Poesie di Giorgia Deidda


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1)
Io avanzo,

Perfino immobile ed infinita
Sopra l'immobile e frondosa terra
E scopro che sono tutta lavorata, filamentosa
Ed ugualmente pioggia ricca, senza fretta né voglia
stentorea e germogliosa, dove l'umido della notte penetra
Sempre più a fondo (cosa rende più fragile della nebbia?).
Io non faccio che osservare,
Dentro la scintilla divina e nelle cose che occupano uno spazio,
Tra le fratture di vuoto e tra chi rimane in piedi per miracolo,
Tra la nuova gente e quella perduta, tra il multiforme e la povertà di nulla.
Buona la terra, buono il mare,
Buono chi oltrepassa il confine e chi rimane a guardare.

2)
Fermati con me oltre le sponde, dietro il bosco

Fermati con me ed ascolta;
Questo dunque è il cielo: una grande sospensione.
Il cuore degli uomini è cosa vecchia ormai -
Io vedo nelle insenature del corpo, dentro gli occhi,
Scorgo il visibile e l'invisibile, studio la scienza della gente,
Ciò che dice e quello che non dice.
Scriverò dei tuoi capelli e della tua bocca, che si arricciano un po'
Quando t'arrabbi,
E poi scriverò delle volte in cui ci siamo parlati senza mai parlare,
delle battaglie degli orrori della guerra fracida,
Mentre te ne stai davanti, con il cuore nudo
A ridere di tutto questo.

3)
Nella mia stanza, prendete d'esempio

il cielo trasparente trapunto di stelle
dove incessantemente scorrono come pellicole granulose
le vicende della mia infanzia
le dolci pillole e le troppe morti affrontate.
Si fanno spazio ogni notte
Per mangiarmi gli occhi e sussurrarmi nel cervello
le disgrazie di notti troppo sontuose
il giorno in cui caddi con tutti i fogli sparsi e dovettero fermarsi per lasciarmi passare
con la mia mole di pietre nel ventre.
Aspettate.
Guardate che luce negli occhi
che rossore sulle guance -
non fatevi ingannare dal fango che mi trascino dietro
é solo
osso bianco di vernice, una finzione.
Io sono quella dietro agli occhi
lo spioncino luminoso che si nasconde
sotto il nero della notte.

4)
Non sai cos'ero io prima di nascere,

grumo di sangue imperpetuo che respirava l'infinito
e poteva l'infinito perché
infinita potenza di grammi di nero
E poi la luce bestiale che ha accecato
l'infinita tranquillità, l'assurdo silenzio
spazzato via come big bang
e l'esplosione che ha soffiato nel mio petto sgualcito
Io che mi contorcevo
-non sapevo nemmeno cosa volesse dire respirare a stento -
quando amori impossibili nascono tra le tue labbra
e aspetti di vivere come il sole che brucia
stella nana incapace di guardare in alto,
costretta a guardare il fango sopra le ginocchia.
Passi a stento
quando si vorrebbe vivere
come i grandi astri e le montagne
Radici a terra, ancorate al principio divino
e foglie chiomate che baciano il cobalto.

5)
L'amore non può cantare,

è perso nel suo vuoto,
nell'infanzia dell'infinito.
L'amore non può cantare.
Girano i vuoti, per te
Per me, nell'alba,
conservando le tracce dei rami di sangue.
E qualche spirito tranquillo che disegna
istantaneo dolore
di luna accoltellata.
Guarda il mondo, guarda
l'angoscia di un triste fossile
che trova la cadenza del suo primo singhiozzo.
Piango la ritrosia del tuo sguardo.

6)
«Tocca a me,

tizzone ardente»
disse quella
e poi ballò.
«Profusione di veleni»
disse l'altra e s'ammazzò.
Serpe d'ambra
strisciando venne
e all'albore eterno giunse.
Cinque battiti d'artemisia
e un'amara fragranza.
Morta e bruna
color d'avorio
«sette storie»
lei cantò.
Dall'albore, mille tempi
«una sola»
ne narrò.

7)
Altro non sento che il vociare dei ruscelli

tra formicolii di stelle,
balugini di candida neve che si posano
rosate
su un fiume di languore.
Mi cucio sulla lingua
qualcosa che assomiglia a fiato di zucchero
e cinnamono, un retrogusto amaro.
Che cosa cerchi così pensoso?
Le separate, innumerevoli identità,
la voce estinta dentro le grida d'aiuto,
il suolo scettico, il cupo destino,
l'antichissimo impulso che rende liberi.
Tutto questo ai limiti, incollato alla lingua
come verità assoluta, nella vita che diventa vita
e rinasce in se stessa.

8)
Io non ho più niente,

lasciata a marcire come le foglie in autunno
senza un ricordo a cui aggrapparmi,
qualcosa
che mi possa far luce in queste tenebre nerissime.
Non ci troviamo,
tu sei perso, sei al di là della notte
più lontano dell'altro capo del mondo
e mi pasticciavi il cuore con i tuoi pastelli -
una mano da bambino, debole,
ma più forte delle mie paure.
Quando avrai voglia di piangere,
il mio grembo sarà per te
spalla più ampia,
il circolo che tutto crea;
sarò per te madre e amante.

9)
Non è un lavacro di sogno questo dove m'intingo,

ma verità nascosta che salterà agli occhi
all'universo insipido;
Io non sono un'appendice della terra,
ma amica della gente;
sono quella che fu eletta nel canto dell'espansione
un soprano lento che s'insinua senza tregua,
l'elegia e la statuaria morte dei sensi,
la studiata posa di marmo,
mentre guardo negli occhi di vetro.

10)
Si chiama

asfissia completa quella in cui
l'aria gela nella gola pennacoli di rame ,
mentre si cerca la parola.
Io esisto come sono, ed è sufficiente;
sondo la profondità della terra e accetto le cose
per il loro posto e la loro forma, senza giudizi di valore.
Non è nella gente che io trovo rifugio quanto nell'universo intero,
e sosto un momento sul mio cammino
mentre guardo l'eterno fuggire.

11)
Conta fino a tre e senti il mondo spegnersi;

è la fine.
La distesa nera non sa che d'inchiostro, e le luminose fisse,
le mie stelle da comodino
non spiano più i tuoi passi. E gli anni
colano sul cuscino, una chirurgica
fama di folla che si scolla come carta.
Stringo le dita a pugno, ma la ferita
mi cancella come gesso su una lavagna.
Io non esisto, se non ora,
se non nel tempo della distruzione metafisica della memoria.
Gli orologi ticchettano ed intralciano
l'ingorgo dei nervi, strappano
l'immagine perenne, la tua faccia scorticata e ferruginosa
che ancora balbetta parole di ghiaccio.
Non ti comprendo. E io continuo a dormire,
con un brillio di scaglie che mi attanagliano
la morte dei sensi, il sonno profondo.
La paralisi più soffice, l'immobile nulla da addentare
che culla
la veste nuziale del ricordo, un pallore affaticato;
inciampo in stralci di tessuti e cuori bruciati,
mentre un verminoso sorriso stentato
mi pasticcia la faccia.

12)
Da tempo contratto con uno strano signore;

è il venditore di tragedie, vende davvero a basso prezzo.
E' un affare, quello specchio di carminii,
ma lasciatelo cadere e vi attraverserà per sette volte
macchiandovi il petto di rosso.
Basta un tocco, un gusto, quel sapore acre che avevi dimenticato
ed ecco tutto riapparire, il giorno che ti ingannò
quell'altro in cui è fuggito con il tuo cuore stretto stretto
cinque monete e sarà di nuovo tuo.
I non nati alla finestra, come farli rivivere così
davvero non ci vuole niente. Tornare
a ricomprarsi dopo essersi venduti,
questa sì che è buona! Puoi comprarti
anche il sorriso buttato via cinque mesi fa
per un niente, e far rivivere il tuo cane perso tra i fiori
- signorina, signorina, quante cose ha gettato via!
ma io mi sono persa e non ritrovo più la strada.
Comprerò, se è possibile signore, anche quella, per cercarmi
quando vivrò altrove,
tra le braccia di uno sconosciuto per esempio,
quando annullerò la mia identità nella bocca dell'ennesimo assassino.
Io, mi sono venduta a poco prezzo,
al venditore di tragedie.

14) Orta Nova
C’è nel mezzo del paese
una processione sfatta di volti umani
senza occhi, e camminano
come dei lumini accesi
senza essere accesi,
figure stolte in ombra
al cui passaggio mi sembra di tremare tutta,
assenza di empatia.

C’è nel mezzo del paese
un rigoglio di cose assolutamente superflue, mentre io vorrei
la pace e l’essenziale,
il nocciolo dorato
a cui aspira l’alchimista.

15) Orlo
Non sono un albero con foglie piene;
mi manca la linfa vitale –

Assomiglio più a certi alberi smagriti e dimenticati
che traggono nutrimento dalla terra asciutta,
cercando di guardare lontano verso le stelle
e di toccare un po’ di luce con i rami disgiunti,
una depersonalizzazione da mancanza
scritta a caratteri brucianti, senza significato.

Allora io e la luna siamo diventate confidenti,
e tutto sembra ruotarci attorno, tutte le cose che dovevano esistere
dissolte nella totale mancanza d’attenzione,
e non mi rimane altra parola che ossigeno, da donare al cielo
e non mi rimane altro segno che l’avvicendarsi del mio ramo al blu
crescendo per amore più che per nutrimento
perché il cielo per me era cosa meravigliosa e io non potetti
che crescere di voglia d’assomigliargli.

Così mi feci alta e sempre più rassomigliante a quel contenuto
bluastro e pallido di giorno, e i miei fiori diventavano stelle minuscole
ed odorose, ognuna più colorata,
ed io mi facevo sempre più curva a causa della mia altezza
che tutti i miei frutti caddero a terra e persi tutto ciò che avevo.
Livida di rabbia mi accasciai sul suolo e guardai la maestosità di ciò che avevo creato,
soccombuto dal peso dell’invidia,
crollato sotto il peso della non accettazione.
E rimasi stesa a guardare il cielo, più alta di tutti,
finalmente io, circondata dalle mie creature immobili,
a rimirare ciò che più avevo amato,
contenuta nella mia essenza, disgiunta dal cielo
ma più chiaro e luminoso di sempre.


16) Fremiti
Ero entrata in una specie di sogno;
le ossa molli e la fronte
imperlata di sudore
che scendeva come degli insetti lenti,
e poi il cuore come pesca acerba
che si rimpiccioliva ed ingrandiva
ad ogni sussulto.

Io non sapevo come muovermi
o cosa fare;
quel che conoscevo si dissolveva e diventava polvere,
sicché fui costretta a rimanere ferma
per non perdere le cose più importanti
o rischiare di incenerirmi anche io.

E i fremiti della stanza si facevano come suoni grigi e io dovetti portarmi le mani alle orecchie per lo stridio feroce e non seppi più distinguere i limiti delle cose. Questa era l’impronta dell’ansia del giorno che veniva a tormentarmi anche di notte e a mangiarmi la mente senza lasciarle requie.
 

17) Ritorno alla vita
Sedevo alla finestra, il dolore muto.
Ascoltavo le rondini riecheggiare volteggiando
in spirali tortuose e arabeggianti,
mentre io rimanevo vuota come un sacco tagliato
dietro il vetro, le mani a conca sul viso.
Non seppi come, ma il sole mi brillò da una fessura delle dita
e mi rischiarò il volto, timido.
Fece capolino su tutti i capelli e mi colorò d’oro,
che quasi non potetti non alzare gli occhi e guardare.

Sembrava spingermi con il suo raggio fulmineo
a guardare la maestosità del suo cielo,
a respirare grandi boccate d’aria,
per la mancanza che avevo e il dolore che mi perforava le membra.

Uscii dunque e risanai;
pian piano l’ossigeno mi entrava dentro e riparava
tutto quello che di rotto si era creato
e il cielo mi radiava gli occhi, commistione di luce e azoto
e le rondini mi sorridevano alle orecchie.
Ridiventai integra e compatta, un pezzo senza crepe,ceruleo.
Il dolore era rimasto
dietro la finestra.
 

18) Tessuti
Da oggi il bianco si riaccende
afferra la spina dell’inesistente,
il mio sillabario senza condono
con abiti uguali tutti gli anni,
ci svia mentre parliamo del vulnerabile
che formiamo.
Specialmente se il vento con dita gelate
mi accarezza il viso –
E lancio un grido d’ombra che il mare,
udendo,
tossisce e trema.


19) Ricordi perduti
Nella stanza bianca, asettica
conversando animosamente, il corpo a metà;
io mi elevo a cielo e sogno d’essere stella
chiusa in una campana di vetro.
Dentro, le storie appiccicose che faticano a districarsi,
ci vorrebbe –
un acido che sciogliesse e mi rendesse
immune
ai dolori, alle intarsiature, alle cose degli altri.
Sembra che i nodi si rattrappiscano per quanto duri,
smaciati e smagriti –
un nodo più piccolo è quello che stringe di più–
e rimango inerme senza possibilità di divincolarmene.
Aspetto,
seduta ed ingombra
lo sciogliersi della vita.


20) Fuoco
Camminai.
Incedetti lenta e crepuscolare
verso i pallidi campi;
scivolai via senza vento
in un rotolo di fuoco che mi avvolgeva tutta
e viaggiai oltre la mente ed il suono.
Udii il vento ancorarsi oltre il golfo
in un turbinio di voci e chiacchiere;
un tempo il sole spezzò l’uomo
e rovesciò il mare, ma ora sono
carne e radice di linfa
che volteggiano nella città colante,
in un vento di fiamma, oltre le cose.
 

21) Giunture
E così siamo a casa insieme, dopo ogni cosa;
è solo il tempo che ci pesa sulle mani,
è solo il tempo, ed ha poca importanza.
Io passo il limite stupidamente;
conosco il fondo. Lo conosco con la mia grande radice:
è quello di cui tu hai paura.

Ed anche noi avevamo una catena –
mari troppo divelti per essere profondi, ed una mente
come una giuntura,
che termina e si schiude su una cosa viva
che rinasce ed affonda;
questo è il mare, dunque, questa grande sospensione.

Avvertirai un’assenza che ti crescerà accanto,
come un albero, senza più colore.
Mi fa bene
che il Cielo abbia una totale mancanza di attenzione –
e io amo la tua silenziosa tenacia
e non trovo altra faccia che la mia.


22) Bianco asettico
La casa era antica, piena di muschio.
L’aria gelida faceva da sfondo
mentre mi avvicinavo piena di paura;
un brivido mi percorse la schiena e seppi,
proprio in quel momento,
che ogni cosa era ritornata al suo posto.
Non riuscii a capire come,
ma era proprio così, doveva esserlo.
Tutto ciò che mi aveva portata lì,
la mente distorta, l’impressione che le idee
fuggissero da me e mi obbligassero
ad uscire dalla testa per poterle riacchiappare
e riportarle dov’erano,
il nevischio che mi faceva piangere,
la bellezza che mi faceva sciogliere e piangere,
la gente normale che mi faceva ridere dal disgusto,
tutto quello che non era ricomposto,
improvvisamente mi riportò in me stessa,
e la consapevolezza prese il sopravvento;
ero ridiventata io, nessun altri che io, Giorgia,
ed ero di nuovo con me’.


23) Follia
Non si fiorisce senza una buona dose di follia.
Ma la buona dose può diventare
una cattiva dose, come tutte le cose
portate all’eccesso.
Quando non si conosce la misura,
si rischia di appassire per sempre.

Come vorrei rallentare,
rallentare la marcia sul filo dell’acqua,
riposarmi, attingere da quell’acqua,
berne e rinascere…ma la prima possibilità,
ahimé, l’ho bruciata inconsciamente.
Cosa sarà del futuro? Cosa, di me?
Cosa di tutto ciò che ho abilmente creato?
Come ho potuto scappare senza guardarmi attorno…senza osservare da tutte le angolazioni?


24) Immemore
Credo che il tempo scavi il suo corso,
dove scorrere imperturbabile da ogni intemperia.
Se sono non credibile sono incredibile…
Perché il mio carattere è tutt’uno con la malattia;
quando mentiamo, siamo la malattia.
Quando seduciamo, siamo la malattia.
Il mostro alberga in me tutte le notti,
parzialmente di giorno.
Il demone onnisciente accarezza ed abbraccia,
e poi stilla sangue prezioso
senza che tu te ne accorga.


25) Di Dio ed altri oggetti
Ma sono un’altra donna?
Chi è questa donna
che si alza col sorriso traboccante e ripensa a Dio?
Era da tanto che non mi capitava.
Tanto che, ero sommersa da ogni malanno,
ogni giorno.
Vuoto che non si colma
nemmeno pensando alla bellezza eterna.
Vedo ancora la bellezza
come qualcosa a sé,
come se la mano di Dio, bloccata dai millenni,
fosse estranea al mio senso più intimo di bellezza.


26) Stento-reo
Tutto il corpo è vedovo se non cammini ancora,
fianco di fianco con gli ulivi
e i roseti che aspettano il bacio,
anni di vuoti e frasi fredde come la neve.
Tu eri l’unione appassita che cercavo,

quando la stanza mi sembrava spenta

e la luce accesa –
tu eri la strofa annerita, dentro le fratture
e io
il danno definitivo, che non serbava rancore
che mangiava annichilita il frutto delle piogge.


27) Pallore
Rimanevo sola a cercare un senso alle cose della vita,
ma mi riusciva solo di cullare
il nulla tra le dita
e di vestirmi di un pallore affaticato
per riuscire a superare la giornata.
Così mi rimisi in carreggiata leggendo poesia
e facendo delle strette intarsiature qualcosa di nuovo,
senza ricordi che mi premessero addosso
la loro bruciante fatalità,
io avvolta da male e dolore, senza possibilità alcuna di uscita; persa, verace, annichilita,
procedevo con la mia croce sulle sponde del torrente
per inseguire la benedizione
e scivolarmi addosso la mareggiata salubre,
quella che mi rendeva triste e sola,
appoggiata alla finestra, la mano sotto al mento,
a rivedere lo scorrere e il procedere delle cose, veloci, senza pietà alcuna.


28) Poesia
Poesia, versi per rabbrividire e strappare il tragico dai denti.
Voglio un luogo abbandonato, sono stanca di tutto questo verde,
chi è ridotto a pelle e ossa, chi ha dei chiodi nella pelle,

chi ha del sangue sulle guance, chi dei versi per le stelle,
lo scoppio è avvenuto, miliardi di particelle esangui,
è l'anemia di un universo che non trova più il suo infinito.

Il mare,

solo se in tempesta e l'erba,
solo se in rovina, rovinoso questo livido che mi macchia il biancore di una stanchezza
quasi trasparente.

Ama l'estenuante battito che ti stacca l'anima dal corpo,
viaggio astrale fuori dalla tua dimensione per venirmi a cercare e respirare sul mio collo di martora.
Rimani per un po',
sussurrami qualcosa, come quando mi tenevi la mano,
gorgoglia le onde del vascello e fammi sentire il profumo dell'acqua salmastra

il sapore salino dei venti di brezza, baciami sul collo le tue parole strane,
assaggiami
e vomitami
i tuoi silenzi.

Non andartene,
se vuoi stare con me

tu starai con me
ancora un po'.


29) Poesia II
Alla poesia,
che mi è fiorita nelle ossa e mi ha tagliato il mondo in milioni di pezzi diversi, ché quando guardo all’amore lo vedo simile ad un albero in frutto,
ed ogni circo-stanza la vivo ridendo come un pagliaccio
e tutto diventa miele e fiele,
la rovina e la salvezza delle brutture
perché quando la poesia interviene,
tutto si aggiusta per miracolo
e la tristezza si trasforma in un quadro bellissimo
e il mio pianto, radice e madre
di tutti i dolori che crescono.


30) Mamma
Mamma, non importa cosa tu sia stata -
Eri solo una bambina impaurita in mezzo a giganti -
Ma hai creato dal nulla e sei diventata artefice di poesia, e tu stessa poeta
E hai lavorato per tramutarti in cura e fiele dolce
Senza remore mi hai accolta e la carne è diventata uno,
fondendosi in fuoco eterno.


31) Pozzo nero
Se la gente potesse vedermi dentro, inorridirebbe
del buco nero sfilacciato e del profondo pozzo
pieno di intarsiature vuote,
ma più di tutto
della grande finta scena
che lo avvolge.


32) Assenza
C'è una vita dentro di me.
E' l'assenza, non preghiera, delle cose lontane.
E' il guardare la pellicola da vicino
e toccarne gli arabeschi e le intarsiature,
è godere della bellezza nascosta
nelle cose dimenticate,
è guardare
senza rimpianti i propri occhi, è guardare
quelli degli altri senza più paura.


33) Noia
A mezzanotte l’aria riverberava
In spiragli e lame sottili dalla finestra;
io me ne stavo quatta sul letto ad aspettare
che il soffitto si muovesse e mi rendesse immagini interessanti.
Ma tutto continuava a rimanere imballato
E cieco come un sacco d’aria, senza movenze alcune,
né colpi di scena
che mi potessero smuovere dalla condizione imperturbabile
in cui versavo.
La noia non è che petrolio che si appiccica alla pelle,
non è che
liquido viscoso che tira giù nei meandri della terra
e tu non puoi liberarti, rimani
incollata al suolo senza possibilità di divincolartene
risucchiata delle speranze, bianca, asettica.
 

34) Gola di luci
Era l’ultimo quarto di luna.
Uscii nel bosco ed attraversai il sentiero di pini
Sentendomi toccare dalle gocce di pioggia
Che cadevano dagli alberi anneriti,
e la terra bagnata la sentivo tutta
tra la fragranza del diluvio
e la freschezza dell’aria risanata.
Mi sedetti sull’erba a rimirare le stelle;
Venere formava una gola di luci
Con l’altre costellazioni d’intorno,
e io mi beavo nel cercare di uniformare quei puntini
per costruire il tuo volto,
che già m’andava a tormentare giorno e notte.
E qual miglior bellezza della natura
Che ti addormenta sulle rive d’alba accompagnata,
e ti culla con le sue tramontane e parole
che puoi ascoltare tra strumentazioni d’abeti
e frascichi di pioggia,
o ticchettii di stelle?
Chi ha orecchie per intender, intenda
‘che solo chi sa ascoltare,
potrà divenire tutt’uno
con essa’.



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