato Quindi, il nostro sogno fatto sotto l'azione
dell'anestetico, ci ha portati lontani in un mondo da noi precedentemente
sognato ad occhi aperti, mentre la totalità della psiche e venuta così
riconosciuta nell'articolazione dei valori e dei significati, e nella varietà
dei sentimenti e delle emozioni attraversate durante la durata dell'effetto
dell'anestetico. Sicuramente, come abbiamo sopra accennato, è scaturito dalle
letture storiche e turistiche che abbiamo fatto prima di essere sottoposti
all'intervento chirurgico del " Talcaggio".
Alle porte del Sahara
Itinerario escursionistico in Tunisia
Dopo la visita di quello che rimane dell'antica Cartagine e delle Terme
di Antonio, che sono state soprattutto molto interessante, soprattutto
per i ricchi siti e per la loro storia millenaria, la seconda
escursione ci ha portati alle porte del Sahara, dove fa bella mostra di
se il magnifico Colosseo Romano di El Jeam, il villaggio primitivo di
Mantmata, luogo in cui si è girato il film Guerre Stellari di Zaafrane
e mèharèe all'ora del tramonto. Abbiamo trascorso la notte sotto le
tende beduine sotto quel cielo stellato del deserto. Il giorno
successivo abbiamo attraversato il Chott El Jerd, immenso deserto di
sale per raggiungere lo scenario naturale del film "Il Paziente
Inglese" e di Fort Sagane nell'Atlas Sahariane dove abbiamo scoperto le
oasi arroccate di Chébika e di Tamezza con i loro cayon, cascate e
vecchi Douar. Dopo il pranzo, abbiamo effettuato una sosta nella Medina
di Kairouan.
LA CITTA' SANTA DÌ KAIROUAN
Kairouan, costruito da Abu Kibrahin ( IX sec), è uno dei 14 bacini -
serbatoi di acqua potabile alimentati dell'acquedotto di Chericheta e
dalle precipitazioni. L'acqua captata a 36 km ad ovest arrivava prima
in un bacino di decantazione di 37,40 e successivamente in un grande
bacino poligonale, al centro del quale sorgeva un padiglione, luogo di
riposo degli emiti.
Spesso si cade nell'equivoco di ritenere che un luogo esotico debba
necessariamente essere lontano da casa nostra e non ci rendiamo conto
di quanto vicini possano essere certi siti culturalmente e storicamente
affascinanti. Kairouan, a soli 160 km a Sud di Tunisi, è uno di questi.
Kairouan, é la quarta città santa dell'Islam dopo La Mecca, Medina e
Gerusalemme. Secondo la tradizione, sette pellegrinaggi a Kairouan
possono sostituire il pellegrinaggio alla Mecca, obbligatorio almeno
una volta nella vita, per ogni musulmano.
Quando si arriva in città, in mezzo ai colori sabbiosi dell'orizzonte,
ci accoglie un immenso monumento raffigurante un grande tappeto nel
quale, le variopinte tessere di marmo ci ricordano che Kairouan è la
patria del tappeto tessuto a mano. Donne di tutte le età sono
accovacciate dinanzi ai loro telai e tessono i loro tappeti ripetendo a
memoria schemi che si tramandano da madre in figlia. Se ne producono
tre tipi: - Alloucha: tappeto di lana annodato dalla prevalenza dei
colori marrone, nero e bianco; - Zerbia: tappeto annodato dai colori
molto vivi; - Mergoum: tappeto tessuto al telaio con decorazioni
geometriche. Se ne trovano anche in seta ma sono decisamente più
costosi. Immense mura risalenti al 1052, racchiudono la città e
richiamano alla nostra mente teorie medievali senza castelli merlati,
ponti levatoi e cavalieri in armatura richiamano alla nostra mente
storie di harem e sultani, di astronomi e matematici il suo nucleo è
più antico e risale all'anno 671.
Dal 700 al Mille Kairouan è stata la splendida capitale araba della
Tunisia. Prima ancora di entrare in città si vedono due cisterne
monumentali risalenti all'anno 800: mentre Carlo Magno si faceva
incoronare imperatore, gli aghlabiti costruivano questi enormi bacini
per la raccolta e la decantazione dell'acqua. A sottolineare
l'importanza religiosa della città vi è la Grande Moschea dedicata al
generale Okba, fondatore della città: il visitatore si sperde
nell'immenso cortile e più ancora ammirando la sala del culto occupata
da ben 414 colonne. E' impressionante il "mihrab", la nicchia che segna
la direzione della Mecca: é piastrellata di maioliche con trasparenze
metalliche di cui non esiste più la tecnica. Ancora più importante, dal
punto di vista religioso, la Moschea del Barbiere, dedicata a Abu
Djamal el Balauy che accompagnò il Profeta fino alla morte, quando
strappò alcuni peli della barba di Maometto e li portò con sé in
Tunisia.
La moschea è piena di stucchi, intarsi e maioliche e vale proprio la
pena di visitarla. Ma non sono solo queste le perle di Kairouan: di
fronte alla Grande Moschea vi è un Museo Islamico in cui sono esposti
esemplari dell'oreficeria araba medievale, ceramiche, pagine del Corano
ed una vasta collezione di monete. Vi sono, ancora, Moschee minori tra
le quali segnalo la moschea delle sciabole. I souk non sono dissimili
da quelli già descritti nella mia opinione su Sousse E' un peccato
andare in Tunisia e non visitare Kairouan Soprattutto se si dovesse
avere la fortuna di essere accompagnati da una guida come la nostra:
parlava correntemente cinque lingue ed aveva una cultura ammirevole.
Con la sua voce calma e serena ci ha preso per mano guidandoci tra i
riti della circoncisione, ai quali assistemmo casualmente, ed i
corridoi del museo, insegnandoci a leggere negli sguardi degli anziani
e nelle rughe delle donne che tessevano, la storia millenaria del suo
Paese.
La Medina di Kairouan si presenta come un dedalo di stradine che
corrono lungo case dai brillanti colori bianchi, ocra e blu. I colori
bianchi delle case fanno riflettere il sole, mentre il colore blu delle
porte e delle finestre fanno allontanare le mosche e le zanzare.
La storia di questi luoghi ci racconta che la Città Santa di Kairouan è
una delle tante città sante dell'Slam, che vanta origini leggendarie.
Si vuole che quando Uqbah Ibn Nafi, generale del califfo Omayyade
Muawiyah, giungesse in questo luogo nell'anno 50 dell'Egira ( 672 d C.)
Vi trovò un calice d'oro perduto anni prima alla Mecca. Qualche tempo
dopo le zampe del suo cavallo fecero zampillare una fonte le cui acque
sembravano ".Provenire dal pozzo sacro di Zemzem, nel santuario della
Caaba. Di fronte a tali presagi straordinari, Uqbah piantò la sua
lancia nel terreno e, dopo aver ordinato a serpenti e scorpioni di
abbandonare il luogo, proclamò la fondazione di al- Quyrawan, l"
Accampamento.
Il DESERTO DEL SAHARA
Al termine della visita della città santa di Kairouan,, abbiamo
lasciato quella magnifica località storica e paesaggistica e ci siamo
avviati verso le porte del deserto del Sahara. Quelle sono terre
lontane dal nostro vivere quotidiano, dove la vita procede a piccoli
passi, ma sono soprattutto luoghi ricchi di fascino dove il sole
infiamma il cielo con le sue spettacolari albe e i suoi stupendi
tramonti, colorando la selvaggia natura che ti circonda, mentre la
notte scende lentamente presentandoti un cielo traboccante di stelle,
che invita la selenica luna a contemplarsi e a specchiarsi in quel mare
di sabbia rossastra bruciata dal sole; dove il silenzio non è silenzio,
dove ti perdi e poi ti trovi, dove ogni uomo trova il proprio spazio
per meditare, per pregare e per riflettere in quel paesaggio astratto,
lunare e metafisico, dove traspare il sentimento della realtà di un
modo diverso senza contrasti e prepotenze. E' un luogo da eremiti, dove
regna la solitudine e il muggito del vento della sera, che viene dai
grandi spazi interstellari, dalle marine senza risucchi dalla luna
fredda e luminosa. Viene di là dei tempi, dalle epoche anteriori ai
mondi, da dove i mondi non esistono.
Ogni tratto del deserto del Sahara ha un nome proprio, a sottolineare
che si tratta di vere e proprie "isole" con caratteristiche proprie,
anche se dai limiti imprecisati, all'interno della desolazione
sahariana. Giunti in questi luoghi di un mondo diverso, un mondo da noi
poco conosciuto e che non rispecchia minimamente nessuna delle regioni
del nostro meraviglioso Paese. Ecco perché, è un mondo diverso, un
mondo bellissimo che non avevamo mai visto prima nella nostra
esistenza. Proseguendo a bordo del fuoristrada, incontriamo una
località dove vi sono imponenti massicci tunisini che hanno i loro
contrafforti meridionali. Quel massiccio montuoso il cui isolamento
consente la sopravvivenza di specie animali altrove estinte. Queste
montagne presentano un marcato carattere subdesertico, con paesaggi
dominati da guglie scoscese e spoglie, separate tra loro da profonde
valli e aspre gole, un tempo sicuramente percorse da fiumi e valli
verdi. Verso est le montagne cedono il posto alle pianure rocciose,
sostituite poco a poco da terreni sabbiosi, dune e vallate bruciate dal
sole: è il grande altopiano Tunisino del Sahara.
Il vento è il grande modellatore dei paesaggi del Sahara, come la neve
e i ghiacciai sulle nostre stupente montagne e le Dolomiti. A causa del
suo peso, la sabbia trascinata dalle raffiche non si solleva molto da
terra - meno di due metri - e compie un incessante lavoro erosivo nelle
zone più basse delle rocce e delle montagne. Le parti più friabili si
consumano e svaniscono, lasciando quelle più resistenti in rilievo e
formando le cosiddette rocce " di setola". Il potere abrasivo del vento
e della sabbia accentua i solchi preesistenti, producendo profonde
scanalature, separate da creste affilate note con il nome di yardangs.
Le pietre sgretolate tendono a lucidarsi e a consumarsi, prima su di
una superficie e poi, perso l'equilibrio, su l'altra, In questo modo
presentano alternativamente all'azione del vento una superficie nuova.
LA VITA NEL DESERTO
Quelle località che abbiamo avuto il piacere di visitare, sono dominate
da forme di vita sahariana, adatte a condizioni climatiche estremamente
aride. Inoltre, il massiccio delle montagne risulta essere anche
un'isola di vegetazione tipica del Sahara Tunisina, che ha potuto
conservarsi dall'Olocene. Tra la vegetazione arborea, limitata agli
uadi e ad alcune zone del massiccio, risaltano due acacie ( Acacia
albina e Acacia ehrenbergiana) un giuggiolo ( Zizyphus spina- cristi)
la specie Balanitnes aegyptaca, dal frutto commestibile e con semi
oleosi, e l'arbusto Salva Dora persico, che da, oltre a frutti
commestibili, rametti che masticati sono un eccellente detergente per i
denti. La vegetazione erbacea si riduce a folti cespugli di graminacee
perenni e ad alcune piante come Aerva javanica, Percolarla tormentosa.
Schouwia thebaica e Chorzophora brocchiana, fondamentalmente per la
fauna erbivora in quanto commestibile.
IL VENTO DEL DESERTO
Il Vento. Quando il vento aumenta d'intensità, il paesaggio circostante
è avvolto da una polvere fine che danza vorticosamente, la sabbia rossa
si insinua dappertutto: occhi, capelli, abiti, auto, cibo. Ti attornia
completamente e mentre parli la senti scricchiolare persino sotto i
denti. Ma la cosa strana è che dopo i primi cinque minuti di disagio
diventa più naturale che questo mondo.
Durante la nostra escursione in quel paesaggio lunare, astratto e
metafisico, in quel paesaggio irreale fatto di sabbia, di luci e
colori, nonché di piccole dune che ora ci sono e più tardi sono del
tutto scomparse, abbiamo incontrato dei piccoli villaggio che si trova
ai margini di un palmeto, è un paese povero, le sue vie non sono
asfaltate, oppure battute, sono di sabbia, le sue poche case sono
modeste e anch'esse costruite con la sabbia ed erbe secche impastati
insieme, formando un adobe, che alcuni anni fa abbiamo incontrato nel
cuore dell'Arizona, lungo i sentieri che portano nella Monument Vally
negli Stati Uniti d'America, villaggi interi costruiti con la stessa
tecnica. Abbiamo visto che la vita qui è semplice e tranquilla. Non è
un paese turistico, ma è un piccolo agglomerato di piccole case dove
abitano le persone e le loro capre. Con il nostro ritmo frenetico
ritrovarsi in quest'oasi tranquilla nell'aria solo il rumore del vento
che scuote i palmeti e il belare delle caprette e il ruminare dei
cammelli, ti da una sensazione di pace interiore, tanto che ti dà
l'impressione di vivere in un'altra dimensione, in un altro mondo. Il
nostro autista posteggia il fuoristrada nel cortile della casa di un
suo amico, che tutte le volte riesce a portare dei turisti italiani si
appoggia da loro. Nel piccolo cortile vi sono alcuni bambini che
giocano con dei giocattoli costruiti da loro stessi, come del resto
succedeva nel borgo antico di Cosoleto, che mi ha dato i natali.
Vedendoli giocare con tanta serenità, con quei giocattoli rudimentali,
con la mente ritorno indietro nel tempo e mi rivedo con i miei amici
d'infanzia nel piccolo borgo aspro montano. Quel gruppetto di bambini
scalzi, ci corrono incontro, ci chiedono dei giocattoli europei, dei
quaderni e delle penne o delle matite. Non abbiamo portato con noi dei
giocattoli, perché non sapevamo di incontrare quei simpatici bambini,
che si divertono con niente. In quella sabbia rossa e infuocata dal
sole. Ci regaliamo alcune magliette, poche biro e un'agenda di viaggi
ancora vergine, li facciamo contenti e subito scappano via. Un anziano
signore con la barba bianca, parlando dei ragazzi, ci dice: - Ah, quei
ragazzi! - spiega mentre entriamo nella loro modesta casa, costruita di
sabbia e di paglia.-Saltano le lezioni per accompagnare i turisti che
vengono dalla città di Hammamet e invece bisogna che ci vadano, a
scuola, se vogliano migliorare una nazione moderna. Dalla città, due
giorni alla settimana sale un maestro, ma le lezioni sono poche, se
consideriamo che quasi sempre vengono marinate.
Prima di entrare, aspettiamo qualche minuto nella penombra dell'andito,
costruito con dei rami di dattero, per abituare gli occhi all'oscurità.
I miei occhi malati fanno fatica ad abituarsi, quindi entro per ultimo.
Appena entrati in quella stanza quasi buia, con le pareti coperti da
magnifici tappeti che la padrona di casa tesse con il suo rudimentale
telaio. Quella visione, mi rammenta un'altra località degli S: U,
d'America nella Mesa Verde, del Nuovo Messico, che anche lì, una
signora indiana stava tessendo, al centro della stanza su di un
rudimentale telaio un magnifico tappeto, con disegni ripetitivi delle
antiche tribù.
Abbiamo compreso che lassù, nell'altopiano del Sahara, l'ospitalità è
sacra. Nel piccolo paese costruito di sabbia e rami di palmizi, veniamo
ospitati nella casa del patriarca, un uomo anziano con uno sguardo
pieno di dignità avvolto in un pastrano blu che si siede in disparte
osservando tutto in silenzio, coccolando il più piccolo della grande
famiglia mentre i bambini si siedono rispettosamente vicino all'anziano
signore, formando un quadro di famiglia d'amore e devozione. La signora
che stava al telaio, ad un cenno del capo famiglia, si alza e va
nell'altra stanza a preparare, come spesso si usa da quelle parti, una
tazza di te. Alla parete della rustica camera- soggiorno - laboratorio,
vi erano appese delle vecchie fotografie dell'ultimo conflitto mondiale
del 1945. Vi erano alcune foto che ritraevano lo sbarco degli
Angloamericani ed altre con il ripiegamento degli Italiani e dei
Tedeschi. Egli ci ha spiegato che era molto amico e confidente degli
italiani. Dopo il te, con i dolcetti tunisini, abbiamo salutato il
padrone di casa ed il resto della famiglia che, con tanta cortesia, ci
avevano dato ospitalità nella loro modesta casa nel cuore del deserto
del Sahara tunisino. Appena usciti incominciava a soffiare il vento,
mentre la sabbia formava dei mulinelli insidiosi. Con la sciarpa di
seta bianca che Adriana aveva nello zainetto, ci siamo fasciato il viso
e protetto gli occhi. Non ci sono occhiali che tengono lontano quella
polvere finissima, che penetra dappertutto. Saliamo sul fuoristrada e
subito dopo partiamo verso la tappa successiva. Il tempo si è visto
subito che era cambiato, e dopo il vento è arrivata anche la pioggia:
una pioggia fredda, che cadeva con una certa densità. Il fuoristrada
faceva fatica ad avanzare, perché la pista era sparita parzialmente, si
procedeva ad occhio, perché l'autista conosceva perfettamente i luoghi.
Verso sera, siamo arrivati in un altro piccolo villaggio di nomadi,
costituito da tende beduine fatte di pelle di capra. In questo
accampamento siamo stati accolti con amicizia ed il pastore più
anziano, per la cena, ha scozzato un capretto e lo ha preparato per
farlo arrostire. Lassù non c'era legna, ma il fuoco era alimentato con
lo sterco secco dei cammelli. E' stata un'ottima cena attorno al fuoco
Nei tre giorni della nostra escursione nel Sahara, abbiamo visto
soltanto un meraviglioso tramonto, mentre gli altri due giorni è sempre
piovuto.
Questo è il racconto di un viaggio nel deserto del Sahara in
trasformazione. Di là della "facciata" moderna trapelano ancora -
scendendo lungo i sentieri, le strade e le piste del deserto. Le
strutture antiche dei Romani. Nelle tende dei Beduini nei villaggi e
nelle città imperiali c'é ancora un mondo fertile di nuove sensazioni.
Per descrivere quel paesaggio così bello, ci vorrebbe la prosa semplice
e chiara di un bravo narratore e non un modesto principiante come noi,
per fare riflettere un'osservazione diretta della realtà e di quella
meravigliosa e selvaggia natura e di comporla in un quadro efficace,
come un bel quadro dipinto da un bravo pittore estemporaneo del nostro
tempo.
Escursione a Tunisi e a Cartagine
Verso le ore 7,30 del 24 sett. Il torpedone ha lasciato il piazzale
dell'Hotel Hammamet - Serail e si è diretto verso il centro della città di
Hammament, dove nella Piazza antistante al Palazzo del " Casinò", sono
saliti altri turisti, completando così i posti a sedere del torpedone.
Fuori della città balneare di Hammamet, si è immerso sull'Autostrada che
ci ha portati nella città di Tunisi.
Prima che il pullman lasciasse la città. Di Hammamet, incontriamo un
agglomerato di case basse e bianche, dove il sole riflette la sua calda
luce. Il paesaggio si fa meno arido e la dorsale appenninica più vicina
Guardando attraverso il finestrino, ci siamo accorti che più si procedeva
verso Nord e più la campagna era diversa. Si notava che aveva subito una
vera metamorfosi. Non era più quella campagna arida e desertica che
avevamo attraversato per giungere ad Hammamet da Monastir. Le basse
colline erano illuminate dai primi raggi del sole e la verde campagna, con
i caratteristici vigneti e uliveti. Vi erano vasti appezzamenti di terreni
coltivati a frutteto. Le montagne incominciavano ad assumere una certa
altezza, senza superare i mille metri di quota. Erano montagne brulle e
senza alberi, mentre la campagna era coltivata ad ortaggi. Verso le ore 9
circa, abbiamo lasciato l'Autostrada e siamo entrati nella città di
Tunisi.
La prima cosa che abbiamo visitato è stata appunto la Medina: Un lungo
budello o carruggio, come si dice a Genova, che inglobava una miriade di
piccoli negozietti, dove si trova di tutto e di più, il tutto a poco
costo. Questa è il Suk di Tunisi. E' un luogo caratterizzato da colori e
di negozi che ostinatamente ti invitano a comperare la loro merce
regolarmente falsificata. Lasciamo la Medina e facciamo ritorno al luogo
di partenza. Ci troviamo nel luogo più alto della città, dove si trova il
luogo più alto di Tunisi. Su queste bellissima collina sorge il centro
politico e religioso della città mediterranea. Sulla bellissima piazza
dietro il caratteristico monumento sorge il Municipio, scattiamo una serie
di fotografie ricordo della stupenda Piazza, allo sfondo la grande Moschea
e gli edifici del Governo.
Il Museo archeologico del Bardo
Per visitare il più importante museo di Tunisi, occorre invece uscire dal
centro storico della- città, ma ne vale davvero la pena. Attraversiamo la
città e il pullman si è andato a fermare all'interno di un meraviglioso
giardino antistante al Museo archeologico del Bardo. Dove nelle sue vaste
stanza, sono raccolte moltissime opere che illustrano il passaggio dei
Romani, dei Greci e dei Bizantini. In moltissime pareti delle stanze
dell'edificio, trovano collocazione importanti e famosi mosaici romani,
che in passato adornavano le bellissime ville dei Romani. Sono sicuro che
neppure nei Musei dia Roma, vi sono tanti mosaici e statue Romane. In una
delle tante sale, abbiamo ammirato con interesse è anche fotografato, il
famoso ritratto del grande e famoso poeta romano Ovidio, che affiancato
dalle sue due bellissime muse, stava scrivendo forse la tragedia di Medea.
Abbiamo ammirato a lungo, le numerose opere lasciateci dagli artisti
Bizantini, che però non raggiungono la bellezza e la perfezione dei
mosaici degli artisti Romani. Queste stupende opere sembrano dei raffinati
tappeti orientali, che adornavano le sale da pranzo e i salotti delle
bellissime ville romane.
Questa è stata la prima escursione organizzata dal personale dell'Hotel
nella città di Tunisi, che è la capitale della Tunisia che conta 900.000
abitanti, che arrivano a 1 milione e seicentomila se si considera anche
l'area metropolitana. In Tunisia siamo stati alcuni anni fa e precisamente
a Madia Beach, un'altra località molto rinomata per la sua lunghissima
spiaggia di sabbia bianca ed un mare bellissimo, senza parlare del suo
limpido cielo e dell'aria fresca che spira da Nord, è senza dubbio, come
la cittadina balneare di Hammamet, che ci ospita quest'anno, sono entrambi
meravigliose e celebrate località balneari, dove ognuno di noi può
trascorrere la propria vacanza, senza di essere minimamente disturbato.
Il Museo è situato nel sobborgo di cui prende il nome, il Museo del Bardo
è ospitato in uno splendido palazzo del XII secolo e raccoglie i più bei
reperti rinvenuti nei siti archeologici dell'intera Tunisia. L'esposizione
è divisa in sezioni storiche (epoche cartaginesi, romana, cristiana e
arabo-islamica), ma il pezzo forte del museo rimane é la collezione di
stupendi mosaici romani che decoravano le ville romane costruite nella
Provincia d'Africa fra il II e il IV secolo d.C. per completare la visita
non manca che il Parco Archeologico di Cartagine, non aspettatevi comunque
di vedere grandi cose perché la maestosa città fenicia venne rasa al suolo
subito dopo la conquista romana e di quella edificata dai vincitori non
rimangono che pochi resti, tra cui quelli meglio conservati riguardano le
Terme fatte edificare da Antonino Pio in prospicenza del mare. Più
interessante si rivela la visita del caratteristico paesino di Sidi Bou
Said a circa 17 Km. da Tunisi. E' un paese che ricorda molto da vicino le
atmosfere dei paesi delle isole greche, come quelle di Rodi e di Creta,
che negli anni scorsi abbiamo avuto modo di visitare, incominciando
dall'architettura delle case ai toni pastello bianchi e azzurri, ai fiori
e alle piante di buchenvil, che si fanno largo tra una casa e l'altra
dentro minuscoli giardini ed è un vero piacere passeggiare tra le sue
stradine e fermarsi a chiacchierare con gli abitanti del luogo e a bere un
tè in dei bar che sulla piazzetta principale si affacciano a picco sul
mare sopra la minuscola spiaggia del paese. Sostando con Adriana mia
moglie ed altri amici su quegli affacci mozzafiato, da dove si ammira un
paesaggio bellissimo che si perde all'orizzonte, spesso ci ha fatto
pensare alla meravigliosa costa Amalfitana, con i suoi piccoli giardini,
dove germogliano i profumati limoni, la zagara e le piante officinali.
Al termine della visita nel Museo del Prado, il nostro torpedone, ha
attraversato la grande città, dirigendosi verso il porto. Anche in questa
località abbiamo visto che molti cantieri sono attivi, per completare
un'imponente opera stradale di collegamento. Le spiagge, verso il Lido,
sono molto belle e ben tenute e il paesaggio si perde verso l'orizzonte,
fra cielo e mare.
Sicuramente non sono le spiagge abbandonate come quelle della periferia di
Hammamet Serial, dove eravamo alloggiati per il nostro soggiorno tunisino.
CENNI STORICI
La città di Tunisié' situata nel Golfo di Tunisi ed è separata dal mare
dal "Lac de Tunis".Tunisi si compone di tre parti con caratteristiche
proprie: la vecchia città denominata Medina, al suo interno c'è uno dei
siti più interessanti: la Grande Moschea di Zitouna ricostruita nel nono
secolo sulla struttura originale del settimo. Gli architetti dell'epoca,
come in passato è successo in tutte le grandi città del Mediterraneo e
specialmente a Roma, per costruire la Basilica di S. Pietro, riciclarono i
marmi che ricoprivano le mura del Colosseo. La stessa cosa è successo per
la Mosche di Zitouna, riciclarono, per questa costruzione, 200 colonne
della distrutta Cartagine per farne l'atrio della preghiera dei fedeli.
Visitando la casbah e il suk, si incontrano luoghi intrisi degli odori e
dell'atmosfera nordafricana. La città "Europea", con il suo volto di città
moderna (solcata da lunghi viali su cui si affacciano grandi alberghi, i
negozi e caffè), e di città araba, un labirinto di vicoli chiuso in un
perimetro delineato dalle antiche mura (oggi scomparse) ed infine le aree
povere e periferiche, chiamate Gourbivilles situate tutt'attorno alla
città, che sconsigliamo per una visita turistica.
LE ROVINE DÌ CARTAGINE.
Come abbiamo detto sopra,oggi siamo giunti fin qui, sulle coste del
Mediterraneo, in questa terra antica che si chiama appunto Tunisia, per
visitare alcuni angoli della storia antica, che dalle elementari abbiamo
studiato sui banchi di scuola, come per esempio, l'antica Cartagine. Sidi
Bou Said, città fondata dai Fenici dai resti molto impressionanti. Abbiamo
ammirato i resti del santuario di Tophet, i porti punici che furono
all'origine della potenza cartaginese e le importanti Terme di Antonio che
sono considerate le più vaste e le più sontuose dell'antichità. Ammirando
questi scavi, ti dava la sensazione di ammirare i favolosi scavi di
Pompei, con le se statue, le sue colonne, i suoi tesori e le mura
ciclopiche che la circondano Abbiamo inoltre, nel tempo libero, girovagato
attraverso le stradine del villaggio di Andalou di Sid Bous, un misto tra
semplicità e raffinatezza che dalla sommità della sua splendida collina
domina il golfo di Tunisi. Questi siti oggi fanno parte del patrimonio
mondiale dell'UNESCO, quindi appartengono a tutta l'umanità.
Ma prima di addentrarci nel cuore del Paese, abbiamo voluto visitare i
siti dove la loro storia ci raccontano quel lontano passato.
Al posto dell'antica Cartagine, che fu una delle più potenti città del suo
tempo, si estende oggi una regione molto affascinante e ricca. Situata
lungo un mare dalle tinte turchesi, che talvolta prende le sfumature di
una laguna, una successione di graziosi villaggi - L'Arsa, Sidi Bou Said,
Cartagine - costituiscono la periferia elegante della Capitale (Tunisi),
volta ai divertimenti e alla cultura.
Vicina a Tunisi, è ricca di un prestigioso passato, rivolta verso il mare
e i suoi piaceri, la regione delle Coste di Cartagine è la capitale per
eccellenza d'una certa arte di vivere Tunisina. Le case circondate da
cipressi e buganvillee, s'allineano in una bianchezza smagliante. In
estate i venditori di gelsomini spandono le loro essenze, in ogni angolo
delle vie
I Caffè mori sono accoglienti e si aprono su terrazze soleggiate, come il
famoso Cafè de Natici, a Sidi Bou Said, o il Cafè Saf-Saf a La Marsa,
celebre per il suo pozzo e il cammello che pesca l'acqua con l'aiuto di
una "noria" (una ruota idraulica). Numerosi ristoranti offrono una cucina
solare e ricca di sapori del mare, affondando le proprie radici in un
patrimonio culinario antico. Gallerie, mostre, laboratori d'artigianato
d'arte, centri culturali hanno eletto domicilio questa regione che vive al
ritmo di numerosi spettacoli e festiva): festival estivo di Cartagine,
l'ottobre musicale, il festival del cinema, concerti di musica
arabo-andalusa
Il nome di Cartagine è ricco di memoria. Fondata dalla principessa fenicia
- Elyssa, soprannominata Didone - l'antica città fu la potente nemica dei
Greci, poi di Roma, di cui le "Guerre puniche" ne hanno segnato la storia.
Il suo sito, in parte ricoperto dalla città moderna, resta impregnato del
ricordo della sua gloria passata. Cartagine,come ci racconta la storia,
era anche una civiltà raffinata, commerciale, aperta alle altre culture
del bacino mediterraneo. II sito ne ha conservato le vestigia: il "Tophet",
santuario coperto di steli; i quartieri d'abitazioni; le case ben
disegnate e confortevoli e i Porti punici, simbolo della potenza marittima
della città, che fu devastata durante la conquista romana da un gigantesco
incendio alcune tracce sono ancora visibili sul posto.
Il Museo Nazionale di Cartagine espone molti steli incisi, tombe, piccoli
locali allineati lungo l'alberato viale che porta al Castello per bambini,
statue, amuleti ed altri ricordi di questa Cartagine prima di Roma.
Conquistata e poi ricostruita, Cartagine conobbe una seconda vita. Città
romana esemplare, i suoi monumenti si avvicinano, per le loro dimensioni e
la loro magnificenza, a quelli della metropoli Romana: le Terme
d'Antonino, che sorgono nel centro del Parco, che costituiscono il
sottosuolo monumentale ed alcune colonne spezzate e sistemate all'interno
del sito archeologico ed altre di un'altezza vertiginosa che bucano il
cielo: il teatro, che si anima ogni estate durante il festival... Le
vestigia di ville, le statue ed i mosaici presentati al Museo evocano una
vita di fasto e di piaceri, mentre i resti di Damous El Karita, enorme
cattedrale, richiamano l'adesione precoce dell'Africa romana al
cristianesimo
La sontuosa bellezza del paesaggio e la tranquilla armonia delle
costruzioni bianche e blu si coniugano per fare di Sidi Bou Said uno dei
più seducenti villaggi del Mediterraneo. Scivolando dalla cima della
collina, arroccate ad un picco di terra rosseggiante, ordinate saggiamente
lungo stradine in pavé, le case nascondono degli interni raffinati dietro
moucharabieh blu, griglie a volute e lussureggianti cespugli d'ibisco e di
buganvillee. La moschea del santo Sidi Bou Said innalza il suo fine
minareto bianco dietro il Cafè des Nattes, il più famoso Caffè moro di
Tunisia. Dall'alto del paese, un faro veglia sul vecchio cimitero. Il
paesaggio marino che si stende davanti alla collina è intriso di poesia :
il sottile chiaroscuro del mare, il profilo brumoso delle alture del Cap
Bon, che in lontananza chiudono il golfo... mentre in basso si fremono le
vele bianche nel piccolo porticciolo. Non bisogna saltare la visita del
palazzo orientalista del Barone d'Erlanger, una vera sinfonia di decoro
tradizionale arabo- Andaluso, e il suo museo di musica maghrebina. La
regione delle Coste di Cartagine conta alcuni dei più bei palazzi della
Tunisia. Colonne antiche, patii andalusi, piante esotiche, opere d'arte...
La raffinata cornice, sia in stile puramente tunisino o più contemporaneo,
si combina alla qualità del servizio e delle prestazioni culinarie per
soddisfare le esigenze di un soggiorno di prestigio. Le sue belle spiagge
circondate da dune e colline sono l'ideale per vacanze rilassanti e con la
famiglia. La scelta dell'alloggio va dal semplice hotel-resort ad alberghi
più lussuosi. In estate, ci si dedica ai bagni e agli sport nautici. In
ogni stagione, altre attività sono possibili come l'equitazione o il golf.
Si può esercitare il proprio swing al Golf di Cartagine (18 buche), un
percorso stimolante e molto affascinante all'ombra di mandarini ed
eucalipti centenari. Non bisogna dimenticare i numerosi luoghi di
divertimento come night-club, bowling... Alcuni alberghi tra i più
sontuosi offrono anche uno scrigno seducente per le cure balneoterapiche o
di talassoterapia - queste utilizzano esclusivamente l'acqua di mare.
Docce, bagni, massaggi e trattamenti:serenità e benessere sono un
appuntamento... L'accoglienza sorridente, trattamenti personalizzati,
l'abilità e la professionalità del personale hanno reso famosi la
reputazione di alcuni centri di cura. Noi, ci siamo accontentati dei
semplici bagni di sole, perche le acque del mare erano alquanto fredde. Le
nostre giornate le abbiamo trascorso ai bordi della grande e bella
piscina, circondata dal favoloso parco.
Racconto Escursionistico in Tunisia
E tempo di vacanze
Sì, è veramente così, è proprio tempo di vacanze. Qualcuno si potrebbe
domandare e sicuramente se lo domanderà senza altro, come mai questi
continui viaggi? Avrà vinto un terno all'otto? Tranquilli, non c'è nulla
di tutto questo, magari avremmo vinto un terno all'otto. Ogn'uno di noi è
padrone di fare quello che più ci aggrada, sempre nei limiti consentiti
della possibilità, si capisce. Noi diremo che chi ha tempo e di tempo noi
pensionati ne abbiamo molto, non aspetta tempo, perché, come recita un
verso del Decamerone:Quindi facciamo festa perché di domani non c'è
certezza". Il noto psichiatra e sociologo Paolo Crepet così scrive in un
suo articolo dedicato alle vacanze "Credo che esistano vacanze
terapeutiche. Esse rappresentano l'esatto contrario di ciò che si fa
abitualmente a casa, in città. Una prima regola è quella di fare il meno
possibile: imparare a oziare è lo sport più bello e salutare che esista,
in quanto elimina tutte le tossine accumulate nei lunghi mesi lavorativi.
Oziare ovviamente non vuol dire star fermi sotto l'ombrellone o
impigrirsi, ma cercare e trovare qualcosa che ci avvicini ai ritmi di vita
ormai perduti, quando i nostri padri o magari i nostri nonni, erano soliti
fare, nelle giornate vuote e per far trascorrere bene il tempo, si
perdevano fra le meravigliose colline con il caratteristico e storico
famoso calesse, trainato da un baio cavallo. Il bello era il tempo per
fare quelle passeggiate, che non era loro, ma seguiva il ritmo
dell'animale. Si chiacchierava nel silenzio rotto dagli zoccoli, si
ammirava il paesaggio e si sentiva il cinguettio degli uccelli e il
fervore della natura. Oggi non sarebbe certamente possibile per via del
traffico stradale, con tante automobili, camion e motociclette, che ti
portano via persino il respiro.
Un esempio. Noi quest'anno, come abbiamo detto sopra, siamo stati in un
bellissimo villaggio, sorto in una ridente località marina di Nocera
Terinese, in provincia di Catanzaro. Anche qui abbiamo oziato, ma il
nostro è stato un ozio costruttivo, abbiamo passeggiato sulla battigia,
letto i giornali e oziato sotto l'ombrellone ai bordi della bellissima
piscina dove abbiamo tracciato sulla vecchia agenda di viaggio, appunti,
con i quali abbiamo composto diverse ed interessanti poesie che quei
luoghi bellissimi con la loro antica storia della Magna Grecia, ci hanno
ispirato e arricchito dentro.
Si , è proprio così, come abbiamo detto sopra, siamo appena ritornati dal
soggiorno marino nella My Old Calabria, nel meraviglioso " Village" Temesa,
che sorge nel comune di Nocera Terinese, e già ci stiamo preparando per
partire nuovamente per le spiagge delle coste ventilate di Hammamet dal 22
Settembre al 6 ottobre 2008. Nel Sud della Tunisia, siamo già stati due
anni fa, nel centro turistico di Madia Beach, una bellissima località ed
una lunghissima spiaggia di sabbia chiara, finissima e dorata, tanto che
potevi camminare senza scarpette e senza accusare la minima sofferenza ed
eventuale infezione ai piedi, come spesso succede in altre spiagge
turistiche.
Il nostro volo ha avuto inizio dall'aeroporto di Bergamo al Serio e
diretto a quello di Monastir,(Tunisia).L'aereo, un Erbais di recente
costruzione della Compagnia francese Nuvoler, stava rullando sulla pista.
Mancava poco alla partenza. Il sole incominciava a sorgere da dietro le
bellissime montagne bergamasche, mentre la luna e le poche stelle in cielo
stavano per tramontare. Dall'oblò dell'aereo filtravano i primi raggi del
sole e ciò ci facevano pensare ad una bellissima giornata. Il decollo è
stato dolce e perfetto, sotto di noi scorreva un paesaggio bellissimo,
attorniato dalle superbe cime delle Alpi Orobiche, più volte scalate con i
nostri amici del CAI di Mantova. L'aereo si era posizionato ad un'altezza
di 12 mila metri e viaggiava a 800 km/h Durante il volo, una leggera
perturbazione aveva fatto oscillare l'aeromobile , ma senza alcuna
conseguenza per i viaggiatori. Allo sbarco, dopo un breve controllo
doganale, un pullman dell'Hotel, in poco meno di un'ora, abbiamo raggiunto
la cittadina balneare di Hammamet e quindi l'Hotel "Hammamet Serail", che
sorge nella periferia della cittadina e a 300 metri dalla spiaggia,
circondato da un ombroso e bellissimo parco.
Fuori dalla città di Monastir,il torpedone ha imboccato una moderna
autostrada che attraversa una grande pianura di un paesaggio piatto, arido
e brullo e a tratti macchiato dal verde degli ulivi, senza mai incontrare
un villaggio o case sparse. La Tunisia è il paese più a nord del
continente africano. La sua posizione geografica le conferisce
un'incredibile varietà di paesaggi: si va dalle alture di Kirimia,
innevate nel per invernale, alle distese infuocate del deserto del Sahara,
passando per le dolci discese di frutteti e vigneti di Cap Bon e per gli
uliveti del Sagel. Gli oltre 1300 chilometri di coste lasciano immaginare
la varietà di spiagge che la Tunisia può offrire. Tale varietà topografica
influisce inevitabilmente anche sul clima che è di tipo mediterraneo al
nord, caldo secco a sud e temperato sulla costa, dove l'autunno è dolce di
giorno e freddo di notte: Un clima ottimo per fare i bagni di sole e
raramente quelli di mare, perché l'acqua è fredda.
Dopo un'ora circa di viaggio, siamo giunti a destinazione nella cittadina
balneare di Hammamet.in questo grosso, informe e chiassoso agglomerato di
hotels, villette e villoni costruiti troppo in fretta e in modo
disordinato in collina o in riva al mare. Il nostro pullman, dopo di aver
attraversato la grande città si è andato a fermare davanti a quello che è
stato il nostro Hotel " Hammamet Serail", che sorge alla periferia di
questa decantata e celebrata località balneare, dove eravamo attesi per il
pranzo. Subito dopo l'assegnazione delle camere ed il pranzo di
mezzogiorno, abbiamo incontrato nel salone delle riunioni l'incaricato del
Tour Peretur " Il Turchese", che ci ha illustrato il territorio, le
condizioni sanitarie di quel paese e le varie escursioni che il turista
poteva scegliere per conoscere i siti archeologici della Tunisia. L'Hotel
Hammamet Serial, è un edificio costruito alcuni anni fa ed ancora è in
perfette condizioni. Si entra nel parcheggio antistante l'Hotel a quattro
stelle e come in tutti gli altri alberghi del luogo, si accede nel grande
salone in stile orientale con una grande cupola centrale, dove si trova la
Reception, assomiglia ad una di quelle dame della corte del re Sole, tutta
cipria parrucca e profumi per nascondere cattivo odore, ma quando esci nel
giardino dove si trova la grande piscina incorniciata da un giardino
rigoglioso acceso dai colori di incredibili Bougainville, verdi ulivi e
piante fiorite d'ogni genere. Appena entriamo in questo salone quasi
rotondo: specchi e marmi a gogò. Tutto intorno è lustro e pulitissimo.
L'arredamento è lussuoso, ma non bello. Tutt'attorno vi sono una serie di
salottini con divani e poltroncine, stile barocco e rivestite in un
tessuto che vorrebbe sembrare broccato con tappeti orientali, Non mancano
le solite statuette e quadri dipinti da pittori tunisini. Immerso in
questi pensieri in tutto quel luccichio di specchi, con la coda
dell'occhio mi par di veder qualcosa che vola, un miniufo che non dovrebbe
esserci. Ma sì, è proprio lei: una mosca! Mi vien da sorridere al pensiero
che, in mezzo a tutte quelle cose finte, rimesso insieme senza gusto e
senza misura, l'unica cosa vera, genuina e sincera è proprio lei. Provo
una certa simpatia per quell'insetto che si è introdotto senza chiedere il
permesso a nessuno, che rivela impietosamente e senza riguardi la presenza
della spazzatura che giace, rimpiattata da qualche parte, nella forse,
vana attesa che qualcuno la porti via. Fuori dell'Hotel Serail, vi è un
grande campo abbandonato con rifiuti qua e là e resti di quello che fu il
cantiere edile dai tempi in cui fu costruito l'albergo Hammamet Serial,
mentre nei rovi di cinta brucano le capre. Insomma, il nostro è un Hotel
di periferia, sebbene abbia quattro stelle. Il ristorante, come le camere
e gli altri locali di uso comune erano sufficientemente puliti, solo la
biancheria emanava un cattivo odore, dovuto forse ai detersivi che
venivano adoperati. Il Ristorante:a servi service, sembrava quello di una
mensa aziendale. Ogni giorno trovavi le stesse vivande, ma non mancava mai
lo spezzatino con le patate o magari in umido, mentre il vassoio con le
triglie al forno, un ottimo pesce, erano in mangiabili, perché non era
sufficientemente pulito e squamato e quindi, in mangiabili. La pasta
asciutta era insipida ed il sugo lasciava molto a desiderare, come il
resto delle vivande. Per quindici giorni, perché tanti sono stati i giorno
della nostra permanenza all'Hotel Serial, non abbiamo mai trovato nessuna
variazione, vi erano sempre le stesse pietanza e al mattino sul tavolo vi
erano i soliti dolcetti semi dolci, che a furia di stare lì sul tavolo
erano diventati in mangiabili. Erano secchi ed insipidi.
Questa è Hammamet: dietro l'angolo delle strade degli hotel a cinque
stelle, ritrovi le stesse cose che vedi nei vicoli di Beni Khalled o di
Soliman: spazzatura per terra e liquami ai bordi delle strade. Va bene che
la stagione balneare è finita, ma la spazzatura è rimasta agli angoli
delle strade, non è stata portata via, ti sembra, specie nella periferia
una città morta ed abbandonata Adesso vogliamo spendere due parole in
merito alla spiaggia dell'Hotel. Serail. La spiaggia dista cinquecento
metri circa dall'Hotel. Per il trasporto dei bagnanti, doveva esserci una
navetta e infatti vi era la navetta. Essa era costituita da un vecchio
rimorchio trainato da un claudicante ronzino che tanto rassomigliava a
quello di Don Chisciotte della Mancia, descritto sapientemente da
Servantes. La strada per arrivare al mare era in parte asfaltata ed in
parte sterrata. La spiaggia era abbandonata da molto tempo e trovavi di
tutto nella sabbia, dalle bottiglie di plastica, alle cicche di sigarette
ed altri oggetti inquinanti. In principio, prima di accadere nella
spiaggia, dietro una vecchia baracca costruita di paglia e stinta dal
tempo, vi erano dei sacchi neri pieni di spazzatura e sterco di cavallo e
delle capre che brucavano i rari ciuffi d'erba nel prato incolto. Appena
resosi conto della situazione e della condizione della spiaggia , mia
moglie ed io non siamo più ritornati. Il resto della vacanza l'abbiamo
trascorsa nel parco meraviglioso della piscina e nelle escursioni dei siti
archeologici della Tunisia.
Le lunghe serate autunnali li trascorrevamo nel grande salone dove vi era
ubicato il servizio Bar e dove i ragazzi dell'animazione dell'albergo ci
intrattenevano con il loro simpatico programma serale. Lo Staff degli
animatori era composto da Paolo, un simpatico genovese, Federico,
marchigiano puro sangue, Alessia, simpaticissima e bella ragazza padovana,
Vi erano altri due animatori tunisini, anch'essi molto bravi, il
bravissimo Chau, marocchino. Insomma era una simpatica e allegra brigata,
che ci ha tenuto compagnia, ai quali diremo grazie ragazzi della vostra
simpatia e bravura.
LA SPIAGGIA
La spiaggia dell'Hotel Serail,
Che tristezza e che desolazione
Ammirare quest'angolo di mare
Di questo golfo naturale
Vecchie baracche
Di paglia ingiallite dal tempo
Con vetusti ombrelloni
Che sfidano le intemperie e il vento
Spiaggia abbandonata
Dove nessun rastrello l'ha mai sistemata
C'era di tutto fra quella sabbia
Fine e impalpabile
Bottiglie di plastica e cicche di sigarette
Mentre al principio dell'entrata
Sacchi neri di immondizie ammucchiati.
Un vecchio ronzino
Trainava un rudimentale vagoncino
Per portare in spiaggia i turisti dell'Hotel.
Quella era la navetta decantata
Dell'agenzia incaricata
Sul prato e la strada sterrata
Era un'area abbandonata
Dove pascolavano le capre
E il vecchio ronzino claudicante
Era veramente una desolazione
Ammirare quel mare meraviglioso
E camminare sullo sterco del cammello
Delle capre e del baio ronzino
Che rassomigliava molto a quello
Descritti di Cervantes
Che cavalcava il cavaliere errante
Che si chiamava Don Chisciotte.
Della Mancia
Ci siamo limitati solo o fotografare
E documentare
Quel luogo ameno e naturale
Di quello che chiamano il paradiso terreste.
Di una località di Hammamet
Dove i grandi alberghi nascono come funghi.
Fra le piantagioni degli ulivi
Il cielo azzurro ed il mare turchese
Ma alla fine di ogni mese
I turisti ritornato delusi.
Che tristezza!
Non c'è pace fra gli ulivi
Come recitava il titolo di un vecchio Film.
Neo realista del cinema italiano.
Nocera Terinese (CZ)
La Calabria si stacca dall'imponente barriera montana del Pollino, che
la separa nettamente dalla Lucania, e si prolunga fra lo Ionio e il
Tirreno sino a Capo Spartivento, occupando una superficie di 15075 Kmq.
La sua larghezza massima, fra Capo Bonifati e la Punta dell'Alice, è di
111 Km; la minima tra i golfi di S. Eufemia e di Squillace, di 35. Dal
gruppo del pollino, che ha il suo punto culminante sul Dolcedorme si
parte la lunga catena dell'Appannino addossata al Tirreno, e giunge,
attraverso il selvoso altipiano della Sila e le Serre di S. Bruno e di
Vibo Valentia, sino al gruppo di Aspromonte, dove il Monte Alto si erge
a m. 1958 di fronte alla Sicilia.
Recenti studi di paletnologia hanno dimostrato che l'uomo preistorico
fu diffuso in Calabria sin dall'età della Pietra; e forse le tribù
primitive furono maggiormente condensate nella provincia di Catanzaro e
propriamente nell'estimo terziario fra i golfi di Squillace e di S.
Eufemia, ed anche nella parte Sud- Occidentale del circondario di
Reggio. Qui, infatti, in zone relativamente ristrette, si sono trovate
tracce di officine litiche, Quali fossero i primi abitanti non si può
affermare con sicurezza: Liguri, Siculi, Enotri, Osci, Margeti, Brezi.
Di certo si sa che, a un dato momento, solo i Brezi, chiamati da Festo
e da Aulo Gellio bilingue, perché parlavano il greco e l'osco, dettero
il nome alla regione che fu perciò detta Brezia; nome del resto, che
per alcuni secoli prima del dominio romano, non denotò neppure tutta la
regione, giacché le colonie greche diedero alla Brezia litoranea il
nome di Magna Grecia.
La Calabria si può vantare di essere appartenuta nell'antichità alla
Grecia magna - alla patria di Caronda, Saleuco, Prassitele e Agatocle,
dove anche Pitagora diffuse le sue dottrine; però qui non hanno
combattuto, come in Corsica, per secoli dei popoli nemici per averne il
possesso, non hanno bagnato il suo suolo con il loro sangue, per
fecondarla per la nascita di un Napoleone. Qui non si innalzano
arditamente verso il cielo aguzzi monti di granito, non vi sono boschi
impenetrabili che ombreggiano orridi abissi, nessun timido muflone va
girovagando per la scoscesa montagna. Già Virgilio cantava l'alto
Taburnus e l'infinita macchia della Sila". Plinio, Discoride e
Strambone non dimenticarono di menzionare le sue "boscaglie ricche di
resina", anche se Ateniesi e Siciliani le avevano diradate già
nell'antichità e i Napoletani hanno fatto il resto abusando di queste
coste come magazzino per il legno delle loro navi.
La conformazione delle montagne, il verde vivace della campagna, l'aria
fragrante che soffia per queste contrade, tutto mi sorride e mi
richiama alla memoria la terra natia, con le sue colline verdi, i suoi
uliveti e i boschi cedui di castagneti, che circondano il piccolo borgo
aspro montano di Cosoleto, quasi si trattasse di attirare un classico
gaudente di una gioventù spensierata.
Dopo questa breve presentazione della bella Calabria, veniamo a parlare
di questa felice località marina che ci ha ospitati per un sereno
soggiorno estivo.
Arrivando a Nocera Terinese paese, che è barbicata sullo scosceso
pendio, si è subito l'impatto con l'incantevole paesaggio, sullo sfondo
i promontori del Monte Mancuso, in primo piano le case incastrate una
con l'altra, addossate alla collina, dove vegeta l'antichissimo ulivo,
su tutto emergono i colori e la sontuosità della cupola della chiesa di
San Giovanni Battista. Camminando in questi vicoletti del centro
storico, ci da l'impressione di visitare i borghi marinari della
colorata e antica Liguria, che dopo la Calabria, è stata la nostra
seconda patria, con i suoi carruggi e le sue torri che come sentinelle
dominano dall'alto della collina il mare. In cima della collina
testimone del trascorrere del tempo e dell'incuria degli uomini i
ruderi del convento dei cappuccini, fanno bella mostra di se.
"Nocera Terinese, terra edificata su le vette di deliziosa collina in
provincia di Catanzaro, che sorge lungo il litorale calabrese detto
così dalle parole greche: NEO & KAIPOS, che tradotte nella nostra
lingua significa abitazione, paese assai buono della Calabria
Citeriore, discosta due miglia circa dal mare ed un miglio
dall'antichissima e celebrata Terina dalle cui rovine risorse, come
"Aquila fenice che è risorta dalle proprie ceneri", mentre il resto del
paese sorge nell'entroterra, tra la stupenda marina e la verde collina
della dorsale appenninica della Calabria. Con queste parole padre G.
Fiore iniziava la descrizione di Nocera Terinese nella sua opera " La
Calabria illustrata" da un manoscritto del XVII secolo.
Da pochi anni a questa parte, la cittadina balneare tende ad espandersi
sul litorale, infatti, si notano molte ville, villette e alberghi di
nuova costruzione e ciò ci fa comprendere che il suo sviluppo, in un
prossimo futuro, si svolgerà proprio qui lungo il litorale di fronte al
suo meraviglioso e azzurro mare. Da non molti anni sono iniziati i
lavori toponomastici e infrastrutturali della nuova città balneare.
Come abbiamo detto Nocera ha origini antichissime. Paolo Orsi in un
breve sopralluogo nell'inverno 1913-14 rinvenne tracce preistoriche in
una località chiamata "grotti celle" in prossimità del " Piano di
Terina", tali tracce lasciano pensare alla presenza dell'uomo ancor
prima della colonizzazione da parte dei greci.
Il " Piano di Terina" ( detto dai noceresi anche " Piano di Terina") è
una località posta a pochi chilometri da Nocera contraddistinta da un
ampio pianoro che si affaccia sul mare, bagnata su due fianchi dai
fiumi " Grande" e" Savuto". E' proprio in questa località che sorgeva
Terina, colonia dell'antica Crotone. Forse del suo sito imprendibile, e
grazie al suo porto ( chiamato " Nave di Arata") che favoriva gli
scambi commerciali, Terina vide il suo massimo splendore intorno al
V-IV secolo a.c., almeno a giudicare dalla fattura ed alla quantità di
monete emesse. Terina è ricordata inoltre, in molti testi antichi
(Plinio, Solino, Strambone), secondo Licofrone, Terina fu fondata dai
greci reduci dalla distruzione di Troia, sempre Licofrone nella "
Cassandra" ricorda che a Terina era celebrato il mito della sirena
Licea, le cui spoglie vennero sepolte proprio sulla spiaggia di Terina.
Licea era una delle Sirene, figlia di Acheloo, le mitiche tentatrici di
Ulisse e dei suoi compagni, secondo la leggenda, sconfortante dal fatto
di non essere riuscite a sedurre Ulisse, esse si precipitarono in mare,
dove annegarono nei pressi di Punta Campanella nella Penisola
Sorrentina dove abitavano. Il corpo di Partenope fu portato dalle onde
sulla spiaggia ove, poi, sorse Napoli, quello di Leocosia, nei pressi
di Punta Leucosia, quello di Molpe nei pressi di Capo Palinuro, quello
di Licea infine sulla spiaggia di Terina.
Terina fu poi dominio dei Bruzi e dei Romani, venne distrutta da
Annibale, i quali la conquistò dopo un lungo assedio: Presso i più
vecchi a Nocera esiste una storia secondo la quale Terina fu distrutta
dai Saraceni (saracini), (infatti, sul vertice della collina, sulla
destra del paese di Nocera, fra gli ulivi e i pini marittimi, sorge una
torre diroccata, detta, appunto, dei saraceni). Dopo un lungo
infruttuoso assedio, conclusosi in modo tragico per la città per il
tradimento di una giovinetta che avrebbe rivelato agli assedianti il
sito dell'acquedotto che adduceva l'acqua in città. L'esatta
localizzazione geografica del sito dell'antica Terina in realtà non è
mai stata trovata con prove certe, le recenti indagini esperite dalla
Sopraintendenza, e i rinvenimenti effettuati nella piana di Santa
Eufemia tendono a localizzare Terina proprio a S, Eufemia Lamezia e ad
identificare sul pianoro la localizzazione di Temesa, altro importante
centro della Magna Grecia contemporaneo e posto più a sud di Terina.
Temesa era un centro importante dove si estraeva il rame, era dotata
anch'essa di propria monetazione. Anche l'esistenza di Temesa è
documentata dalle fonti antiche, ricordata da Omero nell'Odissea",
Strambone riferisce che a Temesa si trova il tempio di Polite,
circondato da un bosco di ulivi selvatici. Polite era un compagno di
Ulisse, il quale fu ucciso dagli abitanti di Temesa, dopo aver
violentato una vergine, per volontà di un oracolo, obbligò gli abitanti
di quelle regioni a pagargli, un tributo consistente nel sacrificio
annuale di una vergine. Si racconta che dopo la presa di Temesa da
parte dei locresi, il pugile Eutimo, venuto in lotta con Polite, lo
vinse e liberò la città dal tributo.
Anche di Temesa non si hanno notizie certe né sulla localizzazi9ne, né
sulla sua estinzione. Scomparsa Terina ( o Temesa) gli abitanti
trovarono rifugio più all'interno su una collina ( oggi denominato "
Timpone della Motta") che per conformazione ricordava i luoghi del
"Piano di Terina", anch'esso circondato da due fiumi ( il "Grande" e il
" Rivale"), aveva un unico punto di accesso attraverso un ponte
levatoio e inoltre era ben nascosta dal mare, offrendo così sicurezza
dalle incursioni saracene.
Il nuovo centro abitato che si venne a creare prese il nome di "
Nuceria" o "Nucria" che vuol dire nuova abitazione. La storia di questo
piccolo centro, posto a 150 metri sul livello del mare, immerso fra la
collina degli ulivi, gli orti e i vigneti, ci racconta inoltre, che
intorno allo XII-XIII secolo furono costruiti il muro di cinta e due
torri di guardia ( di cui un'ancora esistente ed é chiamata
"Terrazzo"), in seguito il ponte levatoio fu costruito dal cavalcavia
che oggi è detto " punta", mentre la popolazione ormai accresciuta
estese l'abitato lungo le pendici della collina vicina, fondando quelle
che oggi sono i rioni " Piazza", "Rupe", "S. Caterina" e " Valle". Ogni
rione ha costruito la sua Chiesa. Nel 1500 per far fronte alle
incursioni dei Turchi furono costruite numerose torri costiere di
avvistamento ( chiamate "torrazzi") Nella fascia costiera sorsero la
torre Coracena a Carica e quella di San Janni ( San Giovanni) a Campora
S. Giovanni nel comune di Amantea, mentre a Nocera sorsero le torri di
S. Giuseppe alla bocca della Savuto ( ormai scomparsa), quella di
Saporito alla Casale e quella nel Piano di Terina e quella di Gullieri
(oggi scomparsa), nel comune di Falena sorse la torre della Rupe detta
di Lupo.
Dal balcone panoramico della nostra camera dell'Hotel Soglia, abbiamo
ammirato, sulla dorsale della collina, fra gli uliveti e i pini
marittimi, alcune di queste torri d'avvistamento.
E qui termina il fugace viaggio nella storia e nella memoria di questa
terra antica e meravigliosa. Concluderlo in una sintesi non è facile.
Come tutte le cose veramente forti e pure, la Calabria ha bisogno di
spiriti profondi per essere compresa e di anime vergini per essere
amata. Terra di meditazione si apre intera con le sue luci abbaglianti
e le sue cupe ombre agli escursionisti e ai viaggiatori silenziosi e
pensosi della bellezza. Il suo fascino, lontano dai soliti allettamenti
preparati in altri luoghi, è lento ma duraturo; e come quei profumi,
che sembra debbano subito svanire, eppure resistono al tempo e
penetrano di sé ogni cosa.
Falena Lido (CZ)
Soglia Village Temesa
Il mattino del 14 luglio 2008, il meraviglioso Lago di Mantova, era
illuminato dal sole, mentre una canoa solcava il placito lago, seguita
da uno storno di colombi. Vicino alla riva, da dove si vedeva un angolo
del vecchio Castello- Fortezza dei Signori Gonzaga, due bianchi cigni
con i loro pulcini navigavano e cercavano di pescare le rane e i
pesciolini del lago. Una nutrita squadra di vacanzieri mantovani
eravamo in attesa che giungesse il torpedone, mentre il sole
incominciava a farsi sentire. La brumosa e bellissima Valle Padana, con
i suoi lunghi filari di pioppi seguivano i lunghi fossati, mentre la
campagna era assolata e le macchine agricole stavano trebbiano gli
ultimi appezzamenti di terreno.
Dopo l'attesa tecnica all'aeroporto di Bologna, finalmente con un volo
diretto Bologna - Lamezia, in poco meno di un'ora, siamo sbarcati
all'aeroporto calabrese di Lamezia Terme, che sorge al centro di una
vallata di verdi ulivi, proprio di fronte al mare azzurro. Dopo 15
chilometri circa, siamo giunti a FALENA Lido, che appartiene al comune
di Nocera Terinese, che sorge sulle sponde di quell'incantevole e
meraviglioso mare della My Old Calabria. In questa località è ubicato
l'Hotel Soglia: un villaggio di nuova costruzione, sito in una
posizione molto fortunata, in uno degli angoli più suggestivi della
Calabria, a pochi chilometri della bella cittadina di Lamezia Terme,
che si adagia in una conca pianeggiante tra la collina sempre verde
degli uliveti ed il suo stupendo mare. A poca distanza sorge inoltre il
porto turistico di Amantea. Quando il pesante pullman si è fermato
davanti all'imponente Villaggio Soglia, mi è venuta da fare una
considerazione sul nome dato a questo meraviglioso luogo di soggiorno
turistico: Analizzando la parola Soglia, che vuol dire la lunga pietra
un po' rilevata che sta per piano sul fondo della porta di casa, tra i
due stipiti, è un nome molto significativo, che ci sta a significare di
essere giunti a casa propria e dove trovarsi a proprio agio. Appena
varcato questa soglia, si è aperto davanti a me una vista scenografica
bellissima, con al centro degli edifici, dove fanno bella nostra di se
una piscina avveniristica, attorniata da alti e stupende piante di
palme ed in fondo la striscia azzurra del mare della bella Calabria.
Più che una visione surreale e metafisica o di una quinta teatrale, mi
ha dato l'impressione di aver varcato la soglia del Paradiso terrestre,
tanto era bella e incantevole quella visione.
L'accoglienza dei dirigenti e dai ragazzi che compongono lo Staff
dell'Animazione del complesso alberghiero, è stata eccellente. Si sono
molto prodigati per darci una mano con i bagagli, mentre gli addetti
alla reception, sono stati molto gentili e solleciti nell'assegnazione
delle camere, e nel fornirci tutte quelle informazioni necessari per il
nostro soggiorno. Nei giorni che seguirono, il gruppo dell'Animazione
soft diurna in piscina e in spiaggia, si sono prodigati moltissimo
nell'eseguire dei corsi collettivi di aerobica, acquagym, giochi e
spettacoli serali che hanno allietato il nostro soggiorno. A questi
giovani rivolgiamo un particolare ringraziamento a questi ragazzi e
naturalmente anche alle simpatiche e belle ragazze, dette le (spintarelle),
per il loro impegno e professionalità nel compiere il loro quotidiano
lavoro sotto la guida del simpatico e bravo regista Mazza Ugo. Dopo di
aver parlato brevemente dei ragazzi dello Staff, veniamo a parlare del
Ristorante. Il Chef, ci ha presentato numerose proposte della cucina
internazionale, ma soprattutto di quella mediterranea e anche locale, (
la famosa cucina tipica calabrese alquanta piccante, dove ha fatto da
padrone l'eterno peperoncino) adatte a soddisfare le nostre esigenze,
sono state servite nel grande e moderno ristorante che si affaccia
sulla bellissima piscina che abbiamo definita scenografica. In poche
parole, possiamo benissimo dire, che abbiamo trovato un ambiente, oltre
che elegante, molto curato in ogni particolare e ciò non è poco. Il
servizio è stato a buffet, sia per la colazione, il pranzo e la cena,
con acqua e vino a tavola, mentre i ragazzi dello Staff, hanno
contribuito moltissimo nel servizio ai rispettivi tavoli, sempre sotto
il controllo vigile del direttore signor Corrado Aniello, un simpatico
giovane napoletano verace, con il quale, tra noi, dal primo giorno è
nata una reciproca simpatia e ammirazione.
Negli alberghi come sulle navi, i pasti costituiscono una cerimonia
rituale strettamente codificata. E' uno spettacolo affascinante, e
spesso desolante, vedere quelle coppie e quelle famiglie ingerire in
silenzio, con gesti forzati, su tovaglie impeccabili, un cibo
universale, da cui é accuratamente bandito tutto ciò che può rammentare
una ragione o una stagione o meglio dire un breve periodo di vacanza.
La mia, certamente, è stata una deformazione professionale,
nell'osservare tutto questo, non volendo, tutte quelle piccole cose
stabilite dal vivere facile nella nostra società contemporanea e a
volte, senza volerlo quelle piccole cose che saltano subito all'occhio
dell'attento osservatore, ma nel complesso devo dire che la maggior
parte dei commensali si è comportata alquanto bene. Il direttore della
sala da pranzo era sempre attivo e chiedeva a tutti gli ospiti se ci
fossero delle discrepanze o se tutto procedeva secondo l'ordinamento
del Villaggio turistico "La Soglia", insomma, si rendeva simpatico con
tutti e tutti noi serbiamo un buon ricordo, ma soprattutto, il gusto e
i sapori della buona cucina italiana e regionale calabrese. La nostra è
stata al Villaggio Soglia, una vacanza a misura famigliare e
soprattutto a misura dei nostri desideri. Il nostro soggiorno nel
Villaggio " Soglia", è stato organizzato sapientemente dal Cral delle
Poste di Mantova, inviando al seguito dell'allegra compagnia dei
mantovani, il simpatico amico Ignazio Finocchiaro, che ha svolto la sua
attività nel miglior dei modi ed al quale rivolgiamo il nostro
ringraziamento.
IL MARE AZZURRO.
Le acque limpide del mare azzurro come il suo cielo, l'ampia spiaggia
che si perde all'orizzonte, hanno facilitato lo sviluppo di Nocera
Marina, favorendo l'insediamento di diversi villaggi turistici ( Mare
blu, Riviera del Sole, Nuova Temesa, Villaggio del golfo) e campeggi (
Torre Casale, La Macchia, Tamerici).Oltre ai villaggi turistici,
abbiamo ammirato il bellissimo lungomare e l'ampio anfiteatro, dove si
svolgono manifestazioni culturali e artistiche, come "La tarantola":
una ballata tipica calabrese, che racconta una storia antica come la
sua terra, che si praticava nel lontano medioevo, quando i malati si
curavano con le erbe dell'orto o magari anche con la musica. La storia
ci racconta, che una fanciulla, era in coma profondo e per svegliarla i
musicisti continuavano a suonare questa ballata fino al suo risveglio.
Senza andare tanto lontano, anche oggi, nel XXI secolo, spesse volte,
si adopera questo metodo per fare risvegliare del coma profondo una
persona, che giace da molto tempo in un letto d'ospedale. La Domenica
sera, nell'anfiteatro viene celebrata la Santa Messa, che richiamo una
gran folla di fedeli, in quella "Cattedrale a cielo aperto", come l'ha
definita, al termine della funzione religiosa, il celebrante della
locale parrocchia.
L'ANFITEATRO.
L'Anfiteatro é di recente costruzione, di cui ne abbiamo parlato sopra,
che si affaccia su quel meraviglioso mare, specialmente la domenica
sera è completamente affollato da una folla anonima di fedeli di ogni
nazionalità, composta da giovani ed anziani. L'ultima domenica sera che
abbiamo assistito alla Santa Messa, era completamente affollato, che da
una stima approssimativa, si è potuto stabilire che superavano le 3000
fedeli. Oltre che una semplice messa domenicale, potremmo definirlo un
raduno spirituale, un incontro gioioso tra gente del Sud e del Nord, un
avvicinamento di questi due grandi popoli, ma soprattutto, un
avvicinamento con il Creatore.
Non c'è bisogno di andare all'estero, per scoprire il mare e le
bellezze naturali, perché è tutto alla portata di mano ad un'ora di
aereo e si trova nel nostro Bel Paese. Buono e cattivo, e ricco o
povero, ed elevato e meschino, e tutti i nomi dei valori umani: devono
diventare ormai i segni del rumore metallico del patto della vita che
deve superare sempre se stessa! La vita stessa vuole costruirsi in
altezza con colonne e gradini come questo anfiteatro che domina la
grande e spaziosa spiaggia di Nocera Terinese, dove l'occhio si perde
all'orizzonte nell'azzurro mare; Vuole guardare su vaste lontananze e
oltre, su felice bellezze: per quanto ha bisogno di altezza, per
guardare nell'infinito orizzonte della vita.
E siccome ha bisogno di altezza, ha bisogno di gradini e del contrasto
dei gradini e di chi sale! La vita vuole salire e superarsi salendo.
Nel Vangelo, il celebrante ci ha parlato dell'erba chiamata zizzania.
Essa è un'erba cattiva che va distrutta, eliminata, perché non solo
inquini la società, ma purtroppo ancora non è del tutto estirpata
quest'erba cattiva.
Nel nostro breve soggiorno in quest'angolo di pace e di serenità,
abbiamo compreso che l'ambiente fisico di Nocera è sicuramente
caratterizzato da lembi di natura che favoriscono le pratiche
escursionistiche e naturalistiche da visitare l'area del Monte Mancuso
caratterizzata da boschi di faggio e pino, i boschi cedui della fascia
di loc. Casella, Fronte Aguglieri, Manca di De Luca, Piano Carito, i
boschi cedui nella fascia loc. S. Cataldo, Savuchelli, Staglio, anche
le località bellissime delle coste, le città limitrofe, come quelle di
Tropea e Pizzo Calabro, nonché le cittadine che sorgono sulla Costa
"Viola", come Palmi, Bagnara e Reggio Calabria e soprattutto le
meravigliose isole Eolie, che in un nostro libro li abbiamo definite: "
I miei giganti fumanti"..
Un flash di un ricordo lontano nel tempo.
La prima volta che siamo transitati da Nocera Terinense, con il treno
proveniente da Reggio Calabria e diretti a Napoli, nel lontano 1944.
Eravamo in quindici persone costretti in uno spazio abitualmente
riservato a otto. Parecchi sedevano sui porta bagagli. Tutti gli
sportelli erano aperti, e lungo l'intero treno c'era gente che
viaggiava seduta sulla soglia degli sportelli, le gambe penzoloni nel
vuoto, o accovacciati sui predellini, tenendosi con un braccio alle
maniglie. I tetti dei vagoni, i respingenti, i soffitti, il tender la
macchina erano coperti i viaggiatori stracciati e scamiciati.
Erano in gran parte, soldati che, travestiti alla meglio con panni
borghesi, tornavano alle loro case, mentre Giovanni, Domenico ed io, ci
eravamo avventurati in un'Italia sconosciuta e soprattutto devastata
dalla guerra in cerca di avventura, per trovare un mondo diverso dal
piccolo borgo aspro montano di Cosoleto, portandoci dietro quella
vecchia valigia di cartone legata con lo spago, piena di sogni, che in
parte nel tempo si sono realizzati e in parte sono rimasti chiusi in
quella vecchia valigia. Si ! Solo i giovani hanno di questi momenti.
Non parlo dei giovanissimi. No, I giovanissimi, per essere esatti, non
hanno momenti. E' privilegio della prima gioventù di vivere in anticipo
sui propri giorni, in tutta una bella continuità di speranze che non
conosce pause né introspezioni. Come scriveva Joseph Conrad: " Uno
chiude dietro di sé il piccolo cancello della mera fanciullezza ed
entra in un giardino incantato. Là persino le ombre splendono di
promesse. Ogni svolta del sentiero ha una seduzione. E non perché sia
una terra ignota. Si sa bene che tutta l'umanità ha percorso quella
strada. Ma si è attratti dall'incanto dell'esperienza universale da cui
ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po'
di sé stessi.
A Nocera vi è stata una fermata fuori programma, una sosta molto lunga,
aspettando il locomotore dalla vicina stazione di Vibo Valentia, perché
quello che era partito da Reggio Calabria, si era bruciato. Verso sera,
quando il sole stava per tramontare sulla grande spiaggia arida e
abbandonata, dove si vedevano carcasse di automezzi militari tedeschi
abbandonati e mezzi anfibi da sbarco Angloamericani. A Napoli, abbiamo
trovato una desolazione, una città distrutta dai bombardamenti aerei, e
una popolazione che non sapeva come sbarcare il lunario. Sì, proprio
così, c'era tanta desolazione e miseria. In città non si vedevano altro
che mezzi americani in circolazione, militari di colore che cercavano
di vendere o comperare qualcosa che era esposta sulle bancarelle.
Dappertutto si vendevano sigarette americane e indumenti militari.
Abbiamo incontrato molti scugnizzi e belle ragazze che circuivano,
specialmente i militari americani di colore, e che una volta ubriachi,
venivano spogliati e derubati di tutto. Non c'era da scandalizzarsi, ma
quella era la fonte della loro sopravvivenza. Nel dopoguerra, molti
film neorealisti, hanno raccontato la storia degli scugnizzi e della
vita di ogni giorno della città di Napoli.
In quel tempo lontano, Nocera Marina, non esisteva neppure. Nei campi
dove scorreva e scorre tutt'oggi la ferrovia, vi erano dei piccoli
appezzamenti di terreno adibiti ad orti, mentre al di là della Strada
Statale, dove sorge il grande e moderno complesso alberghiero " La
Soglia", vi era soltanto il grande litorale arido e bruciato dal sole.
Ai suoi margini, oggi è sorta una bella cittadina, con una passeggiata
lungo la spiaggia, con nuovi insediamenti, Alberghi, Bar e Ristoranti e
il moderno anfiteatro, di cui abbiamo parlato sopra.
IL BRINDISI
La sera precedente la nostra partenza, nel Ristorante " La Soglia",
dopo la cena, si è fatto festa, una festa sobria, una festa
dell'arrivederci al prossimo anno. Lo chef, ha preparato una magnifica
torta ed il direttore ha portato anche lo sciampagna, che abbiamo
brindato all'amicizia, che significa comunanza nel pensare e nel volere
di due grandi popoli, come la Lombardia e la Calabria che ci ha
ospitati. E questa comunione di pensiero non è una cosa solamente
intellettuale, ma è comunione dei sentimenti e del volere e quindi
anche dell'agire.
Dunque, abbiamo fatto festa ed è anche giusto che sia stato così. Siamo
stati in allegria Abbiamo alzato il calice e abbiamo brindato alla
conclusione del nostro soggiorno marino in quella località benedetta da
Dio che si chiama " La Soglia", perché come recita un bellissimo verso
poetico del Boccaccio: "Chi vuol essere lieto sia perché di domani non
c'è certezza".
Concludiamo questo nostro lungo articolo sulla meravigliosa Calabria e
sulla bella Nocera, con questa significativa poesia, scritta per noi
dell'amica poetessa Vera Manfredini, che ringraziamo moltissimo e
dulcis in fundo, non poteva mancare la fotografia ricordo di gruppo con
i ragazzi dello Staff, scattata dal registra Mazza Ugo.
Nocera Terinese
O Nocera!
Percorrere fino alla fine,
Il tuo litorale,
Arido come l'oggi dei miei pensieri.
Non fermeranno i miei piedi.
Stanchi il vento della sera.
E neppure questa notte
Senza luna né domani.
I miei occhi si tuffano
Ancora nell'azzurro.
Del tuo mare.
Sirmione:
Appunti di viaggio
La luna piena disegna in alto i margini netti ed oscuri che chiudono la
testata della Valle Padana, come i bordi ammaccati di un enorme
calderone. Solo lo specchio d'acqua del lago, adagiato nella grande
conca delimitata dalle colline moreniche e dalle alte montagne della
sponda bresciana risplende nel chiarore lunare di una luce diafana.
Sopra le nostre teste grava una massa biancastra prodotta dalla nebbia
fuori stagione, che ostacola parzialmente la guida dell'automezzo del
nostro amico Giovanni che è alla guida del pulmino dell'Ente Valle di
Campitello. Ma con il sorgere del sole quel anomalo oscuramento
nebbioso, piano piano si è dissolto e tutto è ritornato alla normalità.
Davanti a noi si è presentato lo spettacolo più bello del mondo. Pochi
scenari hanno la grandiosità immacolata e l'austera imponenza che
racchiude e vigila il Garda. Pochi, anche, hanno per cornice una sì
mutevole aureola di colori, un respiro più ampio, un'armonia così
perfetta, come è quella che intorno al lago si rinnova ad ogni ora del
giorno. La natura ci dischiude qui uno di quei panorami italici dove la
bellezza è così solenne, che diventa regalità.
Le catene che degradano verso mezzodì, come sospinte ancora dalla
potente pressione dei massicci del Nord, accolgono il lago di Garda,
serrandolo nella sua parte settentrionale fra i monti rocciosi di
imponente bellezza; ed il lago, uscendo come immane fiume azzurro fra
le rupi eccelse, si avanza, si allarga e si distende nello spazio
luminoso, assumendo vastità inusitate e, a volte, quando il vento di
borea lo flagella, anche impeti e collere marine: fluctibus et fremitu
adsurgens, Benace, marino. Grandioso e regale è il Garda anche per le
sue proporzioni. Più vasto di tutti i laghi italiani, si sviluppa in
lunghezza per una cinquantina di chilometri, ne raggiunge nella
larghezza massima quasi 18 e inabissa il suo fondo a m. 350, appunto là
dove le catene montuose elevatisi dal suo specchio toccano invece il
cielo a oltre 2200.Si, è proprio così, dolce e bello è l'avviarsi al
Garda. Se tu vi giungi dalla pianura, come abbiamo fatto noi, tutte le
mattine, per dieci giorni, partendo dal borgo Antico e di sapore
medioevale di Campitello, che era ancora addormentato e sulla bella
Piazza Garibaldi, oltre a noi che aspettavamo il pulmino dell'Ente
Valle, per essere trasportati nella piccola penisola di Sirmione, non
vi era anima viva.
Dopo neppure un'ora di viaggio, Sirmione e il Garda t'appare nella sua
maestosa vastità racchiusa da una severa compostezza di linee e subito
ti si svela nel suo duplice aspetto che sposa lo specchio vastissimo,
fra sponde blande, al fiordo titanico, fra rupi spettacolose. Ma più è
bello il giungervi della parte delle montagne tridentine scendendo
valli or umili e fonde, or alte e assolate, tra selve e burroni,
torrenti fragorosi e queruli ruscelli, e reliquie di castelli
circonfusi da leggende. A mano a mano che avanzi, l'abete e la quercia
cedono all'olivo: roseti allietano i muriccioli di cinta, come i gerani
le finestrelle dei casolari: finché, ad Arco, compare il tipico
cipresso benacense e l'agave e l'oleandro s'impongono nel paesaggio,
assieme al cedro ed al limone; ed entri nel regno del dolce meridione
ma contenuto in una cerchia di orride pareti rocciose, vero paesaggio
dantesco. E la scena si continua intorno a Riva e giù per lungo tratto
fino alla rivelazione della " Riva". Facciamo dunque un viaggio ideale
partendoci dal sommo del bacino. Lasciamo il porto pittoresco, dove le
vele dei barconi fra giuochi di riflessi colorati sullo sfondo della
piazzetta porticato, e scendiamo, costeggiando la rupe immane della
Rocchetta, incisa da due strade ardite e pittoresche: quella del
Tonale, e la recentissima Gardesana occidentale. Fantastici pinnacoli
s'alzano sul nostro capo e immense pareti, nude e scabre rupi che per
molteplici segni ci parlano ancora della grande guerra. A Limone la
muraglia rocciosa si arresta per far luogo ad un'oasi verdeggiante; poi
riprende l'alta costiera, che solleva i suoi paesini al cielo,
tenendoli sopra il precipizio, sorridenti di ignara infantilità. Tutte
le mattine, prima del sorgere del sole il nostro itinerario è sempre lo
stesso, partendo appunto da Campitello, che è ubicato sulle sponde del
fiume Oglio, nel cuore della lussureggiante e bellissima Valle Padana,
che il poeta cantava: "Dove c'era una volta, ieri, una vecchia canzone
d'amore sempre viva, sentita su le cime degli alti pioppi su le verdi
golene del nostro fiume.".
Una campagna immersa nel silenzio fervore delle opere; riposato
paesaggio d'argine da cui per la gran distesa si possono scorgere
lontani profili di monti, il Baldo e le prime cime delle Alpi discoste
e nevose. Lasciamo la Val Padana e ci immergiamo fra le lussureggianti
colline moreniche, che furono terra di battaglie la morena del Garda:
San Martino, Solforino, Volta Mantovana e le colline di Pastrengo, che
sorge nell'anfiteatro del Garda alla destra dell'Adige, che nel corso
della prima guerra d'Indipendenza, il 30 aprile del 1848 il secondo
corpo d'armata piemontese ( generale Gerbaix de Sonnaz) in avanzata
verso l'Adige attaccò gli Austriaci ( generale Wocher), disposti a
difesa a Pastrengo. All'azione partecipò il re Carlo Alberto, il quale
seguì i carabinieri a cavallo del maggiore Sanfront nella carica che
trascinò il resto delle truppe piemontesi, travolgendo in breve le
forze austriache.
Oggi, 5 giugno, l'Arma benemerita, festeggia il suo anniversario di
fondazione ed in questa ricorrenza, ogni anno esegue la famosa carica
di Pastrengo.
Peschiera del Garda ci ricordano che in questa plaga più volte furono
decisi i destini d'Italia. Ovunque, in questi luoghi della battaglia,
incontriamo una stele, una lapide o un castello merlato e diroccato.
Sirmione del Garda
Da Desenzano a Peschiera, è tutto un susseguirsi di ubertosi e floride
campagne, dal mezzo delle quali si protende nel lago la penisoletta di
Sirmione, ove ancora aleggia l'amorosa strofe di Catullo e l'ode
carducciana, dove tuttora vigila il turrito castello degli Scaligeri, e
le Terme, famose fino all'antichità e che oggi, hanno raggiunto il più
alto livello tecnologico avanzato di modernità. Tutte le mattine, alle
ore 7, lasciamo nell'ampio parcheggio di fronte al castello, il nostro
pulmino e ci rechiamo alla famose e storiche Terme, per effettuare le
nostre cure termali.
Dalla sommità della penisola, vastissimo s'apre l'alto golfo, al cui
estremo le acque danno origine al Mincio, che questo e limpido passa
sotto i ponti di Peschiera: luogo che da secoli è fortezza, il dantesco
" bello e forte arnese, da fronteggiar bresciani e bergamaschi". Di qui
il Garda, l'arco stupendo dei colli vitiferi, su cui siedono Bardolino
e Lazise; è in questa regione che la sponda veronese si veste delle sue
note più smaglianti, trionfanti poi nella punta di San Vigilio e nel
suo parco meraviglioso.
Ma noi, in questi giorni di maggio, ci siamo fermati nel cuore
dell'anfiteatro morenico del Garda, dove si protende verso il centro
del lago un'esile striscia di terra che termina in una penisoletta
sulla quale sorge Sirmione, pittoresco paese celebrato come stazione
climatica e balneare: infatti, vi sgorga, a circa 300 metri dalla
costa, una sorgente subacquea termale (65 gradi) solfora -cloruro -
sodica, detta Botola, le cui acque furono captate nel 1889 ad uso del
locale stabilimento di cura modernamente attrezzato, dove migliaia di
pazienti come noi, ogni giorno giungono in questo luogo e trovavo
giovamento. Ogni giorno transitiamo di fronte al castello scaligero di
Sirmione, turrito ed imponente, che mette una nota scenica nella
penisoletta romantica, che è una delle località più famose della sponda
bresciana del lago. Non possiamo fare a meno di alzare gli occhi al
cielo, per ammirare le sue bellezze architettoniche, mentre le feritoie
turrite, ci raccontano la loro storia medioevale, mentre nell'invaso a
torno al castello, nuotano bianchi cigni e allegri germani reali,
portando a spasso i loro simpatici pulcini, che sono un richiamo che
formano una scenografia da quinta teatrale, che tanto piace ai vecchi
ed ai bambini.
Grotte di Catullo.
Questa mattina 5 giugno, domo il nostro ciclo curativo, verso le ore 8
circa, dallo stabilimento termale, abbiamo raggiunto le famose grotte
di Catullo, che distano poche centinaia di metri, per ammirare questi
ruderi di costruzione romana in laterizio che ci sono tramandati dalla
tradizione come i resti della dimora natale di Catullo, l'elegiaco
poeta del lago; mentre la scienza pur confermandone l'essenza romana
discute se siano i resti di una villa o di terme dell'epoca
costantiniana. Sorgono sulla estrema punta settentrionale della
penisola, in folto uliveto; da questa posizione dominante si ha
un'eccezionale veduta di tutto il bacino del lago. Sulla costa
meridionale del lago di Garda, all'estremità della penisola di
Sirmione, in una splendida posizione panoramica si trovano i resti
della villa romana nota da secoli con il nome di "Grotte di Catullo",
l'esempio più grandioso di edificio privato di carattere signorile di
tutta l'Italia settentrionale. Nel Rinascimento il nome di "grotte" o
"caverne" fu usato per strutture internate e crollate, ricoperte di
vegetazione, entro le quali si penetrava come in cavità naturali. La
tradizione risalente al XV e XVI secolo ha identificato questo
complesso come la villa di famiglia di Catullo, il poeta latino morto
nel 54 a.C. In base alla testimonianza dei versi di Catullo è certo che
egli avesse a Sirmione una residenza, ma che fosse proprio in questa
zona è soltanto possibile. Sirmione apparteneva all'agro veronese ed è
nota nel mondo antico anche per essere stata una stazione di sosta
lungo l'importante via che univa Brescia a Verona. La prima
rappresentazione dettagliata dei resti della villa è un rilievo
dell'inizio dell'Ottocento. Ampi scavi furono poi effettuati dal
veronese Girolamo Orti Manara che ne pubblicò i risultati in un'opera
ancora oggi fondamentale.
La Soprintendenza ha iniziato nel 1939-40 gli scavi e i restauri e nel
1948 ha acquisito tutta l'area, permettendo la tutela del complesso
immerso nel suo ambiente naturale. Indagini recenti hanno consentito di
accertare l'esistenza di un precedente edificio al di sotto dei vani
del settore meridionale e di confermare che la costruzione attualmente
in luce è stata realizzata con un progetto unitario che ne ha definito
l'orientamento e la distribuzione degli spazi interni, secondo un
preciso criterio di assialità e di simmetria. La villa, che ha pianta
di forma rettangolare (m. 167 x 105), con due avancorpi sui lati brevi,
copre un'area complessiva di oltre due ettari. Per superare
l'inclinazione del banco roccioso su cui furono appoggiate le
fondazioni dell'edificio, furono creati grandi vani di costruzione,
mentre in alcune zone si resero necessarie opere imponenti di taglio
della roccia. I resti attualmente conservati si trovano così su livelli
diversi: del settore settentrionale ad esempio sono rimaste solo le
grandiose costruzioni, mentre nulla è conservato dei vani residenziali,
crollati già nell'antichità.
Da Genova verso Marina di Andora
Racconto Escursionistico.
La Liguria è una lunga e sottile striscia di costa, ai piedi di
montagne coperte di vigneti. Qui vedono case color pastello che si
crogiolano al dolce sole del Mediterraneo, mentre i loro giardini,
fiorenti nel dolce clima, risplendono di piante colorate. In contrasto
con località come quelle che abbiamo lasciato oggi pomeriggio sulla
Costa di Levante: Portofino, Nervi,Quarto, (da dove salparono i
garibaldini, diretti in Sicilia) Quinto, Camogli, Boccadasse, Corso
Italia e la spiaggia di San Giuliano. Dopo la Foce, la sopraelevata ci
ha portati nel Piazzale Caricamento e quindi nel centro storica della
grande Genova, con il suo Porto internazionale e i suoi caratteristici
"carruggi". Prima del tramonto del sole, abbiamo lasciato la bellissima
città di Genova e ci siamo diretto verso la nostra bellissima e amata
Andora, che possiamo definirla la nostra seconda Patria. Seguiamo la
zona del litorale che abbraccia quella striscia di terra che corre
lungo il mare, ora assai ristretta, ora alquanto più ampia, ma non mai
troppo. Si ha una flora multiforme che abbraccia cinque diversi tipi di
associazioni di piante: flora marina; flora delle spiagge arenose e
ghiaiose; flora delle paludi; delle rupi marittime ed in fine la flora
delle macchie del litorale. La prima è quasi esclusivamente formata
dalle alghe; tra cui notiamo le verdissime Cloroficee che si vedono
affiorare alla superficie delle acque in cerca di luce,più in basso
poi, abbarbicate agli scogli, ch'esse rivestono a guisa di soffici
tappeti ricciuti, le alghe rosse e le brune (Rodoficee e Feoficee) e le
verdi lattughe marine. Vivono pure nel mare ligure alcune specie di
Fanerogame, come la Zostera nana e la Posidonea.
Sulle spiagge poi, arenose e ghiaiose, quest'ultime assai più
frequenti, abbiamo quella tipica flora amante dei luoghi aridi e
salini, dalle foglie tozze, carnose, tondeggianti, ricoperte di cutina,
impermeabile, o da denso intreccio di peli lanosi, o foglie ora
aghiformi ora spiniformi, dolide, coriacee sempre. Sono esse le
Euforbie, la candissimo Diotis, l'Eringium maritimus, ecc. ecc. Se ne
contano novanta specie.
Il sole era tramontato da un pezzo, quando la nostra autovettura si è
fermata davanti all'albergo Galleano, dove eravamo attesi per la cena
ed il pernottamento. Dopo cena, abbiamo effettuato una breve
passeggiata nel vecchio centro storico di Andora Marina, dove siamo
stati circa sei anni e dove è nata nostra figlia Tiziana. Ahimè, i
nostri vecchi amici dei tempi ormai lontani erano ormai deceduti, ma
nel Bar Torrengo, che è vicino all'Albergo Galleano, dove avevamo preso
alloggio, abbiamo incontrato diverse persone che, quando siamo stati
trasferiti a Genova, molti anni fa, erano ancor ragazzi e che
conoscevamo molto bene le loro famiglie. Appena alzati, siamo usciti
sul balcone da dove si ammira un paesaggio mozzafiato ed abbiamo
ammirato quel bellissimo paesaggio del Golfo di Andora. Come abbiamo
avuto modo di parlare di Andora, diremo che è formata da un complesso
di una trentina di piccole ridenti borgate, raggruppate in cinque
frazioni o parrocchie: S. Pietro, il capoluogo, S. Giovanni, Rollo, con
il suo alto campanile che domina la verde collina, Conna e S.
Bartolomeo, disseminate sopra un territorio ora pianeggiante ed ora
montuoso, ricco di olivi, di vigneti e di giardini. Oggi in quella
valle verdeggiante coltivata ad ortaggi e pescheti non esiste più,
perché tutto è cambiato. Oggi è tutto cementificato ed al posto
dell'entroterra verdeggiante e coltivato a carciofi ed altri ortaggi,
sorge una grande e moderna città. E' proprio vero, il tempo passa e i
luoghi e le persone si trasformano, tanto che facevamo fatica a
ricordare quel piccolo, caro e vecchio borgo marinaro. Sono rimasti a
ricordare le passate, piccole cose che ormai appartengono alla storia,
come la torre Saracena che sorge a pochi passi dal mare, i ruderi del
vecchio Castello dei Clavesana e la bellissima Chiesa Romana del XII
secolo. Dopo un lungo giro panoramico, siamo ritornati ad Andora ed
imboccando la vecchia Via Aurelia, abbiamo raggiunto l'antico borgo
marinaro di Cervo, l'antico Castrum Cervi, situato in pittoresca
posizione sul declivio d'un ponticello prospiciente il mare, non si
hanno notizie prima del 1172, anno in cui, per la prima volta, i suoi
abitanti sono nominati in uno strumento notarile. Il Castello del Cervo
si governava con proprio consolato formando una comunità indipendente
sino al 1223. Fu poi antichissimo feudo alle dipendenze dei Marchesi di
Clavesana, quindi dei Carretto, dei Doria, dei Serra, S. Bartolomeo del
Cervo e Villa Faraldi. Appartiene alla provincia d'Imperia e alla
diocesi d'Albenga.
Belle le sue chiese, ricche di preziosi marmi, di oggetti artistici, di
dipinti pregevoli. La popolazione è dedita alla navigazione, alla
pesca, all'agricoltura. Negli anni Cinquanta, quando eravamo di stanza
ad Andora, nel periodo estivo, con l'amico pittore Isaia Colombo, che
con la moglie Ines, nel periodo estivo, venivano a soggiornare ad
Andora Marina, con la mia Vespa 150 Special, andavamo spesso a Cervo,
per ritrarre gli angoli più belli, come i carruggi, le piazzette e la
Chiesa barocca. Mentre mi accingo a rievocare quel tempo lontano con il
mio personal Computer, alzando gli occhi sulla parete di fronte, non
posso fare a meno di ammirare due bellissimi quadri, che riproducono la
caratteristica Piazza della Chiesa e nell'altro quadro un Vicolo Tipico
ed in fine, un acquarello panoramico con la bellissima vista di quel
mare azzurrissimo.
Il giorno di San Giuseppe, la festa del Papà, prima di fare ritorno
nella verde e brumosa Val Padana, siamo voluti salire sul colle di Capo
Mele, per vedere da vicino i corridori della Milano San Remo, che
salivano da Laigueglia in un'interminabile fila coloratissima di (
girini). Anche questa volta, abbiamo provato la stessa emozione che
molti anni fa provavamo, quando salivamo fin lassù, per seguire
dall'alto la prima corsa ciclistica dell'anno. E' bello, stare
appollaiato sopra uno spuntone di roccia, per vedere i girini arrancare
su quella salita che appunto, da Laigueglia, porta al vertice di Capo
Mele. Sono sensazioni uniche al mondo, che gli appassionati del
ciclismo posso provare. Quello è il punto giusto, per vederli arrancare
su per la salita. In quel tratto si capisce quale è il ciclista che ha
più probabilità di vincere la classica Milano San Remo. Per dire la
verità, eravamo intenzionati di proseguire il nostro viaggio verso
Sanremo e Bordighera, luoghi a noi molto familiari e che ci hanno visti
fin dalla prima giovinezza, in un periodo molto critico della fine
della Seconda Guerra mondiale. La sera nel Bar Torrengo, dopo di aver
visto le previsioni del tempo dei giorni successivi, il nostro amico
Luigi e vecchio pescatore, ci ha consigliati di non perdere tempo e di
ripartire il mattino presto per Mantova, perché il tempo sarebbe
sicuramente peggiorato in tutta la fascia costiera della Liguria.
L'amico Luigi, ci ha suggerito bene, infatti, fin dal mattino presto il
libeccio aveva incominciato a soffiare ed il mare, paurosamente
incominciava a gonfiarsi ed a incresparsi. Due giorni dopo, leggendo
sulle pagine del "Corriere della Sera", abbiamo appreso che era
successa una tragedia nella notte fra venerdì e sabato a Sestri
Levante, (Genova) nella riviera ligure di levante per una delle
mareggiate delle più violente degli ultimi 50 anni. Il titolare della
discoteca "Schooner" della cittadina ligure, Tino Barbera, di 70 anni,
è stato ucciso da un'ondata alta quattro-cinque metri che si è
abbattuta, dopo aver superato la diga foranea a protezione del porto,
sul locale, che era chiuso.
Abbiamo appreso inoltre, che Barbera era un personaggio noto dei locali
notturni: gestiva due discoteche a Cervinia e due a Sestri, era stato
tra i fondatori del Billionaire prima che lo acquistasse Briatore.
Preoccupato delle conseguenze della mareggiata, l'uomo aveva raggiunto
la sua discoteca per mettere al sicuro le attrezzature. Mentre si
trovava all'interno della pista da ballo, un'ondata gigantesca ha
sommerso il locale. L'acqua ha distrutto vetrate e divelto alcuni pali.
Una trave di legno ha colpito alla testa Barbera uccidendolo sul colpo.
Il cadavere dell'uomo è stato trovato da un nipote della vittima pochi
minuti prima della mezzanotte. Sul posto sono accorsi i sanitari del
118, ma non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Le
indagini sulla dinamica dell'evento sono state affidate ai carabinieri
e ai vigili del fuoco, accorsi per mettere in sicurezza lo stabile. La
mareggiata, preannunciata dai bollettini meteorologici che segnalavano
venti da libeccio fino a cento chilometri orari al largo, ha spazzato
la diga provocando gravi danni alle attrezzature da pesca e alle
barche.
Per le feste di Pasqua, dovevamo partire con una comitiva mantovana,
per Atene, via mare, ma per mancanza di posti, non siamo partiti. Se
fossimo partiti sicuramente ci sarebbe successo come è successo ai
passeggeri della nave traghetto " Il Coraggio", il traghetto di Grandi
Navi Veloci, che sono in mare dal almeno 24 ore, partito da Palermo che
sarebbe dovuto arrivare a Livorno venerdì sera. La mareggiata,
alimentata dal forte vento di libeccio, ha costretto la nave a
scegliere una rotta costiera più sicura tra la Sardegna e la Corsica,
dove ha poi trovato riparo per non correre ulteriori rischi. Disagi in
porto ci sono stati per tutta la notte anche sulle navi, alcune delle
quali hanno dovuto richiedere l'assistenza dei rimorchiatori. Da
venerdì tutta l'attività marittima è stata di fatto sospesa. Le
raffiche di libeccio hanno raggiunto anche i 130 chilometri orari e il
Comune ha deciso di chiudere al traffico il Lungomare invaso dai
detriti scaraventati sulla sede stradale dal mare agitato. Quindi,
abbiamo avuto ovunque un esodo sotto la pioggia - Intanto é continuato
l'esodo per le vacanze pasquali con tempo inclemente in molte parti
d'Italia. Un allevamento di trote è stato spazzato via a Trevi del
Lazio dal fiume Aniene che a causa del maltempo ha tracimato in più
punti. A causa del forte vento e della pioggia sono stati interrotti i
collegamenti di aliscafi per le isole del Golfo di Napoli.
Non solo via mare, ma c'è stato anche l'allarme valanghe, tanto che la
Prefettura di Modena, in relazione alle generali condizioni
atmosferiche ha lanciato un allarme "marcato" di valanghe
sull'Appennino. "Si raccomanda particolarmente a sciatori ed
escursionisti- declina il comunicato- di prestare la massima prudenza
ed attenzione evitando percorsi fuori pista".
Pasquetta al gelo: tre morti e un disperso
Imbiancate le Cinque Terre e le colline venete. A Roma emergenza per
gli alberi caduti. In 3mila bloccati alle isole Eolie.
Apprendiamo dalla stampa e dal telegiornale di Radio Uno, che anche qui
in Lombardia, ovunque venti forti, mareggiate e nevicate anche a quote
collinari. Il Dipartimento della Protezione civile ha prolungato
l'allerta meteo da lunedì sera per ulteriori 24 ore su Basilicata,
Calabria, Sicilia e Puglia. Problemi, avvisa il Dipartimento,
potrebbero derivare soprattutto dalle forti raffiche di vento che si
abbattessero sulle coste della Calabria e della Sicilia. Va posta
attenzione alle strade e alle ferrovie lungo il litorale. Cautela
consigliata anche sull'A3 per la neve. Da martedì sera la situazione
sarà in miglioramento. Le difficili condizioni meteorologiche sono
considerate direttamente responsabili anche della morte di tre persone.
Il traffico da rientro - Sono cinque milioni gli italiani che, secondo
l'Osservatorio di Milano, rientrano tra questa sera e domattina dopo la
vacanza pasquale o la classica gita fuori porta del lunedì dell'Angelo.
Intanto pioggia e neve hanno frenato in molte regioni i gitanti di
Pasquetta. Che pure non sono mancati. Il peggioramento delle condizioni
meteo potrebbe indurre molti ad un rientro anticipato: le prime
segnalazioni sul traffico del pomeriggio parlano di una circolazione
non particolarmente problematica anche se con il procedere delle ore i
principali nodi autostradali - il tratto della A14 fra Cattolica e
Bologna, il tratto appenninico della A1 tra Firenze e Bologna, l'A4 tra
Bergamo e Milano e la rete attorno a Genova - hanno fatto registrare
incolonnamenti via via crescenti.
Il Veneto imbiancato - Sulla montagna veneta sono caduti, nelle ultime
24 ore, 32 centimetri di neve fresca. La precipitazione nevosa, a fasi
intermittenti, è avvenuta intorno ai 1.400 metri di quota nelle
Dolomiti, ma si è verificata anche ai 600 metri di altitudine in alcuni
casi particolari come sul Monte Grappa e nella conca dell'Alpago nel
Bellunese. Le ultime nevicate e le condizioni meteo in genere stanno
facendo alzare il livello di pericolo valanghe da moderato (grado 2) a
marcato (grado 3) su una scala di cinque valori. Per effetto delle
precipitazioni nevose, Veneto strade ricorda che tutte le arterie sono
percorribili ma che al di sopra dei 1.000 metri di quota c'è l'obbligo
dell'uso delle catene.
Gelo in Calabria: Pioggia, freddo e neve anche in Calabria. Su gran
parte della regione, ha continuato a piovere abbondantemente. Nelle
zone della costa c'è stato freddo intenso e mare agitato. A Campotenese,
nella zona del Pollino, e sulla Sila, a Camigliatello, ha nevicato per
alcune ore. Nonostante il maltempo, tutte le strade e l'autostrada
Salerno-Reggio Calabria sono rimaste transitabili senza alcun problema.
A Roma alberi radicati e un violento nubifragio ha costretto i vigili
del fuoco a Roma a decine di interventi per allagamenti di scantinati e
sradicamenti di centinaia di alberi. I pompieri sono intervenuti
soprattutto per la caduta di alberi e rami, nonché di cartelloni
pubblicitari finiti sulla sede stradale che hanno causato disagi e
pericolo per gli automobilisti. Le isole Eolie sono isolate. Ma in
questi giorni di maltempo ci sono state anche eccezioni: i primi
turisti sbarcati alle Eolie per il ponte festivo hanno, infatti, goduto
di una Pasqua soleggiata e mite tanto che molti hanno fatto il primo
bagno, ma la Pasquetta non è stata altrettanto generosa e il maltempo
ha impedito abbronzatura ed escursioni. Le condizioni del tempo sono,
infatti, peggiorate e pioggia e vento hanno imperversato sulle isole.
COLLEGAMENTI MARITTIMI
Nei vari servizi del Corriere della Sera leggiamo che il maltempo e il
mare agitato hanno causato gravi disagi nei collegamenti tra la Sicilia
e le isole minori. Lampedusa e Pantelleria sono isolate, così come le
isole Egadi. Sono state sospese anche le corse per le altre isole,
Alicudi, Filicudi, Stromboli, Vulcano e Panarea. Bloccati nei porti gli
aliscafi della Siremar, Ustica Lines e Ngi e disagi soprattutto per i
tanti turisti che avevano scelto le sette isole per il ponte pasquale e
che non hanno potuto fare rientro nella terraferma. Sono almeno 3 mila
quelli nella attesa di ripartire, e tra loro molte comitive di
tedeschi. Per il mare in tempesta nella rada di Lipari si sono riparati
anche alcuni mercantili e navi cisterna. A Ginostra alla vigilia di
Pasqua una decina di turisti avevano dovuto raggiungere il borgo con un
gommone da Stromboli e altri avevano preferito un elicottero privato,
perché i mezzi di linea, infatti, non avevano potuto fare scalo.
Qui da noi nella Val Padana, non ci sono stati disagi di rilievo.
Domenica giorno di Pasqua, è apparso un pallido sole alquanto freddo,
mentre il giorno successivo il sole si è fatto vedere per così dire a
scacchi, ma nel complesso non bisogna lamentarci, sicuramente non
avevamo allo sfondo quel paesaggio meraviglioso di Nervi e neppure la
passeggiata lungo il mare di Alassio o di Andora. Vogliamo ricordare
quei luoghi come li abbiamo visti nei pochi giorni del nostro
soggiorno, dimenticando come ce li hanno fatti vedere nei servizi
giornalistici e in TV in questi giorni con le mareggiate alte tre o
cinque metri d'altezza, che hanno spazzato tutto il litorale delle più
belle località della nostra bellissima Liguria e del resto del nostro
meraviglioso Paese.
Passeggiata al chiarore della luna
Lungo la spiaggia di Nervi
C'è un posto vicino al mare tra fiori
Bianchi e blu, dove si vede il mare brillare
Sotto i pallidi raggi della luna nella sera
Che muore
Adori di erbe aromatiche
Di eucalipto,risvegliano i sensi e i ricordi di tempi lontani
E' un posto dove tutto e poesia, musica
Spensieratezza e allegria
C'è un posto che fra le rocce di Pinamare
Fiorisce la violacciocca
fra gli anfratti della roccia.
Sembra di essere ritornato ragazzo a giocare
Fra le cose perdute nel tempo
E' un posto di fronte al mare tra i fiori gialli e amaranto
Nell'aria fresca della sera,ritrovi il dolce incanto
Di una felicità che credevi perduta.
Il golfo di Nervi
(Escursione)
E' Primavera? Non ancora, mentre cerchiamo di scrivere questo nostro
itinerario escursionistico di Nervi, un quartiere sito a pochi chilometri
dalla grande Genova, che è stato definito la punta più bella del
Mediterraneo, ma per noi è soltanto un angolo di Paradiso, situato fra
l'azzurro del cielo, il verde degli ulivi, con le sue colline scendenti
verso le rive turchese del suo meraviglioso mare, dove regna la pace,
l'allegria, la bellezza e la gioia di vivere.
Ma dopo una lunga attesa, finalmente possiamo dire che la sospirata
primavera sembra essere alle porte. Il cielo grigio e la pioggia di questi
giorni stanno lasciando spazio a un timido sole primaverile, un sole più
chiaro. Tutte quelle cose che i poeti e i pittori conoscono bene. Anche
per chi non ha la fortuna di vivere d'arte, di poesia, di musica e
d'amore" c'è nel periodico risveglio, dell'Universo un significato
profondo, che solo i grandi pensatori e i filosofi sono in grado di
spiegare. Le stagioni dell'anno sono una metafora, assomigliano in un
certo senso a quella della vita. La primavera, in particolare, è il tempo
delle scoperte, del mondo che nasce o risorge, E' spontaneo, come recita
l'articolo in primo Piano della Rivista del mese di marzo del " II
Carabiniere", che fa l'augurio a tutti noi lettori di rifiorire con i
giorni che verranno dell'attesa e sognata primavera. Sì, è vero, con
l'arrivo della primavera possiamo sempre rinnovare noi stessi, cambiare e
migliorare, trovando quella serenità interiore in ognuno di noi che
andiamo sempre cercando.
La prossima settimana ci saranno due festività: la Festa del Papà il 19
Marzo e la domenica delle Palme. Con Adriana mia moglie, approfittando di
queste due festività abbiamo quindi deciso di trascorrere nel migliore dei
modi questa breve vacanza nella nostra bella, colorata e profumata
Liguria. Per la festa del Papà ci fermeremo in quel triangolo incantato di
Nervi, meta domenicale dei genovesi, nella gita fuori porta. In passato,
moltissimi anni fa, quando, per ragione del nostro servizio nell'Arma
Benemerita, abitavamo a Genova - Quezzi e prestavamo servizio al Forte San
Giuliano, dove aveva sede il II Btg CC: e noi svolgevamo, oltre al normale
servizio di Ordine Pubblico al campo sportivo di Marassi ed essendo
sottufficiale ci era stato affidato il Comando di una squadra fucilieri
motorizzata, quindi il nostro compito era quello di istruire, giorno dopo
giorno, i nostri giovani carabinieri ausiliari. Quando libero dal
servizio, con Adriana portavamo a fare una passeggiata la nostra piccola
principessa Tiziana, che allora aveva otto anni d'età e frequentava la
Seconda elementare. Generalmente, la nostra meta era quel angolo
meraviglioso di Nervi, dove regnava tanta pace e serenità, dove i bambini
potevano ancora giocare immersi nel verde dei parchi e sulla spiaggette
sottostante, senza di essere disturbati da nessuno.
Oggi, 16 marzo 2008, giorno della festa delle Palme, dopo 40 anni, ci
siamo ritornati, ma senza la piccola principessa, che ormai è sposata e ha
molti impegni scolastici, essendo insegnate, presso le scuole elementari
di Viadana. Forse ricorda appena la lunga, meravigliosa e panoramica
passeggiata "Anita Garibaldi di Nervi", ma noi, le abbiamo inviato una
serie di fotografie, scattate con il cellulare e che attraverso la visione
di queste bellissime fotografie sicuramente si rammenterà dei luoghi della
sua fanciullezza, dove serenamente giocava e correva con gli altri bambini
suoi amichetti, compagni di scuola. Oh sì! La vita passa come il vento e
l'ebbrezza della sera di questo meraviglioso mare turchese, che ti lascia
soltanto per segno una piccola carezza che ti sfiora leggermente il viso,
ma lasciando un labile ricordo che difficilmente si può dimenticare ed è
come quei profumi, che sembra debbono svanire, eppure resistono al tempo e
penetrano di sé ogni cosa.
La località dove sorge la cittadina di Nervi, è una delegazione
residenziale all'estrema periferia orientale di Genova. Fa parte del
Municipio IX Levante. A livello di unità urbanistiche sono comprese nel
territorio dell'ex circoscrizione Nervi-Quinto- Sant'Ilario le unità di
Nervi e Quinto. Altre due località meravigliose che sorgono sul litorale.
Come unità urbanistica Nervi, ha una popolazione di 11.114 abitanti (al 31
dicembre 2006.) Dispone di un piccolo porto turistico, di una lunga
scogliera sulla quale è stata costruita la lunga passeggiata intitolata ad
Anita Garibaldi. Leggendo la sua storia, abbiamo appreso che a Nervi, sono
stati girati anche alcuni film. Nel film Palombella rossa di Nanni Moretti
si vede il protagonista in giovane età che lungo la passeggiata a mare di
Nervi porta la sacca con l'occorrente. Per giocare a pallanuoto nella
piscina collocata nel piccolo porto. Le alture a ridosso del mare
garantiscono a Nervi un clima particolarmente gradevole. Nelle giornate
invernali è possibile che la temperatura a Nervi sia superiore anche di 10
gradi rispetto alla temperatura presente nel resto di Genova. Tuttavia dai
dati raccolti in molti anni è emerso che, dopo Ospedaletti, e ancor prima
di Nervi il clima più mite del genovesato e dell'intera Liguria è quello
di Pegli
ORIGINI DELLA LOCALITA'
La storia ci racconta le origine della località, secondo diversi autori,
si deve ad una colonia di celti che vi si stabilirono. L'ipotesi è
avvalorata dal motto "NEAR AV INN" presente sullo stemma nerviese, che
significherebbe "Luogo vicino al mare" e la cui storpiatura ha poi dato
luogo all'attuale nome. Un'altra ipotesi si basa sulla scritta in arvis
(nei campi) che compare su una pietra miliare romana. Secondo questa
teoria il nome della cittadina deriva dalla storpiatura della frase.
Il nome Nervi potrebbe derivare anche dall'imperatore romano Marco Cocceio
Nerva, che fosse dedicato in suo onore da un drappello di soldati a lui
fedele che trovarono rifugio nel borgo. La chiesa di San Siro (chiesa
Plebana): è la prima chiesa parrocchiale di Nervi, che dell'epoca
medioevale conserva il titolo di "Plebana" e la facciata di dimensioni
minori rispetto alle attuali, riscoperta in recenti restauri e lasciata in
evidenza con le pietre a conci di grossa dimensione. All'interno opere
scultoree del periodo neoclassico di vari artisti genovesi, legati
all'Accademia Linguistica di Belle Arti, tra le quali gli scultori
Pasquale- Bocciardo e Bernardo Mantero.
La torre Gropallo, che sorge lungo lo scoglio panoramico della
passeggiata, la storia ci racconta che fu realizzata nella seconda metà
del Cinquecento dopo la pesante incursione del corsaro turco Dragut (Thorgut,
Turgut), prende il nome attuale dal fatto di essere stata collegata al
parco Gropallo nell'Ottocento. Si trova lungo la passeggiata a mare Anita
Garibaldi. Il castello di Nervi: Costruito a protezione dell'approdo,
attuale porticciolo alla foce del torrente Nervi, dove inizia la
passeggiata a mare Anita Garibaldi.
Le ville di Nervi
A Nervi sorgono diverse e bellissime ville, degne di essere visitate, come
Villa Gnecco, che si trova sul torrente Nervi, poco sopra il tratto
attraversato dal ponte storico di Nervi. Costruita nel XVIII secolo, ha la
caratteristica struttura a angoli rinforzati a corpi angolari avanzati,
alla maniera delle fortificazioni, che racchiudono la loggia a tre arcate
al centro.
Villa Gropallo: con il parco fu donata al Comune di Genova.
Villa Luxoro: che sorge all'estremità di Levante del Sestiere, realizzata
all'inizio del Novecento, sede oggi di un museo che ospita le ricche
collezioni di quadri e antiquariato dei proprietari, con le successive
aggiunte. In lei sono alcune note tele di Alessandro Magnasco. Il parco si
affaccia sulla scogliera a picco sul mare da dove l'occhio spazia e si
perde nella profondità dell'orizzonte, tra cielo e mare.
La passeggiata Anita Garibaldi e i Parchi di Nervi
Inseriti nel contesto urbano della delegazione si trovano i tre parchi
conosciuti comunemente come Parchi di Nervi, nei cui due teatri allestiti
all'aperto si è spesso tenuto un importante festival estivo del balletto e
la manifestazione estiva Cinema nel Roseto.
Lungo la passeggiata Anita Garibaldi si trova la torre Gropallo (dal nome
del marchese Gaetano Gropallo che l'acquistò a metà del XIX secolo) nota
anche come "torre del fieno", per via del fieno bagnato che era bruciato
sulla parte superiore della torre per produrre fumo e segnalare pericoli.
La costruzione della torre è risalente alla metà del cinquecento, ma negli
anni è stata modificata e restaurata più volte. Nel 1936 la torre fu
acquistata dal comune di Genova, e successivamente ospitò la sede della
Lega navale italiana e la sezione di Nervi dell'Associazione Nazionale
Alpini (presente ancora oggi). La passeggiata fu costruita in due tempi
dal marchese Gropallo, la prima parte nel 1862, per collegare il
porticciolo con la torre Gropallo, la seconda nel 1872 per collegare Via
Serra Gropallo (la strada che attraversa i parchi) con la zona di
Capolungo, ma sembra che lungo il percorso della passeggiata esistesse fin
dalla prima metà del XIX secolo un piccolo sentiero, usato principalmente
dai pescatori e contadini del luogo. La passeggiata prevede diversi
accessi (di cui alcuni chiusi per motivi di sicurezza) alla scogliera
sottostante, che durante i mesi estivi è intensamente frequentata da
bagnanti e da qualche pescatore.
Trasporti pubblici.
Nervi è interessata da due autolinee interne, la circolare 517 e la linea
516 per la frazione di Sant'Ilario. Il quartiere è inoltre collegato al
centro di Genova tramite le linee 15 e 17, la linea serale 607 e la
notturna N2, che fanno capolinea nella delegazione. Tutte le autolinee
urbane sono gestite dall'AMT.
Un altro importante collegamento è rappresentato dalla ferrovia; la
stazione di Genova Nervi è servita da tutti i Regionali, Diretti ed
Interregionali, con un servizio verso il centro di tipo suburbano.
Storicamente erano presenti sul territorio nerviese anche le due fermate
ferroviarie di Sant'Ilario (nota perché citata in "Bocca di Rosa" di
Fabrizio de André) e di Cattaneo (nelle adiacenze del porticciolo). I
parchi di Nervi comprendono la grande distesa di verde costituita dalle
Ville Gropallo, Serra e Grimaldi che per complessivi circa 92.000 mq. Si
estende tra la passeggiata a mare Anita Garibaldi e l'antica strada romana
senza soluzioni di continuità. Si tratta di un complesso
storico-ambientale di ispirazione romantica dal valore inestimabile che
ospita piante esotiche e tropicali oltre alla tipica flora mediterranea.
Pittoresche, viali che si aprono ad ogni curva su nuove prospettive con il
mare azzurro sullo sfondo. A Nervi agavi, palme di ogni tipo, cedri e
araucarie convivono con l'albero del pepe sotto la splendida chioma di
antichi e maestosi pini marittimi insieme a ulivi ed oleandri. E' un vero
giardino botanico, molto ammirato specialmente dai turisti inglesi e
tedeschi. Grandi prati degradano dolcemente verso il mare contornati da
romantici viali, mentre tra il verde appare, inaspettato, l'azzurro
intenso del mare. Le Ville Gropallo e Serra furono acquistate dal Comune
di Genova nel 1927 per la somma complessiva di lire 6.200.000 e furono
aperte al pubblico poco dopo diventando, con la passeggiata a mare, la
principale attrattiva turistica di Nervi. Da una rivista specializzata,
apprendiamo che la costruzione della Villa Gropallo risale alla seconda
metà del Settecento e prende nome dal suo primo proprietario, Marchese
Gaetano Gropallo. Si tratta di un bel edificio con sale in diversi stili
con l'aggiunta di un insolito bovindo in stile moresco all'interno e ricco
di pensiline realizzate in ferro battuto all'esterno. A lungo residenza di
campagna della famiglia Gropallo ancora a metà dell'Ottocento la Villa era
circondata da un esteso giardino all'inglese che, prima della costruzione
della ferrovia, arrivava sino al mare. Acquistata dal Comune di Genova nel
1927 fu inizialmente adibita a sede dell'Azienda di Soggiorno e del
Circolo dei Forestieri mentre attualmente ospita la Biblioteca Comunale
"V. Brocchi" e la locale Stazione dei Carabinieri. L'edificio ha ospitato
nel tempo molti personaggi famosi nel campo dell'arte e della letteratura
tra cui Gabriele D'Annunzioed Eleonora Duse e la scrittrice francese Gorge
Sande.
Il Parco fu ristrutturato radicalmente dal Marchese Gropallo agli inizi
dell'ottocento, quando ulivi, viti ad agrumi furono sostituiti da palme,
cedri del Libano e altre piante esotiche. Attrazioni del Parco ancora
adesso sono il vasto prato luminoso antistante la Villa fiancheggiato dal
viale delle sclerofille che suggerisce, con gli antichi lecci (Quercus
ilex), l'ambiente di un bosco ombroso. Poco lontano si può vedere il viale
delle palme che, rare ed esotiche nell'Ottocento, costituivano il vanto
della famiglia Gropallo ed erano molto invidiate dagli ospiti. Tra gli
esemplari arborei più interessanti sono da segnalare: eucalipti dalle
foglie pendule e dalla corteccia sfogliata (Eucaliptus globulus; una
maestosa fitolacca (Phytolacca dionica); tra le palme, l'imponente e
curiosa jubea (Jubaea spectabilis) e l'araucaria (Araucaria bidwilli) i
cui frutti possono arrivare sino a cinque chilogrammi; le cicas (Cycas
revoluta), dall'aspetto di palme ma prossime alle conifere, veri e propri
fossili viventi.
Villa Serra, in Via Capoluogo 1, risale al secolo XVII e appartenne
prima ai Marchesi Saluzzo poi ai Morando, ai Serra e quindi all'armatore
Carlo Barabino che la cedette nel 1926 al Comune di Genova. Nel corso dei
secoli la costruzione fu ingrandita a più riprese e i terreni circostanti,
coltivati sino ad allora a ulivi e agrumi, in uno dei più bei parchi
dell'epoca. La villa, che nel 1928 ha accolto la Galleria d'Arte Moderna
ha ospitato nel tempo numerosi ospiti illustri tra i quali la regina
Amelia, figlia di Ferdinando IV Re delle Due Sicilie, Federico Guglielmo
Imperatore di Prussia, la regina Maria Cristina di Spagna e molti altri
personaggi illustri tra cui lo storico francese Jules Michelet (A.
Capellini 1931). La Galleria d'arte Moderna è stata restaurata e riaperta
al pubblico nel novembre 2004. A fianco della Villa si trova la bella
cappella gentilizia, mentre sul fronte sud si estende un vasto prato
all'interno di un giardino all'inglese che offre anche suggestivi e
romantici corsi d'acqua che scorrono sotto ombrosi cipressi (Cupressus
sempervirens). Pino domestici (Pinus pinea); lecci (Quercus ilex), allori
(Laurus nobilis) e carrubi (Ceratonia siliqua) Altre piante interessanti
sono una Thuja occidentalis dal caratteristico portamento a candelabro, le
molte palme diverse e insolite e una quercia da sughero (Quercus suber)
oltre ai più comuni olivi (Oliva europea), cedri (Cedrus sp.), noccioli (Corylus
avellana), maggiociondoli (Laburnum anagyroides), roveri (Quercus petrae),
ippocastani (Aesculus hippocastanum), camelie (Camelia japonica) ecc. Il
parco ( 23.415 mq) è popolato da numerosi scoiattoli ed unisce Villa
Gropallo a Villa Grimadi attraverso ponticelli che scavalcano le strette e
dritte viuzze che portano dall'Aurelia al mare.
Villa Grimaldi
Non si conosce la data della sua prima costruzione che alcuni autori (tra
cui Gajone) fanno risalire al cinquecento. Certamente esisteva nel 1773
(come visibile dalle carte di M. Vinzoni, cartografo della Repubblica di
Genova) ed è noto che la Via Capolungo anticamente si chiamava via
Grimaldi. I dati catastali storici ne attestano il passaggio di proprietà
alla famiglia Croce. L'ultima ristrutturazione risale alla fine degli anni
'50 a cura dell'Arch. Luigi Carlo Daneri. Attualmente ospita il Museo che
accoglie le "Raccolte Frugone". Accanto alla Villa si trova una cappella
(oggi chiusa) della seconda metà del settecento. Il Parco e la Villa
Grimaldi sono stati acquisiti dal comune di Genova nel 1979 dagli armatori
Fassio Lomellini.
Complessivamente il Parco occupa una superficie di ca. 28.000 mq. ed è
costituito da un bel parco all'inglese dolcemente digradante verso il
mare. Si tratta di un luogo molto piacevole da percorrere, anche se
purtroppo è tagliato in due parti dalla ferrovia che collega Genova a
levante, ferrovia che comunque corre incassata nel terreno e non disturba
eccessivamente il panorama. Tra le piante più interessanti, nei pressi
della Villa, si può vedere una falsa canfora (Camphora glandulifera)
censita tra gli alberi monumentali. La parte sud si affaccia sulla
bellissima passeggiata a mare con meravigliosi scorci sulla scogliera e
sul promontorio di Portofino. Qui si possono ammirare bellissimi esemplari
di piante succulente La parte est del parco accoglie un famosissimo
Roseto, al momento in via di recupero ma che, in primavera, ha sempre
suscitato nei visitatori un generale entusiasmo e ha ospitato per anni
l'importante Concorso Internazionale della Rosa Rifiorente (Premio
Genova).
Villa Luxoro
La Villa Luxoro si trova nella parte a levante di capoluogo sulla Via
Aurelia e fu costruita dal 1901 al 1903 dai fratelli Luxoro su un terreno
agricolo coltivato ad agrumeti ed ulivi. La costruzione e l'incantevole
parco circostante fu successivamente donata al Comune di Genova in memoria
di Giannettino Luxoro caduto durante la Prima Guerra Mondiale. Dal 1951
ospita il Museo "Luxoro" esempio di abitazione tipica della borghesia
genovese all'inizio del novecento. Nel museo sono esposti mobili, orologi
antichi con numerose pendole, dipinti e oggetti da collezione. In
particolare si possono vedere pregiati presepi del 1600 e 1700.
La Villa è circondata da un magnifico parco (8.500 mq.) che conserva un
aspetto naturale con grandi pini e bellissimi scorci a picco sul mare.
Sono presenti le tipiche essenze mediterranee: lecci (Quercus ilex), pini
domestici (Pinus pinea), pini di Aleppo (Pinus halepensis), cipressi /Cupressus
sempervirens) oltre a numerosi arbusti della macchia come lentischio (pistacia
lentiscus), corbezzolo (Arbutus unendo), carrubo (Ceratonia siliqua).
Numerose piante esotiche, eucalipto (Eucaliptus globulus), agave (Agave
americana), cicas (Cycas revoluta) e diverse specie di palme, che
aggiungono alle bellezze mediterranee un tocco di esotismo, che ciò non
guasta mai.
A Nervi, siamo rimasti un paio di giorni, per ammirare con calma le sue
bellezze naturali, i suoi Musei, le sue chiese, i suoi Palazzi e le
meravigliose Ville del Parco. Il mattino del 18 marzo, il sole era alto
nel cielo, quando a bordo della nostra Pegeout 1007, abbiamo a malincuore
lasciato la bella cittadina di Nervi, diretti a Quarto, Quinto e Corso
Italia, dove sorge l'antico Forte San Giuliano, dove ha sede il Comando
Provinciale dell'Arma. Era doverosa una breve sosta, per immortalare sulla
pellicola della macchina fotografica le mura del forte, che ci videro nel
fulgore della nostra gioventù, su quegli spalti a addestrare i nuovi
carabinieri ausiliari. Proseguendo pochi centinaia di metri dal forte, ci
siamo nuovamente fermati per ammirare le bellezze paesaggistiche della
Foce, allo sfondo i palazzi e le magnifiche ville della vecchia Genova. La
sopraelevata in un battibaleno ci ha portati in Piazza Caricamento, una
delle piazze più belle di Genova, dove sorge il grande porto commerciale e
i carruggi della vecchia e bella Genova. Nel pomeriggio, dopo di esserci
rifocillati in un tipico ristorantino, sito in Via Pré nel centro storico,
abbiamo visitato l'Acquario, costruito dal grande architetto Renzo Piano,
noto in tutto il mondo per le sue architetture innovative, dove abbiamo
ammirato pesci rarissimi, provenienti da tutti i mari del mondo.
Prima di lasciare la città di Genova, per Andora, siamo saliti fino alla
Basilica di Carignano, che sorge sopra la collina, ma dopo questa visita
non potevamo tralasciare la Chiesa della Concezione dei Cappuccini, meta
di devoto pellegrinaggio alla tomba del Padre Santo. al secolo, Giovanni
Francesco Coese da Caporosso - " poverello di Cristo ( dice la lapide) -
più beato nel dare che nel ricevere- pei dolori e pei bisogni di tutti -
aveva pane, consiglio, conforto". Chiesa semplice e nuda, sia all'esterno
come all'interno, d'una semplicità veramente francescana; con i suoi lindi
altari di legno lucido; con le volte e le pareti, senza ornamenti,
odoranti di bianca calce. A fianco della chiesa è un tempietto, adibito a
presepio, ove trovasi sepolto il poeta genovese Martin Piaggio, morto il
22 aprile 1843. Lo ricorda una lapide di marmo nero venato di giallo, su
cui si legge l'epigrafe da lui stesso dettata:
Questa è l'epigrafe in dialetto genovese:
"Sotto questa poca terra
E quattro asse con gran stento
Pe-a famiglia e per l'l'onò,
Ma chi è morto assae contento
Confidando ne-o Segnò.
Preghe paxe a-o peccatò".
Ricordando gli anni Ottanta
( Racconto)
Gli anni Ottanta nel nostro Paese, sono stati anni da dimenticare, anni
veramente difficili Giorno dopo giorno, tutte le forze dell'ordine
erano sul piede di guerra, di quella guerra silenziosa, dove non si
sapeva dove si nascondeva il vero nemico da battere: Di quella guerra
senza quartiere che non risparmiava nessuno, incominciando dai
politici, perché quella era una guerra soprattutto politica,
dell'estrema sinistra. Quindi, eravamo tutti sul mirino, dai politici
ai giornalisti, ai militari, agli insegnanti e persino ai semplici
cittadini. In quel tempo, noi eravamo di stanza a Gazzuolo, un borgo
antico a pochi chilometri da Mantova, quale comandate di quella
stazione Carabinieri in quel periodo buio del nostro Paese. Come il
lambruscone nostrano nelle botti in cantina, anche il lungo inverno
stava puntualmente fermentando. Nell' aria fredda e nebbiosa passavano
i lieti annunci delle festività che tornavano a scuotere il letargo
padano. Si preparavano per Mantova e il suo contado , la sospirata
follia degli " ultimi giorni di Carnevale, e la piccola capitale,
ansiosa di esplodere, ne viveva la gaia vigilia. Il paese di Gazzuolo,
dove eravamo comandante di quella Stazione CC: da alcuni anni, era ed è
ancora oggi un piccolo paese che in fondo non era che una strada, tutto
una lunga strada ordinata e abbellita di qualche palazzotto, di un
nobile porticato e di tante dignitose casette.
In quei tempi bui della politica e soprattutto della nostra storia, il
nostro era un paese vario, difficile, non si sapeva da dove
incominciare e dove si andava a finire. Era tutto un susseguirsi di
situazioni scabrose, che impegnava i nervi, l'estro e perché no, anche
l'astuzia sino all'esasperazione. Il nostro è un Paese che dal punto di
vista etnico, geografico, psicologico e soprattutto politico, è
diversissimo dagli altri, frastagliato e pieno di imponderabilità, che
non si può prevedere, valutare in tutti i suoi più vari aspetti.
Certamente è stata una guerra, una guerra di nervi, di attese, con
aspetti tragici e ripetitivi, perfino anche nel dolore e nella
disperazione nel complesso della sua tragicità, causando lutti, paure e
disordini di ogni genere. Abbiamo visto impegnati gli uomini migliori,
non solo quelli dell'Arma, ma di tutte le forze di polizia, accomunati
in un solo sentimento, in quel sentimento di abnegazione verso le
istituzioni del nostro Paese Sicuramente, sono stati tempi difficili,
tempi duri da superare, per riportare nuovamente nei nostri villaggi e
nelle grandi città, quella pace, quella tranquillità e quella sicurezza
agognata dalla nostra gente, che da tempo tendeva ad una giustizia
migliore, nella quale l'uomo, ogni uomo e tutti gli uomini, possono
nuovamente sentire la loro dignità di sempre.
Dalle montagne altissime, nevose, ghiacciate dei confini alpini alle
piazze iridescenti, della Sicilia,dal Carso gelido, sibilante di vento
e di tempesta alle isole del Mediterraneo bianche e assolate; dai
boschi verdi dell'Appennino ai laghi fiabeschi dell'interno; dalle
grandi città ai piccoli borghi come il nostro, era un continuo e
assillante pensiero, un cruccio, uno stimolo, un incitamento a
continuare quella lotta, quella battaglia, a debellare e così
sconfiggere, sgominare il tremendo e brutale terrorismo.
Quel movimento di contestatori, quella setta terroristica, ha infangato
i valori democratici del nostro Paese, trascinato in responsabilità più
grandi di loro, in quella impresa senza ritorno, coinvolgendo nei suoi
ingranaggi, centinaia e centinaia di giovani, che ha pescato fra noi,
nelle nostre case borghesi, artigiane, impiegati e proletari, studenti
e operai, ricchi e poveri, trasformandoli in crudeli e semplici
delinquenti comuni, assetati di vendetta e di tragiche azioni
criminose. Il bene comune, oggi più che mai, anche in ordine allo
auspicato rinnovamento giuridico - politico - sociale dei popoli, si
può promuovere e consolidare soltanto garantendo l'autentica maturità
politico - sociale.
E' terra magica la nostra, divertita dalle sue astruserie, bislacca,
mutevole fatta apposta, per quel gioco millenario del rimpiattino che è
poi un po' il compendio della sua storia e della sua morale. Ebbene, su
questo terreno vario, circospetto, suscettibile, come scriveva - Ugo
Franzolin, nella storia dei Carabinieri - il carabiniere si muove con
pacata certezza, sapendo bene di cavalcare un capricciosissimo
destriero, sulla direzione da prendere. Non concede scarti silenziosi,
vede le umane debolezze perché è nato dal popolo e conosce del popolo
italiano le angustie dolorose, le prove ingrate, le attese estenuanti
ma la coscienza che il bene comune é un patrimonio inscindibile e che
in questo bene tutto è racchiuso, non solo la radiosa, secolare
primavera delle nostre ottimistiche speranze, ma anche la notte quieta
del nostro dolore, le ore buie delle nostre quotidiane disillusioni.
Il suo giorno è lungo, come è lunga la sua storia; il suo giorno anzi,
non finisce mai, perché per l'Arma il giorno e la notte si confondono
per la tutela di questo bene morale e spirituale, di questo bene di
tutti che va al di là di ogni limite di tempo e può pretendere la vita
stessa dei nostri figli migliori. Quei tempi, quei lontani tempi della
contestazione globale, tecnica usata dagli extraparlamentari di
sinistra per aprirsi la via del potere, possiamo affermativamente dire
che sono finiti nel dimenticatoio del popolo italiano.( Essi hanno
tanto cavalcato la tigre che alla fine caddero e furono mangiati). Il
grande giornalista e scrittore Indro Montanelli e Mario Cervi, così
hanno scritto degli anni di piombo.
"Oggi, molto più che la Resistenza, o il tempo della guerra fredda,
sono stati il tempo in cui si è formata la classe dirigente che ci
governa: intorno a queste storie, ma direi addirittura intorno ai
cadaveri - a destra come a sinistra - si centrifugano i destini e le
biografie. Per dire: chi era al fianco di questi ragazzi, a destra, è
diventato deputato. Chi ha iniziato la lotta armata uccidendo questi
ragazzi è poi finito ad uccidere Moro. E non dico metaforicamente: nel
caso di Alvaro Lojacono, imputato per il delitto Mantakas, è stato il
vero e proprio battesimo di una carriera che lo ha portato a Via Fani.
Il pm di quel processo, è il futuro ministro Mancuso… e potrei
continuare così per ore, chi legge queste ottocento pagine avrà molte
sorprese!
Note storiche:Tutto cominciò con un diffuso disagio nel Paese: l'Italia
era stata ricostruita, c'erano stati gli anni del boom, si conosceva -
per la prima volta dopo l'Unità - un benessere per così dire di massa:
l'utilitaria, le vacanze, la casa di proprietà, la possibilità di
spendere per divertirsi. Ma tutto questo, a un certo momento, sembrò
non bastare più: gli uomini di governo come il solito non si accorsero
di niente, gli industriali seguirono una politica miope e di corto
respiro, le opposizioni di sinistra e di destra fecero il loro mestiere
soffiando sul fuoco. Nulla di male: tutto questo rientrava nel gioco
della democrazia, era in bilancio, poteva essere risolto. Ma
all'improvviso tutto cambiò, tutto non fu più come prima. Le
occupazioni universitarie abbandonarono ben presto la forma non
violenta, alla logica fu sostituito il delirio delle citazioni dal
libretto di Mao, quando non la chiave inglese, gli scioperi divennero
violenti e selvaggi, nelle assemblee di fabbrica e universitarie si
imposero la prepotenza e l'intimidazione... E poi, in una tragica e
sanguinosa catena, gli attentati, le stragi, il terrorismo, i morti
ammazzati, la menzogna spacciata per verità. Sembra passato un secolo
da quel tragico periodo, invece è soltanto ieri. In questo libro Indro
Montanelli e Mario Cervi rievocano quelli che chiamiamo gli anni di
piombo, gli anni più bui della nostra storia recente: anni dove
imperavano la violenza a tutti i livelli, la malafede, le opinioni non
curanti dei fatti, la velleità di una certa borghesia che cercava di
cavalcare la tigre della contestazione, il conformismo, il mito di una
rivoluzione impossibile che si credeva dietro l'angolo. Erano in pochi,
allora, a dire le cose come stavano, ad avere il coraggio di schierarsi
con la verità. Montanelli e Cervi sono stati tra questi, "il Giornale"
in quegli anni fu uno dei pochissimi mezzi di informazione che si
sbatté sempre per la libertà, la Libertà con l'elle maiuscola. In
queste pagine rivivono quegli anni di violenza; rivivono i protagonisti
di quegli avvenimenti; ci sono presentati i fatti, la viltà dei molti,
il coraggio di pochi. Una rievocazione appassionante, scritta con
slancio e con orgoglio, che si conclude con l'elezione di Sandro
Pertini, nel luglio del 1978, alla presidenza della Repubblica. Un
libro prezioso, documentatissimo, graffiante; un libro che solo Indro
Montanelli e Mario Cervi potevano scrivere. Volta Mantovana. Questo
borgo medioevale, che s'asside sulle ultime colline meridionali
dell'anfiteatro morenico, fu nei giorni 26 e 27 luglio 1848 oggetto di
lunghi e sanguinosi assalti che i Piemontesi del II Corpo D'Armata al
comando del De Sannaz mossero contro gli Austriaci, per proteggere il
concentramento a Goito del rimanente esercito
Nei pressi dell'alto corso del Mincio, gli eventi geologici e la
vicinanza al Lago di Garda hanno disegnato una regione collinare di
tipo morenico, ovvero formata dall'accumulo dei detriti trascinati a
valle dall'azione dei ghiacciai, e proprio il profilo vivace delle
colline caratterizza l'itinerario che attraversa questa ondulata
regione, da Peschiera del Garda a Desenzano, passando per luoghi di
grande interesse storico. Tra questi spicca Solferino, sede di un
cruento episodio bellico nel corso del Risorgimento italiano, ricordato
ancora oggi da molte vie nelle città italiane. Solferino, peraltro, fu
l'occasione in cui, ammirato e colpito dallo spirito di altruismo
mostrato dalle genti locali, Jean Henry Dunant trasse l'idea della
Croce Rossa, organismo volontario e permanente di soccorso, e vi dedicò
la vita. L'intero itinerario è immerso nel verde spontaneo delle
colline o nei campi coltivati della campagna gardesana.
Usciti dalla stazione di Peschiera si procede verso una rotonda in cui
svoltare a sinistra entrando in un'ampia strada cittadina che costeggia
il Lago di Garda. Dopo 1.3 km si seguono le indicazioni per Mantova -
Pozzolengo che conducono rapidamente verso la provincia di Mantova e le
colline: al km 3.5 si entra in Ponti sul Mincio, paese da attraversare
in direzione di Monzambano. Sempre su gradevoli saliscendi si arriva a
Monzambano (km 7.2), altro paese da attraversare lungo la direttrice
principale: in uscita dal paese si segue la direzione Volta Mantovana-
Quindi, per arrivare a questo bellissimo borgo medioevale, con le sue
stradine strette e gli affacci panoramiche ci sono diverse strade da
percorrere. Noi , per esempio, per raggiungere questo stupendo e
panoramico borgo barbicato sulla stupenda collina, da Campitello
abbiamo percorso una parte della bassa pianura Padana fino alle colline
moreniche, dove appunto,sorge sul vertice questo bellissimo e storico
paese. Da Volta Mantovana, siamo transitati più volte per raggiungere
la bella città di Peschiera sul Garda, ma non sapevamo che al vertice
della collina morenica, in un luogo che con lo sguardo si abbracciava
un paesaggio da sogno. In cima a quel colle sorge un moderno e
funzionale Ospedale, che è sito in mezzo al verde. Lassù, si respira
una pace solinga e un'aria pulita, adatta proprio per un luogo di cura
come quello , Appena entrati in quel nosocomio, ci ha fatto un'ottima
impressione: era tutto nuovo, luccicante, funzionale ed il personale
molto accogliente. Siamo giunti i quel lindo ospedale, perché
indicatoci dal nostro oculista, per essere sottoposti ad un prelievo
alla palpebra sinistra,per analizzarlo in laboratorio, che ha avuto la
durata di pochi minuti. Al termine della breve operazione, la simpatica
e gentile infermiera, ci ha offerto anche un ottimo caffè, per tirarci
su il morale, anche se il morale era alle stelle., ma non è stato il
caffè in se stesso, ma l'atto con il quale ci è stato offerto.
Quindici giorni più tardi, il Direttore di quel Ospedale, ci ha
convocati nel suo ufficio, per informarci dell'esito degli esami.
Appena entrati in ufficio,per prima, come vuole la buona creanza,
presentai mia moglie e poi mi sono presentato io: Sono il maresciallo
Diego Cocolo. Il Direttore si è alzato dalla sua scrivania e ci è
venuto in contro, presentandosi a sua volta. Ci ha spiegato dell'esito
degli esami, rassicurandoci che non si trattava di cose gravi, ma
soltanto di un'infiammazione ghiandolare, che con una piccola cura
tutto sarebbe rientrato nella normalità. Rimanendo nel campo militare,
il Direttore, ci ha detto che anche suo padre era un maresciallo
dell'Esercito Italiano e quindi anche lui faceva parte della grande
famiglia. Dopo la pausa caffè, ci ha raccontato un episodio che gli è
capitato nel corso degli anni di piombo. Proseguendo nel suo
discorso,ha rievocato una pagina di quei momenti tristi e bui del
nostro Pese, egli ci ha riferito che una sera, mentre percorreva la SS,
Sabbionetaba e diretto a Volta Mantovana, di essere capitato in un
posto di blocco dei Carabinieri., proprio tra Commessaggio e Gazzuolo.
Il militare di servizio gli ha intimato l'alt ed egli si è subito
fermato nel luogo indicatogli dal militare. Stesso Il cielo era coperto
e stava incominciando a nevicare quando vide che il comandate del posto
di blocco si stava avvicinando, di essere sceso dalla sua autovettura
ed essendosi alquanto spaventato, è uscito con le braccia alzato, come
se fosse stato un prigioniero di guerra. Appena giunto il
sottufficiale,le chiese di abbassare le braccia e di fornirci i
documenti personali e quelli dell'autovettura. Il maresciallo, dopo di
averlo tranquillizzato, perché era alquanto provato, lo ha salutato
militarmente, dicendogli: un medico non deve avere mai paura, vada
tranquillo Signor. Dottore, è stato solo un normale controllo.
Quando il dottore ha terminato la sua rievocazione storica, gli ho
detto: Si, è vero, quel maresciallo ero proprio io . Quelli erano tempi
tristi, molto tristi, le paure e le preoccupazioni erano all'ordine del
giorno, ma quelle paure sono state gli anticorpi che ci hanno permesso
di continuare a vivere giorno dopo giorno.
Nel corso della nostra lunga carriera militare, ci siamo più volte
trovati in casi del genere, ma abbiamo sempre mantenuto un
comportamento di freddezza e di calma. Solo così si riesce a vincere la
paura. Non sappiamo che cosa sia il panico, perché in certe situazioni
non cera tempo per pensare al panico o alla paura, bisognava soltanto
agire con determinazione se si voleva portare a casa la pelle. Come
abbiamo detto sopra, una specie di paura può venire dopo, quando tutto
è terminato e pensi a quello che sarebbe potuto succedere, ma ormai è
tutto passato e dopo la tempesta ritorna sempre il sereno.
La prima neve.
C'era una volta ieri, una vecchia canzone d'amore sempre viva, sentita
su le cime dei pioppi alte su le golene del nostro fiume. La provincia
di Mantova, dove viviamo da molti anni, con il suo vasto territorio
pianeggiante, solcata da fiumi, laghi e canali, non è stata interessata
nell'ultima o per meglio dire nella prima nevicata dell'anno, Sono
molti anni ormai che non nevica L'ultima volta che é nevicato
seriamente e abbondantemente, fu nell'inverno del 1985, che procurò
molti danni a capannoni agricoli e abitazioni, nonché alla circolazione
stradale. Quest'anno quasi tutta l'Italia è stata stretta in una morsa
di neve e di ghiaccio. Da alcuni ormai non nevica più in questa
provincia e nel constatare tutto questo sembra che sia un angolo felice
della grande Valle Padana. Mentre in tutte le Regioni del Paese,
nevicava qui da noi si sono verificate soltanto delle brinate notturne,
che con il sorgere del sole tutto ritornava alla normalità, Soltanto i
fossi, le golene e gli argini del fiume Oglio e le spiagge del Po,
erano imbiancate dalla brina notturna che con il sorgere del sole si
dissipava e ritornava il paesaggio bucolico dei vecchi tempi.
Da quando abbiamo lasciato il servizio attivo nell'Arma e siamo
transitati in quiescenza, abbiamo messo da parte i vecchi codici e i
regolamenti e siamo ritornati al vecchio amore della pittura,
approntando gli attrezzi del "pittore della domenica": cavalletto,
tele, pennelli e casetta con i colori e siamo ritornati nei vecchi e
caratteristici borghi della " Bassa" padana, per dipingere gli angoli
più belli. Uno dei nostri itinerari preferiti erano le sponde del
vecchio fiume Oglio, con le sue bellissime e pittoresche insenature, i
cascinali, i fossati con i lunghi filari dei pioppi e gli scorci
panoramici. Insomma, gli angoli più belli del fiume della vita, come
pure il vecchio ponte di barche dell'Oglio, sono stati oggetto della
nostra pittura Alcuni anni fa, in una mostra estemporanea sull'argine
dell'Oglio, abbiamo dipinto un bellissimo quadro, riproducente il ponte
di barche, tanto che la giuria giudicatrice delle opere, l'ha ritenuto
meritevole, sia per la sua prospettiva quanto per l'impronta cromatica,
assegnando immeritatamente il primo premio. Adesso che stanno per
arrivare le bellissime giornate di sole, mentre nel resto del Paese
continua a nevicare copiosamente, qui nella " Bassa" padana, è
meraviglioso farsi una bella, distensiva e lunga passeggiata in
bicicletta o a piedi lungo i sentieri e le strade bianche che seguono
l'argine del vecchio fiume. Man mano che ti addentri nella valle scopri
vasti orizzonti lontanissimi, questi cieli che ti avvolgono
completamente senza le quinte delle montagne spruzzate di neve.
Naturalmente oggi è tutto brullo, ma iniziando dal mese di aprile e
maggio, c'è tanto verde che scoppia e aggredisce persino i sentieri e
gli argini del placito fiume. Oltre alla pianura senza orizzonte, anche
le golene sono coltivate a pioppeti e si può cogliere in questo
profondo orizzonte una grande visione dell'insieme e che persino ti
ispira dei versi pastorali, ma noi non siamo poeti ma semplici
osservatori delle manifestazioni della Madre natura. Qui è tutta poesia
e bellezza, dove si può scoprire una realtà contadina che molte persone
non conoscono ancora. E' una natura che colpisce, una natura che da
queste parti ha un aspetto del tutto diverso dai sentieri dolomitici e
collinari. Dopo Sant'Alberto, seguendo l'argine del fiume Oglio, si
incontra il Ponte di barche di Torre d'Oglio, oggi molto contestato fra
i comuni limitrofi e l'amministrazione provinciale. Proseguendo la
passeggiata oltre il ponte di barche, si ammira un paesaggio
naturalistico senza pari e proseguendo oltre, ci si può fermare dove
quest'ultimo si sposa con il grande e vecchio fiume Po, da dove
l'orizzonte si allarga e si confonde con il paesaggio piatto dell'altra
sponda reggiana, con lunghi filari di pioppi. Quel angolo della foce
dell'Oglio, è un angolo particolare dove si respira un'atmosfera
diversa, dove regna il silenzio e la pace. Di tanto in tanto, questo
silenzio è interrotto dal cinguettio degli uccelli acquatici che si
rincorrono nelle piccole anse del fiume. Guardando da vicino questo
luogo, ci sembra di ammirare una piccola oasi d'acqua stagnante dove si
incrociano diversi canali e si rincorrono le anatre selvatiche. Più
avanti, gli aironi grigi, continuano imperterriti e indisturbati a
pescare i pesciolini e le rane. Pensando al passato, possiamo
interpretare l'anima degli uomini che era piena, solida, uniforme come
il paesaggio che si ammira nella sua vastità e nella sua meravigliosa
bellezza, tutto conquistato alle acque, che il poeta cantava:
" Acque serene ch'io corsi sognando/
Nella dolcezza delle notti estive/
Acque che vi allargate fra le rive/
Come un occhio stupito, a quando, a quando./.
Oh! Nostalgiche acque di sorgiva, /
Acque lombarde che transitate
Silenziosamente sotto il vecchio e
Glorioso Ponte di Barche del fiume Oglio.
Dalla cronaca del Corriere della Sera e di alcuni quotidiani locali,
apprendiamo che la grande città di Milano, questa mattina si è
svegliata con la neve in molte zone del centro e del nord Italia, ma
per il momento la circolazione stradale non risente di particolari
problemi, anche perché il traffico è ridotto a causa del periodo
festivo. La massima intensità delle precipitazioni è tuttavia prevista
in molte regioni come il (Piemonte, la Lombardia, la Liguria, l'Emilia
Romagna e il Veneto) nel pomeriggio e nella serata di giovedì. Secondo
le indicazioni dei meteorologi anche in pianura si potrebbe arrivare ad
almeno 20 centimetri di neve.
Il tunnel del monte Bianco è stato chiuso ai mezzi pesanti dalle 8,30
fino a venerdì "per una differenza di pressione atmosferica fra Francia
e Italia". Lo ha annunciato il Centro nazionale di informazione
stradale francese (Cnir). Si tratta di una misura precauzionale dal
momento che forti differenze di temperature fra i due Paesi rischiano
di provocare una cattiva ventilazione del tunnel. I mezzi pesanti
diretti in Italia potranno utilizzare il tunnel del Frejus. Per
informazioni sul traffico in tempo reale è possibile chiamare il Centro
multimediale di Autostrade per l`Italia al numero 840.04.21.21.
A Milano i primi fiocchi sono cominciati a scendere verso le 8. A
partire dalle 12 fino alle prime ore di venerdì è previsto un
peggioramento in particolare a Milano e in tutta la parte occidentale
della regione (Varesotto, Oltrepò Pavese, Milanese): fino a 15
centimetri di neve sulle Prealpi e cinque centimetri in pianura.
Venerdì dovrebbe nevicare solo sopra i 500 metri di altitudine. Nel
Bergamasco una Land Rover è precipitata lungo un pendio fermandosi
sull'orlo di un burrone. Alla guida c'era un 25enne che non ha
riportato ferite serie. I soccorsi non sono stati facili a causa della
neve, tanto che l'equipaggio dell'ambulanza (senza catene è stato
portato sul posto dalla jeep della Polizia provinciale.
Apprendiamo inoltre che nevica anche lungo tutta l'autostrada A6
Torino-Savona. Autostrade per l'Italia segnala precipitazioni nevose
sulla A7 Genova-Milano da Bolzaneto a Serravalle e sulla A26 tra Masone
e Alessandria. La Polizia stradale raccomanda massima prudenza per la
possibile presenza di ghiaccio. Secondo le previsioni meteo la
situazione dovrebbe peggiorare nelle prossime ore.
Anche nel Veneto nevica da questa mattina su tutto il Veneto. Nelle
città è già scattato il piano anti-neve messo in atto dalla Protezione
civile. A Venezia e terraferma è stato attivato il piano comunale per
l'emergenza neve scattato alle 10. I disagi maggiori si registrano
comunque nelle zone alpine dove è consigliato il transito muniti di
catene.
Anche nell'Emilia leggere nevicate dalla mattina su alcune aree, ma
senza problemi alla viabilità. Interessate in particolare l'Autosole
tra Reggio Emilia e Piacenza e il tratto appenninico tosco-emiliano tra
Rioveggio e Calenzano, l'A15 Parma-La Spezia nella zona di Berceto e la
superstrada E45, l'unica dove è al momento in vigore l'obbligo di
catene a bordo dei veicoli. Nevischio anche nel centro di Bologna.
In Toscana, precipitazioni nevose hanno interessato il tratto toscano
dell'A1 fino ad Arezzo e lungo la superstrada Firenze-Pisa-Livorno tra
Lastra a Signa e Montelupo Fiorentino ma nessun problema è stato
segnalato per il traffico. Qualche fiocco di neve, subito però
sostituito dalla pioggia, è caduto anche su Firenze e sulle colline
intorno alla città. Alcune strade ghiacciate e un po' di neve sono
segnalati in Garfagnana (Lucca). Una leggera spruzzata di neve ha
imbiancato Siena e anche alcune località della provincia ma tutte le
strade principali sono percorribili senza problemi. Qualche
rallentamento sulla tangenziale di Siena e sulla Siena-Grosseto. È
nevicato leggermente anche sul monte Amiata.
Come abbiamo detto sopra, è nevicato abbondantemente dappertutto, dal
sud al nord, è stata risparmiata, a quanto pare la Bassa Padana,
comprendente l'intero territorio Mantovano. Non è una novità, perché
anche gli anni scorsi la neve l'abbiamo vista poco, ma, per dire la
verità, a noi la neve anche se non viene ci fa un favore. Certo, che un
Natale senza la neve, perde le sue caratteristiche. I bambini
aspettavano la neve, per divertirsi e tirarsi le palle di neve e
costruire il babbo natale nel cortile della loro casa o magari sulla
bellissima Piazza di Campitello, ma anche senza la neve, abbiamo
festeggiato il Santo Natele in allegria, riuniti in seno alle nostre
famiglie, nel tepore della casa a scartare i regali che si trovavano
sotto l'albero. Perché Natale è Natale, e senza regali che Natale
sarebbe? Il 3 gennaio, da quando è iniziato a nevicare in tutto il
Paese, migliaia di sciatori o amanti della neve, hanno raggiunto le
Dolomiti, la Val d'Aosta e gli altri centri sciistici. Anche noi, con i
nostri amici del CAI di Mantova, abbiamo trascorso qualche giorno su
quelle stupende località che tutto il mondo ci invidia. Credetemi, è
veramente bello camminare su quelle valli innevate e illuminate da un
tiepido sole. Non c'è goduria più bella che si possa provare nel
silenzio dei luoghi, dove si sente soltanto il mugolare del vento della
sera, in quelle valli senza orizzonti, dove la vita è degna di essere
vissuta, ma appena rientrati da quelle località montane bellissime,
rischiarate da quel vivido e caldo sole invernale, qui in Val Padana,
vi abbiamo trovato il Limbo dantesco, con l'eterno muro di gomma
dell'eterna nebbia. In questi ultimi giorni, mentre in tutto il
territorio del nostro bellissimo Paese splende il sole, qui da noi, è
stagnante una noiosa e pericolosa nebbia, che oltre a limitare e
impedire la circolazione stradale si sono verificati una lunga serie
d'incidenti stradali con morti e feriti, ma anche a causa delle basse
temperature ha maggiormente influito a svilupparsi dell'incipiente
influenza stagionale, che costringe migliaia di persone a letto. Il
pronto soccorso e le corsie dell'Ospedale Civile di Mantova, sono
saturi di persone affette, appunto, dell'indemica\ malattia, che
infesta buona parte del nostro Paese. Abbiamo preso in prestito dal
"Gabbiano", la sua bellissima poesia," Paesaggio innevato" al quale
rivolgiamo i nostri infiniti ringraziamenti.
Paesaggio innevato
Il camoscio sul costone.
Il sibilo della valanga nel canalone
Interrompono il silenzio solenne
Della grande montagna indifferente,
Ma passo dopo passo
Siamo giunti in questo mondo astratto
In questo paesaggio metafisico e lunare
Dove tutto assume un'altra dimensione di grandiosità.
E di bellezza.
Anche i colori e la luce si confondono
E subito si fondono
Con i colori chiari e rosati dell'acquarello.
La candida neve non è bianca ma aurata
Dal sole che muore all'orizzonte,
Al confine siderale dei monti.
La neve scricchiola sotto i nostri stanchi passi.
Ma chiara è la tua parola Signore
Fra i cieli le montagne e i sassi
Che guida i nostri passi su questo paesaggio incantato.
Di questo paesaggio da noi tanto amato.
Chiara è la sorgente di quest'acqua viva
Che sgorga dalla piccola fessura incastonata.
Nella roccia che mi ristora.
Chiara è la luce amica del sole nuovo
Che mi riscalda,
Chiara era anche la notte tramontata,
Mentre la pallida luna illuminava
Il nostro cammino verso la luce e la libertà.
Verso la bellezza della vita e del creato.
Non andrò lontano da Te,
E canterò la vita che ogni giorno mi dai
Seguirò la strada che Tu fai
Ed amerò le creature che incontrerò
Sul mio lento cammino della vita.
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