Romanzo horror IL SUPERSTITE di Jacqueline Miu
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Leggere questo libro non costa nulla; se ti è piaciuto porta un tuo dono, un piccolo modesto ma ineguagliabile gesto d’amore “un peluche – un sorriso – narra a tua volta una fiaba – ricambia il bene” all’Istituto Tumori di Milano reparto pediatria www.istitutotumori.mi.it.
Miu Jacqueline Il superstite horror
Indice:Il Ragazzo che parla alla Luna1 - In fuga2 - Lot Berry3 - Perduto in una città completamente normale4 - Uomini e lupi5 - Alvin Gosslin6 - Julie7 - Apprendistato8 - La Bestia9 - I nemici del Popolo della Luna10 - La leggenda di Sal11 - Innamorato12 - Mannari13 - Prigionieri del male14 - Signor Morte15 - La festa prima della tempesta16 - La grammatica dei sentimenti17 - Matt o Charlie?18 - Iniziare dalla fineepilogo Il ragazzo che parla alla Luna Ecco l‘orrore avventarsi su di te. La morte è padrona di tutto. Ne abbiamo il terrore e non possiamo smettere di indossarla di togliercela dal corpo. Ci abita da sempre e non sappiamo quando si sia infiltrata nel nostro sangue, nella nostra mente, nel nostro immaginario. La morte è un predatore scaltro, ti attacca e ti prende quando vuole. Combatterla? Chi può combattere qualcosa di immortale con la sola carne e le sole ossa? Io sono sempre stato ossessionato dalla morte. Il suo fascino mi ha creato non una dipendenza da cose terrificanti, ma uno sviluppo nella direzione opposta. Non ho mai collezionato nella mia infanzia, mostri, fantasmi, dinosauri, alieni perché consideravo anche loro soggetti deboli davanti alla morte. Sulla mia scrivania c'è sempre stata una piccola figurina di plastica che raffigura uno scheletro avvolto nel suo mantello nero con la falce pronta a fare il suo lavoro. Quando chiudo gli occhi, io divento l'uomo della falce che distruggerà i dinosauri, gli alieni cattivi e i mostri. Da piccolo ho temuto le creature orribili che prendevano costantemente vita nei miei sogni, li ho temuti più di quanto un bambino possa temere la morte perché loro hanno la forza di perseguitarti per molto tempo, come se fossero immuni alla crescita degli uomini. Da adolescente, ho cercando di rendermi utile a chi potesse essere fragile o indifeso per irrobustire la mia autodifesa contro la parte oscura dell’immaginazione. Col tempo ho sviluppato altri interessi e in qualche modo ho superato la fase delle paure puerili, lanciato com’ero in una nuova fase, quella adolescenziale con surplus di ormoni pronti a grugnire appena esplodono in primavera le minigonne, e acne meteofobica. Cosa significa meteofobica? Semplice, col brutto tempo, la pelle del mio viso è pronta alle carezze e potrebbe superare una gara di bellezza non fosse per la rada peluria che rende un qualsiasi adolescente in questa fase, ridicolo. Col bel tempo invece fioriscono in mezzo alla fronte o alla guancia o proprio lì sul mento, certi buboni capaci di battere in pericolo di eruzione il Mount St. Helen. Questi e altri piccoli ma agghiaccianti problemi, quali le erezioni spontanee e il rutto libero, rimpiazzano la stagione dei mostri. A scuola mi diverto per quanto posso, ci si può divertire a scuola? Non saprei ma guadagnando dei soldi, la cosa diventa sopportabile. Mi sono creato una reputazione da hacker, abbastanza forte, da avere la stima dei miei compagni e amici. Poi ho fumato, erba, foglie di cactus, corteccia di platano, acini d’uva, e persino cacca di mucca che secondo il mio migliore amico Dan, poteva essere afrodisiaca. Non è vero, ha fatto tutto schifo. C’è stata una ragione per questi comportamenti, i missili di erba sono serviti a farmi smaltire i mali d’amore e poi, mi sono ubriacato più di un paio di volte finché, di punto in bianco, ho smesso con i deliri giovanili per pensare a un amore che sarebbe arrivato a salvarmi. La battaglia era difficile, che tornai a osservare la vita fuori dal suo ambiente fisico e materiale. La vita è una lotta continua per un bisogno o per una necessità e tolti i giorni di sonno o per alimentarsi, restano i brevi momenti di cose straordinarie. Senza quegli attimi, la mia vita, sarebbe stata una vera porcheria. Nei momenti più difficili, mi chiudevo nella mia stanza e fissavo l'omino di plastica nel suo elegante mantello nero sul davanzale della finestra, pronto a cacciare via tutti i fantasmi. Il Signor Morte aveva la meglio su tutte le mie più imbarazzanti paure. Non ero il tipo da capire e essere capito, non vorrei essere frainteso, io ero quello che voleva dare un significato alla sua esistenza, combattendo per le cause giuste e contro qualsiasi mostro capace di intrufolarsi nella mente di un bambino. Una volta, uno dei miei compagni, aveva impugnato il fucile del padre per mostrarci che lui non aveva paura della morte e si sparò in bocca in mezzo alla classe. Io rimasi vicino a lui finché non smise di tremare e fissando i suoi occhi, avevo visto un vuoto angosciante che mi penetrava dentro, facendomi sentire il freddo e la distanza che l'uomo morente ha dalla vita. Non piansi per Vernon, era stato un cretino e noi fortunati a non essere le sue vittime, ma ero disturbato dal mostro che lo aveva spinto a fare quel gesto e pensi le cose insane rendono la vita accettabile. Probabilmente i nostri traumi e le nostre paure ci rendono le prede di certi esseri che ci spingono a volere smettere di combattere per la nostra vita. La pazzia di Vernon, uno dei migliori atleti della scuola, dei più venerati dalle ragazze, fu chiusa nel libro dei silenzi che tenevamo nascosto, come un ladro che occulta la sua refurtiva. Io non mi sarei mai suicidato e non perché sono un vigliacco o per fede ma perché il suicidio, implicava sostituirsi al potere della morte e se lei non avesse voluto prendermi, sarei rimasto un vegetale fino alla fine perché nessuno può sostituirsi alla più grande forza dell'universo. Io non sognavo un futuro distante da quello che erano riusciti a costruire i miei genitori, ma desideravo che se mai fosse arrivato un momento “speciale” destinato a me, di potermi accorgere, di non perdere quel treno e la possibilità di essere messo alla prova. Volevo meritarmelo il mio brillante futuro. Signor Morte sapeva che un tipo come me, era nato per sfidare se stesso perché troppo curioso per accettare le cose dell’universo, senza una spiegazione. A parte questo, ero un soggetto ritirato che si confortava con una lattina di Coca e tramezzini al tonno. Il mio tempo non andava sprecato e la scelta di stare lontano dai guai, di rimanere in casa a manipolare la mente artificiale di uno stupido computer mi garantiva quella pace che di notte gli incubi mi toglievano. Un giorno il Signor Morte arrivò con la legione di aiutanti, malattie, guerre e contagi cui pochi erano immuni. Molti sul pianeta morirono. In giro a masticare gli uomini, c’era malattia terribile che deturpava i corpi, peggio di qualsiasi film dell’orrore. Io non capivo perché il suo potere uccideva uomini, donne e bambini, ma capivo che c'erano leggi della natura a me incomprensibili, quindi poteva toccare a chiunque, diventare un ammasso di carne marcia e questo senza che qualcuno si fosse sforzato di trovare un antidoto. Il Signor Morte vinceva sempre. Sono sempre stato ossessionato dalla forza dell'oscurità e ho iniziato a vivere la notte, a restare in ascolto delle ombre, silenzioso come una di loro e curioso di captare quale forza magnetica impressionasse l'uomo, fino a fargli credere all'esistenza dei fantasmi. La stanza col buio diventava la mia base segreta, capace di resistere a qualunque attacco perché difesa da un pupazzetto di plastica che reincarnava tutte le forze sovrannaturali dell'universo. Per non avere paura ho immaginato di essere invincibile. L'unico punto vulnerabile era il sonno. Se chiudevo gli occhi, liberavo una parte di me incontrollabile e popolata da menti sconosciute che mi torturavano. Ho sempre detestato il dolore. Il dolore non è un'arma forte quanto la paura, ma è pur sempre un'arma e i miei sogni angosciosi, mi hanno frenato il coraggio di poter accettare la realtà per quella che era e dire: non esistono i mostri. Non so se il mostro che mi ha sempre rincorso l'abbia creato io o è sempre esistito nella mia testa, ma a volte, ho avuto l'impressione che le sue cellule scorressero nel mio sangue e le sue mute cominciassero da dentro il corpo che aderiva perfettamente a entrambi. Io non avevo paura di quello che poteva succedermi, ma avevo paura di come poteva accadere. Sentire nel mio capo, il filo del pensiero spezzarsi e non potere medicare le ferite interne, non essere in grado di dare alcun sollievo alla mia natura, era più terribile del vedere una parata di morti muoversi in strada. Stava a noi scegliere come vivere la nostra realtà. Stava a noi, imprigionare i nostri mostri per riuscire a vivere quietamente. Ma non stava a noi capire dove fuggire da questi, dove nascondersi, quando erano tutti sulle tue orme. Ci domandavamo come ucciderli? La mia ossessione per la morte si era stabilizzata col tempo. La vita da hacker notturno, aveva il suo fascino e mi teneva lontano dai cattivi sogni. Di notte la vita sembrava ancora più lunga e mentre tutti dormivano, riuscivo a captare certi sussulti del pianeta e il suo affaticato respiro mentre sopportava ancora la nostra esistenza. Di notte, le strade erano primarie vie d'atterraggio per invisibili entità aliene e nessuno dei superstiti badava ai segnali del vento o alle luci solitarie dei semafori perché la vita dormiva altrove, in un mondo senza vento e semafori lampeggianti, un mondo che t'illudeva di respirare la sua stessa aria, lontano dagli incubi dei mostri divoratori. Col buio uscivo e non avevo paura. Non fosse per la gente instabile, i ladri di quartiere e i pazzi gli invasati con i loro canoni, la notte poteva essere un grande giardino pieno d'armonie e profumi. Spesso accadeva che camminassi fino alla casa della più bella ragazza della scuola, sopravvissuta alla malattia, per fissare la sua finestra, nella speranza che si fosse accorta di me. Restavo ore in ascolto della sua mente, cercando di sintonizzarmi ai suoi sogni con una telepatia amorosa, che non s'illuminava mai, spegnendo così le mie adolescenziali speranze. Lei mi ignorava. Amore aveva dei sentieri che io non avevo imparato a percorrere e tornavo a casa, su altre strade, per altri isolati senza luce, entrando nei parchi e girando sulle altalene occupate in precedenza da altri fantasmi con i cuori frantumati come il mio. Io ero diventato, il re della notte. Avevo trovato un modo di sconfiggere quell'altro in me che trepidava nel poter uscire dalla sua prigione fatta di ricordi e memoria. Il buio mi curava più di qualunque medicina. Certe volte, capitava che restassi fuori fino all'alba. "Prendi coraggio dal buio, Matt! Prendi coraggio dal buio!" Continuavo a ripetermi, cercando di fissare la mente su semplici nozioni di sopravvivenza: respirare, controllare i passi durante il cammino e osservare le ombre negli angoli bui della strada e i suoi ostacoli. A volte i banchi di scuola, erano il cuscino migliore su cui avessi mai potuto dormire. Andavamo ancora a scuola, eravamo speranzosi che la malattia regredisse o non scegliesse gli altri superstiti. Mi avevano sopranominato il fantasma e i miei occhi cerchiati di nero, potevano raccontare cose sulle ombre che nessun essere umano aveva mai considerato di poter vedere. Il fantasma era un pioniere travestito da studente liceale che aveva domato il suo sonno e il leone nella sua testa. Anche i miei amici provarono a incontrarmi di notte ma spesso crollavano per la stanchezza e si ritiravano ai loro nidi come stormi ubriachi. La resistenza era basilare. L'allenamento era indispensabile e la mente doveva avere la priorità sulle altre cose. Spiegare questo a dei ragazzi formattati per una vita leggera e priva di gravità, era difficile, come sarebbe stato arduo fare volare una boa galleggiante. Ero solo. Il mio problema non era condivisibile. I miei mostri abitavano con me e fosse stato giorno o notte, loro avrebbero cercato di uscire solo quando la mente smetteva di essere vigile. Fosse crollato il mondo io, non dovevo lasciami sopraffare dal mostro che voleva sostituirsi a me, nei miei sogni.
1 In fuga In un troppo lontano futuro, avevano scoperto che il mondo meno esplorato dell'universo era il nostro pianeta e si spinsero in esperimenti estremi che non avrebbero dovuto modificare né la nostra vita né l'aspetto del pianeta. Qualcosa però andò storto e non furono le guerre a distruggerci ma qualcosa di peggiore, una cosa che rese tutti noi ancora più fragili di prima, la fame. Le nuove sostanze che sarebbero servite a garantire coltivazioni più sicure uccisero gran parte degli insetti, impoverendo drasticamente la catena alimentare. Fu così che ci impoverimmo tutti. La terra coltivabile, era diventata arrida in meno di sedici mesi e quello che produceva era infinitamente più inquinato di prima. Questo produsse solamente, parassiti più resistenti, aumento della popolazione dei roditori che subirono macabre mutazioni e miliardi di malati terminali. Gli ospedali avevano esaurito scorte di medicinali e posti per i degenti, molti letti erano all'aria aperta o sotto tende improvvisate. I medici erano ricercati più dell'oro e persino gli studenti assistevano i malati o chiunque fosse in grado a garantire un minimo di assistenza. Finché la luce non fu razionata, le televisioni mandavano continue notizie dai laboratori, dove ricercatori cercavano di rimediare all'olocausto e dalle strade, dove la gente si uccideva per le medicine o per il cibo. Il pianeta era diventato un polo di nazioni che si combattevano costantemente ai confini, per pochi metri di verde o di terra non inquinata, mentre i superstiti, quelli rinchiusi in laboratori sotterranei, cercavano di reinventare un mondo oramai perduto. Vivevamo con cibo e benzina, razionati. La scala gerarchica prevedeva che la maggior quantità di cibo andasse non al governo, ma agli scienziati che dovevano vivere in costante benessere per trovare l'illuminazione iniziale. Le industrie fabbricavano e commercializzavano in cambio di viveri. La stessa cosa valeva per il combustibile e altri generi di prima necessità. Mio padre era stato un brillante scienziato ma quando la bomba biologica distrusse l'intero mondo, lui divenne un semplice agricoltore, un uomo pentito dalla svolta tragica che aveva preso l'universo della conoscenza umana. Avevo imparato l'informatica e a coltivare patate e pomodori. A quindici anni perdemmo l'unica fonte d'equilibrio della famiglia, mia madre. Lei aveva portato via con sé, non solo la gioia ma anche gli ultimi sorrisi, il cibo caldo in tavola, le risate, le smorfie, il coraggio, la speranza e tutte quelle cose che rendono la vita vivibile. Rimanemmo da soli. Due uomini, due ragazzini incapaci di badare l'uno all'altro. Il suo ultimo giorno di vita fu anche l'ultimo giorno da vero scienziato per mio padre. Da quel giorno, invece che prepararmi per il college, cominciò a insegnarmi i princìpi di biologia molecolare, una branca noiosa dei suoi studi che a sua detta, mi avrebbe aiutato molto nel futuro. Quale futuro, pensavo io che vedevo come la gente cercava di resistere alla malattia e sopravviva come meglio poteva alla fame? Fino all'ultimo aveva cercato di sperimentare un siero che riducesse l'aggressività del cancro di derivazione patocelinea, un mix tra radiazioni e veleno per insetti, una vera bomba per l'organismo umano che non solo ne assorbiva le tossine, ma le manipolava fino a renderle necessarie all'organismo, più del sangue e questa prestati indeboliva il cuore e faceva impazzire le cellule umane. Si moriva per il rigetto del sangue dall'organismo, un'aberrazione scientifica che aveva un nome impronunciabile trixradiocellsleepturgiens, due cento volte una morte più dolorosa, del peggior cancro. Io e mio padre eravamo immuni e questo gli consentiva di continuare le sue ricerche con il nostro sangue, nella speranza di salvare la mamma, di curare i miei dolori di crescita, e la popolazione umana. Le mie braccia, i polsi, le cosce e le natiche erano lividi, tanti erano stati i prelievi. A volte per sopportare il dolore, mi faceva trasfusioni col suo sangue. Nessuno dei miei coetanei sentiva il cambiamento del proprio corpo, perché nessuno l'ascolta, replicava mio padre con un tono di voce quasi indifferente. A un certo punto le fitte scomparvero. John continuava con i suoi prelievi su entrambi. Eravamo pieni di piccoli buchi. Lui ne aveva tantissimi persino sulla gola e negli ultimi tempi azzardò delle trasfusioni dirette tra lui e la mamma ma nemmeno questo poteva bastare a salvarle la vita. Le soluzioni erano troppo deboli per una malattia che colpiva e distruggeva con la velocità di un fulmine. Si moriva in meno di tre settimane dal contagio ma la cosa sorprendente che alcuno scienziato non capiva da dov'era partito il contagio. I telegiornali mostravano le città in caos e gente nelle piazze. Le scuole che riuscirono a sostenere l'emergenza chiusero. Molti licei insegnavano a coltivare oltre alle normali lezioni, in modo da pagare la luce e il necessario per una vita scolastica abbastanza decente. La normalità era vivere sempre in un'emergenza che vedeva morire da un momento all'altro, compagni di banco, professori e amici. La gente moriva e molta restava in strada senza funerale, senza dignità. Le agenzie funebri facevano la colletta di cibo in cambio del suo normale lavoro e cremare divenne l'abitudine. La morte rese il paese, un campo di guerra e in perenne coprifuoco. Gli scienziati davano spiegazioni, calcolavano la tempistica di risanamento ma nulla di quello ipotizzato, si avverrò. Inizio una continua accelerazione verso la decadenza. I falliti si domandavano se fosse stato il terreno, l'acqua, le piogge, il cibo e molte altre cose, tra cui gli animali che finirono in roghi puzzolenti e avvilenti. Morirono in tanti non solo per la paura del contagio. Morirono perché sospettati di mali che non avevano così, iniziò una caccia alle streghe peggio del medioevo. Alle bestie non era fatto loro nemmeno un prelievo, per evitare tutti i sospetti si uccidevano le mandrie senza alcuna pietà. Tutti noi cercavamo di contribuire con il nostro lavoro, lo studio e l'aiuto sociale ma non era mai abbastanza. Dopo qualche anno le cose tornarono a un'impoverita realtà. La ricchezza comprava il benessere e la giustizia. Studiare ci aiutava a immaginare un futuro meno tragico ma anche lo studio fine a se stesso ci debilitava moralmente. Non c'era alcuna crescita in quello che facevamo, non c'era il divertimento di sempre o la gioia. Alla gente mancava la gioia. Eravamo diventati tutti opachi, cubi come un cielo nuvolo d'ottobre e nei nostri occhi si poteva leggere, giorno dopo giorno la sconfitta. Gli anni peggiori della mia vita erano anche quelli che mi vedevano soffrire di forti emicranie, d'incubi e di fobie per gli animali. I dolori sparivano per mesi o ritornavano senza palese motivo. Pensavo di essere un contagiato ma c'erano dei sogni, dei pesanti incubi che accompagnavano queste forme di pena difficili da spiegare. Mostri grandi come case, mi attaccavano, mi sbranavano ed io ero lì, inerte come un pupazzo senza vita. Prendevo frequentemente antinfiammatori, medicinali che mio padre si procurava al mercato nero in cambio di visite a pazienti in fin di vita. Mentre io crescevo con un male sconosciuto ma blando, un nemico peggiore s'insinuava nella nostra famiglia. La mamma prese il contagio da un semplice frutto. L'albero dei nostri vicini che abitualmente, loro concimano generosamente ogni anno, fu il colpevole, almeno era una supposizione di mio padre che ebbe modo di studiare. Vidi mia madre cambiare colore in pochissimo tempo e diventare violacea, come se tutte le vene salissero in superficie e stessero per scoppiare. Morì annientata dai dolori e dalla morfina e come lei, morì la maggior parte dei nostri vicini, molti dei miei compagni di scuola e altri membri della nostra già piccola famiglia. Quei giorni odiai il Signor Morte e lo gettai in un cassetto così come aveva gettato la vita della mamma in un fosso. Seppellimmo la mamma nel campo appena fuori città, sotto un albero per metà bruciato dal fulmine, ma che era un poco come lei, per metà sofferente e per l'altra metà, combattivo. Al nostro ritorno, la casa, sembrava il rifugio di due vagabondi. Eravamo così tristi da dover ubbidire solo alla legge del sonno. La casa era una realtà oscura e malvagia. I suoi ricordi non bastavano a illuminare il vuoto gelido della cucina, delle stanze impolverate e dei chili di pattume rimasto nei sacchi del garage o nei cestini delle camere. C'era un demone cattivo quasi quanto la morte, la solitudine. Non avevamo da chi ricevere le carezze del buongiorno e il sorriso della buonanotte. Mi mancavano le sue urla quando ero indifferente ai voti bassi a scuola. Persino i pianti di quando rientravo a casa dopo mezzanotte, erano solo preistoria. L'indomita Mary Hwak era stata domata alla fine e il nostro cuore seccava come un fiore in assenza di acqua. Prigionieri di una memoria rimasta solo a colorare le fotografie, John ed io cercavamo il minimo contatto quotidiano. Tutto era doloroso. Sopravvivere. Mangiare. Dormire. Pensare senza la forza di uno di noi era triste com'era infelice vedere un edificio strappato alle sue fondamenta. Io mi sfogavo solo con la mia testa dolorante che per me, lei sarebbe, anche potuta esplodere, tanto non m'importava di andarmene. Nessuno dei miei mali e dei miei incubi era riuscito a superare la realtà in cui dovevo vivere. Essere uomini non significava dover sopportare la morte di chi più si amava al mondo. Mi sentivo perduto, rassegnato e impotente. Quella cosa in me che ogni tanto mi sciabolava, aveva stranamente smesso di odiarmi ed io avrei voluto invece che mi trapanasse la testa e mi uccidesse così da non dover ubbidire alle giornate vuote. Ci buttammo in angoli diversi della casa, per dormire vestiti e sporchi come animali. La nostra solitudine non era la cosa peggiore che poteva capitarci, ma il cedimento di papà che dopo aver esaurito pianto e lacrime si mise a grattare la terra sterile del piccolo giardino davanti a casa, nella speranza di trovarci qualche insetto o cose che non fossero sostanze tossiche. Le sue mani si bruciarono e con mio sconforto, per nulla. Non aveva scoperto nulla che tutto il mondo non lo sapesse già. Diventammo poveri, ma i farmaci, John riusciva ancora a trovarli. I miei mal di testa divennero degli incubi diurni con tanto di mostri che m'inseguivano in tutti i nascondigli che cercavo d'immaginare. John usciva spesso e stava via per giorni. Era sempre in conflitto con le sue nuove idee. Tutte le sue prove dovevano dare un risultato migliore ma la riuscita tardava a manifestarsi. I suoi colleghi non venivano mai a casa ma lui, mi diceva che andava a trovarli e non voleva essere cercato, temeva per me. In caso fosse morto, avevo delle istruzioni precise da seguire e queste si trovavano in una cassetta di sigari sepolta sotto il platano del giardino. Non avrei mai scoperto quelle verità ma avevo un talento naturale per quello che lui chiamava, sveltezza simultanea d'apprendimento. Ero un dotto che fuggiva se poteva da tutte quelle formule che avevano portato alla miseria il pianeta. John sperava qualcosa. Io però, non volevo comprendere i suoi piani. Vivevo la vita giorno per giorno, sperando di non vedere altri dei miei amici morire, altri nostri vicini scappare. Il nostro quartiere divenne un pugno di pochi anziani che faticavano persino arrivare alla porta di casa e di cani randagi che consumavano qualunque cosa producesse un certo fetore. Ogni tanto li vedevo che entravano dalle porte aperte per poi uscire correndo verso i giardini trascurati che portano al centro città. Eravamo stati abbandonati da Dio e da qualsiasi bontà celeste. Il tempo si era fermato sui nostri destini diventati alieni persino per noi che prima eravamo il principio universale dell'evoluzione tecnologica e umana. John cercava un rimedio o era quello che mi raccontava, quando si metteva a stillare i suoi diagrammi. S'iniettava vitamine ma io sapevo che era un siero cui sperava di attribuirgli il nome di salvezza. Non temevo per la sua vita quanto non avevo temuto prima che si ammalasse mia madre. Prima o poi sarebbe potuto toccare a me o a lui. I farmaci erano un placebo. Non c'era altro lavoro che quello nei sotterranei e lui si rifiutò di scendere e di lasciare la gente patire sofferenze indescrivibili mentre lui avrebbe cercato un briciolo di speranza per salvare gli ottusi e i colpevoli della sconfitta scientifica di tutta la storia umana. Gli confezionai dei guanti di gomma e lattice che gli alleviava in qualche modo il dolore. Aveva smesso di soffrire per mia madre perché afflitto a sua volta da sofferenza peggiore per la carne ma non per lo spirito. Mia madre aveva lasciato parecchi ricordi per noi, memorie che non percepivamo più, come se fossero passati secoli dalla sua morte. Il mio scarso appetito mi fece diventare uno scheletro. Mangiavo perché forzato e sotto il ricatto dei farmaci. Se non mangiavo, mi dovevo tenere i miei dolori lancinanti che John non poteva curare In casa si parlava poco ed io passavo la giornata a cercare qualche amico immune al male del secolo. La scuola era in uno stato comatoso, come se una malattia l'avesse costretta a rimanere aperta e speranzosa di una medicina meno violenta dell'amputazione. La aule erano vuote e la segreteria con tutti i suoi registri in ordine, registri di cui non fregava più nulla a nessuno, aspettava il suo no della campanella e l'onda di ragazzi chiassosi pronti a correre verso le loro classi. Andai verso il cassetto dei registri e cercai la cartella col mio nome. La gente cominciò a girare armata e i ladri entravano nelle case a razziare medicinali, viveri e quanto potesse servire loro per sopravvivere ancora un po' di tempo. Cominciarono anche a rapire gli scienziati con la speranza che tenendoli in schiavitù avrebbero scoperto qualcosa che facesse guarire i loro cari e loro stessi. Una notte si sentì delle grida terribili nel loro quartiere e l'indomani molti dei nostri vicini sparirono. Mio padre non disse nulla e capì che era preoccupato. Passammo una giornata a decidere cosa portarci via, una sola borsa con poche cose e l'unica per lui indispensabile, il microscopio. Lasciammo tutti i nostri ricordi là dentro e anche le cose della mamma rimasero lì, solo una piccola fotografia con noi tre, fu l'unico tesoro che misi nella tasca del giaccone. Prima di uscire di casa, corsi nuovamente in camera mia, forse sbagliavo ma non potevo lasciarlo lì, rovesciai la cassettiera e misi in tasca l'unico oggetto importante di tutta la mia infanzia, un piccolo pupazzo di plastica avvolto in un mantello nero e con una falce in mano. Andammo via di casa e restammo sotto il ponte di Rocker e ci restammo per pochi giorni. Mio padre, decise di tornare al suo paese, sebbene con grande rammarico, Lot Berry, un puntino che nemmeno con Google Earth sarebbe stato visibile e che mi descrisse come il paese sempre sotto la nebbia. Allegria, pensai. Avevo altri parenti nascosti tra le montagne e, nessuno mi aveva mai detto nulla? I genitori della mamma erano morti da qualche tempo e avevo avuto la fortuna di non avere zii o cugini cui sfuggire durante le cene del Ringraziamento. I nonni paterni? Per me, restavano una razza di uomini sconosciuta e misteriosa. Esseri che mio padre aveva rinnegato per anni e da cui tornava, per quale motivo tornava? Per la nostra sicurezza? John con me, non aveva mai parlato dei suoi, come se avesse avuto una famiglia terribile che l'aveva ripudiato o cacciato. Per molto tempo, credei che lui fosse orfano ma in uno dei suoi discorsi senza senso, venne fuori che conosceva certe persone della sua famiglia che avrebbero potuto aiutarci. Tornare a Lot Berry era un'impresa di un certo rischio. Le auto che giravano erano poche e spesso attaccate dai predoni. A piedi, seicentocinquanta miglia attraverso le montagne e nella stagione più piovosa dell'anno, sembravano un viaggio verso la Luna. Cercammo di seguire la strada e non l'autostrada che in molti punti, era solo una voragine e null'altro, ma anche la statale non era più sicura. Mio padre temeva per i suoi appunti e il microscopio o peggio ancora, temeva che se avessero scoperto che fosse stato uno scienziato, oppure avrebbero portato via e avrebbero ucciso me. I primi due paesi erano del tutto devastati. Alcune case erano state bruciate e per strada il vento spostava carte, vestiti, fotografie e resti di ogni genere. La vita della gente aveva smesso si esistere di punto in bianco. C'era poca gente e molto sporca, alcuni erano riuniti intorno al fuoco, sotto la pioggia e mi dava fastidio guardargli perché vedevo solo impotenza nei loro occhi, troppo stanchi di sperare. Quando ci videro, scapparono come topi impauriti verso delle macerie, dove auguravo loro di trovare riparo dal freddo. Erano passati diversi anni dalla morte della mamma e nonostante le loro penose condizioni, li invidiavo, erano ancora insieme, tutti uniti e tutti fortunatamente immuni a buona parte delle pozioni velenose di cui il pianeta ne era pieno. Probabilmente si sarebbero presto ammalati a contatto con viveri infettati o con delle radici o frutti sicuramente contaminati e, il loro, stare uniti, avrebbero trovato futuri pasti solo nel dolore. Era opprimente accettare la fine del mondo delle comodità e l'avvento della fame. Camminavamo lungo la via principale e ci sentivamo soli. L'azzardo di quell'intrusione sarebbe durato poco perché dal nulla, uscirono due energumeni che ci attaccarono. "Datemi i vostri zaini altrimenti vi ammazzo." Mio padre mi lanciò un'occhiata ed io appoggiai il mio a terra. "Non abbiamo né viveri né medicinali.", disse lui ma mentiva. Avevamo abbastanza antibiotici e vitamine e antiinfiammatori che avremmo potuto curare una ventina di persone per parecchio tempo. Uno dei due uomini per un attimo, spostò la canna dal volto di mio padre e fu il suo sbaglio. In un attimo due spari raggiunsero alla gola e in piena faccia i due banditi. Mio padre aveva una pistola! Non avevo mai fatto caso che i suoi capelli erano già molto lunghi e completamente bianchi, quando era sbiancato così? Avevo del sangue in mezzo alla barba e cercai di pulirmi il viso con il dorso del palmo. Ripresi lo zaino e senza dire altro al mio vecchio che un'occhiata interrogativa, cominciai a camminare incontro al tramonto che mi rendeva triste e schifato del mondo dei grandi. Non m'interessava, dove John si era potuto procurare la pistola ma speravo che avesse abbastanza munizioni per tutti i delinquenti che ci avrebbero assalito in futuro. Entrammo in una casa ancora ben conservata. C'erano persino le serrature e le finestre intatte. L'ordine dentro era talmente stridente che sembrava fosse atterrata da poco e da un lontano pianeta, sul mondo in rovina. Mio padre trafficò nel garage dei Romero, così si chiamavano i nostri ospiti scappati per chissà dove, e dopo un'ora tornò con martello chiodi, due taniche di benzina e una spara chiodi. "Questa è per te, non pesa ma è molto efficace." e pareva contento, come se fosse riuscito a proteggermi da un futuro ancora più oscuro del declino umano cui andavamo incontro. Inchiodammo con pezzi dei due tavoli, le finestre e le aperture del secondo piano. Spostammo i mobili più pesanti contro le porte e a lavoro finito ci lasciammo scivolare lungo la parete della cucina, entrambi con le lacrime agli occhi, come bambini.
Finalmente avevo dormito per abbastanza tempo da non sentirmi più stanco, senza tremare di freddo e le mie narici captavano il profumo di qualcosa di caldo in cucina. L'odore di caffè e uova e bistecca, una braciola di maiale bruciata e l'aroma era talmente reale che le mie narici bruciavano di piacere. Aperti gli occhi, vidi mio padre trafficare sui fornelli. "Sono spariti da poco. Il loro frigorifero e i fornelli funzionano col generatore che ho visto in garage. Ho pensato di preparare una sana colazione. Ci sarebbe da studiare la strada, per quando ci muoveremo." mentre parlava, girava di tanto in tanto le bistecche che sfrigolavano. Le uova strapazzate erano già nei piatti e tutto ben apparecchiato sopra una tovaglia con ciliege che lui aveva disteso sul pavimento come in un picnic. "Io voglio restare qui, c'è cibo, fa caldo e forse nessuno ci verrà ad ammazzare." "E quando il cibo sarà finito? Quando loro scopriranno che questa è l'unica casa non distrutta? Avevo la bocca piena di uova e pezzi di carne e pane. Le uova sapevano di uova, non di cibo liofilizzato, di bustine precotte o di rancido, più masticavo più non ricordavo qualcosa di più buono. Il grasso fritto della carne sfrigolante sembrava che si sciogliesse tant'era liquido e mescolai al sugo della bistecca, briciole di cracker che avrei divorato dopo la pulizia totale della carne dall'osso. Forse il mio alito sapeva tanto di grassi quanto di acidità ma non m'importava nulla, era un momento solenne di vera pace che andava assaporato. A ogni boccone godevo come un bambino davanti al suo piatto preferito e vedevo come mio padre mi osservava di tanto in tanto. Capivo che anche lui aveva patito la mia stessa fame ma lui, mangiava con un certo rimorso come se pensasse a tutte le persone costrette a cacciare qualsiasi cosa vivente, pur di non ascoltare il lamento dello stomaco vuoto. Ricordavo i periodi bui, quelli in cui fummo costretti a coltivare ortaggi storpi e senza gusto. John cercava con tutte le sue forze di sentirsi libero dalle catene di un debito oramai troppo grande da essere in qualche modo, saldato. Sapevo che lui si sentiva colpevole e che l'unica cosa a rincuorarlo era l'insegnamento cui devotamente assistevo, più per inerzia che per volontà propria. John era stato uno dei mille duecento ricercatori ad aver sostenuto accanitamente il progetto "Arcobaleno", bel nome per una triste fine e non si era mai risparmiato da allora, nel cercare soluzioni. Tornai a fissare il mio piatto con una certa leggerezza d'animo e sano egoismo. Stavo mangiando e ricordando quanto il mio corpo avesse bisogno di tornare in forze. Ero preso dall'ingoiare quel cibo caldo, prima che me lo portassero via. Non pensavo più alla frutta secca e alle tavolette energetiche, non pensavo più al desiderio stremante di latte caldo e cereali, e pensai a mamma, alla colazione che mi preparava prima di scappare a scuola, alla mia playstation, alle labbra di Kate, la mia mai fidanzata che le impastava di lucidalabbra finché non mi eccitavo e ai suoi mille messaggi erotici che mi mandava sul cellulare, prima che lei svanisse nel nulla. Speravo che almeno lei si fosse salvata e forse un giorno mi avrebbe mandato un messaggio, che idiota, ma se non possedevo più una casa dove avrebbe dovuto scrivermi? Rutai l'Inferno e qualcos'altro. Nei piatti erano rimasti solo gli ossi delle bistecche e poche briciole di cracker. La bottiglia di vino, doveva essere uno molto costoso perché aveva etichetta italiana, era già a metà. Mio padre abbandonato il pranzo e passata la voglia di cibo si era incollato al suo portatile che ricaricata la batteria, simulava tutte le prove d'antidoto che aveva preparato e scritto minuziosamente sui suoi fogli. Sembrava un bambino che gioia per aver visto funzionare la sua macchinina. Avevamo entrambi i cellulari in carica con la speranza che qualcuno in qualche modo si sarebbe messo in contatto con noi. Vidi anche dei filmati spaventosi che riprendevano la gente delle città uccisa dai soldati. Il caos era solo l'inizio di una guerra tra i civili che non avrebbe più smesso. John mandava dozzine di email, e capì che qualcuno dei suoi vecchi amici era al sicuro da qualche parte. Lui ne ricevette solo una e probabilmente in codice perché c'era solo una parola, "nasconditi" e poi una strana formula chimica, poi si alzò per girare nella casa e tornò con un pacchetto di sigarette, strizzò l'occhiolino nella mia direzione e poi aprì la sua pagina di formule. Stava vivendo per qualche ora nell'Eden e stava approfittando di quella calma per riordinare i pezzi, prima di affrontare nuovamente il viaggio. Durante lo studio, salvava qualcosa su una chiavetta metallica, la stessa che mi aveva fatto promettere di non perdere se gli fosse successo qualcosa. Il caffè era ancora dolce e caldo e non riuscivo a non versarmene in quantità spropositate. "Vai a farti una doccia, resto io qui di guardia. Il boiler è collegato al generatore nel garage. Ti conviene approfittare di quest'occasione perché non so quando potrai usare ancora l'acqua calda." E m'indicò il piano superiore. Feci le scale tre gradini alla volta. Il loro bagno era pieno di Sali, creme varie, profumi, schiuma da barba di tantissime marche e un rasoio che valeva una fortuna. Una foto dei Romero c'era su qualsiasi mobile del secondo piano. Con loro una bambina piccola e un cane, un labrador nero e dall'aspetto simpatico, che bella famiglia perfetta, pensai. L'acqua mi rinvigorì e non solo, radermi e togliermi le ciocche di capelli che arrivavano oltre le spalle, mi fecero sentire un essere umano consapevole e in pieno possesso delle sue facoltà mentali. La schiuma profumata riuscì a strapparmi un sorriso. L'igiene personale richiedeva, in momenti di crisi, una certa tolleranza allo sporco ma le unghie dei piedi erano già in stato d'emergenza ecco perché sentivo le dita dolenti picchiare contro il margine dello scarpone. Persino l'asciugamano bianco era un regalo benedetto da forze della natura superiori. Trovai delle piccole forbicine sopra il beauty rosa della padrona di casa e sistemai delle ciocche che avevano superato la punta del naso. Quando tornai di sotto, trovai mio padre col capo rasato a zero e senza barba bianca. "Pensavo volessi fare Santa Claus per il resto della vita!" gli dissi ma lui, si accarezzò imbarazzato la pelata cercando di sorridere. Aveva delle pesanti occhiaie che nascondevano il colore degli occhi, ancora buoni. Lui non aveva mai invertito il senso di marcia. Aveva fallito e si era caricato di quel fallimento per tutti quelli che al suo posto continuarono a sperare che le cose si aggiustassero da se. John non aveva mai mollato la sua missione. Studiava continuamente e mi aiutava quando stavo male. Presi l'ennesimo antidolorifico e sentì la sua voce augurarmi la buonanotte, forse si era dimenticato ma non me lo diceva più, dalla morte della mamma. Dormire in un letto pulito sarebbe stato l'atto più ritemprante del mondo, ma il pavimento era lindo e avevo preferito trascinare le coperte e i cuscini a terra, odore di pulito bastava per farmi ricredere sulla fine di tutte le gioie umane. Non volevo pensare a nulla che non fosse il benessere del mio stomaco pieno. Mi bastava poco per quella notte. Niente tormenti, niente problemi, niente memoria solo speranze. Chiusi gli occhi senza fatica ma qualcosa dentro di me, fremeva e si dibatteva come se fosse in gabbia. Lottavo in un sogno e mi stancavo di tenere chiusa una porta che mai avrei voluto si aprisse. Era il solito sogno, quello in cui avevo una paura del diavolo. Aprì gli occhi appena i raggi di sole filtrarono dalle imposte chiuse. Mi sentivo ancora stanco ma dei miei terribili incubi, non ricordavo più nulla. John aveva smesso di chiedermi cosa mi spaventasse ed io non trovavo mai una forma esatta della cosa che mi perseguitava appena chiudevo gli occhi. Probabilmente mi considerava un pazzo o davvero mi credeva e si sentiva impotente, poco importava. John conosceva quelle ombre che mi abitavano dentro e si era anche fatto un'idea di quanto fossero moleste. la sua medicina non rimuoveva la causa ma solo il dolore e per poco. Non bastavano i bei cuscini per riposare senza tormento ci sarebbero voluti vagoni e vagoni di antidepressivi, droghe e chissà cos'altro non immune al mostro che urlava dalle mie viscere. La casa era quieta. Sistemai sul letto la biancheria e i cuscini, era il mio modo educato per ringraziare i padroni di casa. Cominciavo a capire cosa significasse casa, famiglia, senso di appartenenza. John si era tolto di dosso con quella dormita, qualche anno di gravi problemi e fatica. Era nuovamente energico e di buon umore. "Adesso sì che possiamo metterci in viaggio. Vai nella stanza dietro la cucina, c'è una cabina armadio, trovati un paio di maglioni e un giaccone, quello che hai è sporco di sangue. Per le scarpe, dovremmo forse sperare un negozio lungo il percorso." Il signor Romero fortunatamente era stato un uomo alto, quasi quanto me, ma doveva avere il piedino di Cenerentola perché le sue scarpe da tennis non mi stavano. Cambiai i miei vecchi jeans con un paio dei suoi e trovati dei maglioni, gli misi uno sopra l'altro, mi aspettavano l'autunno e la pioggia là fuori. Trovai un vecchio Burberry lungo fino alle caviglie ed era abbastanza largo da consentirmi di mettermi ancora un paio di maglioni addosso. Infilai nelle tasche del cappotto un pacchetto di sigarette, caffè, il rasoio e tre pezzi di carne secca che nella dispensa sembrava abbondare. John invece, aveva indossato una tuta e una giacca da sci, nera, e il suo zaino era colmo di viveri e altri antibiotici che erano sfuggiti ai vandali. Passammo due giorni in quella casa e lavammo persino i piatti. Mio padre lasciò un biglietto e dei dollari, come se fossero serviti a qualcosa in un mondo dove si barattava oramai solo col cibo. Uscimmo che era notte per non essere visti da alcuno. Le torce le usavamo a rotazione perché si ricaricavano con un piccolo pannello solare. Lo zaino era diventato pesante e pensavo di gettare via la spara chiodi ma capivo che senza un'arma in più, noi non saremo mai stati completamente al sicuro. Prima di partire, John coprì il generatore con i sacchi della spazzatura e inchiodò sia la porta d'ingresso sia quella del garage, nell'eventualità fossimo dovuti ritornare o fossero tornati i Romero prima di noi. Lasciando la casa, abbandonavo anche gli ultimi pochi e sereni ricordi che mi erano rimasti della mia famiglia ancora unita. La mia testa era un bollitore con il timer rotto e quando non era dolorante, tentavo di tenere viva una piccola fiamma che era rimasta negli occhi della mamma prima di morire. Mi sentivo solo e col peso di un futuro incerto. Ovunque intorno predominavano la malattia e la fame. Nemmeno morire era facile e chi restava in vita, doveva rendersi conto che la battaglia per la sopravvivenza era secondaria a quella dell'istinto del suicidio. Le strade della città erano no un po' come le persone, a volte quiete, altre volte rumorose, ma sempre con qualcosa da dire. Un'auto sporca di foglie parcheggiate sul prato, significava che il proprietario era rimasto occupato con faccende più importanti, altre macchine lucide nei garage aperti, significavano che la gente cercava ancora di condurre un'esistenza normale ma c'erano tratti di strada, dove un'auto ribaltata e bruciata, era stata abbandonata senza che alcuno la rimovesse. Le strade erano come la vita, strette e pulite o larghe e intasate di macerie. Non mi piaceva guardare la morte delle cose. Questo significava che i loro proprietari avevano perso la forza di lottare, pure le mie energie erano giunte allo stremo ma non volevo fare portare a mio padre, anche questo peso. Avevamo percorso solo venti miglia e Gwisburg sembrava un ammasso di cemento e case popolari, posto pericoloso per chi cercava di evitare, i propri simili, e altre catastrofi. Lei era bella. La vedemmo nella vetrina di un negozio di articoli sportivi. John mi disse di aspettare che sarebbe entrato lui per primo. Lei scappò per tornare qualche ora dopo, mentre provavo un paio di stivali da caccia. Mio padre cercò di dirmi qualcosa ma non fece in tempo nemmeno a iniziare la frase. "Ciao! Io sono Alice. Dove state andando? Siete forestieri?" La ragazza aveva dei bellissimi occhi, capelli corti neri e sembrava una ballerina dai capelli lunghi biondi, perfetta, anche se c'era qualcosa che non andava in lei. John cercava di dirmi qualcosa puntandosi il dito contro la pelle della guancia. Tornai a guardare gli occhi di Alice e poi vidi il suo collo, l'unico pezzo del suo corpo non coperto da giaccone e maglioni. Era di un viola intenso anzi macabro. Per un istante ricordai la pelle della mamma quando era in fin di vita e provai un senso di repulsione, un atto involontario che mio padre aveva percepito molto bene. Lasciai lacci aperti e misi lo zaino in spalla ma lei fu più veloce, lanciò un fischio da vero professionista che fece arrivare una decina di pirati su delle grosse moto e tutti armati. Pensai fosse la fine per noi ma come si dice, le vie del Signore sono infinite ... Eravamo pronti a difenderci, mio padre aveva la mano sul grilletto della pistola che teneva in tasca ed io stringevo lo zaino stretto al petto per cercare in meno tempo possibile di recuperare la spara chiodi. Sei di loro ridevano e dietro la ragazza, altri quattro la complimentavano per le prede. Io non volevo essere la prossima vittima di nessuno, così guardai mio padre che mi disse di stare fermo e non capivo perché. Nessuno di loro, proprio nessuno vide uscire dal nulla tre cani giganteschi con gli occhi rossi e con le zanne in bella mostra. Stavano ancora scappando quando le bestie si avventarono su di loro, uno riuscì a sparare in mezzo al capo del mostro ma da dietro le moto, arrivarono altri animali malati e infuriati. John rimase in piedi dietro il mobile dell'ufficio informazioni mentre io cercai riparo in cima a uno stand pieno di scarpe, ma i cani non ci guardarono nemmeno, stavano ingaggiando una battaglia cruenta con i tipacci e nonostante le loro pallottole, vinsero le bestie che svanirono nel nulla con il loro pelo macchiato di sangue e i loro occhi demoniaci. John non disse nulla ma io capì che non era nemmeno entrato nel panico in una situazione che presumibilmente chiamava alla paura più di qualsiasi altro incubo. Io invece tremavo ancora. Detestavo avere paura e sicuramente non sarei mai riuscito a tenere testa al branco se mio padre non fosse stato lì con me. Ricordai un incubo peggiore di quello. Ero al parco con mia madre che chiacchierava con delle amiche, avevo due anni e un cane immenso con occhi freddi che sembravano senza vita mi si avvicinò ringhiando, pensai che mi avrebbe mangiato tanto il suo muso era vicino alla mia guancia e lo sentivo respirare rumorosamente mentre la bava gli colava abbondante da entrambi i lati del grugno. Ero lì, muto come un pesce o meglio, come un pezzo di pietra, quando mia madre si era accorta della bestia che non aspettò lei per andarsene, ma svanì nel nulla. Lei chiese di chi fosse il cane, ma né cane né padrone furono più rintracciabili, c'ero solo io che tremavo muto di terrore con i calzoncini bagnati perché me l'ero fatta addosso appena il suo muso umido e gorgogliante, si appoggiò alla mia faccia. La mia cinofobia non era migliorata con l'età e per questo che i miei evitarono di portarmi a casa qualunque cosa respirasse. Nemmeno i pesci mi davano serenità e non stimavo nemmeno le cavie che giravano impazzite in quella dubbia ruota, dentro le gabbiette di metallo senza alcun buon profumo. Qualunque animale per me, era libero di vivere la sua vita ma non nella prossimità della mia persona. Quei cani erano riusciti a terrorizzarmi e John non fece nulla per tranquillizzarmi ma continuava a osservare con attenzione ogni mia perplessità e paura. "Sì ho ancora paura dei cani!" gli urlai mentre tentennavo a scendere dallo stand. "Tranquillo non ritorneranno più." "E tu come fai a saperlo? Io detesto loro e loro odiano me. Come cavolo ci siamo arrivati in questa situazione?" "Se avessero voluto sbranarci, non sarebbero mai andati via." "Potrebbero solo essersi radunati per attaccarci in branco." "Non ci hanno degnato nemmeno di un'occhiata, vuol dire che per loro non siamo abbastanza appetitosi." "Meglio che sia così, comunque per stare più sicuri ..." presi la mia spara chiodi e saltai giù ma non in direzione dell'uscita ma verso la parete con gli archi. Ne presi uno, abbastanza calibrato e afferrai anche una decina di frecce. "Meglio essere preparati a tutto." "Il nostro problema non sono le bestie ma gli uomini. I peggiori, quelli terminali che lottano pur di non morire, non li abbiamo ancora incontrati e spero di non trovarne alcuno sulla strada." Poi si girò verso di me e m'indicò la tasca della camicia. "Se mi succedesse qualcosa, prendi la chiavetta e se riesci anche il portatile. Sulla chiavetta c'è tutto, nomi con cui dovrai metterti in contatto e quando." "Stai facendo testamento?" "E' un po' prematuro?" "Io trovo che sia un esercizio sadico che punta alla compassione." "Ma che dici?" "Smettila di cercare attenzione, facendoti compatire, non ho voglia di morire e non ho voglia di vederti morire. Sei un padre e nonostante la tua veneranda età, non hai il permesso di abbandonarmi almeno finché la tua scienza non avrà corretto o meglio, curato le mie fobie. La mamma ti odierebbe per quest'atto di debolezza." "Tua madre ed io, abbiamo sempre avuto fiducia in te per questo ti devo dire, dove tengo le nostre risorse future più importanti." "Hai scoperto l'antidoto?" "No. Ma potrei aver una soluzione a breve. Tu sei indispensabile e non mi riferisco solo al fatto che sei mio figlio." "Non capisco." "Tu credi che io debba curare le tue fobie ma io credo invece che tu possa curare l'intera umanità. Le tue piccole fobie sono gestibili, non credi?" "Sapevo di essere un fenomeno ma non mondiale." "Anche gli idioti hanno le rotelle, il senso d'umorismo il desiderio di girare la chiave dell'onnipotenza ma pochi hanno un talento naturale per l'informatica e il coraggio di aiutare il prossimo con tutte le armi a disposizione." "Non sono un idiota vero? Solo perché cerco di sistemare le cose che a volte vanno contro la brava gente? " "E chi sei tu a scegliere chi è buono o cattivo? Lo so che tu aiuti le persone con il metro dell'innocenza ma non noi conosciamo fino in fondo e intimamente i pensieri della gente. Aiutare qualcuno senza il dubbio di chi possa essere, senza pesare le sue opere, potrebbe essere un male. Ti do atto del coraggio perché sei stato capace di aiutare il prossimo senza distruggere l'umanità. Io sono l'idiota che ha cercato di considerarsi capace di cambiare il pianeta usando semplici formule. Il pianeta ripudia gli idioti e i loro sistemi. Il pianeta ripudia gli onnipotenti. Tu hai più scienza di tutti noi messi insieme e in qualche modo, sono colpevole di averti rovinato il futuro. Oggi sto cercando di rimediare ma ci danno la caccia nella speranza che si possa inventare qualcosa che non cancelli del tutto l'umanità. Tu sei consapevole vero, che io potrei morire?" "Certo e spero non come la mamma. Per favore cerca di vivere perché non voglio ereditare né le tue formule né il peso morale di ciò che hai fatto. Soffro per te, per noi tutti ma non posso fare altro che vivere alla giornata nella speranza che questo schifo abbia termine o che alla fine, io possa svegliarmi da quest'incubo e trovarmi a casa, mentre la mamma prepara i pancake e tu scappi al lavoro con la cravatta macchiata di caffè:" "Potrebbe succedere in qualsiasi istante. Le soluzioni, diceva Einstein possono arrivare da una qualsiasi improvvisa illuminazione, basta avere fede. Se dovessi morire, avrai l'obbligo di consegnare il mio progetto a chi forse, potrebbe essere in grado di elaborarlo. E se dovessero prenderti, dovrai studiare fino a farti scoppiare le meningi, alla ricerca di una chiave che apra la tua mente." "Ma io non sono un genetista né vorrei diventarlo e tanto meno capisco qualcosa di quello che scrivi." "Ma sei un genio della sopravvivenza, della truffa virtuale e un grande difensore della pace tra uomini." "Ma io non mi sento colpevole di aver ammazzato milioni di persone. Sono arrabbiato con i cervelloni come te perché vi siete lasciati sfruttare e manipolare da gente con il cervello come una pallina da pingpong. Adesso non mi rinfacciare la vita da studente, e poi ho truffato non una persona ma una banca e poi per un fondo senza rischi dell'ospedale della contea che per cinquant'anni potrà ricevere materiale medico gratuito. Sono un normale adolescente e non un terrorista." "A ventidue anni quasi, sei un pochino tanto di entrambe le cose, non credi?" "Sono il figlio di uno scienziato e in qualche modo devo onorare questa pesante eredità." "Ecco perché ti affiderò la nostra ricerca." "Dopo." "Prima che dopo. Non vorrei che mi tirassero una botta in testa così poi, non avresti il tempo di recuperare zaino e chiavetta." Rovesciammo i rispettivi zaini e rinunciai alla sparachiodi per diventare possessore di una pistola Larry Weishuhn’s Hunter che non sapevo apprezzare come forse avrei dovuto. La mira era facile e l'impugnatura decisa, i mostri sembravano aver trovato pane per i loro denti. Gli mostrai l'arma denigrando il suo uso. Eravamo stati una famiglia di pacifisti e non di cacciatori. "Sai bene che non ammazzerò mai nessuno con questa. Lasciami la sparachiodi. Ferire qualcuno, non significa ucciderlo." "Non era mia intenzione insegnarti a uccidere ma a difenderti." "Se difendermi, significa uccidere, sappi che non lo farò, la mia vita non vale più di quella di qualsiasi essere umano incazzato perché tu e altri come te, avete inventato la morte del pianeta." "Touchet." "Riprenditi l'arma." "Tienila tu così sarò sicuro che non ucciderò nessuno solo perché proverà a rubarmi la ricerca." Nel mio zaino c'erano solo il portatile, il capello, il rasoio preso in prestito ai Romero, il dentifricio, il cellulare e carica batterie, due scatole di antibiotici e un antiinfiammatorio e della frutta secca. Mio padre prese il microscopio, i medicinali, il cibo, il coltello, maglioni, ottomila dollari che servivano solo a mantenerlo corretto in ogni posto che entrasse e tutto il resto. Guardavo le sue mani spartire le cose e capivo quanto fosse stato essenziale per lui, avere a chi tramandare i propri risultati e non essere vissuto per nulla. Io ero uno dei suoi mezzi per riscattarsi dal fallimento di tutti gli altri come lui. La sua testa prima pelata, dava accenno di crescita e i suoi capelli erano candidamente bianchi come se avesse avuto altri quarant'anni sulle spalle oltre ai suoi. Inaspettatamente ero diventato l'uomo di casa e non mi sentivo per nulla bene. Crescere aveva un certo peso e il mondo degli adulti, secondo me, era sempre stato soffocato da insano egoismo e desiderio di regredire per puro piacere. Il mio nuovo me, era diventato molto distante dall'idea di Robin Hood, principio per cui avrei combattuto fino all'ultimo goccio di sangue. Non capivo questo suo desiderio di rendermi partecipe o meglio, artefice di una ricerca mondiale. Io non ero in grado di liberarmi da un cane, come avrei potuto salvare il mondo? Cominciammo a camminare verso Bricks Bay. Ero stanco e c'era ancora molta strada da fare. Non mi piaceva quell'avventura verso l'ignoto senza la comodità della macchina. Viaggiavamo leggeri per non dare nell'occhio, diceva John, ma io credevo che fosse una stupidaggine. Quella camminata non massacrava solo le mie gambe ma anche le ultime speranze di non sentire più dolori da alcuna parte. Pochi giorni e avremmo raggiunto la destinazione. Le strade di campagna erano più pulite di quelle di città. Le case erano tutte chiuse e i negozi vuoti ma non c'erano atti di vandalismo. Forse non tutto il paese era spacciato. Riuscimmo a fare una sosta, dove su un fuoco improvvisato con qualche pietra e pochi rametti secchi, John preparò del caffè bollente che in qualche maniera aveva alleviato la fatica. Il suo zaino era magico come il vecchio piccolo bollitore che sicuramente aveva portato via ai Romero. Ero stanco persino di masticare le mie pastiglie. Nello stomaco mi sembrava di sentire una mano con una dozzina di lame e nemmeno mangiare riuscì ad alleviarmi il dolore. Sarebbe passato come le altre volte in cui si era presentato per poi svanire. Ricordo ancora la faccia del dotto Fregman, vecchietto, piccolo di statura ma con una mente e una lingua che sembravano due fucili. "John, guarda queste radiografie, tuo figlio non ha una strana massa scura sotto la scapola ma messa alla luce, la massa scompare. Forse dovrei fare altri accertamenti, c'è qualcosa ma non si lascia identificare, è come se viaggiasse all'interno del suo corpo." Ma gli ulteriori discorsi io non potei sentirli. Non tornai più da Fregman ma da allora continuai a prendere pastiglie contro un dolore ignoto come Alien. Sarebbe passato alla fine, diceva mia madre. Le sue parole avevano l'effetto placebo e riuscivo a non sentire più nulla per giorni, bastava che non ascoltassi la mia testa e il mio stomaco perché non ero pazzo, qualcosa dentro di me parlava, viveva e si faceva sentire ma detestavo qualsiasi cosa fosse perché morire di morte viola o di qualunque altra cosa mi andava bene purché non ci fosse quel dolore lancinante dentro il capo. Signor Morte mi aveva risparmiato e continuavo a vivere con la clemenza di un corpo cui ero schiavo e padrone. John Brightman mi aveva insegnato tutto, mi aveva protetto e mi stava ancora proteggendo, portandomi nell'unico posto, dove non sarebbe ritornato se non fosse stata l'ultima, drastica soluzione. La sua non paura verso certe cose mi dava da pensare. John non era mai stato un superuomo, sì era coraggioso e lottava per le buone cause ma non si era mai esposto all'attacco di feroci animali, conscio di poterli vincere. Temevo che fosse stato contaminato a sua volta ma pregavo non fosse così. Durante le successive settimane, riuscimmo a trovare una sola casa vuota e fornita di luce, dove mio padre mi prelevò altro sangue e dove ebbe il modo di continuare le sue ricerche. In questo intervallo, riuscì a sentirsi con un tizio, un altro fenomeno che riusciva a collegarsi di tanto in tanto; lo vidi di sfuggita perché indossava una giacca militare ed era parecchio anziano. Le loro conversazioni erano stringate al punto che loro potevano capire quello che si dicevano, solo ogni tanto John, menzionava il mio nome come se quell'altro potesse conoscermi.
2 Lot Berry Da piccolo, mia madre mi cantava una canzoncina stupida ma che mi terrorizzava e mi faceva sorridere allo stesso tempo, erano dei versi sui gatti che spaventavano cani non meno grandi di un piano di casa. "Il fantasma di notte, apre le porte. Attento a dove nascondi il tuo cuore perché il fantasma che apre le porte sa bene chi deve mangiare, lui fissa per ore la tua tana e quando più ti credi al sicuro, attacca. Non solo il fantasma ti vede di notte, anche il lupo che va a caccia. Lui viene e caccia il fantasma di notte perché le sue zanne fanno molta paura ai mostri e salva il bambino che col buio prende coraggio ..." Io domandavo sempre a mia madre come mai i lupi avevano tanta forza e lei mi replicava che gli animali rispondevano a forze della natura e non della coscienza e allora le chiedevo ancora perché i lupi potevano vedere i fantasmi? Lei mi diceva teneramente perché non erano abbastanza umani. Loro percepivano più di noi i mostri e ci aiutavano a difenderci da essi. Era vero. Non me lo immaginavo un lupo che coccolava la sua preda prima di mangiarla e mi piaceva l'idea del lupo che toglieva gli spettri di mezzo. I lupi che hanno fame ascoltano lo stomaco e non la parola di Dio che dice loro di non fare del male ai propri simili. Chissà se i lupi avevano un Dio? Un grande Dio lupo che rosicchia un osso di nuvole in attesa di prede più interessanti. Perché mia madre mi raccontava quelle cose terribili? Voleva forse che detestassi più di quanto già non gli odiassi, i lupi o i mostri contro cui loro combattevano? Ma lei, lei c'era più per rispondermi a quelle domande. Per uno che detestava, cani, gatti e lupi quella canzoncina rievocava tremiti e incubi terrificanti. Non ho ricordo di quando iniziai i primi attacchi di cinofobia ma da piccolo, pur di evitare le case con i loro piccoli quadrupedi, facevo il doppio del percorso pur di salvarmi. Non amavo nemmeno andare allo zoo, io non amavo accarezzare criceti, serpenti o uccellini. Non ero in grado di garantire né per la mia che per la loro sicurezza. La canzoncina del lupo era un ritornello contro fantasmi più cattivi che avevo sicuramente nascosto nella mia memoria. Ero certo che quand'ero abbastanza piccolo, fui morso da un cane o qualcosa di simile e i miei evitarono di raccontarmelo per non alimentare maggiormente le mie paure primordiali. Forse sarei dovuto nascere o cane o lupo per contrastare certi dubbi che crescendo, divennero fisiologici. Loro non incontrarono la malattia. Molti animali si salvarono, anche se quelli morti, non avevano molto più degli uomini da dire. Non tutti erano immuni e i sopravvissuti non avevano alterazioni benevole che consentissero lo studio per una cura. Si salvavano perché più forti. John ed io, due entità indivisibili ma distanti, potevamo sembrare due vagabondi in cerca di fortuna. Camminare fino allo sfinimento non aveva prodotto che delle grosse vesciche e molta fatica. Pensavo che in quel periodo dell'anno affrontare la montagna, fosse un sacrificio estenuante. A piedi in mezzo alla neve e al gelo, con il cibo scarso e gli imprevisti, poteva essere un'avventura pericolosa. Non sono mai stato legato ai sogni dell'impossibile. I miei limiti non erano un problema e non m'interessava superarli, mi bastava scampare alla sofferenza della mia malattia senza sintomi. Trovammo un passaggio per Bricks Bay, ignaro paese oltre Cleveland e oltre tutte le destinazioni più conosciute del paese, su un camion di legname che era tra i pochi a girare ancora in strada senza paura. Viaggiava solo su un tragitto sicuro e con rifornimento che gli arrivava da una fonte governativa, il legname era impiegato dalle forze armate e lui non sapeva per quale progetto o se come fonte di combustibile. Il tizio che lo guidava, un grande filosofo, era un taciturno ma ci raccontò che non erano in molti a transitare su quella strada e che lui si era armato fino ai denti pur di non rischiare, detto questo, ci mostrò una vera vetrina di fucili dietro la tendina del riposo. La parte delle montagne era molto più abitata e illuminata della città. La gente non viveva nascosta come nelle grandi città e alcuni negozi lavoravano come se nulla fosse successo al resto del mondo. In cambio c'erano moltissimi gatti. Anche Big Bob ne aveva uno che cercò non poche volte di graffiarci, questo finché l'uomo non lo chiuse nel suo ripostiglio. "Qualche ora di riposo gli farà bene, non è mai cattivo con gli estranei ma è vero che sono parecchi giorni che non scende da questo dannato camion e chiunque al posto suo, impazzirebbe." Il gatto continuava a miagolare come se ci sentisse, come se gli mancasse qualcuno su cui affilarsi gli artigli. Big Bob continuava a parlare sul mondo già in declino, sulla gente impazzita e sulle scorte di viveri che molti cercavano di nascondere in attesa di tempi ancora più difficili. Mio padre non fece nemmeno caso ai suoi discorsi, era molto distante e forse pensava alla donna che si era portata via un pezzo di lui, il pezzo migliore. Mi faceva così male ricordarla che appena riaffiorava il suo volto nella memoria, cercavo di pensare ad altro. La morte di mia madre era una colpa per cui John non avrebbe mai potuto espiare abbastanza. Lasciai i ricordi felici per concentrarmi sul paesaggio. Fortunatamente Bricks Bay ci mostrò il suo bel cartello di benvenuto. Pioveva e il lago sembrava uno specchio calmo in una giornata dolorosa. Molte barche erano legate a un piccolo molo mentre sull'unica strada che faceva anche da centro, alcuni negozi illuminati invitavano a entrare. Bricks Bay era ancora lontana dalla fine del mondo. "Anche qui, sapete, è arrivata la morte ma la gente resiste all'orrore e si rifiuta di vivere come animali o peggio come degli assassini. Qui potreste rimanerci fino a che troveranno una soluzione. La pesca non va tanto male e i cervi non sono contaminati. Siamo protetti dai mostri e dall'esercito che non osa mettere piede sulle montagne, come se fossero infestate. Da anni non passa un forestiero e voi due, siete la gente più strana che io abbia mai conosciuto." sbiascicò Big Bob con la bocca piena di tabacco e prestò finì in strada, sputato da oltre il finestrino. I suoi denti neri erano consumati fino quasi alla radice e quando rideva, aveva un non so che di diabolico. Big Bob, ci lasciò a un benzinaio che faceva anche da piccolo market. Non c'era molto cibo ma le bottiglie di coca cola riempivano le mensole e così per dolci o alcune ceste di frutta. L'odore di pesce era così forte da imbrattare anche le pareti del cesso. Pesce essiccato ovunque e persino legato in lunghi fili appesi sopra la cassa, dove un uomo smilzo dormicchiava al suono di vecchie canzoni County suonate da una radio, probabilmente del posto. Una decina di gattini bianchi e neri, giravano indisturbati dentro e fuori dal negozio, dovevano essere sazi perché nessuno di loro si degnava di arrampicarsi per un pezzo di pesce. Quasi certamente la fame non era uno degli attributi negativi di quel posto. Eravamo a un paio di giorni di viaggio da Lot Berry, ma nessuno andava in quella direzione o voleva darci un passaggio. Un po' ovunque, nei giardini, sotto le pensiline dei negozi, vedevi solamente gatti. Gatti rannicchiati che al nostro passaggio giravano la testa come per controllare la direzione che avremmo preso. Superata la barriera dei gatti, trovammo un'officina ancora aperta. Qualcuno trafficava dentro il capanno pieno di ferraglia e auto rottamate e lo faceva rumorosamente quando noi entrammo, sollevati di trovare posti con gente che ancora lavorava. Il vecchio indossava una salopette con chili di grasso per auto, o meglio indossava il grasso per auto fino al mento e sotto le sopraciglia, tanto era immerso nel proprio lavoro. Si accorse a fatica di noi e quando lo fece, non era entusiasta di vedere due forestieri che curiosavano tra le sue cose. Mio padre non perse tempo e arrivò al sodo. Dapprima il vecchio si fece desiderare ma vista la cosa che John teneva in mano, cambiò in fretta idea e cercò persino di sorridere con l'unico dente che aveva in bocca. Trovò per noi un vecchissimo furgone arancione col pieno cui il vecchio meccanico, mentre trascinava la sua gamba matta, dava dei colpetti qua e la sulla carrozzeria. "Dove vi dovrebbe scarrozzare perché più di mille miglia, questo bambinone non riuscirà a portarvi?" "Ci serve solo fino a Lot Berry." disse John evitando lo sguardo sbalordito dell'uomo. Il vecchio si fece il segno della croce e da allora in poi, ci guardò come due mostri. Fece tutto il possibile per non avvicinarsi troppo e sembrava infastidito e imbarazzato dalla nostra presenza. Lot Berry, Lot Berry, Lot Berry... continuava lui a mormorare come un disco rotto. L'ospitalità era svanita come la vernice dal furgone. Lot Berry non gli piaceva e pace. Trovato l'accordo per il mezzo, rimasi a ispezionarlo. Forse dovevamo trovare una moto o qualcosa di meno pericoloso con cui girare. Il bidone con le ruote non aveva speranze di fare nemmeno un miglio ma lui lo lasciò per il modico costo di due maglioni, il rasoio e sei confezioni di antibiotici, ma quando arrivò il momento del pagamento, non ero riuscito a separarmi dal rasoio così di nascosto lo barattai con le mie due confezioni di antibiotici e uno di antidolorifici, questi ultimi mi chiesero un certo sacrificio ma dimentico dei miei soliti dolori, li regalai. John fece finta di non accorgersene, euforico com'era di guidare nuovamente. Rubai però un paio di torce al vecchio, di quelle che resisterebbero all'apocalisse e spinsi John verso l'uscita mostrandoli la refurtiva, sperando che il vecchio se ne sia accorto il più tardi possibile. "Ottimo affare!" disse John mentre avviava il motore molto più giovane di quello che avrei pensato. "Qui l'unico affare l'ha fatto lo sdentato ." "Ero stanco di camminare e poi detesto i gatti." Non avrei mai pensato che mio padre detestasse gli animali. "Nemmeno a me piacciono ma non per questo rinuncio alle medicine in cambio di un furgone. Bastava un giorno di cammino e saremo arrivati a destinazione. Perché hai voluto prenderlo?" "Io davvero detesto i gatti e credo di esserne allergico ma non c'è tempo per fare una ricerca anche su questa mia debolezza che dici, andiamo in paese a vedere il panorama?" Prima di partire, cercammo l'unica tavola calda aperta, dove il caffè era piscia bollente e l'unico pranzo servito, era dei pezzi di pesce in umido con carote dall'aspetto spaventoso. Mangiammo tutto, lasciando anche un segno di coraggio appena chiedemmo il secondo giro di caffè. Alla radio si sentiva la stessa musica del supermercato, un pezzo di Leon Payne originale. Il locale, a parte la musica, era muto. Nessuno dei venti clienti seduti ai loro tavoli, parlava o faceva rumore mentre mangiava. Sembravano tutti quanti dei mostri in attesa di una vittima. Alcuni di loro erano viola come il drappo funebre della bara di un vampiro, mentre altri erano sani. Più uomini che donne e quasi tutti giovani, sicuramente rimasti soli e senza qualcuno che cucinasse in casa. La morte li consumava lentamente e chissà quanti sarebbero sopravissuti? La taverna era molto piena e la gente ci fissava come se fossimo stati gli ultimi superstiti della nostra razza. John ringraziò la proprietaria e pagò con tutti i soldi che aveva in tasca e una confezione di formaggio francese che lei guardò, come si fissa una reliquia. Pensai, adesso sanno che abbiamo gli zaini pieni di viveri e medicinali, andranno fuori ad aspettarci. Ma una volta in strada non ci aspettava nessuno. Il furgone era al suo posto e la gente all'interno della taverna continuava a fare le proprie cose, cioè guardare il vuoto in attesa o di un miracolo o della fine del mondo. Una decina di gatti si raccolse intorno alle ruote e tutti miagolavano come l'antifurto di uno zoo. I loro occhi cattivi ci fissavano, nemici. John mi fece segno di correre. Comincia a spingere al massimo le gambe, nemmeno a me piacevano quei felini, così lo raggiunsi sul camion in meno di quattro salti dalla porta della tavola calda. Sul furgone caricammo anche i cellulari e se a me nessuno scrisse alcun messaggio mentre io provai a telefonare a tutti quelli che conoscevo, mio padre ebbe una conversazione interminabile col suo amico in giacca militare che lui chiamava semplicemente J. Le parole che si dicevano erano sempre una sorta di codice. Temperamento integro, generazione di frutti incontaminati, possibilità di contagio umano a meno del 30%, seguirà sviluppi di nuovi parametri con dosaggio d'infiltrati contaminati. L'uomo dall'altra parte gli rispondeva con dei numeri che mio padre annotava sul suo taccuino e quando scriveva, dondolava la testa in senso di negazione come se tutti i suoi piani fossero vani. "Anche oggi sono morti 200.000 civili e 300 dei migliori scienziati." mi disse lui come se condividere con me quella notizia, fosse stata una cosa indispensabile. "Ma tutti i gatti di questo pianeta sono sopravvissuti e si sono rifugiati tutti a Bricks Bay." Io odiavo quasi tutti loro, avevano rovinato il pianeta e anche se mio padre era uno dei colpevoli, aveva pagato con la vita di mia madre questo suo grave errore. Già il fatto di non essere voluto scappare nei laboratori sotterranei ed essere voluto rimanere con noi, con gli altri che morivano e che curava con assoluta dedizione, lo aveva cancellato dalla mia lista nera. Il signor J chiese di me e John decise di presentarci. Io continuavo a dire di non col capo ma mi trovai in mano il suo cellulare e una voce con forte accento newyorkese che mi salutava. "Così tu stai difendendo la nostra causa." "Io non difendo nessuno. Non sono in grado di difendere nemmeno me stesso." "Sei modesto quanto tuo padre e credo che tu quanto lui, proteggerai la nostra ultima fonte di speranza." "Io proteggo me e mio padre. Chi è lei per stare dalla parte di uno che ha ripudiato i suoi colleghi?" "Diciamo che sono l'unico che crede che solo John sia in grado di trovare una cura e perché questo succeda non deve assolutamente essere catturato e portato nei laboratori. Il successo della ricerca arriverà solo dal fatto che lui sia rimasto in mezzo alla gente." "Non mi ha detto chi è lei?" "Io ti sono vicino e potrò aiutarti, quando avrai bisogno. Chiamami J." "Ma Chi è J?" dall'altra parte la conversazione si chiuse ma io restavo ancora in ascolto e le mie domande erano rimaste senza risposta. Avevo ereditato, oltre a mille domande sull'imprevedibilità della vita, un'arma da caccia, decine di buchi nel braccio anche un collega di mio padre che speravo non fosse stato, solo uno che l'avrebbe tradito appena possibile o che già lo stava facendo ma era in attesa dei risultati ambiti. La squadra J&M&J, John, Matt e J era le più improbabili che potessi immaginare, per volere salvare l'umanità. Era difficile capire cosa stavano combinando, in fondo non spettava a me salvare l'umanità e sinceramente ero stufo di perseguire obiettivi che non sarebbero durati più di 24 ore. John evitò di riprendere il discorso ed io non avevo voglia di pensare ad altri problemi che sarebbero potuti nascere dalla sua esigenza di dare una svolta al degrado generale del mondo. Nel furgone c'era ancora un vecchio mangianastri che ci regalò i migliori momenti di musica della nostra vita. La meno rovinata era una cassetta degli AC/DC che ci accompagnò per quasi 70 miglia tra versanti e burroni. Il nostro Eden era stato superato dalla forza a motore, un oggetto divino inventato dall'uomo che ci aveva privato di una camminata sfibrante in mezzo alle colline fitte di una boscaglia scura e inospitale. Sul viale quasi sterrato e pieno di buche, il cemento era stato mangiato da piccoli cespugli d'erbacce che nascondevano trappole e proprio in una di queste che finì la ruota anteriore e il nostro viaggio. Il pozzo era profondo quasi un metro e la ruota giaceva piegata in modo innaturale sul suo asse. La nebbia era come il colletto stretto di una camicia. Odiavo quel posto. Persino le città abbandonate erano meno oscure che quella strada al confine col nulla e in mezzo a file sterminate di alberi grandi quanto un grattacielo di dieci piani. Mi piaceva abitare in mezzo ai resti una società civile, cosa ci facevo in quel posto? Avevo esaurito il mio zaino di speranze. La fede cambia quello che percepiamo e se avvertiamo la paura, allora la sua energia ci sprona a non demordere, ma per chi non ha fede, la paura resta solo un trampolino verso il bio, il freddo e verso il dubbio. Io ero ancora in mezzo. Camminavo sulla via dell'incerto accompagnato non più dalla forza dei buoni ricordi ma dall'inerzia di un'esistenza senza la gioia. Potevo anche morire ma doveva accadere per una causa giusta e non perché schiavo dell'incapacità. Fuori dall'abitacolo, pioveva come se Dio avesse voluto anticipare il diluvio e non con una pioggia fitta ma con piccole gocce ma con veri e propri palmi d'acqua che cancellavano la natura intorno, sommersa da una strana barriera di nebbia e oscurità. Presi una botta in testa che invece di sanguinare si gonfiò velocemente sopra la tempia destra, mio padre invece sembrava essersi arrampicato sul volante tanto era in alto rispetto al mio sedile. "Siamo a casa." Mi girai perplesso verso John cui brillavano gli occhi di contentezza. Invece Lot Berry sembrava un luogo perfetto per le streghe. Se Bricks Bay era per eccellenza il paese col peggior puzzo di pesce del mondo, Lot Berry si avvicinava a quei dipinti gotici e tenebrosi che incitano lo spettatore a rabbrividire. La strada che avevamo davanti, si perdeva in un tunnel di alberi piegati all'interno della strada, dal vento e dai numerosi temporali che non dovevano essere radi, visti i tronchi tumefatti dalle arsure dei fulmini e dalle sciabole delle grandinate. Il fogliame era ancora fitto sebbene fosse quasi inverno e le nuvole soffocavano come un coperchio, la cima delle colline. Tutto aveva un colore scuro, il muschio, il fango, e persino la nebbia era un tessuto opaco senza possibilità di trasparenze. Fissavo il lato della strada dal mio finestrino mentre l'acqua scendeva, correva giù come se volesse picchiarmi anche dentro il cervello. Sentivo quel poc, poc, entrarmi sotto pelle e infreddolito accesi ancora di più il riscaldamento. "Così la benzina finirà presto." disse John mentre scendeva dall'auto per verificare i danni. "A cosa serve se dobbiamo andare a piedi?" urlai mentre sbattevo la portiera che lui aveva lasciato aperta. John rientrò col volto corrucciato. "Ci sarà da camminare." "Io resto qui al caldo finché non finisce la benzina o passerà una buona anima, meno sfortunata di noi." Lui guardò il quadro e mi rispose ironico. "Potrai crogiolarti in questo nido per altre due o tre ore, poi sarai costretto a saltare giù pur di scaldarti." "Scaldarmi camminando sotto la pioggia? Senti, restiamo qui fino a domattina e poi partiamo. Spero che qualcuno passi. Come mai da queste parti viaggiamo solo noi? Cos'è il paese di Dracula?" "Credi ancora ai vampiri? Una volta qualcuno andava in giro a raccontare che su queste montagne, vivevano i licantropi." "Non sono abbastanza grande, abbastanza intelligente e abbastanza da non detestare i lupi e tutti quelli che hanno zanne e pelo. Dimmi che tra quelli alberi vivono solo scoiattoli." "Certo ragazzo, solo scoiattoli e qualche altro animale che va a caccia di tutto ciò che si può chiamare mammifero." "Perché cavolo, me lo dici, siamo arrivati fin qui?" "Perché è l'unico posto dove poter stare senza temere la malattia o i nemici." "A Berry abbiamo la possibilità di stare un po' sereni." "Perché ora e non anni fa? Perché questo posto sembra così appartato?" "Prima non eravamo pronti." "Già, ci vuole del fegato per arrivare fin qui." John sembrava tranquillo come se fosse a due passi da casa e non in mezzo al nulla e con le gomme a terra. "Hai visto le erbacce in mezzo alla strada? Vuol dire che sono pochi i visitatori e i turisti che cercano Lot Berry." Mi addormentai e feci un sogno, dove mio padre era un essere sovrannaturale che ci salvava dai mostri e dalla carestia, ma il suo volto non era normale ma una sorta di maschera senza espressione che ringhiava contro il finestrino del furgone. Mi destai di colpo. Tenevo le mani sugli occhi, come se la luce li potesse bruciare. Era stato solo un brutto sogno e per fortuna la luce del giorno aveva cancellato parte del muro di nebbia che ci aveva avvolto per tutta la nottata. Scesi dal furgone per i bisogni e non trovai John da alcuna parte. Prima cercai dietro il furgone e poi scesi per qualche passo nella scarpata. Di lui nessuna traccia. Nel furgone c'erano i due zaini, le torce e le chiavi ancora nel contattore. Sotto la parte destra, due grossi rami, piantati sotto le gomme. Accesi il motore e cercai di tirare fuori il furgone. Mio padre doveva aver lavorato per quasi tutta la notte. Girai l'interruttore della radio nella speranza di incrociare almeno un fruscio, una voce ma nulla; la radio era morta e non captava alcun segnale normale o paranormale. Ero solo. Ero solo in mezzo ai boschi, su una fangosa strada di montagna conteggiata dalla peggior nebbia della storia e con attorno, una natura altera, travestita da bosco. Tornai nell'abitacolo intirizzito, avevo le scarpe e i pantaloni sporchi di fango scuro. Nonostante il giaccone, sentivo freddo e immaginavo come sarebbe stata celestiale una buona tazza di caffè nero dolce e bollente. La tazza con il drago azzurro che ogni mattina mi aspettava sulla mensola e un biscotto al doppio cioccolato nascosto in uno Scottex come portafortuna. I bei tempi erano fermi da mille anni alla camera sulla strada da dove sentivo le auto trafficare giorno e notte, alle sedici spogliarelliste che il mio amico Benzo mi mostrava sul suo telefonino e alle gonne corte della prima ragazza che mi aveva spezzato il cuore. La nebbiolina sembrava non volere uscire dai boschi ed io le ero grato. Avevo abbastanza benzina per tornare indietro ma rimasi là a riflettere sulle possibilità che avrei potuto avere, se fossi andato avanti. Rimisi la cassetta e la compagnia degli AC/DC mi fece tornare alla realtà. Guardai il livello della benzina, sarebbe bastata appena a ritornare verso Bricks Bay e scendendo in folle. Arrotolai l'orlo dei pantaloni e feci un nodo, così non avrebbero pulito la strada. Dovevo correre e non trascinarmi. Mi venne in mente il film di Apocalypse Now, dovevo diventare un soldato che aveva il compito di cercare John in mezzo a una giungla infelice e nemica. Dovevo imparare a mimetizzarmi, sperando di non trovare alcun umano nemico pronto a uccidermi. Avevo paura. Quella montagna mi faceva paura perché reincarnava tutti i miei incubi da bambino; il nascondiglio perfetto per i fantasmi ululanti e i mostri quadrupedi. Scesi nuovamente dal furgone, gridai il nome di John e aspettai che dalla nebbia lui uscisse. Rovistai nel suo zaino, c'era tutto tranne il suo cellulare. Ero arrabbiato, tanto rabbioso che presi a calci il furgone finché la carne non mi faceva male. Le lacrime scesero ed io le lasciai correre giù come se mi sentissi colpevole di aver dormito troppo a lungo senza pensare a lui che cercasse di proteggermi. Quell'impotenza mi distruggeva dentro e avrei voluto che qualcuno avesse risposto ai miei richiami fosse anche il nemico. Balbettavo cose senza senso e provavo a ritrovare la ragione perduta. Il cervello bolliva e nessuna idea valida mi diceva, dove cercare un uomo inghiottito da un centinaio di miglia di foresta. Meglio affrontare i mostri che il nulla. Solo la nebbia sembrava colpevole di aver visto o nascosto qualcosa. Guardai le nuvole che s'impastavano ad altre ancora più scure, la pioggia stava per arrivare e non sapevo se lasciare quel posto. John doveva avere bisogno di me, lo sentivo e non avrei aspettato nemmeno un'ora senza provare a cercarlo. Entrai in macchina e tolsi la cassetta dal mangianastri. Sentivo che mi avrebbe portato fortuna. Presi il cellulare e provai a chiamarlo ma il suo era spento. Buttai nervosamente le mani sul volante. Afferrai la sparachiodi e misi la pistola nella cintura dietro la schiena, senza indugiare preparai un solo zaino dopo aver lasciato nel furgone i maglioni, parte dei viveri e la scorta d'acqua, solo i medicinali avevo conservato. Parcheggiai il furgone davanti a un cespuglio, sul fianco della strada e nascosi le chiavi sotto la ruota destra. La nebbia mi stava aprendo le braccia e non attesi altro per affrontarla. Le cime delle montagne erano scomparse tra nuvole nere pronte a eruttare lava aliena o pioggia nera come pece che avrebbe sepolto il mondo nella tenebra. John era svanito senza lasciare altre orme che quelle intorno al camioncino e il mio umore erano come la punta affilata di un gessetto passato sul piano lucido di una lavagna. Quel silenzio intorno scorticava l'anima. Camminavo da più di due ore e la strada sembrava solo un braccio storpio e mal articolato della foresta. Ogni tanto cercavo di addentrarmi lungo piccole strade battute che non portavano da alcuna parte, ma poi ritornavo sulla strada principale. La gente di Lot Berry non usava quella via di comunicazione da molto tempo e più cercavo di evitare i pazzi d'acqua più sentivo qualcosa o qualcuno fissarmi. Non pioveva più ma il freddo e l'umidità si appiccicavano alla pelle. L'aria pizzicava come quando sta per nevicare. Avevo bisogno di qualcosa di caldo e avrei anche acceso un fuoco ma cambiai idea, presi due pastiglie sperando di trovare un'abitazione, qualcuno che potesse darmi una mano a uscire da quella ragnatela di alberi e di rocce. Camminavo disturbato dal silenzio, dall'onnipresenza di una foschia innaturale e dall'assenza di John. Su entrambi i lati della strada c'erano delle recinzioni altissime, costruite anni prima, probabilmente e per dei nemici giganteschi come i dinosauri. Erano recinzioni elettriche con pali d'acciaio ancora resistenti ma storpi. Gli alberi caduti, avevano la forza di scorticare materiale nobile forgiato dall'uomo per la sua sicurezza, come il solito, la natura vinceva sull'uomo e sulle sue opere. I pali infilati nei pezzi di roccia franta, avevano portato con loro la rete metallica e i pezzi visibili erano dei grovigli informi come uova di mostri in attesa di schiudersi. Era difficile seguire il perimetro elettrico perché la tela saliva e scendeva lungo il costone e dentro la foresta con irregolarità. Nemmeno il governo spenderebbe per delle recinzioni se la cosa che si vuole recintare non avesse un segreto da nascondere. Un posto così lontano era già di suo una ferma prigione, elettrificare significava preservarlo da entità maligne. Il mistero del recinto doveva ancora svelare i suoi segreti. Raggiunsi una punta di roccia e terra, dove i fili del recinto erano ben nascosti e seguivano l'andamento della natura; questi erano stati accuratamente passati in mezzo ai rami bassi e alti, così da nascondere il pericolo al nemico. Lanciai un ramo per capire se fossero ancora attivi ma per mia fortuna, la loro resistenza aveva ceduto al tempo. Lasciai i fili penzolanti per passare sotto e cercare una via alternativa alla strada. La foresta non offriva alcuna maggiore difesa e sebbene sembrasse vuota di vita, di strilli d'uccelli o altro, dall'altra parte avevo la sensazione che non fosse disabitata. Camminavo guardandomi le spalle e stando all'erta. Di tanto in tanto componevo il numero ma il cellulare era spento. Perché mio padre doveva prendere il cellulare per lavorare al furgoncino e come mai era scomparso senza nemmeno gridare aiuto o avvertirmi e perché chi l'aveva portato via, non aveva svegliato anche me? L'eternità di quel posto maledetto era conservata dalla nebbia e forse nemmeno l'Inferno aveva una strada tanto solitaria e inquietante. L'oscurità nonostante fosse giorno, era una salda coperta che offriva a qualunque cacciatore, degna protezione. Ma il buio poteva avere qualcosa di buono per una preda? in attesa di risposta accesi la torcia. C'era una presenza ma non in strada, in agguato tra i cespugli o gli alberi che attendeva e seguiva i miei movimenti. La cosa che mi seguiva, era invisibile ma non silente come il bosco. Ogni tanto sentivo un rumore spezzato e capivo che si muoveva appena mi muovevo anch'io. Sentivo qualcosa in me che si dibatteva. La mia voglia di essere cauti era ostacolata da un fremito che mi diceva, corri, corri. Ciò che mi si presentava non era una macchia vede scuro come una pappa densa ma una massa incostante annientata dalla nebbia e dall'umidità. Mi seguiva. Percepivo la sua sveltezza e le sue dimensioni come ondate d'aria calda, la cosa respirava e questo significava che era vulnerabile. Il mio sesto senso non sbagliava mai, a volte sentivo cose che stavano per capitare a distanza di minuti, di ore, ma avevo sempre pensavo che fossero delle stupidaggini. Stavo fischiettando, quando veloce come un pistolero del far west, estrassi la sparachiodi e lanciai nella direzione che sentivo nemica, alcuni missili. Vidi dei punti rossi accendersi e poi spegnersi a intermittenza. Che la mia immaginazione cercasse delle risposte alle paure di quella natura ostile? Mi sentivo rinchiuso in una gigantesca trappola che muoveva i suoi tentacoli dietro le mie spalle per estendersi maggiormente e per completare la sua opera di terrore. Il colpo trovò un bersaglio. I chiodi veloci come missili non mancarono di soddisfare la loro natura, conficcarsi nel materiale cui erano destinati, o non proprio. Dovevano aver prodotto l'effetto desiderato perché senti come un piccolo lamento che la pioggia stava cancellando col suo ritmo prorompente. Quel guaito di dolore non era una mia invenzione, l'avevo udito come adesso loro sapevano che non ero una creatura indifesa. Da lontano si sentivano chiaramente nitriti di cavalli. Che ci fosse una fattoria nei paraggi? Ma sotto i nitriti si udivano cose disgustose che fischiavano. Non erano uccelli e nemmeno dei cacciatori. Cominciai a correre finché la gamba finì in una pozza e sentì come se la caviglia si fosse sbriciolata. Era la fine. Le cose smisero di fischiettare poi dal bosco non arrivò più nulla. Non cercai la pistola ma rimasi seduto a fasciare intorno a un pezzo di ramo, la caviglia dolorante. Forse John era in pericolo ed io non sapevo se andare verso la città o attraversare i boschi. Trovai il coraggio di entrare tra i rami fitti di quel gigante, in fondo se dovevo morire, potevo almeno cercare mio padre. Sul mio cellulare arrivò uno strano messaggio del generale. Chi gli aveva dato il mio numero, forse l'esercito voleva il contenuto del PC e J stava cercando di rintracciare me. La pioggia non facilitava l'atto di pensare. Camminavo verso il dentro di una macchina perfetta per la morte. Forse i lupi o peggio, gli orsi sarebbero arrivati a cacciarmi. La nebbia aveva un effetto frustrante sul mio coraggio. Avanzavo con molta fatica e contro vento. Non ero pronto a morire dentro la bocca di legno che la montagna mostrava ai forestieri. Inciampai ma senza cadere. In mezzo al fango toccai qualcosa di duro simile allo zoccolo di un cavallo. Poco più avanti, brandelli di carne e piccole ossa in una pozza di sangue, non era un buon segno. Girai le spalle, cercando di aumentare il ritmo della salita ma la caviglia era gonfia e dolorante. Non avevo tempo per l'antidolorifico, ero circondato da foschia, odori cattivi e raffiche di pioggia che arrivavano da tutte le direzioni. Presi la sparachiodi e senza indugiare mi rannicchiai dentro un tronco, cercando di raccogliere rami e foglie morte per nascondere almeno i piedi e le orme. Il vento portava altri rumori sinistri. Qualcosa correva intorno alla pozza di sangue e saltava dalle punte degli alberi come se fosse una scimmia. Era nera e da lontano vidi dei punti luminosi sulla sua massa ma era difficile chiamarli occhi perché la cosa non stava mai ferma ed era dannatamente svelta. I rami pungenti degli abeti si spezzavano come se la foschia avesse un peso, ma io sapevo che non era la nebbia a piegarli. Un animale ferito passò velocemente davanti al buco che non offriva molta visibilità. Era un grosso cavallo marrone che sanguinava copiosamente. Delle ombre enormi arrivate dal nulla, si scaraventarono sul suo povero corpo e poi tutti svanirono dentro la foschia. Solo un lamento triste rimase del povero animale perché le ombre non emisero nemmeno un suono. Tremavo. Cercai nello zaino delle pastiglie ma qualcosa andò a urtare contro la piccola tana dove mi nascondevo e poi cadde. Era il corpo del cavallo. Vedevo i suoi occhi ancora vivi e sentivo la sua sofferenza. Qualcosa si avventò su lui e lo strazio che potei leggere nel suo sguardo mi fece sentire un idiota. Sarei dovuto uscire per difenderlo ma la caviglia dava spasmi atroci. Lui smise di soffrire e nei suoi occhi vitrei restò solo il mio volto sporco di fango. Aspettavo che le bestie si avventassero anche contro di me ma arrivò solo il silenzio. Morire o meno non era un dilemma che occupava la mia mente ma il freddo intenso e i brividi. Senza maglioni avrei dovuto resistere alla meglio e se avessi acceso un fuoco, quelle cose mi avrebbero preso. Il corpo del cavallo era lì inerte davanti a me. Provai a spingerlo per cercare di uscire ma inutilmente. La carcassa era una roccia. Presi il cellulare e cercai di comporre il numero di John senza buoni risultati. Presto le bestie sarebbero tornate per fare cose innominabili al povero animale che avrei usato come un riparo caldo, come avevo visto in Guerre Stellari. Impugnai la pistola, lo zaino e aspettai. Il freddo masticava bocconi di me che immaginava un posto caldo ma nella propria testa. Aspettavo che il nemico si allontanasse o mi desse tregua. Col tramonto le cose non migliorarono. I fischi strani dentro la foresta erano delle note permanenti. Provai a strisciare sopra il corpo del cavallo, al buio, mentre le mie orecchie e tutti i sensi erano all'erta. Lo zaino e la caviglia erano una croce per quella precaria sopravvivenza. Qualcosa di luminoso puntava dritto a me. Nuovamente i punti rossi. La massa scura non faceva rumore mentre avanzava, ma sapevo che era letale. Cominciai a correre sudando. Mi sentivo solo e sapevo che non avrei avuto pallottole a sufficienza per tutti i mostri di quei boschi sordi all'uomo. Trascinavo la caviglia e tenevo la pistola contro il corpo perché era più importante arrendersi davanti a quella morte che provare a resistere. Nella foschia ciò che m'inseguiva era solo un'ombra come tante che abitavano il bosco come gli spettri. Forse avrei trovato una casa, un riparo se avessi continuato a salire. "Prendi coraggio dal buio, Matt!" fu il mio sussurro a ricordarmi che non c'era nulla da temere. Le cose che ci inseguono sono corpi e i corpi possono essere feriti. Le cose che ci vogliono fare del male hanno a loro volta paura che le prede possano trasformarsi in cacciatori. Il buio rappresentava una fonte di energia per chi sapeva meglio usarlo. "Prendi coraggio dal buio, Matt!" La frase magica purtroppo non faceva effetto. Io tremavo indifferente al mio assalitore perché avrei solo ringraziato se qualcuno mi avesse privato di quella estenuante sofferenza. Non fosse stato per il dolore, avrei cercato di aggirare il predatore con l'astuzia, ma sudavo e forse avevo anche la febbre, comunque mi limitavo a trascinarmi in punti ancora vagamente luminosi. La pressione dell'inseguitore mi metteva premura. Non c'erano posti, dove fermarsi o nascondersi e nemmeno alberi con rami bassi su cui arrampicarsi. Era finita. Dovevo solo conservare un po' di sangue freddo per il momento finale. Il cuore mi batteva a mille ma le mie idee di cosa si nascondesse nel buio, erano meno di zero. Il bosco al contrario dell'uomo non ha idee, applica solamente le leggi della natura che non sono mai confuse ma evidenti, chiare e assolute. Un albero malato è un albero morto. Un albero morto è una buona o una cattiva tana ma non sarà mai una discreta tana perché troppo debole perché serva allo scopo. La natura salva i forti e ai deboli non offre nemmeno il tempo del pianto. L'uomo in un bosco, senza fucili e al buio è la cosa più fragile che ci possa essere in natura anche se sopra un gradino superiore della catena alimentare. Non si può combattere la natura con una pistola e una sparachiodi, ci vorrebbero dei razzi, un mitra, un lanciafiamme. Quando arriva la morte, ti rendi conto che non hai il tempo di realizzare chi sei, cos'hai fatto e cosa ti manca da realizzare. Ti trovi lì con lei senza armi sperare che l'attimo della partenza non sia doloroso. Sono sempre stato terrorizzato dal non senso della morte. La gente ha sperato per millenni di trovare risposta a una vita difficile in un aldilà più prospero e più riposante ma se non ci fosse nulla? Se non esistesse né riposo, né pensieri, né ricordi, né un io ma solo una triste stasi a ricordare il dolore. Nessuno è mai tornato indietro dalla morte e nessun tunnel luminoso rende chiara l'idea di una cosa funesta che ti strappa alle tue carni per poi seppellirti in un fosso freddo e pieno di muffe. La morte è crudele come la vita. Sfuggire a entrambe o almeno a una di queste, sarebbe stata comunque una vittoria. Da morto sarei diventato uno scheletro bianco, con un triste ghigno in mezzo alle orbite vuote e non ci sarebbe più stato un cuore a battere, delle speranze nel cranio scavato dal tempo. Io sarei svanito per sempre verso un cielo così lontano da chi ha il desiderio di volarlo e sarei sparito dai ricordi di molti come un vento di primavera che arriva per poi svanire nel nulla. Gli altri, quelli che non mi conosceranno mai, mi avranno ucciso una seconda volta e così che la morte ti cancella, con le generazioni future, quelle che non potranno mai conoscerti perché non sei esistito quando loro c'erano e perché le tue opere sono diventate così antiche da essere desuete. Non mi guardavo più le spalle. Spensi la torcia. Sarei rimasto invisibile al nemico e loro a me. Nel peggiore dei casi mi sarei trovato a faccia a faccia con uno di loro. Il dolore alla caviglia era spossante. I passi filavano alla cieca. Senza la sicurezza delle gambe, io saltellavo un po' a destra e un po' a sinistra appoggiato a un ramo curvo che pesava troppo per alleggerirmi la fuga. Gettai il cappotto infangato che mi pesava sulle spalle e mi dava la sensazione di avere una boa che trascinavo faticosamente. L'emicrania comparve e sentivo pulsare la testa come un pallone cui qualcuno soffiava dentro dei segnali alieni. Non volevo più ascoltare né la foresta né il nemico. Ero concentrato sul mio dolore. Presi due pastiglie, concentrato a non mollare la sparachiodi né lo zaino. Camminavo fissando i rami bassi che erano un ostacolo difficile da superare con una caviglia ferita. Sotto il piede, il cumolo di fango e rami secchi erano un pavimento scivoloso e le mani cercavano appoggio sui muschi delle cortecce che nascondevano anche spine acuminate come aghi. Dovevo stare attento ai punti oscuri che potevano essere dei pozzi d'acqua abbastanza profondi da ingoiare mezza gamba. Non sentivo più il freddo. La testa pulsava e faticavo a guardarmi intorno. Dal nulla sbucò la forma tonda di un gigantesco occhio rosso, e concentrai tutte le forze sul recupero della pistola finché spostatomi all'indietro, anche il piede sano cedette al vuoto e mentre scivolavo nell'abisso, la cosa lasciò andare un lamento maligno che a me sembrò infinito.
3 Perduto in una città completamente normale. L'odore di caffè era troppo intenso persino per un sogno. Sentivo alcune parti di me doloranti ma ero ancora vivo. Il sole puntava dritto nei miei occhi che aperti accettarono mal volentieri quell'invasione di luce ma in fondo, dopo tanta nebbia e pioggia, era la cosa migliore da vedere dopo un incubo. Il caffè era la cura per qualsiasi stanco pellegrino e in qualsiasi momento della giornata, poteva riscattare la tua anima da una lunga assenza nel corridoio del purgatorio. Nessuna anima si venderebbe per una tazza di caffè ma capivo che il cuore aveva bisogno di ben più positivi nutrimenti della semplice speranza. Percepivo l'andamento sostenuto della macchina e anche degli odori diversi dal mio. di tanto in tanto, un sobbalzo, probabilmente una buca o uno dei milioni di pozzetti nel cemento che nessuno negli anni si era degnato di coprire. Mi mancava la forza di mettere a fuoco le immagini. Ero andato a male ma quella gente, mi stava salvando e questo meritava qualcosa in più di un pensiero. Il posto sul furgone era occupato da due individui che si passavano delle vecchie tazze di caffè così forte che avrebbe risvegliato pure il Diavolo. Odoravano di selvatico ma a parte questo, sembrava gente normale, forse più ordinaria di quella che ora si trovava dalle mie parti. Dovevo ricredermi sui rozzi e sugli zoticoni se questi più degli intellettuali, salavano delle vite. La ragazza che prima mi sembrò più grande era invece molto piccola. Una tappetta lentigginosa ma molto sveglia che guidava come un uomo, le mani entrambe sul volante e gli occhi azzurri attenti a osservare oltre il fiume di buche. Lei sorrideva senza sembrare stupida. Ogni tanto, mentre guidava, girava la testa per fissare il bosco e gli altri due la copiavano come se ci fosse qualcosa d'importante che da un momento all'altro dovesse uscire da lì. I due bestioni chiacchieravano rumorosamente ma lei mi guardava e i suoi occhi erano dei forti cucchiai che giravano sottosopra il mio stomaco e tutto il resto. "Benvenuto." I ragazzoni si girarono verso di me e il più robusto mi diede una pacca forte sulla spalla. "Allora sei vivo, eh? Non si va nei boschi di notte, non te l'ha mai detto nessuno?" Disse lui, mentre lo smilzo che aveva ciocche di capelli rossi incollati alla camicia e che poteva essere più giovane di me, masticava rumorosamente uno stuzzicadenti. Non riuscivo a dire nulla. Preoccupato, cercai lo zaino. "E' qui fratello, e ci sono anche le tue armi e le tue medicine. Persino il tuo PC e mi domando chi va in giro col PC di questi tempi?" Parlò lo smilzo mostrandomi il capo rosicchiato dello stuzzicadenti. "Grazie." la mia voce arrivava da una parte dell'Inferno che alla mia regione era ancora sconosciuta. "Mi dici cosa ci facevi sulla Haze? Nessuno ci va da decenni?" "Scusa cos'è?" "Ma la strada che collega Lot Berry a Bricks Bay. Noi non la usiamo più, c'è n'è una nuova, asfaltata e impieghiamo poche ore per raggiungere la civiltà, dall'altra parte della montagna abbiamo meno boschi. Ma cosa ci dici di te? Sei arrivato da solo fino nei boschi, stai scappando dalla legge per caso?" Risi e la mia risata fece cambiare umore ai miei salvatori che divennero seri. "Avete visto un uomo sulla cinquantina? Mio Padre aveva con sé solo un cellulare e ha i capelli completamente bianchi." Il tizio con i capelli rossi guardò il suo compare anche la ragazza fece la stessa cosa. Lui era il più curioso. "Non eri solo? Da questo lato della montagna i telefoni non esistono. Non prendono. Se vuoi vivere fuori dal mondo basta che ti nascondi da queste parti, ma devi avere del fegato. Qui non si soffre di solitudine ma di allucinazioni. I funghi sono allucinogeni e sono l'unico alimento che le montagne offrono gratuitamente. A certi drogati di città potrebbe far piacere una gita alternativa, peccato che oltre ai funghi ci si ammazza anche con i burroni e altro ..." Allora hai perso tuo padre?" Mi domandò la ragazza, usando un tono di voce strano, come se fosse stato vietato viaggiare in coppia. "Eravamo in due, io e mio padre ma lui è sparito mentre riparava ..." non avevo intenzione di rivelare nulla del nostro furgone. "Io ho sentito degli strani lamenti e ho corso nei boschi ma c'erano delle strane ombre e dei cavalli morti." I tre si fissarono nuovamente finché la ragazza sorridendo prese l'iniziativa per parlare. "Succedono delle strane cose e un po' ovunque e questo, da quando hanno mandato in rovina il pianeta. Molti animali selvatici cercano cibo e tu sei stato fortunato a non diventare uno di questi. A proposito hai un nome?" "Matt. Matt Brightman." "Lui è Ben, e diede uno scappellotto al ragazzo che quasi colpì il cruscotto, mentre il gigante alla tua destra è Roshua, loro sono i miei fratellini maggiori ma di pochi secondi. Io invece, mi chiamo Mina. Se pensavi che fossi la fidanzata di uno di questi due imbecilli, beh, ti saresti sbagliato. Le loro ragazze sono ancora in uno stampo che madre natura non ha voluto mettere sul mercato, i fratelli la guardarono male, ricordati nel caso tu riesca a farcela ad arrivare in paese per offrirci un paio di birre, sai, ti abbiamo salvato." Tre gemelli di cui faticavo a vedere la somiglianza. Erano tre altezze diverse, tre pesi differenti ma i loro occhi, invece, sembravano identici, stesso colore, stesse sfumature e medesimo strano luccichio. La ragazza sembrava il capobranco mentre i fratelli l'assecondavano come se fosse lei a dare gli ordini. Certamente erano bravi e questo solo perché mi avevano salvato da ovunque mi avessero tirato su. "Avete visto i mostri?" "Haze è un mostro e tu sei fortunato a non esser caduto nella Bocca del Diavolo. E' un precipizio di centoventi piedi pieno di rocce appuntite come paletti e dove molti ci sono finiti dentro con le loro macchine. Puoi ancora vedere le carcasse scomposte lungo il costone." Disse Ben che trafficava con la tasca del giaccone. "Voi andate adesso a?" "A Lot Berry amico, qui intorno c'è solo foresta e quando ti sei stufato di camminare, troverai ancora foresta. Lot Berry è la città della birra, del buon cibo e delle migliori trote che si possano pescare in un fiume." "Da voi non è arrivata la malattia?" "Anche da noi ci sono stati casi di contagio viola ma sono morti in pochi e i sopravvissuti, sono tutti sani. Probabilmente la nostra dieta farà guarire l'umanità." rispose Roshua che cercava di sembrare divertente mentre continuava a fissare il bosco. "C'erano un sacco di ossa di cavalli. Da voi si mangia carne equina?" I ragazzi si guardarono nuovamente. "Noi mangiamo molto pesce. Ma non siamo così isolati come sembra. Si trova Gli allevatori non apprezzano che si parli loro dei cavalli morti. Gli animali selvatici sono molti da queste parti ma c'è una legge che ci impedisce la caccia, pertanto bisogna evitare di andare per boschi di notte e sopratutto andarci da soli. Qualche cavallo scompare ma capita di rado. Diremo allo sceriffo di stare attento a qualche lupo che si sta avvicinando troppo alla nostra città." "Lupi?" "Sì ce ne sono ma non molti. Hanno paura dei cacciatori e dei fucili. Ma quando hanno fame scendono ma non sono mai arrivati dall'altra parte della montagna, hanno paura." "Io detesto i lupi e odio i posti, dove progrediscono i lupi." I fratelli tornarono a fissarsi. Ben tolse lo stuzzicadenti e se lo rinfilò nella tasca del giaccone. Non fu una cosa molto fine. Continuò invece a tamburellare nervosamente sulla maniglia del finestrino. Mi nascondevano qualcosa, lo sapevo, ma sapevo che con la forza non mi avrebbero mai detto nulla. "Io cercavo solo mio padre. Temo ancora per la sua vita. Se ci fosse un modo per cercarlo, potrei pagare con questa, e mostrò la sua pistola." "Mettila via, a Berry non servono armi, riusciamo ancora a sistemare le cose senza spararci." Il rossiccio parlò cercando di accendersi un misto tra tabacco e foglie di qualcosa. "Se tuo padre ha trovato le tane negli alberi, come hai fatto tu, si salverà. Bastano poche ore di cammino e Lot Berry si farà trovare perché è sulla cima del monte e non ci si può sbagliare. Anche tu ti saresti salvato se non avessi avuto la caviglia in quelle condizioni." "A cosa servono le tane? Gli animali possono trovarle con facilità e non è pericoloso?" "Non tutti gli animali camminano." fu la risposta secca di Roshua. Non ci parlammo più fino a Lot Berry. Superato in piccolo ponte e, un cartello di benvenuto abbastanza macabro, con teschi d'animali appesi in fila come offerte sacrificali; ci avvicinammo al primo fantasma in forma di casa di Berry, un vero monumento all'antichità, due pareti di legno verniciato blu, fatiscenti e un tetto sfondato da qualcosa che col tempo era svanito. Sul portico piegato su se stesso, fiorivano ancora delle rose selvatiche rosse e la scaletta di legno era intatta come se volesse invitare il primo ospite a una visita guidata. Entrammo in una zona molto meno alberata e con case dallo stile antico ma molto caratteristiche. La città era un posto normale con case, giardinetti, piccoli negozi e persino un grande emporio aperto. La vita sembrava procedere con regolarità come se nulla intorno ne avesse cambiato il percorso. Mi accompagnarono davanti a un edificio azzurro con un grande scudo al posto del campanello. La gente camminava tranquilla e nessuno sparava a nessuno per recuperare del cibo e dei medicinali. I miei salvatori si fermarono davanti a un vecchio bar con pochi tavoli, tutti vuoti e una donna molto trascurata che dormiva appoggiata al palmo della mano destra cementata al bancone. Nonostante il dolore e tutto il resto accettai la tazza blu fumante che la proprietaria mi mise davanti. Sentire quella forma tiepida nei palmi delle mani mi dava ristoro. Provai a buttare giù un sorso ma anche la gola era mia nemica. Il mio corpo non voleva altro che stendersi per un paio di giorni o qualche migliaio di anni. Stanco di scaldarmi le mani col caffè, lasciai ogni pensiero dentro il piatto di minestra della casa che non aveva un cattivo profumo sebbene le teste di trota senz'occhi paressero che mi ridessero contro. Ero arrivato alle allucinazioni, poco sarebbe mancato che avrei visto parlare le lische. Non m'importava della sabbia sotto il bicchiere colmo di acqua e pezzi irregolari di ghiaccio. Certo che potevo sembrare solo un pazzo che a novembre beveva acqua ghiacciata, ma chi era il pazzo in quella dimensione abitata da furtivi mostri e patetici cittadini di città serrate in reti elettriche che non avrebbero potuto difendere nemmeno un minuscolo topolino. I miei salvatori divorarono velocemente del cibo brucato e dall'aspetto unto. Nessuno di loro si curava delle mani sporche e dei loro volti quasi disumani. Mangiavano come animali ma il loro appetito era inverosimile. Dopo aver spazzolato le briciole di una gommosa torta ai mirtilli, si alzarono dal loro tavolo per avvinarsi al banco da dove non mi ero mosso nemmeno per andare in bagno. "Dormi in piedi amico? Non hai fame? Devi andare a svuotarti? Lottie non la prende bene se qualcuno lascia il cibo nel piatto, aggiunse Mina che m'invitava a mangiare a qualunque costo. "Lasciate in pace il ragazzo, rispose la proprietaria, è stanco morto e ha due dita di fango persino sui denti. Portatelo a casa. La mia zuppa l'assaggerà la prossima volta." Cercai uno dei miei sorrisi di scorta, quelli che usavo per quando ero in punizione o ero troppo stanco, per ringraziarla. Ho sempre apprezzato l'intelligenza delle persone e quella donna, era perspicace. Forse un giorno o l'altro avrei assaggiato qualcosa dal suo menù che però non contenesse teste di pesce. Mi sentivo come un corpo che galleggiava in una zuppa densa fatta di dolore di pensieri affaticati.
4 Uomini e lupi Apprezzai l'assistenza e persino l'odore del piatto caldo. I ragazzi chiesero a Lottie il solito caffè che non profumava, ma aveva una consistenza dolciastra. Si sedettero per conto loro e discussero di cose che non mi andava nemmeno di sentire. La caviglia era gonfia ma gli antidolorifici avevano fatto effetto. Lo stomaco mi malediceva che invece di cibo caldo gli offrivo roba fredda. L'odore del locale di Lottie non era cattivo ma c'era qualcosa, un odore animale che mi nauseava e mi rinnegava qualunque cenno di appetito. I ragazzi ogni tanto si giravano per guardarmi. Gli aspettai con il mio bicchiere di acqua ghiacciate e loro, dopo aver bevuto un paio di tazze di caffè al banco, si alzarono sazi. Mina mi fece l'occhiolino e girò i tacchi verso il bagno mentre Roshua che era il più robusto dei tre, mi accompagnò al piccolo pronto soccorso del paese. Chissà se la ragazza anche un fidanzato da terrorizzare? Mina era carina ma tanto o troppo energica. Forse era quello che serviva per sopravvivere su quelle montagne. Gli chiesi come mai non aspettava i suoi amici e lui mi rispose perché Mina e Ben, sarebbero rimasti a bere una sorta di sidro che odorava come olio del motore che Lottie importava da un posto sconosciuto e che pareva rigenerasse qualsiasi uomo dopo una lunga giornata nei boschi. Chiesi, anche se i lupi erano mai arrivati in città e lui mi rispose che una volta avevano attaccato ma che la gente aveva allontanato il branco a fucilate. Roshua sembrava un tipo che faceva una certa fatica a parlare ma era uno affidabile. Non faceva movimenti bruschi e la sua camminata lo mostrava come l'essere più calmo del pianeta. Erano dei ragazzi bradi, con una barba da quarantenni ma forti come i tronchi degli alberi intorno. Mi sentivo al sicuro e speravo che i lupi non fossero scesi proprio con il mio arrivo. Lot Berry non era così piccola come me l'ero immaginata e c'era da perdersi nella trama di stradine e case di legno identiche. Vecchi edifici costruiti con i mattoni rossi, sembravano quelli dei film dell'orrore serviti a set per i manicomi abbandonati oppure orfanotrofi maledetti. La città era quasi deserta, per il tempo, mi raccontò Roshua, la gente preferiva stare in casa a badare alle proprie faccende che uscire. Gli chiesi del filo elettrico a cosa fosse servito in passato ma nemmeno lui sapeva qualcosa perché i recinti furono costruiti molto prima che lui nascesse. L'ospedale aveva un colore blu rassicurante e per fortuna noi eravamo gli unici in fila al pronto soccorso. Il dottore era una donna bionda sulla sessantina, robusta ma molto vivace che parlava come una mitraglietta. La sua, era un'onesta e trasparente ospitalità, in un posto palesemente troppo normale rispetto ai problemi planetari e teneva gli occhi bassi come se volesse evitare che ne vedessi i contorni strani, quasi rossicci. Tutti loro non sembravano fuori dal mondo, ma dei sopravvissuti in un angolo di paradiso locale che permetteva alla vita di rigenerarsi senza cattivi compromessi. "Ho capito cosa vorresti domandarmi? Come ti chiami? mi chiese lei mentre stringeva la fascia, sorridendo al mio lamento di dolore. "Matt." risposi. "Vedi Matt, molte di queste zone sono rimaste come dire, incontaminate. E' vero che abbiamo anche noi i nostri problemi ma rispetto a quelli che ci sono là fuori i nostri, sono piccolissimi. Hai visto i fratelli Wild, sono dei bravi ragazzi, il padre è rimasto ucciso durante un viaggio di lavoro e loro, per non cedere al dolore si sono dati da fare. Sono i migliori pescatori della regione e la loro bottega è la più florida e ricca del paese. Sinceramente penso che siano davvero ricchi ma quei ragazzi non hanno mai preso una cattiva strada, seguono i principi del nostro paese, rispettano le leggi e cercano di vivere bene in compagnia dei propri simili. Qui puoi trovare la libertà che cerchi, ma al prezzo che devi pagare. Ben una volta era scappato da casa, sai come l'hanno trovato, i fratelli hanno immaginato all'unisono il posto, dove credevano fosse, ed era così." "Allora sono davvero gemelli." "Li ho fatti nascere io. La più piccola, Mashmina non ha respirato per più di due minuti pensavo che morisse o peggio, che da grande avesse avuto tragiche patologie ma a un tratto, mentre cercavo di rianimarla ha tirato un urlo che ci ha spaventato tutti. Non ci crederai ma molti vetri nella stanza chirurgica si sono crepati. Da allora ha mantenuto la sua voce d'angelo e credimi, se solo la sentissi nel coro della parrocchia, te ne innamoreresti." Cercai di scivolare e appoggiare il piede. Nonostante la caviglia ancora dolorante riuscivo a camminare. "Ma lei ha fatto una magia. Come?" "Adesso non ti farà più male, tieni la fasciatura per un paio di giorni e cerca di non correre. Sono trucchi del mestiere, ragazzo mio. Quelli come noi guariscono molto più in fretta. Adesso mi dici chi cerchi a Lot Berry?" Non riuscivo a capire cosa significasse quelli come noi, ma lasciai correre il discorso. "I miei nonni. Eravamo mio padre ed io prima che lui scomparisse sulla Haze, mi pareva avesse detto la ragazza del furgone, e cercavamo di arrivare qui per stare un po' tranquilli, in città è molto pericoloso rimanere. La gente si nasconde da quelli che usano con molta facilità i fucili." "I tuoi nonni?" "Brightman. Clarence e Cristina Brightman, sono i genitori paterni." "Ma che bellezza! Il nostro Sindaco ci ha solo parlato di suo nipote ma non che fosse un ragazzo così coraggioso. Hai avuto fortuna oppure le tue doti ti hanno preservato dai pericoli che s'incontrano sulla vecchia strada. Capisco, come mai i giovani Wild abbiano fatto perlustrazioni in quella zona, solitamente noi andiamo molto di rado su quel lato della montagna." La sua voce aveva della tristezza nel timbro ma nulla era cambiato nei suoi modi gentili. "Mi scusi, ma mio nonno non sapeva che saremo arrivati." "Io invece credo di sì. Dalle nostre parti non facciamo le cose a caso. Ci piace renderci utili al prossimo e il nostro sindaco ultimamente era agitato, diciamo un certo sesto senso." "Non siete per caso anche telepatici da queste parti?" Lei mi sorrise. Era ancora una bella donna e mi domandai quale buona sorte aveva protetto quel paesino dall'invasione degli invasati e dell'esercito. "Dice che dovrei andare da loro?" "Io credo che ti stiano già aspettando di sotto. Sai i tuoi nonni sono molto rispettati dalle nostre parti. Tuo nonno, rappresenta come dire, una sorta di capo branco e le sue decisioni sono indiscutibili." "Niente elezioni democratiche da queste parti?" "Ti assicuro che la sua permanenza è una scelta democratica, dubito ci sia qualcuno in grado di proteggere la nostra città come lui ha fatto e poi chi lo sfiderebbe, in molti avevano tentato anni addietro, ma sono andati via dal paese e si sono portati via anche molta vergogna. Comunque avremo modo di parlare e se dovessi avere bisogno, volessi informazioni sai dove trovarmi." La ringraziai non solo per l'ottima medicazione ma anche perché non aveva accettato i miei farmaci come compenso. "Noi riceviamo farmaci una volta ogni sei mesi dal governo in cambio di cibo. Sanno della nostra sana esistenza ma non hanno il coraggio di affrontare le montagne per invaderci, così tuo nonno ha stipulato un accordo, loro ci passano i farmaci e noi cibo e acqua incontaminati." Mi trovato imbrigliato dentro una fitta matassa. Ero arrivato da poco ma già mi aspettavano. Mio padre era scomparso ma l'esercito conosceva quella città. Tante cose messe insieme che non avevano nulla in comune se non, mio padre e l'esercito.
Sul portone della chiesa, il reverendo che seppi chiamarsi Paul Preston, discuteva animosamente con un uomo dall'aspetto inquietante. Aveva capelli lunghi, fino quasi alle caviglie e una barba che gli raggiungeva il basso ventre. L'uomo spingeva violentemente il prete contro la porta e quest'ultimo non reagiva. La dottoressa Berry W., lessi il cartellino appuntato sul camice, si alzò per guardare quella strana conversazione. "Accidenti! Questi due sono, peggio di due ragazzini. Arriverò subito." Mi chiese di aspettare ancora qualche minuto che mi avrebbe accompagnato, personalmente, ma prima, voleva sistemare delle cose. Girai per la camera per ritornare nuovamente alla finestra. Una donna in camice bianco correva verso la chiesa poco distante. La discussione peggiorò e l'uomo immobilizzò prima il prete e poi lei ma quando pensavo che per i due prigionieri sarebbe andata male, dovetti ricredermi perché la piccoletta gli prese la gola e lo costrinse a sdraiarsi. Il prete gli diede qualcosa da bere, una cosa che teneva in tasca e poco dopo, liberato lo sconosciuto dalle cattive intenzioni, i due ritornarono alle proprie faccende. Stavo per allontanarmi dal vetro che lei era già dietro le mie spalle. "Ma come ha fatto?" questa sua sveltezza era quasi straordinaria. "Non mi piace far aspettare i miei pazienti e quell'uomo è una cara persona che quando smette di prendere le sue medicine da, di matto." "Meglio i vostri pazzi dei nostri. In città ci si spara per una nocciolina o per una siringa." "Speriamo di non arrivare mai a quello." Eravamo di fronte all'ascensore quando lei mi chiese di girarmi. "Ti presento il Sindaco Clarence Brightman e tua nonna Cristina." Le persone dinanzi a me erano comprensibilmente interdette ma con occhi molto vivaci. Mio nonno, un uomo alto dal volto indecifrabile e scavato, mi strinse la mano con timore e capivo la sua ritenzione, non ci conoscevamo nemmeno né c'eravamo mai sentiti telefonicamente. Ero sangue del suo sangue, ma più estraneo del vicino di casa. Cristina invece, che era una donna molto più alta che mio nonno e me, e lei fece un gesto inconsueto, mi prese il capo e lo appoggiò sulla sua spalla, forse era il suo modo di darmi il benvenuto. Strane persone ma non cattive, come mi ero preoccupato di trovare. L'abbraccio durò poco e dopo essersi scambiati qualche notizia sul mio stato di salute con la Berry, ci dirigemmo tutti all'ingresso principale, dove un bambino molto magro e con i capelli arruffati tanto da nascondergli gli occhi, corse verso mia nonna che la abbracciò teneramente. L'ospite era un essere magro e informe come un'asta che sembrava un ragazzino selvatico che profumava di lavanda. Appresi che era una ragazzina ma difficile capirlo dai lineamenti nascosti sotto la chioma informe come il blocco di marmo. Il viaggio con loro fu silenzioso e quasi pesante, non fosse per il mostriciattolo senza nome che continuava a darmi calci. Fingeva di dondolare le gambe e poi mi colpiva. Sotto il giaccone, le sue mani sottili con le unghie lunghe e nere, giocavano con qualcosa. Era un orrendo osso bianco che mi colpì il ginocchio. Urlai. Clarence guardò nello specchietto retrovisore per accertarsi che tutto andasse bene. Cristine chiese per un paio di volte a Julie di mostrare più pazienza con suo nipote ma la ragazzina, minuta e scontrosa, considerò questo invito più un insulto perché di tanto in tanto colpiva la caviglia che vedeva fasciata e sapeva fosse dolorante. Le sue mani mollarono l'osso e scartarono qualcosa che prese a modellare. Somigliava a una pallina di pasta di pane e lei ne fece una decina che poi sputava fuori del finestrino a bersagli fermi. Era una creatura detestabile e ringraziavo il cielo di non aver avuto una sorella come lei. Centrai lo zaino tra me e lei ma non fu sufficiente. La pestifera toccava tutto e troppo e non avrei voluto che toccasse la pistola o i farmaci così ripresi il mio fardello in braccio cercando di sopportare la presenza di quel nemico con i brufoli. Uscimmo dalla città per seguire la strada in salita e ogni curva, ogni costone di roccia sembrava assorbire altri giganti di legno con i loro rami appoggiati a terra e fitti da non lasciare entrare nemmeno il sole. Anche lì, vecchie recinzioni, alte a dismisura. Non mi erano mai piaciuti i boschi e più odiavo loro più, una forza superiore mi metteva in condizione di doverli sopportare. Probabilmente King Kong aveva in mente di invadere Lot Berry per assenza di boschi dalle sue parti. Ero partito da una città di superstiti affamati per arrivare dietro una barricata di boscaioli che lottavano contro la nebbia. Le strade di noi Brightman, non portavano da nessuna parte e mi mancavano le strade con le auto abbandonate e il nostro quartiere isolato, un posto noioso, dove King Kong non avrebbe mai e minimamente pensato di arrivare. La strada si fermava in uno spiazzo di sassi e corteccia con un picciolo giardino sul lato della casa. La casa dei nonni era un edificio di mattoni rossi e legno scuro con vetrate aperte e costruita sopra una roccia da dove si vedeva l'intera città. Sembrava lievitasse nell'aria perché sotto la roccia, era scavata come se volesse offrire riparo mentre sulle spalle sollevava le fondamenta della costruzione. C'erano delle piccole scale all'ingresso ma riuscì a salirle e sul fianco sotto il portico, un piccolo orto con rose e ortaggi non ancora consumati. La casa era illuminata solo frontalmente perché sui tre lati era circondata da boschi alti. Qualcuno l'avrebbe trovata spettacolare ma io avendo avversione alla foresta e a tutta quell'atmosfera quasi mistica, la trovai come doveva essere, una casa. I nonni erano gente chiusa ma cordiale. Lui mi fissava pensieroso come cercasse qualcosa di mio padre nei miei lineamenti mentre lei, cercava di facilitarmi le cose e si presentò col mio piatto preferito, bistecca in cenere e due mega porzioni di patate fritte. Si prese anche il disturbo di sussurrarmi all'orecchio "Scusa la sua completa mancanza di tatto ma è davvero felice di averti qui.". Era impossibile che mio padre non avesse mai parlato con loro in tutti quegli anni perché loro conoscevano troppo bene i miei gusti in fatto di cibo, di stanza con finestra sempre aperta, anche se si trattava di gennaio e di conversazione concentrata solo sul tempo o il minimo indispensabile. La piccoletta divorò due bistecche e credei che loro stessero nascondendo una muta forma, qualcosa ancora allo stato embrionale che presto si sarebbe trasformato in un impressionante alieno o peggio, un essere geneticamente alterato. Julie continuava a essere odiosa come dal primo momento che mi vide. Per lei rappresentavo il nemico e capivo il motivo, in fondo lei aveva un'altra famiglia che l'aspettava, cosa le importava di un estraneo legittimamente presente nel senno della propria famiglia? Rifiutai il dolce di cui la ragazzina si era già appropriata, speravo solo di non averla tra i piedi ogni istante altrimenti mi sarei vendicato in qualche modo. Abitavo in una sorta di mansarda che comunicava con la punta di un gigantesco abete. Era buia ma era piacevole poter uscire direttamente dalla finestra, dritto sul ramo di un albero. Anche da lì si poteva vedere l'intera città e una sorta di grotta che avrei voluto ispezionare dopo aver parlato con loro della scomparsa di John. Clarence Brightman era un uomo di cui era difficile decifrare l'età, non fosse, che aveva già un figlio cinquantenne. I suoi capelli ancora scuri lo facevano sembrare un giovanotto e immaginandone il carattere, probabilmente era ancora così perché l'intera città, al suo passaggio aveva una sorta di genuino rispetto. Non male per un veterano, pensai. Julie aveva a sua volta una stanza ma dal lato opposto della casa, un vecchio studio del nonno, pieno di libri e una bellissima collezione di archi. Prima di salire domandai a Cristine chi fosse Julie. Lei mi rispose che sua permanenza doveva essere breve e che aiutava degli amici con problemi di salute. Immaginai fosse il male viola quindi non chiesi altro. Dopo cena rimasi da solo col nonno nella sua saletta del fumo, così la chiamava perché era dalla parte opposta della casa, dove nessuno sarebbe mai arrivato per disturbare. Era una stanza con foto di lui e mio padre a pesca o di mio padre da piccolo, mentre saltava sopra un grosso ramo e di mia nonna giovanissima e bellissima. Parlammo di cosa avevo studiato e quali fossero i miei progetti. Mi chiese cosa succedeva nelle città e se l'esercito aveva preso il controllo del paese. Stranamente non mi chiese nulla di John ma lo feci io. Lui era uscito sul patio che era all'altezza del decimo ramo del medesimo abete che arrivava alla mansarda, per fumare. "Vorrei trovare John." Il nonno era ancora fuori con uno dei piedi che dondolava sul ramo più grosso, e se fosse caduto? Alla sua età certe prodezze potevano costargli una frattura ma lui era agile come un ragazzino ed ero sconcertato dalla sua agilità. "Non ti devi preoccupare, sa badare a se stesso." "Come fai a non preoccuparti, è il tuo unico figlio. Se fosse morto o peggio, gravemente ferito o vittima di qualche animale come quelli che hanno attaccato me?" "Non è il mio unico figlio. Ho più di tremila figli e tutti loro sono importanti quanto tuo padre. Lui sa come difendersi dagli animali selvatici e come curarsi in caso di ferite. E' uno di noi e qui, quando sei molto piccolo, t'insegnano come sopravvivere se mai dovessi perderti nei boschi o cadere in qualche crepaccio." "Ma lui non è un concittadino è il tuo sangue.?" "Sangue che ha rinnegato e che ora ..." "Non sono qui per disturbarti, posso benissimo tornare a casa." "Ora questa è la tua casa. Devi solo abituarti a noi e alle nostre usanze." "Io sono qui perché mio padre aveva dei progetti per tutti noi e per l'umanità. Ho i suoi calcoli che devo conservare finché non accadrà qualcosa. Mi domando come mai qui il tasso di mortalità sia così basso?" Il vecchio entrò e con i suoi occhi coloro fuoco mi fissò, pensai che fosse folle. "Tu sei qui perché non saresti salvo in qualunque altro posto se non questo. Fortunatamente sei dei nostri e questo ti salverà sempre la vita. I più deboli sono morti mentre molti oggi sono salvi o immuni a quell'innominabile pestilenza. Io proteggerò questo posto dai cercatori di speranze perché nessuno dei miei deve diventare la cavia dell'umanità." "Non capisco. Parli come se tu fossi un apostolo e noi tutti i tuoi discepoli. Io non so nemmeno chi siete ed io voglio solo cercare mio padre. Se lui non sarà qui con me, nemmeno io mi fermerò, hai capito? Non cerco elemosina e nemmeno attenzioni. Credo di non poter aiutare la vostra cittadinanza con le mie inutili capacità, io non sono né pescatore né cacciatore, quindi vi servirebbe a poco, un tipo come me." "Hai molte più attitudini di quello che credi. Cose indispensabili all'intera comunità." e senza rendermi conto sparì lasciandomi con una domanda, era stato lui a parlarmi o m'ero immaginato di sentire la sua voce. Guardai fuori ma non lo vidi. Forse si era calato dall'albero o era caduto comunque la notte lo aveva nascosto ma sentivo il suo respiro da qualche parte, intorno alla casa. Lo chiamai ma a parte il suo sigaro appoggiato alla finestra, non c'era alcuno. Aspettai nella stanza che ritornasse, ma Cristina mi avvertì che il nonno era dovuto andare via e non sarebbe tornato, colpa di un incidente alla miniera. "Ma lui era qui con me quando è sparito e non ho sentito nemmeno il furgone?" "Ha scelto il sentiero, la vecchia miniera è poco distante da qui. Strano che tu non abbia sentito il suo saluto. Lui non va mai via senza avvertire." "E' saltato giù da questo ramo? Dieci metri di salto? Mangiate i toast all'invisibilità o siete nella squadra olimpica di salto in lungo? " Cristina non rispose. Guardava fuori e fissava il buio. "Matt, non ti devi preoccupare, tuo nonno sa essere molto cauto. Ultimamente la gente sembra aver perso il controllo e il buon senso. I ragazzini di notte giocano all'ingresso della miniera, rischiando la vita e lui, deve discutere con i genitori che sono anche peggio dei figli. la nostra è una cittadina molto piccola ma ha i suoi problemi. Sono così contenta di conoscerti e di averti qui. Mi dispiace per tuo padre, vedrai che John tornerà presto. Sarà scivolato e poi non potendo più salire fino alla macchina, sarà tornato a Bricks Bay." "Magari è sulla strada che mi ha portato fin qui." "Sulla Haze? Dubito. Troppa nebbia e troppi burroni. La strada non è sicura e di notte, girano animali." "I diavoli Cristina, girano i diavoli." "Lei mi guardava senza che potessi leggerle nello sguardo."
Cristina parlava, peccato che non credevo nemmeno a una parola. C'era una parte di me che percepiva del vuoto in quelle bugie che la donna trasmetteva inconsciamente. Il mio sesto senso non sbagliava. Ero chiuso in una scatola con boschi e creature mortali; circondato da gente che si nascondeva dietro le parole, peggio dei politici. Dopo una tazza di latte, la nonna si fermò per raccontarmi le imprese di mio padre che cercò più volte di segare i rami dell'abete che arrivava alla nostra stanza e questo per uscire prima senza farsi sentire dal padre. Mio nonno lo beccava sempre e John Brightman aveva passato la maggior parte della sua adolescenza in punizione. Avevamo orecchie molto sensibili in famiglia, pensai e poi sorrisi nell'immaginare mio padre che trafficava con un'accetta contro quel povero albero. Era divertente capire chi fosse stato John da piccolo. Cristina mi spiegò che il nonno era stato meno severo di quello che è oggi ma che fu la sua bontà a decimare la popolazione di Berry a causa di certi cattivi soggetti che approfittarono del suo buon carattere per mettere a ferro e fuoco la città. Fu lui e un certo sceriffo Hooper a ristabilire l'ordine ma in parecchie famiglie c'erano state delle vittime e quel suo lato ombroso non specchiava altro che la tristezza per quegli innocenti periti inutilmente. La vicenda non era chiara per nulla ma non avevo voglia si sentire la storia della famiglia Brightman mentre ero scosso dalla scomparsa di mio padre. Cristine mi raccontò che mio padre e mia madre, donna che avrebbe voluto conoscere meglio, mi disse, spaventati delle cose che succedevano a Lot Berry, scapparono verso la città. Le chiesi come mai non mantennero vivi i rapporti e lei mi rispose perché il miglior modo per sapere felice il figlio, era lasciarlo vivere dove lui si sentiva più al sicuro. C'era dell'amarezza nella sua voce le sue mani tremavano intrecciate, quasi ricordasse il passato. Mi chiese se avevo mai pensato a loro ed io dissi di no. La mia vita in città era stata riempita dagli amici, dallo studio e dai problemi che arrivarono dopo la scoperta e ancora, dalla morte della mamma. Non domandai che ricordo aveva dei miei genitori insieme o di mia madre. Si erano amati e questo mi bastava. Se erano andati via da Lot Berry, c'era stato un motivo valido, ragione che col tempo doveva essersi estinta. Il buio di Lot Berry aveva qualcosa di sovrannaturale. La quiete del bosco e l'aria fresca si mescolavano alla volta celeste, così bel illuminata e a tutti gli esseri che vi respiravano sotto. Ma lo scenario quasi da favola mi agitava. Le cose che avevo sentito e visto, non potevano essere cancellate da una marea di stelle distanti milioni di anni dai miei problemi. Mi sentivo al sicuro in quella casa ma feci caso che non c'erano cani nei dintorni, né gatti, né cose a quattro zampe che ravvivassero lo scenario montano. Tornai a guardare la notte, alla fine sarei uscito a capire perché quei boschi erano pericolosi, ma prima dovevo far guarire la caviglia e calmare il pazzo che bussava dentro la mia testa e dietro una porta sbarrata. Lot Berry era un'entità solitaria e maligna. Si nascondeva dietro una benevola maschera di natura incontaminata ma in verità, doveva essere una vampira che avrebbe colpito da un momento all'altro. Chiusi la finestra e accesi il computer. C'era una sola cartella sul desktop e aveva il mio nome. Leggerla mi era difficile come decifrare dei simboli egizi. La cosa strana e che iniziava dal mio primo giorno di vita 24 Dicembre. C'erano numeri, statistiche, diagrammi e valori di ogni genere. Non esisteva una cartella John o Mary. Io ero il suo prescelto per qualcosa oppure mi monitorava, preoccupato che l'unico figlio potesse morire come la madre. Chiusi il file, riprovai a chiamarlo e dopo aver inviato l'ennesimo messaggio, dovetti cedere alla fatica. La piccola città ostentava una tragica normalità come se fosse l'unico punto sano di un pianeta condannato a perire. Se John era voluto tornare a casa, c'era un motivo, una causa più importante di me. Anche la chiavetta era sparita con lui e pensavo che avesse scelto deliberatamente di prendersi solo l'indispensabile per andare in un posto dov'io non sarei mai potuto andare. John era anche quello, il difensore per antonomasia. Abbandonarmi però non era da lui, che fosse stato costretto e da chi?
Il vento era diventato gelido e faceva rumori strani tra i rami degli alberi. Desiderai con tutto me stesso, la vecchia civiltà, il traffico delle auto, i rumori della strada e l'odore di smog. John mi aveva lasciato in quel posto scordato da Dio come in una Carpatia che difendeva con tutte le sue risorse, un ignoto Dracula. Il mistero di una città fitta di angoli bui e di zone impervie era un libro pesante e indecifrabile. Cominciavo a capire perché John fosse scappato verso zone cosmopolite fitte di luci ed esseri umani che s'ignoravano l'un l'altro. Le mille luci delle case, delle stazioni dei bus, dei tassì che ti avvolgevano facendoti sentire vivo. Anche volendo tornare indietro, c'erano sempre le montagne da attraversare e non bastava il mezzo serbatoio pieno nel furgone che avevo nascosto sul ciglio della strada, sempre che fossi riuscito a trovare la strada in mezzo alla nebbia. Lot Berry lanciava i suoi malefici come spine pungenti che respiravi dall'aria e quelle spine si mescolavano al tuo sangue, macchiandolo d'ignari incantesimi contro il buono. Il posto era pericoloso e la gente dei prototipi che l'esercito aveva nascosto. Se fosse stato, vero, mio padre c'entrava eccome in quella faccenda. Mi addormentai. Non feci alcun sogno e non mi sembrò di sentire nulla che non fossero i passi di Cristine che entrava con una tazza fumante di caffè e biscotti fatti in casa. Lei sapeva che io sarei andato a cercare mio padre ma non aveva alcuna intenzione di impedirmelo. Decisi di passare in città prima di cercare John sui monti. Speravo di ritrovare i ragazzi Wild per farmi aiutare perché da solo sarebbe stato quasi impossibile. Per la prima volta dopo tanta pioggia, iniziò a nevicare. Clarence era partito all'alba e Cristine mi mostrò la via più corta per arrivare in città, senza passare dai boschi. Era come se mi leggesse dentro. In uno dei suoi racconti appresi che mio padre detestava i boschi, quanto li disprezzavo io. Quel posto era strano ma forse lo erano diventati tutti ed io non capivo quale fosse quello giusto per me. Lasciai sotto il materasso, il computer e le armi. Forse Cristina avrebbe trovato questo mio piccolo tesoro ma confidavo nella sua discrezione. Presi con me il cellulare e il rasoio del signor Romero, avevo un debito da saldare. Mentre uscivo, vidi Julie sul tetto della casa appostata come se dovesse saltare in testa a una possibile preda. Sembrava una piccola pazza fuggita da un manicomio. Lei ostentava un'agilità che le sarebbe potuta essere fatale. Stavo per urlare ma arrivò Cristina e si sedette vicino a lei, dondolavano insieme i piedi come se fossero sopra una grossa altalena ed entrambe silenziose mi fissavano. Pensai a una vena di follia che probabilmente infestava la mia famiglia e di cui ero un portatore sano. Nella mia testa bollivano parole che arrivavano come segnali di fumo da tutte le direzioni. Sentivo Julie che ripeteva il mio nome e Cristina che rideva, dicendomi di stare tranquillo ... forse stavo impazzendo a mia volta o peggio, mi stavano drogando. "Non ti preoccupare per noi." continuava la voce che sentivo come se mi parlasse all'orecchio ed era della stessa donna che vedevo a circa venti metri da me. Stavo perdendo la ragione. La voce era reale eppure mia nonna era così lontana che nemmeno se avesse gridato, l'avrei sentita chiaramente. Julie si era nascosta dietro la nonna ma il suo volto molto timido, cercava di uscire per guardarmi meglio. Guarda che adesso arrivo e ti mangio, pensai osservando quella creatura di cui non si vedeva mai l'intera faccia. La ragazza magrissima e con le ginocchia scure rovinate dalle cadute, doveva avermi sentito perché si alzò in piedi e corse lungo l'asta di legno centrale che reggeva il tetto per entrare in casa. Anche mia nonna la seguì ma con passo più lento. In mezzo all'inverno, entrambe andavano a piedi nudi e notai che non avevano lesioni sotto le piante dei piedi. Julie e Cristina mi erano sembrate due fattucchiere in equilibrio sul nulla. Forse avevo delle allucinazioni ma la cosa era seria. Le due donne giocavano con le altezze pericolose senza temere di cadere. Che Diavolo di testa doveva avere la nonna per permettere alla ragazzina di giocare con la propria vita? Forse era il caso di chiamare lo sceriffo o Clarence ma mi avrebbero creduto? Passeggiavo da pochi minuti e mi tenevo lontano dai boschi. Ogni tanto sentivo sempre una strana presenza che mi fissava da sotto la roccia che reggeva le fondamenta della casa. Mi accorsi che la città aveva un doppio recinto uno vecchio, appena fuori dai tornanti e uno nuovo che costeggiava la barriera delle case fino al laghetto. Le nuove recinzioni erano alte ma con fili meno grossi e più modesti. Si difendevano dai lupi, dai cavalli o da cosa? Costruite da gente diversa in tempi differenti ma per la medesima esigenza. Forse Godzilla non era nato in Giappone ma lo tenevano nascosto tra le foreste di Lot Berry. Probabilmente erano a conoscenza di un'imminente invasione e cercavo di immaginarmi gli abitanti di Bricks Bay che cercavano di avanzare con le torce in mano, in mezzo alla nebbia e solo per conquistare un'importantissima fetta di boschi che avrebbero assicurato a tutta la loro discendenza, inverni caldi e tranquilli. Il nuovo recinto era costruito con giunte di fili diversi, pezzi di filo spinato, paletti acuminati, ferraglia varia che per miglia, s'innestavano nell'ambiente come tozze sculture di un penoso artista. Non era mio padre, era una presenza estranea alle mie conoscenze, era un essere e non un uomo, un qualcosa e non un qualcuno. A parte il recinto, gli alberi sembravano delle porte chiuse abili a non farti avanzare. I tronchi con i rami bassi e spine acuminate, s'intrecciavano tra loro e giocavano come su una scacchiera in cerca di spazio libero, dove potersi innalzare. La discesa terminava con una scalinata ripida che mise alla prova la mia quasi guarita, caviglia. Qualcosa cadde davanti a me. Un corpo pesante e mi spaventai. Era la metà sanguinante di un cavallo e guardando in alto, vidi arrivare anche l'altra metà. Un monito, un avvertimento ma per cosa, a chi in quel posto poteva sembrare tanto pericoloso? L'auto di Clarence stava arrivando con la portiera aperta. Non aspettavo altro. La strada era un torrente di fango con pietre scivolose e sarei caduto quanto prima e non volevo un altro pezzo di me rotto. L'uomo che somigliava a Lincoln, ma meno austero, mi caricò e pieno di collera raggiunse il municipio. Era preoccupato e sebbene provò a contenersi, si capiva che nascondeva un'agitazione maggiore. Mi chiese di aspettare fuori dal suo ufficio. L'uomo che lo raggiunse sembrava un cacciatore con tanto di fucile sulla spalla e cartucciera con pallottole per bisonti. Mi chiedevo quale animale più grande di un orso si potesse cacciare da quelle parti? Seguì una lite molto animata, dove mio nonno ammoniva lo sconosciuto sulle conseguenze di certe cose provocate da certa gente. Avrei voluto attendere l'esito del loro dialogo ma avevo urgenza di trovare i fratelli Wild e senza perdere tempo, mi alzai per dirigermi all'ospedale dove ero certo di trovare l'aiuto desiderato. La Berry non era di turno ma il sostituto, un certo Bollinger, dopo avermi visitato mi riferì il posto dove avrei trovato Mina e gli altri. Il negozio dei Wild era più una baracca ma ordinata e fredda, come serviva per conservare il pesce. Mi piaceva molto perché era l'ultimo sulla via principale e restava raccolta intorno a una quieta radura da dove si poteva tranquillamente pescare. Sulla porta c'era lo stemma di bronzo di un piccolo lupo con una canna da pesca in bocca, forte. La porta e le pareti esterne del negozio erano abbastanza vecchie e c'erano stati vari strati di vernice che terminavano con il blu, veramente in tono con lo specchio d'acqua che restava a pochi piedi di distanza dall'edificio. Mi piaceva quel posto, sapeva di buono e di brava gente. In negozio trovai Ben che mi salutò senza quella simpatia o euforia da città. Trafficava con delle scatole e del pesce secco. Era già un uomo che provvedeva al sostentamento della famiglia e lo capivo. Faceva le cose sul serio, anche se aveva circa la mia stessa età. Gli spiegai di cosa avevo bisogno e gli consegnai il mio gioiello preso dall'amico Romero. Non sapevo quanto potesse un ragazzo come lui apprezzare quel gesto ma lo vidi girare intorno al bancone per venirmi severo incontro e poi abbracciarmi. Il rasoio era stato un eccellente ringraziamento. "Però promettermi di non uccidermi se ogni tanto verrò al molo vicino a pescare." "Scherzi, è un piacere. Nessuno lo fa più. Siamo rimasti solo noi a fare questo lavoro, come se la gente avesse paura di bagnarsi le zampe." "Volevi dire le gambe." "Ah ... sì, volevo dire le gambe." Un orso dal cuore tenero. Gli raccontai la mia storia cercando di fargli capire che volevo solo ritrovare mio padre e non stabilirmi con la forza in una città che per restare serena doveva tenere lontani i forestieri. "Ma tu sembri uno di noi." Non capivo cosa significava essere uno di loro. Eravamo noi tutti degli adolescenti ma quello che avevo provato io, non l'aveva passato nessuno. Quella fratellanza che li univa era straordinaria ma utopica. Alcuna pace dura per sempre anche nei migliori posti. Alla fine il male avrebbe attraversato le montagne e loro, come lo fummo noi, contaminati dalla fobia del cibo e dall'odio si sarebbero arresi alla cruda violenza. Ben chiuse il negozio per venire con me da Preston, la migliore birra della città. Il locale era mezzo pieno, la gente da quelle parti non era oberata da grande lavoro. Tutti mi fissavano e mormoravano cose che riuscivo malamente a percepire. Ma Ben fu svelto e disse a tutti loro ad alta voce: Questo è Matt Brightman nipote del Sindaco ed io sono un suo amico. Qualcuno alzò il suo bicchiere, altri uscirono senza degnarmi di uno sguardo ma molti gridarono "Benvenuto!", non male per un forestiero che aveva attraversato un paese in guerra per arrivare nel regno di quello che odiava di più, i boschi. Ben mi riportò al municipio, dove Clarence mi aspettava abbastanza furioso. "Non dovevi sparire, sai bene che qui i forestieri sono colpiti da cattivi scherzi e non sarebbe opportuno che fossi coinvolto in qualche strana vicenda." "Io non sono una tua proprietà e le cose strane non sono un problema mio ma tuo. Non temo le carcasse dei cavalli che volano dalle rocce e nemmeno chi me le lancia addosso, non temo nulla che riguardi la mia persona ma solo per la vita di mio padre. Lui è un uomo indispensabile per tutti noi." "Tu devi diventare più responsabile. Questa città non è quello che sembra. Non è un nido di passerotti pronti a volare ma una congregazione di belve che scelgono democraticamente da che parte schierarsi. Anche se odi queste tue origini, non puoi non considerare che ciò che sei non l'hai scelto ma ti è stato donato. Dobbiamo imparare a conoscerci e forse tutti noi apprezzeremo quello che avremo da imparare l'uno dagli altri. Io non sono il tuo nemico ma è mio compito fare in modo che non ti succeda nulla. Tuo padre non me lo perdonerebbe mai e non me lo perdonerei nemmeno io." L'uomo che mi parlava aveva sofferto tanto e sicuramente a modo stava cercando di rintracciare mio padre. "Dimmi che lo stai cercando." "Sì. Ma tu oggi, tu sei più importante di lui." "Non capisco." "Tu dovrai occupare il mio posto." "Stai scherzando vero, io ho ventidue anni, sono un pessimo hacker e un pessimo terrorista. Qui dovreste fare delle elezioni, no?" "Tu sei il mio erede naturale." "Mio padre è il tuo erede." "Anche se lui fosse qui, sarebbe troppo vecchio. La popolazione rimasta è formata al settanta per cento di giovani e serve un leader giovane, con ampie prospettive e che ha visto il mondo fuori di qui. Tu potrai imparare il resto strada facendo." "Fammi capire, tu sapevi che io sarei arrivato?" "Certo, altrimenti i fratelli Wild come ti avrebbero trovato?" "Non saprei casualità?" "Caro figliolo, ho lasciato una volta le cose al caso e molti sono morti, ho sentito che tu hai un animo più forte di quello di tuo padre, tu hai avuto il coraggio di venire qua nonostante tutto. Ti sei imbattuto in quello che oggi consideri cose strane, ma queste, non ti hanno fermato. Il cacciatore sarà una tua fida guardia del corpo e non vedrai più carcasse di cavalli volarti in testa." "Chi alleva cavalli da queste parti?" "Molly, una nostra cara concittadina e l'unica insegnante di biologia rimasta in vita. Lei ha una fattoria sul lato ovest della montagna e alleva cavalli che poi vende all'esercito." "E Molly non si lamenta degli animali che le spariscono?" "Molly è dietro di te ora." La giovane dietro le mie spalle aveva pochi anni più di me e sembrava una donna sicura e combattiva. I suoi occhi avevano lo stesso fuoco che vidi nello sguardo di Clarence, una vitalità inconsueta ma costante in quel posto. "Buongiorno Sindaco." disse la ragazza fissando più me che l'uomo che aveva salutato. "Sì è lui Molly, è arrivato finalmente." La donna si sedette aspettando che io dicessi qualcosa, ma non avevo alcuna intenzione di mettermi in mostra per confermarle la mia discendenza. "Ciao. Sì io mi lamento spesso col nostro Sindaco e molti dei miei cavalli finiscono sbranati dagli animali che arrivano dal bosco." "Uno dei tuoi cavalli gli hanno pestato i piedi stamattina. Diciamo che qualcuno sta giocando e la cosa non è divertente." "Oramai sono dieci, Clarence, non avremo il numero giusto per l'esercito e ho bisogno di carta per i ragazzi e penne e un sacco di cose che ci aiuterebbero a non restare sepolti tra queste rocce. I steccati sono come dire, obsoleti?" "Ha! Anche lei la pensa come me!" Molly volse uno sguardo interrogativo a mio nonno. "Sì, è un ragazzo che pensa più agli altri che a se stesso." "Allora è arrivato nel posto giusto. I bambini non sono più al sicuro. La casa sulla settima potrebbe non bastare più come nascondiglio. Non abbiamo molto tempo, capisci? La Berry ha detto che lui è in forma allora bisogna che salti l'apprendistato." "Scherzi o sei pazza?" gridò lui facendomi cenno di uscire. Naturalmente io rimasi, almeno per capire come mi aspettava restando in quella città. Molly non capiva quello che sapevo o no e trovava difficile calibrare bene le parole. "Se l'hanno seguito ..." "Sicuramente l'hanno seguito ma lui non può saltare l'apprendistato, ha una certa allergia di famiglia ai boschi." Lei si girò verso di me. "Detesto l'umidità, i boschi e molti animali con la pelliccia." Girai la testa verso la strada, conscio che entrambi mi fissassero più per necessità che per ingannare il tempo. Loro avevano bisogno di me ma io non avevo bisogno di loro, dovevo trovare il modo di farlo capire a entrambi. "Siamo messi bene. Io vado, ma guarda che se che attaccano la mandria, saremo tutti nei guai e non solo con loro, anche con quelli dell'esercito." Io continuavo a non capire nulla. Cosa c'entrava l'esercito? Che il recinto fosse per loro? Impossibile, quelli avevano missili e razzi e altre diavolerie che nessuno avrebbe mai potuto fermare, non in quel paese di pazzi equilibristi con la mania dei recinti. "Perché qualcuno non mi spiega cosa sta succedendo? Cavalli? Io cosa c'entro con i cavalli e cosa dovrei apprendere?" Molly stava per uscire, quando si girò. "Clarence conviene che tu sia onesto col ragazzo, non è un compito facile e di certo non abbiamo nulla da offrirgli in cambio se non una vita piena di problemi, ma tu hai un dovere verso la tua gente. Non abbiamo tempo. Dobbiamo capire se difenderci o scappare." "Scappare? Sei pazza? E dove? In città? In mezzo alla gente normale? Fingeremo che siamo tutti uguali e con gli stessi problemi? Dove possiamo nasconderci senza avere il Diavolo sui nostri passi?" "Tu hai promesso di fare il miracolo e la gente si è fidata di te. se pensi che le cose sono cambiate, chiama tutti e dì loro quello che stai dicendo a me. E' comunque troppo tardi. Lui non solo non è pronto, non sa nulla, o sa?" Clarence scosse violentemente la testa in segno negativo. Molly lo guardava quasi impaurita. Lui rimase senza parole ma fece una cosa intelligente, rimandò la discussione a dopo pranzo e mi portò alla taverna a mangiare pesce fritto, fingendo un'allegria che non aveva non solo nel cuore ma nemmeno negli occhi. La taverna di Jesse Kinney era un locale costruito sulla sponda del lago artificiale che si era creato dallo scioglimento dei ghiacci. Era pescoso come il fiume sotto la pancia della montagna e d'estate i ragazzini ci facevano il bagno perché le sue acque erano trasparenti. Jesse era un uomo molto alto e vecchio che preferiva far gestire la taverna al figlio e solo in presenza d'amici, tornava ai fornelli per cucinare il suo piatto super, un fritto misto con corteccia d'acacia e semi di giunto piccante. Jesse e Clarence erano amici di vecchia data. Non capitava spesso che si vedessero ma la sorpresa diede modo a Jesse di ritornare al suo posto di chef nelle cucine della Taverna sul lago. "Jesse ti presento ..." "Clarence, ma questo è tuo nipote Matt. Bravo! Ciao Matthew! Benvenuto ragazzo! Sei più alto di ... " e mi abbracciò, come se fossi suo nipote. L'uomo odorava a pesce macellato, a sangue e ad altre cose della medesima natura. "Questo è il mio migliore amico, Matt, Jesse Kinney, lui mi ha salvato diverse volte la vita e vorrei che tu lo considerassi come uno della famiglia. Spesso odora a pesce fritto ma è il migliore cuoco del mondo e con lui non rischi di stare male. Lui è anche il mio testimone di nozze e da quando ci conosciamo, mi difende, come se io fossi un bambino e lui l'adulto." "Ma è così! A cosa servono gli amici, se non a difenderli?" Jesse mi strinse la mano e il suo vigore era di un ragazzo diventato adulto improvvisamente. Anche lui aveva una fiamma nell'iride che dava impressione di una creatura da poco diventata umana. "Lui sa?" chiese al nonno con un sorriso. "Naaa. Apprendistato." "Non hai il tempo nemmeno per mostrargli la città, figurati l'apprendistato. Hai pensato a Ed?" "Meglio di no." "Ti ricordo che la città è in fermento ma le cose vedrai, si aggiusteranno. Allora brindiamo all'arrivo di Matt e alle cose che lui affronterà pur di stare con noi, giusto?" "Ti ricordi la nostra fobia?" "Cani, boschi? Gli Brightman hanno sempre avuto delle divergenze con la loro natura." Rispose Jesse sorridente ma fissandomi come un orso capace di rovesciare una roccia se avesse voluto. Lui capiva i miei dolori e avevo la sensazione che avevo provato quando vidi Cristina e Julie sul tetto, che mi leggesse non solo nella mente ma dentro. "Già. Certe cose però se restano dei segreti e lo dico a entrambi, col tempo diventano dolorose. Adesso mangiate, bevete poi chiaritevi." "Pensavo a Charlie." "Sììì, il piccolo Charlie, il mio artista." "Cosa dici?" "Comunque non hai tempo. Hai l'esercito in casa e gli avvoltoi pronti a occuparti il posto. La città potrebbe cadere nell'anarchia assoluta. Il ragazzo è arrivato al momento giusto. Vero?" e mi diede una pacca sulla spalla sorridente. Tom era un uomo genuino, lo avvertivo dai suoi battiti, calmi, rassicuranti, benevoli ma aveva una natura spaventosamente diversa, sottopelle e la percepivo. "Temo di non aver capito?" gli risposi. Clarence si allontanò a prendere un paio di birre e Tom rimase a tenermi compagnia. Lui si sfregava le mani, come se stesse per prendere una decisione molto importante e Clarence sembrava essersi perso al banco del bar che distava meno di una decina di piedi da noi. Quella simulazione era più evidente della coda di un topo. "Non sai ancora nulla, tuo padre non ti ha mai? Ok. Nick dov'è Charlie?!" e chiamò il figlio. Il padre del ragazzo sbirciò brevemente dalla cucina e diede la sua tacita approvazione al nonno, ma tra loro sembrava esserci davvero un'intesa telepatica. Un ragazzo con i capelli molto lunghi arrivò dalle cucine. Aveva quasi la mia età ma gli occhi spiritati. Era un tipo semplice ma con dei muscoli che sembravano scolpiti. Che lavorare in cucina facesse quest'effetto? Allora avevo sbagliato tutto nella vita. I suoi capelli lunghi coprivano una cicatrice profonda che partiva da sotto il mento fino alla base del collo, ma non gli aveva rovinato l'aspetto anzi sembrava un vero macho e questo alle ragazze, sicuramente sarebbe piaciuto. Charlie mi guardò e sorrise. "Non è grave." e mi diede una pacca forte sulla spalla, quasi persi l'equilibrio eppure ero più alto di lui. "Cosa?" "Non sei messo male è solo che hai bisogno di fare più movimento e tanto correre." "Non capisco a cosa ti riferisci." Lui mi prese per le spalle e mi rispose all'orecchio. "Ai tuoi muscoli." " E tu come fai?" "Sono telepatico." La cosa che mi aveva disturbato e che lui mi rispose seriamente. Nella mia testa sentivo il ronzio di voci che entravano e uscivano dai miei pensieri. "Saresti capace anche tu se solo ti lasciassi un po' andare." rise ancora Charlie alzando le sopraciglia e buttando le mani nelle tasche dei jeans con le scritte dei super eroi sulle ginocchia. "Charlie è mio nipote e quando non studia, suona la chitarra, lui è appassionato di musica e ogni tanto viene in cucina, oggi fa pratica con suo padre. Ma vedi Matthew, Charlie ha un compito preciso in questa comunità, è un difensore. Lui ha finito da poco il suo apprendistato. Sono certo che voi due diventeranno dei grandi amici. Adesso ti parlo di cose che ti sembrano uscite da un libro d'incantesimi, ma è solo un'usanza della nostra gente. Sarete amici già lo sento e dovresti poterlo sentire anche tu, vero?" "Non capisco. Cosa dovrei sentire?" forse sembravo sciocco ma continuavo a non capire le loro stranezze. "Il nostro popolo è molto antico, un po' come gli indiani, sebbene la nostra razza abbia preso strade diverse. Gli indiani scelsero di vivere in pianura mentre noi sulle montagne, disse Charlie mostrando una piccola cicatrice sul braccio, si divide in tre nobili frazioni: gli Attaccanti, i Difensori e i Giudici. Può sembrare una cosa strana invece è molto semplice. I nostri compiti sono chiari e non per questo meno difficili. Le cariche sono ereditarie e possiamo tentare di sostituire uni gli altri ma nel nostro sangue è già scritta la missione per cui dobbiamo vivere o combattere. Mio nonno Jesse è un difensore, mio padre lo è ed io lo sono. Devi anche sapere che gli attaccanti o capi branco sono molto pochi. Perché la città viva in pace non ce ne può essere più di uno e quando ci sono due attaccanti, uno dei due deve cambiare città, fondarne una sua o vivere da ribelle. Nei tempi antichi gli Attaccanti si sfidavano ma nei tempi moderni il Capo Branco può scegliere l'attaccante reggente perché solo lui ha il fiuto per il vincente. Poi ci sono le eccezioni e i pericoli. Gli Attaccanti ad esempio, loro infliggono ferite mortali perché la loro natura è preservare e ..." "Uccidere." risposi. "Già." "Ma sembra una favoletta per i bambini. Non potete credere a queste cose nel terzo millennio, o sì?" Charlie mi afferrò per il braccio e mi portò fuori. "Capisco il tuo scetticismo, ma se tu visitassi il Giappone o la Cina, non ti sorprenderebbe più di tanto, le loro strane tradizioni. Perché le nostre dovrebbero sconcertarti? La gente mangia carne di gatto e di cane e si fa immolare per le idee più disparate." "Perché siamo in America, Charlie! A M E R I C A ?? Un paese dove nulla resta incontaminato o lontano dalle spie della Pepsi o della Coca Cola. Se voi foste come gli anasazi, avreste già tribù di turisti sulle loro auto famigliari, disposti a pagare dollaroni pur di deturpare l'ambiente con tonnellate di carte di merendine e lattine di birra a poco costo. Siete strani, lo ammetto ma la storia dei difensori e dei giudici mi sembra peggiore del catechismo dei mormoni. Probabilmente vivere così isolati vi ha dato la possibilità di affinare certe attività sociali, credo. In America i casi di persone o posti straordinari sono già stati studiati, sviscerati e persino per Villisca hanno trovato delle spiegazioni così come per l'Area 51. I veri alieni oggi, sono gli affamati nelle città e i malati negli ospedali." "Eppure noi siamo gli Antichi, gli unici veri Antichi da cui hanno inventato milioni di storie a cominciare da quelle sui vampiri." "Ma non erano della Romania?" "Stoker era un difensore, nato in città e usò le nostre tradizioni per inventarsi la storia del vampiro." "Ma voi non succhiate il sangue. Che cosa dovrebbe aver copiato?" "Diciamo che noi siamo come i vampiri ma molto più gelosi della nostra privacy. La caccia è una pratica antica, una volta, i nostri antenati cacciavano qualsiasi essere per nutrirsi, poi si evolsero e oggi siamo solo dei ragazzoni che corrono sulle cime della montagna. Ci piace il pesce e beviamo birra ma se attaccati, mangiamo la carne del nostro nemico." "Mi stai dicendo che siete dei vampiri trasformati o cosa? Io dovrei essere un vampiro e figlio di un vampiro? Forse non mi basterebbero tutti i miei antinfiammatori per togliermi dalla testa queste idiozie. Fammi vedere come sei?" Charlie mi guardò preoccupato. Era serio e pensavo che mi avrebbe preso a pugni perché il suo autocontrollo era in scarso equilibrio. "Io sono come te ma divento nel momento che serve, non è facile e non è indolore. Andiamo!" Corse lungo il patio fino al suo furgone. "Dove?" era così veloce che faticavo a stargli dietro. "Non ti preoccupare, ti porto a fare un giro della città. Sei troppo lento, dovrai allenarti se vorrai diventare dei nostri. Ti sarà più facile capire. Mio nonno è davvero un grande amico di tuo nonno, pensa, che si siano guardati le spalle l'un l'altro da quando sono piccoli. Questa tradizione ci ha fatto considerare molto importante la fratellanza, senza le nostre usanze, oggi saremo invasi o distrutti dai superstiti o dall'esercito che viene a scipparci i viveri in cambio di farmaci scaduti." L'auto scivolava lungo le strade illuminate e sembrava una cittadina come tante. Charlie mi mostrava come ogni casa appartenesse a una speciale famiglia e come ogni famiglia, contribuisse con il proprio lavoro, alla comunità. Appresi che la dottoressa Berry era la madre dei gemelli Wild e che il marito, perì in tragiche e misteriose circostanze. Ben, Mina e Roshua, erano chiamati i guardiani perché gli unici ad avere il coraggio di inoltrarsi oltre i confini della città con il bosco, dietro la montagna e di una quarta figlia avuta dopo la tragica scomparsa del primo marito. Charlie fu sincero a dirmi che non andava d'accordo con nessuno di loro perché selvatici e scontrosi anche se secondo lui, avevano solo problemi sociali e non neurologici. Mi mostrò la casa del pastore Preston e parlò dei suoi problemi con l'alcool dopo la perdita della moglie. Avevo visto la dimora di qualunque famiglia influente della città e ascoltato la leggenda di Lot Berry. Allora gli domandai cosa era successo ai genitori della ragazzina che i miei nonni stavano proteggendo e lui mi rispose che c'erano cause perse che andavano protette piuttosto che abbandonate. Non capì nulla di quello che volle dirmi, ma lasciai correre, molte erano le domande e infinite le perplessità. Chiesi a Charlie cosa significasse l'apprendistato e lui sorrise come uno che finalmente aveva superato il periodo più difficile della propria vita. Aveva delle cicatrici profonde sul braccio non ancora guarite, certe cose a Lot Berry sembravano uscire da un manuale di sopravvivenza. "Ti va una birra? Qui è l'unica cosa ancora passabile e miracolante dopo il sidro di Lottie. Birra?" mi chiese. "Perché no? Il sidro di Lottie? Io sono stato da Lottie ma non ho bevuto che la sua acqua ghiacciata, probabilmente dovevo assaggiare la naturale bellezza di questo posto, teste di pesce e sidro." "Ti porto al posto maledetto, un rifugio, dove tutti noi giovani ci troviamo lì a fare un po' di casino, attento che tuo nonno non apprezza il nostro ritrovo e spesso manda i Wild in ricognizione. Da Lottie, si andrà un'altra volta." "Sono i gendarmi del paese? A me sono sembrati simpatici, un poco rozzi ma mi hanno salvato." "Sono degli spioni. Vivono come se fossero immuni all'adolescenza. Non bevono, non fumano e non cercano di fare amicizia. C'è chi racconta che se la spassano tra loro ma io non la bevo. Passano più tempo col reverendo Preston che a scuola. I Wild sono, come dire, la risorsa dell'ultima ora. Lo sono finché non sei tu il loro problema o li paghi più di quanto sono pagati per quel lavoro. Hanno un fiuto per gli affari che è una cosa incredibile. Pensa, prestano soldi a tutti e chiedono interessi maggiori di una banca." "Insomma sono degli informatori. Ma per chi?" "Dei segugi direi. Il loro fiuto è eccezionale e te lo dice uno che è imbattibile, ma loro hanno visto la morte e quando sono tornati, erano come dire, più forti. Hanno sviluppato un olfatto e una vista eccezionali e nessuno come loro si addentra tra i boschi sulle montagne. Possono stare lassù per giorni e non avere paura di nulla. Io non riuscirei, amico. Sulle montagne, dicono che accadano brutte cose. Io sulle montagne non vado e se dovessi andare in città, preferisco allungare la strada di cento miglia che prendere la Haze. I Wild si nutrono di tanto di quel pesce che hanno dato più fosforo al cervello di noi altri." "La Berry mi ha detto che solo, Mina, ha avuto un problema ma non sembrerebbe." "Mina eh? Fatti guardare. Non sarebbe per caso che quella ragazzina ti ha colpito? Non potrebbe nemmeno, non è lei la tua cantante. Comunque sappi che tutti e tre hanno sofferto di una strana apnea alla nascita. Carmen ha preferito partorire da sola e nessuna sa cosa effettivamente sia accaduto ma tutti e tre erano violacei, come se avessero sofferto di quella cosa ma giorni dopo, erano già normali. Lei stessa raccontò che tutti e tre erano stati in pericolo di vita. Il padre è morto e nessuno ha mai trovato il suo corpo. I ragazzi ogni tanto vanno per boschi a cercare quello che potrebbe esserne rimasto ma si vede dalla loro delusione che non troveranno mai nulla tra le rocce. Quell'uomo è scappato e loro si comportano come animali da fiuto, sempre a caccia di segni e ombre che non portano a nulla. Insomma sono dei fenomeni isolati che noi teniamo alla lontana più per quieto vivere che per paura." "Che significa che Mina non è, non ho capito cosa?" "Se ti confido anche questa verità, dirai che siamo definitivamente dei pazzi. Ereditiamo anche le nostre future spose. Non siamo noi a scegliere ma il destino le ha già scelte per noi. Ognuno di noi ha la sua cantante, cioè la sua metà e Mina non è la tua." "Scherzi? Mina è solo una ragazzina, cos'ha sedici anni? Non mi dirai che è compromettente farsi vedere con lei? E chi uscirebbe con una sedicenne, siete e senz'offesa un poco disperati, no?" Charlie sospirò. "Non è compromettente, te l'assicuro. Tu puoi essere l'amico di chi vuoi e nessuno obbliga a sposare nessuno. Semplicemente noi abbiamo il dono di capire chi sono le nostre metà. Ereditiamo anche questo talento. Molti di noi hanno apprezzato questo talento, altri come tuo padre, ha rotto le regole, come altri e ha scelto una compagna diversa. Mina Wild non potrebbe essere la tua compagna e certo che non è un delitto essere amici. Lei è una dura ed è più facile che ti ferisca più di quanto sia tu a ferirla. Molti le vanno dietro ma non degna alcuno di uno sguardo. E' una un po' matta come te, vuole solo trovare suo padre a tutti i costi e non si da pace. " "Chi doveva essere la compagna di mio padre?" "La Berry." "Oh." "Già. Adesso noi andiamo a berci quella famosa birra e poi ti porterò a casa. Domani, se tuo nonno non mi vorrà uccidere dopo questa serata, ti spiegherò l'apprendistato, sempre che t'interessi." "M'interessa qualunque cosa mi possa aiutare a trovare mio padre e ad aiutarmi a tornare a casa." "Ho sentito. Ma non è che è tuo padre a non voler essere trovato? Un Attaccante da queste parti non potrebbe mai perire senza che tutto il popolo non lo venga a sapere. Ho l'impressione che lui si aspetti qualcosa da te. Tuo nonno che dice? Tornare in città non sarà un'impresa facile e poi ho saputo che dalle tue parti, cibo e luce è tutto razionato mentre qui non avresti alcuna restrizione." "Mio nonno dice le stesse cose che mi stai dicendo tu ora, non è che siete telepatici?" Charlie si fece una sana risata che io non riuscì a condividere. Ero rilassato quando il cellulare squillò. Guardai lo schermo e vidi solo una sequenza assurda di zeri, forse era John. Non potevo non rispondere. Charlie era interdetto. I loro cellulari funzionavano ancora ma con periodi di lunga assenza di segnale, gentile concessione governativa per i servizi resi. "Ciao Matt." L'uomo che mi parlava dall'altra parte della linea mi dava i brividi. Era il Generale e sebbene fosse un atto spiacevole, dovevo stare a sentirlo. "Lei sa dov'è mio padre?" "Se lo sapessi e sinceramente non ho alcuna notizia, non chiamerei te, non credi?" "E' vero anche questo." "Comunque mi aspettavo anche un breve ciao. Tuo padre è completamente diverso da te, più come dire, malleabile." "Hai chiamato per parlarmi del mio carattere?" "No. Ho chiamato per dirti che devo recuperare i dati che John ti ha lasciato." "I dati?" "Matt! E' importante che io abbia quella ricerca." "Prima trova mio padre ed io ti consegnerò tutto quello che vuoi." "Vedrò cosa posso fare ma ricordati che so dove sei." "E' una minaccia?" "Probabilmente tu dovresti vederla così." "Trova John e vieni a prenderti i dati, altrimenti ..." "Altrimenti Matt?" "Probabilmente tu dovresti vedere la cosa come una minaccia."
La Tana non era altro che un grande garage senza finestre e con cordoni di luci appese un po' ovunque. Un grosso buco sotto un vecchio condominio che aveva visto anni migliori. L'edera all'ingresso faceva parte anche dell'arredo interno e avrei pensato solo all'ingresso dell'Inferno per quell'ambiente tetro e decadente ma l'adolescenza ha dei gusti che non sempre sposano le mode. Quando la luce mancava, il gestore, un ragazzino sulla ventina molto magro e pieno di brufoli, accendeva delle grosse candele. L'atmosfera dark si addiceva all'intero paese e tutti quei volti avevano un'aura così incandescente da farli sembrare ai miei occhi un branco di animali pronti a sbranarsi. Era difficile capire l'età, tra loro c'erano ragazzini che forse non avevano nemmeno quindici anni, ma nella taverna non c'erano regole ma solo doveri, e il primo era di bere. Era come un covo di artisti ma con ragazzi irascibili e molto maneschi. Charlie suonava la chitarra e fece un paio di pezzi che piacquero anche ai più rozzi della brigata. Era bravo e capivo che c'era qualcosa di triste nel suo spirito altrimenti battagliero. Solitamente sono i genitori che influenzano le nostre scelte e il futuro e pensai che i genitori di Charlie non amassero la musica quanto lui. Stavo per uscire per prendere una boccata d'aria quando uno, molto più alto di me, cercò di tirarmi un pugno che schivai con una certa facilità. "Dai cocco di nonno, vieni avanti e dimostraci che sei un lottatore, ,o sai che non puoi vivere in questa comunità se non hai almeno superato uno dei tuoi sfidanti?" Il tizio si piazzò contro la porta mentre gli altri fecero cerchio intorno a noi. "Senti, non ho voglia di battermi con te." "Siamo messi bene, il suo tono era ironico e derisorio, un povero mammalucco è venuto a farci visita dalla città. " Gridò lui a tutta la platea che ci fissava come se fossimo i pagliacci in un circo. "Lascialo stare Duzzer!" la voce potente di Charlie suonò come un fulmine in mezzo al chiasso. "Senti tu non t'immischiare." "Non puoi ancora toccarlo è la regola. Lo sfiderai dopo e sai che non è un bene ignorarla. Dovresti provare a stare con i tuoi simili, quelli che non sanno perdere. Tu sai cosa si prova a non avere un padre vicino." Quella frase scosse profondamente l'esaltato che impiegò meno di un attimo per caricare come un toro. Dean Duzzer avanzava come una locomotiva fuori binario e senza guardare dove mirava, corse verso Charlie, attaccando ogni cosa intorno. Caddero parecchi ragazzi e ragazze che mi guardavano con disgusto. Qualcuno si rialzava per entrare nella mischia e la cosa divenne una zuffa a tutti gli effetti. Duzzer s'impegnava con tutto il suo essere. Prima di mirare con i suoi pugni, si lasciava cadere a peso morto sulle sue vittime poi quand'era già a terra, girava come un'elica impazzita scagliando calci e cazzotti. Charlie perse la sua chitarra sfondata e la tirò sulla schiena di Dean ma lui ghignava esaltato come se avesse vinto il trofeo per l'imbecille dell'anno. "Matt esci! Qui ci penso io!" disse Charlie nel trambusto di candele che cadevano, di gente che cercava al buio di uscire dal bar, mentre captavo un odore di selvatico che quel posto esalava. Odore di cane bagnato e di fogna putrida. La tana era sottosopra. I pugni volavano ma anche la gente sopra pezzi di bottiglie e bicchieri rotti. Feci caso a una cosa straordinaria, nessuno di noi gridava. Ci si picchiava ferocemente ma senza mostrare grida, come se il dolore fosse un atto di vergogna peggiore del disonore. Quei pazzi vivevano con regole assurde e non avrei voluto trattenermi a tutti i costi per provare a capirle. L'odore di sangue mescolato alla birra era arbitrario a quello di animale puzzolente. Non capivo come un essere umano potesse resistere a quegli odori. C'era chi usciva e scappava, chi cercava qualcuno e chi come me tornava dentro ad aiutare un amico. Al buio le cose animate non erano umane. Sentivo il cattivo odore e mi sembrava di sentire mille cani bagnati chiusi in un garage. Vidi un paio di occhi pieni d'odio che mi fissavano nel buio, occhi inumani e molto cattivi e quando il loro brillio spariva, arrivavano altri pugni alle spalle che facevano molto male quando colpivano. Io cercavo solo di difendermi e di arrivare a Charlie, cosa che non fu possibile. Un odore cattivo arrivò prima alle mie narici e dopo il tanfo qualcosa mi scosse come se volesse farmi volare. Il colpo mi aveva mandato contro il banco del barista che si era nascosto tra le casse delle bottiglie vuote. L'innocente tremava e mi supplicava di non rivelare il suo nascondino e così feci. Saltai oltre il banco dopo aver afferrato una sedia che usavo come scudo. Un ringhiare sordo e profondo fece tremare le mie orecchie. Un cane rabbioso sembra essersi mescolato a noi. Sentivo il suo odore e molti altri che mi bloccavano lo stomaco. Al buio solo il nostro ansimare ci poteva localizzare perché nemmeno le ombre si riuscivano a vedere. Un cazzotto mi arrivò dritto sul mento e la carne la sentì friggere, tanto era il dolore. Mi girava la testa e non per il taglio ma per il solito dolore che arrivava anche lui a colpirmi nel momento meno opportuno. Duzzer ringhiava o almeno ebbi quell'impressione ma c'era qualcun altro che respirava come lui, come una bestia ed era lì con noi. Forse stavo morire ma ero pronto a dare battaglia e sarebbe stato così se Jesse non avesse sfondato con il camioncino il portone di ferro e sceso col suo grosso fucile in braccio mentre i riflettori dei suoi fari abbaglianti puntavano sui resti della sala diventata un teatrino di macerie e sconfitti. Duzzer era sparito, probabilmente fuggito. Aveva distrutto il locale e nonostante questo la migliore cosa che fece era di scomparire come un vigliacco. All'ingresso c'erano ancora parecchi ragazzini coricati o accasciati che tossivano o cercavano di riprendersi dallo scontro di prima. Altri uscirono come cani bastonati e con gli occhi coloro rosso sangue. Charlie fu l'ultimo e la sua faccia era piena di lividi così come il resto del corpo. Non avevo parole. Jesse ci ordinò di salire sul suo vecchio camioncino mentre i ragazzi scappavano ognuno nella direzione della propria auto. "Sei un incosciente!" sbraitò Jesse mentre ingranava la marcia e spostava l'auto in mezzo ai ragazzi che ci fissavano come zombi in attesa d'un ordine d'attacco. Charlie non replicò a suo nonno. Era un pezzo di pietra con le mani gonfie e la pelle del viso che cambiava colore come i camaleonti. Pensai a un'allucinazione, quindi mi concentrai sul vecchio finestrino pieno di manate unte e di scorie di genere indefinito. L'odore di pesce dentro l'abitacolo era nauseante. Sarei uscito da là dentro non solo ferito ma puzzolente come metà di quel paese sperduto. Lot Berry non mi piaceva e non faceva nulla perché io cambiassi idea. Il mio sangue aveva macchiato il sedile e quel che restava del tappetino sotto i piedi. Jesse, girò la testa e mi disse qualcosa, ma sembrava una lingua sconosciuta. Non avevo voglia di parlare. La giornata doveva finire ed io volevo solo stendermi sul letto, chiudere gli occhi e dimenticarmi tutto. Speravo che a occhi chiusi, e con tutta la forza di volontà avrei potuto cancellare quell'ultima, maledetta settimana. "Sei un dannato incosciente! Ma cosa ti passa per il cervello? Qualunque idiota capirebbe che non si portano forestieri alla tana ma tu no, hai trascinato il nipote del sindaco in un posto pericoloso senza che ti venisse il dubbio che lui non si sarebbe potuto difendere. Matt ha rischiato grosso e non solo nell'orgoglio perché lui ancora non le conosce le nostre usanze, ma avrebbe potuto ferirsi seriamente. Tuo padre voleva venire al posto mio e tu sai com'è il suo carattere?" "Scusami." rispose il mio strano amico con un tono di voce molto basso. Ero in qualche modo imbarazzato per lui. Percepivo le buone intenzioni di Charlie ma quella paura non la capivo. Era meglio starsene in disparte. I loro problemi famigliari non m'interessavano, avevo già i miei, e molto più, gravi. Le strade illuminate davano l'impressione di un posto quieto e ordinato. Ovunque c'erano cespugli di rose tardive e vidi la stranezza che tutte le case ne aveva uno che si arrampicava sulle colonnine del portico fino quasi al tetto. Restavo attaccato al finestrino con la guancia che mi sanguinava. Ascoltavo i loro discorsi ma ero lontano anni luce. Era proprio una città di pazzi. "Il tuo compito? Ti ricordi qual era il tuo compito? Non è un gioco e nemmeno banale, Charlie! Hai messo in pericolo la vita di Matt. Cavolo!" e sbatté violentemente le mani sul volante. Charlie fissava la strada che saliva leggermente e che non teneva conto dei nostri stati d'animo. "Hai ragione. Io l'ho deliberatamente messo in pericolo. Non avrei creduto che gli altri... ma capisco il perché, non è pronto. " "No! Non solo non è pronto ma non spetta a te decidere quando debba esserlo. Noi dobbiamo solo accertarci che le cose intorno a lui non diventino come dire, difficili. Forse non l'hai messo in pericolo ma hai cercato di metterlo in ridicolo. Lui non ha avuto la possibilità di difendersi, capisci? L'hai portato da loro quando sapevi che è considerato ancora un estraneo tra noi. Duzzer ha appena finito l'apprendistato ed è uno degli sconfitti, con Ben mi sembra, quindi il sangue già gli bolliva di rabbia a mille. Tuo padre avrebbe risolto la cosa facendo chiudere il locale. Domani ci saranno delle ripercussioni su tutti voi e dei pettegolezzi su Matt e noi abbiamo l'obbligo di insegnargli tutto in meno di ventiquattro ore." "Duzzer avrà visto insieme Ben e Matt, quando sono arrivati in città e ha inteso che erano amici." "Duzzer è stupido ma tu lo sei doppiamente perché hai smesso di difenderlo nel momento in cui hai accettato la sfida. Ben non si mescolerà mai con voi altri e nemmeno sua sorella o Roshua. Sono troppo intelligenti, per farlo. " Entrambi mi guardarono. Ero piano di sangue ma avevo smesso di sentire dolore. Forse era stata una mia illusione ma scorsi un sorriso da Charlie. Era orgoglioso che fossi entrato nella mischia. "Siete due zucconi idioti." ma quell'insulto sembrava essere più ironico che offensivo. Il vecchio stava solo facendo la sua parte di uomo saggio. Charlie si beccò uno scappellotto ma nulla che offendesse mortalmente il suo orgoglio. La giornata era finita e fortunatamente. La casa del Sindaco era ancora illuminata e speravo che il mio timore non fosse fondato. Erano tutti svegli, inclusa la pestifera Julie che sembrava una scimmia dal volto corrucciato e gli occhi freddi di un alieno pronto ad attaccare. Clarence uscì per ringraziare Jesse mentre Charlie alzò timidamente la mano nella mia direzione. Ero imprigionato in una realtà aliena con diversi e strambi personaggi. Volevo andare a letto per non svegliarmi se non a Los Angeles, prima del colera. Non salutai nessuno e sporco di sangue, sordo alle parole di conforto della nonna, raggiunsi la mansarda. Mi buttai vestito sotto l'acqua calda. Con gli occhi chiusi ero tornato indietro nel tempo. Pochi giorni senza John e tutto mi sembrava così confuso e inverosimile. Non capivo cosa ci facessi lì. La ferita sul viso aveva i due lembi di pelle scoperti e l'acqua calda mi bruciava come se un fiume di fuoco mi attraversasse la faccia. Provai a fissare il solco che avevo, nello specchio e vidi che c'erano punti della carne già cicatrizzati. Impossibile, pensai. Sentì dei rumori in camera e presi un asciugamano che misi sulla guancia. Entrai in camera che ero ancora bagnato, stavo per gettare la spugna intorno alla vita ma vidi che sul davanzale della finestra c'era Mina che mi guardava. Non l'avevo mai notata. Era sottile e pallida con capelli di fuoco e occhi chiari. Stava sul mio ramo a gambe incrociate. "Ciao." mi disse con un sorrisetto ironico. I suoi capelli rossi erano lunghissimi e sembrava una creatura sovrannaturale. "Come sei arrivata fin qui?" le chiesi. Cristina venne a bussare alla porta. Girai la testa verso la finestra ma Mina era sparita. La nonna mi aveva portato una tazza di latte con due fette di torta. Sembrava provata e mi dispiaceva mettere alla prova la sua pazienza. "Scusami. Non volevo fare l'incosciente." Lei si sedette sul margine del letto ancora disfatto. "Noi siamo più colpevoli di te, Matt. Tu ti sei fatto onore, ma senza soddisfare la tua natura non potrai che perdere. Il tuo viso, sei ferito, vuoi che chiami la Berry?" la sua carezza era leggera e affettuosa. "No, è già quasi cicatrizzata e poi è solo un piccolo graffio." "Quando conobbi tuo nonno, sai voi due somigliate molto, più di quanto tu assomigli a tuo padre, lui era un attaccante timido e lo prendevano in giro perché non partecipava alle risse dei ragazzi e si rifiutava di combattere all'apprendistato. Un giorno, uno dei suoi amici si fece avanti per corteggiarmi, anche se sapeva che ero promessa a Clarence, ebbene, quel giorno, anzi la notte, tuo nonno svegliò lo sciagurato e lo sfidò nella piazza davanti alla chiesa. Uscimmo tutti per vederlo ridotto a una maschera e pieno di sangue che non era il suo. Era diventato un cacciatore per amor mio. Lo sconfitto si chiamava Jesse ed è diventato il suo migliore amico e senza il suo aiuto, oggi non saremo sposati da cinquant'anni. Il segno che tuo nonno ha è sulla spalla destra, è l'unico punto, dove Jesse era riuscito a toccarlo perché poi, Clarence divenne una belva. Noi siamo un popolo nato per sopravvivere alla fatica, alle malattie e alle trasgressioni biologiche, siamo diversi ma non meno umani. Molti di noi hanno perduto l'eredità degli antichi, inconsciamente, anche se hanno avuto tutti i sintomi del cambiamento. Se non lo accetti, non diventi. Tuo padre non ha avuto il coraggio di spiegarti la verità perché lui stesso non aveva accettato le nostre regole. Questa storia non ti piacerà ma è ciò che siamo e ciò che sei a tua volta." "Domani. Oggi sono solo uno scemo che ha preso un po' di cazzotti e che vuole ritrovare suo padre. Domani Cristina, mi racconterai la fiaba del nostro popolo. Sono stanco." Cristina sorrise e mi accarezzò nuovamente la guancia ferita. Sentivo come se la cicatrice tirasse la pelle. "Sei già guarito, vedi. Devi riposare." e uscì dalla stanza augurandomi la buonanotte e sentivo in lei un bene che a stento cercava di trattenere. Mi piaceva molto, quella donna con i suoi capelli bianchi raccolti e i suoi abiti scozzesi, era un po' fuori moda ma era una cuoca e ascoltatrice, eccellente. Mi sentivo come uno che aveva superato il suo primo giorno di scuola. Al buio tutto sembrava normale ma nel silenzio qualcosa colpì il ramo appoggiato alla mia finestra. Accesi la luce. "Charlie!?" "Ciao fratello. Disturbo?" "Ma voi non usate mai la porta?" "Percorso troppo lungo e non vorrei svegliare i tuoi nonni. Hanno appena spento la luce e credo che l'ultimo pensiero della loro giornata sia stato tu." "Ho messo in tavola tutte le mie munizioni. Domani questo cretino dovrà presentarsi in municipio a fare riverenze al Sindaco." "Non è da te. Posso entrare?" "Accomodati. Prima c'era anche Mina ma è svanita." "Mina è venuta da te?" "Dovresti invece chiedermi, ma come fa Mina ad arrampicarsi su venti metri d'albero e sparire in meno di un secondo?" " Allora Mina ti ha preso in simpatia, devi considerati fortunato. Forse le piaci. Noi siamo abituati ad arrampicarci mentre voi invece, siete abituati a farvi venire calli al sedere. Ho visto che non sei educato a una vita sana e in mezzo alla natura. Tu sei uno di quei cervelloni che si chiude in casa per combattere l'invasione aliena. Qui c'è la forza della vita e devi combattere per dimostrare chi sei. "Un coglione. Anzi, due. Io combatto col cervello se non ti dispiace. Charlie chi è Duzzer e perché mi odia tanto?" "Ignoralo. E' un cretino, uno che vive con la madre e senza il padre che pare sia partito per il lavoro e non sia più tornato. La sua rabbia la sfoga con noi ma prima non era così. Eravamo ottimi amici ma crescendo, come vedi, prendiamo tutti delle strade diverse. Stai bene? Ho visto il taglio che t'ha fatto. Domani Duzzer se la vedrà col Sindaco e col Preside e credimi avrà un sacco di problemi che ora non ci riguardano. Quindi Mina viene a trovarti eh? Pensa, lei non considera alcuno di noi e quando ha voglia, sa essere carina da matti. Vi piacete voi due? Ma in città non hai lasciato nessuna che ti abbia spezzato il cuore?" "Non ha fatto in tempo a conoscermi, Susan era una mia compagna di classe ma i suoi genitori si erano trasferiti ad Atlanta e ci siamo persi di vista, anche se non mi ha mai considerato veramente come uno che avrebbe potuto essere il suo ragazzo. Io non giocavo nemmeno a football e lei era la reginetta della scuola. Troppe costanti negative nell'equazione Matt & Susan. Mi massaggiai la guancia, sai che è strano, mi sembra quasi guarito? E per la cronaca, io non vado dietro alle poppanti. Mi basta quella piccola selvatica che mi tira calci appena mi vede. Una scimmia pazza che infesta questa casa come un fantasma cattivo. " "Chi la piccola Julie? Ma dai, cosa ti potrà mai fare una bambina di quindici anni, ha due occhi azzurri come il ghiaccio che sembrano quasi irreali, si dice che lei abbia il dono di prevedere il futuro e lei mi fa venire i brividi quando mi guarda. Diventerà bella e allora la scimmia sarà il tuo incubo peggiore. Comunque lasciala correre, sappi solo che l'aria di Berry rende più forti. Comunque Dean voleva Ben e non te. Pensava voi due foste amici. Vi ha visto arrivare in città. E' un coglione che se la prende con tutti quelli che stanno intorno ai fratelli Wild." "Chi se ne frega di Duzzer, fratello, ho un problema, mi serve una macchina, di qualunque natura. La nana con gli occhi irreali deve solo stare lontana da me. E' talmente selvatica che non le ho mai visto gli occhi, solo ciuffi di capelli scompigliati che non hanno mai conosciuto il pettine. Una macchina, per favore? " "Qui è difficile trovarne una, anche le vecchie carriole, le teniamo perché sappiamo che dalla città non arriverà più nulla. Ma fammi pensare ..." "Posso pagare in contanti, con antibiotici o con barrette di cioccolato ancora non scadute." "Mia zia venderebbe anche l'anima per un morso di cioccolato. Domani ti troverò il tuo veicolo ma ti dovrai accontentare." "Sei un amico. Adesso vattene prima che il Sindaco ti multi per avermi tenuto sveglio." "Vado via, ma domani ti racconterò un segreto, qualcosa che riguarda questo posto e che nessuno sa. Probabilmente tuo padre era a conoscenza e voleva tornare dalla città per darci una mano." "Matt?" la voce di Cristine dietro la porta agitò Charlie che sparì come gli altri. "Domani avrai il tuo trabiccolo." si sentì solo un sussurro. Cristine entrò con la faccia sciupata e i capelli arruffati. "Hanno trovato tuo padre."
Certe notizie arrivano inaspettatamente. Sarei voluto andare subito a Bricks Bay ma dovevo aspettare l'alba e i fratelli Wild che erano gli unici a poter affrontare la Haze. Mi sarebbe era difficile chiudere occhio. Immaginavo finalmente riunita la nostra famiglia e sarebbe stato utile avere John come moderatore tra me e mio nonno. Il cielo coperto aveva portato la pioggia e poi gelidi grani di neve che presto si sarebbero trasformati in una tempesta. Lot Berry mi combatteva con tutte le sue forze ed io le resistevo. Strani suoni arrivavano dalle cime alte, quelle sopra la casa, suoni come dei lamenti o dei respiri grevi. Il buio si era inginocchiato al vento che trovava marea tra gli aghi pungenti dei pini e qualunque cosa ci fosse là fuori, non spiava solo me, ma tutta la città. Probabilmente c'era davvero un segreto che nessuno conosceva, dei grizzly cannibali che nessun cacciatore era riuscito a prendere oppure un branco di lupi così affamato da scendere in paese e qui si spiegavano le carcasse dei cavalli o forse i fantasmi di tutti quelli che avevano cercato di scappare da Lot Berry senza mai riuscirci. Gli alieni sotto sembianze umane si consumavano di noia tra i boschi umidi e piovosi dell'Ohio, lo Stato più noioso di tutti gli Stati Uniti. Probabilmente la nebbia degenerava in una malattia contagiosa che consumava prima i giovani degli anziani e si spiegavano le follie e lo strano comportamento dei ragazzi di Lot Berry e la nebbia non era più un normale fenomeno meteorologico, ma era diventato uno stato planetario permanente che risucchiava dalle umane facoltà intellettive, la ragionevolezza. Forse se John fosse stato lì con me, avrebbe deciso di scappare nuovamente e di tornare in mezzo ai mostri delle città piuttosto che farsi consumare il fegato d'indigestione da nichilismo grossolano. La pioggia picchiava contro il vetro mentre l'albero appoggiato alla casa sembrava un mostro pronto a entrare. I mostri di cui avevo paura, però, erano nella mia mente, nei ricordi e nella tana, dove mi ero rifugiato per cercare di sfuggire loro. La resistenza di John e la fortuna di saperlo a Bricks Bay mi davano quel coraggio restare ancora le poche ore fino all'alba. Non sopportavo più quel posto pieno di allucinati e non senza di lui. Avevo anche il furgone per la fuga dovevo solo trovare un mezzo per arrivare dall'altra parte della montagna. John avrebbe saputo come tirarsi fuori da questa situazione. Lui non lasciava mai nulla al caso. Era un uomo che calcolava le ore e i minuti della giornata per avere più tempo da dedicarsi al suo lavoro preferito, lo studio. Non me lo immaginavo John che cadeva in un dirupo, ipotesi da considerarsi ma poco plausibile. John non aveva alcun motivo per allontanarsi da me e dal furgone. Nemmeno se fosse stato attaccato da chissà quale animale selvaggio, mi avrebbe mai lasciato solo. Un braccio rotto però giustificava la sua scomparsa. Perché portarsi dietro la chiavetta e il cellulare? Strane combinazioni che non portavano ad alcuna risposta logica. Come mai il Generale non sapeva dell'incidente di John? Avrei voluto sognare un giorno pieno di sole e una spiaggia affollata con belle ragazze e magari, un piccolo bar dove si serve solo succo fresco di noci di cocco o birra ghiacciata. La vita era diventata così complicata che riuscire a trovare uno spazio senza preoccupazioni e senza lotte di alcun tipo, sarebbe stato difficile. Quest'utopia aveva accompagnato i miei pensieri sempre più tormentati. Non c'era verso che la quiete vincesse il mio umore nero finché ebbi la visione di una ragazza che mi mostrava la montagna. Era bellissima e con degli occhi forti capaci di trapassare la carne con la loro lucentezza, assomigliava a Julie e poi aprì gli occhi. Ero sudato. Pensavo fosse l'alba. Una luce fiacca illuminò la finestra e rumori molti forti di passi invasero il corridoio. Si sentivano voci e persino qualcuno bisbigliare dietro la mia porta. Clarence apparve col suo pigiama di flanella e la bocca di un fucile sopra la sua spalla. "Figliolo, è ..." Ma un uomo appesantito con lo stemma dello sceriffo entrò leggendomi i miei diritti. Lo seguiva un ragazzone alto quanto la porta che mi teneva di mira come se temessero che li potessi attaccati, in mutande? "Non capisco." fu l'unica cosa sensata che potessi dire dopo una nottata senza riposo. "Capirai quando arriveremo alla centrale." disse il più anziano che salutò con rispetto mio nonno prima di ammanettarmi." "Cos'ho fatto? Posso saperlo?" Ma fu Clarence, sebbene riluttante, a rispondermi. "Il fratello maggiore di Duzzer è stato trovato morto, a pochi chilometri da qui. A Rob hanno strappato gli occhi e il suo corpo è stato straziato. Tu e un tizio appena arrivato dalla città siete i primi sospettati." "E allora?" "Il litigio di ieri notte? Tutti ti hanno indicato come colpevole. Jesse e Charlie sono i testimoni a tuo favore." "Ma ho cercato di difendere Charlie, Duzzer e i suoi amici si sono scaraventati su di lui e ho solo cercato di fermarlo. Ma perché ucciderlo, non lo conoscevo nemmeno? Probabilmente non era litigioso solo con me." "Figliolo, sono lo sceriffo Hopper, ci racconterai tutto ma adesso mettiti le scarpe e un paio di pantaloni così si va. Sindaco può chiamare il suo avvocato, il ragazzo ne avrà bisogno!" Cristina piangeva e cercava di farmi coraggio mentre Clarence era già al telefono con qualcuno. Io sono solo. Ero solo in un mondo di ombre come un sacco di pupazzi con i fili intrecciati e legati con nodi ben stretti. Ero dentro un film senza regista, dove le scene non avevano alcun nesso logico. Gente che voleva essermi amica, gente che mi odiava e gente che mi cercava, tutta una serie di personaggi che prima di allora non avevo conosciuto e non mi conoscevano. Ero diventato un assassino in una città che offriva centinaia di acri di boschi con altrettanti ipotetici criminali nascosti. Dovevo essere deluso da quell'evoluzione delle cose ma stavo iniziando a divertirmi. Il volto dei nonni era indecifrabile. Li lasciai sul patio e in pigiama che osservavano la mia camminata verso l'auto dello sceriffo. Julie era tranquilla e stretta tra loro e si potevano vedere solo le ciocche dei suoi impossibili capelli. Strana bambina. Clarence entrò in casa prima che l'auto partisse. Mi sentivo che se mi avessero tolto le forze con una trasfusione di sangue. Non replicai a nulla e non parlai non per attendere il mio avvocato ma perché non c'era nulla da dire. Scendevamo velocemente lungo i tornanti, vedevo solo altro bosco tra me e l'innocenza e altro bosco come barriera tra me e John. Sentivo il respiro di predatori che si mimetizzavano con la tenebra, di occhi che puntavano come i laser dei fucili e percepivo oltre la pioggia e il vento, i movimenti di nemici in agguato. La mia immaginazione stava sfogliando le pagine di un libro che io stesso non avevo mai letto. Lo sceriffo mi osservava dallo specchietto per poi tornare a fissare la strada. Mi domandò com'ero sopravissuto nei boschi e se avessi visto qualcuno di strano aggirarsi nei boschi. Raccontai delle carcasse di cavalli e delle ombre ma risposi che non avevo visto nessuno tra quei maledetti alberi. Nessun uomo mi aveva minacciato o sparato e lui sembrava più preoccupato di prima.
5 Alvin Gosslin La cella era fredda e silenziosa. Mi ero seduto a terra aspettando l'evolversi delle cose. Io ero molto più tranquillo dell'altro sospettato che dalla sua cella in fondo al corridoio, imprecava pesantemente contro le guardie e contro lo sceriffo. Era un uomo dall'aspetto ordinario, anche se solitamente gli assassini si nascondono sotto una maschera di normalità difficile da leggere. Mi chiese una sigaretta e gli risposi che non fumavo, lui non replicò. Restò in silenzio ma non per molto perché la sua curiosità lo spingeva al dialogo. "Tu non sei di queste parti, ragazzo?" "No." "L'ho indovinato subito. Non hai nulla in comune con questi taglialegna di bassa lega. Come ti chiami?" "Matt." "Che coincidenza!" Parlava entusiasta dopo essersi soffiato il naso con la mano. "Anche mio padre si chiamava Matt, era un gran bevitore. Riusciva a mandare giù una decina di birre senza mai prendere fiato. Adesso io lo imito ma lontanissimo dal suo record. Io? Mi chiamo Alvin." "Cipmunk." "Cosa?" "Lascia perdere." "No Chipmun ma Alvin Gosslin, meccanico, fumatore, imbianchino, camionista tuttofare." Nuovamente il silenzio fece barriera tra noi. Evidentemente ad Alvin mancavano le sigarette perché non riusciva a calmarsi e la sua agitazione rendeva irascibile anche me. "Allora tu non sei come loro?" Non risposi. "Loro, e rise, pensano di potersi confrontare con i peggiori mali e di vincere ma non sanno che c'è chi più di loro, desidera la supremazia assoluta su questo fottuto bidone di spazzatura che ancora chiamano mondo. Tu non sei come loro o lo sei? Lo sai o non lo sai il segreto? Tutti i dannati cinesi sopravvissuti troverebbero un nemico capace di cancellarli." "Cos'hai contro i cinesi?" "Non hanno delle buone sigarette e nemmeno il whiskey e nemmeno la birra. Sono tutti così piccoli da infilarsi nel nostro paese fino a farlo diventare una gigantesca lavanderia con vestiti che odorano a curry." "Già" "Allora tu non fumi?" "No." "Non potresti procurami una sigarettina, un mozzicone, qualcosa purché sia del tabacco." "No." "No, no, no ma sai dire solo no?" "No." Alvin smise di parlare. Il mio conforto fu l'arrivo di Charlie con un grosso bicchiere di caffè. Il contatto del palato con la bevanda calda provocò una sorta di stato di beatitudine. Avevo il necessario, anche se non era indispensabile per superare quella spaventosa giornata. Sorseggiavo lentamente il liquido nero e tenevo gli occhi chiusi in attesa che un fulmine spaccasse il soffitto di quel forziere che ci rendeva colpevoli di un crimine mai commesso. Bere mi facilitava la calma. E allora capì Alvin. Qualcosa di caldo, doma la tua nevrosi, le tue insicurezze e quelle ombre pronte a morderti con la paura. Io non avevo paura ma Alvin probabilmente, grazie a qualche piccolo precedente, diventava il colpevole per antonomasia. Mi dispiacque per lui. Era l'uomo sbagliato nel posto sbagliato, i veri assassini erano ancora fuori a studiarci come si osservano i polli nell'aia mentre scappano da un nemico che non hanno mai visto. Charlie rispettò la mia volontà di voler stare in silenzio. Lui mi raccontava sia della disperazione dei Duzzer, e dei ragazzi che temevano per la loro vita. Lui sapeva che ero innocente e c'era qualcosa in più, qualcosa non potevo spiegarmi ma che era insita in lui. Parlammo poco e gli chiesi un altro grande favore. Di Rob Duzzer si sapeva poco. Il suo corpo era all'obitorio e c'erano anche la Berry e il suo collega, entrambi interpellati per l'autopsia. La madre di Duzzer e il fratellastro Dean invece, inveivano a voce così alta che si poteva sentire le loro voci dalle nostre celle. "Danno la colpa a te ma il corpo di Rob ha solo pochi pezzi di carne riconoscibili. Non ha più un organo, come se fossero spariti e nemmeno sangue. Nessun essere umano potrebbe fare una cosa del genere. Siamo certi che ti libereranno presto perché c'è stato un caso simile mesi prima del tuo arrivo ma era un cacciatore e di Bricks Bay, nessuno è mai arrivato a reclamare il corpo; l'unica cosa che l'hanno cremato e non hanno che i rapporti per confrontare. Charlie avrebbe voluto parlare di più ma il vice entrò per chiedergli di andare via. Ero diventato un assassino in meno di due ore e non so perché ma mi sentivo sollevato. Ero riuscito a rovinare la reputazione della mia famiglia con la stessa velocità con cui la luce attraversa l'atmosfera terrestre. "Grazie!!!!!" Alvin rinvenuto continuava a ringraziarmi. "Sono in debito con te amico e credimi, io sono uno che i suoi debiti li salda prima o poi." L'odore del fumo entrò anche nella mia cella. "Ti voglio regalare una verità, Matt. Tu non sei come gli altri e ti temono. Ho molto fiuto per queste cose ma non voglio rovinarti la sorpresa. Alvin è un uomo di parola. Tu mi hai salvato la vita!" "E' solo una sigaretta." "Per me è la vita. La sigaretta cura la mia pazzia e la mia depressione. Io sono un tipo instabile, ma l'avrai già capito e le medicine non ci sono più per quelli come me così mi curo col fumo. Una sigaretta, mi toglie la voglia che ho di ammazzare certi schifosi che pensano di essere dei padri eterni. Sai, quando non sono ubriaco anch'io, penso che potrei fare cose migliori per il mio paese ma non me le lasciano fare. Mi hanno sempre giudicato come immondizia. Nessuno si fida di te se sei un perdente, Matt, nessuno. Alvin quando non beve si ricorda di certe cose che tutto sto fottuto paese cerca di dimenticare. Matt ha salvato Alvin." "Tu con me non hai nessun debito." "Alvin riconosce i grandi uomini e tu sei uno di questi. Forse tu sistemerai questo disordine che ci affligge come la foschia dove siamo condannati a vivere. Mi gioco un pacchetto di sigarette che presto le cose cambieranno da queste parti e sarai tu a farle cambiare." "Sei un veggente?" "No, amico mio, di più, io sono e sarò per sempre il tuo amico migliore, fidati. Il futuro è già stato scritto ma siamo in pochi poterlo interpretare. Tu non sei come loro, tu sei più forte di loro. Ma non fidarti di queste serpi. Io ti guarderò le spalle ma giudica con la tua testa e non con la loro. Berry è un posto dove i fantasmi camminano in mezzo agli uomini credendo di essere ancora vivi e di poter fare quello che vogliono. Tu puoi impedire che ci distruggano tutti. " "Io ho solo diciassette anni e non cerco nulla. Sono un normale ragazzo e non Superman." "Ma è il tuo destino. Dovrai accettarlo perché lui ti seguirà ovunque, andrai e non potrai ostacolarlo. Tu Matt, sei il cambiamento." "Io non conto di restare qui per molto tempo." "Resterai, resterai, sarai costretto a farlo. Certi sbagli dei padri li pagano i figli." Pensavo che la sua vena di follia lo avesse annebbiato completamente. Evitai di dargli altra corda e smisi di parlargli. "Matt? Matt mi senti? Sono io il tuo amico Alvin. Tu devi ascoltare loro Matt, solo adesso per l'inizio. Hai bisogno di loro per il segreto. Ma tu Matt sei un grande. Tu toglierai la spazzatura dalle montagne e oltre. Matt è grande! Matt è grande! Matt è grande!" Un agente entrò con le chiavi in mano. "Hai trovato un ammiratore Matt!" disse lui mentre apriva la porta della cella. "Sì io sono un amico di Matt. Vero Matt?" Stavo camminando e Alvin mi afferrò una mano. L'agente stava per colpirlo ma lo fermai. "Non devi avere paura di quello che sei Matt. Non avere paura. La tua natura ti guiderà. Matt difendici, tu non sei come noi, sei più forte." Stavo uscendo senza rispondergli ma sentivo le sue ultime parole. "Grazie Matt." L'agente aprì la porta e una donna entrò nel corridoio come una furia e si avventò prima su di me poi contro la gabbia di Alvin. "Vi ammazzerò bastardi! Vi farò ammazzare come avete ammazzato il mio Rob!" Lo sceriffo corse e la trascinò tenendole strette le mani per evitare che lo facesse davvero. "Calmati Alice, non sappiamo chi è stato. Non sono gli unici sospettati e tu lo sai bene." "Sì, calmati sorella!" gridava Alvin dalla sua cella. La ragazza piangeva e si dibatteva con tutte le sue forze. Erano già in due a cercare di calmarla finché un terzo agente arrivò con una siringa che finì nel braccio della poveretta. "E' colpa tua Simmus. Dovevi pensarci prima. Questa storia continua da troppo tempo e tu e il Sindaco non state facendo nulla." Hopper era sbiancato. "E' solo un calmante, Alice, nulla di più." La donna si lasciò andare e tutti e tre gli agenti la portarono verso altri uffici oltre le celle. "Attenti ai pazzi, uccidono più dei vagabondi!!" gridava Alvin rimasto solo. L'agente sorrideva mentre giocava con il mazzo di chiavi sulla gamba. Non capivo come mai la scena lo avesse divertito. Il rumore metallico m'infastidiva al punto che mi vennero i brividi. Ero diventato suscettibile a certi rumori e certi suoni. Alvin era pazzo ma un pazzo che non aveva la stoffa dell'assassino. Gli assassini non mostrano le loro debolezze né ringraziano un ragazzo per un po' di fumo. Restava la domanda, chi aveva ucciso il povero Rob e perché in quella maniera spietata? I Duzzer erano già andati via ma la Berry stava parlando animosamente con lo sceriffo e ogni tanto mi guardavano entrambi. Lei poi uscì e venne verso me. "Lo so che non sei stato tu e stai tranquillo con mia figlia, le parlerò dopo che si sarà calmata. Questi omicidi sono diventati una frustrazione." Alice Berry era stata la ragazza di Rob Duzzer e perché non poteva essere stata, proprio lei, un attacco di gelosia, una furia omicida chissà. Spesso i veli d'innocenza nascondono i progetti più diabolici. Lo sceriffo mi tenne un discorso esauriente. Non potevo lasciare la città, avevo l'obbligo di presenza ogni mattina e quello di starmene lontana dalla Tana e dai guai. Era la prima volta che entravo nell'ufficio di uno sceriffo e Hopper era disarmato dal fatto di non avere delle prove che lo portassero al vero omicida, anche se s'intuiva che stesse pensando a qualcosa in particolare. Mio nonno aveva pagato la cauzione e il suo avvocato, un uomo che sembrava Noè ma meno barbuto, si congratulava con me per la forza d'animo. Stavo per uscire ma sentivo il dovere di fare qualcosa per Alvin. A tale proposito chiesi a Clarence un favore, non l'avrei fatto per nulla al mondo ma c'erano dei valori per cui combattevo che non volevo perdere, nemmeno se ero costretto a fare il prigioniero in quella città. Dapprima sembrava gli avessi puntato alla testa una pistola ma quando gli sussurrai all'orecchio che avrei fatto l'apprendistato, lui divenne improvvisamente sereno e senza battere ciglio chiamò Noè che sbrigò certe faccende con lo sceriffo Hooper. Mi ero venduto per la libertà di Alvin. Rob Duzzer doveva ancora aspettare ancora per un po' la scoperta del suo assassino e certo la fuori, mi aspettava Dean con la sua carica d'odio consumato da mostri che gli mostravano solo me, come unico assassino. Hooper era certo che a uccidere Rob era stato un uomo dalla forza spropositata perché la profondità e le lacerazioni delle ferite erano molto profonde e persino certe ossa spezzate erano frutto di un essere capace di sollevare un ragazzo di novantacinque chili. I calcoli tra la mia altezza e il mio peso non corrispondevano con i tipi di tagli trovati sulla vittima. Chiamai Charlie. Avevo bisogno di un amico per condividere il ricatto cui mi ero arreso, ma lui sembrava meno preoccupato di me. Non tornammo a casa ma andammo prima al cimitero e poi al municipio di Berry. La sosta al cimitero era servita a Clarence come diversivo ai tre reporter che lo seguivano e con cui non voleva parlare. Passammo qualche minuto sulla lapide di famiglia, dove forse per simpatia, era indicato anche il nome di mia madre. Clarence era taciturno, ma ci fu un momento in cui pensai che la follia avesse contaminato anche lui. "Spero di fare la cosa giusta." disse alla pietra che custodiva la memoria dei miei bisnonni, baciandola e aspettando forse un responso dal corpo inanimato. Tornammo in città. Il poco traffico forse rendeva ancora più forte la pioggia cui i tergicristalli non riuscivano a influenzarne la forza. La luce si accese su tutti lampioni e considerai come il buio abbinato alla pioggia, perdeva la sua aggressività. La pioggia era una buona amica per gli assassini che dovevano lavarsi le mani dal sangue delle loro vittime e la coscienza dalle colpe. L'acqua era un'alleata migliore per certi soggetti e più del buio perché chiunque dotato di forza di volontà, lo poteva affrontare come si sfidano dei muri cui dobbiamo conquistare l'inviolata altezza.
6 Julie Al cimitero, notai gente con i fucili dietro i monumenti funebri. Pensavo fosse uno scherzo, chi mai farebbe da guardiano a un cimitero e chiesi a Clarence cosa significasse quella disposizione di uomini. Lui mi ripose che la sicurezza della città non era mai abbastanza e che c'erano altri in altri punti della città, ma quando domandai da cosa si difendevano, lui tacque. Clarence mi lasciò a casa per tornarsene in città. Cristina era fuori e cercai di riprendermi dalla nottata in cella e dal posto in generale. Cercai di chiamare John ma senza successo e accesi il portatile giusto per il tempo di dare un'altra occhiata al suo "progetto" ma gli occhi non garantivano che immagini sfuocate. Alzai il materasso e infilai sia il PC sia il cellulare. L'indomani, prima dell'alba e se tutto fosse stato ok, sarei partito per Bricks Bay a prendere mio padre. Dopo la doccia mi buttai sul letto e rimasi a fissare il soffitto finché non presi sonno. Ci sono sogni che non ti abbandonano mai nella vita e sognai un posto conosciuto, dove mi nascondevo pronto ad assalire il mio nemico, una creatura mostruosa e molto veloce ed ero pronto a sparare quando la cosa mi saltò addosso ed ero pronto a difendermi ma le sue mani iniziarono a colpirmi con furia. Era solo un uomo anzi una ragazza con i capelli lunghi di cui non scorgevo il volto. Sarei rimasto anche a guardarla meglio se non fosse arrivata come un'ombra, una creatura di cui si distinguevano solo gli occhi rossi e disumani. Cercai di lottare ma questa entrò in me e allora cominciai a strapparmi la carne dalle mani e dal petto mentre una voce che non era la mia, faceva suoni sconosciuti con la mia bocca. La cosa mi entrava persino nella testa e nei pensieri e fu la ragazza a colpirti nuovamente con i suoi pugni, a ricordarmi che dovevo smettere di avere paura. La ragazza nascondeva i suoi occhi e il suo volto ma mi piaceva. Io sentivo che mi piaceva da sempre. Quando volli afferrarla, era svanita e nel mio sogno sarebbe stato difficile ritrovarla o immaginarla di nuovo giacché non sapevo proprio chi fosse. Mi svegliai guardando l'orologio, avevo dormito solo una quarantina di minuti e in casa non c'era ancora nessuno. Presi il cellulare da sotto il materasso e chiamai Charlie ma nemmeno lui mi rispose. Ero vestito quando sentì dietro la schiena, una mano. Il Signor Morte non colpiva alle spalle. La ragazzina mi mostrò i suoi palmi feriti. Erano entrambi aperti con due ferite profonde da dove trasparivano bianche, le sue ossa. Sanguinavano copiosamente. Lei non piangeva neppure, stava davanti a me con i suoi capelli lunghi e crespi fino alla vita e fitti da coprirle il volto. Lei, alzava mani che cercavano di raggiungere i miei occhi così, le avrei viste meglio. Le braccia uscivano sottili dal maglione inzuppato di rosso. Le sue gambe sottili e magre si vedevano dai pantaloni strappati. Mi stava chiedendo aiuto. Era così piccola e fragile. Per tutte le botte che avevo preso, avrei dovuto accompagnarla dietro la porta e fingere che non esistesse ma era lì con me, indifesa e tremolante che aspettava, facessi qualcosa per guarirla. Stanca di aspettare abbassò le mani e rivolse i palmi verso i fianchi. Teneva le spalle magre, strette per contenere, probabilmente il dolore e la sentivo respirare velocemente, come un animale ferito. "Accidenti, dovrebbe pensarci Cristina a queste cose. Io non sono un medico. Guarda come sanguini. Ma dimmi, hai fatto a pugni con un orso? Ti lasciano da sola su queste montagne? Chi ti ha tagliato i palmi? Qualcuno ha voluto farti del male, e pensai subito all'assassino di Rob, un tizio pericoloso a caccia di prossime vittime." Lei fece no con la testa e allora vidi, mentre girava la testa e la chioma ruotava sulla spalla, come in un flash, i suoi occhi. I suoi bellissimi e penetranti occhi lucidi. La lunga ciocca di capelli tornò nuovamente a coprirle il volto ed io ripresi a respirare. Julie teneva segreta la sua parte migliore. Il volto che nessuno di noi vedeva faceva pensare a un essere perfetto, un angelo innocente con potenti straordinari su noi umani. Stava ferma come una statua e non chiedeva nulla ma lasciava trasparire quella parta di se di cui non aveva il controllo, il dolore, ma a differenza di altri, soffriva con una dignità superiore. Julie dondolava lentamente sui talloni, una nenia che forse l'aiutava a sopportare le ferite. Soffrivo per lei. Ero arrabbiato con chiunque avesse fatto quelle cose a una ragazzina. Qualcosa di animalesco in me iniziava a fremere, a bruciare come un animale infuriato pronto alla carica. Le presi le mani e la portai in bagno. Lei aveva paura ma io le spiegai che prima le avremmo lavate con acqua fredda perché avrebbe sentito un po' meno dolore. Si sarebbe trascinata se non fosse caduta. Era svenuta. Se avessi chiamato Clarence o Cristina, Julie avrebbe continuato a sanguinare e l'alzai. Era così magra da non avere un peso. La portai sul letto e corsi in bagno a prendere un paio di asciugamani bagnati. Le lavai le ferite e il viso e per la prima volta vidi quant'era bella. Julie la sconosciuta era un angelo travestito da animale selvatico che preferiva tirarmi i calci che parlarmi. Julie aveva paura di me, del nuovo e forse del mondo intero. Il suo sguardo impaurito entrò in me e credo che sarebbe rimasto per sempre. Le misi una coperta e sotto, le appoggiai sul petto Signor Morte come porta fortuna, così sarebbe rimasta al caldo e difesa finché avrei trovato aiuto. L'avrei lasciata riposare ma il tempo passava e dovevo darle degli antibiotici per evitare il tetano. Chiamai Charlie che stavolta rispose. "Vieni subito!" gli urlai e lui non aspettò una spiegazione, mi chiese solo, dove mi trovavo.
"Ma non odiavi la ragazzina?" Charlie mi sorrideva mentre fissavo la creatura sdraiata sul sedile del passeggero con due asciugamani intorno alle mani e una coperta fino al mento. "Era ferita, non potevo mica lasciarla così." e guardai fuori cercando di sfuggire alle successive domande. "Tu non me la racconti giusta. L'hai vista! Dimmi che l'hai vista." "Già." "Hai visto i suoi occhi. Lei si nasconde sempre da tutti ma chi l'ha vista e sono davvero in pochi, credimi, non riescono a togliersela dalla mente." "Perché si nasconde?" "Cristina non ti ha raccontato la storia di Lucinda Hunt?" "Spera che la strada sia abbastanza lunga così me la racconterai. Dovevo andare da mio padre ma penso che a questo punto partirò domani." "ehee ... " "Che significa?" "Significa che ieri non saresti rimasto nemmeno se su questo posto fossero cadute un milione di bombe ma adesso rimani per accompagnare una bisbetica che non sopportavi, all'ospedale. Suona strano no?" "Cambia argomento." "Sono contento per te." "Di cosa parli?" "Smettendo di odiare la ragazza hai iniziato il tuo Apprendistato." "Fai pure il professore zen?" "Zen? Che vuol dire?" "Non sai cosa significa zen? E' una filosofia di vita che regola tutte le discipline dello spirito e le arti marziali." "Sì comunque stai iniziando ad abituarti alla tua natura e questo è il primo passo, non mostrare odio verso i tuoi simili." "Chi è Lucinda Hunt?" "Chi era?" "Morta?" "Era come dirti, il nostro profeta. Lei ci ha insegnato come vincere certe paure. Era una Attaccante e molto più forte di Clarence che ne era affascinato. Ma chi non lo sarebbe stato, la sua bellezza era a volte terrificante. Incantava le platee come se fossimo tutti dei serpenti danzanti la sua musica. L'hanno trovata morta in casa. C'era sangue e pezzi umani ovunque. L'assassino non è mai stato preso. Lei ha difeso il progetto e pur di salvarlo ha sacrificato la sua vita. Tu hai salvato sua figlia. Julie Hunt la scimmietta con i capelli ribelli e le gambe stecchino, ha delle eredità importanti, solo che detesta il gruppo e ha deciso di fare di testa sua. E' sempre stata strana. La madre l'ha tenuta lontana dalla città fino alla fine e da quando lo sceriffo l'ha trovata insanguinata in una stanza piena di giocattoli. Non ha mai parlato con la gente. Cristina è capace di una sensibilità tale a smuovere le montagne e riesce a comunicare con lei molto più facilmente che con noi altri." "Non capisco? Julie ha assistito alla morte della madre." Charlie disse sì. "Adesso è il suo Apprendistato Matt. E' caduta perché lei lavora da sola mentre le regole dell'apprendistato impongono che si facciano le cose in coppia così se uno si ferisce l'altro, lo aiuta a mettersi in salvo." "Riassumo, Julie va per i boschi, corre, fa a botte con gli alberi, va a caccia di lupi che ne so e poi torna a casa come se nulla fosse." "Più o meno. La nostra è un'esigenza. Se non ci sfoghiamo ci ammaliamo, facciamo brutti incubi o peggio, ci feriamo senza nemmeno sapere perché. Ci sono stati anche di quelli come te ma Clarence li ha aiutati ad accettarsi. Tu arrivi dalla città e da una realtà così distante dalla nostra, tu non sai contro chi combattiamo e perché, perché rispettiamo le regole e le leggi e forse a tua volta, stai male, inconsapevole che il dolore ti arriva da ciò che in te dovresti scoprire ma non abolire." "Hanno trovato l'assassino di Rob e di Lucinda?" "No. Ma Duzzer ucciderà qualunque sospettato per questo lo sceriffo, aspetta ad arrestare qualcuno. Dovrà essere certo di dare alla giustizia il vero colpevole altrimenti si macchierà di un omicidio." "Ha paura di un ragazzino?" "No di Dean ma di tutti quelli che lo potrebbero sostenere e a questo punto delle cose, non ci serve anche una rivoluzione." "Ma si sa chi ha fatto quelle cose deplorevoli?" "Sì ma le prove non si possono trovare, senza rischiare la nostra vita." "E' così ingarbugliata tutta la vostra storia che non so se siete una città di pazzi o cosa?" "Senti è ancora giorno e non piove, ti va di venire con me in un posto?" "Come la Tana?" "No, un posto serio. Tu vieni con me ed io domani ti accompagnerò a Bricks Bay ma non dalla Haze, faremo il giro più lungo. Che cosa diresti?" "Che la nostra scimmietta si stia svegliando?" Julie, non era proprio di buon umore e quando vide le sue mani fasciate, si ricordò anche delle ferite. Sarebbe uscita dal finestrino se Charlie non avesse fermato l'auto e fosse uscito per bloccarla. La mia convinzione che quella fosse una città di pazzi non me l'avrebbe cancellata nessuno. L'ospedale non era tranquillo come me lo ricordavo. Tutto il pronto soccorso era pieno di gente ferita, la maggioranza ragazzi. "Ma che diavolo?" Guardai Charlie che sorrise. "E' il periodo dell'Apprendistato e molti di noi a volte cadono, si feriscono, insomma imparano. Adesso pensiamo a Julie."
7 Apprendistato Eravamo nella stanza d'attesa. Io, Charlie, Cristina e Clarence. Venne anche lo sceriffo Hopper che aveva a cuore il destino di Julie. Nonostante il suo temperamento, era molto amata. Julie Hunt aveva assistito all'omicidio della madre e doveva aver visto in faccia l'assassino solo che lo aveva rimosso per sopravvivere alla paura del mostro, un po' come facevo io con gli incubi. Lei esorcizzava la paura andandosene da sola per i boschi e cercando quella libertà interiore di cui era stata privata. Il silenzio tra noi era una cappa di pesanti ricordi. Chiesi a Clarence se avesse notizie da Bricks Bay e lui mi rispose che avrebbe mandato i fratelli Wild a incontrarlo appena si fossero chiarite le dinamiche del ferimento di Julie. Io ero condannato a non potermi muovere da quel posto finché non avessero trovato un assassino invisibile. Clarence e Hopper si appartarono per parlare. Il loro, era un animoso scambio di opinioni e non riguardavano me ma Julie. Julie doveva avere un segreto ed anche abbastanza grande perché arrivarono anche due agenti che lo sceriffo piazzò sia davanti alla porta della camera che all'ingresso del pronto soccorso. Chiunque loro stessero aspettando, sarebbe arrivato all'improvviso e li avrebbe trovati impreparati. Succedeva così in tutti i serial televisivi. L'assassino solitamente, si prepara molto bene e sa come colpire e quando. Trova sempre il punto fragile nelle persone e quel gruppo ne aveva parecchi di punti fragili, uno di questi ero io ed evidentemente, Julie. Ma chi era Julie Hunt? Chi era la ragazza che sfidava i boschi e tornava ferita gravemente ma senza un lamento? Presi Charlie in disparte e gli chiesi se la mia auto era pronta. Lui mi accompagnò fuori e mi mostrò una vecchia Plymouth verde del 77, in città sarebbe stato un gioiello da mostrare alle ragazze ma per quel posto, era solamente una carretta con gomme scivolose da provare sui ripidi tornanti all'uscita della città. Mi diede le chiavi. "Quanto ti devo?" "Una birra." "Grazie. Sono in debito." "Già." "Posso?" "Non domandarlo. Parti!" Il motore era una bomba e meno lento di quanto avrei pensato. "L'hai fatto tu?" "Un amico. Qualcuno mi deve dei favori." "Siamo in tanti." "Già." L'auto filava come un gioiello. La città sembrava meno cupa e la gente meno paurosa. Tutte le stranezze si erano attenuate con quel mezzo che mi garantiva l'assoluta libertà. "Ricordati che lo sceriffo non sa. Vorrei che tu fossi invisibile per qualche tempo almeno finché non si calmano le cose in città. Fai attenzione a Dean, a non uscire dalla città, a non prendere la strada della miniera. Dopo ti spiego come salgono i recinti, dove ci alleniamo per l'Apprendistato e cos'è." "Tante cose da sapere subito ed io vorrei solo arrivare a Bricks Bay da mio Padre." "Sono certo che il Sindaco si sarà informato su chi deve mandare. Tuo padre è molto più al sicuro di te." "Sono in pericolo?" "Tutti siamo in pericolo." "Ti riferisci all'assassino?" "Mi riferisco a quello che ancora non sai. Se resti così, ti crei e ci crei dei problemi ma hai bisogno di capire." "Cosa sono?" "Noi siamo diversi dalla gente che hai frequentato finora e la cosa strana è come tu sia riuscito a resistere. Non hai alcun dolore? Non hai voglia come di correre e liberarti?" "Ho frequenti mal di testa da bambino e sono allergico ai cani, ai boschi e all'umidità." "Insomma alla tua natura." "Io non sono un cane." "Fermai l'auto davanti alle barriere off limits della miniera." "Era una miniera d'argento. Quando è crollata, cinquant'anni fa, sotto si trovava una scolaresca, morirono più di trenta bambini, i loro corpi erano irrecuperabili. All'ingresso, potrai vedere le loro croci, ognuna con un nome e una data, è molto triste." "Voglio andarci." "All'alba. La miniera è oltre il recinto che si attiva col tramonto. E' pericoloso andarci ma c'è chi ha osato ma a volte è tornato ferito." "Ti devi decidere e dirmi tutto." "Già" "Ho tutto il tempo del mondo." "No. Non ce l'hai. Non hai nemmeno il tempo di capire chi sei, figurati di metterti alla pari con noi ma nulla è impossibile, vero?" "Io non vorrei essere un caso disperato." "Non sei l'unico. Siamo tutti dei casi disperati finché non impariamo a difenderci. Ci serve una guida. Clarence è troppo anziano e Hopper non ha la stoffa del leader. Tu sei arrivato al momento giusto." "Io non guido nessuno da nessuna parte." "Certe cose sono come dire, involontarie, insite. Devi solo capire quali possibilità hai. Puoi scegliere, nessuno ti può obbligare ma appena accetterai la tua natura tutto avrà delle risposte." "Ti ascolto." "Scendi dalla macchina." La neve stava scendendo e noi eravamo ai piedi di un sentiero che si perdeva in mezzo agli alberi. "Ti spaventi facilmente?" "Se vuoi saperlo, io non ho paura del buio." Charlie sorrise. "E di questo?" Il suo salto in aria mi avrebbe impressionato ma il suo corpo ebbe come uno scoppio, le mani protese come ali indefinite si contrassero e le ossa storie generarono qualcosa di mostruoso. L'essere gigantesco rimbalzò a terra poi girò il capo verso di me e vidi i suoi occhi alieni fissarmi. In pochi istanti sarò morto, pensai. Ma non fu così. Quello che poteva sembrare un animale mi girò intorno finché decise di saltare nuovamente per tornare umano. L'incredibile era vero. Un lupo quasi cinque piedi era dentro Charlie. Mi sedetti sull'erba. I miei mal di testa e la fobia per la mia stessa natura, aveva trovato una spiegazione. Qualcosa si dibatteva in me da quand'ero piccolo, qualcosa voleva uscire ed io l'avevo ostacolata. Charlie stava a pancia in su a fissare le nuvole. "E' doloroso?" domandai. "Diciamo che non è privo di certe strane sensazioni. Il dolore si dimentica dopo la trasformazione. Ma la nuova forma disdegna quella umana e la sensazione di forza predomina su quella della fragilità." "Non capisco. Forse prima o poi mi sveglierò. Primo secolo del terzo millennio e la fantasia vive ancora in mezzo agli uomini." "Non è una maledizione. E' la nostra natura. Ma ho il dovere, come lo è stato per tutti noi, portarti dal vecchio Muss. In teoria sono i nostri padri a farlo, ma siccome il tuo non ha fatto in tempo, tocca a me, come tuo migliore amico, accompagnarti." "Niente miniera." "Per adesso hai avuto il suo assaggio di verità. adesso abbiamo bisogno di Muss." "Chi è Muss?" "Ed Muss è il più vecchio in assoluto di tutti noi. Ha quasi due secoli. Non vede più, è cieco ma il suo fiuto è più fine di quello di un novizio. I più forti in assoluto sono gli Attaccanti, te l'avevo spiegato ma durante gli anni gli altri come noi, perdono un po' delle loro forze. Invecchiamo come tutti. Muss ha capacità curative e non avendo eredi, dovrebbe trovare il prescelto cui tramandarle. Prima dell'Apprendistato, tutti noi passiamo da lui per essere valutati. Lui sa come diverremo, fiuta la nostra natura fino nel profondo, sa se siamo dei buoni o dei cattivi umani e lo dice senza nasconderci nulla. A ognuno di noi è predetto un compito, una sorta di libretto di viaggio che non siamo obbligati a consultare ma che diventa quasi un limite. Io un difensore, vuol dire che come attaccante valgo poco e se dovessi cercare di salvare la mia gente non sarei in grado di farlo." "Io non credo in sciocchezze come queste. Uno quando deve difendere, trova capacità che non ricorda, di essere sue. Non esiste limite alla forza umana. Voi davvero vi lasciate impressionare da un vecchio che ha finito il suo cammino e l'unica cosa che gli resta è l'invidia verso la vostra forza?" "Non parlare così. Muss è vecchio ma se potesse sacrificare la sua vita per una giusta causa, lo farebbe. Lui stesso dice che attende quello giusto che più di lui potrà liberare la gente dalle ombre delle montagne." "Charlie chi c'è sulle montagne?" "I mostri Matt. Delle creature orribili." Ero riuscito a spiegarmi le passeggiate sul tetto di Cristina e di Julie. Riuscivo a spiegarmi tutti i dolori e gli incubi avuti. Non mi spiegavo perché John aveva atteso tanto a dirmelo. Pensai a Julie. Julie era piccola quando uccisero la madre e si era trasformata da sola, da sola aveva dovuto accettare quella cosa che le abitava dentro. Nessuno l'aveva aiutata a capire prima e a scegliere poi. "E Julie?" "Cosa?" "Chi ha portato Julie da Muss?" "Nessuno. Le ragazze non vanno da Muss. Loro non possono. Il sangue disorienta il vecchio e quando sono nel loro periodo, lui non riesce più a fiutare nulla." "E' discriminazione." "Se la vuoi chiamare così. Ma loro lo fanno con noi l'Apprendistato. Sul terreno e in battaglia siamo tutti uguali." "E loro non diventano Attaccanti?" "In molte lo sono state. Non così forti come Lucinda Hunt. Ma Mina lo è anche se ha rinunciato. Nel paese deve esistere uno solo e quello è tuo nonno. Non nascono molti Attaccanti." "E se uno come te, tu sei un difensore vero, Charlie fece cenno di sì, volesse diventarlo?" "Tu non hai mai visto un Attaccante combattere? Io sono solo un gigantesco gattone che difende, ma ho armi d'astuzia e mi manca qualcosa nella forza che in me non c'è, ed è la voglia di uccidere. Tutti gli Attaccanti ce l'hanno." "Perché avete detto che io sono un Attaccante?" "Tu sei l'erede. Tu sei progetto per cui Lucinda ha perso la vita." "Nonostante tu pensi di non essere nessuno, hai delle forze che potrebbero salvarci. Non hai tempo per l'apprendistato perché la città già da anni è in pericolo. Ti aspettavamo. Saresti come un profeta analfabeta ma dotato. Adesso andiamo da Muss che ti spiega un po' di cose, puoi sempre contare su di me ma ci sono delle verità che devi sapere direttamente da lui." "Non lo chiamiamo?" "Muss non sa nemmeno cosa siano le auto, figurati i cellulari. Stai sicuro che fiuterà il nostro arrivo da due miglia, è uno della vecchia tribù, usa metodi antiquati ma molto più veloci ed efficaci dei nostri. Mi sono dimenticato di dirti. E' un uomo pieno di orrende ferite. Cerca di non impressionarti." Lo stomaco era suscettibile alle nuove emozioni e si contraeva a ogni novità che doveva sopportare, non avevo bisogno di altri sbalzi di tensione. Lasciammo la macchina in una piccola radura e da lì camminammo per un paio di minuti verso ovest. La casa di Muss era una baracca posta a dieci mezzi d'altezza tra due alberi. Non aveva finestre e la porta era un buco scuro con vecchie padelle penzolanti sui rami sopra come allarme. In vicinanza si sentiva il rumore di un fiume che scorreva allegramente tra le piante. Un nido, pensai, guardandolo. Un vecchio lupo che si fa il nido come un uccellino. Impossibile da credere ma la vista non mentiva. "Come ci si arriva sopra?" Charlie mi fece l'occhiolino e si arrampicò a mani nude. In tre secondi era già sul ramo grande. "Non penserai mica che mi arrampichi come te?" "Un pochino di competizione ti farebbe bene." "Scherzi? Non mi arrampico su un albero, fammi pensare, da mai?" "Hai ragione. Per questa volta ti mando il trattamento che Muss riserva alle signorine ma credo che per la prossima volta, pretenda da te una salita più dignitosa." "Voi salite in forma umana o?" "Se guardi bene il posto, capiresti che tre lupi giganteschi, starebbero un pochino, stretti là dentro, no?" "Brightman?" Una voce rauca uscì dalla tana come un ponte levatoio. "Kinney, signore." "Brightman!" Ero sul ramo con Charlie che attendevo di entrare nel buco oscuro da cui non filtrava alcuna luce." "Io non posso venire con te. Noi entriamo solo quando lui ci chiama." "Come fa a sapere il mio nome, l'hai avvertito?" "Lui conosce il tuo odore. E' come un'impronta digitale. Si ricorda quello dei tuoi genitori e persino dei tuoi bisnonni. Lui sa chi sei. Entra." Stavo entrando e il primo muro da superare fu il cattivo odore di pelo di cane bagnato. "Charlie hai ancora paura dell'acqua?" Il vecchio aveva una voce che sembrava prendesse a pugni le orecchie. "Sì, signore." "Entra anche tu." La mano di Charlie mi spinse avanti e l'unica cosa che vidi furono i suoi occhi rossi, lucidi, ipnotici, forti, gli stessi occhi che vidi nel bosco. "Vieni più avanti." Charlie stette fermo e mi spinse ancora più in profondità. In un angolo, con le gambe magre incocciate ed era nudo, sebbene fosse inverno, non aveva un fuoco con cui scaldarsi, nemmeno una pelliccia d'animale, solo delle vecchie camicie appese a una sbarra di legno, stava un uomo anziano con i capelli bianchi fin sotto le caviglie e con un buco immenso su metà torace, una fenditura mal cicatrizzato che mostrava mezze costole e tessuti lividi. Il suo viso era solcato da canyon di vecchie ferite e sembrava un giardino deteriorato dall'inverno con solo due gemme ancora vive, i suoi occhi. Camminavo cercando di non sbattere il capo. La sbarra fabbricata da un ramo di legno che reggeva l'intero tetto della baracca, sfregava e poi una botta, un orologio d'oro infilato come un anello, una specie di offerta sacrificale alla piuma bianca che teneva legata sul bracciale. Mi ero tagliato. C'era un filo di luce che illuminava la ghiera e riuscì a vedere che era un Rolex e persino uno tra i più costosi al mondo. Interessante altare sacrificale. C'era di tutto nella baracca, s'intravedevano vestiti piegati e coperte lavorate a mano, piatti d'argilla ed elmetti dell'esercito. Ero nella tana di un rigattiere?
L'odore di animale era pungente e insopportabile. Lui mi capì perché sorrise e tolse le mani da una pipa spenta che raffigurava qualcosa come un lupo aggrovigliato a un ramo. "Sedetevi!" la sua voce arrivò a noi più come un ordine che come un invito. Charlie si sedette dietro di me a gambe incrociate, mentre io cercavo una fessura d'aria da cui respirare e un posto, dove non farmi male se mi fossi seduto. "Ti sei deciso o no?" "Potrei stare vicino alla finestra o porta? Ho dei problemi allo stomaco e non riesco a respirare bene." Rise e Charlie rise. "Ti è mai capitato di vomitare in questi ultimi tempi?" "Sì." gli risposi cercando di fingere di tossire pur di coprirmi il naso. "Non ti sei mai domandato da dove provenisse quella puzza di cane sporco, di animale bagnato?" "Sì ma ho pensato che fossi sensibile a tutti i cani dei vicini. Cani, gatti ..." "Ho difficoltà con i posti chiusi. Posso uscire?" "Credo proprio di sì se riesci a saltare giù." "Ma c'è la scala." "No. Non c'è la scala. L'ho tirata su, ho paura dei predatori." Charlie a stento conteneva le risate. "Allora, salti o no?" "No. meglio aspettare." "Sei saggio e non stupido, come molti ragazzi di città che fanno le bravate prima di pensarle. Comunque hai presente il puzzo di animale?" Eccome no, avrei voluto rispondergli, viene dalla tua tana e tu pure, odori a cane. "Eri tu. Il tuo odore di adolescente, quello che fatichi ad accettare ti parla di quello che realmente sei. Sei un uomo e non hai ancora liberato la tua natura. Non hai mai fatto nulla per assecondarla e sei come una bolla di pus che prima o poi esploderà." "Io sono solo questo. Un uomo. Non sono un lupo, non sono una bestia e non voglio nemmeno pensare di diventarlo un giorno. Mi basta essere io." "Non ti sei mai domandato come mai i tuoi sogni fossero sempre uguali e cercassero di dirti qualcosa, qualcosa che non ti piaceva ma qualcosa che ti riguardava intimamente? Una volta un filosofo disse che i sogni sono la nostra più intima voce e vanno ascoltati altrimenti viviamo male. Tu fin'ora hai vissuto male Matthew Brightman e non è vero che sei solo un ragazzo. Se fosse stato così, saresti già scappato a prendere il tuo furgone e saresti tornato alla casa di città dove pensi di sentirti più sereno." "Come fai a sapere?" "Io so tutto e tu dovresti essere capace a leggere quello che penso di te, mi stanca parlare." "Io non so fare magie e non sono in grado di saltare da un albero di dieci metri." "Staremo, a vedere, ragazzo, staremo a vedere!" Mi sedetti vicino a lui, obbligato a sopportare non solo il suo odore di vecchio, ma anche quello di quel posto che non sentiva l'aria fresca da millenni, probabilmente. Lui si accese la pipa e poi lavò gli occhi con l'acqua di una bottiglia. Sembrava la scena ripresa da un film. Pensavo fosse tutto uno scherzo e gli attori si sarebbero girati verso di me per scoppiare in una grassa risata ma la cosa andava avanti senza interruzione. L'uomo chiuse gli occhi e iniziò a mormorare frasi in una lingua indecifrabile e mentre canticchiava raucamente la sua canzoncina stonata, appoggiò la pipa a terra per afferrare un grosso bastone con un teschio di animale a uno dei capi. Era il cranio di un lupo con dei denti enormi e lunghi quasi quanto il bastone. Notai che anche le sue unghie erano abbastanza lunghe da sembrare due lame appuntite e nere. Mentre canticchiava, ripeteva il mio nome e sarebbe stato sufficiente per sembrare ridicolo non fosse che per rincarare la dose, spinse il bastone sul legno del fragile tetto che si aprì come si apre una fragile botola di legni e paglia intrecciate. La neve scendeva copiosa sulle nostre teste. Alla luce del giorno, la sua figura era ancora più deturpata sebbene fosse un uomo molto alto e dalla muscolatura evidente. Solo i capelli lo coprivano e non era nemmeno imbarazzato di mostrarsi completamente nudo. Il freddo e l'umidità cominciarono a farsi sentire ma lui ascoltava solo il suono della sua voce che mi chiamava e qualcosa dentro di me sembrava slegarsi, staccarsi dalla carne. Avevo i sintomi di un attacco di appendicite. Sentivo ampie fitte all'inguine, come delle lame che sezionavano i muscoli per penetrare in profondità, avevo il tremolio e un inesprimibile dolore. Lui continuava a cantare. Teneva gli occhi chiusi mentre il buco nel petto, quando questo si riempiva d'aria, si dilatava sembrando mostruoso. Immaginavo aperta quella ferita mortale, doveva aver sofferto tantissimo eppure era sopravvissuto. Aveva avuto del coraggio. "Adesso spogliatevi!" non era una richiesta ma un ordine. Girai il capo verso Charlie, ero interdetto ma lui annuì. Potevo scendere e andarmene. Potevo gridare a entrambi che erano pazzi, ma la cosa che avevo dentro sembrava voler uscire a tutti i costi e stavo troppo male per negarmi ai comandi dello stregone. "Tutto!" mi disse il vecchio. Mi rannicchiai e tolsi gli slip. Era una sensazione spiacevole ma liberatoria. Pensavo di morire di freddo ma senza vestiti e sotto la neve, il mio corpo sentiva una certa pace interiore che attenuava il dolore. Probabilmente sarebbe stato più dignitoso andarsene e senza nemmeno voltarsi. Chi va con i matti ... ed io rischiavo di diventare parte della loro perversione. Che cosa avrei dovuto fare se non assecondare la follia nella speranza che lo stregone fosse riuscito a curarmi dal male oscuro? "Charlie tienigli la testa e ripeti con me." Sentivo la pressione dei palmi di Charlie tra le mie tempie. Cantavano insieme una nenia stupida quando tediosa e di tanto in tanto sentivo ripete il mio nome. "Ma quali Dei dovrebbero aiutarmi?" domandai a bassa voce a Charlie che era troppo concentrato perché infrangesse gli ordini del Maestro. Il vecchio si alzò e la sua natura sembrava cambiata. Aveva del pelo scuro sul corpo che nascondeva in parte la sua umanità. Gli occhi erano quasi umani ma il taglio delle orbite sembrava animalesco. In posizione eretta e nonostante l'età era un essere pauroso. "Nessun Dio verrà qua. Con noi ci sarà solo lo spirito del Grande Lupo. Questo serve solo a infastidirti. Noi nasciamo e moriamo da soli, con la convinzione di una fede nel buono ma siamo noi a decidere chi essere e quando. Tu adesso imparerai chi sei. Tu sei lento e chi vive in te, è veloce. Dovrai diventare. Sarà dolorosissimo figliolo e non c'è anestesia. Il dolore aumenterà perché ti è stato difficile accettarti. Solitamente la prima trasformazione avviene quando si è più piccoli e per gradi. Negandoti tutto il tuo secondo essere, ti sei negato un parto che sarebbe comunque avvenuto ma con spasmi diversi. Chiederai di morire e cercherai di farti di male purché il dolore smetta, ma tu non lo farai perché tu non hai paura della morte. Ora Charlie! Oraa!" E Charlie strinse di colpo il mio cranio che credei si spezzasse. Il vecchio iniziò a urlare il mio nome e Charlie si unì a lui; l'urlo divenne un fischio fastidioso e poi un ululato terribile. In lontananza altri animali si unirono a loro e secondo me il paese intero perché era un suono irreale. Il mio corpo divenne un'entità indipendente dalla mia volontà. Avevo la sensazione che il torace mi si spaccasse e il cuore batteva così forte da impedirmi di respirare. Gridai. Supplicai di fermarsi. Strappai le mani di Charlie dalla mia testa ma le mie mani erano lunghe fino all'inverosimile. Il dolore era l'unica cosa che ancora sentivo viva in me. Avrei voluto che mi sparassero che mi finissero in quel momento pur di far cessare quella lama che mi tagliava. L'uomo davanti ai miei occhi continuava a recitare qualcosa che solo lui comprendeva. Il suo corpo era sfasato, informe . Cercavo di captare la sua figura perché non avevo altre forze da dedicarmi se non per sedare il male che stava urlando in me. Lo stregone divenne sotto i miei occhi un grosso, enorme, lupo grigio e Charlie doveva essersi trasformato a sua volta perché sentivo il suo pelo sulle mie spalle. La neve scendeva come grossi palmi ghiacciati ed io non la sentivo più. Ero insensibile al freddo, all'aria e credo di aver smesso di respirare quando nella bocca mi spuntò un dente che mi trafisse la mascella. Col sangue in gola, urlai a mia volta e iniziai a contorcermi in posizioni assurde mentre le mie ossa crescevano strappandomi la vita dal cervello. Qualunque mostruosità volesse nascere, io la stavo ostacolando. "Libera la tua natura Matt e starai meglio! Liberati e smetterai di soffrire. Lui sei tu e tu sei lui. Non temerlo. Non mandarlo via. Non negargli la luce. Ti ferirà finché tu lo ferirai. Liberati dai fantasmi Matt! Liberati dalla paura! Ascoltalo. Diventa. Ascolta la sua voce, lui non è il tuo nemico. Lui ha bisogno che tu lo ascolti. Diventa Matt!" La sua voce era chiara e sembrava avere eco tra quella natura che ostentava altezze mirabili. Una cosa inspiegabile successe. Un vento tiepido, una presenza forte ma indescrivibile arrivò tra noi. Muss recitava i canti con voce melodiosa e Charlie all'unisono. "Diventa Matt! Diventa Matt, diventa Matt!" Il mio corpo era alla presenza di uno spirito superiore. Ciò che mi osservava non aveva occhi ma m'indagava, mi pesava e mi sosteneva mentre cambiavo. L'intera pelle del mio corpo si spaccò. Dapprima delle piccole fessure sulle braccia, poi vidi i palmi, sentì qualcosa scindersi dal collo, dalla colonna vertebrale e dalla fronte. Vidi il mio metacarpo con la carne e i tendini tirati. I piedi bruciavano e dal calcagno spuntò una parte ossea ancora più lunga. Le costole si aprirono per crescere probabilmente e qualcosa coprì il cuore come una corteccia che prima d'innestarsi ti ustiona poi ti libera. Sentì la testa cadermi per poi ricrescermi sopra la cervicale con un collo ancora più lungo. Con un unico grande respiro, mi riempì per la prima volta il torace. Era impensabile il male a quella condizione innaturale e disumana. Mi evolvevo in uno scherzo della natura che qualcuno avrebbe dovuto fermare. Mi lanciai dalla tana nel vuoto, come un ultimo atto contro il dolore. La morte l'avrebbe attutito e il supplizio avrebbe smesso di uccidermi. Saltare nel nulla fu un atto spontaneo, un salto altissimo e non ricordo nemmeno l'atterraggio perché andai a sbattere contro un albero alto quanto una casa che cadde giù, spezzato in due. Fissai il suo tronco e vidi che aveva il diametro d'una ruota da camion. Io avevo spaccato in due un albero. Mi sentivo innaturale. Sbattevo come una pallina da flipper contro la natura circostante, alberi, rocce, cespugli spinati, qualunque cosa capace di togliermi la vecchia pelle che bruciava sopra la nuova. Mi grattavo contro le pietre come un orso e gemevo in una lingua imbestialita dalla trasformazione. Avevo un'erezione mostruosa e sentivo i testicoli stringersi per dare sangue al sesso. Ogni parte di me era impazzita. Qualunque cellula del mio corpo, percepiva la natura, il vento e lo scorrere del fiume. Il mio lato animale sentiva lo spostamento dei pesci nel piccolo lago e gli odori delle cucine. Saltavo dalle rocce sopra le punte degli abeti che piegavo sotto il mio peso e poi rincorrevo le lepri timorose di farsi catturare da un mostro. Qualunque cosa meno grande di me era un mezzo per diventare ancora più forte. Feci una strage intorno finché esausto, stramazzai, ma i due lupi che seguirono le mie bravate mi si lanciarono contro. Saltarono sopra il mio corpo mentre mi dibattevo sulla neve e ringhiavo o urlavo, fissando le mie mani che erano già dei satelliti artificiali dotati di artigli spaventosi. La mia coscienza umana non mi aveva abbandonato mentre l'altro essere in me era già fuori. L'ultimo grande spasmo che avvertì mi spinse ad aprire la bocca e fu allora che sentì la mia vera voce. Un ululato agghiacciante che attraverso tutta la natura e che ricevette risposta non solo dai miei simili ma anche dagli alieni. Lo stregone ritornò umano e i suoi occhi rossi divennero due blandi punti di luce. Io respiravo a fatica mentre me ne stavo buono a terra, anche se avrei voluto azzannare i tronchi degli alberi per il prurito che sentivo in bocca e per l'intorpidimento delle zampe. "Ancora un poco figliolo. Ancora un poco. Sei stato molto coraggioso. Bisogna morire per poi rinascere e poiché non hai mai avuto paura della morte, accettando la tua mortalità, potrai ora compiere la grande trasformazione perché sarà la tua salvezza e la cura a ogni vecchio dolore." "Non voglio." dissi con una voce afona ma non più mia. "Toglimi questo odore di dosso. Puzzo a bestia e a feci d'animale. Io sto bene come sono e posso migliorare, se m'imp ..." ma un suono tremendo mi arrivò dallo stomaco. Un essere mi si ribellava contro. "Tu sei! Esisti. La tua natura è sana e vigorosa. Tu puoi aiutare i deboli e avere lo scopo nella vita che hai sempre cercato. Ma devi imparare a perdere per goderti la vittoria. Certe battaglie vanno perse. Tu non puoi continuare a essere il nemico di te stesso! Devi smettere di soffrire. Lasciati andare e accetta. Accetta quello che sei, quello che la natura ti ha donato. Accetta la tua forza. Lascia che si compia la trasformazione e diventa!" Fu la sua ultima parola perché tornò lupo e indicò a Charlie cosa fare. Charlie fece un salto contro uno degli alberi che non avevo buttato giù e poi, si scaraventò con tutto il peso sopra il mio corpo. Sentì le sue zanne nella carne ed io ringhiai ferito dentro e fuori. Cercai di togliermelo di dosso, mi girai un paio di volte e col peso delle zampe anteriori lo lanciai verso le rocce. Charlie mi corse incontro ringhiando, mi stava attaccando nuovamente e lo avrebbe fatto se l'altro lupo non mi fosse saltato sulle spalle tirandomi un'artigliata sulla schiena. Ululai ancora per il dolore e sarei scappato se le due bestie non vi avessero circondato. Correvano entrambe in cerchio osservandomi. Non credevo che volessero uccidermi finché entrambe mi saltarono addosso, una cercando di mordermi sotto il collo e l'altra nuovamente la schiena. L'odore di cane bagnato era forte ed era il mio. Il mio sangue mescolato all'odore della bestia si sentiva forte come un messaggio scritto che avrei dovuto leggere, imparare e capire. Mi stavano ferendo con i loro artigli e con le zanne ma alzai il capo e vidi per la prima volta la neve appoggiarsi al mio muso. Era così delicata, così fragile così lontana dalla mia natura. I lupi non credo che possano sorridere mi alzai sulle zampe anteriori e vidi che ero molto più alto di loro. Le mie zampe erano due remi di carne e ossa dotate di unghioni smisurati e acuminati. Era un'arma perfetta. Per la prima volta i miei simili mi sembrarono delle piccole e noiose cose ostili. Il nemico non ero io e dicendo questo iniziai a correre alla velocità della luce. Loro mi vennero dietro, anche se non riuscivano a raggiungermi. Avrei corso per sempre. Penso di aver attraversato un grande pezzo di montagna e di aver saltato due volte il fiume. Non riuscivo più a fermarmi. Il dolore era quasi svanito e la sensazione di libertà produceva ulteriore adrenalina che bruciavo, correndo. Correvamo verso il tramonto e guardando indietro vidi che non eravamo più in tre ma in sei e dopo un po' di tempo diventammo una ventina. Prima che mi fermassi quasi l'intero paese, era con me. Tutti noi potevamo essere quasi due cento giganteschi lupi piazzati sul pendio di un monte e nascosti dai tronchi senz'età della natura. Stavo per saltare quando scivolai e sentì l'acqua ghiacciata scorrermi sopra gli occhi ed entrarmi nelle narici e nella bocca. Poi divenne tutto buio. Il silenzio occupò posto al sogno e la sensazione di bruciore si sostituì al dolore. Mentre affondavo, sentivo la canzoncina senza senso dello stregone e mille voci simili alla sua, ripeterla come se il mondo dovesse avere appreso qualcosa d'importante della vita e della morte di un uomo. Sentì qualcosa trascinarmi nell'acqua. Era un corpo pesante ma battagliero, che toccato il fondo ritornò a galla, liberando dal liquido in eccesso i polmoni. Il resto rimase nel mio sogno, dove non ero più un lupo ma un ragazzo che aveva corso ostinatamente per la foresta.
Quando aprì gli occhi, tremavo. Sentivo freddo fino alle estremità e non ero in grado di fermare il sussulto degli arti. Ero a casa, sotto quattro grosse coperte a fiori ma la finestra era sempre aperta sui rami dell'abete pieno di neve. L'aria fredda mi entrava nel petto e provavo un grosso sollievo. Il fuoco che sentivo nelle budella, in testa e persino dentro le mani, mi martoriava. La sua presenza era debole ma continua a togliermi le forze. Nella camera non ero solo. Cristina e Clarence stavano appoggiati alla porta del bagno e parlavano sommessamente con il dott. Bollinger. Di schiena e seduta nella poltrona c'era la Berry che si era appisolata. Una legione di persone mi stava tenendo d'occhio, come se fossi davvero importante. Girai il capo verso la luce che filtrava dai rami verdi intasati da bianchi blocchi ghiacciati. Sotto i rami dell'abete e riuscivo a distinguerli abbastanza bene e in forma umana c'erano: Mina, Ben, Roshua e Charlie. Tutti mi stavano vicini incuriositi, ma allo stesso tempo sull'attenti. Ero forse sul punto di morte? Charlie portò la mano alla fronte in segno di saluto. "Capitano, mio capitano ... Bell'amico che sei!" gli dissi agonizzante ma ancora vivo. Charlie saltò sul davanzale. "Non potevo non farlo. Saresti morto. Nessuno di noi riesce a contenere il lupo per tutta la vita senza accettare la trasformazione. Sei stato straordinario. Nessuno di noi l'aveva mai fatto così tardi. Non sei solo, amico, io sono qui con te, ci siamo tutti." "Mi devi una birra." "E tu una corsa." "Ho già smesso. Non mi piace correre a quattro zampe, ma possiamo fare una nuotata." Charlie smise di sorridere. Vidi lanciare un'occhiata a Mina che ascoltava divertita le nostre parole. "Magari un'altra volta." e saltò indietro sul ramo. Non dovevo offenderlo davanti alla sua ragazza. Dal capo opposto del letto, spuntava un cumulo scuro di fili dorati con nodi e la riconobbi, era Julie. Ogni tanto e timidamente, appoggiava il mento alle coperte, mi fissava e poi si nascondeva nuovamente. Era bella e mi vergognavo che mi vedesse in quello stato ma a lei non importava. La luce dei suoi occhi entrava nel cuore, lo arpionava e poi se lo portava nel suo mondo magico e silente che non avrebbe mai condiviso con nessuno. Feci un cenno con il capo per salutarla ma il mio atto invece che coraggioso si dissolse in un lamento di dolore. "Tutto bene?" Bollinger si era avvicinato per auscultarmi. A cosa serviva auscultare l'uomo se dentro, il cuore del lupo era due volte più grande e più veloce?" Improvvisamente avevo capito a cosa servissero le pillole che mio padre mi dava. Servivano a ritardare il cambiamento, a togliermi il dolore della crescita e a inibire l'altro in me a uscire. Ero combattuto dalla domanda perché John non mi aveva detto nulla? Perché tenermi nascosta la mia natura? Perché trattarmi da malato quando il nostro sangue era più forte di quello umano e perché mia madre era morta? "E' sveglio!" La mano di Cristina mi sfiorava la fronte e Berry venne a sua volta a auscultarmi, ma non era cambiato nulla negli ultimi dieci minuti, non servivano tutti i medici del paese per capirlo. "Uscite tutti!" chiese Berry e loro che uscirono attenti a non provocare rumore. Clarence mi sorrise e persino il dott. Bollinger fece un cenno con l'occhio, cosa che mi fece cambiare idea ed io che credevo fosse un detestabile presuntuoso e perfezionista. Si alzò anche Julie che non parlava ma che aveva raccolto i capelli dietro la nuca lasciando che parlassero i suoi occhi. Quante parole mute. Quante domande senza risposte. Quante cose lasciate in sospeso da quei silenzi tra noi. Non mi stancavo di guardarla e lei di fissarmi. Avevo i brividi ma non di freddo, anche i miei occhi risposero al fantasma dei miei sogni che alla fine noi avremo parlato. La dottoressa Berry che era una donna di mondo, si accorse del nostro sguardo e cercai di guardare altrove mentre Julie usciva dalla camera. Lei camminava in maniera impercettibile. Era leggera come i fiocchi di neve e sentivo il suo odore di sapone alle rose selvatiche fin dentro lo stomaco che si contorceva per qualcosa d'irraggiungibile. Julie, l'indifesa e fragile Julie, figura enigmatica e strana aveva lasciato libera dai maglioni la sua vena del cuore che le pulsava nel collo bianco e avrei voluto incollarmi con tutto il viso per ascoltarla. Mi sentivo come un ubriaco che per la prima volta da sobrio osservava la sua droga. Ero un pazzo e la dottoressa Berry fingeva discretamente di non aver visto l'energia tra me e la piccola selvaggia. "Allora eccoti!" e mi tolse le coperte di dosso. Mi vergognai e le tenni strette sotto il mento. "Tutti noi siamo come te e tutti noi eravamo con te a correre lungo il fiume. Lascia che guardi le tue ferite." Tolsi le coperte e lei prese un unguento dalla sua borsa. Puzzava a urina di gatto e a cacca di maiale. Ne stese un leggero quantitativo sulla pelle che smise di bruciare, anche se l'odore era davvero tremendo. Mi fece girare per guardarmi le ferite sulla schiena. "Poca roba. Sono tutte chiuse. Un giorno a letto e un paio di bistecche al sangue. Sarai in forma come prima." Stava per uscire e la fermai. "Perché?" "Perché nessun altro potrebbe salvarci. Nessuno." "Ma io non volevo questo." "Saresti morto se non ti avessimo aiutato. E' la tua natura. Devi imparare ad assecondarla ma non ti possiamo obbligare a usarla." "Ma fino adesso siete sopravvissuti senza di me." "Clarence è vecchio e nessuno è forte abbastanza per sostituirlo. Ci abbiamo già provato e sono morti parecchi." "Non voglio stare a letto." La donna sorrise. "Siamo fortunati." "Non con me." "La fede è un'arma indistruttibile e tu la incarni. Le tue ferite erano mortali, se loro non ti avessero, combatutto, e tu non ti fossi trasformato, tu, caro Matthew saresti potuto morire, la scelta è stata tua ed è stata una scelta saggia." Berry era uscita ma erano entrati Charlie, Mina, Ben, Roshua e persino Duzzer. "Che ci fa lui qui?" Charlie prese le sue parti. "Ha capito di aver sbagliato. La sua rivalità con Ben è finita e la sua rabbia per l'assassino di Rob, la conserva per il vero killer. E' qui perché anche lui è venuto al tuo apprendistato." Duzzer alto e bozzo tese la sua mano in segno di pace. Accettai e per poco non mi spezzava le ossa del carpo tanto era forte la sua stretta. "Sei un bell'esemplare di pazzo che distrugge tutto intorno, fratello!" disse Dean mentre gli altri ridevano. Mina mi abbracciò, sotto lo sguardo corrucciato e geloso di Charlie, mentre Ben e Roshua mi presentarono una bottiglia del sidro di Lottie, sulla bottiglia c'era un'etichetta "edizione limitata". "Per quando farai le ore piccole ..." e mi fecero l'occhietto. Avevo ritrovato l'andatura umana ma non era così facile come credei. Camminavo come un neonato che si era allenato da poco tempo per stare in equilibrio. Qualcuno tentò di sorreggermi ma il mio braccio lo allontano con una certa ansia. "Ce la posso fare, non sono un malato! Le gambe sono intere come potete costatare care Signore e Signori. Conservai le coperte e il loro peso, sulle spalle. Mi sentivo uno zombie antropomorfo nella sua migliore espressione della giornata." Scendemmo e trovai un sacco di gente in casa a festeggiare e a bere. Persone sconosciute mi stringevano la mano o mi chiedevano se potevo passare da loro a parlare di questo o di quello. Clarence era il più contento di tutti e mi fu di grande conforto capire che la sua preoccupazione era sincera come sincero era il sollievo che stava provando. Nella sala però non vidi Julie e con la scusa di andare in cucina a prendere altro mangiare, andai in camera sua. Lei stava seduta sul davanzale della finestra e dondolava i piedi. Le sue mani erano guarite e teneva i capelli ancora legati in una lunga coda. "Ti disturbo?" lei non aveva girato la testa ma ascoltava. "Scusami per tutte le cose che posso aver detto. Io non ho mai dovuto giustificare il mio comportamento e ferirti mi ha fatto sentire male. Io non capisco cosa o perché tu mi attiri come una fontana di miele attira l'orso, ma hai tutto il diritto a odiarmi, sono stato odioso e mi merito qualunque schiaffo morale tu voglia darmi." "Mi piace la neve." "Co ... cosa hai detto?" "La neve mi fa sentire bene." "Anche a me piace la neve quando cade. Sembrano dei gioielli che scintillano notte e giorno per incantarci con promesse lontane. "Mi fa passare il bruciore dentro e i dolori." "Ho avuto la stessa sensazione." "Ho paura." Andai alla finestra e le misi le mani sulle spalle. "Non dovrai più averne. Ci sono io adesso." Lei scivolò dal mio abbraccio e scomparve tra i rami dell'albero. "Julie?" "E' andata via." rispose Charlie che aveva sentito tutto dalla porta socchiusa. "Mi ha parlato." "E' la più veloce tra noi e credo sia innamorata di te." "Forse lo sono anch'io." "Benvenuto nella tribù dei folli, dei pazzi e degli apprendisti." "Credi che abbia paura di me?" "Dovresti essere tu ad avere paura di lei." "Perché?" e guardai fuori dalla finestra sperando di incontrare nuovamente i suoi occhi. "Perché lei è il nostro nemico, indirettamente." "Cosa?" "Charlie esci." fu il commando di Ed Muss che si era presentato in una veste del tutto straordinaria. I suoi capelli erano legati in due lunghe trecce e indossava un abito scuro con una cravatta indiana. "Ciao ragazzo." "Salve." "Scusami se ti abbiamo ferito." "Ho colto il motivo." "Ti devo spiegare una cosa veloce e non vorrei farlo davanti ai tuoi amici. Hai tempo? Ma se ti disturbo ripasso." "Ho tutto il tempo del mondo." e mi girai per guardarlo in faccia. I suoi occhi divennero lucidi ma non rossi. "Eravamo un unico popolo sebbene divisi nello spirito. Il popolo della Luna scelse di vivere col suo spirito mentre il popolo della Pianura preferì affrontarlo dopo la morte. Gli indiani ci chiamano semplicemente gli uomini luna, sanno che non siamo malvagi mentre noi abbiamo sempre avuto grande rispetto per i nostri fratelli che durante la secessione ci supplicarono di aiutarli nella guerra contro l'uomo bianco. Comunque la nostra natura è sana e non dispotica o incontrollabile. Ma ha bisogno di manifestarsi perché noi si possa vivere bene e in armonia con il nostro essere. Tuo padre se ti ha nascosto la verità ha avuto di certo un buon motivo che a suo tempo ti spiegherà. E sono venuto anche a dirti che il tuo Apprendistato non è finito. Non hai il tempo che loro tutti hanno avuto per trasformarsi, per imparare a guidare il dolore e per crescere con la loro necessità di essere diversi. Per un motivo che poi ti diremo, dovrai fare solo l'ultima prova per la quale non sei preparato. Charlie e tutti l'hanno superata a metà perché noi sia da umani sia da lupi, siamo imperfetti." "Io farò tutto quello che vorrete che faccia ma a una sola condizione." Ed mi fisso profondamente cercando di capire a cosa mi riferissi. credo mi stesse leggendo nel pensiero e ci era riuscito. "Devi insegnarle subito. Lei non ha il tempo che hanno gli altri e non hai genitori che possano sostenerla. Tu devi aiutarla a non soffrire più. Non se lo merita." "E in cambio?" "Farò la vostra prova." "Farai la prova e tutto quello che servirà a renderti invulnerabile." "Perché ci tenete così tanto a me?" "Perché sei la nostra ultima risorsa." "Non ci sono altri ragazzi, uomini capaci tra voi? Io non voglio cambiare né forma né pelle né carattere, mi sto bene così. Cercatevi uno pronto e lusingato a servirvi." "Non hanno il tempo necessario per diventare forti. Non abbiamo più tempo. Stiamo morendo in molti e rischiamo di non potere salvare nemmeno i piccoli." "Volete davvero che io sia il vostro capo in qualche folle piano di battaglia? Io non sono capace nemmeno reggermi in piedi da uomo figurarsi combattere da lupo. Potrei aiutarvi in altro modo?" "Imparerai." "In due giorni. La gente qui impara da quando è nata ad accettarsi a migliorarsi a trasformarsi. Io non certo di essere speciale perché non mi mandate da mio padre e vi arrangiate con altri sicuramente migliori di me. Voglio cercare la mia strada lontano da questo posto." "Ti insegneremo." "E Julie?" "Julie è la tua cantante. E' la tua metà. Lei ti era destinata ed è per questo motivo che la madre l'ha salvata con la sua vita. Il tuo futuro con questo popolo è legato a lei. Ma non ti sarà facile capirla. Julie si allenerà con te e tu dovrai starle dietro perché è un'Attaccante a sua volta e sebbene non accettiamo due capi, lei ha un dono che nessuno tra noi ha, prevede il futuro." "E come fa a sopportarmi se sa che potrebbe essere la mia? I bambini non dovrebbero soffrire per delle regole così stupide. L'avete abbandonata a se stessa e vi aspettate che possa imparare da sola a gestirsi? La gente deve smettere di credere che noi possiamo essere forti a priori e in ogni circostanza. La forza deriva dalla fiducia. Non si seguono delle regole se queste non servono a rendervi uniti. Non sarà l'uno a potervi difendere. Julie, dovreste liberarla dallo stato in cui si trova, è prigioniera di un corpo che sta mutando e lei non lo vuole. Io non sarò il possibile marito di nessuno." "Direi che c'è stato un colpo di fulmine tra voi due, si dice così no? Oppure hai interessi verso?" "Voglio solo che non soffra più e non ho altri interessi. Sono un uomo che sceglierà da solo e senza testimoni la via da prendere nella vita. Julie è una ragazza che merita una vita senza dolore aggiunto." "Per lei è impossibile." "Perché?" "Perché suo fratello è il mostro che guida i ribelli e che ha ucciso sua madre davanti a lei e ha fatto altre cose che è persino impossibile descrivere." Quando si dice che le cose avevano un loro senso. A quale terribile scena dovette assistere Julie, lei dovrebbe aver gridato in cerca di aiuto mentre il fratello sbranava la madre e la faceva a pezzi che poi lanciava nella casa. Mi domando cosa poteva passare per la testa al fratello, quando ha fatto assistere la sorella al suo folle atto. Certe volte, mi verrebbe da pensare che l'umanità sia sull'orlo dell'estinzione solo per propria colpa. Chi ci salverà dai mostri che si fregiano di onnipotenza? Quale colpa doveva nascondere una povera donna? Dov'era il padre di Julie in quel momento? Tante domande come cavalieri muti sarebbero rimasti in parata solo per riempirmi la mente di altre ombre. Ed Muss sembrava un uomo che voleva vivere lontano dalla comunità ma restava legato alle sue tradizioni. Forse nemmeno lui, col suo talento sovrannaturale era in grado a sistemare certi errori e nemici che incombevano sulla città. Ero arrivato a Berry per iniziare una nuova vita e già speravo di potermene andare prima che uccidessi con una follia che sembrava contagiosa. I sordi di Berry erano telepatici e non necessitavano spinte innaturali a comprendere gli eventi drastici cui andava incontro l'umanità e non solo il popolo della Luna. Ed fece una pausa che forse gli servì a ricordare. "L'ha divorata, Matt. Lucinda è stata divorata davanti a sua figlia che ha provato a trasformarsi e durante la trasformazione qualcosa è andato storto oppure il fratello l'ha ferita perché quando l'abbiamo trovata, era più morta che viva." "Perché non l'hai aiutata?" "Perché lei non accettava nessuno. Noi non possiamo obbligarvi a trasformarvi, vi possiamo spingere, aiutare e una ragazza così forte non accetta pietà da nessuno. E' molto combattiva e non cede alle regole." "Se cederà, tu l'aiuterai, personalmente." "Accordo fatto. A mezzanotte Charlie ti porterà alla Bocca del Diavolo, mentre tu verrai con Julie." Volevo ringraziarlo ma era svanito. Quella gente mi dava sui nervi. Era troppo veloce. La festa divenne un barbecue con tanto di band country e birra dalle migliori provviste dell'esercito. Julie era ricomparsa insanguinante. Era seduta sotto un albero e nessuno si era accorto di quanto fosse sola. Si teneva un braccio vicino al petto e tremava e aveva le piante dei piedi ferite. Doveva aver corso nei boschi perche nei capelli c'erano persino piccoli rami strappati, era fuggita da qualcosa o qualcuno la stava inseguendo. La neve sotto di lei era rossa. Le portai un bicchiere di brodo caldo e una fetta di torta ma appena mi avvicinai vidi che il suo braccio era, informe e non si era completamente trasformato. Doveva avere dei dolori terribili. Stavo per tornare indietro e chiedere aiuto ma lei mi fermò. "No." "Almeno Muss." "Carne." "Cosa?" "Ho fame." disse lei con gli occhi lucidi di pianto. Tornai in mezzo al popolo della Luna e molti ancora stavano arrivando, per fortuna non avevo le luci puntate, così riuscivo a muovermi liberamente. Qualche fine fiocco di neve cadeva ma era rado e non disturbava nessuno. Il freddo era sopportabile e qualche fuoco era stato accesso in diversi punti del giardino. Presi la più grossa fetta di carne dalla piastra e un coltello. Non c'era tempo per andare in casa e rubai la prima giacca che qualcuno aveva appoggiato sopra una delle panche che Clarence aveva fatto portare fuori. Dopo il gran momento, la gente non mi dava peso e riuscivo a muovermi senza altre interferenze. Mina mi osservava imbronciata da un angolo della casa ma con lei c'era Charlie che continuava parlarle. Coprì la ragazza. I suoi piedi erano pieni di vesciche e aveva lividi ovunque. Julie mangiava come se non toccasse cibo da giorni, da mesi. Le sue piccole mani tenevano la bistecca che gocciolava grasso e sangue, ma lei non si dava pena, mordeva dal pezzo di carne con gusto e la masticava come se trattenesse per se un piccolo segreto piacere. Mentre mangiava o forse per la fame, i suoi occhi cambiarono colore e divennero verdi come la foresta. Dentro l'iride avevano mille stelle e ognuna con un mistero da raccontare. "Non voglio venire con te da Ed." "Muss ti potrà aiutare." "M'insegnerà a uccidere come lui." "Lui chi, Julie?" "Tu sai." "Perché hai paura." "Perché tu sei il mio punto debole e non posso fare a meno di starti intorno. Sto bene con te." "Anch'io." "Tu ed io?" "Non importa il futuro, non ci pensare. Se credi di aver immaginato qualcosa di bello va bene se è qualcosa di brutto, pensa a oggi, ad adesso e vedrai che la paura svanirà." "Che fai ti sei messo a curare la gente? Non ti basta più ammazzarla senza motivo?" Alice Berry fece la sua comparsa. "I vigliacchi e gli assassini si celebrano a vicenda mentre sottoterra il mio povero Rob, ascolta solo i vermi. Mi fatte tutti schifo. Hanno ragione su di voi, siete retrogradi e lenti. Il Ribelle troverà tutti i nostri punti deboli e ci ucciderà, come ha già ucciso. Sarebbe meglio aprire le porte della città. Un attaccante come lui ci fa comodo e nemmeno l'esercito potrebbe continuare a razziarci il bestiame e i viveri in cambio dei loro resti." Alice non aveva catturato completamente l'attenzione della gente e a lei si avvicinò stanca ma sorridente come non mai la Berry che seppi fosse sua madre. La prese sotto braccio e in poco tempo svanirono in casa, probabilmente per risolvere le questioni di famiglia. Mentre Julie azzannava il pezzo d'osso spoglio di carne, io le pulivo i piedi con la manica della maglia. La stavo portando in casa ma un urlo agghiacciante proveniente dalla foresta, tolse a tutti il fiato. Sembrava il fischio che avevo udito la sera che mi ero perduto nei boschi, ma era ancora più terrificante. Tutti, eccetto me e Julie, corsero verso la foresta, lasciando le cose che stavano bevendo o mangiando. Un branco di giganteschi lupi che svanirono oltre il giardino illuminato, senza rumore, come se andassero in perlustrazione da qualche parte della montagna, dove non ero ancora stato. I fuochi divennero deboli e con qualche tizzone acceso mentre la neve continuava a scendere e il freddo si stava rafforzando. L'odore di carne bruciata intasava le narici. Eravamo al buio e al buio, si sa, le cose hanno altre forme. Stavo per salire in camera a prendere la sparachiodi ma una gigantesca ombra stava tra me e le scale. Gli occhi rossi sicuramente non umani avevano un luccichio cattivo ma non avevo paura per me, ero semplicemente disorientato. Mi fermai mentre la cosa iniziava ad avanzare. Cristina era svanita e Julie restava a terra, nella stessa posizione, dove l'avevo lasciata. "E' diventato difficile venire a trovarti sorellina." Il ragazzo che usciva dal buio e mi raggiungeva, tanto da trovarmi i suoi occhi a poca distanza dai miei, era un tipo più alto di me e odorava come una bestia che non si era mai lavata. Julie mugolava e non feci in tempo a dirle di scappare via. "Lasciale stare!" Lui rise. Un ghigno sardonico restò stampato sulla sua faccia, rigata dal segno di vecchie ferite. "Il tuo amichetto sa di chi sei la sorella o non gli hanno ancora svelato cosa succede in città?" "Che vuoi?" La mia voce uscì forte perché non avevo paura di lui. "Vorrei portarti dalla nostra parte, tu sei uno che potrebbe fare la differenza in questa battaglia. Matt, ti chiami così vero? Vedi Matt, noi vogliamo ristabilire l'ordine e liberare il nostro popolo. Le nuove regole sono: niente regole! Siamo lupi, dobbiamo vivere liberi di comandare su queste montagne e perché no, di estendere la nostra forza nel mondo. Il pianeta è debole, è malato mentre noi, guardaci! Noi siamo stati concepiti per salvarlo! Clain Hunt, piacere." e mi tese la mano che decisi di non salutare. "Eravate voi boschi?" Lui si mise le mani nelle tasche dei pantaloni. Fuori faceva freddo ma indossava solo una vecchia maglietta. "Noi siamo sempre nei boschi." "Cacciate i cavalli e fatte quelle cose alle bestie?" "E non solo alle bestie. Mangiamo in modo salutare, si può dire così? Mi dovresti consegnare la mia cara e innocua sorellina. Deve stare con la sua famiglia." "Tua sorella ha bisogno di aiuto. Non può andare nei boschi." "Tu non sai di cosa ha bisogno. Tu non sai nulla di lei, di noi. Io sono suo fratello e lei sa che deve tornare a casa con me." "Quale casa? Le pietre? Le grotte piene di muffe? E' una ragazza non in animale da buttare in una tana di foglie. Io so che con la paura non riuscirai mai a vincere le tue battaglia." "Fino adesso è andata bene. Ho sempre vinto. Che mi dici di te Matthew, davvero non hai paura di me, ma io mi ricordo nei boschi come scappavi dalle ombre e dai tuoi inseguitori?" "Non ho paura di te." "Bene! parlava e intanto si sfregava le mani segno di un buon affare, Mi sembra giusto. Il coraggio rende uomini anche i più bestiali dei lupi. Sai, avevo già pensato che avresti detto qualcosa del genere, quindi vai pure fuori e guarda sul tuo barbecue. Qualcosa sta cuocendo per te e converrebbe, te lo dico amichevolmente che tu ti affrettassi perché potresti trovarla già carbonizzata" e rise. Era una risata fragorosa e cattiva che riempì il silenzio della casa vuota.
8 La Bestia La cosa quasi carbonizzata, usciva dalle griglie ed era un ammasso di carne puzzolente che sfrigolava ancora sebbene il fuoco fosse quasi spento. Mi avvicinai ma la parte alta del corpo era quasi carbonizzata e solo la parte inferiore era intatta. C'erano grumi di sangue rappresi intorno al braciere, e neve macchiata di rosso per decine di metri. Due caviglie gonfie e rosse e due scarpe verdi consumate restavano unico punto crudo del corpo distrutto. Riconobbi Cristina. Vomitai. Mia nonna friggeva sulla grata e la metà superiore non del tutto carbonizzata mostrava mezzo cranio con le labbra lacerate e i denti lunghissimi, si stava trasformando quando l'ha catturata. Gridai e senza pensare corsi in casa ma la trovai vuota. Corsi a prendere una coperta ma afferrai un giaccone abbandonato a terra. Coprivo il corpo mentre piangevo e cercavo forze supplementari per non impazzire davanti a quell'orrore. Un ululato triste e profondo arrivò dal bosco. Cercai Julie. Gridava aiuto e voci che provenivano dal piano superiore e cercai di raggiungerla ma qualcosa mi afferrò per la maglia e caddi all'indietro. Il tempo si era fermato. Non sogni nulla. Solo uno stato di vuoto dove il mio cercava di riprendere il possesso del proprio corpo. Forse ero morto e una scintilla di vita combatteva contro forze superiori. Il Signor Morte stava arrivando senza avvertirmi? Mi stavo rialzando ma qualcosa di pesante restava appoggiato sul mio petto e quel peso m'impediva il respiro. Gli occhi erano gonfi e faticavo ad aprirli, dai hai vissuto mali peggiori, mi dissi, cercando forze che però mi mancavano. Intorno a me ombre come quelle viste nel bosco e occhi ostili che mi fissavano. Qualcosa di bagnato mi cadeva di tanto in tanto sul viso e girai la testa verso i musi che sbavavano mettendo in mostra i denti lunghi e affilati. Il mio pensiero era diretto a Julie. Lei era in pericolo. Pensai a Charlie a chiunque in grado di darmi una mano e pensai a Ed che mi aiutò sebbene senza che mi dicesse assolutamente nulla. Le bestie che mi ostacolavano mi stavano trattando come una debole preda con cui giocare e li lasciai fare finché dalla mia esplosione di rabbia, uscì un altro me, uno che nemmeno ci si aspettava, esistesse. Di loro rimase in meno di pochi secondi, solo corpi tremanti d'agonia e annaspanti gli ultimi respiri di vita. Il Signor Morte mi aveva dato una mano e ne stavano arrivando altri, quando Charlie face la sua comparsa. Eravamo in due contro un nemico subdolo ma entrambi più forti. Raggiunsi il piano superiore e trovai Julie a terra, ferita e sanguinante, immobilizzata da una belva che la stava per uccidere con le sue zane vicine alla giugulare, ma la sua ferocia venne meno quando mi vide. Ero nel posto giusto al momento giusto. La bestia mi si scagliò contro ma mi era inferiore per altezza e il mio capo sulle sue spalle riuscì a ferirlo con un paio di morsi ben piazzati sotto le scapole. La belva ululò per il dolore e saltò dalla finestra, lasciandomi solo con la piccola rannicchiata sul pavimento e una rabbia in me che avrebbe voluto demolire le fondamenta di quella casa. Stavo buttando per aria i mobili e stavo cercando di espandere il mio dolore per non limitarmi a soffrire e basta. Avrei continuato se Charlie non mi avesse fermato. La sua forza riusciva a mal appena a trattenermi. Io mi dibattevo per una libertà, dove il mio essere uomo non combatteva per sfuggire all'incubo che lo inseguiva da sempre. "Basta! Basta sono scappati." "Come hai fatto?" "Ho sentito il tuo pensiero. Ci addestriamo, anche alla telepatia, tra lupi funziona meglio che tra uomini." "Guardala perché ha voluto farle questo? E' così piccola e fragile." "Perché la teme. Julie è la sorella del nostro peggiore nemico e lei se fosse ben addestrata, potrebbe distruggerlo. Lei era la nostra unica arma prima che tu arrivassi in città. La stavamo proteggendo dal male che ha avvolto suo fratello. Ma ci sarebbero voluti anni perché Julie dimenticasse l'orrore vissuto e la paura. Anni di duro addestramento che voleva fare da sola e non con noi. Julie è anche la tua promessa e lui teme la vostra unione. Se vi separasse, non ci sarebbero altri attaccanti che gli potessero tenere testa. Se tu non la difendessi, lei morirebbe." "Portiamola via da qui." "Andiamo da Muss, solo lui potrebbe curarla." "La Berry?" "La medicina degli umani va bene per le piccole cose: fratture, indigestioni, cadute ed emicranie." "Quindi la mia caviglia era una sciocchezza?" "Non volevamo offenderti, era appena arrivato e ti sentivi spaesato." "Faceva male." "I bambini di otto anni che cadono da una roccia alta cento piedi, potrebbero sentire male eppure loro non si lamenterebbero." "Che razza di gente super orgogliosa." "Siamo fatti per reggere alle difficoltà e non per soccombere a esse." Prima di andare via ero corso di sopra a controllare se ci fosse ancora il portatile di John, la pistola e Signor Morte. Rincuorato dal fatto che le bestie si fossero limitate a strappare i mobili e non le cose dentro il materasso, pensai a un metodo per aiutare Julie, le mie pastiglie. I farmaci che John mi faceva prendere fin da piccolo e contro i dolori lancinanti. Stava tra le mie braccia come un cucciolo privo di sensi. Ero un uomo mentre camminavo con Julie nelle mie braccia. Lei era leggera come una foglia e aveva un buon odore, difficile da descrivere. I suoi occhi erano chiusi e immaginavo quanto fossero belli quando li apriva. Le baciai il collo e subito dopo, mi ero sentito in colpa. Dovevo smettere di pensarla, era solo una ragazzina. Io non ero molto di più e la simpatia forse non significava amore. Amore? Perché pensavo all'amore? Non mi ero mai sentito preso così da una ragazza. Il suo incubo era diventato il mio e c'era qualcosa dentro me stesso che m'impediva di abbandonarla, qualcosa di cui temevo la forza maggiore di tutti lupi di quel posto.
Muss era preoccupato e non volle parlarci. Ci disse di lasciargli Julie e di andare subito alla Bocca del Diavolo. Il tempo era finito e probabilmente la città avrebbe ricevuto la visita di centinaia di mannari arrabbiati, capaci di uccidere qualunque cosa essi incontrassero. Gli domandai come mai avevano atteso, tanto e lui mi rispose che studiavano la città e aspettavano il momento propizio per attaccare, erano ribelli ma non erano stupidi. Chiesi anche a cosa servissero i recinti se poi non riuscivano a tenerli a bada. Ed scuoteva la testa contrariato. "I recinti funzionano ma cerchiamo di risparmiare per nemici peggiori ma veramente non esistono perché il Sindaco ha portato la luce nelle miniere che dovrebbero salvarci." "Quali nemici? Non ne avete abbastanza con un altro popolo di mannari contro?" "L'esercito. I mannari ci ucciderebbero ma senza fare saltare la montagna ma l'esercito è capace di cose atroci e noi temiamo che ci usino non solo per la propria comodità ma anche come cavie per chissà quale studio sulla sicurezza. Clarence sta fortificando la zona e ha portato la luce in miniera, sarà la miniera, il nostro rifugio." "Perché fornite all'esercito il cibo?" "Altri come noi e come tuo padre, si sono sparpagliati per il mondo e uno di questi ha usato la sua natura per trovare una via d'uscita all'emergenza e alle malattie che affliggono la Terra. Per adesso è stato di parola ma se non fossimo puntuali con il bestiame o il carico di pesce, cosa succederebbe?" "Vai con Charlie. Io penserò alla ragazza." "Io non vado via. Aspetterò qui. Anzi cos'è quest'odore di benzina?" "Non c'è benzina. Io non sento nulla. Vai con Charlie, deve mostrarti la Bocca del Diavolo." "Oggi non mi alleno a fare il mostro. Non voglio più sentire altro dolore." "E' il dolore che ci forgia. Senza dolore e senza sacrificio nulla avrebbe per noi importanza. Tu sei come noi e il non volere esserlo è un limite alla natura." "L'aberrazione non è della natura." "Caro ragazzo, la natura ci rende forti e combattivi perché lei stessa è selvaggia e indomabile." "Voglio solo non dover tornare a essere quell'animale in cui non mi riconosco." "Vai con Charlie, lascia qui Julie che aiuterò volentieri e non temere per lei. Le sue ferite guariranno in fretta. Più sono piccoli i nostri cuccioli più sono forti." "Chi mi dice che il fratello non arriverà qui?" "Perché sono il mentore di Clain e nonostante sia un essere senz'anima, mi rispetta. La sua forza potrebbe uccidermi ma sa che se mi uccidesse, io passerei i miei poteri a un giovane capace di sconfiggerlo e poi sono l'unico a potergli medicare le ferite mortali in caso qualche arma riuscisse a fermarlo." "Allora non è invulnerabile." "La sua ambizione lo rende più fragile di quanto lui pensi." "Vado con Charlie ma non da lupo." "Starà alla tua coscienza se e quando trasformarti." "Allora ci vorrà più tempo di quanto noi ne avessimo mai a disposizione." Meno di quello che credi, disse lui sussurrando e quando io ero già a terra e incorsa verso l'apice del monte e Charlie, mi seguiva nell'ombra non più in forma umana. Io continuavo a sentire un forte odore di gasolio e sembrava persistere perché le follate di vento, ne aumentava l'intensità.
Era passata un'ora e non ero arrivato che a metà strada. Fiutavo l'odore di pelo bagnato a miglia di distanza e la cosa disturbava i miei sensi e il mio stomaco, ma non c'era soltanto Charlie. Il silenzio però aveva nascosto la presenza del mio amico. Mi ero seduto su un tronco mentre guardavo distanziarsi le nuvole nel cielo, per fortuna non avrebbe nevicato. Con le mani quasi congelate afferrai un piccolo ramo che aveva fatto un volo considerevole fino a un punto lontano che non destava attenzione. "Allora mi hai visto?" "Hai l'odore degli uomini morti e parecchi innocenti sulla coscienza." "Sei gentile a rivolgermi la parola. Tua nonna non ha accettato i miei complimenti. La sua carne era così vecchia e non l'ho gradita mentre Julie, embé, tu capirai, la piccola è buona come lo è stata la madre." Cercai di saltargli addosso ma lui era così veloce che si era spostato senza che lo notassi. "Perché l'hai lasciata vivere la prima volta. Sai i vigliacchi sono, peggio dei degenerati." "Quante parole difficili fratello per dire a uno che è semplicemente un assassino." "Quando un assassino è capace di intendere e di volere, ha sicuramente qualcosa da dire." "Tu non capisci. Julie mi è servita. E' servita a chiamare te. Io in natura non ho molti possibili nemici, ho un dono, quello di sapere chi potrebbe ereditare la nostra forza e tu e Julie eravate insieme nella lista. Come si dice ... due piccioni con una fava." L'uomo era molto giovane e alto quasi due metri. I capelli scuri e lunghi gli arrivavano sotto le spalle. Sul volto sfoggiava un paio di cicatrici che non cancellavano gli occhi azzurri e freddi. Anche lui puzzava a benzina e somigliava a Julie. Sembrava curato nonostante vivesse con i selvaggi. "Matthew anche i selvaggi hanno delle regole." "Quando hai ucciso tua madre, però non ne avevi." "C'è un perché a tutto, credimi. Vieni con noi e troverai molte risposte alle tue domande. Con noi non avresti obblighi e potremmo aiutarti per i tuoi dolori senza chiederti di trasformarti. So quanto ti sia difficile accettare una verità di cui alcuno ti aveva mai parlato in tutti questi anni." "Vedi Clain, tu hai
un problema, anzi ne hai due, uno è Julie e l'altro è che io non
ho domande cui tu potresti rispondere. Mi dispiace aver declassato
così la tua forza. Sei solo una bestia che merita di stare dentro
un recinto, in una prigione, o legato a un camice di forza e
sedato fino alla fine dei tuoi giorni che mi auguro siano dolorosi
e senza alcuna gioia." "Io sarò che un'ombra e tu potresti sicuramente uccidermi ma non avresti un degno rivale in me. Sei già uno sconfitto dalla sorte, uno che la storia non ricorderà nemmeno quando tutto sarà finito. Anche tu come tutti noi, morirai e senza risposte. E' questo il senso della tua vita? Uccidere? Diventare il capo di un branco di peli umidi e zanne? Sai Clain, sembri un bambino invidioso dei giocatoli altrui." "Sembra che tu non abbia paura. Vieni, con me Matt! Insieme noi potremmo fare grandi cose per il nostro popolo. Possiamo migliorare l'Addestramento, abolire vecchie e assurde regole come quella sull'eredità del coniuge. Le tue capacità aiuterebbero molti a diventare ancora più forti e nessuno potrà più ostacolarci." "Hai fatto delle cose orribili a tua sorella. Come puoi, come riesci a torturare il tuo stesso sangue? Chi o cosa ti da il diritto di giudicare cos'è bene o cos'è male? Sei solo un povero vagabondo in fuga dalle sue stesse origini e forse, tu più di me, hai bisogni di qualcuno che appoggi le tue follie. Non cancellerai facilmente la vita di Julie né mai, riuscirai a perdonarti per quello che hai fatto o che penserai di fare." "Non difenderla, le meritava." "Tu sei uno squilibrato e fino al midollo." "Tutta la nostra stirpe lo è. Siamo bestie, guardaci. Siamo perfetti per combattere ma umani, restiamo solo delle ossa in prestito alla morte. Invece se restassimo per sempre licantropi, la nostra vita sarebbe più lunga. Prendi Ed ad esempio, lui non combatte il tempo e pare che la morte non gli sfiori nemmeno l'ombra. Siamo stati creati da un'evoluzione superiore e questo comporta un'accettazione tacita e orgogliosa." "Io non sono come te. No, non sarò mai come te. Probabilmente non riuscirò a ucciderti ma meriteresti di morire per ogni persona che hai ucciso. Ci sarà un modo per fartela pagare e se c'é, io lo troverò." "Ma lo sarai. Tu sarai come me e allora mi dovrai dire con chi vuoi stare. Il tuo rifiuto è umano ma il lupo ti sta stretto e ti si aggroviglia dentro come un budello legato con troppi nodi. Lui grida libertà e tu non potrai restare per sempre sordo." "E' una minaccia?" "No, Matt. E' una proposta. Lascerò Julie vivere, se tu verrai con me." "E gli altri. Che mi dici degli altri?" "Moriranno. Molti. Non ho il totale controllo dei miei. Loro sono come dire, primordiali ma non punibili. Sono innocenti e non perfettamente costanti all'ubbidienza delle regole che si detta loro." "Perché?" "Perché gli altri hanno idee diverse dalle mie e dalle tue. Io sono un uomo di mondo, ho visto cosa c'è fuori da Lot Berry e ho imparato molto dai miei sbagli ma i miei compagni sono rudi, amano la libertà quanto il potere e non danno molto significato alla coscienza perché si sentono animali. Tu non stai parlando di uomini ma di animali.." "Mi dici cosa c'è da vincere? Perché lo fai?" "Questa è solo una colonia ma la nostra gente, presto vivrà libera e non più nascosta tra le montagne. Le città sono malate e non riuscirebbero a tenere testa a un'invasione di licantropi. L'uomo vive ancora in attesa degli alieni e da sempre fissa il cielo, come se il nemico arrivasse solo da li. Non immagina nemmeno che il loro nemico era in casa, con loro, fin dall'inizio." "Tu sei pazzo." "Molti pazzi hanno costruito templi, piramidi, navi spaziali e tutte le cose che hanno fatto sopravvivere l'umanità. Noi siamo il progresso. La razza superiore cui si può perdonare degli sbagli se il punto di arrivo è l'evoluzione." "Voi siete solo una minoranza. Fatti avanti, se devo morire qui e adesso, non c'è problema. Tu hai il marchio del male e il male va combattuto." "No Matt, ero venuto per fare due chiacchiere, giacché il recinto è spento. Potrai dire a Clarence che ho avuto la mia vendetta e Matt, condoglianze per tua nonna." "Maledetto!" e stavo per attaccarlo quando l'ombra bianca di un lupo avvolse Clain ancora uomo. la zuffa durò poco perché si sentirono ululati molto vicini allo spiazzo dove tutti e tre eravamo e quando Charlie arrivò, Clain era già sparito. "Alvin?!" "Sono in ritardo lo so, perdonami, ma ho sistemato delle cosette con quei codardi. Ho sentito che avevi bisogno d'aiuto e tutti gli altri erano lontani. Eccomi fratello! Sappi che un paio di loro faticheranno anche a respirare da oggi in poi. Mi sono nascosto nella mezza carcassa ancora cala di un cavallo e li ho aspettati. E' stato fantastico. L'ultimo che ho morso non smetteva più di tremare, e credo, non smetterà mai più." Charlie arrivò in forma umana. Per lui era meno doloroso trasformarsi. Lo continuava a fare e l'allenamento l'aveva reso immune ai dolori e più veloce. Clain aveva capito che io non ero pronto per giocare con lui ad armi pari ma avrei voluto ucciderlo per tutto quello che aveva fatto a mia nonna e a sua sorella. Clain avrebbe potuto uccidermi in qualsiasi momento ma non lo aveva fatto. "Se mordi un licantropo, lui si ammalerà di una specie di pazzia e tremito che lo paralizzerà per tutta la vita. Clain era qui?" "Vuoi sapere quali piani aveva per me? "Che ci fa anche lui qui?" chiese Charlie gettando un'occhiata furiosa al vagabondo. "Credo mi abbia appena salvato la vita." Alvin danzava sulla neve con i suoi piedi nudi e i suoi capelli all'aria come gli alettoni di un aereo. "No. Clain non aveva intenzione di ucciderti, l'avrebbe fatto. Lui può ma ha dei piani per quelli che lascia in vita." "Anche per te?" "Naa. Non sopporta il mio puzzo. Ho un problema ai testicoli e quando attacco, urino addosso al nemico, insomma scappano prima che provino ad attaccarmi." "Che schifo." rispose Charlie. Era orrido ma mi rendevo conto che era la migliore arma biologica esistente. Ognuno si difende con quello che ha e Alvin, poteva considerarsi un eroe perché le sue armi erano più all'avanguardia di certi pistoloni che vendono solo nelle pubblicità televisive. "A volte si può vincere col cervello, altre volte con la forza." disse Alvin che prese dalla sua piccola bottiglietta un sorso di qualcosa, credo di forte perché strizzò gli occhi quando la deglutì. "Un goccio?" "Alvin, mi accompagneresti a Bricks Bay?" "Cosa c'é a Bricks Bay a parte il puzzo di gatto?" "Tu devi venire con me alla Bocca del Diavolo, gridò Charlie." "Io non vado da nessuna parte se non a prendere mio padre." "Tuo padre non verrà mai con te." disse lui con tono sommerso. Alvin però non voleva restare. "Dovrei andare." "E non mi accompagni?" "Lo farei e lo sai che il debito io lo salderà. Ma sono allergico ai gatti." Mina e Duzzer arrivarono anche loro mentre Charlie stava quasi per mettere le mani addosso ad Alvin. "Ma cos'è una riunione di branco?" "Ci ha mandato Clarence. Clain ha mandato tutti i suoi a bruciare la città e molti sono feriti. "Ma voi non sentivate quest'odore di benzina?" Negarono tutti. Come mai il loro fantastico fiuto era stato neutralizzato dalla benzina? Cristina sebbene l'avessi conosciuta poco mi mancava e la sua morte sarebbe stata un grande dolore per John. Mina continuava a guardarmi ma io non volevo alimentare le sue speranze. Charlie fissava sia me sia lei, come se tra noi ci fosse chissà quale romanzo d'amore. Charlie non era telepatico quand'era geloso. Duzzer mi venne incontro e abbracciandomi mi espresse le sue condoglianze. Portava una vecchia chitarra che mise silenziosamente tra le mani di Charlie. Tra loro ci fu uno sguardo d'intesa. L'amicizia è un dono, pensai e avrei voluto non sentirmi più solo ma loro mi ricordavano quanto mi mancasse mio padre. Poco dopo arrivarono anche Ben e Roshua e tutti aspettavano che io mi decidessi a scegliere da che parte andare. "Al Diavolo! Io non mi trasformerò più, allora mi dite cosa dovrei fare in quel dannato posto?" "Dovrai solo saltare. Una sola volta. Se riuscirai, vorrà dire che il tuo apprendistato sarà finito." Mina spinse il gomito nello stomaco di Charlie. "Ah, dimenticavo, dovrai anche batterti con uno di noi. Da uomo o da lupo, come preferisci. Questo è l'esame finale." "Mia nonna è morta, è stata bruciata viva e voi mi dite che devo giocare all'Apprendistato." "E' la legge. Tua nonna avrebbe voluto che facessi questo passo e non per noi quanto per affermare la tua esistenza in mezzo a questa gente. Potrai andartene dopo ma devi finire l'apprendistato altrimenti soffocherai in te stesso e non capirai perché." "Non sono mai soffocato. Ho preso abbastanza medicine." "Sai perché John ti ha portato qui?" domandò Mina. "Lui sapeva che non poteva più fermare l'inevitabile, ma se tu non ti alleni, almeno una volta, non riuscirai a controllare i dolori della trasformazione. Durerà poco e potrai partire per Bricks Bay, anche subito." Si guardarono tra loro e con quell'occhiata, secondo me, si dissero molto più di quanto, volessero che io capissi.
9 I nemici del Popolo della Luna Ma nessuno di noi andò alla Bocca del Diavolo. La città bruciava e molti rimasero feriti. Io aiutavo a buttare l'acqua ovunque ci fosse bisogno e vidi sul volto dei bambini la paura. Clain era colpevole anche di quello ma nessuno lo ostacolava. Perché? Dopo due giorni di lavoro la città annerita e consumata dal fumo dovette pensare ai funerali di Cristina e di altre sfortunate vittime di quel terrore. Sedici falò furono alzati ai piedi del bosco e dopo la funzione religiosa del reverendo Preston anche Ed pronunciò il suo canto di passaggio per l'aldilà. "Fratelli, le nostre anime sono solo di passaggio, un passaggio tra due mondi che convergono nella luce benigna e creatrice. Salutiamoli, ricordando che presto saremo nuovamente insieme. Lo spirito della foresta renderà più leggera la loro corsa e le montagne li porteranno sempre più in alto, dove il cielo si mescola agli alberi, gli stessi che hanno protetto la nostra vita da umani. Non piangete per loro, ma per i colpevoli di un crimine che non passerà impunito. Cristina, Jim, Patrick e Melissa, Verdon, Dylan, Billy Ray, George, Laura, Nancy, Steven e suo nipote Addy, Brandon, Isaac, Elia e Mary, noi vi ricordiamo tutti e vi apriamo le porte della montagna, così che tutti i campi del Paradiso possano stimolare le vostre corse. Salutiamoli mentre le loro ceneri diventano la nostra aria e loro in noi potranno sentirsi sempre a casa." Nessuno piangeva tranne i ragazzini più piccoli. Julie non era tra loro e Clarence sembrava distrutto. Le condoglianze di tutti loro, furono sincere e per quanto cercassero di manifestare un affetto importante, io mi sentivo lontano dal loro mondo e dai fantasmi dei lupi in corsa verso l'Eden. Dopo i funerali l'inverno fece la sua comparsa. Il mio apprendistato era stato momentaneamente sospeso. La città mostrava ancora le sue scure ferite e le pulizie avrebbero atteso primavera perché il freddo ci comprimeva in quegli spazi stretti che la neve si divertiva a riempire. Ed badava da varie settimane a Julie ed io passavo il tempo a leggere la ricerca di John che sembrava sempre di più una ricerca su so figlio. J non chiamò più e mi preoccupava. Che avesse trovato John. Con la neve alta la mancanza di segnale dei cellulari ci rendeva alquanto deboli, solo i recinti funzionavano, anche se tutti sapevano che non avrebbero retto all'infinito e Clain alla fine avrebbe trovato, come aveva sempre fatto, una via per entrare in città. Andavo a trovare Julie che mi parlava poco o niente. Si era estraniata da tutti e pensavo che sarebbe stato più facile per lei riprendersi se avesse trovato la compagnia di qualcuno di famigliare. Clarence proclamò lo stato d'emergenza e per tutti c'era il coprifuoco dopo le sette di sera. Nemmeno loro sfidavano la fortuna con la tormenta. I lupi per quanto forti erano sempre degli esseri domati dalla natura esterna. Non dovevamo e non potevano azzardare perlustrazioni o altro perché troppo deboli all'interno. Julie e Ed fecero una gita alla casa dei Hunt, solo loro due anche se il paese sapeva. Nonostante la ferita ancora aperta, Julie era stata forte e camminò per le stanze ancora macchiate del sangue di sua madre, cercando pezzi della sua storia, della sua infanzia. Tra le poche cose che portò con sé, c'era una fotografia di famiglia, una tazza rosa con gli orsetti, sbeccata e un libro fatto di fogli sparsi e appunti. Ed Muss l'aiutava a trasformarsi ma nemmeno lei era felice di essere una cosa sovrannaturale. Il tempo si era fermato a Lot Berry. John non aveva comunicato notizie di se e sarebbe stato impossibile raggiungerlo fino a primavera. Clarence era sulle spine come se aspettasse qualcosa e tutte le notti dopo la scomparsa di Cristina, le passava fuori a controllare i recinti. Negli ultimi tempi, lo raggiunsi e senza dirci nulla, lui lupo ed io sempre io, correvamo in mezzo alla neve fino a sfinirci, controllando che non ci fossero fori o strappi nella rete. Con Clarence parlavo ancora meno che con John ma c'intendevamo benissimo. Julie era tornata ad abitare la stanza sotto la mia e in quella finta normalità, anche la città respirava con sollievo. Io sapevo che Clain e tutti suoi mostri aspettassero proprio questo. Hooper venne un giorno, molto prima dell'alba. Era preoccupato e aveva gli occhi lucidi. I bambini dei Donovan erano spariti. Non c'erano altre tracce sulla neve che quelle fatte dai poliziotti. Martha e Teo sentirono il fruscio, quello strano fischio che sapevo oramai a chi appartenesse. Loro preoccupati, corsero prima nella stanza dei figli che trovarono vuota e poi giù all'ingresso, dove tutto pareva essere in ordine. A piedi e nella neve, Teo raggiunse la stazione dello sceriffo che quando arrivò, trovò solo la finestra della camera dei ragazzi aperta come se solo il vento, avesse potuto portarli via. La palestra della scuola era piena di gente confusa che chiedeva a Clarence di difenderli, meglio di quanto non avesse già compiuto o stesse facendo. Lo sceriffo e Molly, arrivata per dare una mano, parlarono delle difficoltà che stavamo attraversando e chiesero di allontanare i bambini in un posto più sicuro, la miniera. Dal vocifero si arrivò al litigio e molti si stavano scaldando. Charlie, Duzzer e i Wild mi avvicinarono. "Vai a parlare." "Ma siete pazzi!" "Dì loro, gridalo se vuoi che tu sfiderai Clain, è quello che si aspettano da te, da un Attaccate." "Ma se io non sono come voi, chi sfiderò sarà solo me stesso. Nessuno di loro mi crederà." "Noi siamo attaccati alla tradizione, disse Ben, ti crederanno. Hanno bisogno di conferme e di una figura che non sia solo quella di Clarence." Stavo per uscire dalla palestra quando lei, salì sul palcoscenico e prese il microfono in mano. Tutti zittirono. Il debole fascio di luce delle lampade accese a mezzo regime, per dare al recinto tutta l'energia che serviva, non riusciva a sostituire la luminosità dei suoi occhi che spaccavano l'aria, tanto erano luminosi. Nemmeno un mormorio. Nulla. Soltanto Julie con i suoi capelli ribelli e liberi di cadere come cascate sui fianchi magri. C'era solo una ragazzina che s'ergeva davanti a mille persone come un faro quieto nella monotonia delle onde. Julie non parlava, aspettava. Quando si poté sentire il respiro di ognuno dei presenti, allora lei librò il braccio nell'aria, un paio di volte, violentemente e poi lo riportò sul petto, doppiamente più ampio e più pesante e con pelo grosso come la pelliccia di un orso e artigli abbastanza lunghi da superare il diametro della sua vita. Col solo braccio lupesco legato al petto, come una boa pesante, ritirata dal mare, lei alzò la testa per fissare gli sguardi incuriositi della folla. Era minuta e magrissima. La sua fragilità lasciava perplessi ma s'intuiva una forza interiore senza pari che nemmeno i suoi simili riuscivano a trasmettere. Eravamo ipnotizzati e legati al suo pensiero ancora inespresso. Le sue ferite erano quasi guarite e molte cicatrici non avevano lasciato che un debole segno sulla sua pallida pelle. Era bianca come la coperta di neve senza impronte e sembrava che la vita non riuscisse a scaldarla per quanto effettivamente lei aveva bisogno. Julie teneva il microfono vicino al suo naso e il suo respiro divenne, anche quello delle mura di cemento che smettevano di essere fredde al suono lento del suo fiato. La zampa che faticava a tenere con la sola forza del suo corpo cadde a terra e restò comodamente appoggiata mentre lei, con l'altra mano non perdeva la stretta del microfono. Non era buffo né comico né divertente, quel suo mostrarsi per com'era. Piccola. Non ancora completa e padrona di un corpo che a volte non la ascoltava. La voce era bassa ma forte. Non c'era nemmeno un tono di paura o incertezza. Sapeva già cosa doveva dire e ora che aveva su di se l'attenzione di tutti, non fece altro che mostrare il problema, senza camuffarlo e semplificarlo. "Io sono Julie Hunt e sono un'Attaccante, ma non voglio e non posso, trasformarmi. Io odio la mia natura e detesto tutti quelli che sono convinti che le cose miglioreranno solo perché i licantropi hanno un diritto maggiore degli uomini di sopravvivere perché non è vero! Le cose non miglioreranno e loro, i ribelli, i cannibali come voi li chiamate, verranno a prendervi tutti e ammazzeranno i vostri figli per dimostrare di essere più forti. Io posso uccidere mio fratello ma non lo farò. Matthew Brightman è il vostro prescelto ma anche lui non vuole diventare ciò che è nella nostra natura essere, mezzi uomini e mezze cose con artigli, zanne e una fame incontrollabile, ma noi insieme, possiamo fare una cosa che nessuno ha mai fatto, usare la nostra mente e non la forza per trovare una soluzione. Possiamo mettere in trappola chi oggi ci minaccia perché la forza ne uccide uno e gli altri saranno pronti a vendicarsi con molta più cattiveria di prima. Clain ha una parte di me ed io ho una sua parte, nel sangue. Io non so combattere ma posso farvi da esca, posso insegnarvi ciò che lui sa a patto che voi m'insegnate a tirare fuori da me questa cosa e a scegliere se volerla o meno." Un mormorio si alzò come una marea che avanza tra gli scogli. Charlie mi guardava terrorizzato. Aveva paura e non capivo perché. Mina e Ben, uscirono dalla palestra e capivo che c'era qualcosa che mi sfuggiva in quella faccenda. Clarence spinse Ed verso il palco. Ed era il più anziano, l'unico a conoscere la storia del popolo della luna e mentre camminava si levò i vestiti, restando un vecchio rugoso e nudo, coperto dai capelli che lasciavano poco da vedere. La sua barba, che aveva slegato, gli copriva le parti bassi mentre le gambe bianche e ossute erano nascoste dai capelli bianchi e grossi come fili di nylon. Julie, troppo stanca di reggere il braccio, anche se appoggiato al pavimento, lasciò il microfono a terra per sedersi anche lei, cercando di alzare la zampa e portarla sulle gambe incocciate. Ed si sedette vicino a lei e trasformò in un attimo la sua mano destra nella zampa di un lupo grigio. "Quando un fratello o una sorella soffre, noi peniamo con loro. Io ho visto il volto della morte e vi assicuro non si è mai commossa davanti alle suppliche delle sue vittime. Clain Hunt è la morte ma non è invincibile. Sebbene io sia stato il primo a disprezzare il comportamento di John Brightman, ora vi dico che forse ha fatto bene a portare via sua moglie perché Clain avrebbe ucciso suo figlio in qualche modo. Noi siamo parte delle nostre tradizioni e non possiamo non riconoscere a Clarence la sua energica e dura difesa dal mondo di fuori. Matthew non si riconosce in uno di noi ma ha l'esperienza del mondo morente. Ha imparato a difendersi da altri mostri che sono stati la malattia e la mancanza dei suoi amici e conoscenti e questo senza usare le forze del lupo. Non ha fatto il suo apprendistato e non ci sarebbe nemmeno il tempo per la consapevolezza che l'apprendistato pianta nel nostro spirito. Lui ha una giusta paura del gigante che lo trasforma. Nessuno, nemmeno Clarence o John gli hanno mai parlato di cosa e chi sarebbe diventato. Riuscireste voi a capire e a contenere la forma animale senza la preparazione che vi aspetta fin da piccoli? Immaginate un bambino che sente dei dolori atroci che fa degli incubi orrendi e che teme di ascoltare il proprio corpo. Matthew si è trasformato e vi assicuro che la sua forza è straordinaria sebbene ribelle alle regole della famiglia. Aiutatelo a comprendere che noi abbiamo bisogno non solo della sua forza ma del suo coraggio." "E chi ci dice che lui è il nostro Attaccante? Chi ci dice che non sia meglio consegnare a Clain la sorella, sperando che questo, basti a una pace anche provvisoria? Perché dobbiamo confidare in un ragazzo che detesta la sua natura?" gridava una donna incinta che teneva per mano un bambino con i capelli rossi e gli occhi gonfi di pianto. "Lui è il prescelto e voi sapete che io non mi sono mai sbagliato. Nel momento in cui smetterete di credere in me, loro si faranno forti delle vostre paure. Io ho deciso di cedere i miei doni." La platea fece un "ah!" di stupore. "Voi sapete che ho aspettato quasi duecento anni per trovare lo spirito capace di sostenere il peso e la memoria del nostro popolo. Io solo posso ricordare come rendere possibile una magia perché si tratta di magia, venire a contatto con tutti i nostri avi e i loro ricordi. Questa forza, unita alla forza di un giovane corpo, ci rinvigorirà ma i vostri dubbi riguardano più il vostro egoismo che la vostra sopravvivenza." "Un ragazzo che non accetta il proprio corpo non accetterà nemmeno la forza che questo significa. E se Matthew non si trasformerà? Se i poteri, che tu vorresti donare, andranno sprecati?" Bollinger con un piccolo gruppo di scettici si faceva largo tra la folla. Io era quasi fuori dalla palestra ma in quel momento le luci si spensero e la gente iniziò a gridare. Un forte trambusto e poi le finestre esplosero. Non erano lupi ma lacrimogeni. Decine e decine di lacrimogeni che spaccarono l'assemblea rendendoci tutti delle prede facili per chiunque avesse attaccato. Qualcuno provò a trasformarsi ma ombre con fucili e sirene che stordivano i sensi, si schierarono intorno alla scuola. Tutto l'edificio era circondato dalle auto dell'esercito e da un centinaio di soldati armati fino ai denti e fuori nevicava. Soffice e che nascondeva le ombre dei boschi, la neve moltiplicava la fatica dei soldati di muoversi sotto il peso delle armi. Avevano due paia di fucili come se fossero già in guerra e le loro maschere antigas sembravano delle cattive maschere per alieni appena sbarcati. I bambini cominciarono a piangere. Sentivo il fremito della gente e la voglia di trasformarsi. Era pericoloso, avrebbero sparato. "Ed ancora dentro, gridava loro di stare calmi e di non trasformasi mentre quelli che corsero in strada furono feriti dalle armi da fuoco." In tutta quella nebbia deforme e acida, io cercavo Julie che si era volatilizzata e non da sola, ma con molti degli altri. Ci presero più della metà. Io ero l'unico del gruppo a essersi costituito. Di cosa dovevo aver paura? Julie sicuramente era corsa sulle montagne con Ed e speravo che Clarence non si fosse nascosto nei paraggi per cercare di salvarci. Ero convinto che quell'arrivo poco amichevole, nascondesse qualcosa di molto più pericoloso. Ci stavano radunando per stiparci in larghi container scuri che sembravano rimorchi di una milizia fascista più che camion di trasporto per persone. "Matthew Brightman?" La gente intorno a me cominciò a stringersi ancora di più finché rimasi nascosto ai loro piedi. Mi stavano difendendo. Un mucchio di estranei che nemmeno conoscevo mi stava aiutando. "Ho chiesto se tra voi c'é Matthew Brightman?" La dottoressa Berry uscì dal mucchio e si girò per parlarci. "Li aspettavamo, vero? Allora non dobbiamo temerli. A questo punto i nostri nemici sono chiari e sono visibili. Ricordate quello che ha detto la piccola Julie, possiamo usare non solo la forza ma la mente. Restando uniti. Non trasformatevi ..." ma nono fece in tempo a finire la frase che un colpo le trapassò il cuore. Cadde a terra macchiando di rosso la neve. I suoi occhi sbarrati fissavano il nulla, temevo che qualcuno, avrebbe cercato di fare l'eroe ma nessuno si mosse. Un ululato triste e lungo arrivò dagli alberi. Il fischio sovrannaturale della bestia cattiva si unì al dolore e tutti capimmo che i nostri amici e nemici erano sulla montagna che fissavano il quartiere dell'esercito entrato in città senza alcuna fatica. Un uomo sulla cinquantina di bell'aspetto e vestito da civile arrivò da un'unità mobile lancia razzi. In pochi minuti l'ambulanza dell'esercito prelevò il corpo della Berry che nonostante fosse morta fu soccorsa con la maschera d'ossigeno. "Siete un popolo di lottatori. La vostra amica sarà salvata. Non siamo venuti a battagliare col nostro popolo. Sono il generale Jack Duzzer e vi chiedo solo di consegnarmi un ragazzo di nome Matthew Brightman." "Perché?" domandò Bollinger. "Non la riguarda. Questione d'importanza nazionale. Vi abbiamo aiutati fin'ora e sarebbe stato gradito un vostro ringraziamento. " Ed Muss arrivò con indosso un paio di jeans logori ma a petto nudo. La sua presenza era illuminante. Le persone in sua presenza riuscivano a calmarsi e nemmeno il più grande pericolo riusciva a spezzare la sintonia che c'era tra i loro spiriti. "Matthew è un ragazzo nuovo dalle nostre parti ma è sempre uno di noi. Noi non diamo via i nostri figli." "Potrei ucciderti vecchio!" "Invece sarò io a ucciderti è già stato scritto ma tu non puoi ammazzarmi perché sono un vecchio debole che potrebbe ferirti solo nell'orgoglio. Davvero hai intenzione di perdere tempo con me? Noi vi aspettavamo. Sapevamo che l'esercito non sarebbe stato buono all'infinito." "Dov'è il vostro sindaco? Dov'è Clarence Brightman? Siete tutti molto coraggiosi, ma come ben sapete, il coraggio ha un prezzo che voi, genitori premurosi, non vorreste pagare, non è vero?" Muss entrò nella folla e scomparve. I soldati ci radunarono e mentre camminavo, due gigantesche ombre mi presero per le spalle e insieme, saltammo sul tetto della scuola per poi saltare nuovamente sul ramo di un albero e infine sulla neve. Eravamo lontani. Mi avevano portato via in salvo. Avevano rischiato la loro vita per me.
10 La leggenda di Sal Quasi tutti gli abitanti di Lot Berry non catturati dai militari, si riunirono sotto la tana di Ed Muss. Eravamo un bel numero ma i piccoli erano davvero spaventati e Clarence per quanto preoccupato a dare le direttive giuste allo sceriffo Hooper era visibilmente affaticato. Trovai Julie in compagnia di Charlie e gli chiesi di portarmi alla miniera. Lei mi guardava come se avesse voluto dirmi qualcosa, ma resta in silenzio e seguiva chiunque decidesse di difenderla. Avrei voluto portarla via, pensare solo a noi due ma non potevo, c'erano tante vita in gioco e tutte erano di innocenti. Charlie fece molto di più, radunò tutti gli apprendisti e i bambini. Ed era in mezzo alla gente che parlava della sicurezza. Io non volevo che la gente pagasse per la mia sicurezza, dovevo rendermi utile. "Io avrei un'idea." Si girarono verso di me e curiosi di sentirmi parlare. Le loro mani smisero di trafficare col vestiario e con il cibo raggruppato in mezzo a loro. "Porterò i bambini alle miniere mentre voi cercherete di ideare una linea difensiva. Io ho qualcosa che il Generale Duzzer sta cercando e questa cosa riguarda credo, tutti noi. Si tratta di una ricerca di mio padre. Non so a cosa possa servire all'esercito ma credo che debba aiutare il mondo morente." "Come possiamo lasciarti i bambini? Non sai nemmeno come difenderti?" domandò un uomo preoccupato che portava in braccia una bambina robusta di non più di tre anni. La piccoletta non era per nulla spaventata e aveva un musino pieno di lentiggini che navigavano ovunque sulla sua pelle chiarissima. Le strizzai l'occhio e lei sorrise. Le ero simpatico. "Ho alcune armi. Non confidate sulla mia veloce trasformazione. Mio padre mi ha lasciato delle armi, potete portarmi anche le vostre. Contro l'esercito non bastano le zanne. Chiunque voglia avvicinarsi alla miniera potrebbe trovare una brutta sorpresa." Pensavo che sarebbe stato più difficile ma quasi tutti accettarono. I gemelli Wild partirono in perlustrazione, come lupi. Charlie era collegato a loro come una radio ricetrasmittente. Io invece sentivo qualcosa, nel bosco, qualcosa di tremendo come un mostro in lento movimento verso la città. Muss raggruppò i piccoli e insegnò loro il modo di tenere a bada i dolori della trasformazione. Dean era comparso dal nulla e prima di unirsi a noi, si fermò a parlare con lo sceriffo e con Muss. Il reverendo Preston, riempiva dei sacchi con cibo e frutta secca. La bufera di neve era diventata ancora più intensa e almeno il tempo ci aiutava a stringere e nascondere i pochi tesori di quel posto. Julie rimase con Ed. Non riuscivo a capirne il motivo ma lei mi guardò e capivo che la sua forza la nascondeva dietro i suoi occhi. L'amavo, ma dovevo ancora tacere. In quel fermento di preoccupazioni e problemi non c'era posto per i miei sentimenti. Julie invece era più brava di me, sembrava un pezzo di ghiaccio che mi sorbiva delicatamente dall'anima e non avevo modo di conoscere le sue reazioni. Ero solo io il ragazzo cui batteva forte il cuore? Julie taceva. Taceva troppo. La sua solitudine riempiva il mio vuoto e nessuno, nessuno avrebbe potuto comprenderla come la capivo io. Nemmeno Ed era stato in grado di dirmi perché Clain era diventato un mostro. Quando gli chiesi spiegazioni sulle ombre della parte opposta della montagna, non rispose volentieri. "La Haze è stata costruita dalla Miller & William nel 1837. La ferrovia ai tempi era un passo costoso e il villaggio di Berry, aveva bisogno di uno sbocco commerciale almeno verso Bricks Bay. Nel lungo inverno del 1837 sedici operai rimasti senza viveri, violentarono una ventina di bambini sulla montagna. I piccoli erano lì per l'apprendistato ma il loro supervisore, un certo Malcom Drix, vendette la notizia a quelli che per troppo tempo erano rimasti lontani dalla città. Gli uomini di Lot Berry a quei tempi cacciavano verso Black River e stavano lontani anche giorni. Mai avrebbero immaginano e anche se avessero sentito le urla dei piccoli, ci sarebbe voluto troppo tempo per tornare a soccorrerli. Dopo le atrocità subite, i bambini furono uccisi ma non in una maniera ordinaria, furono spolpati, le loro carni cucinate e poi mangiati. Le loro piccole ossa furono ritrovate sparse ovunque e il Popolo della Luna per vendetta, uccise tutti quelli che avevano partecipato alla costruzione della strada e per calmare la sua furia, arrivò persino in città dove gli stessi proprietari e le loro famiglie furono assassinati crudelmente. Un grande lupo straziò la piccola figlia di Miller finché sulle ossa non restò un pezzo di carne e il sangue fu fatto bere ai genitori. Si dice che la madre morì di paura appena la figlia esalò l'ultimo respiro. L'attaccante che compì quella strage si chiamava Ethan Hunt, un uomo famoso per il suo spirito violento. La città sconvolta da tanto terrore, chiuse i confini con Lot Berry e per anni tra le due città c'erano state delle guardie armate. Sui giornali si parlava di un popolo sanguinario che succhiava la vita agli innocenti, ma nessuno parlò mai degli operai sulla Haze. Ethan Hunt uccise la moglie a bastonate e per poco non divorò suo figlio che era ancora piccolo. Jeremia Hunt scappò da Lot Berry appena dopo l'apprendistato. Si diceva che aveva trovato delle grotte da dove potere iniziare la vita di un nuovo villaggio. Durante la sfida tra attaccanti Jeremia Hunt aveva perso contro suo padre. Eppure Ethan Hunt morì nei boschi. La sua testa penzolante a un ramo d'albero fu trovata da una donna di passaggio che si era persa nei boschi. Il Popolo della Luna stava vivendo gli anni peggiori della sua storia. La crudeltà degli attaccanti della famiglia Hunt aveva prodotto una diaspora selvaggia. Prima del millenovecento, più di un centinaio dei nostri, abbandonarono le regole e le tradizioni per vivere in perimetri più pericolosi dove avrebbero dovuto imparare a nascondere la loro natura. Più della metà finirono sotto gli artigli di Jeremia che a differenza del padre, le vittime le torturava con un piacere demoniaco. L'unica donna che lui e gli altri condividevano, era una specie di strega capace di prevedere gli eventi naturali. Rachel la strega, mise al mondo una decina di figli, tutti storpi, dei veri e propri mostri. Nell'ultimo grande inverno della sua vita, Jeremia li uccise e se li mangiò, tutti quanti i suoi figli, meno uno. Al suo maggiore di nome Sal, amputò le braccia che finirono col bollire in una pentola. Nonostante le ferite mortali, il bambino sopravvisse anche grazie alle cure della strega. L'anno dopo, in una delle sue prime trasformazioni, Sal usò le zampe per accecare il padre. Lui visse poco tempo nelle grotte perché seguì la madre malata all'altro mondo, durante un attacco contro il popolo della luna. La morte dell'intera famiglia Hunt aveva prodotto un erede. Madre e figlio avevano concepito contro natura un essere mostruoso che nessuno avrebbe mai visto che però aveva il dono della conoscenza. La strega gli aveva passato i suoi poteri che nemmeno io conosco, e il padre, gli aveva insegnato quanto minimo fosse il valore di una vita umana. Nessuno conosceva il suo nome ma tutti noi lo sentivamo sulle montagne. Era un'abominevole ombra che seguiva, spiava e cacciava le prede più facili. Nessuno riusciva a dargli una forma, era comunque uno di noi e per di più un attaccante, ma i suoi poteri forse erano in grado a tenerlo fuori portata dalle nostre cognizioni. Il figlio di Jeremia non è mai morto, almeno è quello che io credo e credo anche che Clain, il giorno in cui scappò sulle montagne, lo abbia incontrato." In teoria ci sarebbe un altro Muss con meno anni ma con certe capacità che hanno aiutato i ribelli di Clain a seguirlo. Cominciai a pensare che nemmeno le miniere fossero sicure. Qualcuno probabilmente ci stava aspettando e con metà della gente catturata dall'esercito e l'altra metà sparpagliata per i boschi, il Popolo della Luna non avrebbe avuto scampo e sarebbe stato annientato. Erano tante le cose da dire e da fare ma ero stanco. Il mio fisico, abituato ai farmaci e agli antidolorifici, cominciava a sentire il dolore della trasformazione. Sapevo che mi avrebbero considerato un pazzo ma dovevo fermare i preparativi per la miniera. Portai i bambini più piccoli nella tana di Muss e aspettai che Ed tornasse. Forse mi ero addormentato perché sognai mia madre che mi portava il latte ed io la guardavo come si osservano gli angeli nei dipinti. Mia madre era con me, anche se non parlava e sarebbe stato magnifico continuare a pensarla ma lei si trasformò in un lupo e la prima cosa che fece, fu saltarmi a collo per azzannarmi. cercai di svegliarmi, due piccoli occhi mi fissavano incerti. "Bu!" La piccola spaventata andò a nascondersi in mezzo agli altri bambini che ancora svegli, mi guardavano cercando a loro volta delle risposte. Pensai a un bagno caldo. So di essere stato egoista ma mi sentivo sudicio e indolenzito. Una parte di me sarebbe scappata lontana mentre l'altra sarebbe rimasta a combattere i fantasmi e gli orrori di Lot Berry. Ed era salito e con lui c'erano Hooper, Clarence, Molly e Preston. I quattro anziani del paese, vennero da me e intuivo che volessero delle conferme. "Devi andare via. C'è un furgone dall'altra parte della montagna e una via che costeggia il Black River; la strada ti porterà sulla statale per Cleveland, nel furgone c'è il pieno di benzina, disse Hooper, ma fai attenzione a non fermarti, potrebbero raggiungerti. Se all'imbocco della 76 ci fossero i soldati, non devi fare altro che aggirare di seicento metri la strada principale, c'è un sentiero ma è abbastanza largo." "Io non vado via. Non c'è tempo per scappare e guardateli, sono impauriti. Non meritano questo. In città guardiamo così quelli che stanno morendo ma loro sono vivi e devono pensare a un futuro più allegro. John mi ha lasciato i suoi file. La sua ricerca su me e pensava di darla al governo, non so perché. Noi faremo così: daremo al governo il loro giocattolo e in cambio loro ci aiuteranno a scovare Clain, in fondo, i mostri della montagna sono un male comune." "Mal comune mezzo gaudio. " ripose Ed che si stava raccogliendo i capelli sporchi di fango. "Ed sai di piscia d'animale e sterco di cavallo." "Bravo ragazzo, mi ripose; hai afferrato al volo la mia idea, la qui presente Molly ha offerto il suo bestiame in sacrificio per una buona causa. Con tutti quei cadaveri e con quel sangue, Clain e i suoi saranno disorientati. La loro fame vincerà sull'intelletto e noi guadagneremo un giorno, forse due. Nelle miniere andranno i guardiani e i difensori a piazzare delle cariche, le ultime rimaste allo sceriffo dalla notte dei tempi e da un carico di contrabbando dimenticato in strada da sconosciuti." "Penso che andrò a parlare con Julie." Ed mi stava fissando come se avesse già capito tutto. "Non ha più paura, ragazzo, ma è sempre ferita ed esporla potrebbe metterla in pericolo. Il suo apprendistato è alla fase iniziale, anche se ha un talento per molte cose che noi non potremmo apprendere nemmeno dopo due decadi di allenamento. Lei fiuta la paura del fratello e sa che qualcosa lo sconfiggerà ma sa anche che il prezzo di tale vittoria è alto. Julie deve riposare, Matt." "Julie non deve restare sola. Lui riesce a trovarla quand'è sola."
Mentre molti si persero nella foresta per vigilare vicino ai recinti, gli altri restarono con i piccoli che stanchi e impauriti si addormentarono in una tenda improvvisata vicino al fuoco. Io, Charlie e Dean tornarono in città. Dean non aveva molto da dire su suo padre che era un uomo molto freddo e aveva lasciato la madre quando lui era ancora piccolo. Dean non voleva nemmeno conoscerlo ma capiva che poteva esserci utile. Julie era tornata a casa con Clarence. Aveva perso la madre e Cristina e non le restavano molti amici. Chiesi a Mina e ai suoi fratelli di restare di guardia fino al mio arrivo. I militari avevano piazzato una decina di riflettori intorno alla scuola, evidentemente i prigionieri erano stati ammassati dentro. Alcuni soldati trafficavano con tavole di ferro e sistemavano una piattaforma per lanciamissili. Jack Duzzer non stava scherzando, aveva intenzione di ripulire la città dai mannari oppure di festeggiare con la grande artiglieria il suo prossimo compleanno. In fondo la città era già stata rovinata dall'incendio appiccato da Clain e a parte, i viveri stoccati nella miniera, c'era ben poco da rubare. Avevo un piano. Volevo usare il progetto di John per capire a cosa potesse servire. La sua era stata ricerca dettagliata fin nei minimi particolari con dosaggi precisi di farmaci e le mie reazioni. C'era qualcosa sotto di molto importante e loro avevano aspettato il mio arrivo perché servivo in quel posto e non in città. Stavo camminando lungo la corsia ghiacciata della strada dietro la scuola. Quando mi trovarono i due soldati, avevo lo zaino con tre cose dentro: il portatile di John, Signor Morte e la spara chiodi. Sapevo che non mi sarebbe servita ma la tenevo per nostalgia, nella speranza mi fosse stata utile in qualche modo. Ero giunto alla Camera Nera, così si chiamava il blindato, dove il generale mi stava aspettando con del caffè fumante su una scrivania lucida e assente di fogli. La camera del blindato era insonorizzata e sicuramente preparata per la forza di un mannaro che avrebbe cercato di distruggere tutto, pur di liberarsi. Il soldato gli consegnò il mio zaino e restai in piedi, nonostante mi fosse chiesto di sedermi. "Allora Matthew? Eccoci qua, finalmente ci si conosce. Vedo che hai preferito la soluzione più intelligente. Grazie." "Dov'è John?" "Se lo sapessi, non sarei qui. Ma mento, io sarei qui comunque perché tu sei indispensabile al tuo paese. Già ragazzo, tu sei nato per migliorare e resistere a questa decadenza e miseria." Non avevo intenzione di rispondere. Avevo calcolato circa duecento soldati e tutti armati fino ai denti. I recinti erano stati disattivati quindi Clain e i suoi mostri sarebbero potuti arrivare in qualunque momento, o forse no se avesse raggiunto un accordo con Duzzer. A qualche gioco stavamo giocando? Perché non sterminare tutti i licantropi? "Dean Duzzer è là fuori perché non vai a salutare prima tuo figlio. I tuoi figli muoiono e tu non ti degni nemmeno di venire al loro funerale." "Già, mi è rimasto solo Dean ... Ci sono bestie orribili là fuori e i miei figli non hanno imparato da quale parte schierarsi." "Non abbiamo mai trovato l'assassino di Rob. Non t'importa perché è morto tuo figlio?" Avevo l'impressione di scorgere tristezza nei suoi occhi ma fu solo un attimo, cancellato velocemente dalle sue mani che digitavano qualcosa sul pannello di controllo del blindato. "Jack Duzzer sei disposto a fingere di non avere un figlio pur di rispettare la tua uniforme? il tuo paese sa che hai disonorato la tua famiglia? Che hai lasciato un figlio?" "Tu non sai niente di niente. Tu sei solo un esperimento." "Cosa?" Mi ero avvicinato a lui e sentivo un altro essere un me che bruciava dal desiderio di staccargli la testa. Io non volevo essere quella bestia. Calmai il respiro, anche se dei pensieri strani mi avvolgevano come una nebbia. "Jack Duzzer, potrei ucciderti senza lasciarti nemmeno il tempo di un secondo respiro ma fuori c'è tuo figlio e non ha colpa di un padre così." "Tu non mi ucciderai perché ti abbiamo educato. Non capisci che tu sei cresciuto fuori dalle regole del tuo popolo, proprio come volevamo? Tu sei un esperimento, un buon esempio per le bestie là fuori." "Che stai dicendo?" "Che John, tuo padre, ha fatto con me un accordo. Tu saresti servito per aiutare il genere umano. Non potevamo farli diventare tutti licantropi e poi, come gestire la forma animale che in voi scoppia già in tenera età? Ho visto mio figlio, era irriconoscibile sotto quel pelo e le zanne poi. L'umanità non può lasciarsi sopraffare dalla bestialità ma la brutalità potrebbe generare una nuova immunità, una difesa che voi mannari, avete dalla nascita e non vi fa ammalare. Come vedi il mistero è stato risolto." "E cosa ne sarà della gente di questa città? Che cosa cercate?" "In verità, tuo padre è davvero scomparso e la ricerca non sarebbe finita col vostro arrivo. Ci sono dei passaggi che vanno rispettati, come dire, esaminati. Il controllo è sicuro fino ai primi anni dell'adolescenza ma poi, c'è qualcosa in voi che vi chiama a riunirvi, a cercarvi e se ostacolata, il soggetto morirebbe sotto dolori tremendi. Tu sei qui per provare che fino in età adulta la medicina riesce a controllati e tu non ti trasformeresti perché, e questo è un altro lato positivo della tua storia, ti abbiamo insegnato la paura e la il degrado della tua specie. Dipende solamente da te essere un uomo o un animale. Noi non t'impediamo la scelta ma se la tua resistenza alla bestia è così forte, allora il genere umano potrebbe trovare nel sangue del licantropo la soluzione alla trixradiocellsleepturgiens una terribile malattia di cui non riusciamo nemmeno a pronunciare il nome. Tu non sei il ripiego ma la casa per cui l'esercito ha aiutato questa gente per decenni. Non ci interessavano né il loro pesce né i cavalli ma solo tenerli buoni fino al tuo arrivo. L'attaccante, così ti chiamano? Il Capo per l'eccellenza. Uno che dentro di se un lupo ma che disdegna conoscerlo. Tu sei la migliore lezione ed esperienza della mia vita." "Sei indegno di essere padre." "Io ho figli quanta è la gente di questa nazione e forse di tutto il mondo!" urlava lui battendo il pugno sulla scrivania. "Non credo che John abbia voluto questo ma anche fosse vero, tu ora sei qui e mi devi dire in faccia cosa intendi fare con la gente di Berry." e il pugno con una forza sovrannaturale spaccò in due il tavolo che si piegò lasciando cadere ovunque i cocci di vetro. "Sapevo che non sarebbe stato facile. Ma sai benissimo che la cosa che più ci tocca quando diventiamo prigionieri, è l'affetto per qualcuno di caro o molto vicino a noi." "Cosa stai cercando di dire?" "Che ho quasi quattrocento prigionieri che potrebbero bruciare, morire in modo orribile se non collaborassi come noi vogliamo che tu faccia. E se io ti dirò di inginocchiarti, tu lo farai! E se io dirò di baciarmi i piedi, tu lo farai!" "Non oserai tanto. Tieni me, ma lascia andare quella gente." "Sono dei mostri Matt. Degli orribili trasformisti che potrebbero stare bene solo in un museo degli orrori. Adesso prenderai ancora le tue belle pilloline, che io lascio qui per terra e attenderai i nuovi ordini. Ricorda Matt, il prezzo del tuo comportamento è in quella scuola. Tu fai il bravo e noi li teniamo in vita finché ci farà comodo. Io ordino e tu esegui! Capito?" Non aspettò che prendessi le pillole. Uscì calpestando i cocci di vetro e uno dei miei piedi. Duzzer non era uno di noi, era un uomo che aveva scoperto il segreto del Popolo della Luna e aveva cercato di usarlo per se e per i propri scopi. L'unica cosa cui potevo pensare era che il mondo non aveva bisogno di geni che gli ricordassero, quanto fosse nella merda.
11 Innamorato Il tempo aveva smesso di fare girare le sue stanche lancette. Jack Duzzer con la sua arroganza si era portato via il portatile, lo zaino e la spara chiodi ma non Signor Morte. Era caduto probabilmente quando avevo colpito il tavolo e stava in piedi in un angolo del blindato come se mi dicesse: coraggio che aspetti! Il mio magro amico con la falce pronta per l'attacco fissava ogni cosa e allora lo feci anch'io. Cominciai a fissare la parete che non aveva nulla da dire ma liberava la mia mente da pensieri inutili, dai dubbi, dalla rabbia e dall'impotenza. Sentivo di essere sulla frequenza del vento, ero fuori e potevo immaginare l'aria frizzante e i fiocchi di neve; spostandomi un po' potevo percepire le voci di quelli ancora svegli nella scuola e persino i tremiti dei bambini rimasti imprigionati con loro. Sebbene le mie ossa cercassero di spaccarsi da dentro e il dolore pungesse contro il torace, mi sentivo libero dalle catene di una ragione umana che mi proibiva di immaginarmi diverso da quello che ero sempre stato. Più io fissavo la parete scura, più lei allargava nella mia mente, gli orizzonti e i boschi sembravano reali agli occhi dentro del lupo. Viaggiavo oltre i recinti e in un punto sopra la miniera vidi un'ombra gigantesca fissarmi con due fessure diaboliche, Clain un diavolo che dirigeva quel gruppo di mostri, anche loro con bisogni diversi dal Popolo della Luna. Il mostro che si muoveva a piacere tra le ombre e con la notte e che tormentava la montagna con la sua perversa dittatura. Un lupo astuto e un uomo malvagio, due entità fuse in una creatura che poteva ancora fare del male. Tornando indietro, verso la città, riuscì a captare i pensieri di Ed e di Clarence, entrambi cercavano di mandarmi un messaggio, Julie era scappata. Me l'ero immaginato o era vero? Julie stava venendo in città da sola e per salvarmi. Persi il contatto con quel mondo lupesco e ignoto. Speravo che Charlie più di me, percepisse la follia di Julie di allontanarsi dal gruppo. Da solo non sarei riuscito a fare molto. Anche se mi fossi trasformato, loro erano lì ad aspettare che succedesse. Avevo bisogno di un diversivo e Clain poteva essere l'elemento di disturbo. C'era da valutare anche la gente nella scuola e da sperare che i mostri di Clain non fossero interessati ai boschi intorno alla miniera dove avevamo nascosto i bambini. Chissà se anche Clain riusciva a leggermi nella mente perché se fosse stato vero, ero fottuto. Ero ancora in piedi quando il blindato di colpo si rovesciò. Mi ritrovai pezzi del tavolo in testa e vetri confitti nelle braccia, ma non sentivo dolore. Gli spari provenienti da fuori non erano rassicuranti. Se fossero venuti a salvarmi non avevano pensato che avrebbero messo in pericolo anche gli ostaggi. Il trambusto all'esterno era diventato una vera e propria battaglia. Cose saltavano per aria e le grida dei soldati erano così forti da coprire quello degli spari. Mitragliatrici in funzione operavano a pieno ritmo ma sopra il capo, sentivo il peso di corpi molto più grandi degli uomini. Il Popolo della Luna era arrivato. Qualcosa continuava a colpire con forza contro la parete che prima di piegarsi fece un rumore triste, di lamiera piegata. La lamiera si spezzò e la zampa che era riuscita a penetrarla, mostrava degli artigli lunghissimi. "Ciao Matthew. La cavalleria è arrivata." Il muso soddisfatto di Clain, ancora più mostruoso dei miei più cattivi incubi, entrò dal buco nel blindato. "Vieni fuori. Mia sorella ti sta aspettando." Non riuscivo a parlare. Era di una forza indescrivibile. Appena riuscì a trascinarmi fuori, afferrò il blindato e lo scaraventò contro l'articolato dell'esercito che produsse un boato simile alla detonazione di una decina di bombe. Lot Berry bruciava mentre la neve cadeva con la sua solitaria e inviolabile dolcezza. Le ombre dei giganti volavano tra le case, tra gli alberi e persino in mezzo ai soldati terrorizzati. I mostri inseguivano gli uomini con mitra e con lancia fiamme che avremo mai potuto fermare, nel frattempo le ombre erano aumentate. Vedevo il bene e il male insieme, ma non contro una causa comune ma a darsi battaglia per vecchi rancori e nuovi problemi. Clain combatteva contro i soldati e il Popolo della Luna, i soldati combattevano contro tutti i mannari e il Popolo della Luna combatteva contro i fratelli ribelli e contro gli invasori armati. Clain era svanito ma Julie, stava davanti a me, con le mani insanguinate e le gambe ferite. Non era riuscita a trasformarsi, o sì? Corsi per raggiungerla ma Clain fu più svelto e la afferrò per la vita per poi spingerla contro il muro di una casa. Julie rimase a terra con la faccia e col corpo sepolti dalla neve. "Perché?" domandai a Clain. "Perché lei ha qualcosa che mi appartiene." " E non puoi chiedergliela? E' tua sorella!" "Sempre un gentiluomo, eh? Un perfetto ragazzo educato al rispetto e all'altruismo." "Lasciala stare. Farò quello che vuoi." "Con te facciamo i conti dopo. Adesso vado a prendermi la mia razione di sovrannaturale." "Non da Julie. Ti prego Clain, se hai ancora qualcosa di umano, fermati. Fermati o ..." Clain era lontano ma mi aveva aver sentito, come tutti loro erano capaci di fare, tranne me. Alzò il capo per annusare l'aria e mi mostrò sotto la luna, gli artigli della sua mano destra. "O cosa? Cosa Matthew?" "Ti ucciderò. Non ti lascerò toccare ancora Julia." "Allora fermami Matthew!" In me la bestia grattava, si svirgolava, artigliava ma io non la liberavo. Ero pronto a morire? Non saprei. Il Signor Morte aspettava quieto nella mia tasca. Aspettava me o il lupo? Probabilmente col lupo avrebbe avuto un dialogo maggiore, tra esseri innaturali ci si capisce maggiormente. La carica di Clain che aspettavo, come un uomo legato ai binari del treno aspetta la sua fine, anche se mi fosse stata fatale, non avrebbe avuto la forza e la paura che sentivo per Julie. Con la mia morte forse avrebbe avuto il tempo per fuggire, per nascondersi. "Non ho paura di te Clain." sussurrai e attendevo che il suo salto sopra il mio capo mi finisse ma nuovamente si fermò. Aveva capito. Il mio punto debole non era il mio corpo, la mia fine, la morte totale nel dolore più profondo ma la perdita della cosa più fragile e preziosa del mondo che mi era rimasta, Julie. Lui aveva captato quell'attaccamento verso la sorella quasi impossibile umanamente ma reale e forte come il battito che ancora sentivo nel petto. "Julie, eh? Quando sentirò il gusto della sua carne, ti comunicherò quanto ti poteva essere affezionata." "Non credo proprio Clain." Un lupo grigio si avventò sul gigante senza temere gli artigli che quest'ultimo faceva ballare come vortici. "Il nemico del mio amico è anche mio nemico." "Sei pazzo Alvin se pensi di potermi uccidere da solo. Appena vi avrò ucciso, darò in sposa la mia sorellina a uno dei miei amici e faremo festa tutti insieme, come in una bella famiglia." Clain sentì la mia rabbia friggermi lo sguardo. Sapeva che molte delle mie azioni incontrollabili mi avrebbero reso più fragile e mi sarei lanciato se Alvin non gli avesse replicato. "Ucciderti non riuscirei, ma guarda questo e gli mostrò un lanciamissili che puntava sul suo torace." "Sei sempre di carne Clain. Anche i tuoi poteri devono soggiacere ai tessuti e alla pelle. Adesso scusa l'incontinenza ma devo aiutare un amico." Gli apprendisti erano entrati nella scuola e stavano liberando i bambini che fuggivano assieme a Mina verso la miniera. Si erano strasformati tutti per essere più veloci. Solo io e i pochi soldati superstiti, ero ancora umano. Alvin lasciò che il suo odore incipriasse il capo di Clain che ululò per la rabbia, facendolo allontanare assieme alla sua legione di disperati.
Tutti i difensori, credo, erano schierati intorno ai blindati e alla scuola. Il buio, la neve e la confusione proteggevano i nemici. I guardiani erano rimasti con i più deboli e con gli anziani perché il loro compito era soccorrere le donne e i bambini mentre io cercavo risposte che non avrei compreso nemmeno se me le avessero date. La città era uno stropiccio di mattoni e calce, di odori di fumo e legna bruciata e chi non ce l'aveva fatta, soldati o lupi, erano sparpagliati come pezzi di un domino disordinato. I soldati scappavano anche loro nei boschi e Dean Duzzer, superstite e ferito, sorreggeva il reverendo Preston cui mancava un pezzo della mano destra. Gridai a quelli ancora sani di cercare Bollinger. Hooper era appoggiato a un muro e sembrava molto più vecchio della sua età. Eravamo tutti privati e se ci avessero attaccati in quel momento, sono certo che ci avrebbero annientato. Julie era scomparsa. Mi sentivo un perdente, qualitativamente inferiore sia agli uomini sia ai lupi. Lasciai il blindato e la zona della scuola per cercarla. Chiusi gli occhi e mi concentrai. Sapevo che il mio pensiero umano, non era forte quanto il loro pensiero. Non avevo imparato nulla e in quel momento essere lupo mi avrebbe fatto comodo.
Lot Berry bruciava sommessamente. L'inverno ci copriva tutti e rafforzava solo chi voleva nascondersi, i boschi erano vasti e quasi impenetrabili. C'erano punti, tra le rocce che raggiungevano anche i tre o quattro metri di neve e pareti di ghiaccio intorno alla miniera dov'era impossibile arrampicarsi. Berry era il confine tra il limite naturale umano e la forza straordinaria dei licantropi, la sfida al mondo reale con forze e qualità prodigiose. La mia impressione era che la città assorbiva qualcosa dagli esseri che la popolavano, una scintilla aliena che la rendeva viva, tanto da farla comunicare e interagire con qualunque cosa. La città diventava una banda ultraterrena per le comunicazioni telepatiche e restava in ascolto dei palpiti e dei pensieri di quelli che la abitavano, la combattevano o la volevano distruggere. I suoi guardiani, entità mute e silenti che raggiungevano i trenta e oltre metri, si ancoravano nel terreno con tentacoli intelligenti di radici che s'infiltravano in profondità come un'edera che succhia il sangue al proprio ospite. Alberi che guardavano la nostra morte e la nostra rinascita da chissà quanto tempo, ma Lot Berry era anche un tempio del mistero, una conca circondata da grotte e attraversata dai tunnel molesti della miniera oramai abbandonata, dove poter concentrare il materiale di sopravvivenza. Il cuore di Berry, era rappresentato da quegli uomini lupo che avevano adattato la propria cultura e i propri costumi al suo umore e al capriccio delle sue dure stagioni. Eterno interno o un'interminabile stagione di piogge, ecco cos'era la città. Limitarsi a considerare l'adattamento era come aprire un libro di astrofisica cercando di sfogliarne le pagine senza però comprenderlo. Berry aveva una connessione sempre aperta con chi la accettava. Si sintonizzava con le tue convinzioni e se erano giuste, le rafforzava, altrimenti ti battagliava dentro come l'animale di cui nascondevo la maschera. Avrei voluto avere maggior tempo per domandarmi chi fossi e perché sostituire soluzioni molto più maneggevoli in laboratorio. Eravamo riusciti a riscrivere il Dna e giocare con i geni perché non creare un essere perfetto senza imbrigliarlo in filosofie di vita e una famiglia di attori? L'amore era diventato un surrogato di giustificazione contro gli abusi sull'umanità. Avere compassione e lottare o manipolare erano diventate la forza prioritaria per scienziati come John? Provai a chiamarlo. Se i soldati erano a Lot Berry, significava che anche i loro satelliti erano presenti. Il suo cellulare squillava ma non rispondeva. Forse avrei potuto localizzarlo ma a quel punto ebbi l'impressione che dovevo solo aspettare, sarebbe arrivato lui da me. Julie mi sembrava lontana anni luce. Trovarla sarebbe stato impossibile e da solo, nemmeno con l'immaginazione. Se io non l'avessi cercata, non l'avrebbe fatto nessuno. In fondo lei era una delle tante vittime di quella guerra. Muss poteva essermi d'aiuto e forse un'armata se la ricerca doveva svolgersi sul territorio di Clain. Ma le mie riflessioni avevano un nuovo nemico. Un secondo reparto di militari in arrivo dalla Haze, aveva preso posizione al centro della piazza del municipio. I feriti che non si poterono muovere, accettarono di restare prigionieri e infiltrati allo stesso tempo. I lupi erano svaniti, erano nuovamente tutti umani. Alvin arrivato dalle spalle, mi trascinò per il braccio verso il sentiero della foresta. "Vieni fratello. Hai bisogno di aiuto e non solo morale." "Dove stiamo andando?" "Al tuo Apprendistato." "Ti sembra il momento?" "E' il momento migliore, invece. Hai bisogno di capire chi sei per aiutare la tua amata. Come uomo vedi, non vali molto, sei lento, non comunichi con gli altri e non potresti usare il tuo dono, mentre da lupo, eheee, da lupo potresti sparare fuoco dal culo e non lo dico come metafora. Smettila di farti tante paranoie, ragazzo! Trova l'attitudine giusta e demolisci le paure dell'ignoto. Siamo in molti a sostenerti e dovresti già averlo capito. Noi siamo ancora vivi e non sopra il tavolo di un laboratorio perché restiamo uniti. Non lasciamo mai indietro un ferito, un amico e nemmeno un nemico. Noi possiamo attraversare qualunque apocalisse solo se ci sosteniamo l'uno con l'altra. Tu non sei solo, Matthew e noi abbiamo bisogno di te. Spazza via quella vecchia polvere dalle paure, riempi i tuoi polmoni di aria nuova. Tu sei un uomo nuovo, sei migliore e noi lo sentiamo. Avanti ragazzo, avanti tutta!" La morte non mi ossessionava più. C'era una ragazza nella mia mente e per quanto vasta, lei la occupava tutta. Se dovevo essere straordinario per lei, ero certo che lo sarei diventato. Non volevo fare l'eroe ma difenderla dal male che si consumava tra le foreste di quella montagna. Io ero uno di loro, uno con l'ululato congenito ma non facile. L'amore mi cambiava e sentivo aprirsi quelle porte che per orgoglio avrei tenuto volentieri, chiuse. Nella mia illusione, la sentivo tremare e il suo profumo diventava una droga o peggio, un afrodisiaco da cui non riuscivo a scappare. Ero il suo prigioniero. Lei non sapeva e forse non l'avrebbe mai saputo ma quanto era triste combattere le ombre di un fratello sanguinario di cui avrebbe dovuto fidarsi. Potevo fuggire, per sempre, allontanarmi da lei e da quel mondo fantastico con creature indecifrabili e difficili ma sapevo che sarebbe stato come strapparmi il cuore dal petto. Il mio stomaco brontolava e non per la fame. La fame era un altro punto angoscioso dei licantropi. La bestia dentro, quando si sentiva affamata scalciava come un puledro selvaggio e tu dovevi nutrirti e nutrirla con sangue crudo o con medicine capaci di sedare quell'elefante imbizzarrito. No. La mia fame era di una certa cosa che era impossibile catalogare con le parole. Una cosa che non cercavo ma che mi mordeva, mi masticava e mi divorava dall'interno. Julie era la mia cannibale e la mia canzone preferita. Era il mio torrente ribelle e fresco e il mio orizzonte, dove guardare l'alba o il tramonto. Alvin non si sbagliava, io dovevo diventare quell'essere che avevo sempre combattuto dall'interno. A forze pari non sarebbe stato difficile sfidare Clain e la montagna sarebbe diventata un po' meno inaccessibile di quanto lo fosse stata per un uomo. La fatica di resistere al freddo, alla neve, ai piedi umidi e alle mani ghiacciate era nulla al confronto di quello che mi aspettava. Ascoltare ancora lo spezzarsi dei tessuti, delle ossa e il boato del cuore che raggiunge le sue massime dimensioni per pompare più sangue a un essere due volte più grande, era ancora meno doloroso del torace che si apriva fino allo spasmo per uscire gli arti dell'altro me stropicciato all'interno di una scatola di carne appena la metà delle sue dimensioni. Il freddo era un nemico molto più debole del licantropo. Quello mi voleva strappare la carne per trovarsi libero e prendere il controllo di tutto, della mia mente e del mio corpo. La battaglia tra me e il lupo dentro, era solamente all'inizio ma avevo bisogno di lui. A Lot Berry, Matthew Brightman doveva essere l'Attaccante e ciò cui per natura era destinato. A Clain, Jack e a John, avrei pensato dopo. Alvin correva ma non come un uomo e stare al suo passo era difficile. Avevo trovato un amico e non mi ero reso conto quanto fosse stato importante il suo supporto. Mentre cercavo di saltare i rami rotti dal passaggio del mio amico e di riscaldarmi come meglio potevo, pensavo al piano di Clain che aveva atteso tutti quegli anni per impossessarsi di qualcosa che solo i morti possono donare, la loro anima. Il Popolo della Luna non solo custodiva bene i propri segreti ma li rendevano ardui da condividere. Se fosse stato facile, avrei ceduto volentieri la mia forza a chiunque l'avesse reclamata. Da lontano, potevo vedere i bagliori dei riflettori del nuovo reparto giunto in soccorso a Duzzer. Sarei tornato indietro ad aiutare gli altri ma Alvin mi chiamò dal bianco della foresta che lo nascondeva, dovevamo proseguire se volevo salvare Julie. "A loro, ci penseranno gli altri. Molly e Mina sono esperte e hanno una certa saggezza, conoscono tane e possono fare trappole con i nascondigli, questa volta, gli sciacalli non ci troveranno impreparati. Vedi, una volta la gente avrebbe fatto follie per il sesso, per i soldi o per la carriera ma da quando il mondo è andato a puttane, ci si azzuffa per un pezzetto di montagna e per la pelle di un lupo. Fratello, l'uomo non smette di fare la guerra a tutto ciò che respira solo perché ha sbagliato il passaggio per il Paradiso. Qualche anno fa, uno come Clain l'avresti comprato con qualche progetto milionario di una spa in mezzo ai boschi, qualche anno fa Duzzer avrebbe pensato di ritirarsi in pensione dalle nostre parti, sperando di fare il nonno se i suoi figli lo avessero perdonato. Il mondo è una merda con e senza diamanti, l'unica cosa che lo rende vivibile è l'amore. Devi amare ragazzo per sentirti vivo e devi condividerlo questo sentimento con la tua musa, prima che sia troppo tardi. La vita non è eterna, anche se l'amore lo vorrebbe. Il mondo girerà con o senza di noi e se ti permetti di stare troppo lontano dai tuoi sogni, rischi di perderne il contorno perché col tempo la mente dimentica, il riflesso della stella che prima di perdersi, inseguiva." "Ma allora sei un saggio?" "Mio caro ragazzo io ero un poeta anche prima di diventare adulto." "E quando ti è successo?" "Sfotti. Sfotti. Che avrai duecento metri di voragine in cui lanciarti." "Che significa?" "L'Apprendistato è solo questo. Aspetti per una decina di anni, anni in cui ti preparano ad accettare il pelo umido e puzzolente e quelle cosa che ti apre la testa per rifilarti delle zanne, prima di superare una sola prova: lanciarti dalla roccia del Capo del Diavolo in un corridoio stretto che arriva a un pozzo d'acqua profondo, Dio sa quanto. La cosa potrebbe sembrare facile ma quel pozzo nessuno ha mai capito quanto fosse profondo." "Basta saper nuotare." parlare era molto faticoso e la salita stava diventando una scalata per me e una gita di piacere per Alvin che saltava come un ragazzino agile e leggero." "L'acqua di quel pozzo è un mulinello, un vortice che ti porta giù. Nessun umano potrebbe sopravvivere." "Che vuoi dire?" "Che se non ti trasformi, affoghi." "E se non mi potessi trasformare?" "Qualcuno ti aiuterà. Dipende se si accorge della cosa. Perché non possiamo aiutarti finché non riemergi per chiedere aiuto o per salire. E' la regola." "Fidati che un nuotatore uscirebbe da qualsiasi pozzo." "Se lo dici tu." "E appena esco dal pozzo che faccio?" "Una piccola battaglia con il tuo sfidante, il tuo doveva essere Julie ma vedremo. Essere un Attaccante non comporta medaglie o altro ma è un atto di coraggio che dimostri a te stesso. Sai che ce ne frega che tu sappia o no, nuotare." "Smettila." "No, fratello. Lo dico sul serio." "Le regole che dimostrano il tuo coraggio non sono mai state scritte, è una leggenda o meglio, una tradizione che si tramanda e cui noi crediamo." "E i doni? Che sono i doni?" "E' come dire ... il tuo bagaglio culturale. O ce l'hai o non ce l'hai. Questo dipende dai tuoi genitori. Se hai un talento, vedrai che uscirà fuori prima o poi." "E se non dovessi averlo?" "Direi che Clain è un idiota a dare la caccia a uno che fa fatica a trasformarsi e per di più non ha alcun talento. No, fratello se quello t'insegue e perché desidera possedere quello che tu hai ma nessun altro possiede." "Perché nessuno di voi l'ha fatto fuori quel criminale?" "Pensi che nessuno ci abbia provato?" "Lucinda è l'ultima." "Sua madre ha provato a ucciderlo?" "Diciamo che ha voluto portarlo a casa con le buone ma quando il ragazzo ha dato segni di vera follia, ha provato anche con le maniere cattive. Clarence l'ha sfidato e ha recuperato solo una zampa rotta. Hooper ha perso due dei suoi uomini, padri di famiglia. Se vuoi, più tardi ti faccio un elenco." "Dimmi che siamo arrivati." "Se tenessi un po' di zampe più robuste e del pelo che non ti faccia tremare come una foglia, la cosa si velocizzerebbe." "Vorrei vedere te con i piedi ghiacciati, dove penseresti si salire?" Alvin scese in un attimo e lo trovai dietro il mio orecchio. "Se tu provassi a diventare un lupo, potremmo procedere senza fatica o dolori." "Sbaglio o è razzismo?" "Tu faresti le coccole a una pulce che t'irrita dicendoti che è faticoso succhiare il sangue a un elefante?" "Attento che ho i miei artigli." "Bisogna vedere. Accelera il passo che ci perdiamo la festa. E' quasi tramonto e non intendo passare la notte a fissarti mentre annaspi nel fango ghiacciato." "Ho il mio orgoglio. Dammi pace, amico." "Fratello, non basterà un po' di piscia a tenere lontano Clain. Potrebbe essere già qui e noi non sentirlo. Conviene che davvero ti sbrighi. Vorresti essere preso in braccio?" "Prova a farlo e ti mordo la lingua." "Basta parlare!" Alvin era sopra la mia testa a circa quindici metri di altezza. "Sali!" "E come? E' una parete di ghiaccio!" "Sali, giovane Brightman, provami che la paura è solo una piccola ombra sotto i tuoi passi. Dimostrami che ho investito bene in queste due decadi." sentì la voce del nemico incitarmi. Jack Duzzer stava fumando il sigaro, quando uscì con tre dei suoi uomini da sotto un albero. Avevano persino, una lancia missili e due mitragliere che avrebbero potuto deforestare la montagna. "Conviene che dici al tuo amico di stare buono altrimenti diventa una bistecca per i gatti selvatici." "Matt, odio i gatti, hai capito. Tutto ma non i gatti." "Stai tranquillo Alvin. Loro sono qui per me." "Ciao figliolo." Mio padre si stava avvicinando ma non aveva segni di lotta o manette che dicessero di essere stato prigioniero. "Cosa c'entri tu?" "Io volevo solo tranquillizzarti. Tu non sei una cavia. Solo che abbiamo pensato di aiutare tutto il genere umano. Perché non usare la forza che è insita in noi? Perché non creare un dna capace di cancellare i difetti e i rischi portati dalla malattia. Io ero troppo vecchio. Avevo provato all'inizio ma con un neonato è più facile. Il tuo corpo aveva reagito bene ai farmaci e tu non ti sei trasformato come tutti farebbero prima dei dieci anni. Tu hai salvato l'umanità e la scienza ha salvato te." "Tu mi hai usato? Papà?" "Non è così e lo sai." "Mi hai negato la verità per tutti questi anni. Mi hai fatto sentire un malato, uno pieno di fobie verso gli animali ma in verità, la bestia ero io. Mi hai drogato dall'infanzia. E mamma? Anche lei sapeva?" "No. Lei era un'umana che pensava solo al tuo futuro. Non aveva mai veramente capito il Popolo della Luna anche aveva intuito certe stranezze. Non devi prenderla così. Sei stato un bambino precoce. Intelligente. Hai solo interpretato certe informazioni che ti arrivavano correttamente ma non capivi perché." "E adesso cosa vorresti?" "Dobbiamo vedere la tua trasformazione e capire se ha funzionato tutto. Una volta trasformato il tuo sangue sarà ancora più forte e questi geni li trasmetteremo alla base, dove altri come me, lavorano al progetto." "Un progetto? E Clarence allora e tua madre morta? Nemmeno di loro t'importava?" "Brave persone che non mi avevano mai capito. A loro bastava la vita sulle montagne a me no. Avevo molte idee e non potevo vivere da recluso tra quattro rocce e miglia di chilometri quadrati di boschi impraticabili." "Mi sembra un pessimo film horror. Hai recitato per tuo figlio la parte del padre premuroso mentre mi tenevate sotto controllo." "Io non sono le tue chiavi del Paradiso. mamma è morta per colpa tua e nonna e quanti altri sono morti per i vostri stupidi giochi? Tu non sei Dio, John. Tu sei solo un miserabile uomo e forse anche un miserabile lupo." "Vedremo ragazzo. Jack?!" Duzzer avanzò di un paio di passi e chiese ai soldati di portare la ragazza. Quale ragazza pensai? Julie? I capelli arruffati le cancellavano il viso. Avrei voluto vedere i suoi occhi e sentivo il mio cuore battere forte. Non era stato Clain a portarla via? Clain aveva altre ragioni per volermi morto e non gli interessava più la sorella? Era un bene. Meglio un nemico sincero che un amico falso. Eppure non era Julie. Anche questa ragazza era magra ma Julie aveva un modo speciale di stare eretta, era come se imponesse la sua presenza, come se attirasse involontariamente l'attenzione su di sé. Questa ragazza la conoscevo, però. Era quella che mi aveva incriminato della morte del suo fidanzato. "John, dimmi che sei loro prigioniero e che ti hanno obbligato? Dimmi che non hai fatto del male a tuo figlio per tentare di salvare il genere umano, lo stesso che tu hai contribuito a cancellare? John? Sono Matthew. Sono tuo figlio! Ho il tuo sangue nelle vene. Uccidimi ma dimmi che è stato un obbligo." inabissato John cercò di raggiungermi ma Duzzer gli disse di fermarsi. "Io forse ho sbagliato ma non c'era altro modo per aiutare gli altri. Tu sei nato con un dono, lo sappiamo tutti, anche il Popolo della Luna lo sa. Hai il dono di assorbire tutti i ricordi della nostra gente e di usarli e di mantenerli nella tua memoria. E come se nessuno di noi morisse mai. Sai cosa significherebbe? Che sapresti essere qualunque cosa tu voglia: un ingegnere, un giardiniere, un astrofisico, un pilota, un marinaio, un insegnante di arti marziali, qualunque cosa. Tu sei l'esemplare perfetto. Quello che per molte civiltà rappresenta il Messia." "Un Messia con i piedi congelati e le mani rosse? Voi tutti e nessuno escluso, siete un bel gruppo di pazzi." Pensavo a Julie invece, lei era ancora la prigioniera di Clain, non sapevo se essere impazzire o sperare nella pietà di suo fratello. Una pietà che era scemata quando aveva ammazzato la madre. Sua sorella gli era utile ma era anche l'ultimo membro della sua famiglia. Speravo, deliravo, pregavo qualunque Dio abbastanza buono da risparmiare la vita all'unica ragazza che mi aveva preso a pugni il cuore e lo stomaco. "Dimostra che noi siamo tutti dei pazzi. Affronta la tua prova. Sei un Attaccante e questa cosa, alcuna medicina o pastiglia potrebbe cambiare. Buttati!" "Altrimenti cosa John?" "Altrimenti la ragazza che sappiamo, non significhi molto per te ma conosce qualcuno che ti è vicino ma che è stato rapito, diventerà l'ultima grande fiaccola in mezzo a questa foresta. Una vittima fragile e indifesa. Vorresti che un'innocente pagasse per te? Vorresti che Clain venisse a sapere che uno dei suoi è stato ucciso? Vedi anche noi sappiamo di certi problemi della città con i ribelli. Il Sindaco Clarence non è riuscito nel suo piccolo miracolo, di sistemare le cose. Tu ora devi farci vedere il corredo naturale." "Tu morirai Duzzer. E non morirai domani." "E' una cosa che senti come lupo? Perché se è una cosa che senti da lupo allora, ci sarebbero molte buone prospettive per aiutare quelli che davvero stanno morendo oltre i vostri stupidi e animaleschi confini." "Tu non temi nulla, vero? Pensi che con quattro o mille delle tue armi, riusciresti a distruggerci tutti, ma sbagli. Sei un uomo. Sei solo un po' di carne su un osso. Mi domando come mai John non ti abbia ancora masticato, lentamente, dalle budella in sù. Jack, fossi in te entrerei nel blindato e scapperei alla velocità della luce perché la battaglia cui asseterai sarà anche l'ultima che ti vedrà vivo." Eravamo sul delicato equilibrio di un momento drammatico. Alvin ed io sulla punta del Capo del Diavolo e due passi oltre, c'era una voragine paurosa con un punto scuro al suo termine. I soldati circondavano l'area mentre Jack, Alice e John mi guardavano, ognuno con i propri cattivi pensieri rivolti a me. La giornata volgeva già al tramonto e tutta la natura cominciava a essere solo una macchia di tenebra ancorata al terreno, come una stalagmite. Nell'oscurità sentivo leggeri movimenti d'aria, cose attente a non rompere la disciplina del silenzio. Intuivo cosa fossero quelle ombre pesanti che col loro demoniaco fischiettio s'mescolavano col vento e con i lamenti della natura. Anche i mostri erano arrivati, probabilmente l'intera tribù di Clain pronto alla rivincita contro il Popolo della Luna e contro i soldati. Mio padre era diventato il mio peggior nemico ed io la più potente arma biologica creata per salvare l'umanità. Quella situazione ridicola sembrava uscita dal cattivo copione di un B movie. Che cosa poteva ancora succedere? Nessuno faceva un movimento e tutto sarebbe rimasto in stasi se qualcosa non fece un volo dritto nell'abisso. "O combatti me o salvi lei!" Le parole di Clain erano chiare e mi girai per guardare Alvin ma il mio amico, mi guardava triste mentre a sua volta si gettava a testa in giù nell'Inferno.
12 Mannari Era tutto? Quella guerra di uomini contro lupi e lupi contro lupi, non poteva essere semplicemente il delirio di un uomo in coma; il frutto di un incubo durato a dismisura? Il buio si era preso l'intera montagna. I fuochi delle armi da sparo erano le uniche scintille luminose presenti. La città era sorda o tutti l'avevano già abbandonata? Non riuscendo a raggiungere Julie che chiamavo con tutte le mie forze, continuavo nella mia lenta e dolorosa trasformazione. Avrei dovuto ascoltare Muss e Charlie. Alvin, il mio fedele amico era morto. Non sapevo quanto la vicinanza di Charlie e di Roshua mi desse conforto, ma cercavo di sopportare senza arrendermi quella dimensione della follia dove ero diventato il protagonista. Charlie stava facendo del suo meglio. Era stato attaccato da tre diavoli che cercavano il suo punto debole prima di azzannarlo. Roshua saltava tra gli alberi, cercando di portarsi via un paio di licantropi veloci quanto lui. Eravamo alla fine. Le nostre forze non sarebbero bastate per osteggiare esercito e mannari ribelli. "Charlie? Buttati! Julie è caduta nel pozzo." Clain mi stava asfissiando e il petto bruciava per la mancanza d'ossigeno. Mi ero ricordato che Signor Morte era in tasca. Mentre Clain mi uccideva, mentre il mio corpo rispondeva alle esigenze della trasformazione e mentre Alice godeva al trionfo del suo uomo, io giocavo con il mio amico di plastica. Ci parlavamo persino ed erano dialoghi brevi ma a garanzia della nostra inseparabile amicizia. Charlie mi guardava disperato, continuando a chiamarmi. Mi ero smarrito per un momento ma il problema era diventato drammatico. "Non posso!" si sgolava lui, mentre resisteva all'attacco del nemico dalla parte opposta di dove ero io. "Perché?" gli gridai. "Non so nuotare." mi rispose come se avesse ammesso una dura colpa. Pochi minuti e saremmo tutti morti. Mancava una bomba, e il resto era fatto. Cosa ancora poteva accadere? La risposta alla mia domanda arrivò con una violenza indescrivibile. Non sapevo più quale parte di me fosse ancora umana a parte i pensieri, quando la montagna esplose. Un boato terrificante scaraventò ognuno in direzioni diverse e qualcosa come un vulcano di fumo si stava elevando dal sud est. "La miniera, urlò Charlie, qualcuno ha fatto saltare la miniera!" Non ascoltavo più nessuno. Il mio corpo alieno volava già dentro la scarpata. Gli alberi mi cadevano addosso ed io gli allontanavo con una forza che pensavo di non poter possedere. Julie era il mio motivo di morte o di vita. Il suo corpo freddo galleggiava sopra qualcosa che fortunatamente l'aveva salvata al vortice, col suo peso. Lo riconobbi dalle ferite sul dorso, era Alvin probabilmente ancora in vita. Abbracciai Julie e con due salti la misi in salvo sul ramo alto di un abete, dentro una tana di neve, difficile da trovare poi mi lanciai nuovamente nel pozzo e recuperai il corpo di Alvin. Appena mi sentì i suoi occhi quasi luccicarono per la contentezza ed esalato l'ultimo respiro, tornò uomo, uno debole e fragile col collo squarciato da un morso inumano. Il mio ululato coprì come un detonatore, gli altri boati della montagna che saltava, ma qualcosa andò storto. Quello che dovevo divenire non diventò. Ero a metà di un percorso e sembravo un pupazzo mal costruito. I muscoli non rispondevano ai comandi e le mani anche loro irrigidite, restarono inerti con gli artigli aperti tra le metà carpi. Qualunque cosa noi stessimo salvando, doveva a un certo punto salvare noi. Eravamo stanchi e disorientati. La mia febbre da combattimento scemò quando la migliore creazione dopo l'uomo s'inceppò nelle ossa e negli organi non ultimati. John emerse dal buio con una torcia e due dei soldati vicini a lui mi legarono i polsi con delle pesanti catene d'acciaio. Ero prigioniero di mio padre.
Certe cose non guariscono perché semplicemente lo vogliamo. Restano con noi, nascoste in un dentro che le conforta e le nutre con ombre di cui temiamo la forza. Certe cose ci rapiscono dalla verità per portarci molto lontano, alla deriva in un mondo che ti fa sentire fragile e impotente. Mi ero nascosto in me per tanto tempo da non voler desiderare altro che starmene in un angolino buio e quieto, aspettando che il dolore cessi ma questo non accadeva mai. Nemmeno nei sogni. Non potevo fuggire da me stesso era come se fossi prigioniero di un mondo irrazionale e palesemente più violento. I miei ricordi di una felice infanzia non vincevano mai sulle oscurità che bisbigliavano parole incomprensibili che a volte temevo e altre mi obbligavano di ascoltare, come un buon bambino ascolta il proprio silenzio. Non sopportavo più la prigionia, anche se il desiderio di cambiare ciò che ero stato per tutti quegli anni, mi riusciva difficile. Ero la metà di qualcosa ma mai un'intera. Mi combattevo da solo più di quanto mi battagliassero i mostri o i soldati. Io ero diventato il mio peggior nemico. L'odore della mia pelle era cambiato, il mio modo di pensare era cambiato e persino le mie priorità. Io vivevo con una volontà superiore radicata nei miei geni o nella manipolazione di questi. Ogni trasformazione era più dolorosa della precedente e ognuna mi comunicava qualcosa, un volere alieno e persecutorio. Siamo tutte creature di Dio, avrebbe detto qualsiasi reverendo durante un sermone sulla pace, ma io non mi sentivo così. Io mi sentivo fuori dal catalogo cristiano e fuori da qualsiasi sistema di classificazione. Ero un ibrido con la ragione sfasata e l'immaginario ben nutrito. Il frastuono della natura complicava la mia necessità di equilibrio, quella metamorfosi sfasata e ferma allo incipit. John non poteva conoscere le mie reazioni. Quelle settimane che ci avevano separati, avevano innestato nuovi obiettivi nella mia incostante natura. Dov'era la mia forza? quella memoria promessa che Muss e gli altri, credevano che possedessi? Quando sarebbe arrivata questa marea cognitiva che avrebbe sbloccato le catene del dna e di tutti gli altri blocchi innestati durante la mia serena e incosciente infanzia. Un ragazzino potenziato per aiutare altri bambini ma neutralizzato nel poter divenire ciò per cui la natura l'aveva creato. La crudeltà di quell'esperimento attaccava ogni sensibilità umana che mi era rimasta ancora non travolta dal dolore. Dovevo credere per forza all'evidenza ma se fossi morto, non avrei risolto tutte le incognite che restavano sospese? Io solo potevo creare o cambiare il mio futuro. Fosse stata anche la cosa più tragica e dolorosa ma nessuno poteva essere l'artefice della mia infelicità. Ero pronto a morire e quello mi avrebbe spinto a difendere in modo umano, le persone care e la poca robustezza del mio spirito non ancora lupo. Non ero ancora pronto a diventare un capo di un popolo che rispettava le proprie usanze e combatteva affinché rimanessero intaccate. Io potevo essere il pioniere di una rivoluzione contro un'umanità imbastardita dalle proprie certezze e volontà assolutistiche. Non potevo e non dovevo mescolare il mio sangue con tutti i superstiti per creare una nuova specie, Dio sa di che tipo e quanto selvaggia. Al popolo della Luna forse ci erano voluti millenni di evoluzione per ammorbidire i propri tratti e necessità animalesche ma cosa avrebbe comportato, una popolazione dall'istinto omicida che durante le trasformazioni avrebbe sbranato qualunque altro essere? Probabilmente John aveva calcolato di limitare i danni con la massiccia somministrazione di farmaci ma quelli che i rimedi non se li potevano permettere? Che cosa sarebbe successo a miglia o centinaia di migliaia di essere indemoniati con le zanne spumose e un tic nel cervello che avrebbe richiesto come un disco rotto, sangue ... sangue ... sangue? Passato, presente e futuro si mescolavano alla densa nebbia, dove creavo una nuova idea di me. Eravamo in due ad avere questa necessità e ricominciare con delle basi sincere, non poteva che aiutare Matthew ad accettare il lupo e il lupo a limitare il suo volere di esplodere ogni qualvolta la pressione dei sentimenti saliva. Un mannaro dovrebbe sentire la sua parte umana e razionalizzare il più possibile le proprie azioni, solo così la bestialità sarebbe completamente annullata e trasformata. I media non avrebbero mai saputo nulla e un bel giorno, come in un triste film il mondo intero sarebbe cambiato e l'umanità definitivamente scomparsa. Io e quei pochi esseri usciti dai libri di fantascienza, noi eravamo l'eccezione a conferma della regola e le cose dovevano restare immutate, i licantropi con il loro territorio e gli uomini con la loro fragilità. Due forze che forse si sarebbero combinate in natura, io ne ero la prova ma queste combinazioni dovevano essere delle scelte volontarie e che comunque non avrebbero mai attaccato l'umanità. Nessuno doveva potere prostituire la scienza per un bene superiore alla vita e avevo sperato inutilmente che John avesse capito la lezione. La creazione di nuovi esseri era nel programma dell'esercito da sempre. Finiti di clonare gli animali, gli uomini, non restava che provare a mescolare gli uni con gli altri e questo nuovo mondo, storpio di ogni ragione e cura per il bene, avrebbe avanzato sul pianeta come un morbo. La mia prigionia doveva finire. Io non ero consapevole del tutto dell'altro me stesso, ma entrambi lupo ed io, avevamo un volere unico, non diventare qualcosa che avrebbe potuto nuocere agli altri. John cercava di comprendere a che punto ero della mia nuova esistenza. Lo vedevo fissarmi e tormentarsi con domande che mi avrebbe voluto fare, ma era questa la sua debolezza, le domande senza risposte. Lo lasciavo ascoltare la sua forza puntata con un povero fucile contro la mia schiena. Eppure lui era dei nostri, avrebbe dovuto comprendere che quel fucile contro un licantropo avrebbe fatto ben poco? Sempre che John, non fosse dubbioso di ciò che stesse facendo. Le mie convinzioni vitali si erano sgretolate, improvvisamente ero qualcosa e qualcuno che dopo essere stato addomesticato, costruito e maneggiato, ero stato messo in condizione di essere sperimentato sul campo. Il rodaggio di quelle forze inibite attraverso i farmaci che confermava la vittoria di esperimento durato più di vent'anni. Morivamo da uomini ma saremo esistiti da lupi eppure mi era stata tolta l'opportunità di spezzare la maledizione dei miei incubi. La conferma di essere straordinario era anche la dimostrazione che qualcuno era in grado di contenere questa forza, anche se impossibile sapere per quanto. Clain fu più veloce di me. Era l'arma perfetta davanti all'eroe meno preparato a esserlo e in qualche modo sentivo come derideva ciò che non potevo essere. Clain era arrivato a lei. "Julie?" Ma Julie mi chiese di fermarmi. "Devo andare con lui. E' meglio." "No! Ti ucciderà!" "Ti prometto Matthew che non la ucciderò. Per quanto possa sembrare strano, mi piace combattere alla pari. Se tu non diventassi licantropo, io non potrei assorbire i tuoi poteri da uomo morto. Da uomo non potresti insegnare nulla. Voglio essere onesto. La forza è la nostra unica moneta di scambio. La tua vita Hwak per quella della mia amata sorellina." John rideva. "Caro ragazzo, tu non potresti ucciderlo nemmeno tra mille anni." "Chi sei tu?" "Qualcuno che ha trovato chi fermerà te e tutti quelli come te." "Clain odorò l'aria e sentì che John era uno dei nostri." "Sei un traditore e un vecchio Attaccante. Potrei nutrire il mio spirito con la tua saggezza." "Sì ma un'altra volta!" e iniziò a sparare. Io avevo paura che tra pallottole e ira mannara, un colpo avrebbe colpito Julie, così girai con tutte le forze, le braccia ed ebbi l'impressione che gli omeri si staccassero dalle articolazioni. John fece un volo di una decina di metri mentre le manette mi tagliavano i polsi rigonfi a dismisura. La mia strana trasformazione. Un'immagine nitida occupò la mia memoria. Era il volto di Muss che pregava a occhi chiusi e la sua canzoncina senza senso, snelliva le parti ossee a scombinarsi e a crescere. Il dolore era svanito. La trasformazione era un volo senza appoggi e senza ali. Per la prima volta qualcosa mi rendeva leggero, e ogni parte di me si stava unendo alle altre porzioni disgregate per la crescita, come in un puzzle. Muss non mi abbandonava e percepivo finalmente la presenza e le immagini degli altri che comunicavano con me. Non ero più solo. Ma non potevo più inseguire Julie che era svanita lasciandomi solo la consapevolezza che sarebbe stata viva fino alla sfida tra me e Clain. Era giunto il momento di occuparsi dei soldati. Chiesi a Ed, sempre nella mia mente, di chiamare gli altri e di ascoltare la mia idea. La cosa non richiese che un attimo, perché udivo e con chiarezza ogni nome e ogni posizione dei miei amici. Eravamo una cosa sola, una grande mente dentro un corpo straordinario. Abbandonata la Bocca del Diavolo, chiesi a tutti di salire fino alla miniera che ancora bruciava con tutti i viveri che il povero Clarence aveva fatto portare dentro. Non ci aspettavano e non erano nemmeno numerosi, confronto alla nostra armata. I blindati piegati divennero degli innocui giocattolini mentre le torrette, con le loro mitragliatrici e con i lancia missili, bruciavano con le anime dei poveri soldati intrappolati dentro. Ciò che non riuscivamo a sbranare, distruggevamo con la violenza di mille uragani. Cenere umana e ossa sminuzzate volavano nell'aria già pesante del fumo degli incendi. Clain e i suoi si erano ritirati, forse per lasciarci la battaglia meno interessante. Qualcuno di noi, ferito, si ritirava sotto gli alberi per non essere di peso agli altri e se moriva, ebbene io sentivo la sua anima e tutti i suoi ricordi riempirmi. Quell'uomo o quella donna, erano dentro di me e parte dei loro affetti, vibrava in attesa che io portassi ai dovuti interessati quel peso o quel tesoro cui ero stato condannato. La mia forza era il Popolo della Luna al completo. Nessuno di loro sarebbe mai morto finché io rimanevo vivo e mi sentivo invulnerabile sebbene d'innaturale portata quella forza. L'esercito stava scappando verso i boschi oltre la Haze ma noi non inseguimmo le loro ombre perché sapevamo che lì gli avrebbero aspettati Clain e la sua gente assetata di sangue. Era giunto il momento che io imparassi il più possibile e molto velocemente dal modo di lottare perché Julie era l'unica scintilla di luce capace di aprire tutto il buio in cui navigavo. Jack e John erano nei paraggi e sapevo che avrebbero mai abbandonato il loro progetto. Si stavano dando da fare in città era proprio là che ci stavamo tutti quanti dirigendo e il nostro correre faceva tremare la montagna e le valanghe che si staccavano dalle altezze ci accompagnavano con lo stesso furore che il nostro respiro condivideva con la natura. Sebbene le nostre entità fossero distinte la nuvola che si creava intorno alla nostra corsa, era un gigantesco mostro che scendeva alla velocità della luce e affamato dell'unico nemico che gli restava da sconfiggere. La città aveva ancora conservato degli edifici intatti e non tutto stava bruciando. Molti muri anneriti e parecchia cenere che sporcava la bellezza della neve, parlavano di un degrado momentaneo. Io ero in testa e Charlie al mio fianco, dietro di noi c'erano Duzzer, Mina e i gemelli, Ed e Bollinger. L'armata dei licantropi era stata aperta da una prima gettata di fuoco da un lanciafiamme nascosto dietro il muro della palestra ma Mina impiegò solo due salti per scovare e uccidere l'uomo con la granata in mano. La granata esplose e lei fece in tempo a schivare il boato ma non i pezzi di metallo che la ferirono. Charlie ululò e allora capì che il suo amore era lei. Gli dissi di starle vicino che noi bastavamo a fare tutto il lavoro e sarebbe stato così se non fossi stato colpito da due frecce. Avevo appena fatto in tempo a gridare ai gemelli di fare la guardia alla loro ritirata. I lupi si sparpagliarono per cercare i tiratori ma il blindato che mi travolse e mi caricò, fu più veloce. A nulla serviva la corsa delle sentinelle, ero in trappola. Chi mi aveva addormentato mi stava allontanando dal mio punto di forza. Matt non ero più io ma un essere sdraiato su un pavimento ghiacciato che fissava l'unica luce al neon sopra il soffitto. La droga aveva annullato la mia percezione di realtà.
13 Prigionieri del male Jack e John non avevano contato Clain, nella loro fuga. John trafficava con dei cavi e delle sacche di sangue mentre Jack sistemava della dinamite in delle piccole cassette cui incollava un timer e un cellulare. Un ragazzotto meno vecchio di quanto volesse fare sembrare con la sua barba rada, gettava le casse in strada, dietro al blindato. Nonostante la mia fibra muscolare fosse un pezzo di pietra, il mio cervello continuava a mandare segnali che gli apparecchi di John, collegati tramite piccoli conduttori, non riuscivano a identificare. Secondo il display del suo potente computer, il mio cervello stava sognando centinaia di figure ma non c'erano né un nesso logico né un segnale che potessero alfabetizzare le mie comunicazioni. Ero indenne alla loro macchina della verità e nemmeno sedato riuscivano a completare i dati che attendevano per procedere. John mi prelevò tre volte il sangue e furono tre quantità diverse. Era certo che nessun mannaro l'avrebbe fermato. Ma non ricordava quanto fosse lungo il viaggio sulla montagna? Non ricordava quali e quanti pericoli portavano la nebbia e il tramonto? Muss si era nuovamente impossessato della mia mente, ma come faceva, ma stavolta nella mia mente oltre a Muss c'erano anche Duzzer padre e John. Prima di allora John non era riuscito a farsi sentire. La montagna con molta lentezza gli stava ridando le forze perdute. Io speravo che il processo s'inceppasse tanto da ridurlo innocuo. Muss cantava ancora e sommessamente le sue canzoni che forse non erano insignificanti. Nella mia mente, sebbene in disparte ci fossero anche Clain e Julie quelle parole erano una medicina naturale, contro quell'malessere chiamato lupo e contro i nuovi nemici che avrei voluto con meno fragili forze, combattere. Tutti loro erano con me e tutti sapevano che qualcuno mi stava portando via. Un'intera città, centinaia di facce di sconosciuti grandi e piccoli, mi pensava. nonostante il mio scetticismo ci tenevano anche a me. A fermare la corsa di John e del suo amico Duzzer, ci pensarono i mostri di Clain. Uscivano dagli alberi, dal buio e da sotto la neve. Erano tanti e carichi di odio e di una malvagità che rasentava la follia. Anche gli animali diventano pazzi e se poi sono pure sanguinari, allora la loro pazzia sfocia persino nel cannibalismo. La scena vedeva decine di licantropi nemici e con gli occhi assatanati, correre dalle direzioni più disparate verso le loro prede. Ma John fece qualcosa che non avevo mai visto da quando lo conoscevo. Si trasformò con una velocità sorprendente e uscì aprendo la porta del blindato. La sua mente era stata educata e allora ricordai che anche lui prendeva come me i farmaci e non per prevenire la trasformazione ma per rallentare la forza selvaggia dell'essere che lo abitava. Lasciare Lot Berry mi rendeva irrequieto dentro. Non volevo tornare alla città di cemento e dei sopravvissuti affamati alla ricerca di una cura alla malattia del millennio. In quel momento avrei lasciato il mio corpo giacere inerte se non fossero tutti i ricordi collegati a Cristina a Julie e alla gente che mi aveva accolto bene, nonostante, io non avessi mai accettato nemmeno, me stesso. Ero cambiato dentro. Ero consapevole che l'amore chiedeva qualsiasi sacrificio e tu non potevi rimandare con la scusa di non essere pronto. La velocità del blindato non era rassicurante perché dopo aver attraversato con folle sveltezza la parte della montagna con i recinti, si fermò credo, in mezzo alla radura della Haze. Non molto lontano c'era il rumore di elicotteri. John rientrò nel blindato. Clain restava nascosto perché gli elicotteri avevano iniziato sebbene fosse già tramonto, la guerra alle ombre. Ogni centimetro di foresta era bruciato dalle pallottole. John mi buttò in bocca una pastiglia e senza cura, spinse anche il collo di una bottiglia che rovesciò un quarto del suo liquido. Non sembrava acqua. Sicuramente non mi sarei mosso da quel posto salvo che qualcuno non mi avesse trasportato in braccio e per chilometri. Jack rideva, pensava di essere al sicuro. John continuava a monitorare i suoi display e giocava con le infinite ampolle piene del mio sangue. Non mi rivolse più la parola ma ogni tanto mi accarezzava la testa, come si fa ai bambini. Che fosse rammaricato per quella tortura? Clain era nella mia testa, fissava John e poi fissava Jack. Era al sicuro e mi mostrava Julie che aspettava il momento di vedermi. Sentivo che il cuore corrotto di Clain, era per la volta, sincero. Non si stava servendo di me. Mi stava aiutando. Fissava ogni centimetro dello spazio, dove restavo nella mia poco animata agonia. Sapeva che lo sentivo e non fece nulla che mi fosse di disturbo. La mia mente era completamente aperta. Vide la legione di soldati arrivati nello spiazzo. Vide John congratularsi con loro e con Jack e vide anche la cassa d'acciaio che tutti loro avevano ancorato a dei binari fissi. Una bara alta una decina di piedi che si reggeva su delle corde metalliche ancorate alle leve dei binari. Il monolite d'acciaio non si lasciava esplorare. Il mio corpo era steso su una barella di rete metallica che mi spostarono in una gabbia appoggiata sul fianco dell'elicottero numero uno. Ne atterrarono sei e con una decina di soldati per ogni elicottero. Prima di chiudere la gabbia, dal sesto elicottero arrivarono grida disumane. John corse al centro dello spiazzo con un telecomando in mano. "Signori, fossi in voi lascerei correre, questo è il telecomando di una bomba nucleare. In meno di cinque secondi, la vostra montagna diventerà la riva del piccolo lago di cui tanto, voi andate orgogliosi. Vi suggerisco di tornare nei boschi e di lasciarci andare." Le bestie fissarono John ma Clain non era tra loro. Clain era molto più vicino a me, vicinissimo. L'elicottero uno aveva perso il suo pilota né John né Jack si erano accorti. Clain fu abbastanza veloce. Il mio corpo era già sulle sue spalle, quando i mitra cominciarono a sparare all'impazzata sulla foresta e i miei nemici avrebbero fatto detonare la bomba, non fosse che Clain, aveva fatto già piegare le eliche di tutti gli elicotteri. Peccato che tutti quei ribelli non fossero uniti ai loro fratelli di Berry. Adesso erano tutti lì, in mezzo alla radura con i loro fucili e le loro bombe ma senza la possibilità di muoversi. L'uomo o il lupo che mi stava salvando, aveva ucciso parecchie persone sua madre inclusa e mi disturbava non riconoscere un accento di bontà nei suoi gesti. Muss era sparito dalla mia mente ma sentivo che Charlie mi stava cercando. Ero venuto per fuggire da un mondo esterno in guerra per la sopravvivenza ed ero diventato parte di una guerra che cercava forze dalla mia morte. Clain era stato bravo a farmi da ponte, certe energie, quando si vuole spedire un messaggio, devono essere pronte e dirette, abili a spedirlo prima che tu resti ko. Probabilmente era a conoscenza dei miei pensieri ma non li temeva e perché avrebbe dovuto. Che fossi suo prigioniero?
Entrammo in una strana nebbia che pareva avesse mani, tanto si appiccicava alla pelle. La nebbia poteva nascondere non solo i sentieri ma tutti i segreti che devono restare un mistero per la gente. Era di un colore azzurro roseo e si mescolava in continuazione come lo zucchero filato intorno a un proprio asse. Mi ero quasi ripreso e non sentivo effetti collaterali ai farmaci che John mi aveva somministrato, ma percepivo molto vicina la presenza di Julie. Eravamo intorno al fuoco. Le grotte dove si nascondeva Clain e i suoi, erano una formazione di rocce dall'apertura non più alta di un metro e di lunghezza superiore ai dieci. Per entrarci, bisognava quasi strisciare e arrivati dentro ci si trovava in uno spiazzo grande come un condominio di dieci piani rovesciato. Julie era seduta intorno a un fuoco mentre sparpagliate lungo le gallerie e altri piccoli spazzi c'erano tende e fili di cavi elettrici. La piccola popolazione di ribelli ci fissava mentre Clain mi portava verso il punto più luminoso e comprendevo il loro disappunto nel vedermi ancora vivo e aiutato dal loro capo. Dentro la grotta c'era una strana nebbiolina densa e informe dall'odore nauseante e dolciastro. La nebbia si spostava, non galleggiava in un medesimo punto, come se ci fossero delle correnti d'aria che però io non sentivo. Nella nebbia non si poteva intuire Julie stava seduta intorno al fuoco e il suo volto nascosto dai capelli era indecifrabile. Non ero legato e potevo rifiutarmi di sedermi a mia volta ma Clain non era sembrato disposto a uccidermi in quel momento, anzi, m'indicò il pentolino appoggiato sulla pietra e le tazze sbeccate intorno. "Serviti." Cercai di scivolare vicino a Julie che ebbe un fremito ma non di paura. "Non sei sola." "Io?" "Tu non sei sola." "Sola?" "Io sono con te." e le presi una mano tra le mie. Volevo darle conforto ma temevo di intimorirla ancora di più. Probabilmente era il momento peggiore per farla sentire parte della mia vita ma non volevo che si sentisse sola. "Con me?" "Io non ho intenzione di lasciati. Hai capito? Tu devi fidarti di me e promettermi che non mi odierai o soffrirai ancora." "Clain?" "Nemmeno Clain potrebbe decidere il contrario." "Tu?" "Io farò tutto il possibile per portarvi via da qui e l'impossibile perché non succeda ancora. Mi credi vero?" Julie fece un cenno affermativo con la testa. Il mio cuore avrebbe detto "evviva" ma non potendolo fare gli bastò sentirsi parte della cosa più importante della sua vita. Julie non tolse la mano dalle mie e credo che avesse un certo piacere nel sentirsi al sicuro. Le sorrisi. "Guarda!" e indicò con l'indice tutte le immense pareti della caverna. In quel momento memorizzai alcuni versi. Sembrava una lingua strana, ignota ma cantandola sottovoce sembrava una delle nenie di Muss durante le sue sedute spirituali. "Julie, siamo, dove penso?" "Sì. Quando mio fratello, anni fa, si perse nelle foreste, era poco più grande di me. Mio padre era sparito e l'intera città lo stava cercando. Era primavera e sempre all'inizio, la nebbia s'inoltrava nei boschi quasi fino ai confini della città. E' un posto di montagna e non sempre il cielo resta sereno e il caldo offre la sua ospitalità. Comunque Clain sembrava essere svanito nel nulla. Lo cercarono nel lago, lungo il torrente e qualcuno osò persino arrivare fino a Bricks Bay. Clain non tornò a casa per giorni e si supponeva che fosse rimasto ferito in un attacco con i cinghiali o in una rissa coni bracconieri di Bricks Bay ma lui ritornò. Era diverso. Prima giocava a farsi inseguire e mi portava al galoppo per i giardini dei vicini di notte e con la luna piena. Eravamo così uniti. Ma la sparizione di papà lo aveva segnato in modo indelebile. Il suo Apprendistato non era più importante e divenne un matto che girava per i boschi per trovare il corpo di papà. Poi la mamma cercò di capire le sue frequenti assenze, dove lo portassero. Anche lei mancò dei giorni di casa. Quando tornò, mia madre cercò di parlare con il Sindaco e con Muss. Nessuno voleva crederle finché la gente non iniziò a morire in circostanze misteriose e altri sparirono senza lasciare traccia. Dopo mesi di mancanza anche Clain venne da noi, di notte. Dire che era furibondo era poco, la mamma lo supplicava di lasciare correre ma lui, prima che lei riuscisse, si trasformò e la divorò senza pietà. Io guardavo e lui aveva piacere che lo fissassi mentre uccideva nostra madre. Il suo odio era così forte che non lo riconoscevo nemmeno. Non so perché non volle uccidermi quella sera. Intuivo che lui non fosse solo, c'era una luce strana nel suo sguardo che non dimenticherò mai. La mamma mi supplicava con gli occhi di scappare, me lo ricordo ma io non volevo abbandonarla. Non potevo lasciarla sola mentre moriva. Lei amava Clain. Perché?" "Non lo so. Forse era geloso di qualche uomo che tua madre frequentava. Certe cose accadono tanto velocemente che la gente non si rende molte volte, conto di quello che ha fatto. E' possibile che Clain fosse ubriaco o peggio sotto l'influenza di qualche droga, altrimenti è difficile spiegarsi il perché. Tu però, non temere. Adesso tu hai me." "Io non ho nessuno." Le spostai i capelli dal viso e sorrisi ai suoi occhi tristi. "Non ti lascerò più. Julie ti prego, fidati di me. Eccomi, sono Matthew e non ho intenzione di lasciarti qua né di vederti soffrire. Io non ti lascio, cerca bene di mettertelo in quella testolina selvatica." "E se Clain volesse ucciderti?" "Fidati. Clain non mi ucciderà perché nonostante io sia un poco in ritardo con la mia natura, sono sempre forte. Io non ho paura di lui. Non temere per me. Ogni cosa si aggiusterà è una promessa e credimi, io sono uno che morirebbe piuttosto che calcare un giuramento." "Ma ..." Le ripresi la mano che aveva nascosto sotto i capelli all'altezza dello stomaco e la strinsi tra le mie, era così piccola che se avessi insistito con la stretta, l'avrei sicuramente spezzata. "Le tue magie sono così forti che non ti rendi nemmeno conto. Io sono rapito permanentemente dalla tua presenza o assenza. Non so se è destino ma ora che ci sei, io lotterò per non perderti un'altra volta. " "Credi che sopravvivremo?" "Tu sei un'attaccante ed io pure. Chi potrebbe resisterci? Sono certo che la provvidenza ci aiuterà e se la provvidenza fosse cieca, ci aiuteremo da soli." Sorrise. Mi sarei buttato dalle nuvole senza paracadute per lei e senza domandarmi se fosse una cosa giusta o meno. Era la scintilla che brillava nel mio cielo buio e non intendevo spartirla con nessuno o farla spegnere da qualsiasi demone di seconda mano e lei, lei si accorse dei miei pensieri perché fu la sua mano a stringere la mia, questa volta. Ogni paradiso anche terrestre, hai suoi angeli. Julie era il mio angelo e lo sarebbe stato persino in un inferno pieno di licantropi affamati. Col buio, tutti i ribelli uscirono e probabilmente non solo per la caccia. Clain tornò e si sedette con noi vicino al fuoco. I suoi pensieri erano molto lontani. "Clain, non è troppo tardi tornare indietro." Ma lui fece finta di non sentirmi. "Cos'è questo posto, Clain?" "E' la casa di Jeremia Hunt." rispose Julie sottovoce. Clain alzò gli occhi privi di luce o baglio di vita e si versò una tazza di caffè. "Non è facile." disse lui. "E' tutto facile Clain, quando si vuole con tutte le forze qualcosa." "Non è facile uccidervi." "Non è l'insegnamento che abbiamo ricevuto. Non possiamo uccidere il prossimo solo per il gusto di farlo." "I nostri padri erano i fratelli degli Indiani della grande pianura. Loro credevano che la loro spiritualità sarebbe servita dopo la morte, quando liberi dalle fatiche della carne, avrebbero cavalcato il vento senza temere la sete, la fame o la morte mentre il Popolo della Luna si rifugiava sulla Montagna del Diavolo per liberare la propria natura e godere da vivo dello spirito del Grande Lupo. Anche allora il Popolo della Luna fu considerato ribelle ma la forza non ci abbandonava mai con la morte ma si concentrava nel cuore di un prescelto, uno abbastanza forte da potere portare avanti la storia. Voi siete il mezzo con cui arrivare alla mia storia. Non posso liberarvi sebbene non mi piacerà ciò che dovrò farvi." "Tu non sei un assassino, lo sento." "Lui è il miglior assassino sul mercato, non è vero caro?" Alice Berry comparve dall'ombra e come una serpe si avvinghiò alle spalle del suo amato. Julie, non soltanto, resse allo sguardo della donna ma le rispose. "Clain non ha amica cosa ti fa credere che ti lascerà in vita?" La donna cominciò a giocare nervosamente con alcune ciocche dei suoi capelli. "Noi siamo grandi amici." "Un uomo che uccide sua madre non salverà se necessario, la sua ... amica." "Clain tesoro, dobbiamo ancora aspettare?" Clain non rispose ma si alzò per girare in uno dei tanti corridoio bui e senza anima viva che la nebbiolina sciolta popolava come uno sciame di mosche vicino a una fetta di formaggio. Presi un legno dal fuoco e lo puntai verso l'alto. Non si vedeva molto ma ovunque sulle pareti cerano simboli che giravano intorno a un nome solo, Jeremia. Alice si avvicinò a Julia che dovette alzare la tesa per guardarla. "Io mi divertirò mentre lui comincerò a sbranarvi e divorerò i tuoi occhi belli e il cervello nella tua testolina. Clain sa chi gli è amico." "E' possibile Alice ma hai tradito i tuoi fratelli per sentirti diversa da chi e da cosa?" "I gemelli? Ha! Sciocchi sporachi e puzzoni. La mamma li adorava ma per me, erano come dei cani che hanno bisogno di sniffare sempre qualcosa per sentirsi vivi." "Tua madre ..." "Morta come la tua ma non ne faccio un dramma. Si muore, cara e la vita è troppo breve per i rimorsi di coscienza. Guarda Duzzer, disposto a sacrificare l'ultimo figlio rimastogli e guarda, John Brightman, grande scienziato che ha fatto di costui, e indicava me, una cavia senza palle." "Il nostro popolo ha bisogno di una guida. Un Attaccante vero e non due pazienti fragili, una bambina e uno che riesce solo a tirare fuori una zampa durante le sue trasformazioni. Io parlo di uno che ha la memoria di tutta la nostra gente, una guida che combatte senza paura." "Clain ti ucciderà." "Non lo credo proprio." "Tu sai qual è il mio dono." "Sì, sì, dicono tutti che vedi qualcosa nel futuro, ma non ci credo altrimenti avresti previsto anche questo." "Questo è solo un mezzo per arrivare alla pace. C'è sempre un prezzo, Alice." "E tu sapresti qual è il mio?" "Io so che morirai e Clain non ti ha mai amato." "Potrei ucciderti ora e Clain non avrebbe nulla da replicare." "Io non temo per me. Io non ho paura di Clain. Clain è mio fratello ma dimentichi che anch'io sono un'Attaccante." "Che paura? Dimmi quando hai finito l'Apprendistato che io vorrei vederti saltare la Bocca del Diavolo." "Tu hai un cuore di pietra e questa sarà la tua condanna." "Fino a prova contraria, la prigioniera non sono io." "Fino a prova contraria se dovevo morire, sarei già sottoterra da parecchio, ma io servo ai piani di mio fratello, tu a cosa servi?" "A rendergli calde le notti." La sfacciataggine di Alice fermò la temerarietà di Julie. "E voi pensavate di mettervi insieme? Non è un po' prestino, ma certe ragazze hanno già la predisposizione ai giochini, vero?" La rabbia di Julie era palpabile quanto la vena del suo polso che era ancora stretto nella mia mano. "Io la amo." Alice rimase senza parole e Julie girò leggermente la testa per guardarmi. Il suo viso arrossato rendeva ancora più limpidi gli occhi che sembravano, o forse parve solo a me, sorridere. "Nessuno può compromettere ciò che il destino ha deciso e tu sai che certe magie tra i lupi, sono vere, no?" Alice rimase senza fiato. Girò i tacchi e si perse nei corridoi che prima avevano assorbito Clain. Io appoggiai le mani contro la parete di roccia e spinsi Julie con le spalle contro. Era intrappolata a pochi centimetri dalla mia faccia ed era bellissima quando mi fissava innocente e curiosa. I suoi respiri mi facevano bollire le vene. Ogni parte di lei, volevo fosse mia. Ogni cellula che la nutriva d'aria doveva pensare a me perché io non potevo smettere di guardarla e di desiderarla. Cercò di fuggire ma le braccia erano cemento. Le sue piccole mani rimasero sul mio petto e allora anche lei riuscì a sentire i miei battiti del mio cuore, veloci, velocissimi, forti come quello che stavo per dirle. Spingeva coi pugni stretti contro il mio stomaco. "Fammi uscire!" "No." E appoggiai il mento sul suo capo con i capelli ribelli che cadevano come cascate tra noi. "Spostati!" "No." La mia voce era dolce come mai avrei creduto potesse essere. "Smettila non mi spaventi." E le sue mani tornarono sulle mie braccia contratte. Sentivo le sue dita correre leggere sopra i muscoli tesi. "No. No. No ..." "Fammi uscire?" "Io ti amo Julie. Sono grande, un duro ma sono debole quando mi guardi, quando mi sei vicina, quando mi parli, quando sento che stai per arrivare. io sto male Julie. Sto male perché mi sei sempre mancata. Sei il mio passato e presente sotto forma di un sogno che non intendo far svanire, nemmeno in questa gelida notte invernale. Se queste braccia pensi siano delle prigioni, allora scappa! Scappa Julie e non tornare indietro ma se senti anche tu quella cosa che non si può descrivere, quella cosa che ti rende inutile respirare, pensare o vivere allora stringiti a me e non lasciarmi più. " "Io?" "Tu sei l'angelo che acquieta i fremiti dentro, le mie tempeste, i miei uragani. Solo per te potrei diventare un lupo, il mostro che stermina altri mostri. Non posso e non intendo perderti, anche se tu non mi amassi. Solo per te potrei accettare quello che evito da bambino. Io non amo ciò che sono, io non amo dover uccidere, non amo diventare una bestia ma potrei amare tutto questo solo perché amo te. E non ti lascerò Julie. Non ti lascerò nemmeno se tu volessi un altro. Non mi cancellerai velocemente dalla tua vita, dal tuo cuore e dalla tua mente. E se volessi che io rinunciassi a te per una felicità superiore, non lo farò perché il mio Eden ha i tuoi occhi e la tua faccia e tutto il tuo essere." "Saresti così debole?" "Debole?" "Da rinunciare a me solo perché vorrei fuggire da quello che non comprendo o perché non direi le parole che vorresti sentirti dire?" "Io non rinuncerò mai a te. Se tu volessi scappare per paura, sappi che io sarò la tua ombra! L'amore non ha bisogno di parole, ma di questo!" e alzai le nostre mani strette. "Sì." rispose e appoggiando il capo sul mio cuore poté solo sentire quanto ero perduto di lei. Le mie braccia scivolarono sulla sua piccola vita e la strinsi così forte da sentire la sua magrezza. "Ahi!" "Scusami. Fatto male per così poco?" Lei mi tirò un pizzicotto. "L'amore si conquista." "E ti pare che abbia fatto poco per te?" "Io non merito tutta la tua forza ma se io servo, a renderti libero da quello che nascondi, allora sarò il tuo sogno per ogni istante tu voglia servirtene." La ripresi tra le braccia. "Tu sei la mia libertà. Non potrei essere il capo che cercano solo perché è un principio ereditario. Io vorrei che tu non abbia mai paura di nulla. Voglio che tu possa credermi. Non voglio comandare su nulla e nessuno in questa città. Se ti facessi cadere, adesso, diventeresti mia per sempre, anche se questo non è il posto giusto e il momento opportuno ma tu sai il male che mi stai facendo, vero?" "Ma hai detto che mi ami?" "Tu mi torturi e io devo sapere frenarmi. Sì ti amo. Sì. Sì. Sì. anche ti ho così, odiata all'inizio che mi sentivo di soffocare in tua presenza." "E' la più brutta dichiarazione d'amore che abbia mai sentito." "Io ti amo perché non posso fermare quello che sento, ti amo con tutte le forme che posso o potrei avere. Ti amo perché sei una piccola strega e perché ignori la mia forza. Ti amo perché non subisci mai la mia presenza, ma ti alzi forte sulle tue ragioni. Ti amo Julie Hunt, perché sei la mia sfida, la mia meta e il mio punto debole e non è vero che solo un Attaccante tra noi, dovrebbe governare il Popolo della Luna." "A volte ascoltare il proprio cuore fa male. Io temo il dolore più di ogni altra cosa ma non temo la lotta. I compagni di vita a volte diventano antagonisti ma questo, forse, rafforza l'idea di Attaccante." "Anch'io ho sento che non potrebbe esserci altro per me se tu non ci fossi. Anch'io sento che nulla potrebbe fermarmi se tu mi chiamassi nel bisogno. Ma io non ho paura di perderti perché non avrai più modo di liberarti di me e signorina, non mi hai risposto." Lei sorrise. "Matthew Brightman, quando ti ho visto, sembravi il ragazzo più imbranato di questo pianeta, appena arrivato puzzavi a piscia di gatto e nulla più mi avrebbe fatto odiare l'esistenza che esserti compagna sebbene senza amore nulla resista al tempo. Avevi le qualità peggiori in un Attaccante. Eri un tipo ombroso che non voleva conoscere il significato dell'affetto o dell'amicizia. Detestavi qualsiasi animale fosse in tua presenza e detestavi ciò che eri. Matthew non amava nemmeno se stesso. Eri borioso, sembravi uno sotuttoio, demolivi i nostri sacri princìpi di vita con la tua spiccia saggezza di città. Ma da allora hai corso per tutti noi molti pericoli e mi hai resa importante, quando avevo smesso di esistere persino per me stessa. Tu non hai paura della morte e questa forza innaturale persino per il popolo dei lupi, ti rende unico. Non so se questo desiderare di starti vicina sia amore, ma so che rende strani dentro e fa soffrire, ed io mi sento persa quando tu ti allontani. Io pensavo che mi detestassi che nulla ti avrebbe mai fatto avvicinare a una ragazza come me. Ma quando ti guardavo vedevo un bagliore forte che mi soffocava dentro e da allora ho pensato che quando sto con te, potrei anche smettere di respirare, in fondo vivo un sogno su un altro pianeta dove tu sei come l'aria." Lei aspettava tremante e imbarazzata. Le tenevo la tenera nuca come se avessi paura, di essere troppo rude con la sua pelle delicata. Si alzò sulla punta dei piedi e quando la baciai, il suo viso, era caldo come dopo una giornata di sole all'aperto. L'amore si congiunge ai cuori quando l'aria passa da uno all'altra come da un magico filtro. Anch'io bruciavo e mi sarei pentito se avessi continuato perché non avrei visto il calare della nebbia dolciastra tra noi. Julie mi guardò spaventata. C'era una presenza malvagia in quel posto, una cosa antica costretta a nutrirsi dei ricordi e dei sentimenti delle sue prede. Attirai Julie al petto e presi un altro pezzo di legno con fiamma in punta e non per allontanare l'invisibile mostro ma per fissare un corridoio dove avremo trovato scampo. Stavamo correndo mano nella mano, ma la nebbia s'infilava nelle nostre narici come un cattivo spirito ti cerca dentro i pensieri per scoprire le tue debolezze. Ovunque sotto i piedi si sentivano oggetti spezzarsi. Erano ossa. Centinaia di ossa di ogni grandezza e crani che si rompevano sotto la nostra pressione. Era una gigantesca catacomba la cui materia decomposta aveva prodotto parte della nebbia dolciastra. Cercavo di evitare il più possibile le carcasse degli animali e i rami in decomposizione. Le muffe avevano colonizzato un po' ovunque le pareti umide. La stanchezza si faceva sentire. Eravamo deboli e non potevo abbandonare Julie restava al mio fianco senza tremiti di paura o dubbi. Clain e i suoi erano diventati i discepoli di Jeremia Hunt, sopravvissuto grazie a sua madre che perfezionò l'incantesimo maledizione, lasciandolo scritto su ogni centimetro di roccia della grotta. Tutto quell'abisso era Jeremia o Sal o tutti i loro mostri venuti dall'Inferno per supportarli e ovunque noi volessimo fuggire, lui ci sentiva, ci seguiva, ci aspettava. Pensavo a Ed Muss. Quale canzone poteva essere il codice magico che ci avrebbe fatto uscire dal posto maledetto? E qualcosa come un ritornello che non avevo mai sentito in vita mia, mi venne in mente. Tentare tutto per tutto era il mio nuovo portafortuna. Iniziai a canticchiare quella cosa strana in un linguaggio difficile che non avrei compreso se assieme alle parole non mi fossero arrivate delle immagini. Era lo spirito del lupo che correva nei boschi e d era libero e non temeva il buio o il nemico. Lo spirito liberava i deboli e i fragili e rendeva il corpo più forte. Lo spirito del lupo abitava in tutti i cuori del Popolo della Luna. Non dovevo dimenticarlo. Non dovevo farlo tacere. Non dovevo avere paura di liberarlo. Lo spirito del lupo aveva vinto altre maledizioni, altri incantesimi e le magie più potenti perché lui era puro e la sua fede rendeva immortali. Il volto sorridente di Muss sostituì le parole e le immagini. Lui era arrivato da noi e non dovevamo avere paura perché volevo credere nelle sue parole. Lo spirito del Grande Lupo era anche in me e la paura di averlo dentro era svanita per lasciare il posto alla gioia di possedere la forza di un grande guerriero. La nebbia si fermò davanti a noi. Chiesi a Julie di starmi dietro le spalle e lei aderì col suo capo alla mia schiena come un fiore si appoggia alla terra in cerca di sostegno. La nuvola di nebbia ancora più densa aveva delle fessure, non proprio degli occhi che vedevano e percepivano chi fossi e cosa stessi facendo sul suo territorio. Combattere un nemico visibile sarebbe stato più facile che combattere contro una nebbia che rendeva improbabile l'uso della forza. Spettri invisibili e demoniaci uscivano dalle rocce che sembravano aver preso vita. Tutta la grotta era la culla del male, un male ben nutrito dalle prede e dalle vittime che lanciarono dentro quella tomba, le loro ultime grida. La morte dolorosa aveva colpito quell'angolo di mondo e si era insidiata come una regina privilegiata e crudele. I volti grotteschi mi parlavano, mi sussurravano abominevoli azioni, nel capo c'era il ritornello "Uccidi!", "Uccidi!" e mostravano i cadaveri spappolati degli innocenti rimasti a macerare sul tappeto di sangue e di altri corpi digeriti dalla Creatura. Il male non era più immaginario ma colpiva per mano di qualsiasi essere tanto debole da lasciarlo entrare nel proprio capo a timone di tutti i pensieri. Io continuavo a cacciarlo indietro, seguitavo a rifiutarmi di ascoltare quelle disgustose profezie e combattevo l'essenza dell'inferno così come avevo combattuto il lupo dentro.
14 Signor Morte Gli indiani non avevano mai dato per scontata l'intelligenza umana. Avevano da sempre fato distinzione tra la forza del pensiero e quello del corpo. Per gli indiani tutte le forze superiori invece, risiedevano nel cuore, luogo da dove la vita aveva inizio e cessava. Nel mio cuore di uomo era ancora debole la voce del lupo ma la sua forza era ben consolidata tra le pareti della mia anima. L'avevo accettato, anche se ero molto impreparato su come farlo felice e in quale momento. Che il grande spirito potesse guidarmi senza che io sciogliessi le mie meningi in interrogatori senza risposte? Non m'importava di me, volevo difendere ciò per cui il mio cuore continuava a battere, Julie. Non accettavo come nemico so fratello ma comprendevo che un male a lungo nascosto, chiedeva a molti di noi dei sacrifici. Clain aveva sacrificato sua madre e non era facile per lui, abbandonare la sorella. La debolezza umana in quel caso aveva rivalutato il suo animo perduto. Ero inerte davanti a un mostro alto quanto un condominio che mi fissava dalle fessure di antiche agonie come si fissa un hamburger ben condito. Probabilmente la mia predisposizione all'insubordinazione era papabile nell'ambiente delle maledizioni. "Jeremia Hunt?" che cosa mi stava prendendo, ponevo domande a qualcosa che poteva anche avere fretta a uccidermi? L'odore dolciastro svanì e anche la nebbia si sciolse. Al buio solo il piccolo tizzone ancora acceso illuminava i pochi passi tra me e Julie, anche lei sconcertata da quello che aveva visto. "Dobbiamo andare via." disse lei prendendomi la mano. "Questo posto è un'intricata rete di gallerie, bisogna trovare l'orientamento." risposi. Ma c'era poco da parlare perché l'oscurità iniziò a muoversi e a avanzare ma stavolta, l'odore era di putrido e cose decomposte assieme a foglie morte. Qualcosa che camminava perché si percepiva il passo lento e saremo corsi verso le profondità della galleria se Clain non fosse arrivato a un'eccezionale velocità e attraversata la creatura, ci caricò come un toro. Eravamo tutti a terra ma Clain si era trasformato per difenderci perché la massa oscura lo copriva lentamente e nel suo lamento ci supplicava di scappare. Eravamo riusciti a scivolare sul margine e quasi grattando la roccia con le schiene, uscimmo dal tunnel dell'oscurità. Non sentimmo altri lamenti e nemmeno una lotta. Il silenzio aveva assorbito Clain e tutte le sue forze concentrate sulla salvezza della sua sorellina. I bambini dell'oscurità erano i ribelli e i discepoli che Sal catturava, quando gli ignari s'imbattevano nella sua grotta e ci pernottavano credendosi al sicuro. Lo stregone non più vivo ma nemmeno morto e questa sua stasi tra le pietre della montagna, lo rendeva un'entità capace di sopraffare le volontà dei fragili che depredati, e loro lo servivano come adepti a una causa contro, tutti e tutto. Aspettava da sempre di riprendere forze per uscire e infestare perennemente le foreste della montagna e assorbire ogni essere vivente e ogni città che mai sarebbe stata sotto il suo controllo. La sopravvivenza di un maniaco non era degna del grande spirito del lupo che abbandonato il cuore marcio, si era rifugiato lontano dal corpo del morto. Jeremia era morto ma lui non sapeva di esserlo perché e si portava dentro ancora tutti i ricordi vitali che gli sfalsavano la realtà. Tutta la sua rabbia, la sua violenza si era sfogata con dei freni imposti all'immaterialità ma se tornato alle condizioni di prima, alla natura umana e mannara, allora avrebbe regnato come una divinità senza temere la vendetta dei più alti spiriti del suo popolo. Correvamo fissando le scritte che si staccavano dalle pareti e man a mano che si staccavano, la nebbia o l'entità golosa che l'abitava, sorbiva ad uno a uno, l'incantesimo a lui dedicato. Clain mi chiamava da un luogo immaginario, dove lo spirito del lupo non aveva accesso. Era un purgatorio senza anime, un luogo senza grate ma senza cielo, una sorta di stanza dell'assenza, dove l'anima pagava per i mali fatti ma senza che fosse torturata. Il rifugio di Clain era più sicuro della grotta, dove iniziavano a entrare i ribelli, tutti trasformati, tutti rabbiosi e caricati da una forza sottile e dolciastra che penetrava nelle carni. Clain m'indicava la strada e quasi senza guardare, correvo, procedevo velocemente come un forsennato cercando l'uscita. Le scritte cadevano dai soffitti come lame e tagliavano se ti trovavano sotto e ferivano realmente. Guardai dietro e vidi Alice alzare le mani verso la grande oscurità in segno d'invito e di resa. Non si era trasformata e la tenebra soddisfatta scese sul suo corpo e lo ingoiò lasciando solo un ultimo triste lamento della sua vittima. "Julie!" sentivo la sua mano abbandonarmi. Qualcosa la tratteneva e lei non riusciva a resisterle. Un fischio tremendo e sovrumano caricò l'aria ma io finsi di non vedere l'incubo, io guardavo Julie che cercava, di liberarsi dalla mia stretta nella speranza che almeno io mi salvassi. "Non senza di te!" e la presi per la vita e con tutte le forze l'allontanai dalla tenebra che m'insultava incapace di attaccarmi. L'ombra aveva quasi finito di assorbire tutte le lettere e i ribelli restavano a terra come carcasse prive di vita. Io vidi la fessura dell'uscita e spinsi in avanti Julie che non sapeva cosa avessi intenzione di fare. Meglio, pensai, lei non capirà e nemmeno il mostro capirà così l legame telepatico spezzato ci lascerà un margine di fuga. Clain era vicino a me, sebbene non potessi vederlo, lo percepivo, come un fratello con tutti i rimorsi per le cose fatte. Era sereno ma fragile, un ragazzo interrotto dalla sua crescita e dalla sua felicità umana. Ero rattristato e arrabbiato e confuso. Quella follia faceva parte della storia di tutti gli indiani. Una leggenda che era sopravvissuta con le sue vittime, care solo a chi le aveva perdute. Julie tremava e la neve non era proprio l'ideale dopo tutte le lotte delle ultime ore. Non potevamo nasconderci e dovevamo proseguire. Sarebbe stato molto più facile se fossi riuscito a trasformarmi ma la magia con l'altro me, sembrava essersi interrotta. Io chiamavo il lupo dentro ma lui non mi rispondeva. Il buio, la neve alta, la stanchezza ci rendeva vulnerabili e facili da attaccare. Chissà se avrebbe funzionato? Pensai al mio Difensore a Charlie e chiesi aiuto a Muss, a tutti quelli che conoscevo e erano ancora vivi e a tutti quelli morti i cui spiriti si sentivano abbandonati. Chiamai a riunione tutta la mia famiglia perché la lotta fosse possibile contro la Bestia del Diavolo ma loro non mi risposero. Mi rispose l'ultima persona al mondo che avrei mai pensato di sentire ancora, John. Mio padre era con me e potevo immaginare la sua mano sulla mia spalla. Perché? "Io non ti ho mai usato. Per vent'anni ho protetto il nostro popolo da tutti gli inganni dell'esercito e di tutti quelli che volevano usarci. Io ho solo pulito il tuo gene umano che ti rendeva meno forte rispetto a tutti noi. La tua parte umana ti avrebbe reso debole in certe situazioni e per venti anni ho complottato contro l'esercito, promettendo loro il soldato perfetto, un uomo incapace a diventare lupo ma forte e longevo come un essere superiore. Dovevo essere credibile con i miei colleghi e così ho creato un file a tuo nome con i sintomi reali di cui nemmeno loro potevano dubitare. Clarence e Muss, conoscevano la trappola. Ci siamo preparati per il giorno in cui tu saresti uscito dalla crisalide, una muta dolorosa ma perfetta. Non ti ho cancellato l'umanità, semplicemente l'ho resa simpatica alla parte di lupo che ti abita. La tua natura ha solo bisogno di fiducia. Devi credere in te. Io non ti ho mai abbandonato figliolo. Ogni dose di farmaco serviva a renderti pari a noi, a tutti i fratelli e le sorelle della nostra gente. L'Attaccante doveva salvarsi a qualunque costo altrimenti il primo mostro ci avrebbe cancellato dalla civiltà. Devi combattere e venire da noi. Non ci sarà un'altra occasione per combattere tutti i nemici." "Menti!" e la mia voce spaccava l'aria fredda. Julie era sfinita e la presi in braccio ma John non mollava. "Clarence mi crede e mi crede Muss." Il volto sorridente di Muss s'insinuò tra le ombre e le paure irreali. "Lui deve mentire per tenere a bada quelli che vogliono invaderci e caricarci come bestiame per i loro laboratori. Tu devi credere Matthew. Devi credere e devi lasciare che la parte umana ceda alla forza e alla saggezza dello spirito del grande lupo." "Aiutatemi a salvare Julie!" "Non c'è bisogno." ripose da lontano la voce di Clain. L'oscurità ci aveva raggiunto. L'odore di morte era tutt'intorno a noi. Julie strinse i suoi capelli con un'altra ciocca di capelli poi mi sorrise ed io che credevo che avesse paura. L'abnorme mostro avanzava tra i rami che si piegavano, si rompevano e buttavano giù pesanti lastre di neve. Io ero pronto così com'ero nella mia forma umana, conscio che il lupo in me non avesse il tempo di trasformarsi. Un ululato tremendo e infernale scosse la montagna. La bestia avanzava affamata e certa di trovare una cena succulenta. Io non volevo ancora cambiare forma. I suoi discepoli, nascosti tra gli alberi, attendevano un segnale che tardava ad arrivare. Lui voleva combattermi da solo e speravo che una volta uccisa quella bestia infernale, anche i ribelli sarebbero usciti dall'incubo che li schiavizzava. Julie si era trasformata e restava in attesa così vicina che la sua zampa sfiorava il mio capo, come una carezza tra un essere superiore e un piccolo granello di sabbia. "Non è ancora il momento." dissi a Julie che fissava a sua volta il pericolo senza temere di morire. "Sempre insieme." lei disse prima di iniziare la sua corsa verso il fianco dell'essere ancora celato dall'oscurità. Il suo essere lupo vedeva meglio di me ma per la prima volta non avevo da temere per Julie. Mi fidavo di lei e quella corsa serviva solo a darmi maggiore tempo per concentrarmi. Nei miei pensieri ritrovai la nonna, Cristina mi guardava con affetto facendo un cenno positivo con la testa, dottoressa Berry, Clain, il mio amico Alvin e tutti quelli che avevano sacrificato la loro vita per difendere i fragili tenuti prigionieri nella palestra. Li sentivo tutti come dei fedeli soldati che mi avevano onorato con la custodia della loro memoria ed io non volevo deluderli. Non esistono guerre buone o cattive e non si può mai giustificare la violenza ma esiste ed esisteranno sempre lo spirito di fratellanza e il senso della giustizia che alberga non solo nel grande spirito dei lupi ma anche in quello degli uomini. Le battaglie perse, i morti e il dolore erano il mio unico e sincero contributo alla vita che restava e per cui meritava continuare a combattere. Qualunque forma maligna e invincibile avrebbe trovato in me degno avversario perché io rappresentavo quell'ideale di reduce e la volontà di due culture che soffrivano per il cambiamento violento dei tempi e per una troppo dura lotta ala sopravvivenza. In certi momenti e per certi esseri, nemmeno il Diavolo era terribile quanto la fame quindi con quale coraggio avrei dovuto temere un incantesimo quando mali superiori stavano divorando la Terra? Guardavo avanti a me ma vedevo ancora e soltanto il buio. Era sempre stata l'oscurità a rendermi incerto e titubante e non la morte, infatti, la mia mano ritrovò Signor Morte nella tasca dei pantaloni e sorrisi. Il mio degno Palladino Mascherato non attendeva me e non perché ne fossi immune ma perché avevo ancora dei compiti da ultimare e chi mi conosceva, sapeva benissimo che non avrei lasciato le cose a metà per nessuna forza al mondo. Ascoltavo le voci delle anime passate allo spirito del Grande Lupo e sentivo come la loro forza tornava in me occupando tutto il vuoto che aveva reso fragile il mio essere per più di vent'anni. Io ero il Grande Lupo e qualcosa in più perché Muss, dal suo mondo immaginario mi eleggeva prescelto. Ero l'erede di una fratellanza con spiriti nobili della pianura e di valorosi cacciatori della montagna. Ogni canto e ogni sapere del Popolo della Luna, era un naturale sapere e fu quello il momento in cui compresi tutto. La vita, la morte, lo scorrere del tempo intorno all'asse dell'amore che ci riconosceva da piccoli e ci degnava di missioni e grandi battaglie capaci di toglierci dal fragile bozzolo. La tenebra divenne quello che era stata anche tempo prima, un lupo gigantesco e diabolico. L'agilità di Julie lo disturbava e non poco. Cominciai a correre senza temere il freddo, il gelo, senza sentire i piedi ghiacciati ma ascoltando solo il battito del mio cuore che m'innalzava leggero come un'aquila e toccando proprio i limiti di qual volo che sentì la voce dell'amico in me. Il suo spirito divenne la mia grande risorsa e la sua forza il mio principio di vita ed entrambi, eravamo uniti come in una comunione con il sacro spirito del grande lupo. La mia voce vera era un agghiacciante ululato che svegliò dal suo torpore invernale la montagna e tutti i miei fratelli si unirono al canto della vendetta. Sono sempre stato ossessionato dalla morte e vederla avanzare tra gli alberi, guardarla mescolarsi ai passi del mio nemico, mi affascinava e rafforzava la mia idea che il male non può sopravvivere al bene. Il punto debole di Sal era sua madre, la sua compagna e consigliera, colei che gli aveva nutrito le sue ambizioni d'immortalità. Da uomo era stato impossibile ma da lupo, vedevo, lo spirito dell'inferno avanzare sulla traiettoria del mio colpo. Non avevo alcuna intenzione di risparmiarmi, ero troppo stanco e troppo arrabbiato per farlo. Potevo sentire il cuore di Julie al mio fianco, raddoppiare il suo spessore e ululare la sua vendetta. Il muso del licantropo affondò nella materia oscura e qualunque cosa strappasse, non era carne ma putridume. Io lasciai a lei l'antipasto della vendetta, il primo morso era l'unico grande dono d'amore che potessi farle. La materia gemette ma non voleva fermarsi e continuava a scendere dal costone e avanzare verso me. La neve aveva smesso di scendere e il cielo stellato era ancora più freddo e distante di prima. Una morbida e gialla Luna s'intrometteva tra i buoni e i diavoli, in attesa di essere confermata la regina della notte. Nessun uomo avrebbe potuto assistere alla battaglia. Solo chi possedeva lo spirito del Grande Lupo era in grado di vedere l'Inferno di chi aveva perso la propria anima. Jeremia Hunt plasmato dai suoi stessi resti e dalle ombre piuttosto che da materia morta, si nascondeva nel suo cilindro informe e bisbigliava canti della magia nera che avrebbero dovuto fermarmi. Ma nessun incantesimo poteva legarsi al mio sangue, io ero immune alla magia della strega, ero immune allo stesso inferno da cui era salito quel Diavolo. Ricordavo ogni verso di Muss e ripetevo il mio rosario indiano, concentrato più sul ritmo che sulla parola, mi stavo divertendo un sacco. L'energia di tutti i pensieri derivanti dal Popolo della Luna rendeva nervosi i miei artigli che grattavano la sabbia, scavando profondi e lunghi solchi che si congelarono in breve tempo e sebbene non potessi sorridere, il mio ringhio si poté sentire come eco tra i boschi e non aveva nulla di umano se non la forza interiore. I miei occhi vedevano non solo i contorni della bestia ma anche il suo cadavere al centro della nebbia nera. La cosa avanzava con le sue mille voci di maledetti che s'agitavano, gridavano, bestemmiavano ma io non intendevo muovermi, m'affilavo le unghie sul cotone bianco come un paziente maestro Masamune che affila la lama della sua katana. Certe battaglie hanno del magico. Ti entrano nella vita e ti cambiano al punto da infonderti quella consapevolezza che prima ti mancava. Non avevo alcuna intenzione di perderla. La nebbia era a meno di un passo da me. Le voci erano diventate solo un forte fischio che tagliavano l'udito, come una punta di gessetto sopra la lavagna. Gli artigli delle mie zampe giocavano ancora col ghiaccio. "Sì, ti aspetto." fu il mio immaginario sussurro perché il mio lungo e terrificante muso, mostrava quattro lunghissime e taglienti zanne. Finalmente il mio apprendistato sarebbe finito ed io avevo trovato il modo di affilarmi i denti per una giusta causa. Nella materia sanguinaria, tutto era concentrato sulla forza oscura di un determinato essere. Ero ancora immobile e potevo percepire i risolini di trionfo dello stregone ma lui non sapeva che ero pronto. Pensai a Signor Morte che faceva giocare su e giù la propria lama, anche lui stanco di farsi prendere in giro. Julie avanzava nella materia, incerta se tornare ad attaccare il mostro. Io le feci cenno col capo di fermarsi e lei si tirò indietro, tornando al posto con i solchi nella neve, cari più a lei che a chiunque altro. Mi aspettava. La materia, progrediva, cambiava, diveniva e potevo scorgere qualcosa di Alice e di Clain ma nulla di veramente loro a parte delle fugaci immagini. Era arrivata sopra di me e la scure putrida con la sua bocca marcia stava cercando di affogarmi. In quel momento, il lato fragile del mio diabolico amico, legato al mio canto e incatenato ai versi di altri più grandi e positivi spiriti, restò esposto al mio fiato. Un solo morso, e la cosa sussultò. La mia mascella era diventata una pinza d'acciaio. Le zanne stringevano qualcosa e non intendevano mollarla. L'essere girava su se stesso impazzito ed io sotto di lui, cadevo contro le rocce, contro gli alberi ma nulla mi avrebbe mai fatto smettere. La nostra battaglia era furiosa. Il fragore di una valanga non avrebbe mai potuto coprire le voci del demone o il mio ringhio. Qualunque cosa in quella foresta aveva smesso di respirare in attesa di un verdetto. Precipitare mi era diventato facile come contenere il dolore fisico. Un ramo spezzato trapassò una spalla e non potendo urlare, trascinai la cosa verso la Bocca del Diavolo. Le mie zanne sporche di resti morti si erano cementate alla materia. Alzai con tutte le forze quella massa oscura e buttai la spalla contro una grande roccia. Il legno uscì per metà dalla ferita. Il mio urlo fu inumano. La creatura pensò che da ferito fossi più fragile e iniziò a scuotersi come un albero sotto i palmi del vento. Strinsi i denti. Un liquido nerastro e cattivo m'invase il muso e mi entrò nelle narici. Quella tossina invase non solo lo stomaco ma i pensieri e ogni cellula del corpo. Non persi la stretta né il morso ma c'era un altro tipo di dolore che mi prendeva dentro e bruciava più della ferita sulla spalla. Ero come ubriaco, drogato da una nebbia nera e oscura che viaggiava verso il mio cuore, ma l'immagine di Julie, di Clarence, di John, di Muss, di Charlie e di tutti gli altri si fissò in me come una luce da cui la materia oscura fuggiva in antri più piccoli e meno importanti. Aprì la mascella per un attimo e la cosa pensò che stessi cedendo ma io volevo solo afferrarla più in profondità e artigliata la carne morta, la spinsi con le zampe superiori nell'abisso del Diavolo. Precipitare mi era diventato simpatico. Nuotavo da quando avevo due anni. Le mie varie fobie si cancellavano quando ero in acqua, divenni persino un campione di nuoto, anche se era una cosa che non mi piaceva sbandierare. L'agonia della cosa era agghiacciante ma avrebbe dovuto continuare a esserlo in mancanza d'aria perché sott'acqua i suoi incantesimi e le se voci, cessavano di lamentarsi. Spaccata la lastra di ghiaccio, il pozzo nero ci sommerse. Anche la nebbia aveva il suo peso. Julie aveva capito e venne giù. Il nostro peso sulla massa che si agitava bloccava l'uscita. Tornai in superficie per una boccata d'aria e la cosa cercò di sfuggire, liberatasi dal morso, combatteva per emergere ma io ero pronto per il viaggio fino al centro della terra. Il mio corpo divenne piombo e iniziai a trascinare la cosa sempre più in profondità, sempre più verso il punto di non ritorno e toccato il fondo, anch'esso di roccia, mi ancorai con tutte le forze, resistendo alla sofferenza del demone. Dopo un minuto anche la cosa si acquietò e se stava buona nel mio abbraccio mortale ma dopo tre minuti i suoi ultimi battiti e le sue azioni la svuotavano di tutte le forze, incluse quelle, sovrannaturali. Cinque minuti dopo, le ossa di Sal si svuotavano dell'aura oscura. Le sue falangi si spezzarono sotto i miei artigli e ridotto solo a una bolla di liquido scuro che rimase sul fondo, la sua essenza maledetta si acquietò. Nuotai per bisogno e per disperazione e dovevo essere veloce per fermare la risalita del male. Dal bordo dell'abisso saltai fino al costone posto proprio sulla Bocca del Diavolo e cominciai a spingere la pietra giù per la scarpata. La ferita limitava le mie energie così Julie mi raggiunse in aiuto. L'alba si affacciava dalla cima del monte. Il bianco era ancora regnante sul bosco ma il male sembrava aver abbandonato i sentieri e le grotte del Popolo della Luna. La guglia di granito cedette e cadde sull'apertura, dove avrebbe dormito per sempre, il corpo disfatto di Jeremia Hunt. Fu allora che vidi i lupi affacciarsi con i loro grandi lunghi musi, tra i rami e da dietro le rocce. Alcuni tornarono uomini e altri saltarono il passo per correre oltre le grotte, oltre quell'incubo. Nulla per loro, sarebbe stato più come prima, ma potevano ritornare a casa, cercando di rimediare alle loro cattive azioni. Io restai a terra per tempo interminabile. La ferita era dolorante ma Julie era viva e mi teneva stretto, come se avesse avuto paura di perdermi. Ero sofferente, ma certi pensieri in me erano limpidi come il cielo quando non ha nuvole per difendere la sua bellezza, io amavo disperatamente e totalmente una ragazza così folle da non temere la sua morte per salvarmi. Lei aveva tutto il sole in faccia e a me sembrò di vedere un angelo che si lasciava carezzare dalla luce. I suoi occhi quasi invisibili scintillavano come diamanti capaci di sfregiare l'atmosfera. Quant'era bella? Quanto era inesatta, usurata la parola “bella”, su di lei. Brillava come una stella e respiravo solo dal suo sorriso che le sfuggiva quando smetteva di fissarmi o, appena i raggi caldi la invadevano creando una delicata aura innaturale intorno al suo essere. Ero muto. Tutte le parole mele erano state ingoiate dal cuore, così pesante di tanti sentimenti che mai avrebbe lasciato il mio petto se non per battere nel suo. La strinsi a me e le stampai le mia labbra sugli occhi, poi sulla fronte e infine sulle labbra. Lei mi accettò e la travolsi, come una valanga con tutto il suo peso, la divorai dentro con la mia fame e il desiderio e poi, quando non ancora sazio di baci, premetti con tutto il mio corpo sul suo petto, sentì che anche il suo cuore era diventato matto come il mio. Abbandonai la stretta per non impazzire del tutto Per non farle sentire il dolore di un uomo quando frena il suo desiderio. Perché ero giunto al momento del non ritorno e dopo non avrei più avuto il controllo di me stesso. Mi calmai. Era così giovane e così innocente. L'avrei aspettata e lei, sarebbe stata mia, un giorno. Non potevo sentirmi del tutto contento. Molta gente era morta e molta avrebbe dovuto sacrificarsi per difendersi da mostri umani, pronti a sventrare un intero pianeta pur di vincere la propria battaglia. Se Jack Duzzer fosse stato morto, noi tutti, avremmo avuto una speranza ma il generale, era un soldato, un uomo della guerra che non avrebbe mai mollato l'impresa finché questa non fosse stata portata a termine.
15 La festa prima della tempesta Mio padre non era un cattivo medico. Lo ricordavo più giovane, era completamente imbiancato e la sua barba era lunga, non quanto quella di Muss ma abbastanza da dargli una certa aura di saggezza. La mia ferita era un grande buco che trapassava la spalla, ma da lupo il dolore era molto più tenue che da uomo. Non volevo sembrare un bambino, così strinsi i denti e lasciai che John me la medicasse. "Guarirai presto. E' meno grave di quello che sembra." Bollinger e Muss, aiutarono Julie che passava il tempo a fare divertire i piccoli, non ancora fuori pericolo. Non c'era tempo per il riposo. I nemici dei licantropi erano tanti e Jack poteva togliere di mezzo con le sue bombe, l'intera specie. John aveva attuato un piano e aveva impiegato quasi vent'anni per perfezionarlo. Io non gli ero riuscito male e contento che le sue cure mi fossero servite, John diresse le sue attenzioni ad altri problemi. Charlie e Mina si erano fidanzati durante una piccola festicciola che Molly e Lottie, prepararono per l'intero paese. Dalle scorte apparvero biscotti, sidro, persino una ventina di casse di birra. Charlie recuperata la vecchia chitarra di Dean, fece un po' di casino con altri che si unirono chi col violino, chi con percussioni alternative sui bidoni di ferro, chi con una tastiera a batterie ancora funzionante. Fu il momento migliore per conoscere i gusti di Julie e i suoi sogni. Perché Julie voleva salvare il mondo dalla violenza e dai mostri, conscia che la nostra razza, potesse integrarsi con la natura umana presto e definitivamente. Il reverendo Preston ferito, accolse lo stesso i ribelli ancora frastornati dall'amnesia e dai pochi ricordi e disse messa per gli scomparsi, per non dimenticare i fratelli sacrificati. Fu una cerimonia commovente e triste ma diede forza e consapevolezza ai superstiti. Eravamo gli ultimi di una specie sconosciuta, superstiti a nostra volta e protetti solo dalla montagna e dal coraggio che non poteva bastare contro le armi dell'esercito. Assistemmo anche a un piccolo miracolo, la nascita di un bambino che non voleva aspettare per venire al mondo. Lo chiamarono come me, Matthew ed ero certo che sarebbe stato un grande orgoglio per i suoi genitori perché già così piccino, faceva un gran chiasso quando si svegliava. Intorno al fuoco John raccontava, come sarebbe stata la nuova scuola di Lot Berry e che aveva intenzione di aprire una scuola di medicina e una facoltà di scienze. Non avevamo bisogno di raggiungere il punto più lontano del mondo per studiare, potevamo farlo anche a casa nostra se avessimo avuto i mezzi necessari. L'altro in me era quieto. Ci stavamo conoscendo e sebbene fratelli, noi dovevamo imparare a condividere un corpo capace d'innaturali stranezze. Era già tanto che lo ascoltavo e invece che sedarlo con i farmaci, come avevo sempre fatto, lo nutrivo con bistecche giganti e corse nei boschi che avrebbero sfinito qualunque creatura terrestre. Il mio miglior amico aveva le zanne, il mio secondo miglior amico e difensore Charlie, aveva le zanne, non mi era mai stato così facile con gli umani, avere delle eccellenti relazioni. Julie diceva che per migliorare il mio carattere avrei dovuto insegnare ai bambini l'Apprendistato e le risposi che nemmeno da folle l'avrei fatto ma durante il ritrovo con tutti gli Attaccanti ancora in vita, appresi che spettava a me tirare su le nuove generazioni perché Muss era un vecchio saggio come altri, senza alcun potere o stregoneria. Matthew Brightman Stregone e Capo del Popolo della Luna? Nel mondo civile mi avrebbero legato la camicia di forza e mi avrebbero imbottito di tranquillanti se avessi raccontato la mia storia, la storia di un ragazzo che non voleva diventare mannaro o straordinario ma che voleva restare normale come i suoi coetanei. Non approvai quelle responsabilità, in fondo ero troppo giovane per certe cose ma con tutti i poteri che mi ritrovavo, avevo capito quanto fosse importante, non abbassare mai la guardia e sopratutto quanto fossero indispensabili gli amici. Il giorno dopo, all'alba, con Charlie e i gemelli, andai a controllare la Bocca del Diavolo. Avevamo il compito di pulire e chiudere le grotte di Jeremia - Sal affinché nessuno ci dovesse entrare. Prima di soddisfare anche questo compito salimmo sul sentiero degli Apprendisti, dove il Picco del Diavolo era solo una luminosa pianura con un cumulo di rocce verso est. Il costone di granito s'ergeva come un dente appuntito e ben confitto nel terreno colmo di altre pietre. Il masso aveva sigillato perennemente il male e mi sentivo così soddisfatto che scommisi con gli altri, a chi arrivava primo sulla cima del monte. Potevo correre come il vento e senza pensare quanto fossi impedito da umano. Il lupo in me era diventato l'essenza dello spirito del vento e se avesse avuto un paio di ali, sarebbe stato capace di volare, in fondo quale magia non poteva ancora compiersi? Io correvo veloce più del vento e mi sentivo potente e invincibile. Quella sensazione era magnifica e mostruosa perché sfuggiva al mio completo controllo. Quando correvo, saltando le cime degli alberi, la mia forza diventava come un occhio sull'infinito, non temevo nulla e nulla mi avrebbe piegato se avesse cercato di combattermi. Liberato il lupo, la mente era già compromessa con tantissime idee di rinnovo della città e molti, moltissimi sogni d'amore. Potevo vedere il futuro e percepire un miglioramento anche per la razza umana. Vedevo me in una casa, una famiglia con tanti bambini piccoli che strillavano e John che insegnava loro a costruire aquiloni. Sì perché prima di essere lupi, noi impariamo a essere uomini. Correvo sfidando la forza di gravità e superando altezze gelose solo per gli alberi, una parte di me era alimentata dal Grande Lupo finalmente ricongiunto alla gente di Lot Berry. Io ero forte. Il vecchio Matthew aveva lasciato il posto a un uomo nuovo. Mi bastò un pensiero. Una semplice canzoncina degli indiani della pianura con cui loro chiamavano lo spirito del Grande Lupo, musichetta che mi divertì a ripetere fino quando, mi trovai da solo in cima al monte del Diavolo. Restituiti i poteri allo Stregone, potevo continuare con la mia missione, ispezionare le grotte di Jeremia. Ed Muss ululò come un ragazzino quando si sentì travolgere dalla nuova forza. "Accidenti a te, Matt!" mi parve di udire ma finsi di pensare alla foresta e alla salita perché avevo vinto, ma non volevo calcare la mano, così tornai indietro e lasciai il posto a Ben che saltava come un bambino appena ricevuto un regalo. Berry vista dalla cima sembrava un puntino con stretti confini tra gli alberi, il resto erano nuvole, fiume, lago e boschi. Il mio essere lupo non era meno perfetto dell'uomo e ascoltavo il cuore pompare il sangue per entrambi che restavano sotto il blu a condividere la bellezza dell'universo. Le nostre divergenze con l'esercito, superato il pericolo Clain e Jeremia Hunt, dovevano risolversi velocemente. C'era ancora una bomba sul piano di Haze e sarebbe esplosa per volere del primo pazzo che fosse riuscito a tornare con elicotteri, armi e soldati. Mentre la gente cercava di sistemare le cose in città, pensando agli approvvigionamenti, la sicurezza e l'ispezione della Haze che spettava ai gemelli Wild, il resto dei guardiani con Molly si occupavano dei bambini e forse il loro era il compito più difficile perché la città non aveva nascondigli o bunker e le miniere che prima erano state usate come rifugio, erano andate distrutte. Separato da Julie, valevo poco. Ero come un essere zoppo capace solo di quantificare le poche inutili imprese. La nostra unica forza era l'appartenerci e la sentivo nella mia testa, quando mi spediva i suoi pensieri capaci solo di aumentare la mia nostalgia. Fui costretto a non pensarla, altrimenti sarei sceso giù da quella montagna per tornare ad abbracciarla e questo fu il mio più grande errore perché eravamo in cima, noi quattro e tutto sembrava essersi risolto, tanto che il sole stava scaldando il manto di neve fresca che trasbordava dalla cima. Lassù e lontani dalla città e da tutti gli esseri che amavamo, non sentimmo minimamente il pericolo. Qualcuno una volta ha detto che la cosa più terribile accade quando meno te la aspetti, quando sei meno preparato per difenderti. Tutti noi, eravamo lontani dalla realtà e chiunque avesse voluto comunicarci qualcosa, avrebbe dovuto attendere la nostra discesa che stavamo per fare, non fosse stato che la cornice di neve si ruppe, iniziando la sua mortale corsa verso valle. La montagna tremò dalle sue poderose fondamenta e avvertimmo un boato, come la voce dell'apocalisse. Una nuvola scura correva dalla pianura verso l'alto come se la gravità si fosse invertita e, la nuvola, travolse alberi, rocce e qualunque cosa stesse incontro. Un gigantesco fungo toccò il cielo e noi capimmo che la bomba era esplosa. Tornai uomo e gridai nel vuoto, alla polvere sospesa nell'aria, agli alberi morti e uniti a me, anche gli altri esplosero di dolore. Tutta la montagna eccetto la vetta era stata cancellata. Ogni cosa era polverizzata e guardando verso ovest, si notavano pezzi di recinto spezzettati che ancora volavano in aria. L'aria aveva un cattivo odore e friggeva. Fummo obbligati ad aspettare il buio prima di scendere. Ai nostri richiami non rispose nessuno, né uomo né lupo. Corremmo verso la città, incontrando sulla nostra strada, unicamente tronchi carbonizzati, frammenti di natura morta e mattoni fusi alle tegole dei tetti. La gente ovunque si fosse trovata, era stata travolta da un'onda di più di seicento gradi e nemmeno le ossa potevano più vedersi sul fondale di polveri scure più sottili della neve. Eravamo lupi perché da lupi, se avessimo percepito anche il più piccolo lamento, saremo stati in grado di soccorrere velocemente i sopravvissuti. Respiravamo male perché l'aria era ancora viziata e probabilmente radioattiva. Le nostre menti non percepivano alcun segnale, alcun suono, nessun messaggio. Non volevo credere che Julie fosse morta. Tutte quelle persone erano rimaste senza protezione e nessuno aveva compreso che il nemico era pronto ad attaccarci. Corremmo in tutte le direzioni, mi gettai in acqua mentre Charlie e i gemelli ispezionavano sotto le macerie di tutti gli edifici ancora non decomposti. Guadai sotto ogni pietra più grande di un uomo, cercai dietro ogni muro, in ogni buco ma non c'era alcuna traccia di esseri umani o lupi. Tutti svaniti. Cominciai a correre verso la Haze e appena uscito dalla città, cercai il sentiero che Clain percorreva per tagliare i boschi. In pochi minuti fui quasi al confine di Brick Bay, dove una trentina di blindati e un esercito di uomini, bevevano il caffè come se fosse il premio dopo una battaglia vinta. La mia rabbia e il dolore annesso erano così forti che avrei mangiato ognuno di loro, lentamente e cercando di fare loro molto ma molto male. Non avevo tempo né volevo pensare ai morti. Non avrei nemmeno voluto udire le loro voci postume perché temevo di rivedere la mia Julie tra loro. Socchiusi gli occhi e iniziai a contare. Trecento. Più di trecento soldati per sterminare un pugno di lupi. Appena una trentina stava di sentinella ma con semplici fucili e dei lanciafiamme. Non c'erano altre bombe in giro e se ci fossero state, erano ben nascoste, meglio, pesai, perché sarebbero servite a cucinare tutti i nemici della mia gente. Ucciderli non sarebbe stato facile ma nemmeno impossibile. Calcolai le distanze tra i camion con l'artiglieria e le munizioni e me. Avrei dovuto colpire prima il loro centro vitale, l'approvvigionamento. Osservai per ore ogni loro movimento, cercando il punto nevralgico cioè il quartier generale. Infine vidi la tenda, molta gente entrava e usciva correndo e intorno al suo perimetro dei fili, sicuramente elettrici e dei ricevitori satellitari. Sicuramente la zona era stata minata così nulla sarebbe uscito vivo dai boschi, ma io non avevo alcuna intenzione di scendere dal pendio ma di lanciarmi, cosa che mi avrebbe regalato l'effetto sorpresa. Ero contento di non avere a mio fianco Charlie e i gemelli, quella battaglia doveva essere solo mia. Non mi sarei mai arreso e non sarei morto finché anche l'ultimo soldato, fosse rimasto in vita. La forza del lupo sarebbe potuta bastarmi ma quella dell'uomo necessitava un piccolo aiutino e individuata una mitragliatrice sopra una civetta, decisi che solo quella avrei risparmiato dalla detonazione della mia collera. Avrei atteso l'oscurità. "Prendi coraggio dal buio, Matt!" era il mio motto e cercai nel cielo, però, senza trovarli, gli occhi diamanti del mio amore. Io sarei stato il loro peggior inferno e non il buio. Oramai Signor Morte accompagnava tutti i miei pensieri cattivi perché la sua lama aveva fame del sangue dei nemici. Sarei stato pronto a sfidare tutti gli inferni prima di cedere alla morte con la testa del mio nemico in bocca.
16 La grammatica dei sentimenti Misi il muso sulle zampe e aspettai. Avevo l'intenzione di raggiungere Julie e sarei stato vicino a lei per sempre, come le avevo promesso. Gli uomini come Jack Duzzer, non temono la morte o la tortura, hanno timore più di se stessi, arrivare a un limite e non poterlo superare. Noi servivamo a dargli speranza di una vita più longeva e con meno restrizioni. Ero nuovamente solo. Avere tutta la potenza del mondo e non poter fare resuscitare gli altri, era la peggiore condanna di un licantropo, se solo avessi conservato i poteri di Ed Muss. Se solo mi fossi limitato a ringraziarlo e non a ridargli quelle armi che forse mi avrebbero aiutato a salvarli tutti. Non avevo altro motivo per guardarmi indietro se non la volontà della vendetta. La mia vita sarebbe finita quella notte e avevo intenzione di darle un senso, vendicando ogni persona e riscattando tutti gli spiriti morti a causa mia e della mia leggerezza. Al tramonto gli artigli sembravano delle armi mortali impazienti di tagliare e macellare il nemico. Col buio la mia mente si liberava dalle ombre e dal peso di una coscienza. Sotto i miei occhi, le prede, nel loro recinto fortificato, si ristoravano dopo il logorio di una giornata faticosa. Prendevano la loro dose di nicotina, godendo del cancro che li consumava il cervello, lentamente. "Fumatevi tutto il pacchetto perché sarà l'ultimo." Ho iniziato a pensare che vivere nel buio, per tutti quelli che volevano o dovevano restare invisibili, poteva essere un dono. Impariamo meglio a conoscerci senza aspettarci nulla dagli altri, mai importunando la fortuna con domande inutili sul senso della vita. Amare nell'oscurità significa dare un peso a quel tesoro cui tu solo sei il custode e nel momento della vendetta, il buio ti custodisce come un caro figlio cui si perdona tutto, anche i problemi con la propria rabbia. In poco tempo ti adatti, ti trasformi, ti migliori. Metti insieme i pezzi del puzzle della tua esistenza e ti lasci guidare del conforto di una strada senza i fili spinati della coscienza. La vendetta deve essere plasmata sull'idea di giustizia non solo per te stesso ma anche per gli altri. Al buio non hai bisogno di essere un altro, non hai bisogno di primeggiare sui tuoi pari, non hai bisogno di premi per aver condotto una buona esistenza e per essere stato equo prima che ragionevole. La tenebra si modella bene sulla pelle di chi ha perso tutto e non cerca nulla che lo soddisfi. I soldi non sostituiscono il vuoto che hai dentro. I più grandi della Terra sono sempre stati soli e sono morti in solitudine, allora perché combattere una condizione così naturale? Spesso pensavo a Clain e al fatto di non averlo capito completamente. La sua indole era passata così facilmente dalla parte del male per poi alla morte, ritornare alla memoria comune dello spirito del Grande Lupo. Che fosse così la morte? Che desse la possibilità agli uomini di ritornare innocenti? Speravo che la mia Julie non avesse sofferto e che fosse riuscita a fuggire. Era meglio se l'avessi saputa prigioniera che uccisa. Speravo. Io che non mi ero mai concesso il lusso di ritornare a sperare, dopo la morte di mia madre, speravo di combattere per un amore che avrei abbracciato molto presto. Il mio nemico poteva fare bombardare e neutralizzare l'intera regione se l'avesse voluto. Jack Duzzer, sposato a una donna lupo, aveva immaginato di cambiare la specie umana. Un Frankenstein amante del gioco con dna e dell'uso d'innocenti per il proprio scopo e non gli bastavano i propri figli per gli esperimenti, no, lui ne aveva comandato uno speciale, uno cui fare disimparare la propria natura per poi usarlo come una provetta naturale e portatore sano di un gene che manipolato avrebbe corrotto il cancro fornendo all'organismo ospite il privilegio di una forza immunitaria e fisica, maggiore. Ero l'unico e il primo della mia specie. Uno scherzo della natura, con forze e fragilità incontrollabili. La mia ultima missione, non era più vendicarsi ma salvare il mondo da pazzi come Duzzer e come i soldati che accettavano ordini spesso, contradditori con la giustizia umana. Che senso avrebbe potuto avere la vita, se considerata esclusivamente un oggetto malleabile e dozzinale? Dovevo ubbidire alla pazienza e attendere ancora l'ora propizia. In fondo tutta quella gente era fatta di carne e di ossa e presto avrebbe sentito il peso dell'oscurità sulle palpebre e avrebbe avuto sonno. Molti di loro si sarebbero addormentati. Era una notte più calda delle altre, colpa della bomba che aveva sciolto la neve e l'aveva impastata al fango e al sangue delle vittime. Bricks Bay era stata sequestrata alla sua vita e se non ci fossero stati i gatti, probabilmente sarei sceso in città prima di attaccare. Una volta risolti i loro problemi con Lot Berry, i soldati non avrebbero lasciato anima viva in ritirata e avrebbero ripulito le città al confine per evitare il contagio o che uno di noi sopravvivesse. Mi domandavo come mai Jack non aveva più bisogno di alcun esemplare e come avrebbe fatto a sintetizzare il dna per la sua prodigiosa cura? Dovevo avere quella risposta prima di ucciderlo perché dovevo avere il tempo di rimediare a qualsiasi cosa avesse in testa di creare. Servivano a poco i file sul computer di mio padre senza una cavia e chi sarebbe stata la sua cavia? E se ne avessero catturata una prima di incenerire l'intera montagna? Col fuoco che avevo dentro, sarei saltato subito sopra quelle piccole pulci forti dei loro giocattoli, ma dovevo avere pazienza e pianificare. Cominciai a contarli. Uno dietro il cespuglio spinoso che giocava col suo cellulare. Due che fumavano con i mitra appoggiati a terra, quindi sarebbero stati molto lenti a reagire se fossi crollato addosso a loro. Una decina buttati a terra che fissavano il fuoco spegnersi. Altri due nascosti dietro le pietre oltre il perimetro che pisciavano sicuri di non essere visti, avrei potuto staccare la loro testa così velocemente e sarebbero rimasti col pisello in mano e sarebbero crollati a terra ancora dubbiosi su che cosa fosse successo. Julie era il fuoco che ancora mi teneva vivo. Per lei avrei pulito il mondo prima di morire e per lei sarei andato all'Inferno senza temere la condanna del Diavolo. Quella notte l'Inferno era la mia casa e gli uomini sotto, le mie deliziose cavie. Fissavo l'amico buio. Eravamo solo lui ed io sul primo grado dell'universo. In me Matt perse la sua condizione di uomo e acquistò quella più illuminata di demone. Il pianeta non poteva temere quei piccoli roditori. La mia condizione era limitata a: nessuno va via da Bricks Bay. Fortunatamente i soldati s erano accampati fuori città e speravo che i civili fossero rimasti nascosti da qualche parte o al peggio, nelle loro case. Era da poco passata la mezzanotte ed era Domenica. Io sarei stato l'Angelo guaritore e riparatore. Ancora poche ore poi tutto sarebbe finito. Controllai per un'ultima volta le sentinelle, qualcuna stava in piedi a forza d'inerzia. La stanchezza le aveva vinte ed erano sicure che nessuno fosse scampato all'eccidio, troppo sicure. Mi passai la lingua sul muso asciutto, avevo sete ma non avrei bevuto che sangue quella notte e non avrei mangiato altro che carne, dalle ossa di quegli uomini. In fondo uccidere il nemico, poteva essere un privilegio per un cacciatore e Julie mi avrebbe perdonato per questa squisita caccia perché Julie sarebbe stata troppo buona per qualunque specie non fosse stata quella degli angeli. C'è un punto di rottura in ogni cosa, in un progetto, una vita felice, l'attimo perfetto. Nel cuore della notte qualcosa illuminò bruscamente l'accampamento. Due camion zeppi di gente parcheggiarono non lontano dalla tenda del quartiere generale. Sei soldati di cattivo umore, gridavano alla gente di scendere, ma le figure sembravano essersi bloccate sopra, tanto che uno di essi. Il più graduato sparò un colpo in aria e delle piccole cose iniziarono a lanciarsi nel vuoto fino a stramazzare al suolo, erano tutti bambini. Due ragazzine con due bambole in braccio furono aiutate ma uno dei fagotti cadde a terra, dove iniziò a urlare. Il fagotto era un neonato anche lui prigioniero di quel viaggio di dannati. L'attimo perfetto della mia guerra si era spezzato. I bambini erano stati rubati prima di detonare la bomba. Solo i bambini. Ero nervoso e in attesa di un segnale, poco importava se del destino o della natura. Seduto sulla mia piccola Acropoli, con il sangue mescolato all'odio e all'amarezza, ascoltavo la vita nell'accampamento, sotto le grida dei bambini e le radio dei soldati indifferenti alla sofferenza. Le urla cessarono e passarono diverse ore, prima che la musica finisse e il fuoco si spegnesse. Il mio momento era arrivato. La sete era la fame erano tali. Sicuramente, avrei masticato anche il ferro dei fucili se avessi voluto. Il mio ultimo pensiero prima di andare in guerra era stato: se lei fosse stata viva, l'avrei sposata al mio ritorno. Senza di lei ero incompleto e stavo male, stavo molto male. Nemmeno la morte mi avrebbe liberato da quello che sentivo per Julie e avrei voluto provare, ancora. Ero intrappolato in una vita che non riusciva a resistere ai segni del male. L'ultima battaglia, mi dissi. Sarebbe stata l'ultima battaglia di Matthew per Julie. L'accampamento era quieto e la calma mi spinse a scivolare lungo la parete rocciosa, fino quasi sotto la prima torretta di avvistamento, dove tre soldati dormivano mentre quello che doveva fare la guardia fissava un display illuminato con foto molto osé. Per un attimo e lontano dalla storia reale, ritrovai il vecchio Matt, l'idiota. L'onnisciente solitario pesta tastiera il cui massimo della vita, sarebbe potuto essere, calarsi i pantaloni con la bella Kate e sfornare un paio di figli da cui sarebbe fuggito grazie al lavoro fino all'età pensionabile, ma il futuro di un idiota a volte può intraprendere una strada piena di buche e senza nemmeno un lampione ed ecco l'idiota diventare un uomo saggio che si getterebbe nel fuoco per il suo prossimo. Mi sono scontrato poche volte da quando sono nato, con la mia coscienza. Io ero preso a usare l'adolescenza per scelte vincenti e indirizzate alla lotta contro "la maledizione dello studente perfetto". Ma poi entri in un mondo completamente diverso dal tuo, dove il calendario non è un format televisivo e la gente ti guarda per quello che sei e non che sarai in futuro. In quel mondo perdi l'insensibilità e acquisti il tuo sesto senso; urti la persona sbagliata, disimpari a essere il primo della lista, poi t'innamori. La grammatica dei sentimenti ti butta giù dalla scala dell'homo sapiens e con lo stomaco, come una palla da baseball che lanceresti in qualsiasi direzione pur di guarire dall'oscuro male delle emozioni. Lei ti fa sentire inutile. E da stupido la combatti perché l'amore è una battaglia su due fronti e ti accorgi che sei sul fronte sbagliato. Lei ti odia. Tu però speri di non cambiare necessariamente per piacerle cosa che sai farai prestissimo. Inconsciamente. Diligentemente. Segretamente. Diventi il suo schiavo. Lei è la formula perfetta per la distruzione di massa delle tue cellule neurali. Comprendi che sei un malato terminale in sua assenza e che ti droghi con qualsiasi ricordo ti renda ancora più ferocemente deficiente. In tutta la storia non sei mai armato da abbastanza convinzione di travolgerla, senza darle tregua, col tuo amore. E se lei muore, tu che ti sei risparmiato la sofferenza, resti a bruciare di un fuoco doloroso come una bestia affamata in una stanza di sole pietre, vorresti morire ma devi vivere, pensando a lei o sognandola vicina. Hai un guinzaglio fratello, mi dico, un laccio, stretto, stretto intorno al collo e lei ha le tue redini: salti, zoppichi e fai il morto, al suo volere. In un mondo senza confini reali e senza guardiani, tu sei l'unico della tua specie che sogna di uscirne, senza farsi travolgere dalla sua bellezza. Lei ha smesso di respirare, quando tu sei fuggito e da vittima diventi il carnefice. Il mondo si svuota del tempo, delle stagioni, dei sentimenti e di qualunque cosa possa attraversare il tuo cuore. Il tuo fallimento apre nuove strade, sempre buie e sempre impossibili da raggiungere. La sofferenza dell'uomo non è mai moderna. E' antica come il mondo e ... non ha cura. L'amore è un baratro che cerchi di saltare con le tue stampelle di parole. Sì perché hai il solo conforto delle parole per non suicidarti. Dovresti essere già morto ma sei ancora vivo a dragare ogni senso di colpa con l'acido delle bugie dietro di cui ti nascondi. Dalla mia Acropoli, non si vede la morte di Julie e nemmeno la mia. Non ci sono amanti che si dichiara eterno amore, né ragazzini che si rincorrono sulle rocce tra gli alberi di una zona battezzata solo con alberi verdi dall'altezza infinita e da quelle altezze, vedi tua madre sorriderti. Da quanto tempo non pensavi a tua madre? Te l'eri persino dimenticata. Sull'Acropoli non ci sono statue classiche né picchi per cui perdere la testa ma solo nuvole di ogni forma. Sopra le nuvole resiste qualche piccola stella ed io dovrei sapere che lassù c'è Julie ma mi rifiuto di fissarla perché lei deve tornare per me sulla Terra. Imparerò a morire, vorrei poterle dire, capirò come vendicarti e come venire da te velocemente perché tu non debba mai soffrire la solitudine. Ero andato a correre lasciando la mia Julie a difendere la gente di Berry e non avevo pensato che lei poteva non essere in grado di farcela. Perché vivevo ancora? Perché il mio cuore non si fermava dal battere e continuava a respirare? Per quale motivo speravo che lei fosse viva e restavo in attesa di qualsiasi piccolo segnale? Io speravo. Io mi mentivo perché non avevo fatto in tempo ad assaporare la felicità con l'unico essere capace di donarmela. Julie, mia dolce ossessione e mia porta sull'universo, parlami! Ma dal mondo della telepatia nemmeno un segnale. Un breve ma indispensabile segnale per capire che lei c'è. Che non è andato tutto perduto. Che l'idiota può sperare ancora di avvicinarsi ai suoi sogni. Che poeta triste che sei, Matthew, lei direbbe e mi vennero in mente i versi dei Synyrd Skynyrd: Non c'è bisogno di preoccuparsi - Non c'è bisogno di piangere - perché presto arriverò a casa per soddisfarti - tu sai che mi sento solo - e che sento che non posso andare avanti - e mi sento così bene dentro - solo a chiamarti al telefono - Io dissi. - Oh tesoro ti amo - cosa posso dire di più - oh tesoro ho bisogno di te - mi manchi di più ogni giorno - questa mattina mi sono svegliato presto - ed il sole è arrivato splendendo e mi ha trovato desiderando e sperando - Mamma, puoi essere qua attorno - Bene, tu sai che ho bisogno di te - più dell'aria che respiro - e scommetto sto cercando solo di dirti, donna - Oh, cosa tu significhi per me - Prrovo a dirti che ti amo - in ogni modo - sto provando a dirti che ho bisogno di te - molto di più di un pezzo di gamba - Oh tesoro io ti amo - cosa posso dire di più - oh tesoro ho bisogno del tuo dolce amare -mi manchi ogni giorno di più. Avevo iniziato la mia missione, pensando sempre a Julie. La notte mi avrebbe aiutato. Andavo a combattere come un condannato a morte che non avrebbe più guardato la sottile linea dell'alba. Non era il momento di tirarsi indietro. Signor Morte era a caccia ed io lo seguivo. Nella prima trincea fu facile sopraffare i tre ancora addormentati, troppo per fare in tempo a estrarre le loro armi. Ero diretto al primo posto di guardia a fianco della tenda munizioni ma qualcosa di forte bloccò la mia zampa e cascai rovinosamente a terra. Stavo per girarmi con gli artigli pronti a saettare sul collo della mia prossima vittima che vidi il muso di Charlie ringhiare. "Come mai non ti ho sentito arrivare?" "Credo che questo posto sia protetto da onde sonore che interferiscono con i nostri pensieri." "Hai cercato?" "Sì. Qualcuno si è salvato ma non sappiamo chi. I gemelli sono andati a controllare ed io sono arrivato a fermarti dal fare qualche sciocchezza." "Lei?" "Non saprei ..." "Accidenti." "Sono certo che hanno fatto in tempo a cercarsi un riparo." "Come faccio a trovarla?" "Resto io qui e tu vai!" "Ci sono dei bambini e alcuni neonati, tutti catturati a Berry. Non posso lasciarli qui. Devo liberarli e tu mi aiuterai." "Va bene. Cosa facciamo?" "Togliamo la luce a quei due fari e velocemente buttiamo giù di due all'ingresso. Tu prendi i neonati, io penserò ai ragazzini. Risaliamo sempre dal pendio che ho usato per scendere. C'è una crepa che sembra un grande albero, ci nasconderà durante il salto. Una volta liberi, raggiungiamo i gemelli. Se perdiamo un bambino, nessuno torna indietro altrimenti uccideranno tutti." Charlie non attese altre spiegazioni e iniziò la sua corsa verso il primo soldato che svanì nel buio. Il secondo morì tra le mie braccia, con uno dei miei artigli nel petto e quando lo guardai, vidi che era appena un ragazzo, condannato a morire per servire una patria non sempre giusta. Charlie stava per entrare nella tenda ma lo fermai in tempo. "Le luci Charlie! Le luci!" Staccare le luci comportava uno stato di agitazione dell'intera unità militare, ma noi saremo stati veloci e mentre loro, sarebbero corsi a raccattare le loro armi, noi avremo già raggiunto il picco di roccia. Quando la luce venne a mancare, io ero già nella tenda. Avevo una ventina di bambini stretti avvinghiati al mio corpo. Chi era capace a trasformarsi mi stava dietro mentre i più piccoli si aggrappavano con tutte le forze al loro salvatore. Il primo impulso fu di tranquillizzarli, invece di parlare provai a pensare e fui felice di capire che la cosa funzionava. Ognuno mi rispose che stava bene e che aveva capito e questo senza fare un suono e senza dire una parola. Charlie entrò senza trovare i neonati. "Sono da qualche altra parte!" sussurrai e lui mi rispose col pensiero. "Vado io!" L'agitazione fuori era diventata febbricitante. I soldati cercavano il loro nemico invisibile e se avessi tardato, ancora qualche secondo, ci avrebbero scoperto tutti. Mandai i bambini da Charlie e gli dissi di fuggire che io sarei rimasto a cercare i più piccoli. Scivolavo tra quegli uomini alla velocità della luce e loro non si accorgevano di me, ma le pallottole volavano contro ogni ombra che vedevano muoversi. Qualcuna veloce ed efficace era anche arrivata a destinazione. Due si piazzarono nella spalla destra mentre la terza era scomparsa dentro, in un posto così ben nascosto che l'assorbì velocemente senza nemmeno farmi provare del dolore. Riuscivo ancora a saltare e non detti peso alle ferite. Continuai a chiamare i piccoli, sperando che i richiami telepatici potessero funzionare anche con gli appena nati. L'intera tribù di truppe ispezionava, gridava, sparava ai fantasmi. Non avevo molto tempo e il sangue che lasciavo in giro presto sarebbe stato scoperto. "Dove siete?" Ero così arrabbiato che infilzai due ombre che mi urlavano dietro le spalle. Una risposta arrivò da un blindato lontano, posto a ovest del quartier generale. Non potendo più muovermi in mezzo ai loro corridoi, iniziai a saltare, tra un punto buio e un altro. Un uomo molto sveglio mi venne dietro e mi colpì con una raffica che raggiunse il collo e le altre ferite sulla spalla. Stavo raggiungendo il blindato e i neonati che continuavano a piangere, buon segno per me saperli in vita. Dimenticai il dolore. L'equilibrio non era il massimo ma non avrei mai messo in pericolo il tesoro che strappai alla lamiera che avevo sfondato come un ariete. Ero già in corsa con il mio tesoro, quando sentì molto ma molto lontano da me, il richiamo di Julie. Probabilmente lo shock e il dolore mi stavano provocando delle allucinazioni. Qualche faro cominciava ad accendersi ed io cercavo di schivarne la luce. Molti uomini erano usciti dalle tende e alcuni di loro ordinavano, gridando, tra questi, Jack Duzzer e altri due che con le pistole in mano seguivano il gioco della luce sopra le tende e in tutti i corridoi che potevano offrire scampo all'intruso. Uno dei due era un uomo giovanile, probabilmente asiatico ma molto alto che aveva un taglio insano di luce nei suoi occhi, quasi mostruosi quanto quelli della Bestia che avevo combattuto sulla montagna. L'uomo non impartiva ordini ma spazzolava ogni centimetro dell'accampamento col suo sguardo, come se non temesse nulla, ma sapesse qualcosa in più di tutti gli altri. Io ero ancora veloce. I piccoli li tenevo appoggiati dalla parte non ferita, anche se la zampa era dolorante, la bloccai come una rete elastica intorno ai fragili corpi. Loro smisero di piangere. Cercai Charlie ma lui non rispondeva. Speravo non gli fosse successo nulla. Ancora pochi metri e sarei arrivato in cima alla piccola fessura a forma di albero, altri due salti e sarei stato in vetta ma un colpo penetrò la mia scatola cranica, da dietro l'orecchio sinistro. Stavo cadendo e non avevo le forze per fermarmi allora mi girai di schiena così l'urto contro la pietra non poteva essere sentito dalle giovani creature che proteggevo. Le luci cominciarono a colpire la montagna e presto sarebbero arrivate a noi. Charlie non rispondeva ed io tenevo ancora i neonati sulla parte del cuore, stavano bene sebbene quel rumore li disturbasse. La testa mi doleva e la parte del corpo ferita non rispondeva più. Presi un lungo respiro come in apnea e con la parte ancora sana della zampa sinistra, alzai il resto del mio corpo completamente paralizzato. Non vedevo più perché la vista era andata via. Da qualche parte nella mia testa Julie mi chiamava ed io le rispondevo. Da cieco immaginai la conformazione del punto da dove ero arrivato. "Due salti, Matt, solo due salti. Prendi coraggio dal buio, Matt! Prendi coraggio dal buio!" Saltare fu facile. La parte del mio corpo già morta non ostacolava la parte che reggeva ancora l'intero essere. Il lupo ara arrivato in cima e la mano ancora proteggeva le creature dai loro probabili assassini. Ma in cima il mio corpo cedette e nei pochi momenti di forze nascosi i fagotti dentro un cespuglio fitto che era uno dei tanti sopravvissuti al disastro della bomba. Qualcuno dei sopravissuti li avrebbe trovati, i piccoli licantropi sono forti e prima di lasciarli, cantai pochi secondi di una vecchia ninna nanna che i miei genitori mi cantavano da piccoli. Loro non dovevano spaventarsi. Persi i sensi. Il mio spirito era fermo in un non tempo molto freddo e buio. Non avevo paura. Non ero stanco. Non sentivo più il bruciare della carne intorno alle ferite. Non so per quanto tempo restai com'ero e dove mi trovavo, quando mi scoprirono. Udivo voci e tra loro sembrava esserci quella di Julie che mi chiedeva di aprire gli occhi, di svegliarmi. Sentivo persino la voce di John e di Muss. Tutti loro mi chiamavano ed io facevo fatica a rispondere. Una voce molto vicina al mio orecchio mi chiamava disperatamente, non smetteva, non cessava mai. Era come una dolce canzone che non mi stancavo di ascoltare. Probabilmente ero tra le braccia del mio amore e lei mi stava chiamando. Forse non ero nemmeno in me quando uscirono le prime parole. "I bambini?" la voce mi rispose all'orecchio. "Sono al sicuro." "Sono in Paradiso?" "No amore, sei qui con noi. Sei al sicuro." "Julie?!" "Sono qui. Sono sempre stata qui, non sono mai andata via." "Allora?" "Ci siamo salvati nelle grotte di Sal, tutti quanti. I bambini li hanno presi prima." "Charlie e i piccoli?" "Sono arrivati tutti. I gemelli hanno rintracciato Charlie. Adesso riposati." "Julie dove sei? Non ti vedo." "Matt, Charlie non sta bene. E' stato ferito ed è vicino a te. Anche tu sei stato ferito." "Ma io non sento nulla, perché non posso vedere?" "Riesci a sentire la mia mano?" "No." le risposi e capì che solo una piccola parte di me era ancora viva. Capivo tutto perché sentivo il loro dispiacere per me, sentivo il loro pianto interiore e la loro impotenza nel salvarmi. Stavo morendo e Charlie non era in migliori condizioni. Mina era lì vicino a lui. "Charlie???" sussurrai. "Mi dispiace amico." fu la sua risposta. Mina continuava a parlargli ma lui non rispondeva e esalava qualche piccolo lamento. Lo chiamavo col pensiero ma lui era sordo, percepivo le sue ferite mortali e capivo che i suoi ultimi respiri erano dedicati alla sua ragazza. Il mio corpo era diventato un pezzo di pietra che accettava l'aria non per combattere le fatali ferite ma per la mia testardaggine. Sarei morto solo quando io sarei stato pronto di farlo. Cercai con tutta la disperazione ancora un miracolo di forza per alzare la mano. Sarebbe stato il mio ultimo gesto d'amore ma dovevo farlo. "Julie?" la mia voce era appena un sussurro. "Sono qui." "Vuoi sposarmi?" "Io voglio sposarti." "Clarence?" Mio nonno arrivò e mi chiese di perdonarlo per essere stato troppo freddo con me. "Ti prego nonno, sposaci!" "Siamo qui tutti riuniti, tuo padre, i tuoi amici e tutti quelli che hai portato in salvo, tutti vicini ai vostri cuori perché voi due vi meritate. Che l'amore che provate l'uno per l'altra non vi abbandoni mai, ovunque lo Spirito del Grande Lupo voglia portarvi. Che possiate assaggiare dal calice della felicità adesso e per sempre. Julie Hunt vuoi tu sposare Matthew Brightman?" "Sì. Lo voglio!" "Vuoi tu Matthew Brightman sposare Julie Hunt?" "I ... " Stavo per rispondere. Avrei voluto rispondere ma la mia forza si esaurì e sentì a malapena la mia mano scivolare via dal volto bagnato dalle lacrime, di Julie. Una piccola luce volò nei miei occhi bui e tutto divenne silenzio. Non c'era più nulla intorno a me oppure loro c'erano ma io stavo per andare via. Voci e ombre, tutte informi correvano davanti ai miei occhi. Ovunque mi volesse portare la morte speravo che mi fosse concesso di aspettare Julie. Era stata Julie l'ultima immagine del me ancora vivo, Julie mentre urlava. "Matthew non ti azzardare a lasciarmi! Hai capito? Non ti azzardarmi a lasciarmi qui sola? Matthew ascoltami! Vi prego, aiutatelo! Vi supplico! Vi prego fattelo vivere! Lui deve vivere!" Le sue preghiere arrivavano, dove stavo andando, ma io non riuscivo a risponderle. Julie non mi avrebbe mai perdonato se fossi morto. Lei si era buttata sopra il mio petto e lo colpiva con tutte le sue forze. Mi chiamava, mentre piangeva e mi scuoteva nella speranza che fossi resuscitato per qualche miracolo. Non avrebbe mai smesso se non l'avessero allontanata con la forza. L'aria era piena del suo dolore che mi chiamava indietro. Le avevo giurato di starle per sempre vicino e non avevo mantenuto la promessa. Julie soffriva ed io non avevo modo di ritornare la lei a consolarla. Speravo che alla fine, potesse trovare il conforto necessario per dimenticarmi, altrimenti avrebbe smesso di vivere per il suo sogno irrealizzabile. Io volevo che lei vivesse e che fosse felice a discapito delle mie promesse. Julie ...
17 Matt o Charlie Anche morire è doloroso. Sentivo con una parte di me non collegata al corpo, canti e nenie provenienti da voci conosciute. In molti chiamavano il mio nome. In molti mi chiedevano di tornare dalla morte. A quelle poche voci si unirono altre e altre ancora. Sentivo persino i bambini chiamarmi e il reverendo Preston, cui non ero mai stato molto simpatico, pregava per me e per Charlie a voce alta. Ad un tratto sentì uno scossone fortissimo. Ed Muss al mio orecchio gridava: scegliete di chi voi sopravviva nel copro dell'altro! Tanto tempo fa, avrei detto che era un pazzo ma capivo che lui stava cercando di salvarci entrambi. Non so quanto potesse essere forte la magia indiana e quanto forti i poteri di Muss ma il mio spirito era ancora con loro e presumevo che lo fosse anche quello di Charlie. Sebbene i nostri corpi, mio e di Charlie, fossero su due reti fatte di rami ma vicini "Sono con noi. John vai a chiamare tutti. Abbiamo bisogno di tutti loro per salvarne almeno uno." "Cosa vorresti fare Ed?" domandò John con un tono di voce dimesso. "Salvarli, John. Vorrei salvarli, ma il corpo meno maciullato dalle pallottole è di Charlie. Forse posso fare vivere i loro spiriti ma in un solo corpo. Matthew è morto e il suo spirito tra poco sarà chiamato dal Grande Lupo. Io posso chiedere per lui un miracolo. Dobbiamo pregare tutti, nessuno escluso e se solo uno di noi, non volesse che lui si salvi, sappi che non ci sarà più alcuna speranza. Questa cosa può funzionare quando tutti desiderano con tutte le forze. Mio nonno raccontava che lui aveva provato questo rito e c'era riuscito. Da allora nessuno è più stato in grado di fermare la morte." "E tu pensi di riuscirci? Io non sono d'accordo. Sono andato via da tutto questo per non mettere in pericolo la vita di mio figlio. A mia volta sono colpevole di aver partecipato alla distruzione dell'umanità. Quante cose abominevoli non facciamo per amore? Mio figlio dovrebbe uccidere lo spirito del suo amico per prendere possesso del suo corpo?" "Putroppo funziona così." "Ma Charlie è ancora vivo!" "E' spacciato. Le pallottole hanno colpito stomaco, fegato e la base del cranio. Solo Matthew potrebbe salvarlo. Lui non morirebbe, parte del suo spirito, una piccola parte resterebbe dentro. Matthew ha la forza di un Attaccante e lo spirito di tutti quelli che ha assorbito potrebbe spingerlo a vivere. Non c'è garanzia. E' un tentativo per non perdere entrambi." "Non è naturale, lo sai Ed. Noi siamo già dei mostri perché crearne uno uccidendo un altro?" "Perché la guerra non è finita e abbiamo bisogno di questi giovani per difendere i nostri bambini. Salvare uno dei due, significherebbe salvare anche il Popolo della Luna." "Allora salva Charlie! Mio figlio è morto." "Charlie non ritornerà mai quello di prima. Non camminerà e forse non parlerà più. Potrebbe risvegliarsi un vegetale. Io vi do la possibilità di unire le vite dei due ragazzi." "Quale esperimento fatto nel nome della storia ha portato più bene che male?" John era furibondo. Non voleva perdermi ma non poteva uccidere Charlie. Clarence era di parere diverso. "John, tu non hai mai accettato le nostre tradizioni. Sei uno scienziato e dovresti capire che alcune scelte, anche se violente, terrebbero in vita quello che più temiamo di perdere, la nostra specie. Noi siamo indiani di montagna e conosciamo i suoi segreti, i suoi riti e la sua forza. Con noi si sono tramandate certe leggende che tempo fa, erano storia. Portare in vita uno di noi, non significa uccidere necessariamente l'altro, ma un fratello che accoglie un altro fratello. Noi siamo il popolo della condivisione." "John, io non ho mai praticato questa magia, ma non puoi negare a tuo figlio la speranza. Lui ci ha salvato. Matthew non è più solo tuo, anche noi rappresentiamo la sua famiglia." "Lascia stare Muss! Meglio saperlo morto. Non voglio giocare con la sua anima. Lasciamo il suo spirito riposare in pace." "John! John, ascoltami. Il suo spirito è ancora qui. Abbiamo poco tempo. Noi possiamo salvarlo. Possiamo provare a fermarlo. Tu puoi dare a questi ragazzi ancora una chance." "E se non funzionasse? E se servisse solo a creare un mostro?" "Se non funzionasse la cosa non potrebbe uccidere due volte tuo figlio e se funziona, lui tornerebbe con lo Spirito del Grande Lupo. La mia magia è una magia buona. Nessuno può garantire ciò che succederà, ma noi possiamo permetterci il rischio. Matthew meriterebbe qualsiasi cosa non fosse meno di questo. Guarda il corpo di Charlie, è inerte, aspetta solo uno spirito più robusto." John però stava fissando il mio corpo e per la seconda volta di quella che fu la mia vita, lo vidi piangere come un bambino. Io non potevo sentire la sua stretta ma aveva afferrato le mie mani e se le teneva sul petto, come se aspettasse che loro si muovessero o che accettassero quel suo forte sentimento. Il corpo freddo non rispose e John cadde a terra con i palmi sul viso, supplicando Dio che lo aiutasse. Clarence aveva chiamato tutti i vecchi della città. Loro si riunirono a consiglio e il più anziano di tutti, il padre del dottor Bollinger, un uomo minuto si avvicinò a John e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio. John allora, aprì gli occhi e si lasciò aiutare ad alzarsi. Il vecchio Bollinger portò mio padre dal corpo di Charlie e gli chiese di tenere le mani del ragazzo. "Qui ci sarà tuo figlio. Accetta questo miracolo! Charlie vivrà. Noi abbiamo il dono di una resistenza fuori dal comune. Il suo spirito resterà con Matthew. Charlie non morirà ma ora nemmeno Charlie è in grado di sopravvivere senza l'aiuto di Matt. Tu sei il padre e tu decidi." Julie parlava con le sue lacrime in bocca. "Vi prego salvatelo. Prendetevi la mia vita e provate a chiamarlo indietro." Muss si avvicinò a lei per confortarla. "Non è possibile Julie. Non funziona così. Possiamo aiutarlo ma è un caso eccezionale. Il suo Difensore darebbe la vita per lui e sono certo che il corpo di Charlie ospiterà volentieri l'Attaccante." "Charlie dovrà sacrificarsi?" "Charlie è clinicamente morto. La pallottola che lo ha colpito alla testa ha fatto danni gravissimi. Non sappiamo se dovesse svegliarsi come potrebbe essere. Probabilmente non si sveglierà mai e questo significherebbe ucciderli entrambi. Io proverò a chiamare Matthew ma tu dovrai stare buona e aspettare. Hai capito Julie?" "Aspetterò. Non uccidete il mio Matthew. Vi supplico non uccidetelo non mi resta che lui." Mina versava le sue lacrime in silenzio. Parlava al cuore di Charlie e gli accarezzava il capo fasciato e sanguinante. La sua mano faceva passare uno straccio bagnato sul viso. Quando ebbe finito col corpo, lavò, a una a una, le piccole ciocche dei lunghi capelli dell'uomo che amava e non diede mai peso alle parole di Muss perché concentrata a ricordare a Charlie quanto ci tenesse a lui. Julie fissava a sua volta la tragica scena e capiva quanto fosse stato difficile accettare, un uomo metà di ciò che era stato, ma meglio metà che nulla. Era disposta a cedere la metà alle forze degli inferi che privarsi del tutto di chi le aveva dichiarato amore per l'eternità. Un corteo si curiosi continuavano a sostare nei paraggi della tenda, chiedendo come e se potessero essere utili. fu chiesto loro di rendere completamente buio il riparo e molti iniziarono a portare, vestiti, rami, pezzi di plastica avanzati al disastro e ogni oggetto che potesse fortificare l'ospedale rimediato col nulla. Muss ordinò che fossero portate tante pietre, tante quanti gli anni dei ragazzi e le sistemò in cerchio, dove al centro accese un fuoco. Il vecchio Bollinger, tolse due fili di capello dalla sua testa bianca e li infilò sotto il capo dei feriti. Muss fece la stessa cosa. Entrambi allontanati gli spiriti maligni con le mani baciarono Matt e Charlie sulla bocca e ci soffiarono dentro aria. mio padre e le ragazze erano scioccati. Clarence guardava Ed come se sperasse di vedere il suo imminente miracolo. Dopo aver battuto la mano sulla spalla destra di John, l'anziano Bollinger si unì agli altri, aspettando la decisione di mio padre. Erano tutti lì intorno ai nostri corpi. Muss non aveva mai smesso si bisbigliare le sue nenie che erano solo un ritornello che si ripeteva come un disco rotto. "Non c'è più tempo Clarence, tuo figlio deve decidere, ora." Clarence era combattuto quanto mio padre. "Non so ..." Gli anziani cominciarono il loro canto incomprensibile. Credo che nemmeno John lo conoscesse. Era il canto della partenza dello spirito di un uomo valoroso per la pianura del Grande Lupo. Gli anziani chiamavano il mio nome. Chiedevano allo spirito di aspettare. "John? Decidi!" Ed chiese agli anziani di procedere. John invece guardò il padre di Charlie che annuì. Jesse venne a stringergli la mano. "Stai facendo la cosa giusta per il tuo ragazzo. Mio nipote avrebbe dato la vita per lui." "L'ha persa per lui." "Potrebbe continuare a vivere, John. Pensa col cuore. Sei un padre non uno scienziato." "Va bene." "Credo che se uniti, noi possiamo farcela. Sbrigatevi! Adesso tutti voi ripeterete le stesse cose che dirò io e quando sarà il momento, griderete forte, con tutto il fiato che avete dentro. Non temete di risvegliare i morti perché proprio nella dimensione della morte devono arrivare le nostre voci." "Clarence, per favore se puoi, fai uscire Julie e Mina." Clarence annuì e mentre usciva, sussurrò più a se stesso, soffrirebbero troppo. Quando le ragazze uscirono, i nostri corpi furono spogliati e credo non fosse un bel vedere perché sentito i sospiri di molti di loro tra cui genitori di Charlie e suo nonno Jesse. Gli anziani passavano a turno con una mano sui nostri corpi e una sui loro occhi. Quando toccavano il loro cuore, sfioravano anche il nostro e quando si toccavano, la bocca poi le loro mani sfioravano la nostra. Il rito si ripeté per un po' di tempo. Poi si strapparono peli dalla testa che unirono a capelli strappati dal mio capo. Sputarono tutti in una piccola saccoccia di pelle rossa e aggiunsero i peli dopodiché lasciarono la saccoccia sul petto di Charlie e finiti i giri intorno ai corpi, si sedettero in circolo a gambe incrociate per cantare. Era un canto forte e triste che partiva da una tonalità bassa per arrivare a una molto alta e anche questo si ripeteva per un bel po' di volte. Le magie sicuramente partono dalle energie che ci sono nei cuori delle persone. Sono energie pure e benefiche. I vecchi di Lot Berry sembravano essere in trans. I loro respiri erano in simbiosi e i loro occhi fissi nel nulla, vedevano l'oltre. La saccoccia sul petto di Charlie cambiò colore e divenne scura. Probabilmente io non capirò mai come c'era riuscito né perché Charlie diventò l'ospite nel proprio corpo ma io, dopo aver galleggiato nel vuoto, ripresi a percepire il dolore. Le loro voci erano l'arma perfetta e il suono che provocavano teneva il mio spirito ancorato alla Terra. Non appartenevo più al mio corpo ma non potevo nemmeno allontanarmi da esso. La mano destra di Charlie e quella sinistra di Matthew furono legate insieme con una pelle di lupo. Ed Muss si era spogliato perché i suoi riti, di qualunque natura fossero, richiedeva la piena libertà del corpo. Probabilmente la magia è la spiegazione a quelle forze dell'universo che restano sconosciute a molti scienziati. Non so perché tali magie non fanno effetto su tutte le persone, sicuramente servono delle condizioni perfette perché esse abbiano successo, ma se esistono e se il loro risultato è positivo, significa che ci sono corridoi segreti là fuori, dove potere rifugiarsi dai disastri delle forze oscure nelle mani dell'uomo. Vidi il mio corpo, era pallido e traforato come una retina da sposa. intorno ai fori dei proiettili, delle bruciature ma la cosa più triste era il mio petto, aperto con il cuore fermo, rigido sotto gli occhi di un profeta che danzava intorno alle nostre salme. Charlie aveva un foro che partiva dalla tempia destra e usciva dalla regione posteriore del capo. Pensai che anche Charlie fosse morto ma lui, era solo in coma, il suo cuore pompava sangue e le sue cellule combattevano per sopravvivere.
Il mio sogno mi portava in un posto, dove gli alberi erano rari, ma la pianura sconfinata era un campo perfetto per le corse. L'erba alta invitava a sdraiarsi ma io preferivo non fermarmi, correvo col vento in faccia e cercavo i raggi del sole che si elevava sopra orizzonte. Vivevo la mia nuova alba. Mi sentivo leggero davanti alla stella fissa che m'illuminava parte dei pensieri che avevo perduto, ma non ricordavo dove. Lei non c'era ma l'avrei trovata, non era una speranza bensì una certezza. C'era un posto, dove speravo di trovarla, un punto sicuro e al riparo dalla morte. Il suo volto venne a trovarmi molte volte, ma era un'immagine eterea cui non potevo trasmettere altra forza. Ovunque mi trovassi in quel momento, lei sapeva che la stavo cercando e che non mi sarei fermato, nemmeno se il posto in cui vivevo fosse stato l'Inferno. Ritrovai Charlie. La stranezza che mi parlava sorridente delle sue ferite e mi augurava una vita felice. Che vita, gli rispondevo, io ero morto da parecchio, ma il mio amico faceva segno al suo cuore. perché nessuno capisce i segni del destino. Charlie mi parlava da una collina posta al centro della mia pianura ma io non lo sentivo. Non capivo nemmeno perché si agitava così tanto. Eravamo morti. La mia unica missione da morto sarebbe stata di cercare di tornare indietro e confortare Julie. Charlie gesticolava in modo sempre più insistente. Si colpiva sul petto con la mano destra e poi me la offriva con un pugno aperto. La cosa sarebbe andata avanti all'infinito ma il sole esplose e i miei occhi si chiusero.
Il corpo umano è un mistero. Non bastano farmaci per farlo guarire ma può bastare un rito indiano per strapparlo alla morte o meglio per buttarci dentro lo spirito di uno sconosciuto. Il corpo di un uomo non rigetta lo spirito altrui ma lo riceve senza difese e lo fa accomodare in mezzo alle sue varie memorie come se non importasse la sua storia. Io mio spirito era dentro un corpo estraneo e la sensazione che percepivo era di riluttanza e spavento, sensazioni che avrei dimenticato prima della consapevolezza di chi fossi. C'era un rumore estenuante e fastidioso, un urlo che accompagnava i miei pensieri dell'oltre. Era un grido spaventoso ma umano. Un coro che tagliava l'aria con il suo acuto canto che sembrava un latrato in versi. E sentivo il vento, un soffio dolce da cui non volevo scappare, una sensazione piacevole di caldo e di pace. Qualcosa mi strappò alla mia pace e mi scaraventò in un antro oscuro, dove memorie mie e di vecchi amici si mescolavano alla rinfusa. Tornare alla vita è un po' come cadere e cercare di rialzarsi ma con molti più effetti collaterali. Respiravo. Non capivo quanto fossi cosciente alle cose, intorno ma sentivo un pensiero confuso che mi chiamava, era la mia Julie, la mia unica stella che avrei seguito ovunque. Il silenzio aveva scavato nei miei pensieri. Ricordavo le giornate di sole, quando mia madre scavava piccole buche, dove infilare bulbi di qualche fiore esotico e molto profumato. Ero ancora un bambino timido e malaticcio che odiava i cani e collezionava qualsiasi fobia sponsorizzata dal mercato. Mary Brightman invece era la voce del coraggio. Per lei il buio se esisteva, aveva l'effetto di una medicina che io avrei dovuto accettare per diventare sano e invincibile. Probabilmente era suo il detto "Prendi coraggio dal buio!", o probabilmente lei stessa era il mio velo scuro da usare come uno scudo invisibile per combattere quei mostri che m'inseguivano nei sogni, ma nei miei discorsi con l'aldilà c'era anche Charlie, stava nel suo angolo ad ascoltarmi come un ragazzo curioso che non aveva mai sentito le favole della buonanotte. Mi fissava triste ma capivo che la sua presenza in quella scena, era indispensabile. Charlie aveva sempre qualcosa da dirmi, qualcosa che mi avrebbe salvato la vita, o mi avrebbe fatto evitare qualche brutta sorpresa. Charlie era il mio miglior amico. Continuavo a sfogliare l'album dei ricordi ma lui era sempre lì, nel suo angolino, come se fosse indispensabile la sua presenza nella mia storia. Mentre cominciavo i primi passi di una nuova vita, non vidi quello che accade al mio corpo. L'ossessione che avevo da sempre per la morte si era trasformata in una sorta di appartenenza. Io stavo alla morte come la luce stava al buio, ma entrambe le cose sono indispensabili alla vita. L'aver attraversato i corridoi dell'Inferno non aveva lasciato alcun trauma, ma garantiva una lunga esistenza al senso di giustizia che ancora mi animava. Il mio segreto era l'insensibilità alla saturazione d'oscuro. Ero lontano quando le fiamme avvolgevano quello che restava del castello umano di Matthew. Ero una torcia impalpabile e ribelle. Ovunque avessero alzato la mia pira, sicuramente il vento era arrivato a godersi lo spettacolo e la natura ferita dall'impatto della bomba, non poteva che assistere impotente alla morte di uno dei suoi angeli protettori perché io involontariamente, ero diventato la sua difesa e il suo discepolo. Per finire il rito, gli anziani presero delle ceneri dal mio rogo e le portarono al corpo di Charlie, pronto come una camera vuota ad accogliere il suo nuovo ospite. Gli anziani, a uno a uno, sbriciolarono la cenere sopra il corpo del sopravvissuto, chiamando il nome di chi doveva possederlo, poi i venerandi aggiunsero delle ceneri nel sacchettino legato al collo del superstite. Un rito semplice ma barbaro. Matthew non era più il custode del suo vecchio involucro. Io ero stato traghettato sulla sponda di un limbo oscuro che avrei perlustrato una volta rianimato del tutto l'intero essere. Chiusero il corpo di Charlie in una cappella costruita con rami e stoffe di fortuna. I miei sogni andavano e venivano, ma erano immagini sfuocate che duravano degli attimi e dopo questi attimi, ero catapultato in un mondo senza dimensioni, senza ricordi e senza immagini. Ero solo. Morto o vivo, poco importava. Non ispezionavo più la mia coscienza. Rarissimamente sentivo il mio respiro pesante, alieno e mi domandavo se non fosse stato il caso di svegliarmi. Pensavo. Le volte in cui pensavo raggiungevo una porta chiusa cui bussavo. Charlie mi rispondeva da dietro la porta e non voleva aprire. Perché non potevo entrare? Perché il mio amico mi lasciava fuori? Quando mi allontanavo dalla porta chiusa, ritrovavo una strada in salita e sentivo l'odore di fumo nausearmi, la evitavo e obbligavo i miei passi di ritornare alla porta che la ritrovavo aperta e quando entravo, Charlie era già sparito. Il posto era solo una sala vuota e senza finestre con una sedia in un angolo e sopra la sedia, un piccolo oggetto scuro. Curioso mi avvicinavo e con mia sorpresa, vidi che era Signor Morte. Il mio amico di sempre mi aspettava. Eravamo due inquilini silenti in attesa di qualcosa cui non riuscivo a dare un nome. Ogni tanto qualcuno bussava alla porta ed io aprivo ma non vedendo nessuno la chiudevo. Sentivo le urla di Charlie e allora correvo per riaprire nuovamente, ma lui era solo una voce lontana che chiedeva che li venisse aperto, cosa che avevo già fatto ma lui non poteva vedere. Questo tormento durò per qualche tempo, ma anche quei sogni svanirono lasciandomi dentro e un'altra volta, vuoto e senza di pensieri. Restai in coma sospeso tra tante dimensioni incolori. In quella mia totale assenza, la gente si era rifugiata in alcune capanne rimaste tra i pochi alberi superstiti sul ramo intatto del lago di Lot Berry. Il problema della fame non era stato risolto e molti, arrivavano fino a Bricks Bay per rubare il cibo. I giorni passavano ma io non mi svegliavo. Costantemente vicina a me, c'era Julie che non aveva perso le speranze e c'era Mina che si augurava con tutto il cuore che il suo Charlie, riaprisse gli occhi. Quando sentì il debole fascio di luce penetrare la palpebra mi sentivo come un ubriaco cui avevano rotto un paio di bottiglie di vetro sulla testa. Fortunatamente ero in un posto buio e solo piccoli spiragli s'insinuavano coraggiosamente tra le cose che coprivano tutte le aperture. Nemmeno i miei occhi erano ben coordinati benché fossi riuscito ad aprire solo uno dei due, l'occhio sinistro poiché il destro aveva bisogno di adattarsi al risveglio. Julie dormiva sul mio braccio, sentivo la sua bocca umida sulla pelle e il fiume di capelli sparpagliati. Aveva il profumo di un fiore di campo e se non mi fossi sentito rigido come una statua l'avrei trascinata sul mio petto, per abbracciarla e confortarla. Intorno al posto buio dove mi avevano messo, c'era un sacco di rumori e di movimento, grida, il suono degli zoccoli dei cavalli e bambini allegri che schiamazzavano. Richiusi gli occhi aspettando di sentire il resto del corpo. Provai con il braccio sinistro che mosse un paio di dita appena, allora cercai di alzare la testa, ma dal collo in su sembrava la roccia della Bocca del Diavolo tant'era pesante. Forzai la mano sinistra che riuscì ad arrivare alla testa. Dopo aver tastato un po' la parte dolorante, mi accorsi che il capo era fasciato. "Matt ..." Pensai che Julie fosse sveglia ma aperti gli occhi, vidi che stava sognando. Sentivo male ovunque. Era come se un treno mi fosse passato sopra e qualcuno avesse avuto la cattiva idea di ricucirmi, dimenticandosi di darmi gli antidolorifici. "Ahh!" Julie alzò di colpo la testa. Il volto che aveva davanti a se la spaventò ma la incuriosiva allo stesso tempo. Io invece crollai nuovamente sul cuscino di stoffe e camicie. "Sei sveglio?" "Ciao." "Vado a chiamare Ed e il dottore e anche?" "Mi fa male la testa." "Ti ricordi?" "Cosa?" "Non ricordi nulla Charlie?" "Ricordo che ti ho promesso di non abbandonarti mai e perché mi chiami Charlie?" Lei prese lo specchio che aveva sistemato sotto le mie gambe irrigidite e tremanti. Era strana. Evitava di guardarmi spesso e con la stessa esitazione sfiorava l'interno del palmo della mano destra riversa sul letto e ferma. Io non volevo pensare ad altro che ad alzarmi, se fossi riuscito a intimare alle mie gambe di muoversi ma ero ridicolo, nemmeno il pollice dei piedi si piegava al mio comando. Julie non disse nulla e uscì dalla baracca sistemata alla meglio con tronchi, stoffe e abiti che puzzavano a fumo. Il braciere di pietre non poco lontano ardeva ancora dei piccoli tizzoni. Stranamente non sentivo il freddo ma ero infastidito dalla luce. Col braccio sinistro ed evitando di scuotere il capo che risentiva dell'effetto, campana, scivolai indietro. Il busto era quasi eretto e sarei riuscito a buttare le gambe giù dalla lettiga se non fosse entrato Muss ancora nudo, ancora puzzolente. "Ma quando ti deciderai a vestirti?" "Matt? Sei tu?" "E chi dovrebbe essere? Già pensavate fossi morto, ma sorpresa, eccomi!" "Matt, come ti senti?" Julie si era sistemata contro il muro fragile della capanna, in attesa di vedermi scendere e dell'abbraccio che tardavo a darle. "Sono indolenzito e mi gira la testa, magari se tu cercassi di farmi meno domande." "Non ricordi?" "Sì ricordo che siamo fuggiti con i bambini e che mi hanno colpito, ecco il perché di tutti i miei dolori, le ferite di quei maledetti." "Matthew, non ricordi altro?" "Ho fatto un sacco di sogni e di incubi, Charlie faceva parte di uno di questi. Dov'è così mi congratulo per avermi aiutato e dove sono i gemelli?" "Adesso li chiamo, ma sarebbe meglio che tu mangiassi qualcosa e poi potrai tornare a provare ad alzarti." "Forse più tardi, adesso voglio salutare la mia ragazza." Muss andò a cercarmi del cibo e gli amici che avrei voluto vedere. L'imbarazzo di Julie però m'infastidiva. "Julie?" "Matthew?!" "Perché sei sorpresa, pensavi che morissi e che ti avrei abbandonata?" "Io pensavo che non ti avrei più nemmeno parlato." "Ho voglia di abbracciarti." "Sei certo?" "Quanto sono stato in coma?" "Quasi due settimane." "Io ti ho amato anche quand'ero in coma. Sei così lontana perché temi che ti possa soffocare tra le mie braccia o perché non mi ami più?" "Non posso smettere di amarti." "Allora?" "Le cose sono cambiate da quando sei tornato." "Perché cambiate? Io sono qui e ti amo con tutto il cuore e tu sei vicino a me, intera, bellissima e se non fossi ancora mezzo rotto, ti avrei rapita e portata via per dirti cose che ho tenuto dentro per troppo tempo." "Volevo ..." Ma Julie non ebbe modo di finire la frase perché i gemelli entrarono e rimasero sconcertati. "Perché quelle facce da museo? Sono vivo, sono affamato e non ho più intenzione di dormire per molti mesi. Cosa avete fatto in mia assenza? E Dean come sta? Dov'è Charlie?" Mina si avvicinò e mi sfiorò le labbra con un bacio, e questo alla presenza di Julie che restava quieta come un blocco inanime, ma capivo che Mina era rosa dalla gelosia. "Ti senti bene, Charl cioè Matt?" domandò Ben confuso. "Certo che non mi sento bene amico, ma tu invece come stai, sembri ubriaco anche se credo tu non abbia bevuto nemmeno il sidro di Lottie?" "Scusalo, è contento che tu abbia recuperato le forze. Ma non ti stancare noi torneremo più tardi." "Ci sono notizie di vostra madre?" Ben negò con la testa. "Probabilmente è ancora viva. Sono certo che lo sia, quelli non sprecherebbero mai una cavia. La cercheremo, appena uscirò di qua." I gemelli sorrisero. "Sapete il perché del chiasso fuori?" "C'è un matrimonio Ch, Matthew. Johnny e Trisha Stevens. Tu hai salvato il loro bambino, uno dei neonati che hai riportato." "Sono felice per loro." e guardai Julie. Lei ascoltava e basta. Mina non mi lasciava la mano e stranamente Julie non era gelosa. "Mi sono perso qualcosa?" "Sei solo vivo amore mio, disse Mina mentre Roshua le tirava una pedata sotto la mia brandina, siamo contenti che tu sia ritornato dal regno dei morti." Quell'affetto di Mina mi fece presupporre che io l'avessi corteggiata prima di ferirmi, ma accidenti a me, non ricordavo più nulla. Stavo sposando Julie ..." La mia preoccupazione era Julie che stava sempre appoggiata alla parete con il capo chino e tutti i capelli sul viso. Pensava. Perché pensava invece di abbracciarmi? Ma in quale mondo ero tornato? Avrei voluto fare altre domande ma John, Jesse, Clarence e i genitori di Charlie arrivarono con lo stesso sguardo sbalordito che avevo letto in Muss, In Julie e in tutti gli altri. "Come stai figliolo?" domandò il padre di Charlie. John e Clarence stavano in disparte, come due estranei, e mi meravigliava questo loro mutismo. "Sono sveglio." i parenti di Charlie mi abbracciarono mentre Mina mi accarezzava il volto, facendomi sentire a disagio. "Pà? Clarence?" i miei non rispondevano. Erano titubanti se osare farsi avanti per salutarmi o tacere. "Ciao ragazzo." E John si avvicinò al mio capo per fissarmi negli occhi. "Cos'hai?" gli domandai. Lui mi sorrise triste e mi diede una pacca sulla spalla. "Ti aspettavamo e quasi avevano smesso di credere che ce l'avresti fatta." "Mi avete curato molto bene e non sarei potuto morire con uno scienziato in famiglia." e cercai di sorridere invece della risata io tossì perché era doloroso qualunque movimento dei muscoli facciali. "Non ti ho salvato io figliolo. Ti ha salvato Muss." "Ehee, quello stregone la sa lunga. Avevo immaginato che ci fosse il suo zampino. Sapeva che dovevo sposarmi e non poteva lasciarmi tra le grinfie dell'oscurità." "Adesso vado, tu riposati." John si girò per andarsene. "Pà?" La mia mano alzata cercava di trovare l'uomo che avevo considerato erroneamente il mio nemico. "Sì ragazzo?" "Duzzer?" "A lui penseremo dopo. Ricordati Matthew che tu non sei solo." "Perché mi dici questo'" "Perché a volte viene difficile accettarsi. Non commettere l'errore di credere di essere responsabile di tutti i mali di questo mondo." "John cosa succede. Morirò? Non temere di dovermi dire la verità." Mi stavo alzando dalla brandina ma lui mi fermò e vidi che stava piangendo. "Pà cosa ti è successo?" "Non morirai prima di me, te lo prometto figliolo. Sono solo emozionato, credimi non è stato facile." "Cosa? Che Diavolo succede qui?" "Ti abbiamo aiutato come abbiamo potuto." "E avete fatto bene, sono tutto intero." "Sei l'uomo migliore del mondo che non ha esitato di sacrificarsi per salvarci. Tu onori la nostra specie e spero che non ci odierai mai." "Perché dovrei?" "Non ti abbiamo preparato abbastanza alla tua nuova vita. So che detesti vederti in un certo stato. Ricordi a casa dei Romero? Dovresti vedere la tua barba." "Già. Sai quanto detesto sembrare un animale. Ultimamente sono stato più vicino al lupo che all'uomo. Sto diventando un missile con le trasformazioni, e mi toccai il petto, questo cuore non ha intenzione di cedere." La mia mano era salita fino alla base del collo. C'era una cicatrice lunga e profonda, il mio trofeo di guerra, sarebbe piaciuta a Julie? John mi osservava taciturno e severo. Non era felice per me, non come avrei voluto che fosse. Che mi stava succedendo? Pensai di essere in un sogno ma pizzicandomi sentì dolore. Misi i palmi sulla faccia. Il dolore alla testa era fitto e intenso. Alcune ciocche di capelli sfuggite al turbante di garza, mi caddero sugli occhi, com'erano cresciuti in quelle settimane. Sicuramente troppo per sopportarli una volta tolta la fasciatura. Lasciai ancora le mani sul viso giusto qualche momento per sbirciare Julie attraverso le fessure delle dita. Lei non aveva più le lunghe chiome sul volto e i suoi occhi chiari erano liberi. Si stava trattenendo dal venirmi vicino. Sembrava avesse paura di me. Accarezzai la base del capo, dove sentivo le fitte più forti ma ritirando la mano vidi che non c'era traccia di sangue. La ferita stava guarendo. Julie restava stupita dai miei movimenti. Mi guardava. John mi guardava. Se mi fossero cresciute le corna, avrei capito la stranezza ma l'impianto di garze in cui ero fasciato dimostrava che la mia testa era ancora intera e normale. Quei dannati capelli mi entravano in bocca. Cercando di spostarli, prima di parlare a Julie e a John, la mano aveva trovato un taglio profondo; una cicatrice che partiva da sotto il mento e arrivava alla base del collo. Una cicatrice che io non avevo mai avuto. Che me la fossi fatta durante la fuga dall'accampamento del nemico? Poi un lampo mi colpì dritto al cuore. Cercai di aprire bocca ma vomitai acido e John uscì gridando dalla tenda. Fu allora che mi resi conto della più mostruosa cosa di cui facevo parte. Un incubo. Un esperimento raccapricciante e ossessivo. Avrei voluto dire molto ma non ebbi la forza che gridare. "Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!" Il mio urlo di dolore doveva essere stato sentito fino a Bricks Bay. Cercai di spingere il corpo a trasformarsi ma un pugno di uomini, tra cui i gemelli, Muss, Bollinger e altri entrarono e mi afferrarono entrambe le braccia. "Nooooooooooooooooooo!!! Lasciatemiii!!! Lasciatemi andare!!!" "Calmati Matthew." furono le parole di Muss al mio orecchio. "Io non sono Matthew. Io chi sonooooo??" Le lacrime erano sbucate dai miei occhi come pietre fredde e caddero lungo la faccia fino alla base del collo, dove c'era un foro abbastanza largo da raccoglierle. "Ditemi dov'è Charlie? John portami da Charlie!!!! Dove Diavolo è Charlie??? Charlieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!! Io non sono Matthew io sono Charlie!! Perché sono Charlie??? La mia agitazione aveva chiamato l'attenzione di tutta la gente di Berry. Attorno alla tenda, un silenzio assoluto e centinaia di persone raccolte che aspettavano. Sembravo un pazzo pronto a esplodere di rabbia, ma smisi di agitarmi e abbandonai la lotta. La mia testa pesante cadde sul cuscino. Un rivolo di sangue mi uscì dal naso e mi entrò in bocca, aveva un gusto estraneo. Tutti loro lasciarono la stretta e rimasero a guardarmi come si studia un'attrazione al Museo degli Orrori. "Aprite la tenda." il tono di voce era calmo che convinse l'anziano padre di Bollinger. La luce portò alla vita i colori che pensavo di non potere più vedere. Julie si fece largo in mezzo alla folla e raccolse lo specchio che era caduto. Raccolse un pezzo di vetro che strinse nel pugno della mano, poi rimase vicino a me, aspettando che io le dicessi cosa fare. Mi alzai dal letto e la abbracciai. La baciai davanti a tutte quelle persone stupite e incredule. Lei non disse nulla. Aspettava da qualche tempo che lo facessi e non le importava chi veramente fossi, le bastava che le fosse restituito l'amore che provava per Matthew. Presi dalla sua mano la scheggia e mi avvicinai alla porta della tenda. Ero sotto la luce del sole e non sentivo il freddo dell'inverno ma solo l'abbraccio caldo dell'astro che mi guardava risorgere dalla morte. La scheggia di forma triangolare abbracciava l'intero volto. L'alzai per guardarmi meglio e vidi lui. Lui era me, anzi io ero lui. Io avevo il suo volto, la sua cicatrice, le sue mani e il suo cuore ma non sapevo quanto ci fosse di me la dentro. Sul petto tenevo un sacchettino scuro e maleodorante. Qualcosa all'improvviso cedette nei miei pensieri perché caddi e persi i sensi. I pensieri divennero un vortice che non smetteva di girare ed io restavo fermo in mezzo a quel turbine. Eravamo in due dentro il ciclone, Charlie ed io. Cercavo di chiamarlo ma lui non mi sentiva. Provavo ad afferrarlo ma lui spariva dentro il vortice che lo risucchiava mescolandolo alla tristezza e al buio e alla mia impotenza. Le rare volte in cui riemergeva, lui mi sorrideva. Io non volevo che mi sorridesse. Volevo che mi parlasse, ma lui scompariva insensibile ai miei richiami. Quando il turbine rallentò la sua violenta danza anche i miei pensieri, si acquietarono. Julie mi chiamava costantemente. Volevo tornare da lei, ma ero in uno spazio vuoto senza strade e senza indicazioni di direzione. Non sognavo e non pensavo che a lei. La mia amata, in preda alla disperazione. Io ero disteso nel mio Limbo come un paziente sedato in attesa di guarigione. Sapevo che la mia malattia fosse incurabile. Sapevo che ciò che era stato fatto, non era previsto dalle leggi della natura ma qualunque cosa fossi diventata, dovevo accettarlo oppure morire. 18 Iniziare dalla fine Avevo rubato il corpo del mio miglior amico. Ero diventato un me con le sue fattezze e mi sentivo come il mostro di Frankenstein, un progetto mai ultimato e infelice. La fase finale sarebbe stata quella in cui chiamato lo spirito di Charlie, lui avrebbe ripreso il possesso del suo involucro. E di me cosa sarebbe rimasto? La mia battaglia contro una natura selvaggia a cosa e a chi sarebbe servita? Non so se volevo a tutti i costi, restare vivo. Amavo Julie e per lei, solo per lei sarei rimasto in quel corpo, ma c'erano degli obblighi e dei doveri verso il concetto dell'uomo inalterato che superavano le mie forze di comprensione. Lo stato di avanzamento della nostra specie sarebbe cresciuto esponenzialmente e con o senza il contributo dell'esercito, il mondo sarebbe cambiato. La combinazione uomo lupo avrebbe anche potuto funzionare, ma il dilemma erano gli effetti. Quali potevano essere le conseguenze sui soggetti cattivi? sui violenti? Su quelli che usavano il potere e i soldi per farsi strada. Una forza superiore e incontrollata avrebbe portato allo sterminio di una razza o dell'altra o presumibilmente di entrambe. Nel mio capo, c'erano molte voci che parlavano all'unisono. Erano suoni disordinati, rumori provenienti da vecchi spiriti amici che come me cercavano di capire in quale posto si trovassero i loro ricordi. Morto il mio corpo era morto anche il custode delle loro memorie? Oppure il loro ricordo era sopravvissuto al passaggio e cercavano una sistemazione più reale e da me accettata. Ecco, forse aspettavano che io accettassi quel corpo e le ragioni che mi avevano condotto a impossessarmi di lui. La nuova vita era iniziata con Julie e da allora tutto sembrava voler dire, dovete stare lontani. Da quando ero arrivato a Berry, avevo perso la cognizione dei giorni, del tempo che passava. Ogni giorno mi lasciavo travolgere da nuove scoperte e tutte quante decisive per la mia vita. Non c'era mai stato un momento di vero riposo o di ozio. Avevo dimenticato che la parola “sonno” significasse ricaricare le batterie. Era stato difficile per me accettare di essere un licantropo e forse non c'era stato ancora un definitivo acconsentimento. Come avrei potuto accettare la trasmigrazione dello spirito? Come avevano potuto rinnegare allo spirito di Charlie il suo corpo e cosa avrei potuto fare per riportarlo. La mia ossessione di sempre era stata la Morte e adesso che facevo parte dei suoi diretti programmi, da sopravvissuto, mi sentivo un ingrato. Il mio amore poteva trionfare uccidendo l'anima di chi aveva tentato di salvarmi? Non avrei voluto svegliarmi mai da incubo o sogno che fosse. Julie mi aspettava ma io non capivo come potevo farla tornare da me e dirle di vivere per me. Io ero il carnefice. La felicità di Mina e Charlie aveva avuto una fine, senza nemmeno una possibilità, il filo della loro storia si era spezzato. Che cosa sarebbe accaduto se io avessi sposato Julie? Io con il volto e il corpo di Charlie, quale tipo di felicità avrei potuto rimediare? Avevo aperto nuovamente gli occhi. Il nuovo mondo aspettava la mia decisione e sinceramente qualche idea mi era venuta. La cosa più facile e meno drammatica da farsi, in fondo la mia gente era in guerra ed io meritavo il campo di battaglia più di qualunque soldato meritasse il fuoco. Charlie sarebbe stato d'accordo. Avremmo lottato per i nostri ideali fino alla fine. Avremmo meritato l'amore e tutte le conseguenze di quella nuova natura che ci armava entrambi di una prigionia in un inferno che non ci apparteneva perché non scelto da noi. Qualunque cosa avesse visto i miei occhi, qualunque forma avesse avuto la felicità davanti a loro, io dovevo spartirla con Charlie e non sarebbe stato giusto che Julie o Mina pagassero per queste lesioni innaturali. Io non potevo accettarmi così, ma amavo disperatamente e inequivocabilmente Julie che non sarei mai stato la causa della sua infelicità. Julie amava un uomo dall'aspetto diverso e Mina non si sarebbe mai staccata dalle sembianze di Charlie, anche se ero io a parlare. Quella confusione creata dal passaggio di uno spirito dentro una volontà estranea, era il resto di una divisione che aveva alterato la fiducia nel futuro. Dovevo risolvere la faccenda e non lasciare nemmeno un dubbio in sospeso. Dovevo rimediare e combattere per pagare il prezzo della mia rinascita. Non potevo permettermi di invecchiare nel corpo del mio amico. Il mio sacrificio darebbe servito a dargli la pace che lui avrebbe desiderato, una pace che aveva il prezzo della mia felicità con Julie cui avrei rinunciato. Se ero potuto ritornare dal regno dei morti, di sicuro avrei rincontrato il mio amore, in un lontano futuro e allora saremo rimasti insieme, almeno questo sarebbe stato un sogno che alcuno mi avrebbe mai potuto portare via. La mia vista era diretta in tutti i punti bui della tenda. Ero solo e avrei approfittato per farmi trovare sveglio. Non trovai vestiti ma riuscì a strapparne qualcuno dalla capanna, un vecchio paio di jeans enormi, una vecchia camicia e senza scarpe uscì nella neve. Camminavo scalzo e la gente ammutolita seguiva i miei passi. Molti di loro lasciarono i lavori per venirmi dietro ed io andavo avanti verso il lago che sembrava d'argento con la piccola patina di ghiaccio sopra. Mezza città camminava dietro le mie spalle ed io sorridevo. Si radunavano a uno a uno, silenti e ossequiosi, come una processione dietro al suo cerimoniere. Libero. Ero finalmente libero di appartenere alle decisioni prese. Tolsi le garze dal capo e le gettai ai piedi che erano già in riva. I capelli lunghi si rovesciarono sulle spalle e vidi sopra lo specchio d'acqua la mia faccia, la fisionomia di Charlie con la barba lunga. "Ciao amico? Eccoci!" Dietro di me nemmeno un suono. Qualche bambino impaziente chiedeva ai genitori cosa stesse succedendo ma loro dicevano semplicemente di aspettare perché nemmeno loro capivano cosa avrei fatto. Mi tolsi la camicia e mi guardai le mani. Ero dimagrito, anzi avevo fatto dimagrire il corpo di Charlie. "Ci facciamo una nuotata?" gridai a qualcuno in me che speravo potesse sentire. Dopo essermi girato per salutare la compagnia dei lupi, mi tuffai e l'acqua ghiacciata mi diede ristoro. Julie, John, Clarence, Bollinger, Lottie e tutti gli altri arrivarono in massa, gridando il nome di Matt ma era Charlie a farsi il bagno. "Julie ecco il tuo tesoro!" gridavo. "Matt esci!" "Non posso è Charlie a farsi il bagno, non posso negargli una nuotata dopo tutto quello che ha passato. Amore chiama il reverendo Preston che ti sposo!" La gente ci guardava ammutolita. Sapeva che non era normale quella situazione ma mi avrebbe perdonato tutto perché avevo salvato tutti i loro figli. "Signori, sì voi in riva al lago, io vorrei vedere e salutare tutti i bambini che abbiamo salvato, anche i neonati, è possibile?" Una giovane donna, la più coraggiosa di tutte si fece da sola largo in mezzo a tutti loro e avvicinandosi alla sponda del lago, mi mostrò suo figlio, portandolo in alto. "Questo è il piccolo Jack, se tu non lo avessi riportato a casa, sarebbe morto. Jack ha tre mesi e ti ringrazia per aver sacrificato la tua vita per la sua. Noi tutti ti ringraziamo chiunque tu ora sia. Noi ti accettiamo, fossi Matthew o Charlie non importa e non saremo mai in grado di ripagarti per quello che hai dato all'intera città. Noi tutti ti apparteniamo Matthew Charlie. Noi siamo tuoi e accettaci perché oggi non ci sarebbe più un Popolo della Luna se tu non fossi entrato nelle nostre vite!" La giovane tenne il bambino finché io non nuotai fino a riva. Fuori dall'acqua la madre mi sembrava una piccola e delicata creatura che mostrava il suo tesoro più grande a un gigante. Mi avvicinai e vidi che nei suoi occhi freschi di lacrime non c'era paura ma felicità. Allora piegai la testa e baciai il piccolo Jack sulla fronte. Lei portò il bambino sul petto e si alzò in punta dei piedi per baciarmi la guancia ghiacciata. Io ero diventato qualcosa che apparteneva alla natura irreale di quella situazione. Il silenzio era rotto da un mormorio diffuso. Volevo vincere la loro perplessità e parlai, nonostante fossi ancora bagnato e sopportassi il freddo come un tributo a una sorte troppo generosa con me. "Io sono stato fortunato perché è stato lui e gli altri a salvare me. Io ho trovato il senso della mia vita tra voi. Non sono degno del corpo in cui mi ritrovo, non capisco nemmeno come sia potuto accadere, io non sono uno di voi, uno che rispetta le tradizioni ma una certa è che non temo la morte e chi la vuole portare tra noi! Sappiate che io sono Matthew Brightman e sono l'ospite del corpo di Charlie Kinney e noi abbiamo deciso di dedicare quello che ci resta da vivere alla comunità. Io sarò il vostro Attaccante e se non vi dispiace, vorrei sposare la mia Julie. Julie? Chiamatela vi prego. Chiamate anche Muss e Preston, ci sarà un altro matrimonio in famiglia e se qualcuno intendesse sposarsi, allora lo faccia con noi." Chiamavo Julie, ma altre madri arrivarono con i loro bambini da abbracciare. Loro spiegavano ai più grandicelli chi fossi e loro correvano da me senza sentirsi obbligati di ringraziarmi ma felici di conoscere un fratello che li avrebbe salvati sempre. Era l'atmosfera perfetta per un matrimonio. Sapevo che Mina non l'avrebbe presa molto bene e chiese a Clarence di potersi allontanare durante la cerimonia. provai a parlarle, ma capivo la sua ostinazione. Amava Charlie, più di quanto avesse mai potuto amare me, mi confidò. Sarebbe andata a Bricks Bay per cercare informazioni sull'esercito e mi chiese di essere felice anche per lei. In quel momento sarei voluto morire per restituirle il corpo di Charlie. Un'altra amica pagava un caro prezzo per il mio ritorno. Julie avrebbe voluto rimandare la cerimonia ma io sapendo quell'era il piano, non potevo aspettare. Mi chiesero tutti alcuni giorni per potersi preparare ma io non volli. La festa non sarebbe stata uguale senza Charlie, senza Mina e senza tutti quelli che avevano sacrificato la loro vita per me. La mia festa era l'amore di Julie che doveva avere il suo trionfo e attimo di pace. Il nostro amore avrebbe superato la barriera del tempo e pure di quel corpo che faticavo ad accettare come mio. Riuscito a convincere mio nonno, il reverendo Preston, Muss e genitori di Charlie, rimaneva da discutere con John che non riusciva a capire la mia fretta. "Ho accettato che tu la sposassi in punto morte perché sapevo che saresti morto, ma adesso ti domando, sei sicuro di poterla proteggerla in questo modo? Lei è ancora una bambina che ha bisogno di tempo per fare le sue scelte. Anche se ti ama, e non sto mettendo in dubbio i vostri sentimenti, non basta un matrimonio per abituarsi al nuovo Matthew. Potresti metterla nella difficile condizione in cui smesso di amare Matthew dovrà amare Charlie. E' difficile per noi figliolo, ma lo sarà ancora di più per lei." "Dammi la tua benedizione e non ti preoccupare. Farò la cosa giusta." Gli tesi la mano in attesa che fosse stratta. "Lo spero. Non sarà facile, ma vi auguro di essere felici. Abbiamo bisogno di vedervi felici." E mi abbracciò nascondendomi i suoi occhi stanchi e umidi. Mio padre era cambiato molto da quando era ritornato a casa. E venne il momento della cerimonia. I ragazzi avevano preparato un igloo illuminato dalle candele e intorno c'erano fuochi accesi e persino pezzi di carne sugli spiedi. Lottie sorrideva con il suo scialle da cerimonia rosso, chissà dove lo aveva recuperato? Muss si era vestito e i gemelli stavano accompagnando la sposa. Lei era bellissima. Il suo vestito era un pezzo di stoffa legato con nastri e tra i capelli oltre ai fiocchi di neve che stavano cadendo, aveva foglie di quercia. I suoi occhi blu brillavano come torce e sembrava l'ultimo angelo rimasto sulla terra per me. Non potevo amarla di più e non ci sarebbe stato un momento più perfetto per dirglielo. Muss mi aveva parlato prima della cerimonia. Mi aveva parlato di Julie e di tutte quelle paure che rendono fragili, le giovani spose. Mi chiese di stare attento ai miei sentimenti, a volte troppo forti e di non dimenticarmi che io le appartenevo e che non avevo più il permesso di fare quello che volevo della mia vita. Gli promisi che il mio impeto non avrebbe mai importunato la mia bella sposa che l'avrei aspettata e che l'avrei capita fino alla fine dei miei giorni. Muss non sembrava molto convinto di quello che gli dicevo. Lui, più di mio padre aveva intuito che ci fosse qualcos'altro sotto. Julie mi guardava con quel certo timore di qualcuno che non sapeva chi veramente stesse sposando, ma io mi avvicinai e le baciai la mano, aveva sempre quel profumo d'innocenza e di fiori che mi aveva vinto dall'inizio. Lei invece di ritirarsi, mi guardò nella profondità degli occhi alla ricerca del suo amato Matthew. "Stai tranquilla peste, sono io e stavolta, rischi di essere mia per l'eternità." "Non desidero nulla di più." mi disse cercandomi la mano che timidamente strinse la sua. "Ti amo. Sei certa di non voler scappare? Io sono qui, ma capisco che tu adesso veda il volto di un amico." "Ti amo. Sei sicuro di voler amare unicamente me per tutta la vita? Voglio credere che Charlie non abbia desiderato lasciarti morire e se non fosse per lui, tu adesso non saresti qui con me. Forse ti pentirai di aver scelto la ragazza più testarda del pianeta, ma fino allora avrò tutto il tempo per farti capire quanto non possa esistere senza te. Ho creduto di morire ogni volta che sparivi, ogni volta che combattevi, ogni volta che ritornavi ferito. Ho creduto di non avere mai una seconda possibilità per rimanerti vicino, ma adesso che posso, non smetterò di farti sentire la mia presenza. Ti prego non sparire ancora. Non mi basterà una vita per misurare la grandezza di quello che provo. Sei certo di volere questo peso che porto? " "Io sono certo di amarti per tutte le vite che avrò!" Chiesi al reverendo Preston di sposarci in mezzo alla gente e non nell'igloo che sebbene molto ben, non avrebbe potuto accogliere tutti. Prima di scambiarci i voti, Ed venne a benedirci e con lui, tutti gli anziani della città. Tutti loro al passaggio ci toccavano le fronti e canticchiando una canzoncina sparivano in mezzo alla gente. Durante la cerimonia, il Popolo della Luna cominciò a ululare, nessuno si era trasformato e l'ululato richiedeva un cero sforzo e sofferenza ma loro, ci regalarono il loro inno e la loro devozione. Fu un momento magico. Promisi a Julie di amarla e lei mi promise che mi avrebbe accettato in qualunque forma mi fossi presentato. Ci scambiammo gli anelli che mio padre e mio nonno avevano ancora all'anulare, entrambi vedovi ma ancora innamorati delle donne che avevano perduto. Poiché la mano di Julie era più piccola, il suo anello rimase a me, da stringere. Le disegnai con un pezzo di tizzone freddo, un piccolo cerchio scuro intorno al dito, solo perché si ricordasse che era mia. Dopo la cerimonia, ci incontrammo tutti intorno a un grande fuoco e qualcuno riuscì anche a suonare e a cantare per noi. Lottie e le altre donne, vennero da noi per dirci con un sussurro che l'igloo era stato preparato per la notte degli sposi. Io ringraziai e guardando Julie vidi che non temeva il momento della solitudine con un uomo che non assomigliava al suo vecchio amore. Le presi la mano e sparimmo nella notte per aprire la tenda sulla stanza fatta di candele e rami d'abete profumati. C'era un cesto con del pane e della frutta arrivata da chissà dove e donata a noi piuttosto che ai piccoli che in quell'inverno rigido, ne avevano molto più bisogno. Il fuoco bruciava allegro e mi sedetti a terra a gambe incrociate a fissarlo. Julie venne di fianco a me e anche lei si mise a guardare la fiamma che si rifletteva meglio nei suoi occhi. La amavo e non sapevo quali parole usare per dirle che non c'era un metro per quel sentimento che aveva attanagliato il mio intero essere, tanto da strapparlo alla morte. Le presi il volto tra le mani per baciarlo e lei me lo lasciò fare. Era mia. Unicamente mia. Anche se fossi morto il giorno seguente, ero riuscito ad appartenerle. Lei era convinta che la notte delle nozze, sarebbe stata anche la notte in cui sarebbe diventata una donna e iniziò a spogliarsi davanti al fuoco, dove mi sarei voluto buttare volentieri, pur di non dovermi trattenere ancora una volta. Era ancora fragile. Non era ancora pronta. Quella doveva essere una scelta sua e non il risultato di una regola; sei sposata devi appartenere al rito dell'amore. La fermai per stringerla a me. I suoi seni piccoli erano appesantiti da un respiro veloce, come quello di un cerbiatto impaurito. "Stringimi. Io sono qui." "Ma? Non mi vuoi?" "Potresti anche sbattermi una pietra in faccia e sentirei meno male. Tu hai più coraggio di me. Io è meglio che muoia un poco nel desiderio del tuo essere, pestifera creatura. Sarò tuo, non temere, ma è stata una giornata faticosa e direi di consumarci nel riposo se non ti crea fastidio." "Non devi avere paura per me." "Io ho paura per me! Tu sei una donna, sei più forte per natura e poi sei un'Attaccante. Che Dio mi salvi! Io ho paura di te, mio bell'angelo. Ho paura di innamorarmi tanto da perdere il controllo sulla mia ragione. Ho paura che tu possa sperimentare qualsiasi sentimento sul mio cuore ed io non potere fare altro che tremare. Io ti amo e qual è il conforto? Sai qual è Julie? Bruciare. Consumarsi, struggersi per te, continuamente senza mai una sosta, un attimo di pausa. Tu mi assorbi, mi divori e questo lo fai involontariamente. Ti prego dormi con me prima che ceda al lupo dentro la voglia di sentirti mia. Ho paura di te mia perfetta preda. Sono il tuo schiavo e il tuo adepto. Vuoi accettarmi per quello che sono e per quello che sono diventato? Vuoi dimenticare il vecchio e tentare di apprezzare il nuovo? Ti prego pensa a questo prima di decidere di amarmi. Voglio che tu scelga non in base ai ricordi ma al reale." Lei stava stretta a me e ascoltava il cuore. Io la portai in braccio sul letto fatto di pelli di capriolo e coperto con due coperte di lana sopravvissute alla bomba. La baciai a lungo e la guardai addormentarsi. Volevo che il suo ultimo pensiero non fosse il me morto ma il me ancora vivo. Quella notte la strinsi a me e dimenticai la guerra degli spiriti, accettando con gratitudine quel corpo che stringeva la sua amata sposa. Non sarei resistito per molto vicino a lei senza toccarla. Mi ero controllato, trattenuto con lei per tanto tempo che perfezionare quella sofferenza mi faceva sentire come un drogato in perenne astinenza ma Muss aveva ragione, John aveva ragione, lei doveva scegliere il momento giusto. Lei era il mio filo elettrico che se staccato, sarei rimasto ucciso. Il mio momento magico stava finendo e l'alba era subentrata alla dolce oscurità che ci aveva cullato insieme, corpo contro corpo, respiro contro respiro. Lei dormiva spettinata e bella. La sua schiena era bianca come il latte e la baciai, prima di uscire dal nostro nido. Ero sposato, ma lo dissi solo all'alba. Un nuovo uomo stava davanti al giovane sole. Sentivo la presenza di quell'essere che avevo odiato fin dall'infanzia, un animale che si contorceva in mezzo ai miei organi vitali che mi chiedeva di essere libero e quella creatura non apparteneva al vecchio Matt, ma a Charlie, era qualcosa di lui che poteva condividere entrambi. Tornai al lago e chiusi gli occhi. Non avevo ancora scoperto se funzionava oppure no, il richiamo. Avevamo ancora una missione. Un compito difficile e quasi certamente mortale. Quella strana quiete senza inseguitori odorava a trappola che avrebbe stretto la gente di Berry in una prigionia di scienziati e potenti della terra che li avrebbe usati come cavie vive. Avevo ancora una possibilità di fermarli usando l'elemento, sorpresa. A occhi chiusi cominciai a pensare a chi avrei voluto con me. Il richiamo telepatico parve funzionare perché arrivarono di corsa i gemelli, Dean Duzzer, Muss, gli amici di Charlie e altri che non conoscevo nemmeno. Il mio messaggio era stato chiaro: perlustrazione dell'accampamento dell'esercito. Per me conservavo l'idea di attaccare tutto e tutti cominciando dal blindato delle munizioni. Lasciai la riunione per tornare all'igloo e salutare Julie che dormiva ancora. Guardai la sua mano e vidi l'annullare con il disegno dell'anello nuziale, la sollevai delicatamente e le scrissi sul palmo della mano che l'amavo, le sarebbe bastato fino al mio ritorno. Lei con un sottile lamento, si riprese la mano per infilarsela sotto la guancia e continuare a sognare. Le resistevo appena. Se si fosse svegliata, forse avrei deciso di abbracciarla e di farla mia. Respiravo col fuoco e nelle fiamme di un inferno che bolliva nel mio sangue. L'amore mi uccideva lentamente. Mi morsi il labbro e abbandonai l'Eden, dove dormiva il mio angelo. Avevo già ritardato per troppo la partenza. Ci muovemmo che l'alba era all'orizzonte e la gente di Berry dormiva dopo la sbronza del mio matrimonio. Lei era dentro il mio petto al posto del cuore e se fossi morto, ero certo, che il mio cuore sarebbe sopravvissuto nel suo. Muss non era del tutto contento che facessimo quell'impresa il primo giorno della mia luna di miele, ma capiva l'urgenza dell'azione. L'esercito sarebbe ricomparso a breve per farcela pagare o per rapirci. Lui avrebbe sottratto i documenti dal quartiere generale e i gemelli avrebbero dovuto rapire i pezzi grossi. Io avrei attaccato l'intero sistema militare. Ero partito per la guerra più che mai deciso a vincerla. Forse tutta quella situazione poteva avere una chance. La gente di Berry avrebbe potuto ricominciare in qualsiasi porto non fosse stata inseguita dalle armi di Jack Duzzer. Il mondo avrebbe dovuto temerci non noi temere il mondo. In fondo non propagavamo alcun male e il loro invece, non avrebbe mai attaccato la nostra gente. Noi eravamo la soluzione la degrado e alla malattia che uccideva la Terra. Le loro armi non sarebbero bastate a cancellarci dal futuro. Avevo intenzione di portare battaglia al sistema finché non ci sarebbe stato il modo per un'integrazione pacifica. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma tutti i progetti impossibili potevano diventare realtà se il sacrificio parlava per loro. Ora che combattevo per la mia gente, non m'importava più di quanto fosse o non fosse importante il nome che avevo. Ero Matthew Charlie e non temevo la morte, né quelli che abbracciavano fucili o minacciavano con bombe. Le mie zanne erano pronte. La trasformazione sarebbe stata l'unico atto sincero dovuto al mio fratello di sangue. Con lui e in lui, sarei stato invulnerabile. Ero arrivato a Lot Berry che ero un ragazzo angosciato dal futuro e incapace di affrontare la sua vera natura. Mi ero preoccupato per troppo tempo solo di me stesso, consegnando all'egoismo tutti i miei sentimenti, ma poi, avevo capito che la vita ti rendeva partecipe di piccoli miracoli che dovevi sapere cogliere. Avevo imparato ad amare in questo periodo, a essere sincero non mi ho mai dovuto sforzare di combattere per i nuovi ideali e per i miei sentimenti. Potrebbe sembrare assurdo, ma avevo accettato incondizionatamente le regole della mia gente. L'amore mi aveva spinto nella direzione più oscura della mia vita ma mi aveva messo alla prova con sacrifici spesso snervanti ma per cui valeva la pena mettersi in gioco. Charlie mi avrebbe capito, infondo doveva esserci anche lui con Cristina, Alvin, Clain e Alice. Tutti sarebbero rimasti con me perché è una legge del Popolo della Luna che ho imparato ad accettare. Non avevo intenzione di morire ma sapevo che solo rischiando al massimo, tutti noi avremmo potuto raggiungere la vittoria sul nostro nemico. La storia dei lupi doveva ancora essere scritta e avevo intenzione di farne parte. Julie mi stava aspettando e se fossi stato fortunato, sarei arrivato a casa per cena ... Fine ... forse.
EPILOGO Un uomo solo a fissare il cielo. Due fratelli ma solo uno a sopravvivere … Cos’altro sarebbe successo di importante? Quale altro cambiamento si sarebbe intromesso tra noi e un futuro pacifico? Non avevo le risposte a queste domande. "Non nuoti?" "Oggi no." "Sono in debito con te. Grazie." "Non lo sei. Ho accettato volentieri." "Non se ne accorto nessuno?" "Nessuno." "Mi domando perché hai accettato? Hai dovuto rinunciare a tutto." "Tu hai perso la tua vita per noi ed io dovevo difenderti. Non ero presente quando ti hanno ferito mortalmente. Dovrei sentirmi in colpa, sai?" "Ma non salvi un Attaccante fornendo la tua vita in cambio. Anche tu hai rischiato la tua vita per i bambini." "La tua vita non ha mai avuto prezzo. Hai sempre dato il meglio senza risparmiarti e ho imparato da te che si può fare di più." "Adesso sei tu l'Attaccante!" "Non è stato facile. A volte ci penso ancora. Vorrei chiudere gli occhi e lasciarti la porta aperta." "Io sono già dentro. Non ho bisogno di sostituirti. Non ti avrei mai sacrificato. Con Julie cosa pensi di fare? E Mina?" "Julie ti ha sempre amato. Stranamente non ha sentito il cambiamento, sei così fortemente presente in me che ha pensato fossi te." "Sono un po' geloso." "Allora mollo tutto e le dico la verità." "Lo vuoi davvero?" "No. Julie è bella da togliere il fiato, ma lei ama te." "Adesso tu sei me." "Adesso io sono solo un idiota che scappa dalla propria promessa." "Il mondo è pieno d'idioti in fuga dall'amore. Io prima di te, lo sono stato." "Matt?" "Che c'é?" "E se non dovessi farcela contro Duzzer e gli altri testa calda dell'esercito?" "Farai del tuo meglio e qualcuno penserà a ricucirti come ha fatto con me." "Mi sarebbe difficile accettarlo." "L'ho pensato anch'io, ma ho avuto il modo di farti erede di tutto quello che lo Spirito del Grande Lupo mi ha donato. Hai un sacco di superpoteri che non potrai però, usare contro la tua giovane moglie." "Lei vede solo Matthew. Mi sento così strano. Vorrei che mi amasse per quello che sono, ma non so nemmeno quello che sono o chi sono?" "Sarai un ragazzo ricco di tanti ricordi. Avrai la forza di due nella tua anima. Sei un combattente e un uomo sposato. Rendila felice Charlie! Rendila felice per me, ma non voglio che sia una scelta forzata. Prenditi il tempo che ti serve per conoscerla e se non bastasse o scoprissi che non fa per te, torna da Mina. Corteggiala. Falla ridere, è bellissima quando sorride." "Lo farò. Non posso più tornare da Mina. Tutti loro sanno che sono Matt. Se non funzionerà con Julie, sarà perché non ci sarà più amore. Farò di tutto per amarla." "Ne sono certo amico. Ti lascio, in fondo tu sai, dove trovarmi." "Sei con me, fratello." Ma la mia risposta restava nell’aria perché lo spirito del mio fratello si era unito al mio, un incantesimo e una maledizione allo stesso tempo. Provavo gioia e dolore, contento di potere continuare a guardare avanti vicino alla mia amata ma infelice perché c’era un prezzo troppo caro da pagare. Un uomo diverso da ogni altro, avrebbe creato la mia discendenza. Lo spirito del Grande Lupo avrebbe vegliato su Julie e speravo, con intensa sincerità, che lei mai si sarebbe accorta della mia mancanza. Il sacchetto di pelle scura, cambiò nuovamente colore e divenne rosso, come il sangue, come il tramonto più struggente, come la gemma più incandescente. C'era qualcosa di magico nell'aria, come una promessa e di tragico allo stesso tempo. Un uomo sentiva il peso del futuro sulle proprie spalle e l'incognita della felicità portata dal cuore di una donna straordinaria che avrebbe voluto vicino a sé, fino all'eternità. Il mondo si preparava a ricevere la forza di una nuova specie che avrebbe migliorato la razza umana non più in grado di difendersi dai mali da lei inventati ed io ero soltanto il principio di una razza vigile nello spirito per l’eternità. Fine
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