Poesie di Bruno Amore


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Occhio per occhio
dio degli ebrei
bada a quel che fai
non puoi prenderti quanti occhi vuoi
hanno un dio anche gli altri
geloso anch’egli come sai
e seppur vincente
la vendetta non risolve mai

se della ragione è l’orgoglio
la misura che sta dietro le mura
non la giustizia l’amore la natura
rinnovi il rischio di quel grande doglio
soffrire della pace grande arsura

pestare sangue è da gente dura
offendere è pur esso gran periglio
non sarà concesso oltre farsi giglio
disperato l’uomo salire può l’altura
e rovesciare degli dei il gran consiglio

arma la mano dei tuoi di pane e sale
generoso sconfiggi col bene questo male
torni l’armonia del moto universale.
 

Haiku
chiaro mattino
buio diventa giorno
sigla il merlo


Haiku
nido infranti
vento forte e pioggia
lampeggia laggiù
 

Haiku
fiore di guezza
con l’alba viene e va
bruma d’estate
 

Haiku
terso il cielo
passata la tempesta
millanta stelle
 

Haiku
viene la sera
la giubba sulle spalle
passo pesante
 

Haiku
bacche rubino
un rosario spinoso
[di] rosa canina
 

Haiku
spersa l’upupa
giace secco l’olivo
il vecchio nido
 

Haiku
vola nell’afa
monotono tubare
da quel cipresso
 

Haiku
sette rintocchi
l’orizzonte è rosa
l’aria fresca
 

Haiku
goccia la gronda
nubi che passano via
chiaro meriggio
 

Haiku
vaga lucciola
manda fiochi i lampi
fresca la sera
 

Haiku
lento tramonta -
il rumore lontano
d’una Lambretta
 

Il niente di ora
E’ tempo che nessun canto poetico
ha le giuste penne per volare in cielo
a diffondere quiete pace armonia dolcezza
che le grida strazianti gli schianti il crepitare
spartito fitto di note della parca
hanno toni alti altissimi
vibranti in un sibilo arcano
che tacitano l’ansimare della vita intorno.
E neppure il fiume di pianto
dei mutilati d’affetti o degli d’arti
sarà lavacro e mai
delle tante ansie paure e patimenti.
Eppure l’universo ci abita interamente
con chiare linee guida ci conduce
l’uno e l’altro in assonanze infinite
di una perfezione ch’è bellezza eterna.
 

resilienza
cresce contorcendosi l’arbusto rosa maris
s’arricchisce di spicastri che si faranno azzurri
senza albagia solo d’istinto s’infoltisce ombreggia
per alleviar l’arsura delle sue vene immerse

così ci son umani che curvo il groppone
fan scudo al sangue del loro sangue
che dalla disgrazia deve essere salvato
fibra d’acciaio resiste finché tutto è passato
sfinendosi più nell’anima che nelle anche

giammai fu inarrestabile destino
la cupidigia ammazza il miglior senso
del cielo – forse – è intonso il firmamento
ultimo baluardo è di tutti l’ornamento
ma autoreferenziale Lui per quanto immenso.
 

sciogli la vela … vai
nulla ti tiene più a questo approdo
di lei rimane quella lunga calza fumè
smagliata … buttata lì sulla poltrona

quei fiori azzurri e gialli lungo il dosso
stretti dentro le pagine della memoria
ti strapperanno ancora quel riso allegro
nel correrle dietro senza saltare il fosso

pareva così lunga allettante quella via
che si tuffava giù oltre l’orizzonte
mai che pensassi a un precipizio
a un mare sì - vasto pacifico e profondo

la polvere dai sandali l’ho scrollata
le gambe ho dolenti per la camminata
qualcosa nella bisaggia è sistemata
molta di quella vela danneggiata
all’orizzonte l’arancione sfregia il viola
forse lei – altrove - ascolta musica da sola
 

night club
voleva esser aria di mistero
l’espressione malinconica indossata
e fendendo la ressa che tutta l’accerchiava
nella penombra fatta a pezzi dal mirrorball
la vidi al tavolo degli amici ridere spensierata

smisi di torturare il nodo e la cravatta
lo sciolsi tutto e tolsi anche la giacca
la camicia si illuminò di luce azzurra
allungai il braccio in un teatrale invito
venne e cavalcò decisa la mia destra

mimavo le star del cinema ogni sera
dai piatti di una comunissima stadera
volar per l’aere in ciel muover le penne
agguantar la vita per la coda era chimera
bastava mi seguisse ma non venne
 

una giornata qualunque
non faccio più come un tempo
fiori di campo
nessuno che li voglia o li aspetti
e marciscono con l’acqua nel bicchiere

vanno a bizzeffe quelli a lunga vita
di tanti colori più che i coriandoli
petali lucenti come i crogiuoli di Burano
avvolti in fogli crepitanti di cellofan

sbaglio scarpe giacca e cravatte
calzo un capello floscio a larga falda
ruzzolo tra le mani un ricco accendino
ma non fumo più dall’enfisema

compro il giornale all’angolo
all’edicola superstite vicino al Bar
dove - insieme – prendevamo il caffè
ogni mattina

leggo distratto i titoli in prima pagina
lo spiego in quattro e lo metto in tasca
entro e … un caffè basso … Mario, per favore
non è più quello
ci sono sempre i fondi giù nella tazzina e
ci leggo che non tornerà mai più
 

2024 Haiku ... secondo Heisenberg
la pioggia bagna
è incancellabile
unico bacio


bucolica di mezza estate
A mezza estate la campagna è giallo paglia
il taglio uniforme della mietitrebbia
appiattisce giochi di luce e ombre
è l’uniforme saliscendi di stoppie
steli decapitati del frutto ambito
aspettano il colpo di grazia dell’aratro
ignari del responso dello staio.
E arriva coi doppi vomeri lucenti
trainato dal bove d’acciaio in arancione
che dai corni rombanti spande fumi acri
a tessere un reticolo di solchi bruni
rovesciando e sotterrando ogni festuca
nel corpo caldo della terra.
Tempo di raccolti e consuntivi
di fruscianti banconote – a Cerere piacendo
si faranno grige a perdita d’occhio
le crete sedimentarie delle colline spoglie
e negli umidi impluvi i rovi ornano confini
le ginestre d’oro cenacolo d’api
e tra l’erba sopravvissuta scolorita
superstiti papaveri rossi firmano l’estate.
 

bucolica estate
La campagna di giugno è giallo paglia
il taglio uniforme della mietitrice
appiattisce giochi di luce e ombre
è uniforme saliscendi di stoppie
steli decapitati puntati verso il cielo
aspettano il colpo di grazie dell’aratro.

E arriva coi molti vomeri lucenti
trainato dal bove d’acciaio – tinto arancione
che dai corni rombanti spande fumi acri
a tessere un reticolo di solchi bruni
rovesciando e sotterrando ogni festuca
nel corpo caldo della terra

E si faranno grigie a perdita d’occhio
le crete sedimentarie delle colline spoglie
e radi umidi impluvi di rovi ornano confini
dove le ginestre splendono d’oro e
superstiti papaveri rossi firmano l’estate.
 

Andar per sogni
Lungo la strada che non so per dove
siedo su un paracarro polveroso
a trasognare una galassia di coriandoli
i sogni dei sogni della vita

Cresciuti via via come i piedi nei sandali
inutili luccichii ormai visibili solo
coi lunghissimi binocoli della fantasia
rincorrevo amori non seppi mai di onori

Bastava un terso mattino ch’era già giorno
una fresca sera profumata di ponente
e il tempo da venire sembrava eterno
uno sguardo un sorriso un appuntamento

Tanti maestri ma non ricordo i nomi
cantavano salmi mai belle canzoni
mi frugavano dentro dandomi strattoni
prendevo a calci i ciottoli per strada
le mani sporche nascoste nei calzoni

E’ stato sempre più bello pensar lontano
dove non può neanche un aeroplano
solo con la valigia delle mie illusioni
via da questa assurda falsa cerimonia
in mare e ballare il valzer con la posidonia.
 

l’ombra lunga della sera
da un po’ gira per casa - impercettibilmente
a piedi nudi – quando mai li avesse
e si accoccola in posti insoliti
dove non incomoda
mi segue silenziosa quando esco
come l’ombra lunga della sera
che la luce ormai fioca del tramonto
disegna dietro me sfocando laggiù
dove cominciai a vivere
non lo nego l’ho pensata – la penso
specialmente quando cerco pace
perché il fracasso che sento nel mondo
mi ferisce alquanto
vorrei ma non ho attitudine per l’eroe
e vedo rosso fuoco non arancione
sulla soglia dell’orizzonte verso oriente
e sa di sale la pioggia che viene col grecale
come le lacrime di chi piange giorni e giorni
ha fame e perché sta male
semmai un nuovo giorno mi strapperà un sorriso
grato del tempo che mi concede ancora
glielo indirizzerò sebbene non mi mostri il viso
 

Ci sono tempi
di caudati girini rane lucertole
di nidi d’uccelli di ciliege rubate
di quaderni imbrattati ginocchia sbucciate
le cose dei grandi storie sfumate
sordo alle grida di madri affannate
studiare una scusa per evitar le cinghiate
io c’ero e mi vanto – ho visto la guerra
tremare e pregare scappar sottoterra
quel lugubre suono era prima dei tuoni
poi più liscio sereno s’era vivi e più buoni
un basto di grevi l’età delle scelte
facevi l’amore scompigliavi i capelli
su un’erta salita era sempre il traguardo
non eran d’aiuto le canzoni del bardo
l’orgoglio per la sfida tra mille coltelli
perdetti per primi i più amati castelli
seppure non preghi sembra sgrani il rosario
rassetto la mente per ricordare ogni cosa
son tempi assai tristi - ci si perde il lunario.
 

anno dopo anno
più distante il ricordo diventa
più grande la nostalgia m’assale
e non ho alcun momento per me
chissà dove sei non so cosa fai
m’entrasti nelle vene come droga latente
sentii dolce l’amore ch’era potente

mi manchi ti penso ti voglio
ti vedo nei sogni non passa l’affanno
non so rammentare quell’anno
fu una croce conficcata nel fianco
risanguina ogni volta col pianto
non mi duole perché profuma di te
 

Ricordi verso oriente
La mia prima volta
fu in un anfratto
nell’angolo d’una stanza da letto
rimasto in piedi
tra le macerie d’uno stabile bombardato
e c’era sul resto di muro ancora appesa
una stampa del Cristo di spine incoronato.
Eccitati agitati tutto in fretta che
c’eravamo abituati dagli allarmi
ancora vivissimi non dimenticati
ancora anche coi tuoni rammentati.
Così al vedere mura fumanti diroccate
nere finestre come occhiaie cave
travi e pietre accatastate ai lati delle strade
gente che s’affretta di masserizie greve
mi torna in mente il rombo così alieno
assordante come la prima volta il treno.
E immagino una fanciulla intimidita
appassionata dalla natura intonsa
difendersi svogliata dalle mani d’un ragazzo
anch’egli spaventato da quel mondo alieno
che s’ingarbuglia nell’accarezzagli il seno.
 

fosse primavera
svelle gli aculei il biancospino
dalla crocefissione
e veste i petali bianco splendente
della resurrezione
sono rosse di sangue quelle punte
strappate appena là poco lontano
chiedono pietà a tutto spiano
sordo recita salmi il buon cristiano
 

come tonti
si passeggia si corre si siede
lungo le sponde d’un fiume ch’è altrove
gonfio lento torbido come la miseria umana
di pianti di sangue di spoglie sfigurate
che tortuoso come l‘odio scorre inarrestabile
a ingrassare il vitello sacrificale
lussurioso cibo dei signori di tutte le guerre
 

“vintage”
la cravatta stretta lunga
come i jazzisti di colore americani
e quell’aria annoiata di vissuto
che ti copriva solo a tratti
come l’ombra di una pergola d’estate
lei che si appoggiava col seno sciolto
sulle tue spalle
mandava quel profumo di talco regale
confondeva il suo respiro al mentolo
col mio caldo al doppio malto
strofinavamo la notte
con la suola delle scarpe bianco e nere
per trascinare il buio complice discreto
fino al chiarore dell’alba di domani.
 

magari un Dio
magari avessi un Dio
grande e potente come vorrei io
che non chieda a tutti d’essere pio
ma pagar facesse a chi ha colpa il fio
di menar questo mondo in un delirio

spengono le luci d’ogni vetrina
dove luccicano speranze del domani
perché spartirsi i doni non sia sano
ma contenderseli darà maggiore desio
e premierà chi di ferro calza le mani

mozzerebbe gli artigli a chi spregia d’altri la carne
e a chi per vendetta ne fa scempio
chè non è la violenza panacea che sana
è cancrena che accompagna l’empio
e Caino non canterebbe il suo peana.
 

Epopea stracciona
Bruno quicotte della mancia con Gino sancio panza
saltati giù dal nido precocemente nel marasma civile
del fine guerra del ‘44 s’avventuravano sulle colline
delle macerie di fabbricati crollati accatastate ai lati
di precari sentieri dove scorreva giusto Corso Roma.
A caccia di rottami – specialmente piombo – già raro
prezioso in tempi normali che il ferrivecchi acquistava
a poche lire giusto due biglietti per il cine Pidocchietto.
Masticando poche lettere ma fumando molte Luki Strike
bevendo Coca Cola vera per elargizione o compenso
per servizietti resi agli alleati occupanti.
Con l’occhio rapace voglioso di chi è digiuno della vita
c’ingozzavamo di cattive maniere o cose non commendevoli
lontani dagli occhi dal cuore dalla mente dei genitori
diuturnamente ingaggiati altrove a trovare il pane.
Crescere in calzoni ricuci allungati scarpe risuolate a iosa
correre dietro ad ogni farfalla multicolore con su scritto OK
nella speranza di crescere in fretta nonostante tutto. E
prima d’inforcare pantaloni e scarpe nuove finalmente
dire addio alla spensieratezza incosciente per andare a bottega
credemmo di fare un gesto definitivo come l’inumazione.
Seppellimmo profonda nelle macerie una vecchia fiasca
riempita di papaveri rossi bellissimi
ai quali nessuno faceva più caso
da tanto troppo tempo, ormai.
 

a un passo dal tramonto
amor che mi raggiungi cosi’ tardi
quando ho l’ombra a un passo dal tramonto
dille quanto il cuor seppur lento batte
e il sangue fà nel corpo il girotondo

che i canuti spigoli va smussando
che son profumi quelli ch’erano odori
che il piede non struscia piu’ il selciato
che il passo è più lungo dello scalato

sara’ la seconda vita che mi tocca
prima che il tempo faccia crepar la brocca
prendero’ avido il miele dalla sua bocca
cancellero’ dallo stipite ogni tacca

bacio i piedi al fato che m’ha dato
questo fiore selvaggio dentro un vaso
forte seppur il vento n’ha frustato
la pelle di petali di velluto damascato
 

trincea
stasera al bivacco ti parlerò di Lilly
tu mi libererai dai pidocchi ‘sti capelli
il fronte urla lontano questa notte
siamo in retrovia al fronte vanno a frotte

le sue cosce fatte in quel di Carrara
i capezzoli rubati alla rosa canina
sentissi la voce dolce della mattina
quando calda ancor del letto si prepara

piange ogni giorno e io sono lontano
hanno notizie vedono questa miseria
facciamo guerra ma è già un pantano
è disperazione è tutta una maceria

la gente tutto perde e non aveva niente
schiacciata da eventi decisi in un altrove
tanto lontano misterioso da non sapere dove
magari all’inferno o in un altro continente

arriverà a Lui tanto forte l’eco dell’eccidio
dei disperati in Terra senza Santi
questa tragedia dissangua tutti quanti
che vorrà alfine degnarci – eziandio.
 

Correva l’anno
L’usura nel tempo lentamente 
ha scoperto vecchie tracce di vita
su una delle piste di periferia
rugginose vertebre d’una rotaia
groppa del cavallo d’acciaio
seppellita nel macadam quando obsoleta
E scroscia giù per la memoria
lo sferragliare del tram – la campanella
il gelato da finire in fretta
ratto la cartella da gettare a tracolla
una morbida mano che t’afferrava la giacchetta
forte decisa ma dal profumo di mammella.
 

erano anni, quelli
zoccoli o sandali fino a tardo autunno
che le scarpe chiuse costavano
un occhio della testa
e i giorni dietro a giorni più pesanti
una sosta breve presso un fuoco
acceso per scaldare la gamella
qualcuno tamponava una ferita lieve
inspirare il fumo d’una sigaretta toccasana
e di nuovo al pezzo
il sole cadeva lentamente verso sera
la giacca su una spalla o due
un cenno di saluto qua e là
a passo strusciante verso casa
la cicca spenta all’angolo della bocca
i battiti del cuore finalmente lenti
un benvenuto sorriso 
spegneva il giorno fuori delle persiane
 

la collana
fanne una collana
del rosario delle tue malinconie
avrà un senso perché molti grani
son stati perle di affetto
se la mancanza t’attorciglia i visceri
e si consuma ogni vecchia speranza
spalanca la veranda del cuore
lascia entrare aria nuova fresca 
fosse anche di pioggia o gelo
che non c’è fine all’amore che puoi dare
 

aurora
i rami buttano già
gemme gravide di linfa e colore
per infilarsi maniche di foglie
un modello divinamente disegnato
 
una tempesta di fiori brillanti
di taglia forma e tinta specialissima
cuciti dalle mani sapienti di quelle fate
che l’universo incarica della bellezza
 
darà uno degli abiti che sfilano in natura 
e noi a bearci con occhi naso bocca cuore
innamorandoci della vita.
 

Vado sfogliando
Vado sfogliando il libro
che confina
con le pagine folte di un colore
che oscura questa valle
dove bazzica a tratti
un qualche infuso
di gioia e di dolore
scompigliato da un vento
che avvolge insinuando
raffiche di orrori
dappertutto
nei campi della gioia
e dell’amore
e si accanisce
crescendo a dismisura
fino all’ultima goccia di cammino.
Eretta scala della tracotanza
parte dal fondo buio di un mistero
che vegeta nel cuore
di un qualcuno,
poggiata sulle nuvole di vuoto
è diventata meta degli abusi.
Mi domando
se almeno offrisse un premio,
ma dona solo calci di tomenti
raggela il cuore
e dalla cima
sospesa al vuoto cade
macchiando il suolo di un fetore
grave
che non si scioglie,
supera l’avello
come un fiume che scorre
tra gli sterpi
insegue la memoria e non ha pace.
 

Se mai
avessi voglia di me
e seppur titubante 
per i rumori che si fanno intorno
raggiunger mi volessi
nel nostro letto – che sogno 
vieni che sono sveglio
Fingo il sonno perché mai 
perderei l’emozione dell’attesa 
di come vorrai dare il tuo piacere
anche solo un momento
alla mia carne.
Non tradirò l’attesa anticipando
che a me calda ti appresterai
di lingua lappare baciare sin le caviglie 
e poi mai lesta le cosce e scappare
sui glutei le reni la schiena e 
sulle spalle mie poggiare morbidi i seni.
Le tue mani vezzeggeranno il sesso
socchiusi go gli occhi sfuggendo 
quelli tuoi verdi più belli
e sentire di più il calore divamparci dentro
solo l’orgasmo soddisferà il tormento.
 

Quando la neve
Ha preso a nevicare
non sentirai più le foglie secche
scricchiolare lievemente sotto i piedi
pesanti e lenti per il sentiero a camminare
sulla coperta bianca stesa fino a valle
ai prati verdi dell’ultimo fieno da falciare.

Piccole mani brune sudice intirizzite
sbucando da indumenti troppo grandi
scuotono il telo della tenda improvvisata
per far cadere la neve congelata
che sciolta non sarebbe trattenuta
da quella insicura copertura rattoppata.

A un volo d’aquilone proprio accanto
fumanti macerie dalle quali ebbero scampo
hanno finestre e porte vuote come orbite – è meme
d’un vecchio teschio insepolto calcinato
in quel disastro che l’uomo ha provocato
quasi non avesse lo stesso sangue nelle vene.

Spazza il moccio dal naso
e sulla manica con noncuranza lo spalma
quegli occhi così grandi hanno la domanda
- donde vieni tu, con quella faccia bianca -
non glielo dirò ...
Andrò via lesto prima ch’io pianga.
 

finestre di campagna
da quassù dal più alto poggio
lo sguardo vagabondo girovagando va
sulla distesa di poppute colline
che l’aratro d’autunno ha fatte grige

curve su curve di spiaggia affollata
con l’ogive sormontate da bruni casolari d’arenaria
come capezzoli sui seni d’una vergine
freme l’epidermide accapponata

selvatiche incolte
bordure di arbusti sempre verdi
lungo borri umidi
inghirlandano l’uno e l’altro
 

a un passo dal tramonto
amor che mi raggiungi cosi’ tardi
quando l’ombra mia e’ a un passo dal tramonto
dille quanto il cuor seppur lento batte
e il sangue fà nel corpo il girotondo

che i canuti spigoli va smussando
che son prufumi quelli ch’erano odori
che il piede non struscia piu’ il selciato
che il passo va lungo sopra il gradino

sara’ la seconda vita che mi tocca
prima che il tempo faccia crepar la brocca
prendero’ avido il miele dalla sua bocca
cancellero’ dallo stipite ogni tacca

bacio i piedi al fato che m’ha dato
questo fiore selvaggio dentro un vaso
forte seppur il vento n’ha frustato
la pelle di petali di velluto damascato
 

dov’ho l’anima
l’ho cercata dacchè mi dissero che c’era
nel profondo impalpabile ascoso immateriale
e non c’è anfratto del cerebro
né cavità cardiache che non abbia esplorato
senza frutto … per tanto tempo
pensai si nascondesse in quegli scoppi d’ira
provocati o spontanei per poco o molto
o nei brividi di piacere che dal perineo
andavano alla punta dei capelli
alle caviglie … in un deliquio
eppure mi affascinava l’immenso bacile di blu
dal quale scintillanti microdiamanti
mandano quel chiarore irreale avvolgente
e par d’udire una suadente lievissima musica celestiale
pure sentivo – sento - dolore acuto per ferite non mie
soffrivo – soffro – per la fame d’altri
per infermità guasti e vizi del corpo altrui
e piangevo – piango
davanti alle lacrime purulente di un bimbo
che sgorgano dai suoi occhi spenti
malfermo tra le braccia di una madre esausta sfinita
…. dev’essere questa l’indescrivibile malia
che cerco.
 

Morte a Gaza
Ho nel ventre una matassa di bile
non digerisco questo mondo
fuggire ... mi farei sparare
sulla faccia nascosta della Luna
a raccontare al Barone di Munchhausen
lo strazio delle formiche umane
che abbandonano il nido portando via
quello che è sempre più prezioso
… i vecchi … i bambini …
l’alfa e l’omega di una esistenza
col cordone che non s’ha da spezzare
pena l’oblio.
E’ l’oro il più ricercato digeribile dei cibi
lo sterco del diavolo
per la mensa degli assassini
le loro deiezioni stanno avvelenando l’universo.
Una cagna sporca di vernice rossa
con le mammelle vizze penzolanti
va per un sentiero improvvisato tra le macerie
stringendo in bocca un avambraccio umano
avvolto nella garza insanguinata
mentre le esplosioni dei razzi
fanno crollare i fabbricati
della città di Gaza
 

lungo la strada
le erbacce hanno invaso da tempo
il tumulo dove ho sepolto le mie primavere
e le fugaci estati
la gramigna di verde veste quello dei miei autunni
e lo scavo degli inverni aspetta a bocca aperta


ho ancora fame e non mi sazia il pane bianco
senza pace operosa e speranza all’alba
è digiuno dell’essere … nell’esserci


amo il rosso
non quello del sangue che
scorre ai quattro cardinali
che presto dimenticato … imbrunisce
dei rosolacci
un infinito campo di fiammeggianti petali
a tempestare il grano in rigoglio
di passionale bellezza.
 

Amar(l)ezza.
Metti pure cicuta
nelle mie giornate e sputaci
se ti pare
tanto son cieco e
andrò lo stesso in fondo
a questa strada impervia
seminata di chiodi acuminati
Se dal buio dei tuoi pensieri
vorrai tirar sassi
perché non fui non sono
quel che volevi acconcio
sappi e se non sai mi pento
di non aver detto forte
che quello ch'è stato tra noi
infuocato sentimento
coi serpenti versi che fai ora
l’hai ridotto un cencio.
 

Contenuto condiviso con: I tuoi amici
Ci sono giorni
Tal quale a questo, che ogni tanto viene
indugia nelle lenzuola d'ogni bene
avvolte sgualcite alle membra stanche
vanno a ricoprir prudenti membra bianche.
Non coprirà il caffè il profumo arcano
che da lei promana e indugia nella mano
e stigma della sua essenza ancestrale
ti ruba il senno ed al pensier da l'ale.
Quanto ti resta accanto non ti cale
conti i momenti insieme sul guanciale
e se l'andarsene di lei ti parrà strano
guardala sorride ed ha un fiore in mano.
Come la brezza lieve è nuova sulla pelle
carezze attese ma non sempre quelle
il giorno va porta con sé questo sperare
che il mondo gira e lo farà tornare.
 

Solo rondini
Esplode dallo spavento
il cuore delle rondini
che tornano agli agognati lidi
per gli schianti delle granate
per l’urto esplosivo dei cannoni
per la desolazione del suolo ...
bruciata fin l’ultima minima festuca
e sciami di appetibili creature alate
tornare indietro non è dato
Le più moriranno di fame di guerra
eleganti folletti in frack
E sarà un cratere in più
nella storia di quelle genti
per le quali son di buon auspicio
inconsapevoli messaggeri in frack.
 

“cui prodest”
dio & demone ...
se con celestiali chiarine o cavernosi corni
ecciti lo spirito empatico che ci appartiene
da indurci all’odio che sanguinario cova
in corpi malati irriducibili tal fossimo alieni
tanti ciechi avidi cacciatori ingordi di beni
doni indisponibili dell’universo mondo
che puoi usare ma non tener per te?
Delle nostre preghiere fai scimitarra tagliente
per decapitare – come inermi fiori sull’esile stelo
genti ignare acquartierate ai quattro venti.
Sarà felice solo chi più t’innalza megaliti votivi
templi e cattedrali?
 

Facciamo pace
ma tu m’hai ucciso il figlio
e tu la madre
Chi m’avrà portato qui eppur pregai tanto
neanch’io volevo ma … parve indispensabile
Sono mill’anni che la distruzione divora il mondo
mani imploranti non la fermarono mai
n’è fiumi rossi di sangue spensero incendi
Solcano perennemente
un mare di lacrime
le navi dalle vele nere portatrici di morte.
 

Ritorni istintivi
passi brevi silenziosi
da cattedrale
quasi un brusio
sotto il mormorio della preghiera
e il tocco felpato sul pavimento a scacchi
dell’avellano che m’accompagna sempre

m’ha sorriso il sacrista
quel verso così di bentornato … da quanto …
indicandomi la panca
antica e lisa che accoglieva d’abitudine
mia madre

un ritorno ancestrale
che m’interroga sulla mia paura o
sulla mia voglia di pace
 

Ricchi indifferenti
lui pettinato o spettinato ad arte
stentoreamente cita il numero dei morti
seguito da quello dei missili o razzi
e neanche stigmatizza quanti ne siano occorsi
per uccidere madre, figli e il vecchio azzoppato

l’accento va sulla fazione che gli preme
sottolineandola alla comune pietas e farla lacrimare
o caldeggiarne il sostegno per la subita violenza
la giustissima rivalsa la necessaria determinazione
a reclamare l’atavico diritto alla peculiare propria esistenza

e il fetore chimico che ammorba l’aria l’atmosfera comune
non ha padroni Viene da strumenti identici forniti ai contendenti
dai mercanti di morte che tengono banco sulle gradinate
di ogni tempio o chiesa delle comunità degli indifferenti.
 

Forse
Forse il nostro addomesticamento
non è stato davvero fedele al cliscè
animo mite modi gentili voce suadente
generoso empatico disponibile collaborativo
per poter dar vita a un duo trio quartetto clan
orda comunità cittadinanza nazione continente
pacificamente conviventi nel reciproco rispetto
secondo gli insegnamenti del selezionatore
che dato per risplendente è sparso per l’infinito
multiverso
Ma poiché per naturale equilibrio universale
ad una forza buona se ne oppone una contraria
questa pare aver conquistato il nostro universo
così domina l’arrogante il volgare il prepotente
l’egoista il crudele il predatore il sanguinario
che ogni giorno s’avventa sull’altra schiera
per crudeltà inimicizia sete di potere e ricchezza ma
si dice sia scritto … il bene vincerà sul male …
Forse
 

Seppur con gli occhi.
Quando con gli occhi
catturo briciole di lei
le bevo con labbra arse
che luccicheranno di gioia
e non ascolto più
le parole taglienti
sul come dovrei essere.
Spigolo baci come petali
dalla sua bocca fiera
dove nasce per me
quel sorriso accattivante.
Scioglie appagare il desiderio
le vecchie croste
del quotidiano andare
Mi beo mi sazio di quel piacere
e non m'importa
se le scarpe mostrano
tutta strada che ho fatto.
 

Bighellona
è da un po' che la sento d’attorno
seduta o appoggiata qua e là
a un cipresso quando vado a spasso
per il viottolo solitario
sul vecchio paracarro della statale
all’incrocio con la salita per Volterra
non si vedono gli occhi ma si sente lo sguardo
neanche la bocca ma pare che sorrida
rivolta verso me ma anche altrove
a bighellonare
come avesse tutto il tempo che vuole
la morte
 

“lucean le stelle”
S’aspettano ogni anno
saette d’argento abbacinare un secondo appena
il perlaceo blu della conchiglia nido dell’universo
per affidare loro desideri carezzati anni o sempre
a occhi nudi da costruzioni rozze o posti elevati
che son sempre stati luoghi deputati a convegni con gli dei
Ma la speranza la sensuale illusione
dura il tempo del passaggio d’una cometa
Un muovo anno s’incaricherà di custodire quel sogno e
ancora e ancora e ancora ché non si spenga la speme
Desideri nati nel momento della contezza di sé
vivono metafisicamente con le ultime speranze
solo ipoteticamente realizzabili e portate alla prova del fato
qui sul poggio irto di pungenti seccie falciate ieri o l’altro
Una … due, tre … laggiù guarda … fulgidissima …
nella meraviglia della notte fibrilleranno i sensi
e il sognatore avrà San Lorenzo prodromo d’un grande amore.
 

La fame di pace.
Tengo la povertà in grande stima
così son sognatore di pace anche a suon di fame
perché se hai il giusto quel che basta sei appagato
mentre Crapulo o Mida eterni affannati bramano
sono voraci micidiali quasi un ventre necessitato.
Forse bisogna arrivare venendo da lontano
dove la fame pur a stento si saziava
preferire alla violenza una vita stentata
e nulla pareva meglio che vivere a oltranza
perché un campo infiammato di papaveri
a margine d’un miraggio di spighe d’oro
spazzava via l’angustia meglio del maestrale
che sbrindella i cumuli nembi venuti su dal mare.
Volere il piacere bulimico di divorare
provare tutto masticare e buttare
quasi questo fosse vivere che facilita la pace ma
quella bulimia è impossibile saziare
se non di ben altro ci si dovrà riempire.
Forse io non colgo il senso
di tutta questa violenza questo sangue
strappato dalle vene della gente laggiù lontano
dove piangono e gridano perché non si può far piano
nessuno sente o ascolta oppure sa e assente
che vesta raffinato blazer o barracano.
 

“ L’erba voglio...”
Lo vivo come un castigo
questo desiderio di lei non appagato
perché consumati i pregressi momenti
nati appassionati si facevano stereotipati
diventavano avversi per qualche malagrazia
L’immergevamo nel lavacro della nostra libertà
tanta beltà dal sangue vivo
e seppur purificati nel piacere acceso
anche se di passione che d’affetto
non fu mai esaustivo mai … confesso.
Eppure ...
Forse doveva essere sofferto
prima di ogni migliore avvento
che lasciasse più profondo il segno
perché la voglio … specialmente se
inarcato di malizia il lunato sopracciglio
sorride e mi dà il tormento.
 

Ombrelloni da mare schierati
in ranghi stretti
come inquadramento di compagnie armateinquadramento
con le mostrine ognuna diversa
colori tecnologici in faccia al sole
e il fronte lungo quando il litorale sabbioso
in faccia al mare spalancato
quello dal quale giungono – da sempre – gli alieni.
Ma mentre altrove bruciano boschi e riviere
s’allagano campi coltivati crollano ponti e strade
esplodono ordigni contro chiese e scuole
il grano non raggiunge le bocche da sfamare
i farmici le epidemie da curare
il led sulla consolle del DJ che indica il volume
copertura totale spiaggia
balla sul monitor zigzagando tra il max e il min
andando a rimbalzare sulle anche degli astanti
che l’allegria si deve mostrare … eccome.
L’informazione doverosamente manda in rete
in video di una lunga teoria di affranti carichi di fagotti
e c’è una bambina per mano a un anziano
porta soltanto la custodia di un violino
spero contenga lo strumento … che allora sì ...
“il cielo è sempre più blu”.
 

quelli sì erano bei tempi
(prosastica)

Bruno quicotte della mancia con Gino sancio panza
saltati giù dal nido precocemente nel marasma civile
del fine guerra del ‘44 s’avventuravano sulle colline
delle macerie di fabbricati crollati accatastate ai lati
di precari sentieri dove scorreva giusto Corso Roma.
A caccia di rottami – specialmente piombo – già raro
prezioso in tempi normali che il ferrivecchi acquistava
a poche lire giusto due biglietti per il cine Pidocchietto.
Masticando poche lettere ma fumando molte Luki Strike
bevendo Coca Cola vera per elargizione o compenso
per servizietti resi agli alleati occupanti.
Con l’occhio rapace voglioso di chi è digiuno della vita
c’ingozzavamo di cattive maniere o cose non commendevoli
lontani dagli occhi dal cuore dalla mente dei genitori
diuturnamente ingaggiati altrove a trovare il pane.
Crescere in calzoni ricuciti allungati scarpe risuolate a iosa
correre dietro ad ogni farfalla multicolore con su scritto OK
nella speranza di crescere in fretta nonostante tutto. E
prima d’inforcare pantaloni e scarpe nuove finalmente
dire addio alla spensieratezza incosciente per andare a bottega
credemmo di fare un gesto definitivo come l’inumazione.
Seppellimmo profonda nelle macerie una vecchia fiasca
riempita di papaveri rossi bellissimi
ai quali nessuno faceva più caso
da tanto troppo tempo, ormai.
 

Il poeta di ora.
Seduto a terra con le gambe incrociate
faceva friggere sul piatto d’un vecchio giradischi a pile
il sound d’un soul inciso su un vinile
frenando o accelerando la velocità di rotazione
con quelle dita sottili dalle lunghe unghie sporche
quasi infantili spinte fuori dalle maniche sfilacciate
di una vecchia giacca militare d’altri tempi
indossata a spreco attorno a un corpo senile
pure sul bavero lercio e sdrucito i nastrini da veterano.
Lo superano ignari eclettici parolieri
ricercatori indefessi di acrobatici lemmi
rianimatori di fenici d’ogni lingua esotica
incatenandole a mille fili come perle
per ingioiellare un poema sempre quello
per farlo apparire nato ieri o oggi
sulla bellezza sull’amore sull’anima bella
Escono soddisfatti da rinomate librerie
col prezioso tomo appena preso freneticamente spiandolo
di pagina in pagina e spostando noncuranti
il quotidiano ripiegato e inserito a mo’ di segnalibro
che gronda
lacrime sangue bombe a grappolo distruzioni e morti.
 

Un ultimo giorno d’estate.
Sapeva d’acqua di mare
colava tiepida densa più lei s’agitava
- dormiamo in spiaggia … però -
aveva sentenziato, dissi sì, dicevo sempre sì.
Stretti avvolti nel telo da mare azzurrino
riparava a mala pena dalla rugiada
ci addormentammo che albeggiava.
Qualcuno gridava un nome
aprii gli occhi … un botolo nero ci annusava
corse via a quel richiamo.
Appena una frangetta rada di capelli lisci
che uscivano dal cappuccio della felpa rosa
erano imperlati di minutissima rugiada
come … bhè va be’ … come ieri sera ...
Fece le fusa bofonchiando … è già giorno ?
Una piccola risacca faceva sciabordare l’onda
che nel ritrarsi lasciava cose di mare sulla battigia
a pro di gabbiani e cornacchie.
Rari anziani nell’acqua bassa a passeggio
trascinando i piedi
per ristorare la intorpidita muscolatura.
Ci alzammo tra i baci e sorrisi di gaiezza
quell’ultimo giorno d’estate.
 

era inverno
già il quarto di guerra
il sobbalzo del risveglio alla chiamata stentorea
interruppe l’amplesso che stava sognando e mimando
tra le braccia tra le cosce di Dunja la sua ex d’anteguerra
sotto i mucchi di coperte che esalavano vapore
che ognuno tirava sopra sé
per ripararsi dal freddo e dalle indiscrezioni
- caldo come sei, un cecchino vedrà la tua sagoma infrarossa
già da 10 miglia -
ridacchiarono veterani e reclute
infilò senza allacciarli gli scarponi e di nuovo fuori
a recuperare corpi di caduti sperabilmente in vita
trascinarli al sicuro sulla neve nei crateri
sotto i colpi di cannone
non a me non ora non qui tornerò a casa da Dunja
questo devo pensare solo questo
e strofinò forte i calzari in un ciuffo di sterpi
aveva calpestato brandelli di carne sanguinolenta
andrà così Dunja non dispiaceva a mamma Sonia.
 

La madre è donna.
Ho il sangue di mia madre questo è certo
e quello di mio padre che Lei ha voluto
così che in corpo porto un misto fluido
ch’è quello a percorre vene e galassie
una catena infinita di geni in tutto l’universo.
E nasce il maschio presunto congenere del creatore (?)
che nei dì di festa ammanta di stima infiora applaude
la metà femmina della sua vita naturale carnale mortale.
Ma gli è congenito un tarlo nemico giurato dell’amore
potente cova nella mente pare dormiente il gran tumore
che tante bellezze della vita pure ha nel cuore
ma capita che si svegli col il più brutale ardore
vuol far preda chi non l’asseconda e la prende
la piega ai suoi tanti perversi luridi indebiti piaceri
fa scempio della metà del cielo che gli è data
del proprio e del di lei onore.
Non gli sfiora il cerebro che tale strazio di bruta usanza
possa toccare a sua madre a sua moglie anche a sua figlia o
alla sua amante. Come verro di cinghiale segue d’istinto
ingiuste voglie primordiali come se al mondo
non si fossero mai accesi lumi.
Crudele violare una creatura che è sorella - in nuce
che sarà pietra angolare del proliferare dell’umanità
dovrebbe ricordare chi travagliando fece un uomo
quella dolce amabile madre è donna.
 

Non il primo è l’ultimo che
rende la vita degna di essere vissuta
e mille lune su mille spiagge tropicali
non valgono quel lieve balucichio
riflesso dalla pioggia
nei temporali delle notti ultime venute.
Ora sento concavo vuoto il cuore
come un nido abbandonato
che piano piano si spoglia
delle piume rubate per averlo caldo
tanto mi dava quel che mi dava.
Le strade diventano più lunghe lente
han cento nuove porte da aprire per nulla
l’orizzonte s’avvicina appena al di là del balcone
nessuna orchestra mima strascichi di sentimenti.
Così sento la smania di avere accanto lei
prodroma del commiato a incipriarmi il viso
la dama in nero … Sora Morte.
 

Sangue.
Da molto tanto troppo tempo
come una malattia cronica
questo bisogno isterico di lavarmi le mani
strofinando ogni strato deL dermatoglifo
per questo vago lezzo quasi un miasma
dal misto sentore di polvere nera esplosa e
di sangue e piscio nel lavacro di un mattatoio
a ogni consueto refren dei notiziari
alla vista dei titoli dei quotidiani
che mi puntano l’indice
E io che sottoscrivo ogni iniziativa di pace
contribuisco come so a raccolte di fondi
pro disastrose disastrate regioni in fiamme
sento lorde le mani come ci fossi stato
beccaio sanguinario alieno disumano
Del sangue avevo un solo ricordo dolce sensuale
restatomi in mente nonostante tutta la vita
quello che succhiai dal suo polpastrello
punto dallo spino d’un racimolo di more
nere brillanti come l’ossidiana
un giorno lontano lungo una sentiero di campagna.
 

Lo so
sei qui intorno
da qualche parte
è tanto tempo ormai
da quando persi la fanciullezza
e t’ho avuta molto vicina
certe volte con spavento
per via del mio rischioso lavoro
Non vidi il tuo sguardo ma
spero vessi gli occhi
t’impossessi di chi è già pronto al viaggio
ma m’è piaciuto pensare mi sorridessi
Mi tranquillizzai e presi a aspettarti
senza ansia contrarietà spavento
spero mi sarai amica
in grazia di quel sorriso ma
spero avessi le labbra.
 

profumi
dopo la quiete che accompagna il buio
ovattati rumori di vissuto
a mano a mano pare produrre
il lento suo salire dalla notte
in quella rosea luce del mattino
che fa brillare di guazza il biancospino
e il profumo di bagnato che si spande
mentre l’erba appena tagliata si distende
ha un che di sensuale arcaico di lei
che ti fece dono delle sue pudende
 

Gente d’Italia
Gente d’Italia mia dolce paese
cui a re papi e signorie facesti spese
col sudore della fronte senza pretese
costruisti strade ponti palazzi e chiese
costretti a ringraziar a mani tese

Perfino un Dux e un Principe Borghese
servisti per le lor grandi imprese
che furon fiaschi e tante botte hai prese
volendo ahinoi schiacciar il franco/inglese
che avevano con quei più forti larghe intese

Tu noi non come l’asino di Buridano ci s’arrese
con quattro calci in faccia poi l’abbian stese
quelle canaglie che a più riprese
coi peggio beccai del mondo patti accese
ne uscimmo felici liberi seppur in brutto arnese

Il nuovo così diverso condiviso molti non accese
hanno covato tant’anni non solo qualche mese
la brama di rivalsa e a costo della pace a più riprese
vanno strappando l’ali del nuovo alla Carta appese
rimestano il passato promettendo fulgide attese.
 

Effetto collaterale.
silenzioso come una nuda maledizione
percorre il cielo guidato da un pensiero
perfetto nelle liscie forme d’aurea sezione
senza contare avvede l’ultimo robotico drone
d’aver strappato una mano che stringeva
il filo d’un rutilante policromo aquilone.
 

E viene il tempo
nel quale si vive così
aspettando giorno dopo giorno

cullando nella mente ricordi incisi come tatuaggi.
La morbidezza del suo corpo
il suo odore – fragranza d’acqua di mare
liscia la pelle fresca tiepida calda
a seconda della vicinanza a lei
e il bisbiglìo di piacere
parole inconsuete piene di vocali
tra i sospiri.
Volendo credere che porterai tutto con te
in quell’altrove
dove – pare – si viva per sempre ... felici.
 

L’ora …
Bella l’idea di fare il nesci con Lei
giocarci a dama – non so fare a scacchi
senza farle capire che so venuta l’ora
ma voglio fare io l’ultima mossa.
Sorriderle perfino lei non sa farlo
troppo presa dal suo ruolo serio
ha tutto il mondo in mano
è l’imprevedibilità umana la confonde
e prende più di quanto sarebbe naturale.
Sarò sommesso perdendo apposta la partita
lei con garbo mi prenderà per mano
avviandoci. Io le racconterò qualcosa
della vita.
 

Pasqua … ieri.
Rimossa lavata dalle copiose aspersioni
riposta nella preziosa busta in kevlar ricamata
non dovesse ferirsi con le spine il presbitero custode
nella sacrestia in attesa della rievocazione
e l’Angelo del Lunedì di poi decolla nell’aria
a perlustrare il mare la terra che gli è affidata.
Avvista legni fatiscenti combattere l’onde
stracolmi di disperati imploranti la riva la salvezza
con alla barra un indegno Chàros inadeguato
Avvista teorie infinite di gusci metallici lucenti
percorrere le infinite piste sulla terra
come formiche in una jungla tropicale
anelare di raggiungere presto infiorate rive altre
per bearsi di agi piaceri e di freschezza.
 

Fiume di vivenza
nasci nel firmamento ti diffondi nell’universo
allarga il palmo circonda la mia mano sempre più fiacca
aiutami a stringere il lapis che nostalgicamente
ancora uso per scrivere quello che mi sta a cuore.
Fammi tracciare un’elegante effe bilobata
iniziale d’oro della parola fica ... sì! ... Fica
chè nessun lemma è così pieno di intrinseco senso
con due sole sillabe
capace di cementare un mondo bipolare.
Una corolla magica invitante prodromica di piacere
per connettere e perpetuare il cosmo con la vita.
Sebbene in te sia scaricato
di ogni lordura umana il peggio
persino prostituendone l’essenziale fine
stravolgendone per orrido profitto la funzione primordiale
resti il più puro mezzo per l’eternità dell’uomo
con Lei inebriante porta di accesso.
Voglio scriverlo in corsivo d’elegante calligrafia
perché sia dolce domanda e lusinghiera promessa
d’un piacere superiore che nutrirà due esseri
di quel che è irriducibilmente insostituibilmente umano.
 

Un’altra vita
Splendente Inanna (gasan.an.na)
dammiti prendimi come i millemila amanti
che volesti per riempire l’universo
di pulsione vibrante
perché seppur vagheggiavo una vita da eroe
accettando il predestinato fato di Pelide
vivo come un seme sulla cresta della corrente
leggero senza meta senza timone verso un altrove
che non mi aspetta e del quale ancora non vedo approdo
Non nasceranno da me che ripetute trame
portami sui galoppanti sensi nell’altra terra
nell’altra luce che di questa non ho più stima
non sento amore amore - corrente cosmica
che tutto muove. Bruciami che sei calore che
null’altro fa essere più vivi.
 

(l’8 marzo)
Quella donna di mia madre.
Fu da subito e lo rimase per la vita intera
il mio capitano … oh! mio capitano
nulla – disse - ci legava più stretti
dei dolori del “nostro” parto
un patto d’acciaio intrinseco
tra l’artista e l’oper sua
Più dello scalpello virile dello scultore
poterono le dita morbide e sapienti delle sue mani
che nella mia duttile creta affondavano sapienti.
Non ebbe mai cedimenti circa la vulgata
che voleva il virile superiore
mi lodava doti e capacità d’intelletto
chiosando
… non perché sia maschio.
 

Semidei …
Orchi che incedono tra stucchi dorati e specchi
che siedono in scanni costruiti per giganti
come gli dei s’inebriano dei fumi sacrificali
assaporano volute d’aria infocata dagli incendi
ascoltano estasiati schianti di esplosioni e crepitii
hanno brividi di piacere al sibilo d’un razzo
e trattengono il fiato sino al piacere dello schianto
fanno abluzioni in vasche piene di lacrime innocenti
s’asciugano le membra nelle bandiere d’altri
da che madri nascono
che non li soppresse in culla
non avevano da subito le stimmate del male
le sembianze di Caino palesi ancorchè immature
o li ha corrotti il mondo in cui viviamo
che di venefici fiati è percorso ché pochi hanno
lo schietto timbro del vaso senza falli
che i più siam cocci con la crepa dentro.
 

Ho avuto in sorte …
una barca inaffondabile
agile veloce
- Fantasia -
è il suo nome.
Non tollera che sé stessa alla barra
e in ogni mare mi conduce
affondando la prua golosa vorace
anche nelle onde limacciose della vita
senza sporcarsi mai.
E riemergiamo grondanti piacere puro
come l’orca quando s’avventa in cielo
per la felicità selvaggia di godere
di aver fatto scempio nell’abisso
e spancia sul più alto dei marosi.
Quindi sospiro guardo la mesta riva
dopo aver visto quanto grande il mondo.
 

L’antro della speranza
(la vecchia miniera)

Non bocca né porta né botola
uno squarcio scuro nella parete rocciosa
d’una collina incolta ...
tra qualche ginestra un rovo un biancospino.
Resti di terriccio pietrisco e polvere rossastri
strappati con l’ematite, sangue
dal ventre caldo della terra.
L’adito di un budello in cui sono scesi
padri, figli, sposi con una bisaccia di speranza
tra ansie paure per un tozzo si pane e companatico
bagnato di sudore o di lacrime, spesso.
Pertugio livido d’afflizioni
cunicoli come circoli venosi
dai quali strappar tesori con mani infelici
per far felici altri, che li comandò.
Relitti arrugginiti di macchinari abbandonati
carcasse estemporanee sanguinano solfato di ferro
in un alieno cimitero di pachidermi.
Un gran cespuglio spontaneo di cannèggiole
che dell’incuria dicono frusciando ad ogni vento
nasconde una stele di marmo grigio
quasi coperta di licheni
ma ci s’indovinano nomi consueti popolari
di quelli che di ferro morirono
sebbene non fosse ancora spada o pugnale.
 

Cambiare marciapiede.
Non trattengo i fitti battiti del cuore
ma lenti felpati passi per la via bagnata
misti al tambureggiare della pioggia
stanno nel silenzio bruno della sera
… un'ombra scura scatta lesta
da un portone socchiuso
attraversa la via …
un sussulto appena e
riprendo il ritmo appena smarrito.
L’acqua non attutisce il ticchettio
dei suoi tacchi di passo svelto energico
sotto l’ombrello avvolta nel trench la seguo
col tempo che fa indifferentemente.
Vicini alla meta mi prende l’ansia
lei è arrivata – mentre apre il portone
si guarda attorno …
si incrociano gli sguardi abbassa il capo
mi pare sorrida
non reggo i suoi occhi nei miei
sorrido altrettanto trattenendo il fiato
il cuore mi rimbomba nelle orecchie
con finta indifferenza cambio marciapiede.
 

Lei
Il desiderio l’assillo come malattia
un progetto lungo oppure un lampo
un tortuoso sentiero di montagna
interminabile e misconosciuto che
a pochi forse è dato percorrere godere ma
del quale tutti parlano cantano piangono
o - come me - aspettano da sempre pur
avendone molti percorsi e molti scordati
fosse un capo biondo bruno rosso o tiziano
ma, ancora possibile e l'aspetto, come dose
indispensabile a farmi campare ancora bene.
 

Sento piangere
M’investe un brutto freddo
ansimo d'ansia d'inquietudine
le labbra secche e la gola riarsa
non albe non sere una notte diffusa
solo una cruna su una parete nera.
I rumori quelli li sento quasi lontani
non saprei dire quanto ma sono distinti
crepitii esplosioni rotolare di massi crolli
e voci scomposte tra grida e singhiozzi
richiami disperati in sconosciuti idiomi
ma il pianto è familiare domestico come il mio.
 

Imprecare per amore
Se da devoto credessi Te di tutto la fonte
e avessi fiato quanto ne vorrei soffiare
ti griderei alto quasi a bestemmiare
per salvarsi quanto e come ti dovrà pregare
chi ha paura, fame, costretto a scappare.
Madri e figlioli avvolti in stracci sporchi
dal lungo viaggio per perigliosi borghi
lasciano le loro case in preda agli orchi
in vista della riva sono lasciati ai gorghi.
Per il tuo mistero eterno alzammo guglie
costruimmo cattedrali chiese pievi e abbazie
dove alleviare anime e corpi da ferite e angustie
e alla bisogna dargli riparo da feroci milizie.
Non puoi esser Tu noi siamo gli inetti d’amore
forse quell’originale marchio non si può lavare
dura cervice che da soli volemmo andare e
viviamo come i prepotenti senza condannare.
A noi la debolezza d'aver odi e rancori
non son da Dio queste scelleratezze umane
se sei quel che si crede dacci la forza d’amare che
l'ingiustizia il sangue la fame vogliamo contrastare.
 

Divertissement // parodiando
ogU olocsoF

un solco in fronte, occhi incavati spenti
grigio il crine, smunte guance, mesto l'aspetto
labbri sbiaditi amari, di sorrisi lenti
il capo chino, il collo magro, glabro il petto:
ancor membra dritte a vestir schietto
più calmi i passi, i pensieri, i sentimenti
son largo di gesti, a malignare inetto
contro quel c'è intorno, ai quattro venti;
malinconico a giorni, nei pensieri ascoso
spero il men che posso e non ho timore
di apparir più vile che capace d'ira
cerco nella ragione le ragion del cuore
che sciala nei vizi, nelle virtù delira:
Morte a venir da te son riottoso.
 

Ultimi voli
Non si sazia mai l’affamato
di una donna che gli soffi in bocca
vita nuova per innamorarlo
ancora più dell'ultima volta.
Così domani amerò più di ieri
perchè non s'appesantisca il cuore
possa battere finanche nelle tempie
e le ali sapranno farmi volare.
 

Al mi' babbo, reduce.
L'orgoglio cadenzava il mio passo
quando t'accompagnavo per la via
reduce sfinito nel corpo e nell’anima
tra gli altri che ossequiavano le tue pene
scritte negli occhi tristi nel sorriso grinzo.
Ma sentivo di volare ma con ali prestate
a causa dei ricordi appena pregressi
un’afflizione vorace mi rodeva i visceri
per quella notte di tenebra infinita
quel germanico scempio nella nostra casa.
Ti trassero via, prono come un olocausto
e conobbi il mio terrore di fanciullo
riflesso nei tuoi occhi sbarrati vitrei
mentre pallido sgomento
di dolci carezze prodigo come mai
mitigavi le mie lacrime celando lo sforzo
con cui trattenevi le tue a stento.
Dio! Mi parve d’avere un urlo ribelle
pugnace strozzato in gola chiuso nel petto
incapace d'uscire per il panico
e sperai, l'attesi da te ma ... invano.
Il gesto eroico periglioso
non poteva esserci e non c’è stato.
Vidi quella pupilla bruna dilatata
rubare il fantasma di noi e della casa
tutto il domestico per portarli teco
salvacondotto consolatorio verso contro l’alieno
che ti ghermiva via da noi, chissà per dove.
La nostra impotenza mi ferì dolorosamente
l’inerzia di quella resa fu prodromica
del mio lungo rancore nel crescere frodato
d'un momento di gloria che non c'era stato.
Una spina nell'anima s'infisse allora
una ferita profonda nel cuore si produsse
e ha risanguinato nel tempo ancora.
Ma è stato galantuomo che la nostalgia di te
poggiò sulla ferita e largo fecero le ragioni
per cui fu come fu quella nottata.
E’ chiusa da tempo e cicatrizzata
alla tua foto ho unito il nastrino di decorazione
e ad ogni ricorrenza - finché vivo – ti canterò
il mio peana di devozione.


Pietà per la morte
(pianse Achille)
quando i despota concederanno ai padri affranti
di portare le spoglie dei figli ai lamenti ai pianti
all’amor dei familiari che aspettano in tanti.
Dalle fosse comuni irriguardose e bestiali
non ci sarà transito per per l’ade degli eroi
che tali furono per scelta o per ordini imperiali
e senza degna sepoltura non c’è stata vita all’altezza
onorevolmente vissuta per necessità o virtude
che la civis la chiede tacendo sulla sua giustezza.
Siamo uomini o mostri se tra vivere e morire
non c’è onore non c’è coscienza n’è bellezza
che il meglio dell’uomo pur intriso di sangue
non è mai né sarà mai immondezza.
 

Lavacro
Non basterà tutta l’acqua del fonte
per nettarsi della mera esistenza
che si stratifica giorno e notte
comunemente, inevitabilmente
perché sei destinato a viverla.
Forse con la pioggia che cade
quell'acqua fredda perduta dal cielo
spremuta da nuvole senza compromessi
che lava vecchi tetti incrostati di licheni
fa spalle bianche febbricitanti d'ansia e poi
specchiarsi in una vergine pozzanghera
per vedersi mondato di quello che appari
ma non sei e forse pure dell'altro
quello che credi d'essere.
 

La vita in soffitta
Salgo sempre mestamente
nella soffitta della mia vita
a rovistare a cercare non so che
quasi avessi perduto qualcosa
cui tenga al momento o mi necessiti.
Distrattamente guardo tocco smuovo
poi – di colpo – eccolo …
lo so sempre che è lui che cerco
ma ogni volta fingo incertezza e perdo tempo.
Il vecchio specchio di mia madre e della sua
che stava appeso al camino del salotto buono
piuttosto grande con la cornice in stucco dorato
lavorato a motivi floreali agresti e zoomorfismi.
Ha visto due guerre anzi tre compresa l’africana
specchiando riunioni gaie e tristi all’occasione
poi la modernità lo rese anacronistico
ormai vetusto scorticato qua e là malconcio
ma da tutti amato.
Ha perso l’oro della cornice e l’argento specchio
polveroso e mal custodito poggia su una cassa
che gli fa da canterano.
Pochi centimetri son rimasti lucidi brillanti
quelli che vado cercando ogni volti per vedermici
il riflesso mi strappa sempre quel sorriso grinzo
… son più di cinquant’anni che non porto i capelli lunghi.
 

Fuochi che si spengono
Verso la fine di tutti i fuochi accesi nella vita
non restano che ansimanti accovacciate braci
che la cenere del passar dei giorni tende a soffocare
ma appena un fiato le ravviva è nostalgia
quella restia a diventar malinconia
Chiedendoti ogni momento cosa t’aspetti
oltre l’ultimo confine dal quale ti precipita il mistero
se il corredo che t’ha fatto ciò che sei servirà
a regalarti un altro intenso postumo phatos
o è sono soltanto la chimicofisica a fare la tua storia
Ma senti scorrere svelto il sangue nelle vene
scaldarti facilmente con gustoso tepore la pelle
stimolarti con spilli colpendo il cerebro goloso
così bello arrendersi a sguardi complici e parole suadenti
a carezze del il corpo e dell’anima - ancora esigenti.
 

Luminoso immenso nulla
Uggiola festoso il cucciolo
al suo bipede di riferimento
così il subordinato al lupo alfa
che digrigna i denti per farsi capire
e il felino ronfa strusciandosi sul fianco
della matriarca o dell’anziana femmina
il primate porge le terga al capo branco
in segno inequivocabile di sottomissione
e io non sono pronto – sarebbe già l’ora
per presentarmi davanti a chi – cosa - mistero
a esibire la mia testa canuta per passare oltre
senza dire che sempre credetti in un
luminoso immenso nulla
dove non potevo che essere quello che ero già stato.
 

Il maestrale
Onde imponenti spinge violento
facendole rotolare spumeggiando
finché stracche s’inerpicano si spandono sulla riva
dove posano resti morti e vivi della burrasca.
Più a terra l’elicriso sferza la duna su cui vive
e strusciando i suoi rami d’argento sulla sabbia
produce una musica coeva al vento
come fosse il respiro della terra.
Deserta la spiaggia umida l’aria
un luogo di altrove col fascino dell’infinito.
Due cornacchie rovistano tra alghe spiaggiate
il bavero del mio trench non basta più
mentre scende la sera vado a casa.
Un bicchiere di rosso, un Paolo Conte, una Camel
tra le cui volute azzurrine scegliere stelle dal cielo
infilarle a collana per il mio amuleto di domani.
 

Risvegli di primavera
Quando il glicine mostra
quella leziosa sottoveste
il colore tenue della trina in fiore
che poi si mischierà a tanta parte
con un vestito ricco di sarmenti verdi
si sveglia in tutti forte un desiderio
una voglia ancora rinascente
di mai dimenticati godimenti.
E passa come un'aria vespertina
scuote abbatte i petali della rosa canina
bianchi o rosa come sospiri lievi
come piume di colomba che nettar si deve.
Là sul greppo infrascato e erto
i primi gialli sulle punte aguzze
s'aprono al sole i fiori della ginestra
che a banchettarci le api fanno festa.
Lucidi strobili di cipresso cadono
nelle fitte frasche il cardillo s'annida
giunge di lontano da quell'altra sponda
qui come la rondine c'alleva la covata
poi tornano là, lontano, come l'onda.
Quando l’estate ormai gravida s’appronta
a dare il frutto dopo tanta fronda.
 

Un anno ancora
Ti aspetto qui da sempre
in quest’afflizione duratura
come la crepa di un vecchio muro
che vicende d’ordinaria pena
di tanto in tanto, fanno più scura.
E qualche volta sei passato
sottobraccio a una lei appassionata
un po' ti sei fermato gratificandomi
come m’avessi un gioiello regalato.
Il tempo di odorarla come un fiore
e come niente andaste via lontano
dove non so a cercare cosa altrove:
Non pensavo di portar vasi a Samo.
S’è vero che di un contatto resta il segno
mi avrai addosso, ti verrò dappresso
tanto il piacer mio ti te ne fece incetta.
Aspetto che ripassi da me ancora
e ti abbraccerò con queste forze
gambe e cuore han fatto tanta strada
per altro non mi portano oltre la soglia
ma un anno d’amore è andare a nozze.
 

scarpe rosse coi tacchi
la malinconia come la nebbia
non apre al giorno
atona ovattata come quella
non ha bisbigli consolatori
eccitati i battiti del cuore
senza il consueto spartito
sorreggono i sospiri ripetuti
perché lei non c’è più
uscita dalla stanza portandosi via
tutto il chiarore il calore che c’era
e quel profumo di natura viva
è rimasto – ogni momento più attutito
il suono dei suoi passi –
scarpe rosse coi tacchi sul parquet
 

E' ancora una rosa
è una rosa in fiore e fuori stagione
coi segni delle inclemenze stagionali
su alcuni dei petali sbiaditi
lo stelo non verdissimo ma diritto
con poche spine qua e là
dove più dolente è il ramo
ma un petalo è rosso vivo rorido per la nebbia
incurvato e pieno
come il labbro inferiore d’una creola
e se ai lati piccole pieghe lo segnano
è quello che ora più che mai amo baciare
lievemente languidamente
facendo scorrere il tempo che ci fece amare
 

Il senso dell’eroe.
Aizza il guercio il suo esercito di ciechi
del pari il sordo con le sue orde di muti
e Crapulo, che eccita gli ingordi con
l’immenso truogolo intorno all’equatore.
E il pan di Spagna non più pane
o bandiere da piantare su terre forse avite
muove imbambolati esseri
troppo interessati più a contare che apprezzare.
E i caduti resi ignoti dalle fosse comuni
perdono persino il riscatto delle spoglie
ch’è diritto di chi li amò oltre gli interessi
gli allori gli onori che, postumi, parranno beffa.
Vola in cerchio sperduta Nike che
acefala, plana, sul teatro sanguinolento
sulle urla dei feriti, i rantoli dei moribondi
in cerca di un eroe.
Ci potrà mai essere gloria … e
in questa prostituita umanità
ha ancora un senso?
 

Quanto lontano …
Dove nascondermi fuggire
per non udire i pianti i lamenti le bestemmie
di quelli cui pestano le mani
perché lascino lo scoglio cui si aggrappano
per non affogare.
In quale deserto andare
per non vedere brulicanti strade di frontiera
passate da spauriti fuggiaschi
avvolti in coperte logore colorate – supermarket.
Bambini e vecchi con scarpe disutili
passare di continuo da una mano all’altra
fagotti troppi grossi – troppo pesanti
contenenti bricciche della vita
che stanno lasciando dietro sé.
O restare … e
comprare una lama di Toledo, dal filo tagliente
per colpire … colpire … colpire! chi ...
l’altro da me che per quanto triviale
mi è fratello?
 

è di nuovo autunno
Hanno messo in capo il velo da sposa
i molti monti più alti giù per lo stivale
e la bella gonna verde scuro bottiglia
pare svanire come passata di moda
facendosi lentamente multicolore
con tutti i toni del giallo - fino al Bruno.
Gocce d’acquerugiola e nebbia vengono
dalla notte all’alba il giorno dopo
una giornata di tiepido sole novembrino
fanno brillare le foglie d’oro limone
finanche rosso amaranto e carminio
imperlando iridescenti le lenti degli occhiali.
Ho riposto nell’armadio la camicia a fiori
che m’ha svolazzato addosso due stagioni
lasciandosi gonfiare dal vento artificiale
ch’era la velocità della moto a provocare.
Ora un “cento grammi” lustro impermeabile
che tiene calde l’ossa che vanno a scricchiolare.
 

Ah ! poter volare alla tua altezza J. MIU ...

"Ora dimmi cosa vedi fuori dalla finestra?"

VEDO - dacché ho saputo guardare – vedere ...
un naso bruno, schiacciato contro le lastre appannate
tra due occhi grandi – troppo - per essere normali
nel buio della strada – tra la bruma dicembrina
un incantato dalla sfavillio di luci lanciato fuori
dalle finestre, dalle verande, dei salotti buoni:
il piccolo spazzacamino.
Mai lo stesso eppure sempre quello
anelante un mondo che non raggiunge mai
che accarezza con la fantasia il desiderio l’anima
domanda sommessamente spesso in lacrime
salate – come certe onde che lo straccano a riva.
E su quella voglia di felicità, di bellezza, promesse
si costruirono e costruiscono aguzze cattedrali
scintillanti torri – acropoli fastose – imperiture.
Non c’è bellezza più grande che la voglia di un Dio.
 

Eppure vivo
Quello che so, l’ho letto
rimuginato in mente e colato
nel crogiolo per farne pensieri – immagini.
Il basto della scuola mi fu pesante
più del garzonato d’officina
che m’ha rubato gaiezza ma
regalato precoce libertà di … volare.
Fu scuola di strada – inutilmente dura.
E la ragnatela dei rimpianti s’arricchiva
d’un giro ad ogni fallimento
eppur si doveva andare.
In quella perenne guerra tra me e me
tra il desiderare attendere accettare
e mai smettere di sognare sperare
che il mio fato – pigro dormiente tra nubi
m’aprisse la porta contro la quale
ho contuso le nocche del pugno chiuso
mille volte - sempre.
 

Quanto lontano … oppure ...
E dove, dovrò fuggire, nascondermi
per non udire i pianti i lamenti le bestemmie
di quelli cui pestano le mani
perché lascino lo scoglio al quale s' aggrappano
per non affogare.
In quale deserto andare
per non vedere brulicanti strade di frontiera
passate da spauriti fuggiaschi
avvolti in coperte colorate – fuori luogo.
Bambini e vecchi con scarpe disutili
passare di continuo da una mano all’altra
fagotti troppi grossi – troppo pesanti
contenenti bricciche della vita
che stanno lasciando dietro sé.
Oppure …
comprare una lama di Toledo, dal filo tagliente
per colpire … colpire … colpire chi ...
se l’altro da me mi è fratello?
 

Assuefazione
intorno si stinge d’ocra la campagna
fanno stormi i migratori per il via
chinano la corolla i girasoli
cadono semi maturi da portarsi via
io sono stanco della mia poesia
sbavate di rosso le parole stanno
su bocche spalancate - oscene
rude il figlio con la madre – odia il fratello
s’ingioiella la maliarda – lui povero grida
farsi paura è diventata sfida
e allora cadano tranquilli i pampini dal tralcio
l’uva non si pigi più nel tino per bollire
che sia tempo allora tutto nuovo
di vagabondare per mare terre e monti
per diventare bestia tra tante sorelle
morir per strazio serrando le mascelle.
 

Loretta.
Quando il nostro intimo corno d’Amaltea
generoso sparse sul mare della gioventù
miliardi di monete d’argento
che la luna cavalcando il vento
fece sull’onde luccicare da far invidia al cielo
frastornati dal bello ci lasciammo - intatti.
Ma come l’onda va per altri mari e stracca
torna e rieccoci sulle peste del nostri tempo
oh felicissima idea
a cercare tracce di quel momento arcano
quando le dita pur tremando - persero la presa
l’uno dell’altra la mano - non senza cruccio.
Un flashbulb ha chiamato a tamburellare il cuore
e quell’acqua che passò oltre il mulino al mare
ricaduta a monte
macina ora gioia piacere dolcezze nuove
un ritorno di fiamma e lampeggi arditi.
Vinci le ritrosie che l’età coltiva
copri sol chiudendo con le lunghe ciglia brune
il pudore che d’incertezza frena i tuoi passi
che io t’accoglierò bella per sempre – amore.
 

A malincuore.
Buttare via tutto o lasciare ogni cosa
nel vecchio baule militare che mi segue
da più di quarant’anni senza speme.
non son certo di voler che venga investigato
quello che ho fatto o sono stato.
chi m’ha amato o sol voluto berne l’ha capito
ci sono cose che non avrei dovuto conservare
altre di cui mi son privato a malincuore
e vorrei poterle risentire riprovare assaporare
per quanto posso essere state amare.
in quel buco nero dove le lacrime sono vuoto
che non ho mai più sfiorato senza piangere
getterò un milione di rose rosse spinose
così che nessuno possa esplorarlo per quanto
interessato sia o fosse.
il lucchetto di ferro grigioverde chiuderò
con la sua chiave a bandierina arrugginita
poi gettandola lontano – al largo – dalla riva.
In quanto poco spazio sta una vita.
 

Cose degli anni cinquanta,
Quanti caffè sorbiti lentamente
al tavolo all’aperto del Gambrinus
di fronte al suo portone non distante
un recinto di vasi per allontanar la gente.
Indossavo un gessato grigio e scarpe bicolore
aggiustavo la piega fresca del pantalone
studiavo la posa quasi fossi un attore
indifferente alla discesa di lei dallo scalone.
Attraversava la strada di seta bleu vestita
pelle d’alabastro il sole non aveva mai baciata
come la luna di giorno che meraviglia ispira
s’avviava sotto i portici per la passeggiata.
M’alzavo dalla sedia e con un inchino lento
che con mille prove allo specchio preparavo
seguiva un muto movimento delle labbra e il mento
nel quale ammirazione passione e tutto raccontavo.
Uno sguardo ad occhi socchiusi e un sorriso appena
la bella testa all’uopo reclinava e subito rialzava
quasi sentisse schiocco di frusta per andar di lena
il passo si faceva svelto ritmato la gonna dondolava.
L’autunno andava e m’affliggeva il passar del tempo
chissà cosa doveva accadere perché io fossi vivo
ora erano giorni che mancava a quell’appuntamento
se non le parlerò oggi avrà un mio dolce corsivo.
Minacciava Novembre e non passò una volta
al mio biglietto mai arrivò risposta
sgomento andai per chiamarla di là dalla porta
dalla pulsantiera la sua etichetta era già stata tolta.
 

il 416/bis
pare abbia tutto quel che serve ma
questa mi sta passando sopra
e m’ha consumato le unghie
che inutilmente brandivo per fermarla
trattenerla – almeno un poco
per assaporarla come desideravo
seppure neanche tutta
così mi trovo a predare stelle
nell’immenso blu della notte insonne
atteso che qualcuna cada vicino
morbida luminescente
con la chioma infinita
dipinta di sole
un tocco … due … tre …
sferragliando il 416/bis passa puntuale
come il mio bisogno di sperare.
 

La sfida
Fa quietare i battiti del cuore
seduto sulla sabbia ancora tiepida
inspira salmastro ancorché pungente
non rimuginare non ansimare.
A poco a poco il cielo si farà scuro
è tempo di luna nuova e Sirio
s’affaccerà prima di buio.
Se il giorno non fu pieno
come mille altri nella vita
se sogni speranze desideri
ancora van di bolina nel maestrale
tieni ferma la barra per quanto puoi
lascia che l’onda ti schiaffeggi fredda
e grida sotto il N.O. gocciolante - sfidala
una volta ancora … vieni a prendermi
finché ricordo bene d’esser io.
 

Addio
Starò più attento nella prossima vita
alle ultime spine che mordono il cuore
non c’è abbastanza tempo per estrarle
e sembrerà di morire di dolore
Vai pure vai, neanch’io mi basto più
che mi sono consumato per nulla
non sono nato adatto a questo cielo
che ali di albatro pretende per solcarlo
Ho fragili mani piedi e pensieri
buoni per brevi voli col bel tempo
nella fantasia leggera come nuvola
Effimero come petalo di fiore d’acacia
che fa bianco il prato appena un giorno.
 

Lontanissima estate.
Ho nostalgia di papaveri in mezzo al grano
di gambe nude e zoccoli di legno rumorosi
dietro alle grida garrule di finto spavento
per l’inseguimento nell’acchiapparello.
Di quella gonna a quadrettini azzurri che
si faceva sempre più corta ogni settimana
che ridendo stringeva strettamente tra le cosce
perché non volasse assieme all’altalena.
 

Com’è lunga la sera d’estate.
la guglia del campanile infilza la luna
il serotino svolazza intorno al lampione
ho il telefono in mano … aspetto
mentre distrattamente ascolto una canzone
di quelle che non le piacevano più di tanto
sanno di negritudine diceva – hanno sempre fame
d’amore sensuale caldo che il corpo fa sudare
e la vita fa schizzare voglia da tutti i pori
latra lontano un cane contro rumori sconosciuti
pulsano luci gialle dalle finestra dei casolari
illuminano gente familiare intorno al desco
che stagione è questa di mangiar di fresco
non squillerà neppure questa sera
forse non m’importa più - l’aspetto soltanto
conto le stelle ascolto degli uccelli il canto
la luna galleggia come finta verso ovest – lustra chiara
ci rido – avessero usato il brillantante.
 

Speriamo non sia come gli inverni di una volta ...

L'ombra lunga della sera.
L'anima – come un’ombra s’allunga
mi precede e carezza ciottoli e massi
e riempie pieghe e rughe
come fossero inciampi dell’essere
fissa – un longilineo me
come un alieno bruno
su una vergine lastra fotografica.
M’è davanti stimolante
non la raggiungerò mai e
non ho che parole alitate
per districare cupi pensieri
dilatati - orizzontali
per dirle cose di me.
Non ho picchi guglie vette
solo monotonia dell'essere ma
vorrei m'indicasse un altrove
una nicchia – un anfratto
dove riporre ricordi di dolori
e custodire cose dell'amore.
 

Un pizzico di coriandoli.

haiku

ratto rondone
s’infila nella crepa
rintocca l'una

alla lucciola -?
il gotto capovolto
ruba la speme

schegge nel cielo -
nel colmo dell'estate
dal prato nel blu

meriggio d'afa -
un asino sbadiglia
cadono foglie

foglie e anni -
cedono esausti
al tempo loro

erto sentiero -
logori i calzari
alfine il rio
 

Un Dio ci aiuti
Sorridendo dopo giochi di pose allo specchio
con ricordi ammuffiti di malinconia
chiudo nella toilette un aroma scaccia vecchio
un profumo selvatico – disse lei – quando lo scelse
adatto alla mia personalità ma, poi, andò via.
Al bar dello sport, il tavolo nell’angolo, sempre quello
sfoglio quotidiani che sembrano contrari
e mentre il caffè scivola leggero in gola
come una carezza
dalle pagine che il vento dei portici vuole portar via
sale un tanfo di escrementi e di sangue
che sovrasta ogni altro odore – anche del vecchio 18/R.
Eredi di Papi, Santi, Navigatori, Scienziati,
fatti ingordi come ratti
consumiamo rifiuti.
Un dio ci aiuti.
 

Fusse che fusse, la vorta bona.

Itaglia democrratica antifasista
Nel seno della stordita Italia
un cuculo nero pose l'uovo
si diceva fosse d'un tempo altro
mai profitterà di questo covo.
E il tordo italiota vuoi per bontà
o per tradizional fessaggine
lo sdoganò lo coccolò lo usò
graffiando via un poco dalla ruggine.
Ora quel bellimbusto che lo lustrò
nudo boccheggia come fosse un muggine
si ritrova a pecorina e continua a belare
dammi uno scanno anch'io ho da contare.
E gli eredi dei combattenti sul Carso
liberatori dell’irredento suolo
dove lasciarono tanti morti e duolo
col vestitino di zia democrazia
scioglieranno i mazzi delle verghe littorie
per raddrizzare di schiene curve uno stuolo
e portare decenza in questa trista compagnia.
Le prime mosse son da gattopardo.
Che la bendata ce la mandi buona.
E così sia.
 

Obbedisco.
ci mancherebbe
per carità - tutto il rispetto
è il primo ministro – il popolo l’ha detto
ma ce la vedo – io che sono vecchio
dura impettita davanti al gagliardetto
in grigioverde alla cavallerizza e cacchio
bande nere e stivali lucidati a specchio
i pollici guantati tengono il cinturone
petto in fuori e ganassa dura di carrara
gli occhi tedeschi fissi sporgenti
guardano lontano tutta quanta la Patria
dalla Garbatella fino a Ferrara
il fez poi – quell’aria esotica regala
ondeggia qua e là quando fai la scala
di Palazzo Chigi o del Quirinale
dove le donne non son mai piaciute
per colpa dei preti e papalini - fregatene
non te ne avere a male.
 

Non sono fascista.
ma ce la posso fare
la pensione non la vo’ giocare
dimmi la nuova via da praticare
vedrai - non ti dovrai lamentare.
Ne vidi tanti a testa bassa camminare
la mano incerta poi alta a salutare
cedere il passo a chi era a comandare
portargli i capponi a casa per festeggiare.
Quindi dimmi – quanti neri maltrattare
quante volte mia moglie far figliare
quante volte lo stendardo sbandierare
accettare quel che vien e non mi lamentare.
L’ordine è importante – ci puoi sempre contare
se mi dici sei becco – non lo posso negare.

GRAZIE per la lettura, chiunque tu sia.
 

Sperar non nuoce.
Il profumo ha da esser questo
di erba tagliata di fresco
quello che sta sgusciando dentro
dalla finestra aperta
della stanza da letto.
L’abito … sono indeciso
il gessato carta da zucchero di allora allora
o il lenzuolo di lino di fiandra
ultimo del corredo matrimoniale.
Nel pugno, chiuso, quella ciprea
che appesa a un cordino
mi mise al collo nella spiaggia rosata
preziosa, proibita
ai maniaci di souvenir.
Poi andò via – per sempre.
M’hanno promesso che ci rincontreremo
ci conto, sarebbe bellissimo
per questo perdo tempo a ...
scegliere la cravatta giusta
per il gran momento.
 

Càpita così, Colei.
L’ho incontrata una volta
pochi secondi dice, fortunatamente ...
Era come sempre l’avevo pensata
statuario il corpo – eburneo liscio sensuale.
La chioma blu scuro enorme ondeggiante
a coprirla e ritrarsi come l’onda dallo scoglio
e gli occhi mandare una luce accecante
mitigata da ciglia a ventaglio intermittente
per distrarre frastornare il pensiero
dalla sua fica in bocca
dai piccoli seni turgidi virginali
dal pube setoso
dalle colonne a guardia
della porta del paradiso.
Stordito ma sveglio persi il contatto.
M’ha lasciato in uso un /pace maker/
per chiamarla
quando sarà finita la mia commedia.
 

Risvegli.
Quando il glicine mostra
come una leziosa sottoveste
il colore tenue della trina in fiore
che poi coprirà soltanto in parte
con un vestito ricco di sarmenti
si sveglia forte un desiderio
una voglia ancora rinascente
di mai dimenticati godimenti.
E passa già che un'aria vespertina
scuote quelli della rosa selvatica
petali bianchi o rosa come sospiri lievi
ingenui, seppur la chiamano canina.
Là sul greppo infrascato e erto
i primi gialli su quelle punte aguzze
s'aprono al sole i fior della ginestra
che a banchettarci le api fanno festa.
Lucidi strobili di cipresso cadono
nelle fitte frasche il cardillo s'annida
giunge di lontano da quell'altra sponda
qui come la rondine c'alleva la covata
poi tornano là, lontano, come l'onda.

La ragione
In quella crepa laggiù
tra il sentimento e la ragione
stretta e spigolosa
come un cretto di Burri
ho ficcato i miei dispiaceri – da tanto
sperando metabolizzarli
nel sangue buono della speranza
dei sogni che sempre
m’hanno salvato dalla realtà
dalla ragione

Un caffè caldo al rum.
Ti sbuccia dei pensieri
questo vento freddo tagliente
senza darti tempo di rammentare
dove riparasti l'ultima volta.
Rapido come schiaffi d'abbandono
e il crepitio d'un prezioso vaso infranto ...
per un caffè caldo al rum
bevuto altrove.

Tra il nulla e l'addio
Sono stato molte volte
tra il nulla e l'addio
inutilmente.
Ora mi trema nel palmo
come un caldo nidiaceo
una speranza ancora.
Vorrei essere un colpo di fucile
e centrare il bersaglio
finalmente.

Un tempo così
Sfilano le strade vuote
lungo i muri delle case
in un assordante silenzio sepolcrale
perché ci sono pianti
che vengono strozzati
dal rumore dei notiziari anestetizzati:
Perché non faccia scandalo il dolore.
Il sole splende - fa da paravento alla tenebra
un ossimoro che da giorni perdura
e – forse – esorcizza un poco la paura.
In quest’ansia che ancora poco ci avvicina
lo sbattere delle ali d’un colombo
rompe questa silente malinconia
ma fuori dell’abitato – nelle siepi saltellando
frugano nel pacciame i merli a cercar vermi
e strappano - di nascosto – un sorriso d’allegria
scappano al nido dove l’attende vorace
la vita che continua.

tenebra
nulla è così lontano come
ciò che non può esserti vicino
e i surrogati non sono che farmaci
che alleviano ma non guariscono
cronicizzano abbrutiscono il bisogno
il desiderio si fa spasimo e ansimo
e la mancanza esiziale

Ritornano difficili sogni
Quando il nostro intimo corno d’Amaltea
generoso sparse sul mare della gioventù
miliardi di monete d’argento
che la luna cavalcando il vento
fece sull’onde luccicare da far invidia al cielo
frastornati ci lasciammo - intatti.
Ma come l’onda va per altri mari e stracca
torna e rieccoci sulle peste del nostro tempo
oh felicissima idea
a cercare tracce di quel momento arcano
quando le dita pur tremando - persero la presa
l’uno dell’altra mano - non senza cruccio.
Un flash ha ricordato di tamburellare al cuore
e quell’acqua ch’è passò oltre il mulino inutilmente
ricaduta a monte
macini ora gioia piacere dolcezze nuove
un ritorno di fiamma e lampeggi ardore.
Vinci le ritrosie che l’età coltiva
copri sol chiudendo con le lunghe ciglia brune
il pudore che d’incertezza indugia i tuoi passi
che io t’accoglierò bella per sempre – amore.

Una guerra così
Specialmente al mattino
il silenzio del vuoto
si aggira minaccioso tra le case
le poche auto paiono scappar via silenziose
un gatto che attraversa è un personaggio
ci si guarda e saluta a distanza
con la mano a bandiera
le maschere al volto – la resa
Fu un attimo così
dopo una notte passata …

la conchiglia
tra sponde come quarzite o ambra
lisce come la seta profumata di talco
in quell’impluvio che porta all’intimo
ascoso geloso fiore di carne viva :
quella conchiglia di madreperla rosa
rorida d’umori vivi inebrianti
che desideri inconfondibili accende
e non li sopisce mai per sempre

l’innominabile
cammina nelle bocche
e i fiati pieni di pugnali non son più sospiri
scassano il petto
non ho voglia di baci – di carezze
che le mani son pur esse veicoli di morte
così che quelli dati – quelle godute
diventano nostalgia oppur consolazione
si fa sempre più lunga l’ombra
quando il sole scende per affondare in mare
vorrei trattenerla prima che sbiadisca s’accorci scompaia
inghiottita dalla notte

Quelle ... bambine.
Un rosso sfatto per fare labbra eccessive
pochi centesimi di fard per annegare rosee gote
rendere puttano un viso di bambina
esitarla farla aliena spaesata
su buffi trampoli colorati dai quali
inutilmente cerca slanci procaci
apparenza movenze improvvisate
a fare un gioco che così grande le pare.
Un armamentario laido
su delle forme impuberi
in un grottesco giaciglio senza tempo
la fanno proporre
e lei soggiace indifferente
con le monete poggiate sui begli occhi.
Sorride e ride alle volte – garrula
come fosse lontana un miglio dal suo corpo
al torpore s'acconcia – ormai così ci vive
e l'aguzzino accarezza la sua cornucopia.

- Deus lo volt -
Via mare ché la terra brucia dolente
su barche all'onda senza mai riposo
persa una vita vera perduta gente
e addosso approda a popolo ansioso.
Questi stringe al petto il pane, spaurito
quelli han occhi lustri di fame e malia
avevano case e fratelli, tutto abortito
sta ognun per sé, frustrante antifonia.
Apron le braccia molti e han coraggio
è il cuore che spinge, non c'è abbaglio
corrusco lo slancio, pronto l'arrembaggio
lasciando sulla riva ogni arma da taglio.
Forse è imprudenza, forse sarà male
non si può gettare l'anima nostra a mare
abbiamo appreso e pregato in cattedrale
che senza domandar chi è, lo devi amare.

Lo specchio ovale
Caro specchio compagno d’una vita
come già lo fosti di lei – mia madre
dall'argento screpolato raggrinzito
coi bordi molati incorniciato a gesso
da minute cornucopie e foglie dorate
ormai indistinte annerite screpolate
da tanto accoglievi le mie confidenze.
Cento camicie hai visto e cento berretti
occhiali colorati e cravatte … o sì, cravatte
e smorfie – profili studiati – sguardi fatali
pure occhi arrossati di pianto – anche
sentite imprecazioni … lamentazioni … inutili.
Rendesti sempre un buon servizio – alla fine
col tuo aiuto ho ingannato il tempo
rassettando qua e là qualche caducità.
E il tuo perduto splendore – l’opacità – un po’ mi consola
di quella nebbia sul cristallino al mio occhio sinistro.
Maldestra la mia mano – logoro il gancio cui t’appesi
sei caduto rumorosamente – in frantumi.
Non credo mi basteranno gli anni che mi restano
per pagarne il prezzo alla fortuna.

Il parapetto
Aspettassi ogni volta primavera
perderei il più del vivere
corro incontro alle emozioni
e capita si gelino le mani o
si brucino i piedi sui carboni accesi
per afferrare quel molto o poco
indescrivibile irrinunciabile sapore
contenuto nel frutto ch'è la vita.
E m'appoggio al sogno alla fantasia
come parapetto per il mio domani.

Come noi.
Ho tra le mani
- con la polvere di tanti anni – ormai
il sillabario di tutte le paure che m'inflissero:
volti d'alieni bruni o grandi nasi o occhi a mandorla
di mondi lontani – di altrove.
Ma so – da tanti anni ormai
che piangono lacrime – come noi
urlano di spavento – come noi
tremano di freddo battendo i denti i denti – come noi.
Scommetto che hanno un'anima – come noi.

Quando sarà
Fui immaginato
nel libeccio
col nastro dei capelli
trattenuto a stento.
Quando sarà
non mi si interri e
neppure mi si muri.
Seppellitemi nel cielo
e sia l'epigrafe il vento.

Le buone scarpe
Quante cose da fare – quante fatte
col respiro affannoso
perché non puoi che vivere
essendo nato e scalzo
senza averne colpa – ma sono andato.
E mentre di notte ti liberi
del giorno che t'aveva preso le caviglie
col sonno che appena un po' ristora
riprendi nella mente a mordere
quello che sarà domani.
Potessi fermare quel taglio di luce
che lacera il buio della stanza
passando – all'alba – per la fessura dello scuro
resterei un po’ nella penombra della coscienza a pensare
il tempo per scegliere scarpe migliori
per camminare
perché quelle che possiedo han suola ormai lisa
per molto ancora non potranno andare.

Luccichio
Luccichio di spilli nel profondo del cielo
raggiunge il gelo di quest'aria tagliente
ma non stacca lo sguardo insistente
da quella finestra – chiusa – da quella luce fioca.
Ché ci penano là dentro da scordar chi fuori
aspetta un segno - non scorda la mancanza.
Il cappotto fa bene il suo mestiere ma non è speranza.

Nascere così
ci nacqui, così
nudo fragile senza scudo
… avessi avuto Teti per parente …
di dardi subito bersaglio fatto
perché inadeguato alle battaglie
non capitano né timoniere
cartografo al massimo
disegnatore di mappe d’isole sperdute
ferito qua e là
qualcuna mia l’ho fatta - conquistata
fermandomi a cercarvi il cuore
ma via di nuovo - verso l’orizzonte
che nel rosso pacifico della sera
fa tutto sperare e tanta parte asconde

Berry White
quel viso barbuto – ma bambino
quella epidermide color caramello
la voce profonda come scolpita dal virginia
accompagnata da sincopate percussioni
strappano brividi blues
fin dall’inguine, dalle cosce, dai capezzoli
ti porta – irrimediabilmente
in un’alcova

Il bacio
Col suo bacio, il sole
apre ai fiori
la cortina dei petali
e la corolla mostra
rorida l'intima avida urna
pronta al vellutato bombo
che si posa lieve a suggere
il nettare celeste.
Lascerà in quel seno avido
un germine che
inconsapevolmente
trafugò ad altro fiore.

Le dita ... oh le dita
tremanti per l'emozione
scorrono lievi dolcemente
come sul tenue bordo d'un calice
dando un piacere uno stordimento
da far ansimare il fiato fino in fondo
che la bocca suona come un lamento.

Obliare.
L' ho tenute strette in pugno
per tanto tempo e in tanti posti
le poche lettere per scrivere
le poche cose importanti
ferendomi con le unghie
il palmo della mano
ché non me le portassero via.
Ma ho vagato quasi a vuoto
ho il braccio stanco tanto che
le dita si sono aperte e leggo a stento:
O per l'onestà del fare
B per la bontà del dare
L per la lealtà dell'agire
I per intraprendere opere
O come Ora, che non so più come
chè il tempo che avevo è scaduto
per darmi la vita che volevo.

Anzi … tre
un bicchiere di vino buono
… anzi tre
e sorrisi ammiccanti
facezie golose
furtivi contatti delle dita
sulle tue mani le mie
sulle mie le tue
lievi tremule
come ramoscelli fioriti
nel ponentino
e profumo di lavanda
sfuggito alla camicetta azzurra
un'ora d'incanto sulla terra
… anzi tre
e poi andasti via.

vorrei fosse tango
brillantina e labbra rosse
la fisarmonica strazia l'aria
giro un film sulla mancanza
le immaginifiche movenze
di totale fantasia sensuale
le gambe incrociate
il ventre contro il ventre
e respirarle sulla bocca
un bacio mai dato davvero.

Un concerto a Firenze.
Ho cavalcato la notte
sotto la pioggia
in Piazza della Stazione.
Un tentativo di tuffo
oltre la vita che mi scorreva addosso.
Frusciare di impermeabili
urtar d'ombrelli
lesto un pensiero a lei
come fosse possibile un incontro.
Averla lì, con me. La pioggia
romantica ruffiana. Fredda
che non lavava nulla.
Incerti alieni, pieni d'alcool e luci laser
volevano esserci
essere tanti, più che ascoltare o
vedere. Ma io tornavo
a lei. Stringerla nel cavo del mio trench, felice
dell'incongruente performance.
Non c'è stato
non poteva essere
ho accarezzato la mia solitudine.

L'elisir della vita.
Capita ...
che il rumore dei miei passi
non abbia la stessa cadenza di una volta
il piede sinistro in ritardo
si poggi piano
quasi strisciando a terra.
Affaticato dal peso del cuore
che ogni giorno è più greve
caricato in tutti questi anni
di pene non cercate, capitate
e le poche gioie
non m'hanno sollevato.
Batte ancora gagliardo, tuttavia
e accelera se un alito caldo
da labbra di rosolio
accarezza anche solo un attimo
le rughe del viso, scostando
la saggezza che nasconde
un residuo di rossore.
Ma è la sofferenza
che al fondo alberga inquieta
non nel corpo neppure nella mente
pare essere l'estratto della vita.

In vena.
C’è bisogno di spegnersi
Ogni tanto
Sedersi a ridosso d’un muretto
Vicino a una riva
Dove la risacca scroscia.
Lasciarsi percorrere
Da una languida incoscienza
Intontimento morboso
Rilassatezza di muscoli
Così che su per le vene
Salga un calore di vita nuova
I sogni tramutino in rade realtà
Fresche percezioni d’eliso
Ed esserci sembri ancora
Cosa che valga la pena.

Un coriandolo di cuore.
Ad una ad una si chiuderanno
le stanza del castello – di sabbia
costruzione di una vita.
Là dentro i giorni e loro vicissitudini
la polvere renderà grigi – indistinti.
Ma se in ognuna
sarà caduto almeno un coriandolo di cuore
quello resterà vivo
come un tizzone di quercia nella cenere
e si ravviverà soffiandoci un sospiro
d'amore.

Davanti San Sebastiano.
Così soprappensiero
giungo le mani non aduse
in un gesto antico che imparai
non senza subire prepotenze
e mi scappa una preghiera
dalla mente
sfiora le labbra e ci sorrido
tanto viene fuori dolcemente.
Poi mi sfugge un pensiero
quelli non ubbidiscono vanno
indifferentemente anche oltre
mi raggiunge in questo luogo
dove siedo da credente
non perché lo sia
è un posto quieto e non c'è mai gente
e qui riparo il danno dell'affanno.
Davanti al Santo cui mio padre era devoto
quello trafitto da dardi e sanguinante
nessuno in casa sapeva perché quello
lo capimmo quando tornò dalla prigionia
di guerra e di un’intera vita
emaciato sfinito come Ronzinante.

Appassionatamente.
Come fa il mare
con le tracce lasciate sulla battigia
il tempo
quelle delle unghie nell’anima
si porterà via.
Ma ci sono segni per sempre
l'abbraccio che dal cuore va alla pelle
che fece caldo il sangue a novembre.
Perché non c'è tempo bastante
per sopire un amore vissuto
appassionatamente.

La fredda (stagione)
Più corto il giorno La natura gela
quello che spesso tutto copre
ogni bellezza con una coltre bianca
cristallizzando i fiori sullo stelo.
Tutto s'ammanta di torpore lento
come nella vecchiezza incanutita
lenti e incerti i passi dell'andare
e vedere col velo umido negli occhi
quello che conoscevi alquanto.
Non vale fare a ritroso la stagione
cercare sotto ricordi ingarbugliati
restano sepolte leccornie lontane
gustate o assaporate solo
e lasciate andare.
Digiuno gracchia il corvo di sul ramo
poi vola qua e là e cerca senza posa
nella distesa gelida immacolata
un segno di quello che aveva lasciato
quando era piena di sole la giornata.

Heisemberg
Ogni stilla d’acqua che sgorga dal monte
e giù nel torrente si precipita ratta
incontra – per un attimo – ciottoli di pietra
e pur s’è breve il contatto - entrambi
non saranno mai più quelli di prima.
Così accadimenti di ogni attimo di vita
cambiano te un poco impercettibilmente
secondo dopo minuto secondo
qualcosa è stato e non sarai mai più com’eri.
Uno sguardo audace sfavillante - non per me
che da pubere incontrai per caso
mi s’infisse in capo e ...
subito sentii una emozione nuova … e
… la gonna non fu più soltanto
un abito da donna.

Epitaffio
Alla fine del giro della vita
nell'ora che ebbero anche loro
vorrei ritrovarli come fossero vivi
al tempo che fu per loro migliore
io nello splendore della gioia pubere
come so soltanto dalle fotografie
quando fantasticavano d'inventare
quella che sarebbe stata la mia storia.
Per parlare di come è andata davvero
come e quando quello che mi dettero
lo misi a frutto e quanto costò loro.
Dirgli di quanto è stato tutto vero
quanto duro per quella via camminare
che onestamente m'avevano avvisato.
Che ho dubitato, spesso deviato
costruito e distrutto, un poco raccattato
chiedergli perdono, che non era parodia
ch'io credessi, spesso, d'essere inadatto
per un difetto non di casato ma di crescita
e responsabilità soltanto mia.
Trovare insieme a loro la pace dell'addio
farmi prendere per mano come allora
riunendoci nella serenità che da l'oblio
di quanto fu, è stato, sarà ancora … un poco.

Ascolto Chopin …
Non scrivo poesie ma emozioni
improvvise brusche anche malinconiche
passati crepitii di foglie secche
tachicardiche imprudenti quelle agognate.
Prima che la ruota della vita
abbia compiuto tutto il giro
ci sarà tempo per bruciare ancora un po'.

"se questo è un mondo"
Siederei in punta al mondo
per guardare tutto in tondo
per scoprire se il brulicar di gente
non è che presenza apparente
se tutti camminano indifferenti
alle storie vicine conseguenti
se le parole sempre si perdono
tra feroci accuse e bolsi perdono
se qualcuno ti prende la mano
capire che bisogno c’è di chiedersi
di che colore è oppure se è un nano
e prima di sapere cosa sente e senti
vorrei avessimo un sorriso da mostrar
non denti.

Anno, ancora
ancora qui
come potresti
differentemente
noi t'inventammo
immaginando il tempo
come uno scorrere altrove
e sebbene t'ingravidiamo sempre
di maggiori dolori mali tormenti e morti
tutti garruli a correrti incontro fedeli
speranzosi e ricchi di promesse
le deluderemo le deluderai
questo il ciclo naturale
abbiamo una vita sola
ancora ci fidiamo
e poi dirai

Oltre questo mare, alfine.
Non son di quelli che si scaldan l'ossa
con complimenti e giudizi ad oc
faccio tesoro dei tanti insegnamenti
correggo cento volte quel che fo.
E, tuttavia, non sono mai contento
quello che passa mi si fissa in mente
nubi più fosche che non spazza il vento
scoprire, capire, come fa l'altra gente.
Ci sarà pure una riva da toccare
per quanto lungo possa essere il tratto
ignoto, incerto e periglioso da passare
prima che questo ormai zuppo legno
che non è cedro, quercia, né castagno
posi all'asciutto la chiglia, oltre il mare.

[Choka]
Nube sospesa
evanescente forma
di un pensiero
vai migri lentamente
a frastornare
speranze di eliso
strappar sorrisi.
Il tempo adunerà
nembi più cupi
ne farà cappa grigia
da far piangere
l'ultima primavera.
Calcherò il cappello
prima che sia finito.

Vorrei
Vorrei sedere là sul palco
di un piccolo teatro di borgata
quasi al buio - con poca luce
davanti a poltrone rosse vuote
tranne una – lì in prima fila
dove fare seder un altro me
a cui narrare … la mia vita.
Perché non so se la conosce tutta.
Di quelle rondini e aquiloni
rincorsi in volo fin oltre la vista
col cuore gonfio d’emozione
quasi io fossi loro e loro me
a guardare l’infinito.
Di quando un’ala rotta – un filo spezzato
faceva precipitare il sogno nel torrente
che borbottando se li portava via
lasciandomi da solo
col luccichio negli occhi ed un sospiro
come ora …
Reggo il capo del filo
di questo sogno che non è sopito.

Come passa il tempo …
Dove le navi … le vele
il mare … gli uccelli
i voli tra le innumerevoli nubi.
Quei monti … le foreste vergini
e i profumi … gli odori
qualunque vento spirasse
quel tutto che affollava i miei pensieri
quando ad occhi chiusi poggiavo il capo.
Vedo le mie mani scarne
dalla pelle sottile
con sparse piccole macchie brune
percorse da tortuose venuzze azzurre e
… una notte piena di stelle.

Se tu verrai … amore.
Passerò una volta ancora
la cruna angusta
dell'anno che viene
frettolosamente
quello che lascio ormai
m'ossessiona
e fu anno di speranze anch'esso.
Verrai sì che verrai – stavolta
dalla porta - in un fiotto di luce
quella della mia passione - ti guiderà
per vivere quell'incanto
che ho promesso – che mi sono promesso
se tu verrai – amore.

Alla finestra …
Il carro del sole corre anche di notte.
La finestra mi chiama ma
è una giornata nata vecchia
appiccicosa su ciglia socchiuse
su questa voglia di spogliarmi
di tante rughe – quando potessi.
I sogni perduti s'affollano
ancora vestiti di quella luce e
bussano - quasi a chiedere conto
di non essere stati realizzati.
S'arrotolano nella nostalgia
e restie lacrime pungono
palpebre secche sabbiose
e fessure d'occhi ormai da tempo
guardano un orizzonte scolorito.

La splendida novella
Dalle stelle
con una cometa scendesti
e mirabili gesta volesti mostrarci
per accreditarti figlio di elohìm
e noi di incerta felicità lo celebriamo
ma quella volta girammo il viso altrove
quando il monte della nostra morte
terribile impietoso ci salisti
duemila volte ancora copriremo
col viola della penitenza
la croce dalla quale dipartisti.

D'inverno
Sul mare
in quel grigio uggioso
che tinge il cielo
e gela l’aria fino a terra
mentre nel cappotto c'è tepore
par d’essere in un nido o tana
altrove.
Quell'alito fresco freddo
tra la falda e il bavero alzato
pare musica metallica invece
... è solo vento.
Fa sentire istanti d'emozione
che solamente da l'immenso.
Non importa se o chi
ci sia lì accanto
la vastità rapisce ogni momento
si gonfiano d'un sospiro
le vele dell'anima
per condurti via d’ogni tormento.

Andare è una chimera.
È stata una chimera credere
che la bellezza
avrebbe placato l'arsura
di vivere ancora ... fino a domani.
Se neppure i buoni sentimenti
le cure poste a nutrire il cuore
i sensi a carezza dell'anima
impedirono alle foglie di cadere
all'autunno di avanzare
al gelo dell'inverno intirizzire
uccidere la vita e poi svanire.
Così sciolto l'enigma su cosa fare
poiché nulla di eccelso ho da aspettare
tutto prende la giusta dimensione
ed il limite è chiaro, da non valicare.
Chiudo il recinto di rovi che ho costruito
a cintura del mio spazio
e dalla collina delle cose passate
guardo l'orizzonte infinito, tutto mio
dorato, invitante, che mai potrò varcare.

"com'è profondo il mare"
tanto di guano abbiamo riempito il mare
che le #sardine sono venute in piazza ... a respirare
silenziose come ai timidi si conviene
ma in tante e tutte col sangue nelle vene
forse certi squali ottusi non le conteranno
forse le befferanno oppure mangeranno
quelli della forza paura del peggio incutono
e a noi che stiamo sulla scogliera dicono
muovetevi questo è il momento
che prima o poi si sveglieranno

Normalità
Poi vengono giorni come questo
nei quali passa in un momento
un secolo di vita inutilmente
e ti rammenti che non valeva nulla.
Quel camminare pensoso lungo il mare
con le mani sprofondate in tasca
a fantasticare di meriti e possibilità
che non hai mai avuto davvero sapere.
E se una mano si posò sulla spalla
era un macigno dal peso insopportabile
che fatte tante strade deserte o caotiche
era miglior gratificazione il silenzio
nell'illusione di una normalità perenne.

Il cane randagio
ma quanta fame
quest’orco infinitesimale
che ci costringe nelle nostre tane
privandoci dell’aria se non del pane
quel randagio bianco e nero
vecchio malandato zoppicante
scacciato da ovunque perché repellente
va tranquillo nel borgo disertato
quasi nudo algido sebbene illuminato
lascia il suo odore ad ogni cantone
non si sa di chi sia
ma della solitudine è padrone.

E sarà quel che sarà
Avranno quegli ultimi miei passi
quel suono irregolare
claudicante da tanto
ma presto non l’udrò più
coperto dalla distanza con la vita
come l’onda disperde le impronte
riprendendosi ogni volta la battigia.
Avrò quel rosario di biglie lustre
occhi di quelli che ho amato
e miei che ho sgranato sempre in vita.
Si dice si possa ancora fare – poi.

Il mare negli occhi.
Mi perdevo nei suoi occhi
specchi di mare lustri sensuali
ma il velario di ciglia brune
nascondeva il suo pensiero.
Navigavo a vista verso il nuovo
che era lì appena oltre me e lei
allettante sconosciuto travolgente
tra marosi e bonacce col profumo si sale
prodromi della nostra voglia.
Seduzione fragrante rinverdita
da ardori forse ovvi, per me una smania.
E se notti di fantasmi di lontano
sbiancavano le sue gote, concupivo
quella sua dolce debolezza
per averla e amarla con tutto me.
E temevo il grigio di un giorno vago
quando ancora profumata della notte
con le braccia a cingere le ginocchia
lo sguardo appena imbarazzato ma deciso
avrebbe detto, irrimediabilmente: vado via!
Non sapevo piangere più, come una volta
il cuore fu gonfio, spaurito dal gelo del suo
ma non volli dirle addio
avevo già un’età, senza speranze.

Fragilità
nelle orecchie del tempo ho
una voce screpolata raschiata
come il fruscio d'un vecchio disco di vinile
sussurrante e malinconica
messa sul piatto della nostalgia
ogni giorno di più, pensando altro
come aspettassi, a un tratto
di dover andare via.

Aiutami parola.
Viaggio con la mente
tra nubi accastellate a scolpire sogni
poi s'apre un velario
su una scena della vita una storia vera
densa d'umano che vorrei recitare a braccio
tanto risucchia l'anima mia
ma occorrono suoni speciali densi.
Alle volte non li trovo - eppure
un altro giorno ho vissuto.
Dunque aiutami parola
a vestire le tante emozioni
i nudi battiti di cuore e i randagi pensieri
che corrono a frastornarmi
mi fan tremare le mani e il labbro.
Aiutami che potrò cantarli.

Acqua a catinelle.
Questa non è la pioggia che allora cadeva
né queste le nubi da cui pioveva
non ci si riparava seppure bagnava
era avvolgente e dolce ti rinfrescava.
Non avverse sfortune l'armavano
a mitigare ardori di giovinezza
gocce sulla faccia rimbalzavano
il disprezzarle tutte era fierezza.
Non penetrava mai giù nell'ossa
forte il cuore come pompa spinge
il sangue nelle membra alla riscossa
tanto brami il futuro che rosso si tinge.
Ora son cupi i nembi, fredda la piova
pure il miglior pastrano non ripara
consunta la spinta non si rinnova
senza la forza la speme è ignara.
La falda è zuppa sul bavero alzato
il mare si rovescia sulla riva
un gabbiano sfiora l'onda è passato
si porta via il sogno della vita.

Quella voglia ...
Forse mi lascerà
la voglia di volerti
ma lento e dolce sarà
il tempo di scordarti
fino ai cupi cipressi
la cui ombra farà da separé
alla gioia degli amplessi
che ci sono stati.

Lei & lei
Vorrei Lei venisse a me
come fa quella che amo
dolcemente brava, sensuale
almeno l'unica volta.
A vivere intenso il momento
l'emozione del piacere ultimo e poi
mi precedesse sulla strada
di casa sua - che mi tocca
raggiungere.
Come quand'io dopo l'abbandono
guardo lei andar via da me
ancora nuda, sorridente e serena
ammiccando al profumo di caffè.

Profumo di ferula, nel vento.
(pensando a Angela Mulas)

Struscia la ferula il vento di mare
e scompiglia i suoi capelli ricci neri.
Come una criniera selvaggia li agita
da alla sua immagine il senso
della natura libera ribelle che la pervade.
Le parla e acconsente, si mischia
a suoni che strappa a nuragiche mura.
Brulica strati profondi della sua pelle
d'emozione passione le fa lucidi gli occhi
- schegge d’ossidiana – penetranti affilati.
Dalle tumide labbra le ruba e sparge le parole
pregne d'intimi sofferti segni d’umanità
e in un turbine la porta su
nel gran luccichio di stelle.

Due passi fino al bar.
In questo tempo che s'è fatto corto
coi suoni che giungono ovattati
i panorami chiari con le lenti
passano ore e minuti raccattati.
Eppure certi rossori salgono ancora
quando incrocio una … signora
che ricambia un gentile saluto – non m'ignora.
Un ultimo sguardo - lei fila via
sorrido compiaciuto mentre siedo
al tavolo per il solito caffè - sorseggio piano
passa stuzzicante un pensiero
un attimo e sfoglio tutto il quotidiano.

Questa pioggia violenta.
(bombe d’acqua)

Ora accade tutto troppo in fretta ...
e ci si mette pure il tempo ...
Dall'estate all'inverno in un baleno
ho messo sulla gruccia la camicia a fiori
mi metto il golf se no sono dolori.
Bello l'autunno – pensavi ancora a ieri
che la nostalgia insinuava piano
di cose già passate per le mani
l'ultima estate che andava via
dietro un gonna leggera e una poesia.
Con la pioggia di foglie d'acero stanche
che insanguinate tingevano boschi e viali
macchie di gialli e verdi impressionanti
lenti tramonti arancio d'ammirare
calzare sandali - ancora - se ti pare.
Ma questa pioggia non è più una manna
viene violenta come una condanna
tutto stravolge dalla montagna al mare
impotente – solo se salvo – puoi pregare.

Maschera
Sono sempre più stanco
nei miei voli notturni
sempre più faticoso e lungo
planare e virare e cercare e cercare
rincorrere chimere
fin nell’ultimo bar dalle luci abbassate
dove lei finisce i lavori – senza guardarmi
mi basta il saluto
meglio degli acuminati chiodi del buio.
Il letto non è posatoio sicuro
il risveglio, una continua querelle col mio aspetto
quel rumore dalla piazza sotto la finestra
è un richiamo a un nuovo volo verso niente e ...
non ho più biacca per pitturarmi il viso.

Il postale delle nove.
Lo sguardo non va oltre il vetro
sparso di gocce sbattute dal vento.
Quest'acquerugiola insistente
al tempo ai fiori ai santi e alle lapidi
fa rimpiangere le tavolozze variopinte
del fogliame del bosco e delle vigne.
Incipit al prevaler di vento tramontano
dal sentore di gelo che non c'è mai caro
segue voli svelti di cince e pettirossi
che ripuliscono dagli insetti siepi e cipressi.
Il cielo di piombo mi nasconde
il postale delle nove da nord-est
con le sue scie bianche lassù nel cielo
sulla rotta dei miei sogni sin dall'infanzia
Ora punta laddove la lasciai - mi sorvola
sa come me che non ci tornerò mai.

Rimembranza.
Non vengo mai nei giorni deputati
c'è troppa gente - la più costumata
col sorriso mesto che pare studiato
sul viso smunto appena incipriato.
M'insegnasti di venir semmai lo sento
quando il ricordo mi si muove dentro
prendere al volo l'emozione il senso
il giorno non importa è sempre tempo.
Così ci vengo - a caso - in piena estate
a Ferragosto quando c'è appena un cane
a parlare di noi di me delle mie grane
di quante cose dopo di te ci sono state.
Ascolto la mia voce seppure bassa
sorrido di noi - bello il tempo che mi desti
non mi guardo intorno – che m'importa
so io quel che mi passa per la testa.
Mi segno perché so che tu ci tieni
recito un Pater come m'hai insegnato
lascio un fiore – colto da un prato
bacio il ricordo col quale mi trattieni.

Il giorno dei morti.
Ogni anno qui all'appuntamento
gli occhi lucidi … di pioggia
che scende a inzuppare i panni scuri
gli stessi di quella triste volta.
L'aria grigia non si smente
i crisantemi gialli – fucsia – rossi
tingono i banchi dei venditori ma
l'orbita è bruna e più d'una grinza
segna la tempia fattasi canuta.
La ricorrenza si fa mesta ancora
a questi tristi avelli
dove si viene per chi se ne andò via
e qui si torna per rinverdire
quel pegno stretto sull’inginocchiatoio
- avere fede -
e quell'affetto perduto – a suo tempo e luogo
potrai riabbracciare.

Figlia di ...
Con minimi spiragli di certezza
calpesti il quotidiano
come si dovesse vivere per forza
ma è spaesamento se
quello che desideri è lontano.
Oltre un sano pensiero
che si rivolge - increduli - verso il cielo
oltre l'immanente e tutto quel che incombe
ti resta una presenza ancora – ora – quanto.
In spazi angusti – tra mura possenti
sbarre di ferro a imprigionare desideri
sogni preziosi da farci uno strascico di brillanti.
Ma lei si allontana, dandoti le spalle
e resti a braccia inerti appese ai fianchi
dondolando sui piedi come una campana
adorabile, dolcissima ...
figlia di puttana.

Un altro domani.
Sarà soltanto un giorno più di ieri
ma di quello avrà soltanto l'alba
e il solito tramonto per chiusura.
Così aspetti perso in un sorriso
una maschera da assente per quegl'altri
puoi stare sempre indenne tra la gente
che non sa e non le importa cosa attendi
lasci che pensi che stai aspettando un tram.
Seppure scribacchi il muro dell'anima
con piccole tracce avrai ferite e segni
sei vergine di nuovo ogni mattina
perché saranno ancora nuovi impegni
e non c'è vivere come sola medicina.

Via nel vento.
Le pareti del tempo – dello spazio
bui impalpabili ma potenti
dove le ombre incombono
dalle quali vorresti sapere ma
più vorresti e non sai varcare
e l’assillo di vivere t'aspetta
ad ogni posare del capo.
Ah! poter spiccare dal sicuro posatoio
un volo pur periglioso ma liberatorio
e andare nel vento.
Lasciarti trasportare fuori da qui
sfuggire al tramonto che scivola nel buio
greve sul petto che ansima lento
come un sole cade attimo dietro attimo nell'orizzonte.
Via dall'ansia che ti vuole concupire.

Chiedimi del cuore.
Non chiedere di me
chiedimi del cuore
se nonostante i battiti scomposti
si accinse al bello
chiamandolo amore.
Se volò oltre la siepe che separa
il sogno dalla cruda realtà
dimentico del corpo non dell'anima
pulsando nel buio della sera.
A cogliere ogni minimo chiarore
anche fosse la flebile fiamma
di un consumato moccolo di cera
che tuttavia custodisce con speranza
di far luce una notte intera.

Ah quanto vorrei …
T'aprirei il cuore
per vedere dentro
quanto questo amore
custodisci in fondo.
Quando alla sera
preparandoti alla festa
la cipria delle rose sulla pelle
il vento di mare nei capelli
liberamente fiera ti rimiri
le mani ai fianchi a piroettare
che le sete s'hanno da levare.
Vedere dove hai il pensiero
quando bianche le mani vanno
sapiente_mente su per le gambe
a raddrizzar la riga della calze
ogni volta sempre più lenta_mente.

Miseria ladra.
Vorrei coi miei coprir gli altrui lamenti
liberare chi li patisce forti quei tormenti
ignoti a seppellirli – in fretta – al buio
come se si morisse per un malaugurio.
Chi pretenderebbe il campanaccio alla caviglia
chi l’orgia scapestrata libera in bottiglia
ma il fato non s’acconcia al desiderio
né a chi lo voglia indirizzar d’imperio.
Così diamo orecchio ad ogni strillone
che legge appunti confezionati all’uopo
per ammansire o aizzare gente dabbene
che per vivere soltanto soffre tante pene.
Così dal “vade retro ...” al “non è nulla”
ci si guarda intorno con quell’aria fasulla
aspettando lumi da chi ci governa e dice
fa questo e quello non ti elevar a giudice.
Muoiono a mille in ogni dove al mondo
e nessuno che giuri che fu davvero il morbo
scappano i ricchi nelle isole protette
restano i meno attrezzati a scansar disdette.

Il monumento che non c’è.
Un milione come uno solo
chi dal chicco fece farina
dal ciottolo strade e castelli
e con braccia mani e fatica
sfamò amici nemici e fratelli.
Estrasse dal suolo tant'oro
da bue attaccato all'aratro
per farne città e cattedrali
ed esser solo di pane pagato.
Diviso disperso e accerchiato
la sua forza creò regni e imperi
nella gabbia dei poteri serrato
costruì ricche magioni e cimiteri
pur tenuto al bisogno sempre legato
questa la storia l'ignaro s'abbeveri.
I mandanti agli altari e sui piedistalli
per quanti e di più ne avesser domato
armi lucenti elmi impiumati da galli
misto a sangue d'altri l'onore acquistato
e mai nelle piazze o nei luoghi di un dio
fu premio per l'umile che tutto gli dette
sudore amori vita speranze e l'oblio.
Un segno neppure oggi un omaggio sicuro
siamo in tempo è vero che allora gemette
si declami nel marmo la sua storia su un muro.

Un modesto omaggio a Piero Colonna Romano per ...

alla dolce compagna
il complesso volo della vita
ha un sussulto quando di colpo
la compagna di migrazione
s’abbatte irrimediabilmente
e pensieri vorticosi s’agitano
quasi a volerla rianimare
che un vuoto spaventoso s’apre
e non c’era mai stato prima
ma disse con l’ultimo sguardo
continua veloce a volare
per te e per me all’infinito

Elucubrando
Avere sempre un sogno
di eros e thanatos
coriandoli di dolcezze
e spasmodici dolori
per impastarci la vita
dannando o esaltando l'anima
e sommesso arricchire
di tanto o poco
quello che porti dentro
che la parca – poi - seppellirà
sotto la cenere.

Il mare tra le dita.
Lecco il mare amico dalle dita fredde
quello di cristalli umidi, evaporato
nelle mille piccole occhiaie sparse
sulla scogliera dov'era imprigionato.
Ora [lui] al largo calmo si dondola
quasi riposa. M' alita in faccia
un’aria lattiginosa - azzurrognola
con quell’afrore antico di alghe morte
il salmastro sapido e selvaggio
che dalle onde sale, specie la notte.
O quando s'infrange a riva e si fa bruma
canta monotona antica ninna nanna
ripetuta all'infinito non si consuma
uno scroscio un fruscio uno scroscio ...
libera la mente non l'inganna
sbuccia dalle caviglie ogni tuo cruccio.
Alla fine mando lo guardo fino in fondo
dove il sole scende sotto il parapetto
penso che la vita e tutto quanto il mondo
è un ballo folle, s' un treno rapido diretto.
Salirci alla fine, mi dico sali, perdo il momento
per ogni cosa, adesso, ho poco tempo
resto a contare le conchiglie e sento
diventare più stretto il firmamento.

Cercare l'amore.
Cercarlo è come fa il compositore
chino mai stanco sulla sua tastiera
rincorre quella nota, quell'accordo
per rendere perfetto il movimento
che da tanto gli sta bruciando dentro.
Quel sentimento che non c'è stato ancora
forse è stato vicino, accanto, ma non s'è posato
quello che non sapevi ma che hai cercato
da sempre vaga nell'anima, senza aurora.
Ch'è sembrato lui, quasi ogni volta
riempiendoti il cuore d'entusiasmo
per lasciarti poi solo quasi sgomento
incurante delle tue pene e d'ogni spasmo.
E dev'essere bellissimo, lo dai per certo
pur se si divincola, fugge, non t'ascolta
le dita della mente lo sfiorano ognora
è tutto un'emozione nuova ogni volta
come un bisogno d'aria sempre ti spinge
a lavorar di lena al tuo miglior concerto.

Quattro piedi su una mattonella..
Il vinile strusciava sommesso
pareva non volesse disturbare
con quel motivo sempre riproposto
quell'abbraccio che teneva stretti
corpi brucianti di contatti senza pelle.
Prima parole ardite pronunciate
col fiato sul collo nelle orecchie
poi appena mormorii senza senso
mosse respinte, mica tanto, e capire
se tutto prendeva un certo verso
se per entrambi ci sarà compenso.
Si continuava con gli stessi passi
anche senza la musica di fondo
qualcuno riposizionava la puntina
la stessa melica di nuovo ed in sordina.
Era una deliziosa tortura che volevi
durasse all'infinito stando allacciati
si calmava ogni eccesso quando bevevi
una mesta aranciata in due, svaporata.
Dimenticati dietro la porta chiusa
riparati con la scusa di rifarci belli
nella toilette che odorava di cipria
consumavamo la più bella bugia
zitti, abbandonati, fradici di magia.

Un giro di … vita
Sarà come essere passato per caso
nato da un desiderio di futuro
da esseri semplici allampanati con
la speranza in testa e il naso all'aria.
La storia ci si mette sempre in mezzo
altri fanno scelte che condividi o subisci
appoggi i sogni sulla sedia a pie' del letto
starai al gioco o dovrai pagarne il prezzo.
E ci crescerai con questo barcamenare
nonostante ti parlino di principi sani
hai anche da vivere e non solo sognare
ché si cantano inni ma si mangiano pani.
Quando a un'ora ignota tocca la scelta
nulla del passato t'è rimasto in testa
segui con l'altra l'entusiasmo che prende
s'attrezza in fretta un sogno e alla svelta.
E cercherai di far cose buone e antiche
di quelle vere che sempre dissero sicure
e ne verrà un mosaico uguale eppur diverso
ma saranno di un'altra foggia almeno le cuciture.
Poi verrà di prepararsi al mondo che va via
è il turno che a tutti spetta nell'ultimo tratto
il solo dal quale nessuno vorrà darti sfratto
nel viaggio di ritorno t'è accompagna nostalgia.

Tu
dal corpo di giunco
di grano maturo i capelli
cava d'azzurrite gli occhi
fiore tropicale la bocca
dimmi dei tuoi palpiti.

La fanciulla in verde.
E' questa mia madre
quella a sinistra vicino al ramo di salice
vestita con l’abito di seta - autarchica
verde a fiori tropicali lillà
lunghette svasata appena sopra la caviglia
le scarpe di vernice col laccetto
e sembra un giunco, tanto sta incurvata.
Coi capelli lunghi ribelli biondo pannocchia
diceva lei ridendo e tante efelidi sul viso
sulla pelle chiara - da parare dal sole
col cappello di paglia a larga falda
dal lungo nastro di seta
in tinta con la gonna.
Con fare scherzoso noncurante
lo tiene appeso alle spalle libero al vento
e il capo leggermente reclinato
con l'espressione in un sorriso fatale
come recitasse da bella sulla scena.
L'ho visto davvero quel cappello
schiacciato tra la biancheria ricamata
del prezioso corredo ch'era da sposa
Quasi un cimelio della fanciullezza
che nella vita non la perse mai.

Credetti fosse rincorrere
il verso di trovare amore
raggiunsi d’un balzo l'orizzonte
ma non trovai nessuno
Provai a fuggire
ma udii i suoi tacchi battere forte
mentre si allontanava alle mie spalle
Forse è restare
nella tela dei propri desideri
aspettare
con i sensi vibranti
sempre.

Lasciarsi
Non ricordo chi lasciò
l'avevo in braccio
e amavo le navi
il loro partire, l'andare lontano
in posti esotici, sconosciuti.
Non sono questi i desideri
per chiedermi d'amarti
mi disse.
Non partii mai
lei era il mio viaggio ...
non spiegai … non capì
e ci sovrasta ancora
lo stesso firmamento.

Viaggiare …
Voglio viaggi d'andata, senza ritorno
senza distanza, che deve essere tanta
anche per arrivare solo alla stazione.
Uno scompartimento vuoto
per non fumatori, sebbene afrori
di fumo rancido intriso insistono.
Mi scelgo il sedile al finestrino
guardo il paesaggio grigio d'un mattino:
uno sale, uno scende, uno saluta
un piccione in picchiata dalla pensilina
il bambino scappa di mano alla madre
che urla come cadesse giù la ghigliottina.
Soffia l'aria compressa e sbattono le porte
un trillo, il treno lento muove al tempo giusto
lo sguardo segue il convoglio che si perde
io resto, mi giro, anche oggi vado...viaggiando
in nessun posto certo ma
fantastico.

Venti da oriente.
Senti che odore di sangue
… nel vento.
È bruno il colore della pelle
di chi lo perde ... dice chi è non perché
orripilante pensiero, da piangere.
Chi produsse l’arma così letale
per un sangue così copioso
siede tra di noi – beve il nostro vino ma
lui conta i denari fiero del profitto
satollo come la fiera necrofaga
ha il ghigno del vincitore
impunito sfuggente.
Debitori – chiniamo la fronte ...
incapace mi passo, d'istinto, con forza
le mani sui calzoni per ripulirle.
Inutilmente.

Solo bricciche.
Mastico minuzie
schegge di brillanti
di quanto altri hanno al dito
al collo o sull'augusta fronte
passando da par mio
con il senno a posto, per strade
che sanno di canzoni alate.
Bricciche solamente
perché per l'ossa non ho denti
rapide sensuali percezioni
in fiore agli argomenti
che inghiotto rimugino
le penso e quando cale
ci scrivo, senza far gran male.
Non ho banco al mercato
non bottega
che nulla vendo ma l’espongo
questa roba mia gelosa
Mi fa godere assai illudermi
che gente comune e signoria
posando l'occhio potesse dire
che buona o bella mercanzia.

Quella pigra domenica.
Che tiri su la coperta coi lenzuoli
che non si raffreddino i pensieri
che al mattino segnano gli umori
che nella notte hai scelto per piaceri
che se il caffè è amaro non ti duoli
che appena pronto hai da portarli fuori.
Che rimarresti al caldo lì ancora un poco
che vorresti rimandare la giornata
che tanto sarà di quelle che ricorrono
che n'aspetti sempre una appassionata
che in men che non si dica è mezzogiorno.
Che tanto è domenica senti campane a stormo
che nemmeno lo ricordi però è già giorno
che c'è fuori un brusio coi profumi del forno
che daranno alla festa il suo contorno.
Che è quella pigrizia che fa bene al cuore
che fa sentire di essere ancora padrone
che c'è un pizzico di vita in te senza rumore.

L’autunno bolle nel tino.
Prende il sopravvento il rosso
sull'arancione che s'era messo
sulle foglie gialle a fine estate.
Sarà cupo di frutto troppo maturo
presto si lasceranno cadere
lentamente o strappate via dal vento.
Le colline silenti in abito da pomeriggio
un beige coloniale pettinato dall'aratro
e le bordure di verde stinto delle siepi
sembrano cuciture tra i campi lavorati.
E tutto prende un tono polveroso
che le prossime piogge laveranno
solo quella teoria di sbuffi bianchi
splendenti del sole che li coglie ancora
perché il cielo è azzurro ancora fin laggiù.
Nostalgia dei colli con le messi
che per quest'anno non ci saranno più.

Così sia.
Potrei far anche guerra per principio
ma non per affermare il mio
a nessuno vorrei fare danno
certo non rinuncio a eccepire
conservo un pensiero anche un anno.
Ma se il piede vieni a pestarmi
perché fattomi umile e sottomesso
scoprirai che non curo risparmi
quando non voglio passare per fesso.
Blaterar puoi fuori della porta
che dei concetti tuoi faccio a meno
ognuno ha il peso che comporta
avere senno o essere uno scemo.
Ascolto do udienza a chicchessia
non m'inciprio per far bella figura
metto buon animo e cortesia
so da tanto che la vita è dura
vorrei abbracciare tutti in allegria.

La bella morte.
Ah poter nel fior degli anni morire
per amore di gloria
come gli eroi alle porte Scee
alle Termopili.
Sentirei poeti cantare le mie gesta
sentirei madri chiamare i figli col mio nome.
Ho di regale solo il bianco funebre del fazzoletto
col quale asciugo l'occhio opaco
le palpebre arrossate come avessi pianto.
Invece storpio nervosamente il mio nome
nel raccogliere per l'ennesima volta
la matita che mi cade ... spuntandosi.

Fossi Cecco invece d’esser Bruno
Da tempo gira in testa a più d'una donna
una idea insistente piccosa fatta pungente
per convincer quelli come me, inutilmente
che vale più la donna che la femmina
che l'una senza essere l'altra vale ugualmente.
Resto del mio pensiero, la voglio femmina
di più per sua natura, e donna sia come cultura.
Quella che mi vezzeggia con le sue letture
m'indica le stelle e d'ogni rosa pure le verzure
che non s'adombri se m'accosto alla gonnella
sappia che avessi voluto in dono una sorella
cara la terrei al cuore, con amore e con rispetto
e mai penserei - lo giuro - d'infilarmela nel letto.
Magari sono poco avvezzo a discettar di donne
di quelle che amano aver più mente che bel petto
amo le semplici come me, non superdonne
ch'io star alla pari con tutte sempre l'accetto.
Ma quando quell'odore che solo loro hanno
t'arriva nelle nari e loro guardandoti lo sanno
non c'è cogitazione che a freno più mi tenga
convien che dica sì e io a più carezze venga.

Una sana follia
Sto sempre quieto a farmi le pulci
come la vecchia scimmia del parterre
col sorriso sottile ormai abituale
d'un rimpianto che non passa mai.
Non prendo neanche più il tram
che conduce al parco cittadino
una carrozza di vecchio ferro arrugginito
gira sullo spiazzo delle fresche frasche.
Vo a godermi l'ultima aria serotina
scaccio fastidiosi moscerini
e mi frugo per un ricordo nelle tasche.
Sto col librettino d'edizione popolare
preso ad una bancarella a poche lire
al posto del portafogli ch'è inutile portare
tratta della Follia, come a saperlo ...

E sarà un altro inverno.
Inverno t'aspetto a piè fermo
come l'anno scorso
e non mi farai freddo
perché voglia di vita
ne ho più d'un sorso.
Ho belli e pronti in mente
cento e più destrieri
li tengo lì alla posta e quando
la tramontana della vita
scuote le imposte - allora
vorrò cavalcare i miei pensieri.
E criniere svolazzanti d'emozioni
cavalcherò le righe che verranno fuori
saltando oltre il ceppo acceso
che pulsa in petto e non sente rigori.

Una barca navigata
A farci un lungo viaggio in questa vita
scricchiolano le ossa e le giunture in coro
come il fasciame d’una vecchia barca
e si va in rimessa a riposarsi un poco.
Sulla panchina al sole dell’autunno
a cincischiare molliche per i passeri
per non farsi sotterrare innanzi tempo
con attenzioni che paiono lamenti.
Quella come un attrezzo fatto obsoleto
si lascia rovesciata là sulla battigia
e la prima mareggiata di settembre
la seppellisce quasi sotto la rena
che pare una tartaruga che depone.
Di lei spunta la chiglia scura verdemare
vestita d’un medagliere che l’adorna
di alghe e denti di cane tutta incrostata
che tanto la facevano nelle onde faticare
eppure ebbe tempi in cui ci seppe andare.
I calli hanno setole sul palmo sulle dita
spaccate a volte si son fatte verruche
dicono anche loro come toccò tirare quella cima.
Sarà stato Ventura il nome della barca
Baldo di certo quello del vecchio pescatore
due per il mondo consumando scali e sandali
e anche se il tempo il più delle cose le cancella
ricorderanno tutto – fossero finanche i vandali passati.

Primavere
Non le conterò più ma
dammene una sola ancora
di quelle che non fa mai sera
rosa al mattino fresche rugiadose
che fanno i ramoscelli gravidi
di boccioli e gemme promettenti
dopo che hanno perso i fiori
nel vento nelle piogge anche violente.
Il tempo di capir che quelli che amo
sanno che qui ci fui e sono stato
prima di consumare l'ultima stagione
e m'accompagni donde sono nato.
E me ne andrò sereno per non rinascere
in qualche posto in qualche modo
se ho usato bene o male il tempo avuto
a conti fatti tanto m'è bastato.

E m'ha punito, il fato
Seduti vicini, stretti abbastanza
sulla vecchia panchina grigio ferro
nel parco verde della Rimembranza
lei quasi bimba ma non per gli anni
io più grande ma solo per gli affanni.
Timidi dolci approcci d'emozione
lei mi pareva un fiore da sfogliare
ora m'ha detto, quarant'anni dopo
ch'era già pronta lì per farsi amare.
Non colsi quella rosa e cieco il fato
mi condusse in un altrove purché sia
dice m'ha trovato solo per caso
io ho provato commozione, nostalgia
lei ha voluto dirmelo e poi andare via.

Quando viene l'inverno
che anima non ha e tutto gela
il piccolo il grande che di neve copre
ogni bellezza con quella coltre bianca
cristallizza anche i fiori sullo stelo.
Tutto pare andare con lento torpore
come la vecchiezza incanutita
che fa incerti passi al davanzale
a guardare col velo umido negli occhi
quello che sì prima conosceva alquanto.
Non vale fare a ritroso la stagione
cercare sotto ricordi ingarbugliati
restano sepolte le leccornie lontane
assaporate solo e lasciate andare.
Digiuno gracchia il corvo dal suo ramo
poi vola qua e là e cerca senza posa
in quell’ovatta gelida ammonticchiata
un segno di quello che aveva lasciato
quando era piena di sole la giornata.

Si fa quel che si puote ....
M'aggiusto la camicia
dieci volte almeno - distrattamente
come quando portavo ancora
la cravatta a pisellini verdi.
Ora non la uso più
ma la cerco nello specchio
senza guardare - automaticamente
quella voglia di garbarmi.
Fuori piove a dirotto – niente ombrello
metto l'impermeabile e ci vado sotto
per sentire ticchettare e scorrere l'acqua
che scivola via … con la tristezza.
Ché il pallore e la mia canizie
è il troppo borotalco – alla lavanda
dopo il bagno.

Che sia l'amore …
Che sia l'amore, quello grande
la voglia che ne hai d'averlo sempre
quel bisogno di calore cogente
di carezze, di attenzioni dolci
anche sensuali addosso e che
mitigano i bruciori della mente?
Che sia quella voglia imponderabile
il sentire che nessuno spiega mai appieno
ma che ognuno sente come bisogno
dall'inizio, dall'infanzia, sin dal seno?
Che sia la paura, della solitudine
della lontananza di qualcuno che sia tuo
e tu suo, con la voglia di tenersi
stretti e liberi allo stesso tempo
senza tema che ritorneremo, sempre?
... quell'estasi che c'invade e non mente
che il resto poco importa, quasi niente.

vien l’ora di andare
intorno si stinge tutta la campagna
fanno stormi i migratori per il via
ho chino il capo come i girasoli
semi maturi quelli – da portarsi via
e io stanco ormai della mia poesia
sbavate di rosso sangue le parole stanno
su bocche spalancate - oscene
rude il figlio con la madre – odia il fratello
s’ingioiella la maliarda – il povero grida
farsi paura è diventata sfida
e allora cadano tranquilli i pampini dal tralcio
l’uva pigiata nei tini prenda a bollire
perderò il mio tempo a guardar mare e monti
sarà bello diventare bestia e aver sorelle
morir al meglio serrando le mascelle.

Due passi lungomare.
A piedi nudi
l’acqua alle caviglie
lo sguardo insegue le onde alla battigia.
Rimuovo con le punte
curiosi inconsueti gusci vuoti.
Incrocio due lapislazzuli cigliati
… una fila di perle
… mani che gingillano conchiglie
ammirandole distrattamente e ...
… sorridiamo complici.
Abbiamo in due, più di cento anni.

La strada come la vita.
C'è una sola strada - la vita
erta il più delle volte
pietrosa d'azzoppare un toro
con pochi sprazzi pianeggianti
da illuderti di arrivare dove vorresti
oppure potresti ma, più spesso arriverai
dove non ti aspettano.
Così a mani basse
stringendo la falda gocciolante
d'un vecchio cappello stinto
vai questuando scampoli di bene
la gioia una passione d'amore
anche di chi non sa chi sei
che non legge i tuoi sogni
non balla la tua canzone.
E riprendi di lena a camminare
che non c'è fine alla speranza.

L'ombra lunga della sera
L'anima – come un’ombra s’allunga
mi precede e carezza ciottoli e massi
e riempie pieghe e rughe
come fossero inciampi dell’essere
fissa – un longilineo me
come un alieno bruno
su una vergine lastra fotografica.
M’è davanti stimolante
non la raggiungerò mai e
non ho che parole alitate
per districare cupi pensieri
dilatati - orizzontali
per dirle cose di me.
Non ho picchi guglie vette
solo monotonia dell'essere ma
vorrei m'indicasse un altrove
una nicchia – un anfratto
dove riporre ricordi di dolori
e custodire cose dell'amore.

Eden
si sta
avvolti nelle proprie spire
in cerca di tepore
coi sensi sempre desti
per catturare un'aura di passaggio
lì d'accanto.
passasse vestita di bellezza semplice
s'aprisse ad una carezza
un respiro un verso altro dal consueto
scioglierebbe il viluppo freddo
e all'ombra dell'albero fronzuto
consumare alla fine
l'agognato frutto.

Come violetta – (2011)
Come sei bella amore
fiore schietto gentile
che nell'interstizio secco
della poca vita che ho
mi nasci.
Giovani roride radici
m'hai fitto nel sangue
che per te caldo mi scorre e
da felicità il tuo germogliare ancora.
Un anno un mese un giorno abitami
pur fossi diventato d'arenaria.

Anacronismo
Forse non sai cosa si prova
a portare una ragazza
seduta sulla canna della bicicletta.
Specie se ha i capelli lunghi sciolti
larga una gonna pieghettata
un'ampia leggera camicetta.
Se manda un profumo di talco alla lavanda
lancia gridolini squillanti
se la ripida discesa la spaventa
poggia la schiena al tuo petto e
alza al cielo il mento.
Il vento avvolgente farà il resto
è indimenticabile quel godimento.

Elvira
fu l'ultima che portai leggera
sulla canna della bicicletta
aveva fianchi sodi lacche rotonde
un seno verginale pur ventenne
la pelle chiara liscia adolescente.
Giù per la discesa del cavalcavia
mentre la bici prese a volar via
corpo a corpo presi dall'ebbrezza
guancia a guancia ch'era una poesia ...
­< mi vuoi bene > mi chiese a labbra strette.
Improvvisa una buca sul selciato
uno scarto improvviso di sbilenco - paura
non capitò più di darle una risposta
e dopo tanto ancora me ne pento.

Coriandoli a Viareggio
Non scatta più sollecita
la trappola per sogni
la fantasia
ché la molla del congegno
il desiderio
via via s'è affievolita.
La tendo tuttavia in riva al mare
in faccia al tramonto muto
per catturare il soffio di vento
che trasporti ricordi fitti
come una folata di coriandoli
che si rincorrono sul marciapiede
quando c’è il carnevale di Viareggio.

Linea blu, fermata 36
Allora sarei rimasto lì all'infinito
aspettando l'autobus a quella fermata
sotto la pioggia che tamburellava
il tetto giallo della pensilina.
E poi, stretto a lei dallo stesso trench
- tipo detective, con la mantellina -
abbottonato attorno alle sue spalle
faccia a faccia come manichini.
Abbandonata a me che la serravo
morbida stretta e senza fare un fiato
lei sorrideva zitta non faceva motto
mi riempiva di baci con lo schiocco.
Ma le sue mani, oh sì quelle sue mani
e quel muoversi volutamente lento
accelerava il cuore da farci ansimare
c'impazziva, complici i sorrisi della gente.
Ora vorrei per caso, capitare lì alla 36
della Linea Blu per Via della Stazione
ma poi m'accorgo senza alcun bisogno
che ci vado sempre - irresistibilmente.
C'è sempre gente a quella fermata
siede sulle nuove panchine in trasparente
ma non c'è brio, nessuno si saluta
si guarda intorno con fare indifferente
al più tendono la mano dentro il guanto
ed io ricordo noi
sorrido mestamente e passo oltre
stringendo in gola il pianto.

L'attrazione dell'orizzonte.
Avessi l'impressione
di aver consumata tutta
la vita che valeva la pena
non vorrei continuare a trascinarmi
giorno dopo giorno
su un liscio litorale a guardar tramonti
e credo mi verrebbe voglia
spento l'impulso che tiene vivo il cuore
d'andare oltre l'orizzonte
sperando in un altrove.

L'appendo - questo tempo
stanco prolasso
al chiodo dei desideri
che mi sono rimasti della vita.
All'istante pare che nulla
sia trascorso davvero
niente tracce tangibili e
se qualcosa c’è stato in passato
l’avrò inconsciamente buttato via.
Le ansie le paure son restate
sebbene orme sulla rena
che un'onda dopo l'altra
cancellano dietro ogni passo
ma continuo a camminare.

Sulla spiaggia, al tramonto
Ci sono occhi, senza ciglia
per guardarsi dentro ogni stagione
perché non è il tempo che passa
a complicare la vita d'ogni giorno
ma la voglia di tenere il ritmo
con la tua canzone.
Ognuno ha il suo stile o l'illusione
impari da altri all'inizio, l'hai imitati
poi hai trovato il tuo proprio verso
che può non essere il massimo sperato
ma fa di te quello che onestamente sei.
E questo ti accompagna tuo malgrado
ma c'è un bel rosso arancio all'orizzonte
è fresca l'aria e morbido fraseggia il mare
con gli scogli senza mai requie.
Un passo dopo l'altro e l'orma annega
in quel tratto tranquillo della spiaggia.

Ancora l'estate (2009)
Estate di messi copiose turgide
gravide di colori
gli zuccheri nettarini
fai colare dalle labbra vogliose
avide di piaceri antichi agresti.
Sto disteso inebriato con lei per mano
dove quando e quanto non saprei
certo appagati d'ebbrezza sensuale
per aver consumato l'ostia del desio
col corpo suo potente col mio rinato.
Spira quest'aria densa di profumi
odori di selva e fioriture di prode selvatiche
perfino di fuochi crepitanti tra le stoppie e rovi
Viene un sogno come un fresco lenzuolo
a coprire la spossatezza d'un rito
che non sarà perduto mai.

Se avere ali volesse dire volare
inseguirebbe la rondine il pinguino
e le zanne significassero predare
avrebbe l'elefante un fare belluino.
Avere un cuore non vuol dire amare
ché non è il posto dell'amore o sentire
che alberga profondo nell'essere
e da tutto il corpo poi si fa sentire.

Figlia di ...
Con minimi spiragli di certezza
calpesti il quotidiano
come si dovesse vivere per forza
ma è spaesamento se
quello che desideri è lontano.
Oltre un sano pensiero
che si rivolge - increduli - verso il cielo
oltre l'immanente e tutto quel che incombe
ti resta una presenza ancora – ora – quanto.
Lei si allontana, dandoti le spalle
si resta a braccia inerti appese ai fianchi
dondolando sui piedi come una campana
adorabile, dolcissima
figlia di ...

Un’estate che va
di giallo in giallo
il grano le stoppie
così ogni anno a consuntivo
i capelli grigi più non si contano
i pensieri sì, quelli più fini
quelli più vicini al cuore
quelli bambini

Un fiore all’anno.
M’è necessario
come il pane ai denti
una faccenda terrena
niente a che fare con il cielo
e non voglio filosofare che
“ filosofare è imparare a morire”
che la sento troppo stretta per indossarla ora
l’amore mi venga a trovare
un’ultima volta
e sarà per sempre –
un fiore all’anno, basterà.

Oltre la siepe-
Contare notti una dopo l'altra
ed assopirsi con un sogno vano
mentre le albe metteranno ansia
inciamperai nei lacci delle scarpe
che non togli nemmeno per dormire.
Chiedersi se mai oltre quella siepe
lo scenario di fondo della vita
che quotidianamente lei ti spaura
si trovi un bicchiere d'acqua fresca
e tosto mandar giù quanto t'opprime.

Quelli che avevi, hai, avrai ...
Capita d'avere più anni
di quelli che ti danno
tu li conti, gli altri che ne sanno.
Eppur si vede, si legge
come gli anelli d'un albero tagliato
scritti negli occhi stanchi
nelle pieghe del labbro, raccontato.
Ogni segno sul viso fa cicatrice
ha una storia dietro
le puoi separare una dall'altra
usando la memoria come pinza.
Ma quando un sorriso le distende
quando s'inarcano le labbra
senti perfino l'odore di quegl' anni
se furono baci sospiri o affanni.

Salsedine
abitino fresco da sera
alla stagione
negli occhi bruci
sulle labbra fai sapore
nell'acqua fai sentire
dei freschi fondali blu
tutto l'odore
balsamo rivesti come guaina
e il corpo incarti
con stille di perla opacizzate
brilli
il sole ti svapora e lasci
arabeschi da fiaba
sulla pelle vogliosa di libertà

Il lungo viaggio
Sul mare la cercherò
sulla vastità dove tutto è nato
che tutto inghiotte
col suo fascinoso blu azzurro verde
Ci volerò con ali prese in prestito dalla fantasia
sinché spossato mi getterò sul ponte
del brigantino Destino che veleggia in eterno
trasportando la felicità.

Assordarli di silenzio.
Sentono soltanto
le sirene del giorno
che gli suonano
quel che vogliono sentire
e le parole dei probi
non trovano orecchie
che vogliano ascoltare.
Allora proverò ad urlare
tutto il silenzio che posso
farli sordi loro, questo voglio
senza degnarli d'uno sguardo
quando s'affannano attorno all'osso
a riempirsi il ventre di callo a più non posso..
Sfiancano della polis ogni energia
scappando nelle tane artificiali
con brandelli di vita senza senso
per un nonnulla chiedono un compenso.

Sguardi ... come raffiche di vento.
Se mi pungi l'anima
con quegli occhi scuri
se mi sorridi come se m'amassi
scopriresti che t'amai già, ieri
quando ti vidi e misi gli occhiali scuri
sulla mia innata timidezza.

Avessi gettato l'ancora
Avessi gettato l'ancora allora
quando mi parve di stringere
tra le braccia - il mondo
quando nulla poteva accadere
ch'era del mio colore tutto intorno.
Invece presi l'agio di percorrere
facili rotte in lungo, largo in tondo
per riempire giorni sempre corti
sentendo l'ansia di non vivere profondo.
Ora ad ogni vela o fiocco lacerato
provo a tornare alla cala di partenza
per nostalgia d'un sogno accarezzato
nell'acqua fresca cheta, in trasparenza.
La bitta al molo è tutta arrugginita
sconnessi i massi dell'approdo avito
la sosta è dura, speravo ingentilita
il vento non è brezza, è più accanito.
Non è più tempo di abbrivare al largo
le forze sempre scemano, anche il coraggio
un viaggio, forse due, prima che arrivi
il sonno della mente, come un letargo.

Risveglio.
L'alba s'allontana e il sole
lentamente
fa presto chiaro il giorno.
Asciuga le fronde
dalla rugiada fresca della notte
che fa salire in volute opache
dal bruno asfalto vergine di passi
dal verde cupo che rista' nei fossi.
Ora la luce spacca la penombra
allargando la fessura nell'imposta
che vecchia mi guarda
come una ferita trascurata
e arcobaleni di pulviscolo
danzano nella stanza s'allargano
quasi a crogiolarsi al caldo.
Mi sorrido intontito con la bocca amara
e la mano solitaria cerca una carezza
scivola verso una non presenza cara.
Lento m'arruffo e liscio la canizie
stiro le membra di gatto grigio pigro
veloce un click ed un led s'accende
si sparge l'aroma d'un caffè eccellente.
S'avvia di nuovo a tribolar la mente.

Sensuale primavera
Sta il gufo sul vecchio posatoio
e manda richiami come sempre
di questa stagione.
Si danna lo stallone d'anno
intorno al branco
per scacciare i pretendenti.
Il garzone freme sul lavoro mirando
le sue appassionate al balcone.
Il tempo passa è la vita ha fame
fame di forza ignota misteriosa
tutto spinge ad un nuovo tempo
dove tutto ha da nascere crescere
ripetere la danza, il girotondo.
Così fa il vento che la notte s'alza
umido dal mare e porta nubi
a impregnare il mezzogiorno dopo.

Io ti tradirò.
Mi prende di te pur se non ci sei
una smania e così tanta voglia
che aspettarti tra lenzuola spente
mi sembra ricoprir con una foglia
la passione che grazie a te si fa potente.

Così se manchi ancora un altro incontro
ti tradirò com'era inteso avremmo fatto
rassegnato a non poterti avere dentro
avrò dell'altra quel che porterà nel piatto.

Ma il triste fatto è che questo non mi basta
lei non è te e non per sua mancanza
mi sei nel sangue sebbene non sia casta
ogni sospiro tuo è già abbondanza.

Certo non è ragionare ma che m'importa
fluisce nel sangue questa corrente nuova
solo gaiezza libera bandita l'aria assorta
ora che corpo mente e cuore stimoli ritrova.

Cade la foglia nel fiume e fa il suo viaggio
non torna la corrente scesa alla montagna
voglio cullarmi nella vita e il suo ondeggio
ché sento la parca starmi alle calcagna.

Miraggi
Ciechi all'imbarco e un sogno nella mente
traghettano speranze su galleggianti d'aria
S’affidano a incerti oppure laidi nocchieri
che muti per viltà o ignoranza li conducono
tra i flutti - Dove tetra la falce acuta li attende.

Nasci come nasci
Nessuno prima t'infarina
e se a ogni bivio non prendi mai la prima
sarà così che dev'essere - deve andare
strade vicoli piazze devi camminare
ridere piangere qualche volta amare
e se la sera sempre la stessa cade
con quel vuoto dentro quella cappa spessa
vivere si deve sia sereno o tempesta
trovare ch'è stupore il buio - non sgomento
doveva deve essere così e se rifletto
il papavero è rosso - nessuno gliel'ha detto.

Solo tristezza –
Mi piove addosso come acquerugiola -
l'inadeguatezza a questo tempo -
Scavalco viste di macerie - corpi galleggianti.
Stringo la mano la mano al fato - insicuro.
Le scarpe son sporche di sangue e son passato oltre.

Passato il tempo dell'attesa
Son consumati sogni e giorni ma
qualche scampolo di quel tempo occhieggia - nelle pause
è un' emozione
ma il più è dato.
Se un qualche antico sorriso
improvviso m'increspasse appena la bocca
coglierei l'attimo per l' ultimo volo - con lei.

Vita nova
Getterò via, se insisti
le biglie con la fionda
che rigiro tra le mani, silenziosamente
e che mi ruba sorrisi
nei quali non compari.
Se getterai anche tu
quella bambola perfetta
in abito antiquato
che sbatte le ciglia
su occhi verde mare e
ora fissa la parete, silenziosamente.
E faremo un nuovo gioco insieme
che necessiti solamente di noi
e di nessun'altra gente.

2020. Limerick [politicantropi]

*
Dimostrerà supremazia razziale
conciandosi come a carnevale
E' tutto paranoia
queste facce da boia.
Il posto loro sarebbe l'ospedale.

*
Lui non ebbe coraggio d'esser Franco
Mentì e si lagnò - vile alquanto
Oppure fesso
Giudice lesso
Per questo non sarà mai rimpianto.

*
Portato via di peso fatto fesso
Gli starebbe bene un bel processo
E ci siamo stufati
Di questi screanzati
Via per sempre scaricati nel cesso.

Il minore dei mali.
Chi potrà più guardare il mare
cercare – tra le creste dell’onde - viste
di rapide pinne di delfini sortire
- dopo quanto c’è affondato -
cercare – sulla battigia
conchiglie spiaggiate ossi di seppia piume perdute di gabbiano
che la risacca s’incarica di ordinare in volute sulla sabbia
- dopo che un bambino l’ha segnata col suo corpicino morto -
cercare – quell’odore di salsedine
che di freschezza era prodromo – lapalissianamente
- dopo che è stata avello di tanti miseri - naufragati per amor di vita.
Forse è la vita il minor di tutti i mali.

Passi … impronte labili.
Prima dell'alba, sulla spiaggia
quando c’è un l'odore aspro
un afrore selvaggio
e l'umida bruma, che si leva piano
si posa in stille minute
sull’elicriso delle dune
sulle ciglia, sui capelli
e bagna.
L'onda lecca la riva lievemente
forse nella notte l'ha morsa e
c'ha rigurgitato conchiglie morte
alghe strappate dal fondale
qualche piuma di gabbiano
una bottiglia di plastica rossa.
Il bagnasciuga segnato da sinuosi rimasugli
con la risacca si rispiana continuamente
pure si cercano teorie di passi
orme di un tempo fatte sotto il sole
parlando appena, tenendosi per mano.

Vie anguste
ho gambe troppo lunghe
per queste poche stanze
così sbatto contro ogni parete
ricordo stipiti distanti e finestre grandi
vedevo l'orizzonte e le montagne
da un lato all'altro c'era un firmamento
tutto s'è rattrappito si rattrappisce
non sono gli occhiali ho provato
vedo più breve
non muove frasche il vento
il cuore batte strano sempre più dentro
un papavero rosso sul ciglio della strada
non mi fa più contento.

l'elogio della solitudine
ho un posto riservato in prima fila
nel gran teatro della solitudine
ci vedo le mie rappresentazioni
e le repliche quando non capisco
alle volte mi vogliono portare via
allettandomi con spettacoli vari
qui c'è la vita che so come si vive
andate voialtri al varietà io resto
con la mia nostalgia.

Bilancio di...parole.
Sono stanco, anche stasera
rientro e appendo dietro la porta
la consunta maschera del giorno
portata, spero con arte, anche oggi.
Non male, in verità :
acquisiti due apprezzamenti
da estimatori importanti
un complimento, un sorriso
una carezza al viso
la promessa di bacio
in una passeggiata al sole
e tutto il dì
non ho prodotto che parole.

C'era una volta
Mentre l'odore forte del fieno appena tagliato
sale alle narici e sfrecciano sugli steli abbattuti
rondoni e rondini cacciatrici
pensi che sono sentori d'altri tempi
e la nostalgia di quei dì prende governo.
I più nascemmo alle porte del contado
l'odore acre delle ciminiere venne dopo
così il tossico fumo delle auto ambite
le quali ci avrebbero aperto liberato
l'orizzonte limitato delle colline
il lavoro duro dai nostri vecchi usato
dalle pastoie che le stagioni calzano
se dalla terra devi trarre il pane.
E venne, il pane, più bianco ma scipito
nulla aveva più sapori forti
tutto annacquato, tutto ripulito, asettico
abbondante specie per chi sin dalla culla
alla quantità più di tutto anelava e
teneva tutti quegli odori e vecchi gusti
non importanti di poco conto o nulla.
Ora in tanti rimpiangono il passato
seppure pochi l'hanno vissuto intero
sono pentiti d'aver molto dissipato
vorrebbero una vergine natura di ritorno
dopo averla stuprata volontariamente
seppure Lei, la Terra, ci aveva tanto avvisato.

Rullano tamburi a oriente
Verrà il tempo
in cui i pesanti silenzi
accatastati a difesa
come massi sull'avello
s'imbratteranno di sangue
più di quanto già non sono.
Presto di lontano un vento
pregno dell'acre lezzo della morte
che gli esotici profumi d'oriente
non riescono più a coprire
scompiglierà le nostre chiome
pettinate e tinte.
Si raserà il crine alla miglior forza
per calzare l'elmo a difesa
del castello della nostra ignavia
e il tremare dell'ossa della casa
forse dirà quanto non basti
chiudersi in città d'oro
di alte e possenti mura cinte.
La verità scannerà colpevoli e innocenti.

Jannacci docet
Da sotto il velo della mia bara
in legno scuro imbottita e di seta addobbata
guardare in faccia chi viene a salutare
chiedere a tutti ma senza apparire
se finalmente han chiuso il libro delle ingiurie.
Quanto gli resta del mio lungo vagare
quanto del loro dire di amarmi tanto.
Ascoltando i chiacchiericci sul mio così finire
alfine sapere come sempre volli
quanto peso ebbi nella vita d’attorno
averne la prova quando io sto qui e taccio
provare l'effetto che fa essere rimpianto
oppure sapere quanto fui distante.

Voglia di essere felice
Non mi passa la voglia di essere felice
anche se da tanto vedo rosse nubi passare
di fuoco di odio, che in qualche parte
del mondo senza speranza fanno iato
e vieppiù di grida irose tolgono il fiato.
E ascolto l'urlo che il vento trascina
di gente che al dolore oppone il pianto
e franano torri di mattoni vecchi di storia
dirupati per far posto alla gran pazzia
di costruire poste anziché posti
consumando suolo cielo acqua preziosa
come se ce ne fosse sempre a iosa.
Fanno patire le ferite imposte
dal fratello al fratello e alla natura
e cotanto uomo può aver lorde le mani
ingorde rapaci di bellezza pura, eppure
figlio della terra che c'ha sempre amati
germano ognun dell'altro che sulla stessa vive
ognuno e tutti da donna nati.
A volte pare ci si rivolti contro il mondo
lui che è innocente e pasce tutti e tutto
scuote la crosta lancia lapilli iroso
quasi un segnale del suo potere intonso.
Nel cuore è accesa debole una fiamma
che l'anima di chiunque può scaldare
si canti tutti in coro facendo girotondo
seppur con sospiro flebile e lontano
un canto che ci raggiunga totalmente
prima che la tenebra cali il suo velo
e non si perda il tempo di sperare.

Risvegli in fiore
Quando il glicine mostra
come una leziosa sottoveste
il colore tenue della trina in fiore
che poi coprirà soltanto in parte
con un vestito ricco di verdi sarmenti
si sveglia forte un desiderio
una voglia ancora rinascente
di mai dimenticati godimenti.
E passa già che un'aria vespertina
scuote quelli della rosa selvatica
petali bianchi o rosati come sospiri lievi
ingenui, seppur la chiamano canina.
Là sul greppo infrascato e erto
i primi gialli su quelle punte aguzze
s'aprono al sole quelli della ginestra
che a banchettarci le api fanno festa.
Lucidi strobili di cipresso cadono
nelle fitte frasche il cardillo s'annida
giunge di lontano da quell'altra sponda
qui come la rondine c'alleva la covata
poi tornano là, lontano, come l'onda.

Tempo senza requie
M'hanno accompagnato nella sera
voli di rondoni a sfiorar la rocca
veloci aggressivi che poi diradano
si spengono uno ad uno striduli richiami.
Mi chiama al giorno l'upupa di quest'anno
chissà s'è quella dell'altra stagione
vola ondeggiando nello stesso orto
quello coi muri a secco rovesciati.
Monotono insistente il suo richiamo
la femmina è ancora di là del mare
arriverà come ogni anno a fare nido
lo lasceranno e anche me, ad ammirare
come il tempo trascorre senza requie
ed io a vivere, come lo so fare.


Mille estati fa, come ieri.

*
Lucciole, spilli di luce
che aprono fessure nei ricordi
di quando la rincorrevo
tirandola tra il grano
per la fresca svolazzante gonna.
E lei ridente, ribelle per finta
si lasciava baciare il collo
il seno, fino alla caviglia.

*
Quell'altra estate
si tolse scarpe e calze
libera rinselvatichita e
a piedi nudi
prese a camminare lungo la battigia
non si voltò mai
finendo nel tramonto

*
Ora che saprei scegliere cravatte adatte
che la seta il tulle non m'impressionano più
provo ad uscire di casa più spesso
chissà - magari - capita anche a me
una bellezza vera.

*
Ho sempre bisogno di sognare
mi serve più che saper nuotare
eppure ci potrei annegare
nel fondo dell'anima
per le troppe falle mai riparate
 

1.
Ho avuto in sorte ...
una barca inaffondabile
agile veloce
- fantasia -
è il suo nome.
Non tollera che sé stessa alla barra
e in ogni mare mi conduce
affondando la prua tagliente
nelle onde pur minacciose – terribili
da togliere il fiato.
A me che mai ho tanto ardire … Poi ...
riemerge grondante spuma bianca
e come l’orca s’avventa in cielo
per la felicità selvaggia di godere
e spancia
dopo aver fatto scempi nell’abisso.
Quindi respiro – ritorno - alfine
dopo aver visto l’immenso
altro mondo.

2.
Che mai sarà
questa brezza lieve
dopo la calura
questo gusto sapido
dopo aver ingoiato amaro
questo momento sereno
dopo un'ansia ferina:
l'averla d'appresso
contro chi non vuole
accarezzarla e baciarla
sul collo, sul seno
come fosse un antidoto al veleno?
Che il vivere senza
tanto accora
pareva un deliquio
dal quale non doversi più svegliare.
Forse devi sapere che ...
Lei c'è stata.

3.
Eterno.
Preferisco mattini
quando il cielo è piacevolmente nudo
ma accetto giorni e notti pieni di fumo
perché potrebbero essere
qualcosa di nuovo. Sperabilmente.
Ma non sono che passaggi
del girotondo della vita – fino alla fine, che
– consapevoli o all’insaputa –
facciamo intorno all’anima.
Al Sole padre e madre
di luce e buio - forsennati amanti -
che si prendono e lasciano
scambiando sesso e senso
in giorno o notte – o viceversa
all’infinito. Forse.

4.
Tempo d'estate.
Un pomeriggio incerto
di mezza estate
in aria di temporale guastafeste
chiusi il libro
e volgendo lo sguardo in alto
raccolsi in viso qualche goccia sparsa.
Un'altra lì daccanto
fece altrettanto
e a occhi chiusi sorridendo
aspettava lo scroscio ogni momento.
Venne tra i lampi
guardandoci ridemmo
corremmo a riparare dentro un tè caldo
parlammo tanto e
per un pezzo ci vedemmo.
Un falò di sterpaglie sulla spiaggia
gagliardo giocoso scoppiettante
che presto si consuma e spegne.

5.
Domande da bruco variopinto.


Tutto questo brandire voci
questo clangore di metalli
l'ansia sparsa come poltiglia
che il pensiero mio distoglie
dal quotidiano volere altro
m'allontanerà dall'esser comune
parte cosciente, responsabile
di questo vago mondo?
O sono quel che sono e vivo
da bruco variopinto che
per i suoi colori è salvo
dall'occhio dell'uccello?
Sarà mimetismo nel bisogno
che a becchi di ferro e fuoco
non resisto e non di meno fremo
come chiunque ha una speme
che ci sia qualcosa di migliore
di questo triste estremo.

Mondo cane
Si nasce, senza merito
su una sponda del mare
dove le palme guardano le onde
dove la brezza rinfresca la sera
dove c'è latte e miele, da mangiare.
Oppure al limitare d'un deserto
dove l'acqua è sempre da cercare
dove l'afa annebbia la mente
dove devi soffrire per campare.
E dopo aver sognato il paradiso
quando t'hanno detto che altrove esiste
metti gli ultimi sandali che hai
e parti, leggero, nulla da portare.
Ci sono fiere che strappano i lombi
lungo la strada non trovi pietà
solo la forza di sopravvivere riempie
i giorni e le notti di questa assurdità.
La scelta scellerata che il fato compie
regalare ali a chi nacque di qua
riempire a quelli le tasche di piombi.
Gli audaci aiuta la dea fortuna
tocca chi può terra e subito la prega
strano alieno che piange con gli occhi
come me sorride inarcando le labbra
è certo figlio della mia stessa natura.

Inutilmente imprechi
se non scrosti l'anima
dal grumo dei rimpianti
con fatti veri e tanti.
[ il vento non scalfisce
la corteccia della sughera ]
... la radio manda ...
"sonata al chiaro di luna"
Legato alla Luna con un filo
non ebbi bisogno di lunghi viaggi
coi sogni vidi quello che volli
non scrutai mai sfere di cristallo
per sapere quello che c'era – in e oltre me.
Bastò quel filo di ragno che mi lega alla Luna
e tutto è fantasia.

Il sogno.
Fosse sonno questo lungo autunno
e poi svegliarsi in una vita nuova
perché le tante immaginifiche speranze
che illuminarono l'infanzia tutta e oltre
sbiadirono di giorno in giorno alla luce
del sole cocente della realtà quotidiana.
Sogni - da sveglio - di sorvolare il passato.
Se fui felice immaginando l'impossibile
che nessun realtà mai del tutto placa
vorrei che l'esistenza fosse sogno
e il sogno - qualunque - una nuda realtà.

M'accendo un'altra sigaretta
Perdo un sogno ogni tanto
finisce, come la meglio sigaretta
rimane il suo profumo intorno
dolce come fosse una disdetta
tarda a consumarsi quell'incanto
resto disperato - un po' soltanto.
N'accendo un altro e m'avvio
nuova la stella nuovo il firmamento
quattro boccate e poi l'espiro lento
mi stropiccio gli occhi
[domani smetto] dico ridendo
non sopporto più d’avere pianto.

solo nostalgia
La rabbia del vento che passa tra i rami
geme e li frusta - li squassa - li spezza
strappa le foglie – che cadute – si rincorrano pazze
come potessero raggiungere il tempo perduto

L’orco
[Sinite parvulos venire ad me]

E' così che da tempo immemorabile
vi affidiamo il meglio di noi – la figliolanza
perché ne abbiate cura – perché avete scienza
a insegnare loro cos'è la trascendenza, noi
che non sappiamo far chiara la coscienza.
Avete con le stesse mani che levate il calice
e distribuite in solennità l'eucarestia
turbato le loro ignare puerili debolezze
sollecitato le ancora ignote turbolenze
per il morboso irrequieto piacer vostro
contagiandoli di malizia prima del tempo.
E gli nasce dentro un odio che li affligge
nell'ansia lunga d'esser sporchi dentro
finché per liberarsi del tormento
si danno fuoco per cancellar l'evento.

Sciupafemmine.
[Finché morte non ci separi]

E comincia nella gioia quella vita
tra veli bianchi, fiori e riso a spaglio
burlesche storie simpatiche carezze
ma può durare solo quanto un Luglio.
Sempre un demone s'annida nelle coppie
quando l'amor non ha un nido robusto
quando il rispetto non ha il posto giusto
quando vuole ragione chi è più tosto.
Una ragione che vale ad ogni costo
esser più forte oppure bellicoso
non basta il come o il quanto doloroso
Lei deve sottostare, quello è il suo posto.
Se il divincolarsi fosse l'unica via
per amor di verità, nessuna bugia
non c'è diritto, neppure c'è onore
non c'è posto, venisse pur dal cuore.
Non la salverà neppure un altro amore
nessuno l'aiuterà a sollevar quel peso
ha rotto un vaso vecchio, un vero coccio
nel quale l'ipocrisia del mondo intero
tiene da millenni un moccolo acceso.

Avere dei domani
aver domani certi - ogni fine giornata
puntare la sveglia con un sorriso
e un indirizzo dove portare il viso
buone le scarpe la camicia lavata

non questa incertezza senza andare
vuota la stanza la strada la città
sebbene s’accalchi la folla ignota - in verità
se resti avrai uno specchio da spaccare

vai che c’è un’occasione – in qualche posto
che quelle già perse sono senza peso
nulla dovrà lasciarti più sorpreso
a quelle essenziali non hai risposto

ci sono ancora molte miglia per l’orizzonte
calca bene il cappello sulla fronte
fai tutta la strada – attraversa il ponte
quello che c’è riservato va bevuto alla fonte

scaccia il pensiero d’essere stato pesato
trovato scarso e per quello abbandonato
pensi e senti la bellezza d’un cielo stellato
guardati attorno – sei ben modellato

Sono stanco
Sono stanco
voglio andare via.

Andare
dove non crescono litigi
dove rancori e odio
sono inesistenti
per gli amici e per i parenti.

Luogo di pace cerco
dove il sole splende
la luna è in compagnia
di spiriti lucenti
di spiriti immortali
che non han paura
di ladri e delinquenti.

Voglio andare via
da questo mondo impuro.

Datemi una mano
un semplice sorriso.
Partendo vi saluto.

Io vi guarderò,
di là, dal paradiso,
vi guiderò con benevolenza
fino al giorno in cui
saremo in compagnia
per raccontar le favole
da miseri ignoranti
al coro di sapienti.

Alcamo, 23.02.2019 ore 07,40.

Il misero accogliente.
Lasciami musa, ora non è tempo
di carezzevoli parole sopra sogni.
Sento grida e lamenti venire col vento
e rossi che non sono tramonti colano
da corpi come stramazzati nell'arena.
S'accanisce il lupo, anche la iena
sulle membra di chi scappa via
e sulla parte estrema della terra
dove giungono stremati da far pena
molti gli armati a digrignare denti
punta di lancia che la speranza frena.
Lasciato il nido avito devono andare
a tentare un'altra storia un'altra vita
lontano incerto futuro a conquistare
Non sarò tra quelli a recare il conto
a chi brama sedersi al nostro desco
sentirei d'essere misero a confronto.

Non si può scrivere.
Ambulante dei sentimenti
raccolgo in fagotti colorati
i pensieri e tutte le emozioni
per caricarci senza tema
il carro dell’anima – tranquilla.
Andare di borgo in borgo
sotto un cielo nuovo a rimirar le stelle
col canto lento del bardo mi trascino
oltre il tramonto -
che non si può scrivere.

La caletta
È stato come succede con i sogni
non è che puoi sceglierli d'un tratto
capita qualcosa che fa essere cullato
un'aria fresca come carezza dolce
un posto che da tanto hai cercato.
Un angolo di scogliera dirupato
all'apparenza pareva periglioso
ci sono sceso tenendomi aggrappato
all'erba secca, agli arbusti d'elicriso.
Una conca come una pozza azzurra
nella quale le rocce ci sprofondano
il vento gira al largo ma col Maestrale
le squassa tutte con violenti flutti.
Il rombo delle macchine è lontano
non è agevole per questo ancor più caro
c'è posto solo per due, si scende tenendosi per mano.
Ora che ci penso, da qui lei andò lontano.

Apriti estate.
Devi aprirti come una finestra
perché l'estate incombe, pressa
potente di calore, colori e odori
prende il corpo e l'anima stessa.
Mille e più nudità brune levigate
già eburnee del sole timide ancelle
in acque salse o dolci scivolano
sguazzano giocose ad ogni invito.
Gli sguardi sono espliciti da furtivi
cercano risposte veloci d'una sera, ché
l'asse s'inclina e lesto sarà l'autunno
poi quella col cappotto, poi la primavera
e la prossima calda, intensa, solo si spera.
Anche un solo volo, un brivido estremo
lo spirito corrobora, fosse anche alieno
un accento rosso sulla consuetudine
da conservare per tempi a venire
quando i giorni ameni saranno rari
e ciò che non passa, è l'inquietudine.

il colore dei suoi occhi
tachicardica
la voce vetrata di Joe Cocker
lustrava la sottoveste
- cimelio fuori uso -
fuori dentro sopra sotto
lei che la faceva dondolare
con le anche
seduto per terra fissavo
senza riuscire a vedere …
il colore dei suoi occhi.

Sei solo
se non t'accorgi
del mondo chino su te
e senti l’alito sempre alieno
del prossimo o distante
e ti spaventa una ferita aperta
tua o altrui
esposta per essere curata
Sei solo

… e quella grossa goccia
residua dalla pioggia notturna
precariamente appesa a un ramoscello
rispecchia più per sé il primo raggio di sole
poi cade – nell'oblio – del prato indistinto
come fo io

All'ombra d'un querciolo
Disteso sotto un querciolo
guardavo nubi bianche a frotte
andare verso oriente come sempre
venir dal mare là, da occidente
leste come per un appuntamento.
Appena il tempo di pensare altrove
lo sguardo torna e non le ritrovo
sono andate in volo oltre i monti
forse a far sognare un cielo di sole
ad uno che sta, come me
sempre da solo.

Sorella morte
Sebbene non ti cerchi, tu
mi avrai.
Non spaventarmi
possiedimi lentamente dolcemente
io sono adagiato sul tramonto
e ti ricorderò così
per l’eternità.

Alla Messa
Era giallo ginestra
quel bel vestito d'organza di seta
che a primavera
i giorni di festa ti mettevi.
La pelle bianca
qualche lentiggine vezzosa
il rosso tiziano de ricci luccicava
parevi spettinata ma non l'eri
bella gagliarda anche audace
facevi finta d'essere altezzosa.
Sapevo non essere per me
tutto quel ben di dio
ci perdevo gli occhi e 'l sonno
ché tu leziosa mi sorridevi a tratti
non t'avrebbero data mai
ad un pari mio.
Ogni domenica nella Collegiata
nel brusio sommesso degli oranti
ti guardavi attorno quando sentivi
gli spilli dei miei mille sguardi
lì sulla nuca nella tua cervice
ti facevano scorrere per la schiena
si lo so - quel brivido che tanto ti piaceva.
Tua madre ridestava l'attenzione
al tintinnio argentino che solenne
faceva chinare il capo all'ostensione.
Presso la pila in mezzo a tutti quanti
ci scambiavamo con tremor di foglia
pensando già alla prossima occasione
quel tocco d'acqua santa e sulla soglia
uno sguardo intenso d'emozione
prima d'uscire lenti dalla pia funzione.

Le buone scarpe
E mentre ti liberi di notte
del giorno che t'aveva preso le caviglie
col sonno che appena un po' ristora
riprendi nella mente a mordere
quello che sarà domani.
Potessi fermare quel taglio di luce
che lacera il buio della stanza
passando – all'alba – per la fessura dello scuro
potrei scegliere scarpe migliori per camminare
perché quelle che ho han suola ormai lisa
per molto ancora non potranno andare.

Non alzerò il bavero
non mi difenderò né mi riparerò
da questa ultima brezza di stagione
che un tempo era fuoco nelle vene
e ora mi vellica – appena – eppure
tutto me la reclama
Non lascerò che i ricordi
sopiscano le emozioni
che si avviluppino attorno all’anima
poiché non avrò che quel che resta
da portarmi via.

Ciao, Ma’
t’ho rivisto nella foto – sai?
Una delle ultime che ti abbiamo fatto
- dopo non hai più voluto -
quella dove indossi il vestito di seta azzurro a fiori bianchi
fatto su misura, almeno questo, dicesti!
Calzavi scarpe col tacco alto, nonostante l’età
che ci faceva sorridere – bonariamente – ma t’arrabbiavi
ora non rido, sai, porto dei jeans, come mio figlio.
Sei andata stanca e dolente
davanti a noi impotenti
che ci guardavamo fissi lacrimando un poco
da adulti, ma
scambiandoci un sorriso mesto d’intesa per dire
- dove vuoi che vada -
staserà, come sempre, passerà a dare
ad ognuno di noi
la buona notte.

Haiku
1.
Quieto lo stagno -

La libellula tocca
un velo d’acqua

2.
Pioggia d’aprile -

Fitta acquerugiola
suona sui coppi

3.
Passi nel bosco -

Chioccolano i merli
frullano ali

4.
Ramarro verde -

Predata la farfalla
nera e gialla

5.
Il sole splende -
Si colorano viole
lungo i greppi

6.
Pioggia cessata -
Un passero si scrolla
torna sereno

7. (senryu)
Niente poesia -
Giù il cappello nero
per queste morti

8.
Nera formica -
Dall’alto d’una calla
scruta il mondo

9.
Un passerotto -
Indugiando sul tetto
cerca coraggio

Sentori di primavera
Lei spoglia d'un vento
le foglie secche dell'anno scorso
e la vecchia corteccia
che annida pupe, impercettibilmente
si muove s'apre a muova la vita.
Dammi l'ali che t'avanzano
se ho paura appena un po'
soffiami il tuo respiro
farò con lei acrobazie aeree
come falchi in amore
verso sera.
Il suo fiato incrocerà il mio
arruffandoci le piume
sarà dolce un tepore
un brivido correrà sulla pelle
e verrà notte d'amore.

Volata via dal letto
Nascono come un niente
certe pur minime sofferenze
non senti più la rondine garrire
mentre sfrecciava davanti alla finestra
chè aveva un pegno sottotetto.
Altre volano più lontane
ma ugualmente ratte e sento
il suono di puntuti tacchi
sul lucido mogano del parquet
e nulla vale la scusa di chiamarla
ché s'è scordata qualcosa dentro il letto.
Serba di me un bel ricordo, dice
e vola via.

La gonna color ginestra
L'orlo della gonna gialla
stretto tra le labbra – tra i denti
il brillio acquamarina – degli occhi
un concitato ansimare
il suo e il mio.

Amore per sempre
Un giorno
conobbi una ragazza
che con giovane entusiasmo
mi spiegò l'amore

oggi
conosco una donna
con qualche pena in più
ma che ancora
mi parla di lui.

Il tempo che passa ...
Dove le navi … le vele
il mare … gli uccelli
i voli tra le innumerevoli stelle
Quei monti … le foreste vergini
e i profumi … gli odori
qualunque vento spirasse
quel tutto che affollava i miei pensieri
quando ad occhi chiusi poggiavo il capo.
Vedo le mie mani scarne
dalla pelle sottile
con sparse piccole macchie brune
percorsa da tortuose venuzze azzurre
e una notte … piena di stelle.

Scene dell’intimo
S'infila nella carne
come le radici nella terra
il germe della solitudine
e va a cercare il posto più caldo
il profondo dell’anima
dove s’annida ogni sentimento
con quello che spesso non dici
per pudore o timidezza
ch'è quiete non ardore.
Lì s'arrocca tra le grosse pietre
delle mura dell’io e alzati i ponti
dagli spalti guarda l'assedio
della realtà che l'opprime.
Coltiva la schiera di sogni che
nell’attesa infinita di poter volare
conquistare la felicità
sempre chiare albe anela … ma
resta su infuocati rossi tramonti
e a nuovi orizzonti bela.

autostima
sono nessuno preso per qualcuno
non servì negare - che pareva onesto
avevano scelto e giusto per questo
mai recedettero dal giudizio fesso
condannando me a viver disonesto

Avrei voluto più lontano
molto più lontano
… tempeste
e ci sono tutti i segni sulle ali
sulla livrea
Anche per mare
fu solo sino al primo scoglio
più oltre non potei
non posso
Stringo il cuore in un pugno di ferro
perché non esploda
d’emozione
di paura

e, non mi vuoi
la mia nostalgia non è la tua
la tua malinconia non è la mia e
non mi vuoi
che una ferita si risana
se vien lavata dall’amore
oppure risanguina
come la mia
e, non mi vuoi
 

Visita a Coltano *
uno scampolo di stoffa stinta
pende infilzata nel filo spinato
chissà se ci fuggì o c'è crepato
chi quella maglia rossa avea indossato
br1

*Coltano (PI) campo di concentramento

Una guerra così
Specialmente al mattino
il silenzio del vuoto
si aggira minaccioso tra le case
le poche auto paiono andar via silenziose
un gatto che attraversa è un personaggio
ci si guarda e saluta a distanza
con la mano a bandiera
e le maschere al volto sembrano una resa.
Fu un mattino così
dopo una notte passata insonne
per spiare di tra le persiane chiuse
teorie di soldati carri e masserizie
marciare lenti all’ombra delle case
mesti e stanchi andare verso nord
lasciando quel che era rimasto
che sentii lo stesso silenzio del vuoto.
L’attesa dell’esercito incalzante
i liberatori che ci avrebbero restituito il fiato
finalmente.
Minuti lunghi giorni – poi …
qualcuno appese un lenzuolo bianco al campanile
le campane suonarono a stormo
corremmo tutti in strada
era finita.

E le stelle a guardare
Seppi subito che era il giorno giusto
[per nascere]
mano nella mano a piedi scalzi
lungo la battigia nell’acqua fredda
e gli scrosci bianchi e grigi nella sera
parole senza suono solo sospiri carezzevoli
poi – tra le dune – e le stelle a guardare.
Vorrei sapere subito il giorno giusto
[per morire]
una mano da stringere – sospiri carezzevoli
parole dal suono benevolo- affettuoso
e le stelle a guardare.

Veterani
Questa dispari lotta col male
sta spezzando a una a una
le nostre pietre miliari sopravvissute
all’ultima grande paura mondiale.
Loro – che resistettero alle distruzione
di cose e di famiglie – che piansero lutti immani
furono la misura della ns forza resistente
ripresero in mano l’opra usata e rinascemmo.
Ora – per le fiaccature acuite dal tempo
sono indifesi contro il nuovo nemico alieno
soggiacciono alla forza ignota preponderante
che ci affligge.
Portarono fiori all’avello dei caduti – allora
ma ve ne andate in cenere
in un tristo carro scuro - nottetempo
come colpevoli d’una morte indegna.
Ma qui – restano le vostre sementi
sarete presso noi quando il nemico perirà
e la vittoria gridata alta – vi raggiungerà
immancabilmente.

Covid19
nonostante mi siano fisicamente lontane
ho immagini bianche di persone affrettate
e ascoltando il sax malinconico di Papetti
m’indolenzisco su questa poltrona prigione
il segnalibro cade tante volte quante volte chino il capo
ma non ascolterò il resoconto sanitario
almeno fino a stasera poi
prenderò una pillola e mi addormenterò.

Pasqua mancata
Se hanno sciolto le campane, non l’ho udite
dev’essere per via di questa cacofonia che regna
che dappertutto sparge fiato di feroce lupa
fino a spinger fuori i fedeli dalle chiese
quando ci si correva per paura.
Stammi lontano che ciò mi rassicura
dimmi della tua pena che ti dirò la mia
ho soltanto questa vita finché dura
bada alla tua e non buttarla via.
Se impietrisce il cuore è meglio andare
una mano può cercare il tuo conforto
e se trovi la forza per dargli ascolto
hai perso umanità – forse sei morto.
Seppure non pregai mai per la mia vita
ora mi prostro e se c’è in vero chi ascolta
di quella dei miei cari gli chiedo cura.

e Buon Natale sia.
Fastelli di ricordi
legati da nastri rossi
per le solite feste
e luci e suoni ogni dove
debordano
dalle vetrine dei mercanti.
Attraversa il monitor, lento
un vecchio macilento
che tiene per mano
un bambino incalcinato.
Cercano nella macerie
tracce dei loro ...
Sferragliano carri armati.

Ora nevica

Crepita la fascina
come i pensieri

Ritmo di valzer
Il freddo buca il paltò
bus in ritardo

Haiku
I coriandoli
Un abito da festa
rispolverato

Haiku
La luna piena
Il fiore nel bicchiere
sul desco spoglio

Haiku
Fuochi nel cielo
per conquistare l'anno
Scacciano streghe

Coltre candida
Il bucaneve sbuca
dopo un giorno
Il gheppio affamato
bracca il topo
Nella tana sicura
la prole zitta
trattiene il respiro
Di gelo e di fame
si può anche morire

l'anno passato
cadde immacolata
sul vecchio tetto
subito fu in gocce
giù per la gronda
e foglie nel pluviale
furono freno
a farle ticchettare
da metronomo
il gelo fu padrone
un moccolo vitreo
continuò il gocciolìo

Avere sogni
di deserti sabbiosi
cieli torridi
e carovane brune
gobbute some
da un capo all'altro
dell'orizzonte
Ora carri di ferro
con i cingoli
alzano la polvere
che un Tagelmust
non può così fermare
Pietre miliari
lungo le piste nuove
son l'insepolto
seppure nei bivacchi
si fantastica sempre
di caviglie e sonagli

... all'orientale.
L'ultima cova
poi riprenderà forza
Volerà a sud.

Dopo la pioggia
la chiocciola dondola
Sul filo d'erba

Il temporale
ha scacciato il merlo
Dal suo cipresso

Sempre fedele
fiero del suo collare
Ti scodinzola.

Piano si struscia
quasi distrattamente
E fa le fusa.

salsedine
essenziale elemento
di stagion
negli occhi bruci
sulle labbra fai sapore
nell'acqua fai sentire
dei freschi fondali blu
tutto l'odore
balsamo con l'acqua
come una guaina
che la pelle incarta
tu stille perle opacizzate
frutto di mille schizzi
brilli
il sole ti svapora e lasci
arabeschi da fiaba.

Le onde lunghe.
Son l’onde lunghe gravide irruenti
si spandono sulla riva e ci si placano
la spinta lo slancio così potente ...
le fa rovesciare sulla rena e poi
come fossero pentite, si ritraggono
sprofondano a rimescolare il fondo.
L'una dopo l'altra, le sorelle
rumoreggiano con lo stesso piglio
son prese da passione travolgente
effuse a impregnare l’arenile
fin sull'asciutto, un orgasmo da finire.
Si quietano, coi giorni perdono forza
lasciano sulla battigia a morire al sole
conchiglie e bivalve variegate
una medusa azzurra che si squaglia
lo stecco di gelato mostra il nome
la piuma bianca e grigia d'un gran volatore
s'adagia come avesse fatto l'ultimo volo.

Un meriggio ancora
Da questo poggio va lo sguardo, vola
sul grano giallo, la segale, il fieno
e la brezza marina di lontano
a folate, le tante spighe piega.
Disegna volute in larghe onde
costringendo insetti a volare via
che la rondine di becco n'ha prebende.
Vedo il disegno nell'accadimento
mi pare così grandemente concepito
che trema il petto, a sentirne il peso.

Ispirazioni appallottolate
Ti balzano addosso, all'improvviso
come il discolo che giocava altrove
quei versi che invadono il pensiero
che crocifiggi sul foglio del calvario.
Stavi, magari, leggendo d'altrui sensi
ma inevitabilmente la mente li cattura
li mastica fino a farne poltiglia propria
li rimescola con miele o verderame.
E verghi incalzato dalla voglia in_sana
e leggi e rileggi il bianco ormai immolato
per verificare se il senso del pensiero
è stato tutto quanto giusto esplicitato.
I più diventano carta appallottolata
giocattoli della gatta che sorniona aspetta
ci si avventa sopra, ci ruzza felice
lei, ogni volta, s'è accontentata.

Vivezza
Sei ... non sei ...
dovresti prendi fai vai torna
non capisci ...
Allora ho galoppato
l’infanzia l’adolescenza
nuvole per cavalli nella brughiera
lì in periferia in solitario
inconcludentemente.
Saccheggiato nidi e tane
d’ innocenti esseri
pisciato su aiuole fiorite
rovesciato gerani da balconi
insolentito vecchi inermi
e non bastava mai perché
nessuno si accorgeva
che esistessi.
Solo la voce il contatto
di lei mi riconciliava
vedeva capiva nulla voleva
sapeva accettava me l’alieno
e amore materno sempre mi dava.

Davanti San Sebastiano

Soprappensiero
congiungo le mani non aduse
in un gesto antico che imparai
non senza subite prepotenze
e mi scappa una preghiera
dalla mente.
Sfiora le labbra e ci sorrido
tanto viene fuori dolcemente.
Poi un pensiero segue
quelli non ubbidiscono vengono
indifferenti anche d'altrove e
mi raggiunge in questo luogo
dove siedo da credente
non perchè lo sia
un posto quieto non c'è mai gente
e ci separo il danno dall'affanno.
Davanti al Santo cui mio padre era devoto
quello trafitto da dardi sanguinante
nessuno in casa sapeva perché quello
lo capimmo quando tornò
dalla prigionia di guerra
emaciato sfinito come Ronzinante.

Alla fine - ci si raccapezza
Fossi padrone di questo mare e scogli
col vento all'onde ruberei gli spruzzi
imperlerei di salsedine le tamerici
delle fronde inalerei il profumo
del caldo sole ne avrei ben donde.

Sulla battigia pigro lungo disteso
ad aspettare lei che nuda e mézza
esca dall'acqua che la volle tutta
lieta si butti su me di vera gioia
il pudore nell'amor è solo orpello.

Non si limita neppure si misura
a cuore aperto va vissuto a fondo
ognuno secondo la sua natura vera
della vita apprezzare tutto l'universo
che in tutto c'è un po' della bellezza.

La vita quando vissuta mai fu brutta
pur se le gioie meno sono dei lai
tante ne godi qualcuna va disdetta
aiuta essere libero dagli schemi
tanto - alla fine - ci si raccapezza.

E' notte fonda
i pensieri danzano un lento
col suo corpo nudo glabro
al suono sordo cadenzato
d'una imposta sciolta
abbandonata nella tramontana.
Di quella finestra cieca
d'una casa stinta fredda
sul vuoto che ci si rintana
dacché si spense un fuoco
che scaldò forte più d'una nottata.

Brevi d'antico Natale.
'na volta, gli adulti maschi
s'affaccendavano
attorno a legna e focolare
dopo aver consegnano acconcia
alle donne di casa
l'ostia prescelta da cucinare.
L'immaginario andava alle leccornie
che soltanto in questo giorno
uno all'anno
era pensabile poter consumare.
Ricordo i mandarini
frutta esotica – allora – del sud
e tutt'oggi il loro profumo
mi riporta in mente il tempo in cui
a lungo estasiato l'annusavo
strizzavo poi l'alcool della buccia
su una candela accesa che sprigionava
un guizzante getto da mini lanciafiamme
mentre il succo dolce come una carezza
mi scendeva in gola.

Una meteora infinita.
È la vita una cometa che l'universo
attraversa e poi
poichè non è solo splendore
anche pietre, guglie di gelo, neve
si tuffa nel buio, scomparendo
nell'incognito profondo.
Forse a solcare altri cieli
a meravigliarsi o meravigliare altri
o a dissolversi in polvere
o consumarsi nel calore d'una stella.
Ma lascia di sé il ricordo, forse
lei lo custodisce di noi nel tempo
quando ritorna a passare nel cielo
nuovo miraggio mirabile
portatrice ancora di bellezza.
E c'è quell'attimo per viverla
nel girotondo continuo:
balocchi luccicanti si buttano
nell'attesa di acquistarne di nuovi
per riprovare l'ebbrezza del dono
da fare o da ricevere e continuare.
All'infinito ... forse ...
Domani la luce del sole
sorgendo da sempre, di nuovo
libererà i colori custoditi
nei petali delle rose fuori stagione.

Pax in Aleph
Hanno ascoltato la Messa
ad Aleppo
tra le macerie
d'una chiesa ferita
circondati da travi divelte
d'un palazzo morto che
forse
è stato tomba
di poveri infelici.
Coi palmi verso il cielo
hanno pregato
rinnovato fiducia in Colui
ch'è un gran mistero
perché non s'adiri dei misfatti
commessi, taciuti, ignorati
da uno tanti o tutti fino a ieri.
Così assolveranno sé stessi
cagione della strage del disastro
che per cose terrene
credenze convinzioni riti
volevano prevalere
facendosene diritto con le mani.

A Natale (da Ungaretti) Haiku
Sto con le quattro
giravolte di fumo
del focolare.

Il bacio
Quando il caldo bacio
apre la cortina dei petali
la corolla mostra rorida
l'intima avida urna pronta
a bere il nettare celeste
che il vellutato bombo
in seno le verserà presto.

Le labbra
Cerniera della bocca
che vuole gridare o tacere
chiamare o scacciare
tastiera quando voglia
vellicare di suoni di sospiri
l'ascolto dell'altro/a
petali tattili stimolano
palpano fino i recessi
più intimi ascosi e poi
tumide appagate si stendono
s'inarcano
disegnando una mezzaluna
di sorriso.

Gli occhi
lucide schegge di specchio
per la passione o
lacrime di pianto
si lasciano leggere
quando amano
e leggono nel profondo
di quelli che li amano
poi ...
soltanto brillanti per guardare
per vedere e dire
... forse.

Nuova la faccia su un libro aperto.
Non leggermi non troverai nulla
ho speso tutto in carta vetrata
per levarmi di dosso questa pelle
voglio sembrare fresco di giornata.
Quello che sono l'ho tutto pagato
non posso scorticarmi dei pensieri
la sola cosa che mi tiene in vita.
Nello specchio vedo inutilmente
passare il tempo d'un treno lento
ed io aspettar in questa stazione
non è per me questa destinazione.
Provare a viverla in altra guisa
e nessuno saprà chi sarò stato
non mi ravviseranno ne son certo
nuova la faccia su un libro aperto

Colori di freddo
Cime di colline prone
sotto parrucche incipriate
che il vento presto
s'incaricherà di spettinare.
E tappeti dai mille toni di colore
di giallo arancio rosso e bruno
sul sentiero dentro il bosco
arrotolati contro una ripa un greppo
o la siepe ignuda del biancospino.
Gocce infilzate negli spini
mandano riflessi arcobaleno
come i brillanti.

Sul mare a novembre
sotto il grigio uggioso del cielo
tinto d'inverno
calzi il cappello e tra la falda
e il bavero alzato del cappotto
c'è tepore.
Il suo alito è umido freddo
la risacca un rumore monotono
pare musica in attesa d'un accordo
di altre onde e vento.
Qualche brivido un istante assale
strette le spalle quasi a farti caldo
godi la vista di quel tutto immenso.
Pur se nessuno ti sta lì d'accanto
la vastità rapisce ogni momento
si gonfiano d'un sospiro
le vele dell'anima
per condurti via da ogni tormento.

Nell'acque chete
avessi un'Africa anch'io
da immaginare mia
per goderne il ricordo dei grandi spazi
d'infiniti verdi brulicanti vita
dove ogni fibra si tende nello spasmo
d'una battaglia che la tenga viva.
ma non ho che una piatta savana
una spiaggia calcinata senza ombre
con ciottoli d'inciampo ogni dove
a rendere difficoltoso ogni cammino.
mi seguono indistinte vaghe orme
che mai saranno traccia per alcuno
quando volesse sapere come vissi
e dove abbia mai poggiato il capo.
ma pare certo un segno che m'assilla
essere inadeguato a questa esistenza
sopporto controvoglia ogni gravame
mi ripiego e nascondo ogni entusiasmo
così mi lascio cadere nello stagno
nell'acque chete sotto un cielo chiaro
quasi un qualche lavacro m'abbisogni.

E' domenica.
Felpata come una donnola
tra le foglie del sottobosco
la mia mano lentamente
tra le lenzuola calde di lei
la cerca
e quasi furtiva trepidando
l'accarezza un poco.
Si desta tra fusa incomprensibili
s'accosta si porge si apre.
La penombra nasconde un sorriso
compiaciuto malizioso
godo del suo abbandono se
sonnolenta guida la mano
a molcere quel che più ci piace
quando discinta è così nuda.

Assedio di specchi
Nello specchio qui accanto
ero superbo splendente
avevo avuto un sì atteso tanto
allora perchè in questo ... niente ?
è trascorso un attimo soltanto e su
quest'altro polito risplendente
una nuova immagine compare
mi vedo son cambiato alquanto
non vale fare smorfie e imitare
non sono quello precedente.
una lastra ancora s'illumina all'istante
e mi trovo triste ed emaciato
m'attraversa un pensiero deludente
forse non è il riflesso deputato
a dirmi cose delle quali non so niente.
volti della vita e del mio stato
vorrei saper chi sono solamente
forse non sono chi mi son pensato.

Amore platonico
forse mi lascerà
la voglia di volerti
ma lento e dolce sarà
il tempo di scordarti
fino ai cupi cipressi
la cui ombra arresterà
la gioia degli amplessi
che non ci sono stati.

Atto di fede, la bellezza
Abbiamo il dovere filiale
di custodire il patrimonio avito
ma odio gli ignoranti accosciati
in religiosa inerme ammirazione
delle molte bellezze del passato.
Perchè temo nessuno si chieda
come fu possibile a quell'ora
tanta arte sublime se intorno
a noi oggi non ne vedi scuola.
Classica si dice perchè in classe
avanti a noi rifulge copiosa ma
"cui prodest" se di quella beltà
non ci si avvale per crearne ancora
di più di altrettanto valore e nuova?
Forse quel fine che non c'è più
partorì l'ispirazione mosse l'ingegno
e dette sangue alla realizzazione.
Accedere alle grazie con doni preziosi
del Trascendente assiso nella speranza
scudo delle nostre paure di tutto e di noi
che volemmo essergli debitori della vita
e tutte l'altre cose esistenti al mondo.?

Tremore d'essere
Col ginocchio sul petto c'inchioda
spesso per sottaciute colpe la vita
e molti se lo percuotono sgomenti
quasi che la sorte non sia concepita
a causa di nostri ignari sbandamenti.
Sia angelo o demone chi dentro s'adira
quello che ci scuote fin nei fondamenti
siamo foglie caduche lievi coriandoli
persi nell'aria quando una brezza spira
dell'universo intero soltanto scampoli.
Fossimo sempre presenti al nostro fare
le scelte che il cuore più della mente dice
senza lasciarsi sempre altrove trascinare
che il meglio ti sta intorno e ti si addice
giorno dopo giorno sapremmo dove andare
forse cadere ma presto ritto come la fenice.

L'alloro negato.
Un milione come uno solo
chi dal chicco fece la spiga
dal ciottolo strade e castelli
e con braccia mani e fatica
sfamò amici nemici e fratelli.
Estrasse dal suolo tant'oro
da bue attaccato all'aratro
per farne città e cattedrali
ed esser solo di pane pagato.
Diviso disperso e accerchiato
la sua forza creò regni e imperi
nella gabbia dei poteri serrato
costruì ricche magioni e cimiteri
pur tenuto al bisogno sempre legato
questa la storia l'ignaro s'abbeveri.
I mandanti agli altari e sui piedistalli
per quanti e di più ne avesser domato
armi lucenti elmi impiumati da galli
misto a sangue d'altri l'onore acquistato
e mai nelle piazze o nei luoghi di un dio
fu premio per l'umile che tutto gli dette
sudore amori vita speranze e l'oblio.
Un segno neppure oggi un omaggio sicuro
siamo in tempo è vero che allora gemette
si declami nel marmo la sua storia su un muro.

Quell'odore nel vento
Si sente passare nel vento
con afrori di cose bruciate
distrutte perdute lontane
un ... odore di sangue ...
e l'annusi come chi preda
o chi sta per essere predato.
Di là distante un palmo di cielo
la violenza liberata scomposta
fatta disastro annunciato voluto
soffia con onde terrificanti
immagini incerte veloci come
nembi nel maestrale temi e
che le verità siano meno distanti.
Corpi divelti senza sembianze
grida di lingue straniere
sono un pensiero di altrove
che non fa piangere qui ora
perché non vuoi sia vero
a meno di un mare nostrano.
Disoccupi disinneschi l'anima
inconsciamente guardi nel nulla e
strofini le mani sui panni con forza
come volessi pulirle dal sangue.

Dormiveglia.
Quando le lenzuola
sono complici del mio ozio
sento profumo di te nella stanza
pian piano ti trovo e ad ogni tuo sì
anche il letto vola.

Amor ratto c'è stato
C'è stata ho tutti i segni
tutto il piacere oltre il cor mi dette
ch'io affamato senza senno
di giorni bui ero alle strette.
Scosso da ogni refolo d'affetto
l'intimo profondo già violato
lasciai che come dall'antera il polline
fossi dell'amore derubato.
Col più bel vestito per la festa
mantello leggiadro di chi andava via
pareva marzo coi petali impazziti
portò con sé la mia malinconia
provare quel brivido volevo
e così sia.

Un volo di farfalla
L'anno che passa allunga la sera
e resiste appesa la chimera
che la vita è ancora sorpresa
se non sarà vissuta tutt'intera.
La mente va sognante non arresa
cercando segni d'altra stagione
brividi come giù dalla discesa
godersela senza una ragione.
C'è nostalgia per quello ch'è passato
ci fu del bello senza religione
resta come un premio conquistato
che lascia questa voglia di volerlo
quasi che non l'avessi mai provato
un nuovo giro come mai saperlo.
E l'aspetto quell'ora senza fretta
un volo di farfalla fino in vetta.

Boccaccesca.
Da tempo gira in testa a più d'una donna
una idea insistente piccosa fatta pungente
per convincer quelli come me, inutilmente
che hanno la donna femmina come colonna
che l'una senza essere l'altra vale ugualmente.
Resto del mio pensiero, la voglio femmina.
Quella che mi vezzeggia con le sue letture
m'indica le stelle e d'ogni rosa pure le verzure
ma subito s'adombra se m'accosto alla gonnella
deve saper che avessi voluto in dono una sorella
cara la terrei al cuore, con amore e con rispetto
ma mai penserei lo giuro d'infilarmela nel letto.
Magari sono poco avvezzo a discettar di donne
quelle che amano aver più mente che bel petto
amo le semplici come me, non superdonne
ch'io star alla pari con tutte sempre l'accetto.
Ma quando quell'odore che solo loro hanno
t'arriva nelle nari e loro guardandoti lo sanno
non c'è cogitazione che a freno più mi tenga
conviene che dica sì ed io a più carezze venga.

Autunno
Sul far della sera, quando
i suoni del giorno muoiono, resto
e l'orecchio si tende, ignaro cercando
di sentire pur timido bussare
a quella porta chiusa ormai da tanto.
E vado alla finestra, muto
vuoto lo sguardo lungo
che segue il vento raccogliere
nell'angolo remoto del giardino
povere morte striminzite foglie.
E quella rosa spampanata, dondola
nel vaso di coccio sul balcone e
si lascia strappare i petali di ieri
inutili le spine esausta più non s'oppone
come fo io, senza saperne la ragione.

La più bella
Perdi già le forcine bella estate
le folte chiome verdi strapazzate
sono sbiadite e prendono a cadere
solo il vento qua e là l'ha raccattate
sono gialle ocra e rosse da vedere.
Sugli ubertosi colli come poppe
dove le lucciole bucavano le sere
si contano a fatica solo le stoppie
le curve son più morbide più sciolte
la terra con quel sole è color cenere.
Le frutta dagli alberi ormai raccolte
femmina matura dolce affascinante
alle tue ricchezze hai tolto le scolte
ora vengono più spesso venti da levante
tanto che qualcuno chiude già il portone.
Nessuno può sapere l'inverno che farà
ma s'azzardano cento e una previsione.
Un inverno freddo estate calda porterà
già si pensa al prossimo anno che sarà.

Pietre da case
Fanno un rumore secco
quando vengono giù
dopo la scossa
come precipitate ossa nell'ossario
nel silenzio che si fa dopo il boato.
Erano pietre levigate ad acqua
che per millenni furono alcova
del torrente che a valle trova
il suo letto derubato per far case.
Non dicono e sorde non ascoltano
han riparato dal vento e da burrasca
hanno visto nascere e morire senza posa
chi d'affezione ci si fece casa.
Stavano lì a guardare il tempo andare
messe su a fatica e poca malta
ritte tra i travi senza domandare
quale lavoro avevano da fare.
Erano diventate da povero villaggio
ad ambito illustrissimo paesaggio
uscite dalle viscere in un viaggio
avevano raggiunto 'sì nuovo lignaggio
ora sono tomba di sogni e di coraggio.

Ci vuole un niente ...
ad essere fatti così.
Capaci di accettare
un po' di dolore soltanto
una misura ad ognuno e
senza bagnarsi il viso di pianto.
Ci vuole un niente a distrarsi
a non essere tra quelli più bravi
non si sceglie nascere come
e cagionare patimenti assai gravi.
Ci vuole un niente
a mostrare ciò che non siamo
mescere lacrime che altri berranno
come venissero calde genuine
dall'anima contrita là stanno.
Ci vuole un niente
a fare promesse e mentire
nei propositi fatti ogni anno
che farò farà faremo faranno e finire
senza curarsi saperne il gran danno.

Allungarsi la vita
Non vorrei mai destarmi la mattina
allungare il sogno che s'affaccia
per ultimo alla mente e riempirlo
di tanta fantasia che duri la notte
infinitamente e lenta.
Perché frenetico sempre viene
il giorno con le sue esigenze e
l'indossi come camicia di bucato
quello di ieri t'aveva già stressato.
Così ti stiri allungando ritardando
immaginando orizzonti e albe
stelle cadenti dentro il firmamento
spegni il languore ché un richiamo
ti metti di fianco un altro momento.
Lo specchio ti guarda da mezz'ora
ogni capello avrà la tua attenzione
ohibò una ruga nuova sulla fronte
domani l'unguento comprerò di certo
in fondo non son male c'è di peggio.
Pochi versi vergati sullo schermo
pensieri fatti rifatti mai distrutti
pur anagrammandoli sempre quelli
fanno te quello che sei davanti a tutti.
Ritardare i rintocchi del metronomo
non lo può la scienza non lo può la vita
il sole passa col suo passo sempre
solo prendersi il tempo scientemente
è cosa che appartiene solo all'uomo.

Teodicea ... in tono minore
Appena sono lassù
mi sono ripromesso
dopo l'esame che
pare tocchi a tutti
di dire una cosa
a sua Trascendenza
che c'ho nel gozzo e
mi fa incazzar di brutto.
Sei da millanta anni
il cielo bello assiso
dice che tutto vedi e tutto sai
qua sotto stiamo facendo mille guai
e te la cavi perché ci avresti scritto
ammesso che tu abbia anche le mani
libero arbitrio vi concessi e assai?
Ho lasciato mio figlio rischiasse cadute
ma non pensai nel peggio non aiutarlo
gli correvo incontro ancorché gridando
e certo non lascerò finché sono vivo
che solo se ne vada all'altro mondo.
Oppure Tu ci ami davvero tanto
da fare 'sì che ti si venga accanto?

C'era una volta
Mentre l'odore forte del fieno
appena tagliato sale alle narici
e sfrecciano sugli steli abbattuti
rondoni e rondini cacciatrici
pensi che sono sentori d'altri tempi
e la nostalgia di quei dì prende governo.
I più nascemmo alle porte del contado
l'odore acre delle ciminiere dopo venne
così il tossico fumo delle auto ambite
le quali ci avrebbero aperto liberato
l'orizzonte limitato delle colline
il lavoro duro dai nostri vecchi usato
dalle pastoie che le stagioni calzano
se dalla terra devi trarre il pane.
E venne, il pane, più bianco ma scipito
nulla aveva più sentori forti
tutto annacquato, tutto ripulito, asettico
abbondante specie per chi sin dalla culla
alla quantità più di tutto anelava e
teneva sapori odori e vecchi gusti
non importanti di poco conto o nulla.
Ora in tanti rimpiangono il passato
seppure pochi l'hanno vissuto intero
sono pentiti d'aver molto dissipato
vorrebbero una vergine natura di ritorno
dopo averla stuprata volontariamente
seppure Lei, la Terra, aveva sempre avvisato.

Tempo senza requie
M'hanno accompagnato nella sera
voli di rondoni a sfiorar la rocca
veloci aggressivi che poi diradano
si spengono uno ad uno striduli richiami.
Mi chiama al giorno l'upupa di quest'anno
chissà s'è quella dell'altra stagione
vola ondeggiando nello stesso orto
quello coi muri a secco rovesciati.
Monotono insistente il suo richiamo
la femmina è ancora di là del mare
arriverà come ogni anno a fare nido
lo lasceranno e anche me, ad ammirare
come il tempo trascorre senza requie
ed io a vivere, come lo so fare.

Io ti tradisco.
Mi prende di te pur se non ci sei
una smania e così tanta voglia
che aspettarti tra lenzuola spente
mi sembra ricoprir con una foglia
la passione che grazie a te si fa potente.

Così se manchi ancora un altro incontro
ti tradirò com'era inteso avremmo fatto
rassegnato a non poterti avere dentro
avrò dell'altra quel che porterà nel piatto.

Ma il triste fatto è che questo non mi basta
lei non è te e non per sua mancanza
mi sei nel sangue sebbene non sia casta
ogni sospiro tuo è già abbondanza.

Certo non è ragionare ma che m'importa
fluisce nel sangue questa corrente nuova
solo gaiezza libera bandita l'aria assorta
ora che corpo mente e cuore stimoli ritrova.

Cade la foglia nel fiume e fa il suo viaggio
non torna la corrente scesa alla montagna
voglio cullarmi nella vita e il suo ondeggio
ché sento la parca starmi alle calcagna.

Bestemmie & Preghiere
Credessi davvero che Tu puoi ascoltare
avessi fiato quanto ne vorrei soffiare
griderei verso l'alto come bestemmiare
Ti sembra questo il modo di trattare
chi ha paura, fame, costretti a scappare?

Madri e figlioli avvolti in stracci sporchi
dal lungo viaggio per perigliosi borghi
lasciano le loro case in preda agli orchi
in vista della riva vorrai lasciarli ai gorghi?

Forse che inutilmente alzammo guglie
costruimmo in omaggio pievi e abazie
dove sanare per pietà ferite e angustie
noi nel tuo santo nome placare ansie?

Forse avremo un conto vecchio da saldare
dura cervice e da soli vorremmo andare
neppure il bene sapemmo sempre apprezzare
e sulla terra i prepotenti di rado condannare.

Ma lascia a noi la debolezza d'aver odi e rancori
non son da Dio queste scelleratezze umane
libera tutti che ti rendiamo grazie e onori
dall'ingiustizia, dal sangue insulso e dalla fame.

Nasce e muore un sogno
Lentamente scivola via
su liquidi convenevoli
quel sogno ch'era malia.
Come nulla fosse detto
come nulla promesso
petali strappati e spazzati
da prati verdi e in fiore
si perdono tra sterpi secchi
spinti da un vento nordico
che gela il cuore.

Fragili voli di primavera.
Ho preso il volo, subito
attraversando i suoi occhi
il suo dolce sorriso e
quei momenti tristi
di qualcosa, qualcuno
che la chiamava altrove.
E per giorni e giorni
e notti e notti ancora
tra incerti sì
ho cullato un sogno di eliso
tra semplici fiori di campo
colti e posati in segreto
sul mio speranzoso mattino.
Una nube nera incombeva
innominata ma presente
la realtà di sempre che uccide
un sogno neonato
crudelmente.

Perché non sia l'amaro calice
(terrorismo islamista)

Abbiamo lorda la camicia
del fiele e sangue esploso
dalle menti distorte obnubilate
cieche, vendicative vogliono morti
da portare con sé sull'altare, in paradiso
di quel che dicono essere loro Dio.
Ci urlano in faccia la colpa
di aver alzato a dismisura il nostro io
aver negletto il loro e questa è storia
e il sangue o la morte pare sia
il solo lavacro per ridargli gloria.
Ma se gli dei percuotono l'olimpo
nella tenzone di catturare fedeli
parranno tuoni e fulmini d'assalto
qui sulla terra dove la ragione
non è certo il miglior frutto che
si possa cogliere in pace ogni stagione.
Allora converrà sedersi al fiume
che lento scorre come ogni miseria
trovare il verso d'allontanare il calice
snocciolare i grani d'ogni saggezza
e costruire orci, benché d'argilla cotta
mettendoci il meglio dell'anima terrena
che siamo deboli, fragili, eppure la vita
non potrà mai essere interrotta
ancora guardare un'alba, una rosa
solo ascoltare la dolcezza dal Requiem (*)
là dove si canta il pezzo detto Lacrimosa.

*Messa di Requiem in Re minore K 626

Un dolcissimo addio
Eppure non era il solito semibuio
anche se i bianchi erano azzurrini
come sempre ma, Fausto Papetti, il divo
aveva appena messo su una sordina vera
quasi a chiamare a più vicina presa.
E l'odor di muschio o essenza amara
che dal suo collo alle mie nari andava
quel vestitino nullo che non stava fermo
quasi come un velo di chiffon tra noi era
frapposto ad arte e lì diceva, oh se diceva.
Le parlavo sottovoce ma non seppi mai
quali e quante cose, lei tacque sempre
solo con la punta delle dita fece carezze.
Quando la tromba si perse nel brusio
ci prendemmo per mano e andammo via
forse parlammo o forse solo pensammo.
Non ricordo altro, perché fu un addio.

È la natura ...
Quando il sole chiama
non sente ragioni
il mandorlo
deve fiorire.
Un impulso creativo
lo muove
primo tra tutti
a mostrare tenui colori
fragili stupendamente effimeri
come infantili canti d'amore.
Così come ti nasce nell'anima
prepotente un verso
su un'emozione
un cupo o felice sentire
e in cento modi farai ascoltare
quella forza che ti percorre
quello stesso impulso
che fa sbocciare i fiori.

Fantasie di tramontana.
La tramontana ha rovesciato coppi
tamburella la pioggia sul soffitto e
sembrano battiti di cuore, regolari.
Mugghia, vuol forzare le fessure
e qualche spiffero passa, fresco
ad accarezzarti piacevolmente il viso.
Rincalzi le coltri, progetti di restare
lasciare il brutto tempo fuori è come
scacciare tormentosi pensieri quotidiani.
Abbracci la tua solitudine distesa
su ameni ricordi anche lontani
e aspetti lei la silenziosa disposta
tiepida liscia, ti si accosti sensuale
così ti sorridi dentro vivendone nuovi
fantasticando di produrne ancora
da accarezzare come oggi, anche domani.

Un incanto.
Come un velo d'organza
una finissima tela di ragno
di traverso al sentiero nel bosco
ti carezza il viso e tu
scendi leggero senza te
altrove, dove non sai.
Non c'è il tempo
ne luogo, ne presenze
non il paradiso affollato
di santi ed angeli o
vergini e fontane di miele:
chi lo narra così
non c'è mai stato ...
un lucore sì, tenue e immenso.
È un dolce deliquio
che riempie l'anima di pace
come fossi stato pronto
ad andartene via così
come hai sempre sperato.

Il cobra
Quante volte si sfiora
consapevolmente o meno
il cobra
da sentirne il fiato, l'alito
perfino
perché la vita si prende
queste libertà, alle volte
altre, i tuoi giochi rischiosi
ti ci portano vicino.
Ma lui, il cobra
non ha interesse al tuo destino
può far da tramite
tra il tuo essere o non essere
tra ciò che speravi, volevi
e non è mai diventato.
Non è responsabile
se non t'è piaciuto, s'è stata delusione
ma può dar pace al tuo tormento
o chiudere dolcemente ogni illusione.

Bicarbonato.
Se ne andrà, anche quest'anno
all'altro mondo, coi giorni
del calendario zeppo di note.
Quelle minute di cose quotidiane
quelle vistose delle ricorrenze gaie
quelle X fatte quasi con sfregio
a cancellare un peso, finalmente.
Ma già, in quello nuovo immacolato
segni su marzo la visita degli occhi
la rata del mutuo e la tassa della casa
l'assicurazione auto e della vita
la telefonata alla pensione al mare.
Forse non imparo mai davvero
che tutto questo girare intorno a niente
che sembra farmi vivere degnamente
non è benessere reale, è tutto al nero.

Ci sono giorni
Tal quale a questo, che ogni tanto viene
indugia nelle lenzuola d'ogni bene
avvolte sgualcite alle membra stanche
vanno a ricoprir prudenti membra bianche.
Non coprirà il caffè il profumo arcano
che da lei promana e indugia nella mano
e stigma della sua essenza ancestrale
ti ruba il senno ed al pensier da l'ale.
Quanto ti resta accanto non ti cale
conti i momenti insieme sul guanciale
e se l'andarsene di lei ti parrà strano
guardala sorride ed ha un fiore in mano.
Come la brezza lieve è nuova sulla pelle
carezze attese ma non sempre quelle
il giorno va porta con sé questo sperare
che il mondo gira e lo farà tornare.

Illusione di normalità
Poi vengono giorni come questo
nei quali passa in un momento
un secolo di vita inutilmente
e ti rammenti che non valeva nulla.
Quel camminare pensoso lungo il mare
con le mani sprofondate in tasca
a fantasticare di meriti e possibilità
che non hai mai avuto davvero sapendolo.
E se una mano si posò sulla spalla
era un macigno dal peso insopportabile.
Fatto tante strade deserte o caotiche
ma era miglior gratificazione il silenzio
nell'illusione di una normalità perenne.

Un giro di vita
Sarà come essere passato per caso
nato da un desiderio di futuro
da esseri semplici allampanati con
la speranza in testa e il naso all'aria.

La storia ci si mette sempre in mezzo
altri fanno scelte che condividi o subisci
appoggi i sogni sulla sedia a pie' del letto
starai al gioco o dovrai pagarne il prezzo.

E ci crescerai con questo barcamenare
nonostante ti parlino di principi sani
hai anche da vivere e non solo sognare
ché si cantano inni ma si mangiano pani.

Quando a un'ora ignota tocca la scelta
nulla del passato t'è rimasto in testa
segui con l'altra l'entusiasmo che prende
s'attrezza in fretta un sogno e alla svelta.

E cercherai di far cose buone e antiche
di quelle vere che sempre dissero sicure
e ne verrà un mosaico uguale eppur diverso
ma saranno di un'altra foggia almen le cuciture.

Poi verrà di prepararsi al mondo che va via
è il turno che tutti spetta nell'ultimo tratto
il solo dal quale nessuno vorrà darti sfratto
nel viaggio di ritorno ti accompagnerà la nostalgia.

Tanto m'è dolce, autunno.
Crepitano sommesse, le foglie
sotto la suola delle scarpe grosse
quando nel bosco vai distrattamente
a cercar qualcosa di te, oppure niente.
Poi c'infili la punta e le fai volare
ch'è un gesto infantile volontario
quasi volessi farle tornar giù a cadere
e goderti lo spettacolo straordinario
della pioggia di mille ritagli colorati
gialli, arancio, rossi di carminio
che il vento strappa dai rami esagitati.
E l'aria che punge appena il viso, ma
spinge le mani nelle tasche fonde
già preannuncia rigori che ricordi
quando le fiamme ballavano sul viso
stando seduto davanti al focolare.
Ora son abiti leggeri fatti di nulla
che riparano perfin dalla tormenta
non fanno il calore del pastrano
che ti passava già grande il tuo germano
né l'odore di casa e della famiglia, che
proteggeva più del freddo che si piglia.
Un sorriso accompagna il girovagare
di momenti lontani che non sanno tornare
meglio rincasi, ora che s'abbuia il bosco
e l'aria pungente fa inumidir le ciglia.

Quella pigra domenica.
Tiri su la coperta coi lenzuoli
che non si raffreddino i pensieri
che al mattino segnano gli umori
che nella notte hai scelto per piaceri
che se il caffè è amaro non ti duoli
che appena pronto hai da portarli fuori.
Rimarresti al caldo lì ancora un poco
che vorresti rimandare la giornata
che tanto sarà di quelle che ricorrono
che n'aspetti sempre una appassionata
che in men che non si dica è mezzogiorno.
Ma tanto è domenica dalle campane a stormo
che nemmeno lo ricordi però è già giorno
che c'è fuori un brusio coi profumi del forno
che daranno alla festa il suo contorno.
È quella pigrizia che fa bene al cuore
che fa sentire di essere ancora padrone
che c'è un po' di vita in te senza rumore.

Quando il mosto bolle nel tino.
Prende il sopravvento il rosso
sull'arancione che s'era messo
sulle foglie gialle a fine estate.
Sarà cupo, di frutto troppo maturo
e presto si lasceranno cadere
lentamente, portate via dal vento.
Le colline hanno un abito da pomeriggio
un beige coloniale pettinato dall'aratro
e le bordure di verde stinto delle siepi
sembrano cuciture tra i campi lavorati.
E tutto prende un tono polveroso
che le prossime piogge laveranno
resta quella teoria di lenzuoli bianchi
splendenti del sole che li coglie ancora
perché il cielo totalmente azzurro fin laggiù
esalta la nostalgia dei colli con le messi
che per quest'anno non ci saranno più.

E sarà un altro inverno.
Inverno t'aspetto, a piè fermo
come l'anno scorso
e non mi farai freddo
perché voglia di vita, lo sai
n'ho più d'un sorso.
Ho bell'e pronti
cento e più destrieri
li tengo lì e quando
la tramontana della vita
scuote le imposte, allora
vorrò cavalcare i miei pensieri.
E criniere svolazzanti d'emozioni
veloci tra le righe che verranno fuori
avvolgeranno anche il ceppo acceso
che pulsa in petto, non sente rigori
gioisce e ride dei passati giorni.

Che sia l'amore ...
Che sia l'amore, quello grande
la voglia che ne hai d'averlo sempre
quel bisogno di calore cogente
di carezze, d'attenzioni dolci
anche sensuali, addosso e che
mitigano i bruciori della mente.
Che sia quella voglia imponderabile
il sentire che nessuno spiega mai appieno
ma che ognuno sente come bisogno
dall'inizio, dall'infanzia, sin dal seno.
Che sia la paura, della solitudine
della lontananza di qualcuno che sia tuo
e tu suo, con la voglia di tenersi
stretti e liberi allo stesso tempo
senza tema che ritorneremo, sempre.
Quell'estasi che c'invade e non mente
che il resto poco importa, quasi niente.

M'aggiusto la camicia
dieci volte almeno, distrattamente
come quando portavo ancora
la cravatta, a pisellini verdi.
Ora non la uso più
ma cerco nello specchio
senza vedere, automaticamente
la voglia di piacermi.
Fuori piove a dirotto, mi piace
metto l'impermeabile e ci vado sotto
per sentire ticchettare l'acqua
che scivola via con la tristezza.
Ché la mia canizie
è il troppo borotalco
dopo il bagno.

Anno Domini 3015
Hanno trovato antichi graffiti
su muri di vetro e travi d'acciaio
di grattaceli e cattedrali ogni dove
su enormi monumenti della vanagloria
sotterrati dalla cupidigia inarrestabile
ora che ogni pulsione d'umanità è morta
e la terra s'è fatta ancor più inabitabile.
Son segni ai più indecifrabili, sgorbi
di lingue morte e dimenticate da chi
s'omologò per farsi accettar dai mostri.
Architetture ardite incorruttibili giacciono
città una sull'altra a farsi strati nuovi
e chi le costruì lasciò traccia sensibile.
Ma ricorre ai pie' di ogni inciso chiaro
un acronimo che nessuno riconosce né capisce
non la scienza, non la fede, non la ragione
è TVB, ignoto ormai all'umana comprensione.

C'era tutto quel che c'era.
Eran tempi quelli
che le finestre, al mattino
si spalancavano per cambiar aria
e sbadigliavano, al tempo che c'era.
Scendevi sul marciapiede
che s'era riposato nella notte
e la lattina che prendevi a calci
ruzzolando, mandava un suono
di campana rotta.
Potevi sentire frusciare
i pneumatici della bicicletta
e i forni spargevano adori
profumi di delizie cotte
appena allora.
Ed era soltanto un giorno
come tanti da tanto tempo:
il principale annotava il ritardo
consueto, ma poi cancellava ancora;
pochi minuti di goal
o traguardi del giro che incombeva
e ti mettevi a fare, di lena
quello per cui eri venuto al mondo.

Un altro autunno viene.
Qualche pianta scolora
il vento le spettina e fa cadere
in un turbinio di colori, le foglie
quasi fossero inutili orpelli.
L'acero, dalle tinte in progredire
è giallo, con tentativi di rosso
sulle prime nate. Saranno brune
prima di farsi tappeto sulla radura.
E già l'umido residuo
della prima pioggia preautunnale
spinge fuor di terra
chiazze irregolari di ciclamini
a disegnare da poesia il sottobosco.
Su quel foglio bianco
che sempre porto addosso
schizzo un ramo morto contorto
due foglie, un fiore a capo chino
e per l'ingenuità, ne arrosso.

Sono la Poesia.
Del nome che m'imposero
non ho colpa alcuna
vollero fosse al fine, Poesia
c'entrano scienza e lettere
legate dalla fantasia.
Però vivo da sempre
nell'anima non ria
a pascermi del meglio
che i tanti o uno solo
dividendo grano da loglio
rallegro oppur consolo.
Vedo vividi sguardi attenti
o pallidi visi spaventati
tremuli d'emozione, arrossati
farsi calmi come l'onde al mare
quando li raggiunge il mio alitare
e s'apre un sorriso sul biancor dei denti.
Porto con me sempre voglia d'armonia
sono soffio, voce, strumento dell'anima
non m'è compagna, mai, un'omelia.

11 Settembre (egain in September)
Undici volte undici i morti conteremo
undici anni e non più, passeranno
undici guerre ancora poi faremo.
Undici e più milioni migreranno
undici i paesi che l'accoglieremo
undici i popoli che li respingeranno
undici lapidi nere gli alzeremo
undici i secoli che ci malediranno.

Stranieri in paradiso.
Voi che venite da così lontano
soffiateci in faccia l'equatore
con sentori di morte, lebbra, scabbia
emorragie sanguinose intestinali
che la miseria produce a iosa
nelle vostre strade, nello vostre case.
Forse senza saperlo siamo stanchi
di tutta questa nostra aria artificiale
in teche di cristallo, plexiglass, acciaio
cabine per umani disumanizzati:
incideteci i graffiti delle vostre sofferenze.
Lasciate tracce intorno alle nostre sagome
di esseri satolli, ricchi ma d'ogni slancio inermi
con un pensiero piatto imbalsamato da secoli
come trovare il modo d'essere eterni.

Guardandoli migrare.
Forse non c'è più tempo oramai
il sangue dei morti si raggruma
si fa scuro e forma volute come
il magma che esce cola sul pendio
dalla bocca spalancata del vulcano.
Ondata dietro ondata inarrestabili
si gettano nel vuoto seppure mare
senza riparo e incapaci di nuotare
con la speranza di potercela fare.
Dalle viscere della follia umana
sale sanguigna la voglia di vivere
inarrestabile come la lava ardente
in cerca di refrigerio tra la gente.

Momenti.
Ci sono sere
che l'uscio di casa
pare la porta del paradiso
e diventa bella ogni cosa
dolce ogni sguardo, ogni sorriso
e non t'importa d'avere mille primavere.

Spiaggia di pensieri
Non vado sulla spiaggia, io, d'estate
non si lasciano orme men che mai di ieri
dopo un minuto sono cancellate.
Come capita spesso coi pensieri
quando per l'ansia devi dargli voce
li liberi come fossero destrieri
gelosi gherigli estratti dalla noce
e diventano coriandoli stranieri.
In solitario a passi lenti senza misura
neppure in linea o lo starci attento
che portano a una duna o una radura
per vedere forme di sabbia firmate vento
lasci impronte come una scrittura
ed ogni sosta pare un appuntamento.
Potresti segnarti se in quella natura
c'hai letto cose oppure è sentimento.

Gocce di solitudine.
Sta qui, stante l'afa e la calura
tranquilla serena vera compagnia
non perché sia brava di natura
siamo legati, non può andare via.
Carezza leggera come fa una
sottoveste fine a chi l'indossa
lieve sul corpo come luce di luna
quando leggi o la mente è fissa
sugli scuri nodi e i ghirigori
d'una vecchia tavola di quercia.
Da ninfa scende dentro nei grigiori
rovista radici i sensi adocchia
con improntitudine benevola
siede sulle aguzze tue ginocchia
t'indica in cielo una rara nuvola
di tutte le stelle quella più bella
quella luccicante con l'aureola.
Il fato la chiama Solitudine
ma dolce rosolio ella gocciola
tutta la godo questa beatitudine.

Muori fratello, muori.
All'atavica messa delle armi
assistiamo fratello d'ogni dove
non odore d'incenso ma polvere da sparo
di resti di carne che già puzzano ora.
Un'orgia di morte che nessun dio placa
e crepiamo, come agnelli ostia, ognora.
Che mai sia annunciato “ite missa est”
alla buon'ora?

Spaesato da una vita.
Se per un attimo, mi ci siedo dentro
e dalla rabbia non mi do il tormento
sento che la vita che tuttavia conduco
è, per lo più, uno strano spaesamento
del quale non vorrei esser membro.
Mi pare guardarla attraverso un buco
piccoli sprazzi veloci, abbagliamento
chiassosi pensieri di moderno astruso
etichette straniere d'istruzione e uso.
Sarà troppo il tempo trascorso dai ricciuti
dai quattro o cinque stipiti chiari condivisi
un garbo, convenuto, largo sui visi
parole e sensi si scolpivano adempiuti
erano vite vere e non sempre paradisi.
Un mondo semplice, lavorato a mano
con decori e orpelli che sapevano d'antico
noti e arcinoti, com'è il dolce rustico del miele
ch'è ricco di zuccheri, dono per l'amico
e s'adopera, da sempre, per la tosse e il fiele.
Or pare debba essere tutto effimero, fugace
non sono chiuso, ma questo non mi piace.

Non così lunga la strada
Vorrei non fosse così lunga la strada
e troppo il tempo perché tutto accada
per arrivare alla fine che attende ognora.
Non ho più fiato, la stanchezza affiora
manca tanta voglia di aspettare
quel che fu fatto non si può rifare
cose da scegliere da poter portare.
Reciterò un pensiero come un rosario
quando sarò lì a quel binario
leggero come fossi liberato
quello d'aver vissuto, d'esserci stato.

Nuvole e bambole.
Ho passato il tempo mio migliore
a rincorrere nuvole
bianche e grige senza contarle
solo guardandole passare
per rubar loro una forma suggestiva.
Pur essendo migliaia di migliaia
stavano tutte in una scatola
una scatola da scarpe, di cartone
insieme ad una fionda
con gli elastici imporriti
una cicca di sigaretta Camel
la prima che fumai, guadagnandomela
un temperino con la lama rotta
una penna a cannuccia, col pennino a campanile.
Buttai via tutto, quando venne lei
temetti pensasse ch'ero un po' infantile.
Ma quand'ella che tenevo in petto
mi invitò nella sua camera da letto
vidi che custodiva in modo agevole
tante e diverse vecchie belle bambole.

Voltandomi di là.
Mettiamo che un mattino, io
mi svegliassi sereno canticchiando
mentre questo mondo sta precipitando
e pregassi ingenuamente qualche dio
per salvare chi di questo certo morirà.
Sarebbe come se, ancora io
fossi sordo a tutte quante le emozioni
non sentissi quante e quali frustrazioni
mi procura quella falsa sordità
voltandomi di là.
Poi svegliandomi in un sussulto, io
che lascio spesso dormire sul cuscino
preoccupazioni e dolori del vicino
per godermi una qualche libertà
mi accorgessi che mi sto solo imbrogliando
non è questo quello che vado cercando
pur con rabbia, voltandomi di là.
Bevo un tazza di caffè alla finestra, io
non può essere questa vita solo funesta
pur se alla radio alla tv c'è la solita minestra
presso un bimbo che va a scuola, l'auto si arresta
e incomincia bene il giorno come voglio io.

PS. Chiedo scusa a F. Mannoia, e suoi autori, per l'evidente riferimento di questa parodia.

Se lo racconti ai figli
Seduto sul davanzale della mia realtà
vedo ombre nebulose indisponenti
come fole di trascorsi tristi, indecenti
che oggigiorno mi velano ogni beltà.

E' un turbamento di mancanza vera
che dall'infanzia fui gettato oltre
morte e distruzione erano la coltre
scapestrata giovinezza una chimera.

Non conobbi in tempo l'amor gentile
di platoniche fantasie non ho ricordo
suggere il capezzolo so, poi lo mordo
dalle stizze di bambino passai alla bile.

E duro m'appesantisce ora il senno
il pensiero ch'io possa aver preteso
dal sangue mio ignaro di restar sospeso
ché dell'età più bella detti nessun cenno.

Spero non gli scorra in vena questa malia
staccarlo dai miei lombi ho fatto a tempo
lui ha corso saltato si dice vivo ed è contento
non sia per non rattristarmi vieppiù una bugia.

p e N a l - (anagramma)
Se si decapitano monti si scavano valli
s'accendono soli lontani e scaldano spiagge
s'infiora e si veste di boschi verdi la campagna
sarà la Sua mano che ci manda un segno
o è il terrore della morte a rubar l'ingegno?

Di nuovo son giorni di preghiera
indirizzate a Colui che si compiace
con la potenza dei visceri terrestri
scuoter montagne, nevi e pure templi
che piamente e con grand'arte sempre
devoti alzarono con sudore e sangue.

Semmai, quale di cotanta pena la cagione
si manca troppo spesso all'offertorio
il ginocchio non si piega sulla panca
l'anima è algida come vetta bianca e
s'è perso il senso di quel perfetto regime
che di suppliche si nutre e d'amare lagrime?

La terra è viva, di vene torride è percorsa
non siam che granuli in questo caos immersi
siam noi la causa del male, siamo perversi.

Che m'importa dell'alba
che sempre scaccia via ogni mio sogno
lungi scappano come selvaggi cavalli
sperdendosi nell'arida brughiera
irta di sterpi com'è il solito giorno.

E' la notte la dimensione che m'è cara
vo alla conquista di turriti castelli
impalmo giovani sontuose dame
sconfiggo con baldanza gente d'arme
son drudo e lo son fin coi coltelli.

E' un buio che fa luce non nasconde
accende fari di pura fantasia
arde sui ceppi accesi l'armonia
tra scogli aguzzi e carezze d'onde
dall'ansiosa realtà lei mi difende.

Ricchi & poveri.
Via dai quattro scheletri a cavallo
han mille paia di scarpe consumate
in deserti e pietraie, per arrivare al mare.
Più di mille monete gli hanno preso
per portarli su carriaggi sconquassati
dei soli pochi panni coperti son partiti
fidando nel fato perché dio l'ha lasciati.
Come animali da macello accatastati
spinti su una distesa liquida che non sanno
nera imbevibile a galleggiare su legni
guardando il nulla intorno con affanno.
Ignari perché la risacca e il maestrale
non porta le parole né i pensieri cupi
che sulla riva alcuni cristiani fanno
quanto temono più di sapere che
alla quiete delle lor case sarà danno.
Un vento polveroso di miseria che
a vortici sconquassa tutto il mondo
alita sulla povertà e con la morte scende
su ricche case ad agitar le tende.

La giusta scorza
In questo caos di canti assordanti
pur tra alcuni suadenti e stimolanti
non trovo nidi per i miei pensieri
che covo e condividerli vorrei.
Ché fare insieme questo marciapiedi
tra gente che si accalca corre e suda
va viene ride scherza impreca e piange
sento odore di vita vera quella cruda.
Ognuno a modo suo cerca ignaro
il calore che langue perché s'è distratto
culla desideri aleatori e fa baratto
tra un pane stracondito o sciapo e
l'amore ch'è bene vitale ancorché raro.
Forse nacqui un dì fuori stagione
avvolto in panni leggeri di cotone
soltanto cielo di nuvole la prigione
così non capii non seppi la ragione
che m'impedì d'entrarne in comunione.
Da tanto faccio strade faccio sentieri
forse non ho buone mappe per andare
a senso ho preso a manca oggi e ieri
ci vuole la giusta scorza per il gelo
o la tramontana spezzerà il tuo stelo.

Avrà lo stesso passo.
Quando aspetti ed è tanto che l'aspetti
son niente i giorni, gli anni e lor difetti
l'immagine iniziale senza freno
perderà smalto ma terrà costretti a
restare seduti su quel treno.
Senza saper mai se ne avrai d'altronde
forse è nascosto e torna in un baleno
il mare non scorda mai che vive d'onde
che l'albero ha la vita nelle foglie
ché la voglia d'amare non nasconde
la voce il viso il riso e le sue spoglie.
Se verrà con tremori alle vene, ai polsi
libererà il pensiero dalle doglie
anche dovessi dir io non li colsi
ti prenderà per mano e da vicino
avrà lo stesso passo nel cammino.

Una bella giornata.
Sarà apatia o solo poca voglia
mi piace arrivare piano piano
anche se il sole alto già m'abbaglia
a quel sedile sotto il melograno.
Anche lui ogni anno ha meno foglia
fiori pochi ma qualcuno stupendo
così resto un po' dell'orto sulla soglia
snocciolo ricordi e annusando attendo.
Da tempo mi par di saperlo tutto
l'angolo a solatio delle fragole
lungo il muro alberi da frutto
le piantine al riparo sotto le tegole.
Ci scorrono pensieri e vanno via
è stata quel che è stata questa vita
ho avuto quel che meritavo, così sia
ho fatto sbagli ma non l'ho smarrita.
E s'allunga ad andamento lento
spesso ripassa un brivido nel vento
allora ho un sorriso e trattengo a stento
un plauso a me, a questo incantamento.

L'ultima corsa
Anche presto, ma vorrei morir stremato
non arzillo, gagliardo appeso al pacemaker
che t'infila dentro il petto un tal dottore
che poi, se corri, cadi lo stesso stramazzato.
Se dev'essere sia mentre vado di carriera
col fiatone, magari, tentennando i fianchi
che importa se ho già i capelli bianchi
e buona l'acqua fresca, senza dir preghiera.
E se dovesse capitare d'inciampare
sarà come quando cadevi dalla bicicletta
ti tiri su, sorridi, mentre lei ... sgalletta.

La Primavera.
Hanno il colore mite come ciclamini
i mille e più mille fiori di susino
sugli alberi di quel vecchio filare
che t'accompagna giù verso il mulino.
Presto le piccole verdi foglie e poi
meraviglia delle meraviglie
saranno color sangue di piccione
a far da sempre silente controcanto
al candore dei mandorli, più sopra
i primi ad andar in vegetazione.
Sul bordo della vecchia carrareccia
coi fitti ramicelli oramai svernati
s'è parato a festa il biancospino
che pare ce l'abbiano piantato.
I merli hanno nuovi nidi nelle siepi
razzolano tra le marcite foglie
bucano col becco quello strato molle
volano via con un lombrico vivo.
In quest'aria ancora troppo fresca
zuppo il terreno di tutta quella pioggia
in questi giorni come fa ogni anno
viene La Primavera con la frasca in testa.

Sperabile italiano.
Sulla spalletta ci sto anche sdraiato
a guardare cielo e sempre tante stelle
e mica perché possa essere affaticato
solo tasche vuote, calzoni e bretelle
è che, quella donnaccia, m'ha lasciato.

Le stavo bene con i soldi in tasca
un cacciucchino con del vino buono
il dolce, una sambuchina con la mosca
una passeggiata a piedi fino al molo
e poi al Goldoni a vedere La Tosca.

Mia madre me lo diceva, stacci attento
quella c'ha le mani lunghe, troppo fini
pare sortita ora ora da un convento.
Sì, quello de' frati in Borgo Cappuccini
che le benedicono con le gonnelle al vento.

Me l'ha messo in tasca, scusa il francese
quell'anno il 1° maggio al Cisternino (*)
andammo a festeggiare ch'era già un mese
che s'era a pane (*) e regalato l'anellino.
Chi le poteva mai reggere tutte quelle spese.

M'hanno detto un chiodo scaccia l'altro
fattene un'altra, tienila a guinzaglio corto
non t'allargare tanto, deve capire chi è lo scaltro
fallo sapere che chi la tocca è morto.
Forse non capisci chi sono, io sono quell'altro.

* località per scampagnate; * essere fidanzati.

Improbabile “livornese”.
Sulla spalletta ci sto anche sdraiato
a guarda'r celo e sempre tante stelle
e mi'a perché possa esse' affati'ato
solo tasche vote, carzoni e bretelle
è che, quel tegame leto, m'ha lasciato.

Ni stavo bene co' vaini in tasca
un cacciucchino con der vino bono
er dorce, 'na sambu'hina con la mosca
'na passeggiata a piedi infino al molo
poi ar Goldoni a vede' La Tosca.

Mi ma' me lo diceva, stacci attento
vella c'ha le mani lunghe, troppo fini
pare sortita ora ora dar convento.
Sì, quello de' frati in Borgo 'appuccini
che le benedi'ano co' le gonnelle ar vento.

Me l'ha buttato in ... , scusa il francese
quell'anno il 1° maggio al Cisternino
s'andò a festeggià ch'era già un mese
che s'era a pane e n'avevo fatto l'anellino.
Chi le poteva agguanta' tutte velle spese.

M'hanno detto un chiodo scaccia l'artro
fattene un'artra, tiella a guinzaglio 'orto
un t'allarga' tanto, deve capì chi è lo scartro
fallo sape' che chi la tocca è morto.
Forze un capisci chi so', io so' quel'artro.

In ogni piega
Quella paura nell'anima
mi riempie in ogni piega
del poco che sempre sono.
E non leggo segni nuovi
che m'aiutino ad andare
anche se ciò ch'è stato è stato
ad acconciarmi un domani.
Come l'onda imperterrita dal mare
morde il basalto della scogliera
fa sabbia dei frantumi
che vanno a riempire il fondo
così i minuti della vita passata
hanno disegnato il mio essere
depositi ormai indelebili e fatali
...forse.

Lo spino nella ferita.
E ancora s'attorciglia alle caviglie
spinoso rovo calpestato e sciolto
con le sue spine amare acuminate
vuole incidere la carne che l'ignora.
Pianta parassita attorno al tronco
rugoso ferito dell'ulivo solitario
che fa passare nei giorni il sole
le nuvole il gelo i propri sogni.
Aveva bacche nere amare come fiele
imprudente per anni ne mangiai
poi ferito al ventre tutte le sputai
le rigetto come storno o corvo ognora
e quand'anche fossero ora d'oro e miele
la ferita risanguina non ne vorrò giammai.

“Come sei bella Roma”
Ce so' passati in tanti su 'sti serci
Franchi Alemanni Vandali e Goti
pe' l'oro perlopiù ma sta malia
che da sempre tutto er monno invidia
nun la possono pi'à, nun va mai via.
Se sfogano a spacca' quello ch'è bello
nun sanno gnente e ce s'ingrifano pure
mai capiranno chedé, sta malattia
eppuro da mill'anni la venghino a cerca'.
Nun lo dicemo ma è tutta 'na magia
la storia del monno ch'è passata qua.

(con licentia poetica)

Aiutalo, Lui lo vuole.
Via mare ché la terra brucia dolente
su barche all'onda senza mai riposo
persa una vita vera perduta gente
e addosso approda a popolo ansioso.

Questi stringe al petto il pane, spaurito
quelli han occhi lustri di fame e malia
avevano case e fratelli, tutto abortito
sta ognun per sé, frustrante antifonia.

Apron le braccia molti e han coraggio
è il cuore che spinge, non c'è abbaglio
corrusco lo slancio, pronto l'arrembaggio
lasciando sulla riva ogni arma da taglio.

Forse è imprudenza, forse sarà male
non si può gettare l'anima nostra a mare
abbiamo appreso e pregato in cattedrale
che senza domandar chi è, lo devi amare.

Il portinaio della primavera.
Quel mandorlo
rugoso sbucciato contorto
lasciato sul margine dell'uliveto
a testimoniare un valore passato
anche questo distratto inverno
azzarda, gonfia i suoi bocci
nei tanti rami ancora capaci
e farà esplodere fiori rosati.
E sarà un'apoteosi di bellezza
quando la sua chioma
tra gli spogli rami addormentati
che gli stanno attorno
parrà un gigantesco bouquet
che il sole dà alla sposa terra.
Ha subìto nel tempo
ritorni di verno dal manto di gelo
che uccisero ogni suo sforzo
ma fu verde di lanceolate foglie
a breve, e se abortirono i frutti
crebbe la scorza, più forte
e fu pronto ad aprire, come sempre
alla primavera che ritorna.

A rodere un tozzo di vita.
Quasi fossero lemming
fuggono la ressa di miserie
e prendono il mare verso altri lidi
che immaginano, sbagliando, più accoglienti.
Le onde incolpevoli ne vogliono una parte
una parte gli stenti, le privazioni, i mercanti
che il pedaggio è alto per ogni liberazione
per la salvezza dalla paura, dalla distruzione.
Indifesi agnelli guidati da feroci famelici lupi
s'affidano ad uno sguardo che gli pare amico
che la serpe velenosa già gli morde il viso.
Ogni bene è bruciato, dal viaggio non si torna
portano con se la voglia di vita, tutta disadorna
neppure una invocazione lancia la gola arsa
a capo chino prega, della tragedia ora è comparsa.

Tremori dal cuore.
Respiro piano sul suo sorriso
mentre ascolto sommesso
la musica delle sue labbra.
Già son caduti ai piedi nudi
gli abiti dopo disciolti i lacci
con lento studiato movimento.
Ondeggia la chioma chiara
come tentacoli d'anemone marina
spettinati profumati, lisci
e son carezze di flabello
sul petto dove s'appoggia lieve.
E le braccia cingono stringono
da far compenetrare i corpi
e le mani trasmettono tremori
come vibrisse che partono
dal cuore emozionato.

Da sommo ...

Profumo di rose
le tue labbra, alitano
parole sommesse
con desinenza 'ore.
E distese di seta
calda morbida sinuosa
s'avvolgono
alle mie rughe assetate
ridestando
nell'humus dei sensi
germogli di piacere.

...a imo.

Le dita ... oh le dita
tremanti per l'emozione
scorrono impercettibilmente
come sul tenue bordo d'un calice
strappando un flebile lamento
che suona dalla bocca godimento.

Obliare.
L' ho tenute strette in pugno
per tanto tempo e in tanti posti
le poche lettere per scrivere
le cose importanti della vita
ferendomi con le unghie
il palmo della mano
ché non me le portassero via.
Ma ho vagato quasi a vuoto
ho il braccio stanco tanto che
le dita si sono aperte e leggo a stento:
O per l'onestà del fare
B per la bontà del dare
L per la lealtà dell'agire
I per intraprendere opere
O come Ora, che non so più come
ché il tempo che avevo è scaduto
per darmi la vita che volevo.

“Homo homini lupus”
Anche se non posso scordare
non voglio per sempre ricordare
vorrei che al fine potessero riposare
quei fratelli che si volle sterminare.
Avevano hanno un dio immane
ad accoglierli lassù ad aspettare
con le sue braccia grandi e consolare
chi solo i delitti dell'uomo può sanare.
Invece voglio sempre ricordare
tenere a mente e mai dimenticare
quell'alieno che dalla porta accanto, osò
e fu capace di sbranare, il suo uguale
fece scempio delle sue membra
come un demone folle, insano
ne distrusse la dignità l'appartenenza
tanto da farne simulacro vano.
Perché è ancora qui tra noi, quella bestia
ne sento il puzzo, l'alito ferale
s'appiglia a vetri aguzzi senza pregio
quali la razza il colore diversa morale
per farsene ragione e condannare.
Non sia mai che la mente umana
labile quando il prezzo venga esoso
s'aggiusti e possa ancor poter pensare
che il male degli altri possa liberare.

L'elisir della vita.
Capita che
il rumore dei miei passi
non abbia la stessa
cadenza ritmica di una volta
il piede sinistro in ritardo
si poggi piano
quasi strisciando a terra.
È affaticato dal peso del cuore
che ogni giorno è più greve
caricato in tutti questi anni
di pene non cercate, capitate
e le poche gioie
non l'hanno sollevato.
Batte ancora gagliardo, tuttavia
e accelera se un alito caldo
da labbra di rosolio
accarezza anche solo un attimo
le rughe del viso, scostando
la saggezza che nasconde
un residuo di rossore.
Ma la sofferenza, non il dolore
che al fondo alberga inquieta
non nel corpo neppure nella mente
pare essere l'estratto della vita.

Il grande incantamento.
Ogni momento un treno va
un treno arriva
nessuna stazione, solo transito.
L'universo col suo azzurro
non è che uno specchio concavo
e l'anima il suo fuoco
dove si concentrano eventi
si scrive lo spettro d'emozioni
le gioie i dolori gli spaventi.
E non si fugge, è deserto fuori
il braccio non riparerà
da quei bagliori
scaldano bruciano o carbonizzano
ogni moto del cuore.
Ardere continuamente
alimentando ogni momento
è la ragione d'esser vivi
perché non si consuma
è fuoco perpetuo il sentimento
e il premio è l'esistenza, sfuggirgli
è spegnere il soffio vitale.
Nulla è più grande
di questo incantamento.

E se ... “Dio è morto”
Da tanto tempo ormai
forse da sempre
è voltato dall'altra parte
per lo sgomento o l'orrore
che gli improbabili suoi figli
spargono da millenni
in questo mondo, ad arte.
Forse ha perduto la forza
per diluvi o cataclismi universali
per punire reprobi e perversi
la potenza della fede, illuminata
cauterizzante tutti i nostri mali.
Ora son giaculatorie interessate
una gara al più grande sfavillio
di guglie, campanili, minareti
simboli della potenza solo terrena
scudi dietro i quali s'armano le mani
che pare la morte il dissacrante voto
ad accomunare la vita degli umani.

Una meteora infinita.
È dell'universo la vita
l'attraversa e poi, come la cometa
che non è solo splendore
anche pietre, guglie di gelo, neve
si tuffa nel buio, scomparendo
nell'incognito profondo.
Forse a solcare altri cieli
a meravigliarsi d'altri esseri o genti
o a dissolversi in una nube di polvere
o consumarsi nel calore d'una stella.
Ma lascia di sé il ricordo o
lei lo custodisce di noi, ché
torna a passare nel cielo
come miraggio mirabile o fosco
con altro segno, un'altr'anima
a risvegliare aspettative e sogni
per bellezze diverse, paure, grazie.
E c'è quell'attimo per viverla
nel girotondo continuo:
balocchi luccicanti si buttano
nell'attesa di acquistarne di nuovi
per riprovare l'ebbrezza del dono
da fare o da ricevere e continuare.
All'infinito, forse ...
Domani la luce del sole
sorgendo da sempre, di nuovo
libererà i colori custoditi
nei petali delle rose.

La cometa.
Quando capita di vedere
una stella cadente, una cometa
per la frazione d'un secondo
il cielo intorno pare scomparso.
C'è solo quella sottile lama
lucente, dura meno d'un respiro
ma nello stesso tempo è folgore
di ricordi che lampeggiano e
la rincorrono ... via.

“Mo v'ene Natale ... “
Non lo voglio saltare
ma non l'aspetto mai
il Natale
perché mi ferisce ogni volta
l'inutilità del suo avvento
degli anni passati.

Ad ognuno gli auguri più sinceri per la realizzazione delle proprie aspettative.

Lei & Lei
Lei vorrei venisse a me
come fa quella che amo
dolcemente brava, sensuale.
A vivere intenso il momento
l'emozione dell'ultimo piacere e
poi, mi indicasse la strada
per l'altrove che mi tocca
dove non può seguirmi.
Come quand'io nell'abbandono
guardo Lei andar via dall'alcova
nuda, sorridente e serena
ammiccando al profumo di caffè.

Il giorno dei defunti.
Vado solo al mio cimitero preferito
pur se non c'ho nessuno seppellito
è quello d'un vecchio borgo
in mezzo alle colline abbandonate
tombe a tumulo in terra, appena segnate
che la gramigna ha quasi cancellate.
Mi piace così, perché sa di morte
nessuna lastra di marmo levigato
una croce di quercia o d'ardesia
col nome semplicemente inciso
modesto come chi l'avea portato.
Ci trovo più me che loro
andati altrove ormai da tanti anni
che mai potrei dirgli...voi chetaste i vostri
io ci vivo ancora coi miei affanni?
Non amo tutti i fiori veri e finti
che vanno arredando tombe d'oggigiorno
perdo il senso del tempo, del mistero
che cerco prima qui, dell'altro mondo.
Ci vengo lontano dalla ricorrenza
quel giorno certo qualcuno qui ci passa
porta fiori lumini, taglia l'erba
per sentimento, dovere o riverenza
almeno una volta all'anno
“ognuno a da tene' chesta crianza”

Cercare l'amore.
Cercarlo, è come fa il compositore
chino mai stanco sulla sua tastiera
rincorre quella nota, quell'accordo
per rendere perfetto il movimento
che da tanto gli sta bruciando dentro.
Quel sentimento che non c'è stato ancora
forse era vicino, accanto, ma non s'è posato
quello che non sapevi ma che hai cercato
e da sempre vaga nell'anima senza aurora.
Ch'è sembrato lui, quasi ogni volta
riempiendoti il cuore d'entusiasmo
per lasciarti poi quasi sgomento
incurante delle pene e d'ogni spasmo.
E dev'essere bellissimo, lo dai per certo
pur se si divincola, fugge, non t'ascolta
le dita della mente lo sfiorano ognora
è tutto un'emozione nuova ogni volta
come un bisogno d'aria sempre ti spinge
a lavorar di lena al tuo miglior concerto.

“...ma che colpa abbiamo noi.”
Mi pare s'arrossi
l'acqua del mare
quando ci sciacquo le mani
eppure voglio lavar
solo la rena.
E la stessa tinta, m'accorgo
si spande attorno
ai corpi giocosi dei bagnanti
e nessuno versa vernice
qui di giorno.
Ma ho del rosso, indelebile
nella mente
ce lo mesce la cronaca, la vita
delle tante crudeltà
della tante povertà e miserie
una galassia di dolori, infinita.
E sui flutti corre disperata
pe'i flutti, nei flutti ci s'annega
la trista umanità, che di lontano
per mera salvezza va
e un quieto approdo anela.

Treno a ... pensieri
Nero come il carbone che bruciava
il vecchio treno andò fuori servizio
quando sognavo di montarci sopra
andar lontano oltre ogni precipizio.
Si portò via quei sogni dell'infanzia
legate a scorribande irrealizzabili
laggiù, in praterie sempre distanti.
Misero in linea un mostro grigio topo
senza eleganza né personalità, quasi
un ragazzo cresciuto troppo in fretta
era potente certo, di cavalli a cento
per trasportare merci e gente sudata.
Non mi piaceva partire su quel coso
avevo in sogno un destriero bello
di carne o ferro, irrequieto focoso
fatto da mani sapienti, un gioiello
e lo lasciai passar tanto era odioso.
Passò anche quello col muso aguzzo
che ero ancora lì sotto la pensilina
sul Marciapiede 1, quello importante
dal quale un viaggio vero si declina
ma non ci salii, sempre qualcosa contro
non mi si acconcia mai un vero bisogno
cambia la prospettiva giorno per giorno.
Neanche le rotaie sono sempre quelle
senza capo ne coda se non ci stai attento
come capita a me col mio scontento
e da sempre resto a imbambolar le stelle.

Neanche quest'anno (incertezze)
Prendo giù ogni volta la valigia
ogni volta che voglio partire
dal suo scaffale polveroso e
c'è sempre dentro qualcosa
un di più che c'avevo lasciato
l'altr'anno che volevo andare via.
Ho preparato tutto lì sul letto
e in ordine ripongo questo e quello
non manchi un libro, dicono tutti
porto lo stesso con cui ho più affetto.
Uno sguardo d'insieme mi basta
aggiungo quella busta spiegazzata
anche ingiallita dalla luce presa
per averla tenuta sull'anta fissa
della vecchia credenza di cucina
da quando inattesa m'è arrivata.
L'ho aperta mille volte e mille letta
ormai la so a mente e tuttavia ripenso
quando l'ho in mano per metterla dentro
se “ti voglio vieni da me, sempre ti penso”
dopo quarant'anni abbia un senso.
Pensieroso mi dilungo, bevo un caffè
è di nuovo ottobre fuori, cadono le foglie
piove, che brutto tempo fa quest'autunno
magari ci vado a maggio, quando è bello.
Disfo lento la valigia una volta ancora
metto la busta al suo posto con rispetto
e lei d'amarmi, in fondo, non l'ha detto.

E m'ha punito, il fato
Seduti vicini, stretti abbastanza
sulla vecchia panchina grigio ferro
nel parco verde della Rimembranza
lei quasi bimba ma non per gli anni
io più grande ma solo per gli affanni.
Timidi dolci approcci d'emozione
lei mi pareva un fiore da sfogliare
ora m'ha detto, quarant'anni dopo
ch'era già pronta lì per farsi amare.
Non colsi quella rosa e cieco il fato
mi condusse in un altrove purché sia
dice m'ha trovato solo per caso
io ho sentito commozione, nostalgia
lei voleva dirmelo e poi andare via.

Acqua a catinelle.
Non è questa la pioggia che cadeva
né queste le nubi da cui pioveva
seppure bagnava, eccome bagnava
era avvolgente e dolce, rinfrescava.

Non avverse sfortune le armavano
a mitigare ardori in giovinezza
gocce sulla faccia rimbalzavano
la forza d'ignorarle era fierezza.

Non penetrava mai giù fin nell'ossa
forte il cuore come una pompa spinge
il sangue nelle membra alla riscossa
tanto brami il futuro che dipinge.

Ora son cupi i nembi, fredda la piova
pure il miglior pastrano non ripara
consunta la spinta non si rinnova
senza la forza la speme è ignara.

La falda è zuppa sul bavero alzato
il mare si rovescia sulla riva
un gabbiano sfiora l'onda, è passato
si porta via lo sguardo della vita.

Malinconico autunno.
Sul far della sera, quando
muoiono i suoni del giorno, resto
ma si tende l'orecchio, ignaro
cercando di sentire bussare
a quella porta chiusa, ormai da tanto.
E vado alla finestra, muto
vuoto lo sguardo
che segue il vento raccogliere
nell'angolo remoto del giardino
povere morte striminzite foglie.
E quella rosa spampanata, dondola
nel vaso di coccio sul balcone e
si lascia strappare i petali di ieri
più non s'oppone
come fo io, senza saperne la ragione.

Bandiere toscane.
D'antico motto è bistecca “alla fiorentina”
tagliata dal lombo d'un bel vitellone
della famiglia nobile chianina
la coda va semmai sotto il cupolone.
Non ci dev'esser trucco manco inganno
scende a filo d'una costola il coltello
e taglia lungo la prossima il nodello.
Se ha il giovenco giusta età e giusto peso
ci darà quel ben di dio non sua sponte
frollate all'uopo al fresco, beninteso
fette da carati ottocento a più di mille
e senza condirle alla brace pronte.
Una carezza di Vulcano da una parte
un altra chiuderà il sangue da quell'altra
poi ritta sull'osso a T giusto il tempo
per imprecar qualcosa sul maltempo.
Non troppo n'è troppo poco dice il verbo
s'ha da fiaccare al dente solo il nerbo
ha da mantenere il cuore color rosa
come le guance accese d'una sposa.
E poi che morbida succosa tu la curi
con una presa di sale che il gusto esalta
darai perché il morbido si spanda e duri
qualche goccia d'oro spremuta dal frantoio
ti scenderà giù per la strozza come rosolio.

Scoprir nella fralezza la bellezza.
Sono roventi oppure scivolosi
i gradini che da sommo a imo sali
o scendi, ogni giorno della vita
e solo brevi tratti di ringhiera
per un respiro profondo e ristare.
Perché non aspetta quella tua storia
che hai in mente di dire, raccontare
è nel flusso del sangue, nell'anima
che dentro alberga e lì non vuol restare.
E non sono giusti i sentieri piani
tra colline verdi e prati fioriti
ciottolati antichi di vecchi borghi
filari di cipressi ai casolari
che la voglia di bello può fermare.
Affonda ciascun giorno nel cascame
spesso nasconde tracce di bellezza
oltre consunte esaltazioni umane
non diamanti di grande lucentezza
ma pianto disperato di chi ha fame
il grato sorriso dopo una carezza.
Così quando fosse greve esser vivo
non c'è vera gioia là dove la cerchi
ti scopri facile a compassionare
ché non c'è misura nella fragilità
non ha certo misura la bellezza.

La siesta nel meriggio.
Quando il sole martella il galestro
tanto da farlo fendere, scricchiolare
e sfogliare in lamelle fragili sottili
che prendono giù dal banco a scivolare
intorno non c'è che una lucertola verde
inerte per il sangue freddo riscaldare.
Certi arbusti chiudono le foglie a ombrello
e la cicale buca quel silenzio, come fa
l'artigiano operoso col trapano nel legno.
Primo meriggio nella campagna assolata
il bracciante riposa dietro il covone
le massaie discinte sonnecchiano un'ora
sulla paglia stesa a terra nell'androne.
Muta la trebbia per non turbar la pace
l'afa comanda queste pause antiche
tutto pare fermarsi invece aspetta
per ricominciar di lena, perciò tace.

'fanculo i cani
Ieri era sabato, il terzo
che le tengo il cane
ed è la terza domenica
che lo viene a riprendere
ed io che aspetto La risposta.
Ho speso una cifra in vestaglie
quella di stamattina è seta cinese
l'acqua di colonia delle meglio
ma se, come l'altra, mi chiede
Rostand ha fatto la cacca?
e sculettando se ne va via
giuro le tiro addosso il sacchetto
per sporcarLe tutta la giacca.

Un altro triste Settembre.
Non è più solo tempo di vendemmia
di ricorrenze tristi s'è riempito
nel mondo va tante lapidi scopre
ogni anno le vittime ricontare.
Caddero come pampini di vite
il frutto al mondo già l'aveano dato
come lo zucchero d'uva si fa vino
quel sacrificio un dì parrà divino.

Di fiore in fiore.
Primo amore lo fui spesso
che correva giovinezza
di curiosità e bollori vari
alla ricerca di un'ebrezza.
Ci s'andava per le spicce
con beata ingenuità
tutto quanto era bellezza
e baciando qua e là.
Mi promise il mondo intero
la più vispa, la più bella
e io dietro da “giocondo”
per la stretta con l'ascella.
Più è crudele e più mi piace
lei andò via, lesta dicendo
ciao amore, datti pace.

Incontenibile sul ciglio
Quel piccolo dolore proprio lì
nel margine interno delle palpebre
quando non vorresti piangere
punge ma non lo puoi sopire
perché irresistibile da dentro porta
quello che in altro modo non sai dire.

La pioggia
E questa pioggia fitta
rumorosa, insistente, interminabile
dopo appena un minuto
entra nell'ossa come una condanna
ti raffredda e bagna
fin nel cavo dell'anima dove resta
per evaporare soltanto
al calor d'un bacio, di una carezza.

Come giunco nel vento.
Mi piego facilmente, sempre
incerto su cosa essere o fare
e se l'angoscia non vinco
trovo sostegno nella mia paura
ma quando sarà colma la misura?
Dove potrò trovare il giusto inferno
ché nulla c'era in chiesa o in processione
così chiuderò il conto in rosso, però sia mia
la risata di seppellimento, in conclusione.

Il sangue sacro legame (l'anima).
Il fragore dell'armi ha rubato
il suono alle campane
lo sferragliare dei cingoli
ammutolisce la voce al minareto
il pianto muore nella strozza inane
madri gridano mute quel dolore
e nel silenzio assordante atroce
passa la morte con alito indistinto
lorda di sangue rosso, un solo colore.
Si narra, ma non può esser quello
il legame che l'uomo a dio tiene avvinto.

1
“Amor, ch'a nullo amato amar perdona”

Era là dentro assopito, quieto
col tempo l'avevo quasi scordato
solo ogni tanto lui alzava il capo
quell'antico amor che fu incompleto.

Ora s'è risvegliato ed è bramoso
vola sino a te, del cuore una magia
non ci sarà spazio per una bugia
come un vulcano or lo sento esploso.

Viene tra il chiaro e l'ombra della sera
quando si può stagliare controluce
tende la mano ed a lui conduce
e senti un canto ch'è di primavera.

E trovarti dolce, consenziente
promessa di baci e di caldi abbracci
mi libera, ci libererà, di tanti lacci
per darci una all'altro totalmente.

2
“m'ha preso di (costei) piacer sì forte”

Quando il fato s'appollaia
sull'anima indifesa d'amore
e mille e più fragori squassano
il più semplice sincero sentire
se hai perso colui che amasti
perdonerai chi non t'ama più
così l'amor che fu ritroverai.

3.
“che, come vedi, ancora non m'abbandona”

E' la speranza che t'attizza il cuore
pur la paura del fato corre dentro
a noi sordi alle minacce e al rumore
pareva d'afferrare il firmamento.

L'amore è come nenia serotina
è dolce suadente entra nelle vene
anche brillante brina mattutina
può liberarti a volte dalle pene.

La persi, avevo creduto a tutto
non c'è scampo per un'anima bella
volli vedere il mondo e fu distrutto
amore e m'assilla ora da una stella.

Declino d'estate
Ancora la pioggia
ha fatto già del verde
tra la seccia
dritti i cipressi ristorati
dondolano lustri e cupi
nella sera.
Il vomere rovescia le colline
l'umido riluce sotto il sole
larghi e potenti torsi loricati che
tra le maglie alloggeranno il seme.
La tortora raccoglie quel che può
l'aspetta lontano un altro sito
non tuba più ha fatto il sui destino
partirà tra breve con il suo pulcino.
Le rondini s'imbrancano
sfrecciano sui tetti, rasentano le ripe
fanno provviste, pure il loro viaggio
andrà del mare grande oltre le rive.
Lasciano i nidi muti come pertugi
a fil di tetto come tant'occhi scuri
spalancati ad ammirar le stelle
emergere ammiccanti dagli spazi bui.

Un acquerello d'azzurro nuovo.
Sempre lo faccio. Apro distrattamente
la vecchia scatola di latta dei biscotti
dentro cui tengo da una vita, una lente
una conchiglia, un osso di seppia
un temperino, un paio di denti rotti.
E d'incanto due occhi azzurri chiari
messi in cornice da capelli neri
salgono per venirmi in mente, che
ormai li carezzavo solo blandamente.
Questi mi parlano da un viso dolce
un poco mesto, ma non rassegnato
coi i segni della vita che ha passato
un frutto maturo che il cor mi molce.
Ed è tutto un rincorrer di pensieri
una voglia struggente di tornare
a quei momenti a quei dolci sentieri
a quella emozione forte che provai.
M'ha sorriso appena ma era quello
di quando ci lasciammo lì sulla panchina
una tristezza in due per quel disegno
che non sarebbe diventato un acquerello.
Adesso ho più pennelli e colori nuovi
sul cavalletto un'altra tela per la vita
ho fatto tanti primi schizzi a matita
di lei bella, col labbro che le trema
un cielo sarà, di seta azzurra che rinnovi.

“...che si fugge tuttavia”.
E noi stavamo avvolti da sussurri
nel buio complice di portoni dove
le nostre nudità erano delizie
senza pensare mai alle vergogne
ficcate sempre nell'occhio cisposo
del pregiudizio che intorno incombe.
E n'uscivamo più ardenti ancora
di quella passione appena smessa
gagliardi della forza ch'è innata
compagna di gioventù come promessa.
A infrangerci in quella luce fiacca
di moccoli consunti senza vita
d'un melenso quotidiano andare
tra le righe scolorite di quel testo
preparato altrove da millenni che
a viver segregati da noi, sempre c'invita.

Estate.
E allora vattene
non hai disfatto il letto
non un rivolo di sudore
d'arsura
tante promesse di sole
sulla sabbia insieme e
dopo nel mare la frescura.
Irrequieta
sempre pronta per andare
quasi stessimo qui
dove da tanto ritorniamo
a farci di tramonto
per trovare il coraggio
di lasciare.

Quando e se ... t'incontro.
Quando attraverso gli occhi
porto cose di lei al cuore
e assaporo, senza labbra
tutto il loro dolce succo
non ascolto le parole taglienti
su come dovrei essere
e non sono.
Spigolo petali lievi
pretti e lucenti
dalla sua bocca fiera
vellica il mio pensiero
l'angolo rivolto in su
del suo birbo sorriso.
Si sciolgono croste incallite
del quotidiano andare
mi beo del mio piacere e
non me ne cale
se le scarpe mostrano chiare
tutta la strada fatta a camminare.

Questo non è un mondo per vili.
Vorrei castrami questa mia paura
di voler dar fuoco al mondo, fossi dio
ché non sopporto più questa lordura
di sangue sempre fresco e non è mio.
Sono inchiodato all'inerzia comune
verso miserie che sono di un altrove
seppur il vento che a tutti è comune
porta di quel accade tutte le prove.
Potrebbe essere la guerra della vita
se levassimo gli scudi verso lo scempio
lasciando un po po' di sé là per la via
ché non si combatte con il vile l'empio.
Mi grido addosso per svegliarmi un poco
m'inginocchio anche e non lo facevo più
vorrei metter freno a questo sporco gioco
farlo si deve non verrà nulla di lassù.

I giorni che devono passare.
Ci sono giorni brevi oscuri, quando
potrei morire senza accorgermene
altri dove chiara luce perdura
oltre il calare della sera e notte.
Mi chiedo, quali vorrò alle spalle se
i primi vanno senza vera pena
lasciando sulle palpebre la pace o
questi altri che trafiggono le ciglia
di spilli roventi, portando al cuore
conoscenza, è vero, ma tormento (?)

Cinquanta grani di memoria.
Mi bruciava le mani
quella corona di corniola
cinquanta puntuti grani di rosario
che m'avevano donato convinti
che dovessi snocciolarlo per pietà
su quel candido avello al cimitero.
Invece mi venne di strangolarci
colui che s'era presa quella vita
ch'era intensa geniale creativa
generosa amante della passione mia.
Ma non ho più forza per odiare
s'è sfilacciato quel pensiero ormai
accarezzo mestamente queste pietre
nello sfumare della sua immagine
e cinquanta volte lo ripongo ancora
nel cassetto dei cimeli a scordarla mai.

Al mare con la bicicletta nuova.
Col braccio poggiato sul manubrio
sedeva sulla canna della bicicletta
con l'entusiasmo della novità
avrei spinto entrambi sulle rampe
del Monte Rosa fino sulla vetta.
Compagni di un'allegria chiassosa
dentro la brezza che le spettinava
quei lunghissimi capelli come seta
e il profumo di sciampo inebriava.
S'andava così tutti alla scogliera
a far bagni di sole, allora si diceva
nell'acqua fresca a scambiarci carezze
con l'astro quieto che piano scendeva
mai troppo lento ad arrossar la sera.

Linea Blu, fermata 36.
Sarei rimasto lì sempre all'infinito
aspettando l'autobus a quella fermata
sotto la pioggia che tamburellava
il tetto giallo della pensilina.
Stretto a lei dallo stesso trench
tipo detective con la mantellina
abbottonato attorno alle sue spalle
impacchettati come manichini.
Abbandonata a me che la serravo
morbida stretta e senza fare un fiato
lei sorrideva zitta non faceva motto
mi riempiva di baci con lo schiocco.
Ma le sue mani, oh sì quelle sue mani
e quel muoversi voluto lentamente
accelerava il cuore da farci ansimare
c'impazziva, complici i sorrisi della gente.
Ora vorrei fosse per caso, capitare lì alla 36
della Linea Blu per Via della Stazione
ma poi m'accorgo senza alcun bisogno
di far lo stesso tratto irresistibilmente.
C'è sempre gente a quella fermata
siede sulle nuove panchine in trasparente
ma non c'è brio, nessuno si saluta
si guarda intorno con fare indifferente
al più tendono la mano dentro il guanto
ed io ricordo noi, sorrido mestamente e
passo oltre, stringendo in gola il pianto.

Stilettate di .... SE
Se la palpebra si bagna per
Incantamento o Meditazione (*)
Se posso sempre commuovermi
al pianto di un bambino lacero
S'è struggente una madre affranta
sarà fralezza, sarà inquietudine?
Se non sopporto questo mondo
che m'avvelena i giorni e
Se non l'uccido con la bellezza
lascerò che mi perda per sempre?

* brani musicali.

Se ... (cose così)

*
Se fosse la giustizia la musa
che tutto il mondo governa e muove
al bene avremmo l'anima schiusa
che l'albe lustra e sempre fa nuove.

*
Se attraversando frasche di bosco
grondanti pioggia appena cessata
vorrai lasciarti bagnare il viso
gioia di pelle appena passata
la solitudine è paradiso.

*
Se t'accorgi d'essere come tutti
vai a specchiarti a fondo, guardati dentro
se non trovi mare aperto e alti flutti
vivi in un universo senza centro

*
Se resti come un chiodo acuminato
se mai tu lo infiggerai veramente
se solo resta nella mano armato
se nulla farai così eternamente
se resti, sarai solo e non salvato.

Creatività (dell'anima e le mani)
Quando il retaggio
di cose fatte con le mani
circola la mente come un sogno
scorre sottopelle una voglia
d'inventare, quasi un bisogno
di rendere tangibile, concreta
quell'emozione che t'ha tenuto sveglio.
Allora mirabilmente sboccia
una creatura che porta le tue impronte
che t'assomiglia tanto, te traspira
e se l'ascolti, canta.

Quanti anni avrai.
Capita d'avere meno anni
di quelli che ti danno
tu li conti, gli altri che ne sanno.
Eppur si vede, si legge
come gli anelli d'un albero segato
scritti negli occhi spenti
nelle pieghe del labbro, raccontato.
Ogni ruga, ogni grinza
ha una storia dietro
le puoi separare una dall'altra
usando la memoria come pinza.
Ma quando si distendono
quando s'inarcano le labbra
senti perfin l'odore di quell'anno
furono baci, tra sospiri e affanno.

Etna
Quando davanti al buio della notte
t'appare quell'ara dal braciere spento
dal quale improvvisa pullula una chioma di lapilli
dietro un boato che scaccia anche gli uccelli
parrà un grido disperato represso a stento
che dai visceri sale, dalle ascose grotte
e par contorno perfino il firmamento.
Si fa di rosso vivo ogni orizzonte
la fronte, il viso, penetra nell'occhio
fino ad illuminare pensieri altrove;
ti senti grande, come lui è immanente
poi t'accorgi d'essere indifeso, senza dove
e non sarai più quello che eri, quasi niente.

Lunatamente
Mentre raccolgo i suoni della sera
che dalla natura intorno portano la quiete
s'accende una una finestra e l'altra segue
come le note mute d'una canzone vera.
Sale su nel cielo che s'imbruna
lenta, maestosa e va lunatamente
la lampada cornuta a rischiarare
in angusti cortili, scene di mille grigi
silenziosamente.
Poi saranno compagni nella mente
il chiarore del giorno appena smesso
e l'ansia per il buio già incipiente.

Anestesia.
Riempio della solitudine
le mie giornate di parole
da subito, appena aperte l'ante
col bello o brutto tempo mi consolo
e di belle non ne so poi tante.
Riescono a tener distante ancora
il lezzo di quella nequizia umana
che dagli insepolti laggiù promana
che nulla tanti e tante l'addolora.
Come dolce anestetico, ahimè vano
ad ingannare il dolore della mano
che debole ormai, rattrappita, inane
più non sa brandir daghe spartane.

Straniero che vieni di lontano
Ti son passato sopra nel tempo
a casa tua ho preso tesori
in cambio di quisquilie colorate
insegnandoti il modo di servirmi.
Supponendo non sapessi credere
né come vivere adeguatamente
t'ho accecato con il mio sapere
delle mie bellezze luccicanti.
E ti ho attirato qui sin da lontano
sui lisci gradini della casa mia
sul sagrato della mia basilica
che si leva sul mio orgoglio
e sulla fatica anche di chi
ignaro del perché ci perse la vita.

Rullano tamburi a oriente
Verrà il tempo
in cui i pesanti silenzi
accatastati a difesa
come massi sull'avello
s'imbratteranno di sangue
più di quanto già non sono.
Presto di lontano un vento
pregno dell'acre lezzo di morte
che gli esotici profumi d'oriente
non riescon più a coprire
scompiglierà le nostre chiome
pettinate e tinte.
Si raserà il crine alla miglior forza
per calzare l'elmo a difesa
del castello della nostra ignavia
e il tremare dell'ossa della casa
forse dirà quanto non basti
chiudersi in città d'oro
di alte e possenti mura cinte.

Aspetto seduto e lontano
Forse è il vuoto
quello che aspetto
il niente della mente
dove neppure refoli
di vissuto, di esperienze
raggiunga il cuore, che
con un battito al giorno
lentamente porta lontano
a quel luogo dal quale
non si fa ritorno.

Il randagio mordace
Sento un cane dentro
un mastino feroce
che mi morde il cuore
che non mi da pace.
Seppure amavo e amo
s'agita, ringhia
e per tacitarlo mi tocca
stringere la cinghia.
S'è accucciato in me
che stavo male
avevo mille pesi nella mente
sbattuto, infreddolito
incapace di prendere
il giusto posto tra la gente.
Ora ho un'altra stagione
allora via da me, intanto
cambio questa vita
anche se mi resta poco tempo.
Privandolo del suo vero alimento
quel pasto vile che lui predilige
la paura, l'amor di sé soltanto
gli toglierò così le guarentigie.

Albertazzi TV Albertazzi
GiorgioAlbertazzi, mi trasse fuori
da insulsi passatempi di ragazzi
quando mi prese il cuore e la mente
mi liberò dai miei molti imbarazzi
e un ramo verde da nulla fece fiori.
M'avviai così col secchio vuoto
nella vita che stava lì davanti
passarla a salti oppure a nuoto
un giorno dopo l'altro anche tanti.
Presi gusto a far sogni di parole
senza curar, ahimè, fossero tonde
sperai la strada facessero da sole
dall'aria o dal mare ad altre sponde.
Così ho vissuto e non mi lamento
il secchio non si riempie mai davvero
la ricerca conta, l'attesa dell'evento
colma il cuore e l'alma per intero.
Lo ritrovo per caso, recondito lo spazio
dove declama, argomenta, illumina
tal quale faceva allora in epitaffio
e ancora il suo prologo m'abbacina.
Non ho ricordo più di quei ragazzi
me li schiodò dal cuor GiorgioAlbertazzi.

Nota:
L'inossidabile artista, attore, studioso, l'ho visto ieri su RAI 5, protagonista e autore, credo, di uno spettacolo cultural divulgativo sulla poesia, come teneva in una serie di più di 50 anni fa. Affascinante, ora come allora.

Fumo di sigaretta
Perdo un sogno ogni tanto
si dissolve come il fumo d'una sigaretta
mi lascia come fosse una disdetta
come nulla si rompe quell'incanto
mi lascia disperato un po' soltanto.
N'accendo un altro, intanto
con una stella del mio firmamento
quattro boccate e poi l'espiro
il fumo sale su negli occhi lento
è certo dal bruciore questo pianto.

Diversamente luna
Ho sentito una voce
chiamarmi alla finestra
era la luna
stagliata nel blu fondo
irretita dai rami spogli
di quel vecchio noce
ritto su quella proda
gialla, di fiori di ginestra.
M'aveva appena detto
al cellulare
hai visto su nel cielo
luccica di luna anche il mare
non vieni e allora vado da sola
come una volta, a passeggiare.
Ci tenevamo per mano
senza parlare
ognuno nei suoi pensieri
volti diretti altrove
un posto nostro dove andare
lontano o prossimo
per non ritornare.

Certo passato non muore
(Falcone & Borsellino)

Non mancheremo alle celebrazioni
metteremo un'altra corona sull'avello
ascolteremo bellissime orazioni
nuove lapidi affiggeremo ai muri
e nessuno, nessuno, ci scommetto
avrà il coraggio, eppur lo pensa
di confessare il suo imbarazzo
perché da allora, nonostante il tempo
nulla è cambiato, cambia, c'è speranza
che non occorrano ancora eroi
necessari a tacitarci la coscienza.

Non volli l'infinito
M'ha commosso, leggendola
eppur l'avevo odiata anni
voleva la imparassi a mente
il maestro Randi
ed io ribelle, niente
facevo il caparbio, impenitente.
Lessi del Sommo altre sue, dopo
da grande, ma quella non volli
temevo d'esser un incoerente.
Guarda tu quella volta
quanto fui ignorante...
me lo dicevan tutti
è bella...è importante
capirai che pathos in quelle rime
immagini e metafore sopraffine.
Certo non vale rimuginare tanto
persi un'occasione, anzi diverse
d'ogni sorta, non quella soltanto;
ci son cresciuto in quella pelle rozza
ho dato più che preso, non importa.
Ora ho più tempo, non per rimediare
fare ciò che non feci e cominciare
a rifare sogni, nubi e venti cavalcare
che m'è dolce naufragar in questo mare”.

Una casa senza tetto.
Porterò un cero alla Madonna
se questa spina che mi punge dentro
toglierà, finalmente, dal mio petto.
Senza requie m'aggiro torvo
da quando, deluso, irato
scesi, senza voltarmi, da quel letto
che s'era fatto un rovo
un nido di livore, non d'affetto.
E sono lacrime, spero piova
quelle che corrono sul viso
non serve fare altro, andare via
o su pensieri profondi stare assiso.
Non lei, mi manca, quella vita
passo i miei giorni
a guardar giù da un parapetto
cerco di capire quanto voglio
che torni o non ritorni, cosa aspetto;
alle volte, pur se m'imbroglio
sento d'essere una casa senza tetto.
Delle stelle in cielo godo l'abbaglio
una pausa, come l'onda stracca a riva
un ricordo, un lampo, uno spiraglio
ma sono legato a quel tempo, ho nostalgia
di quell'età, che consumata tutta
mi lascerà cavo come l'apatia.

E ...
E la vedo venire, benché occhialuto
la canizie che conquista il capo
e sento una fragilità dei sensi
quando mi appresto a salutare il giorno.
E le labbra, seppur secche, aride
hanno tuttavia sete e voglia
d'un sognato. Sporgono dalla bocca
hanno tremato, di parole appassionate
tra un bacio e l'altro pronunciate.
E il turgido fiore d'un caldo seno
come una beatitudine celeste
sfiorare appena ancora vogliono
consolando un cuor che batte appieno.
E le mani, più lunghe e magre
lisce, delicate, quasi femminee
hanno polpastrelli sensibili, memori
delle carezze cui erano abituate.
E ancora colme di sapienti vezzi
cercano setose chiome fuggite via
lunati fianchi percorsi a memoria
attimi infiniti d'un'antica malia.

Una volta ancora
È stato bello
come sempre quando
è lei a cominciare.
Ora sta lì distesa
come sulla sabbia di savana
appagata e assente
non so quanto lontana.
Distrattamente sfiora
la mia mano, appena
il tocco d'una falange
sulle dita
per dirmi siamo qui
lo vedi...
non è mai finita.

La vita ch'è elle cose.
C'era una volta...il legno
che dai boschi sul monte
per le mani callose dell'uomo
finiva in letti, tavoli, credenze
che il tempo li faceva di famiglia
e alcuni pezzi poi, andavan via
con chi sposava, fosse figlio o figlia.
Dopo è stato tempo di moderno
lustro squadrato senza nodi e venature
e quelli son finiti giù in cantina
nella polvere, le muffe e spesso tarli
o ripostiglio di cose vecchie
oggetti da metter lì senza spostarli.
Ma c'è qualcosa di nuovo nell'aria
anzi d'antico. È rumor di bottega, pialle, scalpelli
profumi d'olii, essenze e trementina
vengon dall'antro d'un mago innamorato (*)
di cose che abbiano un passato.
C'entra una credenza sporca miserina
lui ci mette l'arte che ha, che sa
e quella rinasce, pare una regina.

* Dedicata a Emilio Maniero, artigiano del ferro e del legno, di memoria antica.

Se nevica scriverò di pace
Squamo parole dalle mia tristezza
alcune vanno leste altrove ognora
altre son lustre, brillano d'incanto
non l'ho cercate, vengono, soltanto.
Sono quelle che fanno compagnia
nella scatola buia ch'è la vita
c'era messa dentro una fortuna
pareva al sicuro, ma è volata via.
La strada più lunga è cercare
tra mille curve e molte più salite
una fonte, alle volte, dove bere
le luci sullo sfondo son clarite
e tante speranze, poi, non sono vere.
Resterò appeso al ramo, quest'inverno
ho un cappotto di sogni per compenso
se nevica, scriverò di pace, in un quaderno.

(da il IL TIBURTINO, Aletti Editore - libro in pubblicazione)

“Stand by me”.
Cento volte m'è parso
ti fossi avvicinata qui, accanto
e subito vedevo le tue spalle
mentre te ne andavi in altro canto.
Non ho saputo dare affidamento
a te solare fierezza, clarita stella
che bella passi tutto il firmamento
sfiori la fronte a questo oppure a quella
tal che sarà parso insulso il mio tormento.
Ho cantato a vuoto ogni mio verso
per rubarti un poco d'attenzione
pura emozione d'un uomo introverso
che sognava rivederti alla stazione.
Il mare antico di tanta pazienza
dice che sale e scende l'onda a riva
nel fato non c'è luce né sapienza
e nell'attesa pare esserci vita.
Aspetto e non mi manca la passione
sempre attendo che sia maturo il tempo
perché a tutti è riservata l'emozione
di stringere una volta ciò che brama tanto.
Oppure no, forse m'aspetta altrove
di là da questa flebile esistenza
seppur non creda, in verità commuove
che sia per me quella l'ultima speranza.

Assolto.
Aver vissuto questa buia stagione
d'urla e pianti e sangue di rivoluzione
seppur aver tremato poco o tanto
distanti dall'odore, alla televisione
potremo dire mai d'esserci stati?
Basterà aver gridato a grande voce
nel sicuro della casa e in piena luce
abbiate pietà per quei malcapitati
o sarà per tutti una maledizione?
Se chiedessero in vero cosa hai fatto
che risponderemo, ho visto tutto
non potevo rischiare del mio stato
in fondo cosa mai avrei salvato?
Non mi rassegno a questa soluzione
mi strugge l'ansia vivo d'emozione
vilmente m'accontenta l'illusione
che col soffrirne avrò l'assoluzione.

Sonata in senilità minore, n.ro 1936.
Quando il crepuscolo
inghiotte il giorno e prelude
un lungo notturno di pensieri
nel timpano fatto sensibile
della vita ch'è trascorsa
scende un suono vellutato
tal quale “il chiaro di luna” si spande
dalla tastiera del pianoforte.
Musica della malinconia
dell'età che si prende la tua forza
diluendola nell'anima
lentamente, inesorabilmente
nel sereno abbandono della mente.

2 Papi & 2 Santi.
Presto saranno Santi questi
per aver fatto Santi quelli
che fecero Santi altrettanti
nella catena Santa dei millenni.
Certo acquieta la coscienza
indirizzare loro ardenti preci
quando la vita perde la speranza
porterà ognuno meglio le sue croci
quando confidi nella trascendenza.
Ma dagli altari di tra i mille ori
mai venne requie per i tanti orrori
mai tramutarono lorde spade in vomeri
mai il lor manto fu scudo alle frecce
mai per loro mano risparmiarono cartucce.
Due nuove icone al paradiso ascese
saran di sollievo a tante mani tese
il sangue continua a scorrer nelle vene
di esser salvati da noi, regge la speme.

La lunga strada verso il mare.
Per tanto tempo ho guardato solo
dentro le mie palpebre chiuse
affascinato di potere immaginare
quel che non conoscevo, io ignaro
ma era là concreto il firmamento.
Andavo inarrestabile
come l'acqua d'un ruscello
giù dai tanti aspri dislivelli
tra rive, salti, sassi, verso valle
ignaro, di poter immaginare
che prima o poi, avrei incontrato il mare.
Ancora non so se sia valsa la pena
tutto questo viaggio, questo andare
con sandali poco adatti, presi a prestito
da chi meglio di me l'aveva usati
fidando che avrei saputo camminare.
S'è graffiata alquanto e a fondo
la scorza che riveste la mia pianta
m'ha dato frutti che sembrano buoni
m'han fatto fiero e a tratti anche stanco
ma ora son grandi e forti
hanno frutti loro da mettere sul banco.
Così nella calma piatta della foce
vorrò incontrare l'azzurro che cercavo
mischiarmi a tutto l'altro che ci trovo
e domandarne un poco a bassa voce.

Quelle domeniche a Messa.
Era giallo ginestra
quel bellissimo vestito
che i giorni di festa tu indossavi;
non mi piacevi
quando i calzoni stinti ti mettevi.
Con la tua pelle bianca
e la tua chioma rossa
di ricci spettinati a tutte l'ore
eri bella e fiera
più di Matilde di Canossa.
Sapevo non esser per me
tutto quel ben di dio
ci perdevo gli occhi e 'l sonno
ché tu, leziosa mi sorridevi a tratti
non t'avrebbe mai presa per sé
un pari mio.
Ogni domenica qui
nel brusio sommesso degli oranti
sentivi, lo so
gli spilli dei miei mille sguardi
lì sulla nuca, nella tua cervice
che ti faceva scorrer per la schiena
quel brivido che tanto ti piaceva ;
tua madre ridestava l'attenzione
al tintinnio argentino che solenne
faceva chinare il capo all'ostensione.
Presso la pila, in mezzo a tutti quanti
ci scambiavamo con tremor di foglia
pensando già alla prossima occasione
quel tocco d'acqua santa, sulla soglia
prima d'uscire lievi dalla pia funzione.

Su per la vita.
M'arrampico
ma non è il cielo
che voglio toccare
dove voglio andare
star qui tra i tanti voglio
e salgo
per allargare il mio orizzonte
e tutti abbracciare.

Lasciami addosso
il tuo silenzio caldo
dopo che hai ascoltato
l'ansimo della mia passione.
Lasciami addosso
le tue mani bianche lievi
dopo le carezze morbide
della tua dolcezza.
Lasciami addosso
un bacio lunghissimo
sulle labbra bagnate
del tuo intimo sapore
prima di andare via
un giorno
o solo un minuto.

Il tempo mangia la vita.
Sempre rincorri
l'età che non hai
e non t'accorgi mai
che sei già oltre le sue torri.
La migliore inconsciamente arriva
e già passa oltre, via la speranza
di trattenerla in secca, sulla riva
coi sogni preparati con costanza.
E, non è già più il tempo
della giovane bella morte
non fu destino, ora senza scampo
hai una vita lunga di giornate corte
salva solo l'attesa di qualcosa
che valga, oltre l'ultime porte.

Vota Antonio...vota Antonio...vota Antonio...
Se c'è un paese strano
questo è il mio
sempre mugugni e cartelli in mano
fessi son gli altri, quanto è vero Dio
bruciamo tutto quello ch'è nostrano.

E bruciano le coscienze
per l'indignazione
pe'i ladri con tante aderenze
tutti a pappare è un'aberrazione
c'è da metter fine a queste delinquenze.

Cos'hai fatto alla mano tutta fasciata?
Nulla, un incidente in una gita
eravamo andati su al monte Amiata
la corda a cui ero appeso m'è sfuggita;
sai ero di turno, non l'ho denunciata.

Ora sono in mutua, ci vuole pazienza
almeno manifesto, vengo qui in parata
ci siamo in tanti, diamo consistenza
alla protesta di gente esasperata
prima d'arrivare alla disubbidienza.

Hai capito l'amico, quanta impudenza?
Non mi convince quella sua cordata
ha messo la mano sua sulla coscienza
e in men che non si dica, s'è bruciata.

La notte lo sa
Ora ch'è ormai sera
e del mattino non ricordo
neppure se c'è stato
aspetto ansioso l'occhio buio
di quest'altra notte
che scruterà dentro me
indifeso.
Non voglio dirle, ma sa
delle mie paure antiche
quelle, nel sonno, facilmente
romperanno le fragili dighe
che di giorno costruisco
contro la realtà, se no m'annega.
Eppure voglio vivere
una volta ancora.

Dal film “Philadelphia”
M'ero scordato com'era
così m'è capitato di tornarci ieri
e seppur piccolo lo schermo
non m'ha impedito
il disagio di quella prima sera.
Una fitta, ogni volta che
mi s'affaccia in mente
un pensiero breve, vago
che potesse allora e ancora
anche se l'odio
accomunarmi a colui che punta il dito
incurante del pianto che all'altro
sempre di più, va rigando il viso.
Non son di quelli
che spera che Iddio scenda dal cielo
per far di questo mondo un paradiso;
ciò che siamo stati, siamo e potremo essere
l'abbiamo dentro nell'anima
per sempre, inciso.

Svegliarsi a primavera
E' il tempo
di quando è fresca e dolce
l'aria di mattina
quando infoglia, infiora
il ramo, il tralcio
perfino la piantina.
Quando è pigro il risveglio
il sole i raggi inclina
per passar attraverso la persiana;
un richiamo sommesso
ovattato s'avvicina
e fruscia su per le scale
una sottana.

Mi fossi mai montato la testa...
Vorrei accadesse un dì, verso mattina
quando godendo sto cullando il sogno
di un'altra possibile vita, men meschina
questa mi pesa e non ne ho più bisogno.

Non ho dato il meglio, questo è vero
ma ho preso poco di questo ben di dio
sparso per tutti, in tutto il mondo intero
non ebbi più forte il braccio, limite mio.

Se può apparire triste il mio pensiero
sappiate che non ho remora alcuna
a dire tutto ciò che sento, perché è vero
non pena o angoscia lascio, sola nessuna.

Forse qualcuno poserà sopra il mio avello
un fiore quando sia la mesta ricorrenza
che sia selvaggio, non importa bello
mi preme più il pensier dell'apparenza.

Dall'ultimo viaggio mai si torna indietro
semmai restino appesi miei ricordi ai muri
diranno che ogni gesto d'amor era foriero
volle liberi sogni e che ogni sogno duri.

Gli inverni così ...
Gioca di contropiede, quest'anno
Marzo con l'Inverno, approfitta
appena cala il gelo o la tramontana
e cisposo d'umidità s'affaccia il sole
lesto cova germogli e boccioli su pe'l ramo
le prime infiorescenze lui declama.
Alle volte il gelo, si vendica, più avanti
fa abortire ogni improvvida primazia
appassiscono le speranze d'ogni bello
secca ogni buttata di getti rampicanti.
Ma non si dà per vinta lei, la merla
ha un nido pieno d'uova sempre calde
saltella in livrea opaca tra le foglie
risponde sommessa al sibilo d'imperio
o chiama quelli nati e già volati a terra.
Ma s'addensano nubi nere a giorni alterni
minacciano e fanno, altrove veri sfracelli
c'è chi dice non si son visti mai tali inverni
ci piange il cor pensando a quei fratelli.

Girato in bianco & nero

Un colpo secco
solitario nella notte
bucato il buio
e una camicia bianca
di cotonina
in mezzo al petto.
Un brusio segreto
appena pronunciato
strusciar attento di suole
un lume...una lanterna
tingevano d'ombra
certe occhiaie scavate.
Il solo riluttante
d'un mattino lungo
fece palesi
le macchie di sangue
sul selciato.

La mia città natia.

Non ricordo
d'aver nessuna città
dove io sia nato
ho tanti luoghi in mente
di alcuni innamorato.
Angoli particolari in ogni età
colpa di un tempo adirato
costretti a mendicar pace
un giorno qui, un altro molto in là.
C'è, tuttavia, sempre
una chiesa, delle
stradine strette acciottolate
una piazza sghemba assolata
una fontana in pietra
una pergola infrascata.
Anche una spiaggia
o un'erta scogliera, una parete
dalla cui sommità sognare
di spiccare il volo lontano
senza più dover tornare.
Ho fatto il covo qui
sulla collina
c'è odore di bosco, di selvaggina
s'aggrappa intorno a tutto
la nebbia la mattina e l'estate
frinisce la cicala canterina.
Ogni momento è vero e vivo
questo parrà il mio sito natio
dove conto restar pensoso e schivo.


Guardando verso oriente.

1.
Ho due figli che mi crescono lontano,
un maschio ed una femmina, adulti oramai.
Ho tante cose in mente non fatte nella vita
e loro vanno spediti per la loro strada.
2.
Il falco vola largo e a lungo sulla valle
cerca di predare piccoli animali per il nido.
Un vento freddo percorre le crepe della rupe
lui lancia un richiamo e continua a volare.
3.
Non servirà ubriacarsi da mattino a sera
non scorderà nessuna delle sue pulsioni.
In ginocchio si vede il mondo in altro modo
senza forza d'animo è resa vana ogni religione.
4.
La vela al lasco non darà al battello alcun approdo
preda dei marosi al largo navigherà senza governo.
La strada sconosciuta, tortuosa,è perigliosa sempre
la barca senza nocchiero va a schiantarsi sugli scogli.
5.
Il cieco allo specchio vorrebbe la sua immagine
mentre stringe forte il fiore che ha in mano.
Cercarsi e non trovarsi è consueto nella vita
una lastra argentata non può saper chi sei.
6.
Raccontando cose alle quale hai sempre creduto
ci saranno ascoltatori interessati e altri assenti.
Un mattino passeggiando lungo un argine fiorito
cercali e saprai che solo i tuoi pensieri son presenti.

Quando docilmente La seguii
sulle dune della spiaggia
dove assorta e con l'occhio vispo
censiva sopravvissute colonie
di elicriso
mi commossi e tanto godetti
di quell'impegno, di quella passione
che le arrossava il viso
tant'era l'emozione.
Presi quelli per fausti segni
come la sorte m'avesse fatto dono
d'una sensazione unica, arcana
che non avrei provato
se mai mi fosse nata.
Quando quel sogno suo
s'è realizzato
ho toccato con un dito
il cielo e tutto il paradiso.

Dei figli che...
Quando Lo portai alle spalle
quietamente appeso
sapete...nello zaino da bambino
su per i sentieri, nel bosco
nelle terre di sua madre
lassù ben oltre il piano
capii che mi stava penetrando
un sentimento nuovo
alto, eppur sgomento.
Sentii che ora avevo
il compito a me strano
d'occuparmi io, di lui
sempre distratto da un grillo verde
saltato sopra un ramo
e raccontarglielo
tenendogli la mano.
Scansargli lai e giorni che
nella vita ci sono, e spesso
possono esser tristi, neri
e alle volte bui.

Ai servizi igienici (pena accessoria)
Dovremmo avere il cuore di trattare i politici
come fossero carta igienica, adoperarli
per l'uso contingente che se ne deve fare
e poi mandarli tutti a macerare.
Perché siamo arrivati al punto,
per via del sempre delegare,
che loro sono l'essenziale della polis
e noi soltanto il terreno da sfruttare.
E' pur vero che il consorzio umano
necessita di chi lo deve governare,
troppe teste e spesso poco buone,
non possono decidere da soli dove andare, ma
legarsi loro mani e piedi e nel mare
degli illeciti profitti farsi buttare,
mi pare cosa stupida, autolesionista e
da animali pensanti sarebbe da evitare.
Ormai abbiamo visto, in questo porco mondo,
salvando i Santi per carità cristiana,
appena apri il cassetto d'un Ente purché sia
n'esce un rigurgito di merda che pare il finimondo.

Sul margine tagliente dei rimpianti
Tra quelli che lì stanno seduti
sui margini taglienti dei rimpianti
c'è n'è uno il più pesante
di questa mia annosa esistenza
il non aver fatto sentire a mio padre
a mia madre no, lei la sentiva
come io della sua non facevo senza
incisiva, costante, qualche mia presenza.
Era quando la sua vecchiezza
era diventata soltanto nostalgia
quand'era ossessiva la malia
di avere perduto col passato
somiglianza.

Nella mia mente.
Fu spento con l'armi
l'orrido fuoco che infame
divorò carne e anime innocenti.
Intinti nell'ultime braci e lapilli
come le dita nell'acquasantiera
furono accesi ceri profumati
a rischiarare il buio nella coscienza
che in questa umanità avrà decenza.

Non un bel posto solamente
Sono giorni che dalla finestra
guardo correre nubi corrusche
che superate i tetti lucidi di pioggia
di questo ameno posto di campagna
si perdono oltre le colline là in fondo
e tutto il quadro mi si figge in mente.
Chissà se passato un giorno, un tempo
ripassando di qui, oltre il mio viaggio
riconoscerò l'aria, il profumo e ancor
la luce, non quella dell'astro ch'è per tutti
quella che il cuore e l'anima fecero sereni
perché non fu un bel posto, solamente.

Sornione il gatto sul muretto
Un gatto senza età
sta sul muretto al sole
con gli occhi socchiusi
ad ascoltar rumori
come un anziano
che non ha più parola
quella degli altri
per consolazione.
Non catturò mai
una leggiadra rondine
dal volo
qualche passero incauto
mentre rubava briciole
che dalla tovaglia, vanno
scuotendo al suolo.
L'altro, una predestinata
che fu quieta e serena
dalla porta accanto
come si conviene.
Tuttavia, attendono
un'occasione nuova
come si legge nel lampo
che gli occhi hanno ancora
quando un odore, un profumo
un movimento nuovo
viene a tiro dei sensi e poi
presto s'acquieta e lascia
la bocca ancora vuota.

S'inghiotte solitudine.
S'inghiotte tanta solitudine
che diventa cibo quotidiano
scipito e ballonzola
sulla lingua ormai insensibile
dalle troppe parole pronunciate
per convincere chi non vuole
a restare...inutilmente.
E, se non si ha la stoffa
per mantelli eleganti
come domandano, allora...
vien voglia urgente di cantare
una canzone nuova
che il cuore strugga di gioia
e di grande godimento.

Il pettine d'osso di mia madre.
Mia madre aveva caro assai
un pettine d'osso a denti fitti
diceva avesse più di cento anni
giuntole da passate generazioni
col suo color ambra e le punte lise
ci pettinava me dai quei pidocchi
raccattati in giro
mentre recitava, la sera, le orazioni.
Lo riponeva sempre con gran cura
nella scatola degli oggetti rari
pochi in verità, che nella famiglia
si stimano, per affetto, più preziosi.

Silenzi per vivere e pensare
Vivere...
un silenzio dolcissimo
e sorridere
del passero che si lava
nella ciotola del cane.
Del mare che ruzzola
incessante
una bottiglia vuota.
Del vento
che allunga la corsa
d'un cappello sfuggito.
Della fanciulla
che difende le sue pudende
dal libeccio impertinente.
Pensare...
inginocchiandoti
davvero
sulla panca dell'anima.
Di liberarti
di ciò che non sopporti più
che ti sta appiccicato addosso:
il consueto, ineludibile oggi.
Domani, sperare di farcela
raccattare poche cose e via
spiare se t'insegue
gridare solo una volta
e di nuovo tacere
ché il “silenzio è d'oro”.

Ma il silenzio
potrebbe figliare anche
una nuvola in cielo
un abbandono
financo una tristezza
o un pianto.

Margherita
Quando la rubo con gli occhi
la porto al cuore
sfioro appena le labbra e gusto
il succo profumato che promana
più non ascolto le parole taglienti
che verrebbero scolpir su me
cose che d'altri è brama.
Io spigolo petali
pretti lucenti lievi
da quella bocca fiera
e vo ad allettarne l'angolo
che s'inarca in un sorriso.
Scioglie il pensier mio
dalle croste incallite
del quotidiano andare
così mi beo di quel piacere
e non mi cale
se le scarpe son lise e mostrano
quanta strada ho fatto per venire.

Dimmi chi sei
Tu che percorri scalza
le mie gelose stanze
dove tengo pensieri a maturare
...con un fruscio lieve
che si fa sentire, ma senza
lasciarmi il tempo di vedere...
dimmi chi sei
tu che tieni teso il filo
del mio aquilone
alto nel cielo di sogni
dove vieppiù voglio volare.
Toccami con la stessa mano
che senta il calore della pelle
mostrati e regalami un sorriso
accostati e parlami da così vicino
che coi capelli mi copriresti il viso.

Una musa in un sogno.
Non so se l'aspettavo
ma s'è seduta, calma
sul mio letto.
Non la conosco davvero
sento di lei il fiato
che m'accarezza il collo
che mi scende nel petto.
Non ha occhi, ne bocca
chissà com'ha il petto
è solo un sogno, ora
perciò non ha difetto.

Poi tornerà domestico il “buongiorno”
Finirà quel “buon qualcosa”sin da mattina
da quando è giorno, anzi anche da prima
da quando s'è aperto proprio un mercato
tempo fa, con tanto di campane a stormo
come fosse ma non era mezzogiorno.
Saranno svestite dalla festa le vetrine
dalle ghirlande e luci a stordir le strade
via gli sguardi sbigottiti da far male
il girovagar a frotte di bulletti e ragazzine
finiranno di pararsi a strilli e gesti le vecchine.
Resterà per un po' il tanfo d'inquinato
quel puzzo di combusto sparso in giro
vapori che salgono dallo scantinato
dopo quell'aria troppo allegra, esagerata
per uno come me ch'è per natura pigro.
M'ero chiuso dentro, acceso il camino
giù nella poltrona dalle braccia grandi
per starci un minuto, oppure un'ora
davanti a quelle fiamme d'oro brillanti
che balzando di continuo a destra e manca
stampano sulle pareti ombre intriganti.
Come in una coperta di calore e luce
covavo il gusto di veder vere persone
riprendere il cammino d'ogni giorno
oltre il “buon qualcosa”che in quei dì si suole
e tornare al solo domestico “buongiorno”.

PS. BUONE FESTE FATTE, A TUTTI

Scampoli di ... vita
La coscia, il culatello
e il salame asciutto
per apprezzarli appieno
si affettino a coltello.
N'esce quel sentor di prati
d'erbe avvertite a naso
odor di sottobosco
per nasi raffinati.
Si fa peccato orribile
se da soli si consumano
si faccia comunione
a un desco tutto umano
così che da uno all'altro
diventa ripetibile.

Quando il sale è un problema.
Pende, insieme ad altri
appeso ad una pertica, in cantina
vestito di muffa bianca
come la nebbia di mattina
ha consistenza giusta
mancherà una settimana
e poi saranno fette
della più bella grana.
Non farò come l'altr'anno che
tra un morso e un bicchiere
non mi trovava il polso
nemmeno l'infermiere.
Sono messo a stecchetto
ne gusto il maturare
so tutto d'impasto e aromi
il sale da impiegare
le dosi antiche dei nonni
sempre quelle ma ai quali
non direi mai della pressione
che mi va alle stelle.

Quando lo zucchero è un problema.
Credendosi delizia assoluta
da quella teca di finto cristallo
lui mi guardava
con l'occhio voglioso
...di crema
mi parlava
con labbra burrose
...di panna
mi vedeva
sbavare di glassa
...o zucchero a velo
mi lasciava
rischiare il coma glicemico
quel krapfen di merda.
Son passato al prosciutto salato.

Fantasia onirica.
Quando le braccia si vestono
di penne d'aquila reale
m'innalzo tra picchi nevosi a roteare
e tutto l'universo ho tra l'ale
non predo, volo sol per guardare.

Se al capo ho, bruna criniera
del mondo faccio apposta un regno
con la possanza e la giustizia vera
incedo e compiaciuto lascio il segno
del giusto che salvò questa brughiera.

Quando bosco m'immagino di sera
e nasce muschiato il profumo della terra
aleggia come un'ombra tra i fusti la chimera
ogni suono è mistero, la pelle si fa cera
un brivido arcano ancora il cor rinserra.

Se d'un manto di fiori vesto il mantello
da far invidia per colori all'arcobaleno
con la mandòla ch'è compagna al menestrello
vo' cantando in giro al mondo in un baleno
abbraccio e saluto di cuore questo e quello.

La porta.
Entro nella porta rosa
che lieta m'apri
per il piacer del corpo
ma chiusa quella dell'anima
e inutilmente la chiave d'oro
della mia passione
s' insinua appena.
Mi dai le spalle nude
di tra le sete odorose
lasci immaginare il tuo sorriso
divertito dalla mia afflizione
che neppure il nostro piacer lima.

Stammi vicina.
Stringi la mia mano
sin dal mattino
ché la mia fronte è fredda
e fammi sentire il tuo respiro
sulle labbra dischiuse
al mio richiamo.
E se l'acuto del giorno
ferisce l'anima
perché non afferro il mistero
stringila più forte
non farmi andar lontano.
Non temo nulla
e nulla può accadermi
se tu mi stai vicina
...speranza.

Il gallo della Checca
Pare sicuro di sé, inarca collo e testa
sbandiera bargigli e dal becco puntuto
tagliente come sono i suoi speroni
canta di potenza la sua poligamia
che non gli appartiene mai la melodia.
È nei suoi geni esser risoluto
che altri suoi rivali nei paraggi
non insidino l'harem suo beccuto.
Non le ama, non può, eppur lo fanno
che sottomesse stiano anche in futuro
per assicurargli discendenza senza danno.
Ha due gambe anch'esso
il mio fratello insano, che s'ingegna
d'apparir forte, sicuro, indefesso
gonfia il petto per sembrar potente
circonda lei di cose belle ma di rado
ne apprezza il genio o l'acume tra la gente.
Ché ha da essere già tanto appagata
lui le fa grazia di portarla al braccio
davanti a tutti, perfino in processione
mentre, vanesio, strizza l'occhio a un'altra.
Lei più non s'indigna,è tanto che sopporta
oltre a tante altre, questa umiliazione
grida si lamenta, lo minaccia
ma non c'è verso,è la disperazione
né l'affetto della prole è un'evasione.
Sentirsi schiava è pura aberrazione
così fugge, cullando in cuore l'illusione che
sia un respiro di vita vera, quella ribellione.
Lui la riagguanta, non sia mai si sappia
ch'ella può far da sé, senza la guardia
se vuol la libertà sarà tragedia
senza capire che quella soppressione
farà di lui un reietto e di qualsiasi amore
un accattone.

Sul mare, d'inverno
Sul mare
in quel grigio uggioso
che tinge l'inverno
mentre nel cappotto c'è tepore
quell'alito fresco
tra la falda e il bavero alzato
pare musica
invece è solo vento.
Fa sentire istanti d'emozione
che solamente da l'immenso.
Non importa se o chi
ci sia lì accanto
la vastità rapisce ogni momento
si gonfiano d'un sospiro
le vele dell'anima
per condurti via d'ogni tormento.

La corriera stravagante.
Ricordi la SITA? faceva da cordone
su e giù per la terra di Valdera (*)
legava lavoro e cose alle persone
rimasti senza nulla per la guerra
con tanta voglia di resurrezione.
Un carrozzone di tante speranze
di quelli che cercavano istruzione
chi al lavoro così, anche distante
per portare a casa almen la colazione.
Ogni mattina a frotte alla fermata
come dal letto caldo quasi stanati
d'inverno tutti quanti imbacuccati
ma a primavera era aria profumata.
Strade sterrate tra ciottoli e dirupi
gli ulivi e i campi facevano cornice
andava in fretta la corriera stravagante
carica d'umanità viva, che produce
verso un futuro ch'era già intrigante.
Conducente Nildo, al controllo Otello
presenti attivi efficienti sempre amicali
ché il pedaggio non fosse mero balzello
anche severi, per mantener gli orari.
E tra scossoni, risa, frizzi e lazzi
son nati amori durati e da ragazzi
portando semi di futuri ingegni oppur mestieri
grazie anche a quei due, che ora sono andati
certo stai meglio oggi, di come stavi ieri.

* in provincia di Pisa.

Tutto il tempo che hai.
Non c'è altro tempo
di quello che fa
passar le nuvole nel cielo.
Ché sempre si aspetta
di cavalcare un indomito destriero
di amare una volta per davvero
di usare ogni ingegno per intero.
E i giorni seguono i giorni
il sole scalda le spalle
l'acquerugiola imperla il viso
seduti su pensieri quotidiani.
...un gatto, incerto, attraversa la via
rubandoti un sorriso.

Paesaggio toscano.
Sagome note
emergono dalla nebbia
posata come un velo
su dossi e valli:
ora la torre colombaia
ora la vela campanaria
d'una fattoria lì da sempre.
Stimmate di un tempo andato
che sulle pelle e il cuor
fecero il segno.

Incantesimo ossidiana.
Il primo è tanto che non lo so più
se fosse stato bello lo ricorderei
non dicono tutti che non si scorda mai?
Solo per dire di uno, che più mi pare
era per la brunetta magra del quartiere
tutta capelli, una testa nera
l'agitava come fa una cavalla
frenetica irrequieta, una bufera
nulla e nessuno la teneva in stalla.
No gli occhi no, non li ricordo bene
ma sì erano neri, come l'ossidiana:
mi fecero soffrire tante pene
ci piansi, anche, però poi è passata.
Chi si ricorda se le volevo bene
c'impazzivo di gioia a starci insieme
poi è finita,è andata a star lontano
una promessa al buio chi la mantiene?
Ne avute tante, non soltanto quella
va bene, va bene, lei era più bella
mi faceva saltare le cervella
non lo credevo ma faceva male
lo disse l'olio nella bacinella.

Un sogno legato, negato.
Cento braccia di spago
per legare stretto e forte
un sogno al mio respiro.
Cento piazze assolate
per realizzarlo un poco, ma
cento giorni di pioggia
ha voluto il destino.
La fune bagnata
ha fatto stretto il nodo
e m'ha strozzato.
Resto col bisogno di viverlo
che non ho sfamato.

E poiché l'alba
accende sempre un giorno
attendi l'ora propizia.
Poi, un fiore s'aprirà
animato dalla luce
di un progetto di vita
inconsapevole.
E se possono dare dolore
graffi d'amore
dalle parti del cuore
si chiude la corolla
quando il sole tramonta
e avrai tempo per te
almeno la notte
per attendere nel cielo una nuvola
farsi immagine incantevole.

Autunno (haiku)
*
Piccata al ramo
la foglia s'è ingiallita.
Ultima pena.
*
Irsuto il riccio
apre spinose ciglia
d'occhio castano.

E sarà Novembre ancora.
Tra stipi e bordi di marmo travertino
e tumuli di terra ben pulita
in quel profluvio di fiori eccessivo
scricchiola la ghiaia ad ogni passo
e non far una visita all'anno
certo non posso.
Non è obbligo,è un pensiero antico
una mesta ricorrenza condivisa appieno
un rito comune, andare al cimitero
ritrovi gente che non vorresti mai
e quelli che volevi da un anno almeno.
Sghembi sorrisi e mestizia d'occasione
si deve, non si creda malcreanza
quelli là sotto sanno ch'è finzione
il pianto ti vien giù nella tua stanza.



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