4/3/2013
Rivoluzione civile.
Posto che il PM non giudica ma investiga, par di capire che quando
venga contaminato dalla politica, non “dovrebbe” tornare ad
occuparsi della vecchia professione per via di un non meglio
specificato principio di “terziarietà”, in quanto potrebbe doversi
occupare di un suo ex pari, da una posizione autoritaria. Quindi,
il sospettato di reato può entrare o usciere dalla politica,
avendo magari fatto strame perfino ai danni dello Stato, ma un
magistrato, che fino a prova contraria lo Stato lo difende, no! Lo
trovo capzioso, a meno di non pretendere che i professionisti,
tutti, debbano essere politicamente asettici. Un avvocato che
abbia avuto come assistito un indagato, del quale ovviamente verrà
a sapere anche cose compromettenti, magari poi assolto per suo
merito, entrati entrambi in parlamento e su opposto schieramento,
condizionerà l'ex cliente ventilando la rivelazione di verità
discutibili? Un vero, buon professionista, certamente no. Questo
vale per banchieri, imprenditori, commercialisti, ecc. ecc. Tutti
potrebbero portare cognizioni da costituire un numero infinito di
conflitti nei confronti degli altri interlocutori ma, credo, si
faranno terzi rispetto all'interesse generale che vanno a
tutelare.
bruno amore
25/2/2013
Dimissioni del Papa – E’ evidente che
il papa non aveva altra mossa da compiere per sfuggire alla morsa
di Tarcisio Bertone, che l’aveva soggiogato. E’ stata una mossa di
cavallo, o anche mossa di Sansone, quando scuote le colonne del
tempio. La domanda è: basterà?
Frattanto altre mosse Ratzinger ha compiuto: sta accelerando i
tempi del Conclave, ed ha sottratto a Bertone il suo segretario,
trasferendolo.
Cosa altro potrà accadere? Perchè non se ne torna a Monaco?
Lucio Cornelio
24/2/2013
dedicato a Robespierre. Le elezioni
dovrebbero essere momento di rinascita e rinnovamento, e non
occasioni perdute. Torniamo alla pallacorda, e speriamo in un
glorioso 25 brumaio...
Lucio Cornelio
22/2/2013
In risposta all'invito di Piero, la mia
opinione sulle dimissioni del Papa, attuale ancora per
poco, di primo acchito non è stata di umana comprensione, effetto
di pietas cristiana, bensì l'ho sentito come un gesto di fuga da
responsabilità dalle quali non poteva esimersi, essendo non solo
vescovo di Roma, ma Vicario di Cristo in terra, come lo intendono
tutti i cristiani credenti; e immediato è scaturito il paragone
col suo predecessore, rimasto in carica fino all'ultima parola e
all'ultimo respiro. Ho pensato: è un uomo oberato di compiti che
non vuole più svolgere rispetto alla comunità cristiana e non,
volenteroso di ritirarsi in buon ordine per consacrare i suoi
ultimi anni di vita solamente a Dio e alla sua coscienza. Dante lo
avrebbe condannato nella sua epoca, ma nell'epoca attuale gli
avrebbe quantomeno concesso il Purgatorio? A distanza di giorni,
riconosco sempre di più la sua fragilità umana e più che paura o
stanchezza ho visto il suo dorso più curvo e il suo capo più
canuto e nessuno al suo fianco a sorreggerlo, come lui
probabilmente seppe fare con Giovanni Paolo II. Una curia o
conclave, come si voglia chiamare, in cui paiono trionfare
interessi terreni più che spirituali e logiche politico-economiche
più che teologiche, e papa Benedetto XVI sempre più piegato in se
stesso a cercare una ragione ultraterrena al destino dell'umanità
e agli ultimi giorni del suo cammino esistenziale. Allora io non
posso condannarlo, ma sento di rispettare la sua profonda libertà,
che Dio ha riconosciuto nell'essere uomini. Non lo immagino santo
come Papa, potrà esserlo come uomo. Mi auguro che questo abbandono
del soglio pontificio non sia l'inizio della fine del mondo, tanto
paventata nel 2012, o un ritorno alla barbarie di antica memoria,
ma semplicemente un passaggio epocale che riavvicini la Chiesa
all'umanesimo cristiano, che il Cristo Redentore conduca l'umanità
e la Chiesa verso una rinascita. Antonietta
Ursitti.
21/2/2013
Carissimo Gus, la tua gentilissima e
argomentata replica merita un cenno di riscontro. Ho visto per un
attimo nel tuo legittimo e ispirato sogno, allungarsi l’ombra di
un incubo pensando che tutti i bambini della terra, tutti
gliomosessuali del mondo, le coppie di fatto dell’universo e
magari tutti i divorziati del globo ,comprese tutte le donne che
aspirassero al sacerdozio o almeno sposarne uno, dovessero, per
meritarsi il battesimo, la benedizione, i sacramenti del papa,
sottomettersi all’unico, incontestabile, incontrovertibile,
indiscutibile dio professato dal successore di Pietro, con tutti
gli annessi e connessi del caso. Anch’io, come te, sono contrario
ad ogni forma di dittatura, sia essa politica che religiosa. I
nostri politici, per lo meno, ogni certo numero di anni, sono
costretti, proprio come in questi giorni, a sottoporsi al giudizio
dei loro elettori. Altri politici, invece, , detti anche vescovi e
cardinali (quest’ultimi elettori del papa) , non vengono eletti da
nessuno, ma semplicemente nominati in base al volume di affari che
producono nelle sedi da loro amministrate. Anch’io come te,
ripeto, sono contro ogni forma di dittatura. A differenza di te,
sono per la dittatura solo in un caso: solo se il dittatore sono
io! Con stima e amicizia. (Carlo Chionne)
.
20/2/2013
Gentilissimo Chionne,
il mio rispetto assoluto per i profondi sentimenti altrui, di
religiosi o laici, di credenti o atei, mi spinge a rispondere alla
tua comunque apprezzabile nota.
Io penso che il Papa, fin quando un Papa ci sarà e ci saranno
centinaia di milioni di esseri umani che lo ritengano loro guida
spirituale, non diventi un incubo se al di là di ogni formalismo,
considererà tutti i bambini del mondo degni del Dio che professa,
gli omosessuali creature di quel Dio e predicherà opere di bene
più che preghiere.
Ti faccio un esempio: pur essendo io assolutamente contrario a
qualsiasi forma di dittatura, se un dittatore ci fosse, lo
combatterei con tutte le mie forze, ma comunque auspicherei che
intanto fosse illuminato e facesse cose giuste e opportune.
Gus
IL PAPA -Mi chiedo e chiedo a tutti
quelli che vorranno rispondere, se quello di GUS sia un sogno
oppure un incubo.Qui si propugna addirittura la sacralizzazione
del mondo, come se già non bastassero le diverse Terre o Città
sante come la Palestina, Gerusalemme, La Mecca e così
sacralizzando. Che cosa sarebbe tutto questo panpapismo, se non un
impossibile ritorno al Medioevo.(Carlo
Chionne).
Diversi anni fa il nostro De Ninis pubblicava
sulle pagine azzurre questo mio brano:
Sogno
Ho sognato il Papa
vestito del saio di Francesco
che benediceva tutte le coppie di fatto
santificando le loro unioni.
Ho sognato il Papa
che con un gesto d'amore
proferendo parole
("sìnite parvulos venire ad me")
battezzava tutti i bambini del mondo
poichè di loro
nulla c'è di più sacro e di più puro.
Ho sognato il Papa
che diceva alla gente
"gli omosessuali sono creature di Dio
e come gli altri vanno rispettati",
che diceva alla gente
"un'azione in favore di chi soffre
vale cento preghiere".
Ho visto poi "rigremirsi" le chiese.
E la messa era festosa,
e tutti accorrevano portanodo fiori
e palme e rami d'ulivo
come accadde il giorno
quando il Figlio dell'Uomo
entrava in Gerusalemme.
Torna d'attualità questo mio sogno sinora inattuato ? Mi piacerebbe
davvero.
Gus
8/1/2013
Cornelcaro,
fuito consiglilsito.
Tuoneggiòlampo comeNembrottpeto chiriasmi sensi su
languaggnonsenso.
Manbatto a S.B. : bettersaria sehaidirnulladiredirnulla.
Parlarunbel maifussescritto!
Piero Colonna Romano
Traduzione
Cornelio caro, fui nel sito da te consigliato. Come un lampo
tuoneggiò un peto
di Nembrotte e mi chiarì i sensi sul non senso del linguaggio.
Batto le mani a
Samuel Becket: meglio sarebbe se nulla hai da dire, dir nulla. Un
bel parlar
fosse mai scritto!
Piero Colonna Romano
L’ottimo Lucio Cornelio,
mi ha chiesto di rendere pubbliche una serie di mail che ci siamo
scambiate in questi ultimi giorni. Tale scambio è stato originato
da un suo intervento , nei commenti, il 7 gennaio. Ne riporto
l’inizio:
“Mi chiedo se alle mie poesie manchi qualcosa di indispensabile. Voglio
dire, credo che con tutta la sua introspezione colta che gli è
congeniale, a Carlo Chionne sarebbe impossibile, a mio avviso,
comporre esegesi come quelle da lui espresse per Michela Turchi,
Antonia Scaligine, e Aurelia Tieghi, anche nel mio caso. Le mie
poesie sono infatti elementari, da sillabario direi. In esse mi
esprimo come mangio, o se preferite, come rutto, con i soggetti
che fanno i soggetti, i complementi che fanno i complementi, e i
verbi che fanno disciplinatamente i verbi.
Se in esse piango, le lacrime si vedono scorrere, se rido o
sghignazzo, non v’è dubbio alcuno; se faccio l’amore, è opportuno
che vi scostiate: potreste restare coinvolti. In tutti i casi, le
mie poesie sono deplorevolmente e irrimediabilmente chiare.”
All’amico Lucio ho inviato la seguente mail:
Caro Lucio, ho letto
l'ultimo tuo intervento in poetare e ne sono rimasto
perplesso: "forse poesia vuol dire ellitticità, ardimenti
semantici e,
soprattutto, irrilevanza concettuale..." dici confrontando le tue
poesie con
quelle cui Chionne dedica peana, più o meno condivisibili.
E la mia perplessità deriva dal fatto che le prime due
caratteristiche che
elenchi in effetti sono presenti sia nelle poesie che nella
pittura che nella
musica (cito nell'ordine: Petrarca e Ungaretti, Mondrian e Piero
della
Francesca, Mozart e Stravinsky. In ognuna delle loro opere c'è
quella
"sezione aurea", di cui abbiamo parlato ieri, e deriva da quegli
ardimenti
semantici e da quelle ellitticità. Eppure sono così diversi, così
distanti,
così amati o rifiutati.
Ma c'è quella terza caratteristica che ci riporta al senso di un
opera d'arte:
ma è possibile che chiunque si accinga a comporne una, lo faccia
in assenza di
"rilevanza concettuale"? Significherebbe produrre il nulla
partendo dal nulla,
volendo il nulla.
Non è più vicino alla verità pensare che il termine "concettuale"
sia qualcosa
(e non solo nell'opera d'arte) di talmente personale da poter
essere non inteso
da chi ne fruisce? Variabile nel tempo e nello spazio, cultura per
cultura.
E qui torniamo alla domanda di fondo: che cosa è l'opera d'arte ?
E,
proseguendo, a chi ed a che deve servire? Hai una risposta certa a
queste
domande?
Nelle tue poesie ci sono ardimenti semantici, ellitticità e
rilevanze
concettuali. E non sempre sei cristallino, così come, a tuo dire,
sarebbe un
ingegnere.
Non ti confronterò mai con la deliziosa Michela Turchi, né con
Antonia Scaligine
né con Aurelia Tieghi, per quanto molto le apprezzi.
E, se mi permetti un suggerimento, vai avanti per la tua strada,
inonda la
pagina della tua rabbia, dei tuoi rimpianti, del tuo amore, della
tua
impulsività. Usa la metrica, se può sottolineare meglio ciò che
vuoi (o devi)
esprimere o scordatene e lascia che sia il ritmo (che hai dentro
sempre) a
sottolineare il tuo sentire.
E' l'artificiosità che rende falsa l'opera d'arte, non la
spontaneità.
Mi auguro e ti auguro che quelle poesie che hai inviato a Crocetti
ed Aletti
abbiano il successo che meritano ed un eventuale risposta positiva
varrà
certamente molto di più di qualsiasi commento, da qualsiasi parte
provenga.
Ma anche se non ci dovessero essere riscontri sappi che la tua
presenza nel
sito (e credo non soltanto in Poetare) ne ha, e di molto, alzato
la qualità.
Buona notte Lucio. A domani.
Vale
Piero
E questa la sua risposta:
Caro Piero,
io ho affermato per negare, perchè - ovviamente - sono certo che
poesia non
vuol dire certamente nè ellitticità, nè ardimenti semantici tout
court,
anche se essi sono permessi e più che accettabili in un contesto
più vasto e
più comprensibile. E inoltre, bada bene, non ho affatto contestato
con le
mie parole i versi della Turchi o delle altre due. Le ho solo
prese ad
esempio. Di una cosa sono certo, e cioè che la poesia non sia
irrilevanza
concettuale. E ti assicuro che quando c'è, me ne accorgo subito, e
interrompo un'inutile lettura.
Non ravviso irrilevanza concettuale in Petrarca nè in Ungaretti,
che adoro,
e meno che mai in Mozart o Strawinskji. Se poi prendi il mio
intervento come
una reazione ad attenzione riservata ad altri, ti sbagli. Mi sono
limitato
ad osservare che quando c'è da rimestare nel torbido, tutti sono
buoni,
perchè la mancanza di chiarezza è sempre stata di aiuto sia ad
autori, sia a
critici, senza scrupoli.
Il termine "concettuale" è pervaso di una pericolosa tentazione:
quella
della soggettività. Ed è in nome di questa soggettività che
un'opera d'arte
è dichiarata comprensibile, o non è comprensibile nei confronti di
un
fruitore impreparato. Quanto deve essere universale il linguaggio
d'un'opera
d'arte? Quanto deve essere preparato un fruitore per accostarsi ad
essa, e
comprenderla? Dov'è la linea di confine "omologata", dov'è la Dead
Zone? La
Gioconda, chi cazzo la capisce? Io la capisco, e lo so, ma è
lecito che non
la capisca un ciabattino, o un Berlusconi qualsiasi? Perchè la
Gioconda è
un'opera d'arte? chi lo dice?
E ora rispondo, con vera passione, alla tua domanda principale: a
che serve
un'opera d'arte? A niente, caro Piero, un'opera d'arte non serve a
niente.
Non giustifica la passione dei collezionisti, nè l'incantato
disorientamento
di Stendahl. Non giustifica il museo degli Uffizi, nè i furti dei
generali
tedeschi. L'opera d'arte è soltanto una masturbazione, un sistema
per
procurarsi un piacere da soli. Tanto meno è patrimonio di una
nazione, d'un
museo, o d'una città. Il Davide di Donatello non vale il bronzo in
cui è
stato fuso. Convincitene.
Apprezzare un'opera d'arte è la sintesi di una comunicazione
diretta tra chi
l'ha creata e te che ne godi. Quindi è masturbazione, e basta. ho
provato
uguali sensazioni guardando una ragazza che si eccitava da sola
dinanzi ai
miei occhi. La stessa, identica cosa.
Sai una cosa? Vorrei che tu riportassi questo colloquio tra te e
me nei
commenti, così come è, come mi hai scritto e come ti ho risposto.
Vale
Lucio
E quel che segue sono le mie considerazioni su quanto sopra
esposto:
Caro Lucio recentemente
Renzo Montagnoli mi ha chiesto un'intervista
(immeritatamente). Ad una sua domanda su cosa sia l'arte
ho risposto che si tratta di outing, è esibizionismo puro.
Il nostro guardare all'arte converge soltanto su questo punto.
Ma non riesco ad accettare il tuo nichilismo. Non riesco a pensare
al Don
Giovanni o al Flauto magico come a qualcosa di inutile e di
esibizionistico.
C'è ben altro.
Hai una visione distruttiva di questa attività dell'uomo. Non solo
ma per
fruitori dell'arte accetti soltanto coloro che, attrezzati
culturalmente, la
possono intendere. Insomma, nella pittura, saremmo rimasti
all'arte canonica
dei "pompiers", scordando gli impressionisti ed il loro intento di
universalizzare la pittura.
Credo che per arte si debba intendere un modo di comunicare,
soprattutto
sentimenti ma anche nuove ricerche, sperimentazioni. E questo vale
per ogni
forma d'arte.
Mi piacerebbe editare questi nostri scambi, probabilmente lo farò
in
dibattiti, dopo avere attentamente riletto il tutto.
Buon giorno Lucio. E' ora di un doppio caffè.
Vale sempre.
Piero
Resto
in attesa di tuoni e fulmini. Ma so che questo tipo di scambi di
opinioni possono soltanto rendere più profonda ed apprezzabile una
reciproca conoscenza ed un’amicizia.
Piero Colonna Romano
a questo indirizzo, a questo URL di www:
rimando a tutti coloro che storpiano parole e le chiamano
poesie. Spero che presto abbiano a lamentarsi di artrite alle
dita, e paralisi cerebrale.
Lucio Cornelio
14/12/2012
CONSIDERAZIONI SULL'EDITORIA A PAGAMENTO
Cari amici vi riporto
un dialogo che ho avviato con una mia amica su Facebook che ho
ritenuto di socializzare con tutti voi. Come ho spiegato a
Lorenzo, purtroppo, non avrò tempo a seguire l'eventuale contro
dibattito e spero capirete. Risponderò appena leggerò (visto che
spesso non leggo neppure i Commenti alle poesie) e potrò.
Ho soltanto voluto
socializzare questa discussione perché penso sia un argomento
abbastanza attuale soprattutto per coloro che spesso ricevono
"proposte editoriali" di case editrici che promettono mari e monti
quando alla fine il risultato è sempre inferiore ad uno stagno e
ad un terrapieno!
CONVERSAZIONE
DELL'8.12.2012 CON UNA AMICA SU FB
Amica
Salve, Armando!!
Vorrei segnalarti l'antologia "I poeti contemporanei", pubblicata
sia in e-book che in cartaceo.
www.amazon.it/I-Poeti-Contemporanei-40-ebook:
"I poeti
contemporanei" Casa Editrice Pagine Antologia di 13 Autori
disponibile in e-book su Amazon.it. Sinossi. La modernità comporta
velocità ed estensione: si arriva in un baleno a tante persone,
nei luoghi più diversi e lontani. Può rifiutarsi a questo la
poesia, tenuta così a lungo appartata? Ma la poesia ha per sua
natura la grazia di darsi a ognuno, di condurlo nell'altrove della
parola destinata a durare e del pensiero che rende chiari e colmi
i giorni della vita. Così, in questi libri in cammino, nei loro
versi, nelle loro frasi, troveremo il molto che ci portavamo
dentro inespresso, la vicinanza di chi rivelandosi ci rivela a noi
stessi. E daremo voce a sentimenti che fremevano dietro mura di
silenzio, traverseremo mondi che ci appartengono e che mai prima
avevamo nemmeno intravisto. Ognuno di questi libri nasce come un
bene comune e un avvio". Elio Pecora
Salvatore Santoro
Ho incontrato Elio Pecora qualche anno indietro ad una serie di
incontri promossi da Maria Luisa Spaziani presso la Biblioteca
della Camera dei Deputati in via del Seminario a Roma. Ti dirò che
questo autore non mi entusiasma più di tanto. La casa Editrice che
sponsorizza mi sembra troppo "commerciale", come se ne trovano
tante in giro sui portali letterari, ed io penso che se uno
dovesse diventare famoso lo diventerà anche se pubblica con una
piccola casa editrice a prezzi sicuramente più contenuti!
L'editoria gratuita ormai ce la sogniamo! I grandi editori del
passato che rischiavano per far decollare qualche bravo autore
ormai non ci sono più. Le mie poesie fossero anche stilisticamente
perfette oggi nessuno le pubblicherebbe gratis.
Amica
Mi dispiace che hai avuto un'impressione negativa... Che
dire...? A me, per caso, è stata proposta quest'antologia e ho
trovato conveniente accettare. L'ho fatto così, con semplicità,
perché non aspiro a pubblicare ad ogni costo: se capita, se mi si
offre l'opportunità e non ci rimetto niente, ben venga, altrimenti
sono contenta lo stesso. Ciò che conta, per me, è sforzarmi di
scrivere bene. Sono piuttosto esigente: scrivo e riscrivo molte
volte i miei testi, per avvicinarmi il più possibile
all'intenzione, all'idea che ho in mente. (Altrettanto esigente
sono con i testi che mi capita di incontrare, per esempio, proprio
qui su Facebook...). Ma, in definitiva, quello che mi sta
veramente a cuore è la Poesia, ciò che mi appaga è leggere e
riuscire a comprendere i grandi Poeti, perché soltanto le loro
parole possono aprirmi grandi orizzonti.
Salvatore Santoro
Il mio problema è che credo poco alle società editrici che
fanno troppa pubblicità su giornali ed in rete (e la pubblicità
costa e qualcuno innocentemente paga) e propongono "proposte
editoriali" con tanto di promesse di diffusione i cui risultati
alla fine sono sempre scadenti ed all'autore non aggiungono nulla
di quello che è già. I grandi poeti sono morti tutti di fame tra
l'indifferenza generale. Solo dopo cent'anni che sono morti si
scoprono le loro qualità e si sprecano recensioni e critiche nel
loro nome e si pubblicano i loro scritti che alla fine non danno
il pane che serviva loro quando erano in vita ma solo lustro OGGI
a chi li pubblica che, in genere, non lo fanno a gloria del
defunto poeta ma dei loro affari. Guarda la raccolta di volumi da
poco pubblicati da "Il Sole-24 Ore" di grandi poeti come Mallarmé,
Apollinaire, Rimbaud, Oscar Wilde (che ha assaggiato anche la
galera in quanto "diverso"), ecc..., poeti morti tra
l'indifferenza generale ed in miseria nera. Ecco perché non credo
a queste case editrici ed a chi tanto le diffonde. Ma credo,
invece, a case editrici come La Terza che ancora cerca di fare
l'editore di vecchio stampo scoprendo cervelli e pubblicando senza
proporre "contratti favolosi" e certo di sopportare i costi
dell'insuccesso dell'opera pubblicata. Credimi, le vecchie case
Editrici (la ex Mondadori ad esempio) non esistono più. Dietro non
c'è più la cultura ma l'interesse. Ecco perché io pubblico in
proprio ed alla fine sono più i libri che regalo di quelli che
vendo e non mi fascio la testa per quello che pubblico che,
credimi, non è tutta spazzatura, solo che pochi oggi capiscono la
bella poesia e per bella intendo quella classica e quella in rima
che ha le sue regole ed i suoi ritmi e che pochissimi autori
intendono ed apprezzano. A scrivere si è tutti capaci. Basta
prendere la penna. Ma a scrivere bene, credimi, non è altrettanto
facile ed io mi ritengo un dilettante allo stato puro perché
appena apro un libro di analisi poetica e leggo le prime pagine mi
accorgo della mia abissale ignoranza in materia letteraria.
Insomma, ti
chiederai, ed allora che voglio? Io proprio nulla. Spero solo che
non mi sia impedito di continuare a scrivere. Intanto scrivo e
diffondo emozioni e sentimenti. Può darsi, anzi senza può darsi,
che quei temi siano già stati toccati da altri, ma io mi sforzo ad
introdurvi un tocco di novità. Se ci riesco. Altrimenti pazienza.
Dato che in quel momento provo quelle emozioni scrivo lo stesso e
per me è una gratificazione, che aumenta se in rete trovo qualcuno
che riesce ad emozionarsi per quello che ho scritto. A me basta
così sicuro che morirò quello che sono, ma felice di aver seminato
una emozione "nei campi del mondo" come dice la poesia in apertura
del mio portale
www.circoloculturaleluzi.net.
Ed allora qual è il
mio messaggio finale? Scrivere, Scrivere, Scrivere e poi
pubblicare in proprio e quel poco che ci serve senza impegnarsi
con migliaia di copie che fanno a finire al macero o sulle
bancarelle degli ambulanti ad un decimo del costo di stampa (che
noi abbiamo pagato) e senza la certezza neppure che siano venduti
sottocosto. Purtroppo i sentimenti non hanno mercato, ma sono
ricchezze per chi li possiede. Ecco perché scriviamo.
Ti abbraccio.
Salvatore Armando Santoro
12/12/2012
Addio, Monti sorgente dalle banche,
tassi elevati al cielo; fidi inuguali, noti a chi è cresciuto tra
noi, e impressi nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de'
suoi piú familiari; conti correnti, de' quali si distingue lo
splash, come il suono delle voci domestiche; addio! Quanto è
tristo il passo di chi, pasciuto tra voi, se ne allontana ...
Alessandro Gus
10/12/2012
Con
Tremonti, Monti, Montezemolo e Monte de'
Paschi, quanti altri monti di pegno dovremo aprire
per depredare la povera gente?
Gus
6/12/2012
"La
democrazia è un controsenso, perchè ne capiscono il valore
solo pochi aristocratici del pensiero".
Gus
29/11/2012
“C'è del marcio in Danimarca”
Gli imbecilli “siamo” molti di più. Io non ho votato, potendolo,
avendo maturato la convinzione dell'assoluta insignificanza del
voto espresso da chicchessia per scegliere il “premier” più adatto
alla situazione politica, economica e sociale, al momento della
consultazione. Quale capacità di giudizio, quale cultura, quali
informazioni, possiede il “chiunque” voti tizio o caio per
valutarne i meriti? In milioni: si formano l'idea attraverso i
media, e basta. L'americanata televisiva è stata un successo,
certo, ma non sposta di un millimetro il concetto che cerco di
esprimere avanti. La democrazia: in milioni sono convinti che sia
essenzialmente votare ma, come saprete, non è così. I contrappesi
legali e leali, sempre, sono il vero senso della Democrazia.
Quindi? Sono 60anni, o giù di lì, che eleggiamo
“democraticamente”, con leggi confezionate da coloro che dovevano
essere eletti, il cui interesse, lasciatemi la malizia è,
prevalentemente, salvaguardare la propria posizione. Non è
possibile accettare di essere governati da coloro che hanno, o
avranno, il potere di stabilire come sceglierli. Le leggi, tutte,
debbono contenere principi egualitari e non possono essere stilate
in presenza di conflitto tra le parti, neppure quando cercassero
accordi di comodo, che evidenziano, come sta accadendo, la ricerca
di formule che non danneggino alcuno di loro. “Cambiare perché
nulla cambi” (disse T. di Lampedusa - più o meno). Non c'è
soluzione? Si che c'è. L'onestà intellettuale che manca nella
classe dirigente – in senso lato – nel nostro Stato. Le leggi le
elaborino esperti con spirito costituente, avendo come fine il
benessere generale della polis. Siccome non è stato, non è e non
sarà, “mi siedo sulla sponda del fiume e aspetto che passi il
cadavere del mio nemico”. Lo porti Beppe Grillo o Robespierre m'è,
ormai, indifferente.
Ringrazio chi ha introdotto, ampliato e/o arricchirà, la
discussione.
Bruno Amore
Caro Armando, non volevo di certo
offendere nessuno, ma limitarmi a dire che secondo me il nostro
capo dello Stato, non darà mai l'incarico ad uno come Vendola,
Bersani o Renzi, ma dopo Monti ci sarà solo Monti. E' questa una
mia previsione, se pur opinabile.
So bene che libertà è partecipazione, ma di questi tempi, credimi
faccio fatica a credere che ci sia un briciolo di democrazia...
A proposito che ne pensi del nuovo porcellum e del fatto che
vogliono fare una legge contro il Movimento 5 stelle?
Per quanto riguarda la poesia ti ringrazio del consiglio, la
correggo in questo modo: su moneta c'era scritto/quant'è bello
pesce fritto/e magar ti prend' un colpo/ se con patate come un
polpo.
Caro Armando, che fine faranno i sette milioni di euro raccolti?
Si pagheranno le tasse su essi? Chi ha dato l'obolo
potrà essere multato per non aver chiesto lo scontrino?
Ti saluto cordialmente. Gabriele
28/11/2012
Sono un imbecille
Mi dispiace proprio che la
prima volta che commento qualcosa di Renda debba farlo in negativo.
E mi riferisco alla sua poesia, “Tre milioni
di imbecilli”.
Tra quei tre milioni (e mezzo) di imbecilli ci sarei stato anch'io,
caro Renda, se mi avessero permesso di votare. Non l'ho potuto fare
perché non ero residente in Toscana e, quindi, il mio voto non l'ho
potuto esprimere. Ma se mi avessero permesso di farlo avrei votato,
avrei dato volentieri il mio obolo e la mia preferenza sarebbe
andata a Vendola, un poeta che almeno è una persona seria e sta
dimostrando di sapere ben governare nella sua Regione, dove ha
conquistato una marea di consensi.
Non c'entra il premierato, caro Renda. Lo sappiamo tutti bene che il
nostro sistema costituzionale non prevede questa figura, ma esistono
delle procedure per la formazione del Governo che il Capo dello
Stato poi dovrà seguire, ed in genere segue, nel momento in cui
dovrà conferire ad un premier l'incarico per formare il nuovo
governo. Di fronte ad una consultazione che esprima una certa
volontà popolare, il Capo dello Stato non può far finta di non aver
visto o sentito nulla. Quindi questa consultazione, in caso di
esisto positivo nelle prossime elezioni per la coalizione di
centro-sinistra, servirà per fornire una indicazione molto chiara al
capo della Repubblica del personaggio politico a cui affidare
l'incarico per la formazione del nuovo governo. E questa scelta
chiaramente può essere influenzata dalla volontà che quei tre
milioni e mezzo di imbecilli che hanno espresso in una consultazione
sicuramente democratica una indicazione ben precisa della
personalità che riscuote la loro fiducia.
Perciò, scusami, non si può
banalizzare, come hai fatto tu, il significato di questa
consultazione popolare perché in questo modo stai offendendo una
larga parte di elettorato che io non mi sento di considerare
imbecille per il semplice fatto di essersi messo in coda con
pazienza per votare ed alla fine anche per pagare. E meno male che
questa volta nessuno ha pagato per loro e la mafia è rimasta fuori
dai giochi. E questo è un fatto positivo o no?
Caso mai dovremmo essere contenti, tutti, che si stia verificando un
recupero di credibilità del popolo verso un gruppo di partiti e
valutare positivamente l'affluenza al voto come una forma di
risveglio collettivo che sta maturando sulla scia di una serie di
proteste e di proposte, più o meno condivisibili, di come dovrebbe
essere gestita la cosa pubblica e di come dovrebbero funzionare gli
apparati politici italiani.
Io la leggo così. Per me è una forma di democrazia di base che
fornisce una indicazione ad un gruppo dirigente per la scelta di un
candidato a capo di una lista di coalizione di partiti, a volte
anche con idee e programmi diversi ma non opposti, che si
coalizzano, rinunciando ad un pezzo di identità propria, per cercare
di dare un governo diverso e nuovo al paese alle prossime
consultazioni elettorali.
Mi dispiace per il tuo commento
impietoso. Un poeta ha anche la funzione di pungolare ma non di
sminuire e svalorizzare certe iniziative popolari. Caso mai ha un
ruolo di grillo parlante criticando le cose che non vanno bene ma
proponendo qualcosa di nuovo per farle funzionare meglio. Tu ti sei
limitato a criticare senza nulla proporre ma in questo modo rischi
di cadere nel qualunquismo.
Credo nei partiti e nel loro ruolo,
che è insostituibile in una società complessa come la nostra. La
democrazia di piazza non regge e non reggerà mai e spesso sfocia
nello scontro e lascia ai soliti quattro noti il compito di
risolvere i problemi. E spesso la democrazia di piazza genera
confusione e inevitabilmente porta anche alla guerra civile
costringendo ed invitando poi qualcuno a ristabilire l'ordine e
l'esperienza del passato dovrebbe insegnarci tante cose in quanto
dalla confusione si esce sempre con un governo forte che, guarda
caso, non ha mai fatto gli interessi dei ceti popolari ed in parte
questa situazione è già oggi sotto gli occhi di tutti.
Che vogliamo fare? Sollecitarla?
Ben vengano, dunque, forme di
partecipazione popolari che diano indicazioni
per tentare di uscire dalla confusione in cui stiamo piombando ed
evitare danni maggiori al paese ed ai lavoratori che sono la
maggioranza dei suoi abitanti e che dalle involuzioni dei sistemi
democratici hanno sempre pagato il prezzo più alto.
E visto che nel portale parliamo
anche di poesia ti segnalo la 5.a quartina della tua poesia va un
po' risistemata perché il ritmo non quadra.
E questo penso che sia un punto che
ci troverà tutti e due d'accordo e sarà già qualcosa.
Cari saluti
Salvatore Armando Santoro
Tre milioni d’imbecilli
Tre milioni d’imbecilli
senza testa e forse brilli
con un obol nella mano
ma gli sembra un’aeroplano.
M’anche oggi non si vola
gli angioletti han la pistola
la pistola è sulla nuca
mentre balla il tuca-tuca.
Con due euro o forse meno
compri un etto di veleno
e puoi far cosa gradita
se un po’ stufo della vita.
A Milano un panettone
a Torino un nocciolone
e giù in Puglia la focaccia
in Toscana la Vernaccia.
Su moneta c’era scritto
“democrazia è un diritto”
di nobil arte anche un colpo…
e con patate come un polpo.
Tre milioni d’imbecilli
con in testa solo grilli
con un obol nella mano
tra un gazebo ed un banano…
Renda Gabriele
18/11/2012
Sproloquio sui Carmina Burana:
Noto con vivissimo piacere che
l’amico Lucio, dando prova di intelligenza acuta e (tuttora)
vivace, ha cambiato opinione circa il brano da me suggerito alla
lettura. Se in prima battuta vi fu ironia, ad un suo più attento
esame (nella versione in lingua latino/tedesca) il suo commento
diviene fonte di plauso, in particolare per il ritmo dei versi.
Me ne compiaccio, ribadendo, ancora
una volta, che nelle traduzioni, anche le più rigorose, gli
originali perdono freschezza, ritmo e, spesso, persino senso.
Ciò detto avviso i naviganti: al prima accenno di sbadiglio si usi
il telecomando.
Appassionate ricerche filologiche su
di un manoscritto del XII secolo, ritrovato in un monastero del
Baden ed oggi conservato presso la Munchen, Bayerische
Staatsbiblioteke, hanno consentito all’elegante e ottimo
compositore e direttore d’orchestra Carl Orff, nel 1937 e,
successivamente, ad altri compositori e direttori d’orchestra
(buon ultima Bettina Hoffmann) di mettere in musica quel che già
ai tempi della sua formulazione era poesia messa in musica.
L’enorme difficoltà, per chi volle
fare rivivere quella composizione, derivò dal fatto che le note
presenti nel manoscritto erano prive dell’altezza e della durata.
Lascio immaginare l’immane lavoro di confronto, con altre simili
composizioni di quell’epoca, per arrivare a ridargli una veste
musicale. Orff ne fece il suo capolavoro, spesso utilizzato quale
colonna sonora di film aventi per tema l’epopea carolingia o il
leggendario re Artù.
Ma tutto ciò che c’entra con la
poesia?
A mio avviso c’entra e molto, per i
seguenti motivi:
Torniamo indietro a quei fantastici
XI e XII secolo. Siamo in Francia che, come noto, era divisa
culturalmente in due regioni: quella del sud -Aquitania e
Provenza- (langue d’oc) dove prevaleva la poesia trobadorica che
narrava d’amor gentile e galanterie (fin d’amor). Amore che si
realizzava (ma nella maggior parte dei casi solo idealmente)
rigorosamente al di fuori del matrimonio, tra un lui menestrello
ed una lei d’alto lignaggio.
Sentire, atteggiamenti e stile
ereditati poi dal nostro dolce stilnovo, con annesse donne
angelicate,
Dominava la scena poetica Guglielmo
IX d’Aquitania, zio della colta e spregiudicata Eleonora, la due
volte regina (prima di Francia con Luigi VII –che la ripudiò per
eccesso di… vivacità sessuale- poi di Enrico il Plantageneto, re
d’Inghilterra col numero II).
Ed appunto Eleonora (e le sue due
figlie Maria ed Elaise), nel nord della Francia –langue d’oil-
(Normandia, Piccardia, Champagne e sconfinamento in Germania) aprì
la sua corte a poeti che, a differenza dei trobadori del sud,
cantarono le gesta eroiche dei cavalieri di re Artù (ciclo
bretone) e del ciclo carolingio. Qui prevaleva l’epico, il
fantastico, la forza, la generosità, il senso cavalleresco della
giustizia, il mito e la leggenda (ad es, Sigfrido).
Dell’amore, del fin d’amor, manco
l’ombra.
Ma le contaminazioni sono
inevitabili e ci pensarono i chierici vaganti a mescolare il
tutto. Questi erano i personaggi più colti che la chiesa avesse
formato. Depositari della cultura classica e delle interpretazioni
a questa data dai “padri” della chiesa, si diffusero in tutta
Europa, seminando il loro sapere.
Ma, assieme a questo, avevano la
consapevolezza che, se inattaccabile era la fede, attaccabilissimi
erano i gestori della stessa. In altri termini ce l’avevano a
morte con le corrotte gerarchie ecclesiastiche e col monopolio
monastico sull’istruzione.
Nasce così il movimento dei Goliardi
(questo il nome di quella corrente culturale) che si dedicò oltre
che ad ampliare la platea dei colti, con l’istituzione delle prime
università laiche, anche alla ricerca di documenti che
contenessero la volontà di comunicare, raccontare, divertire,
istruire, ammonire. Rivolgevano i loro canti poetici ad una platea
colta con questo raffinato mezzo di comunicazione, sentendolo
quale dovere davanti agli uomini ed a Dio.
I Carmina Burana sono la raccolta di
circa 200 di tali documenti suddivisi in quattro sezioni: Carmina
versis et amoris, Carmina potatorum, Carmina moralia e Carmina
divina e gli argomenti spaziano dall’erotico, al ludico, al
moraleggiante, al divino.
Angelo Rusconi, presentando una
splendida versione discografica dei Carmina (Modo Antiquo diretto
da Bettina Haffmann) così li commenta: “Certamente può apparire
più suggestivo, ad esempio, sottolineare gli aspetti ludici e,
almeno apparentemente, scanzonati: non vanno però dimenticate
l’aperta polemica contro la corruzione delle istituzioni laiche ed
ecclesiastiche e la rilevante presenza di poesie religiose,
perfettamente ortodosse. Peraltro, nelle stesse poesie giocose,
dietro le espressioni forti, irriverenti, scurrili, realistiche,
si proietta talvolta non soltanto lo spirito del divertimento e
della trasgressione ma anche la disperazione interiore. Nel vino,
nel sesso, nel gioco, si stordisce lo spirito che ha perso ogni
illusione: tutto è inganno, corruzione, menzogna. Le vicende dei
viventi sono governate dal caso cieco e dalla fortuna.”
E prosegue: “In proposito, gli
autori delle poesie raccolte nel manoscritto di Benediktbedern,
rivelano la loro appartenenza a ceti di alto livello culturale. La
ricchezza della versificazione, la copia delle citazioni e delle
allusioni alla letteratura classica e religiosa, la ricercatezza
del lessico e il talora sovrapporsi delle immagini, rivela, senza
ombra di dubbio, che questa non è poesia popolare. Si tratta di
una produzione i cui autori sono in possesso della più raffinata
cultura contemporanea, sia in lingua latina sia in volgare.”
I Goliardi, il movimento
intellettuale al quale si attribuisce gran parte dei Carmina
Burana, nascono proprio dal rinnovamento sociale e culturale del
XII secolo e , di questo, sono importante soggetto catalizzatore.
E veniamo alla poesia/canto “Ich was
ein chint so wolgetan”: l’immagine della donna, ed il rapporto che
con lei si ha può avere, vedono o un individuo di ceto inferiore
(servo, paggio o/e menestrello) che dichiara, con poetico canto,
il suo amore, la sua devozione, la sua sottomissione, ad un
irraggiungibile donna nobile, colta, ricca e, ovviamente, bella
oppure, mutatis mutandis, un lui ricco ed arrogante che concupisce
una donna di bassa estrazione sociale (servetta, pastorella,
lavandaia) ottenendola con l’inganno o la forza.
Questo secondo caso è descritto
nella poesia proposta alla lettura.
Per concludere, il movimento dei
Goliardi costituisce un importante snodo culturale che riassume la
poetica delle lingue d’oc e d’oil e dà impulso alla successiva
produzione letteraria dell’intera Europa dal XIII secolo. I
Carmina Burana sono l’esempio più luminoso del suo operare.
Piero Colonna Romano
16/11/2012
su I Carmina Burana:
Caro Piero,
l’italiano odierno non si addice alla ballata che ci hai offerto,
proprio come Milano, vecchia signora un po’ sfatta, non si addice
al pieno sole, ma ha bisogno di celarsi sotto un velo di nebbia
discreta. La trascrizione originale della ballata
Ich was ein chint so wolgetan
è bellissima ed evocativa, e la immagino cantilenata da monaci e
goliardi scostumati, in coro e con le tonache sollevate. Il ritmo
è assolutamente trascinante:
Ich was ein chint so wolgetan
virgo dum florebam
do brist mich diu werlt al
omnibus placebam
ohimè
maledicantur thylie
iuxta viam posite
Ia wolde ich an die wissen gan
flores adunare
do wolde mich ein ungetan
ibi deflorare
ohimè
Er nam mich bi der wizen hant
sed non indecenter
er wist mich diu wise lanch
valde fraudulenter
ohimè
Er graif mir an daz wize gewant
valde indecenter
er fuorte mich bi der hant
multum violenter
ohimè
Er sprach frowe ge wir baz
nemus est remotum
dirre wech der habe haz
planxi et hoc totum
ohimè
Iz stat ein linde wolgetan
non procul a via
da hab ich mine herphe lan
timpanum cum lyra
ohimè
Er graif mir an den wizen lip
non absque timore
er sprah ich mache dich ein wip
dulcis et cum ore
ohimè
Er warf mir uof daz hemdelin
corpore detecta
er rante mir in das purgelin
cuspide erecta
ohimè
Er nam den chocher unde den bogen
bene venabatur
der selbe hete mich betrogen
ludus compleatur
meravigliosa.....
Lucio Cornelio
14/11/2012
Riflessioni sul sonetto La Roccia di Giorgio
Valdes
Mi piacerebbe azzardare “sommessamente”, con il suo permesso e
salutandolo cordialmente, alcune varianti :
Questo il sonetto:
Ancora il gregge guidi sulla sfera
nell'inverno che piano il cuore cinge
con le spine e l'affanno della sera
che di rosso le stanche membra tinge.
È tremula la tua voce che spera
nell'amore che salva sana e stringe
con un soffio di pace pia e leggera
che rialza chi all'eterna fonte attinge.
Sono curve e tremanti le tue mani
ed accogli ogni santa prova e pena
cercando vie e orizzonti ampi e lontani
e scorgi nella croce luce piena
fonte unica di pace e del domani
àncora e stella di salvezza amena.
e questi i ritocchi che propongo:
verso 5: è tremula la voce tua che spera
verso 9: curve e tremanti sono le tue mani
verso 11: vie cercando, e orizzonti ampi e lontani
verso 12: e nella croce scorgi luce piena
a parer mio queste piccole variazioni migliorano la musicalità e
la comprensione istintiva della poesia. Che è comunque molto
bella.
Cordiali saluti
Lucio Cornelio
Al termine di studi faticosi e molto
approfonditi, non resta ormai alcun dubbio che i Carmina
Burana altro non furono che un sito di poesia ante litteram. Tra
le prove più convincenti dell’asserto figura senza alcun dubbio la
ritrovata incisione, sul legno dell’organo del Monastero di Bura,
della seguente frase, rimasta misteriosa per secoli:
www.codex_buranus.de
inoltre i manoscritti sono tutti attribuibili a scrittori diversi,
come si desume dalle evidenti differenze tra un palinsesto e
l’altro, e dalla presenza di opere di valore letterario molto
vario, dalle più elevate, permeate da evidente ispirazione
mistica, alle puttanate vere e proprie. Campeggia nelle numerose
prove documentali la figura di Goliath DeNinus Episcopus, cui –
non si sa per quale misteriosa ragione, i Goliarden tributavano
ripetuti melensi omaggi, alla fine di ogni opera.
Le ricerche sono tuttora molto attive, e non dubitiamo che esse ci
riserveranno ulteriori interessanti testimonianze.
Lucio Cornelio
13/11/2012
Sono certo che questa frivola e goliardica storiella darà la
stura a considerazioni colte e profonde. Il periodo in cui è nata
è preludio alla successiva poesia italiana, a partire dalla Scuola
Siciliana. Dante è di là dal venire.
Ich was ein chint so wolgetan
Ero una ragazza tanto carina
quando fiorivo nella mia verginità
tuto il mondo mi lodava
e piacevo a tutti
Ohimè!
Volli andare sul prato
per cogliere dei fiori
quando un brutto sfacciato
volle prendersi il mio bel fiorellino
Ohimè !
Mi prese per la bianca mano
-ma non indecorosamente-
e mi portò con sé lungo il prato
-molto furbescamente-
Ohimè !
Mi toccò il mio vestitino bianco
-piuttosto indecentemente-
e mi portò via con la mano
-molto violentemente-
Ohimè !
Egli disse: "Andiamo donna,
che il bosco è lontano."
Ah come odio questo sentiero!
Come mi son pentita di tutto ciò!
Ohimè !
"Laggiù non lontano dal sentiero
c'è un bel tiglio:
là ho lasciato la mia arpa
il mio tamburo e la mia lira."
Ohimè !
Quando egli giunse al tiglio
Disse: "sediamoci."
L'amore lo incalzava.
"Facciamo un gioco!"
Ohimè !
Mi toccò le bianche membra
-non senza timore-
e mi disse: "Ti faccio diventar donna.
com'è dolce la tua bocca!"
Ohimè !
Mi tirò su la camicetta
scoprì il mio corpo
e irruppe nel mio castelletto
con la sua cuspide eretta.
Ohimè !
Poi prese l'arco e la faretra
e, dopo avere ben cacciato,
mi disse (proprio lui che m'aveva ingannata):
"Ora il gioco è finito."
Ohimè !
Uno dei Carmina Burana - il supporto
cartaceo del qui presente canto (ovviamente in latino
germanizzato, lingua romanza se si vuole) è esposto presso la
Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze
Proposta per la discussione da Piero Colonna
Romano
L’intervento di Piero è una interessante
fonte di notizie biografiche e di valutazioni estetiche.
Non posso non concordare con le osservazioni che muove, sul nostro
D’Annunzio.
Ma sono più prudente nel perseverare sulla condanna di narcisismo,
che si fa incombere sempre, incessantemente, sul personaggio e
sulla sua produzione letteraria e civile. Come se non ci fosse
null’altro.
E, inoltre, pur sapendo che “decadente” è un termine tecnico che
attiene a un certo stile di poesia in un certo contesto, nessuno
mi toglie dalla testa che esso viene usato per autocompiacimento,
come un sasso scagliato, per bollar qualcuno di qualcosa di
indistinto e, tutto sommato, di stantio e ripugnante.
Se io fossi D’Annunzio, replicherei: “Decadente sarai tu e tua
sorella...! “
Lucio Cornelio
Su “Alla Nutrice” di G. Rapagnetta:
“Amare se stessi è un idillio che
dura tutta una vita”. Pare fatto su misura per il nostro Vate,
questo aforisma di Wilde.
Rapagnetta si chiamava, quasi fosse
un becero personaggio delle commedie del Beolco e, per uno
attentissimo alla propria immagine pubblica, ciò era
insopportabile.
Ma pure “Gabriele”, l’arcangelo
dell’annunciazione, era il suo nome. E così, con somma modestia,
ritenendosi unto da Dio e portatore di luce e della buona novella,
cercò rimedio a quell’esser Rapagnetta.
Non si conoscono le notti insonni ed
i tormenti (ed il grande barzellettier/comunicatore era di là da
venire!) che soffrì l’esteta, l’esule, il sovrauomo, il dux
conducador ed, infine, il desaparecidos per trovare altro più
adeguato second name.
Sembra abbia iniziato con lo
scegliere un “Dell’Annunciazione” e poi “Dell’Annunziata”. Scartò
entrambi, lui fervente laico, affascinato dal classicismo
grecolatino.
Un improvvisa illuminazione, alfine,
gli fece pensare che lui, e lui soltanto, poteva annunziare il
nuovo verbo (alla faccia di Marinetti & Co.) e così nacque prima
un Dell’Annunzio, poi, più elegantemente D’Annunzio.
Non contento di ciò, per dare prova
di modestia, si firmò con la “d” minuscola.
Gabriele d’Annunzio dunque vedeva la
luce. (per completezza d’informazione: il Profeta ci raccontò che
quel nuovo cognome era doveroso omaggio ad un suo zio che l’aveva
adottato. Chi vuol credere creda.)
Sulla lirica “Alla Nutrice” hanno
fatto dotta analisi tecnico/poetica Lucio e Roberto. Me ne
astengo, concordando con entrambi, pur non entusiasmandomi. Ed il
mio scarso entusiasmo deriva dall’eccessivo tecnicismo (definito
“architettura poetica”) usato per un tema che pure, a mio avviso,
avrebbe avuto bisogno di minore “controllo”, di maggiore
spontaneità e, perché no? di maggiore limpido sentimento. Magari
con qualche umano errore tecnico. Non posso non notare la
blasfemia di quel “…divina-/mente…” insuperabile ed insuperato
enjambement.
Ma vorrei leggerla alla luce della
personalità di questo grande poeta, e del suo considerarsi.
Tre elementi sono alla base del
componimento: la notte di Natale (cioè, a sua convinzione, il
giorno della sua nascita) più volte richiamata nel componimento,
la scarsissima considerazione per la madre (definita, a mo’ di
balia, “nutrice” -colei che nutre-), il tardivo pentimento per la
sua vita dissipata (e qui forte è il richiamo al tema del “Breus”
di Pascoli).
“Alla Nutrice” fa parte, anzi ne è
l’introduzione, del Poema Paradisiaco formato da cinque “Hortus”.
Di spazi chiusi parla il poeta, dunque. Spazi nei quali si
realizza quella simbiosi tra uomo e natura, là dove la natura si
umanizza e l’uomo si fa fiore, frutto, pianta. Panismo, in
definitiva, possibile soltanto ad un sensibile uomo superiore
(Nietzsche distorto) che può tutto, oltre la morale, oltre le
leggi. Lui e soltanto lui, insomma.
C’è tutto il d’Annunzio decadente in
questo poema che fu ispirazione per i poeti crepuscolari
dell’epoca (Govoni, Corazzini, Gozzano, Palazzeschi ecc).
Sinceramente, e non me ne vogliano
gli amici Roberto e Lucio, di gran lunga preferisco il progetto
incompiuto delle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli
eroi” dove, nell’Alcyone, si trova la più alta espressione poetica
del Vate (La pioggia nel pineta e La sera fiesolana, in
particolare). Quella che lo consegna alla storia come uno dei più
grande dei poeti del ‘900.
Piero Colonna Romano
12/11/2012
D’Annunzio – Nutrice - Su questa
poesia, cedo alla tentazione di esprimermi due volte, con
atteggiamenti radicalmente diversi:
Prima istanza:
Il linguaggio del Vate. La Nutrice non è una donna, ma piuttosto
l’Incaricata dal Destino di forgiare le prime sensazioni, le prime
emozioni del Poeta:
Nutrice, da cui bevvi la mia vita
prima, ne le cui braccia ebbi il sopore
primo!….
Il Poeta, il Vate, ormai librato nei percorsi del suo destino,
ritorna con la mente alle sue prime emozioni, e osserva quanto
divergenti siano i destini suoi, e quelli dell’umile donna che è
rimasta, ignara di tanti fasti, assisa al suo modesto caminetto, a
filar la lana nella notte di Natale,
sinchè l’olio dura
nella lucerna…
Il linguaggio è aulico, scritto per la lettura di ambienti colti,
e selezionati per ceto e per censo… Come si chiedeva, d’altronde,
e come si voleva che fosse… In questa analisi D’Annunzio è il
portavoce d’una cultura, d’un ceto, e d’un censo…..
Il finale cinico, la mammella morta e pendente, che configura
l’involucro della crisalide, da cui si è innalzato, volando, la
forma perfetta finale…
Seconda istanza:
Composizione perfetta, e coraggiosa financo alla luce della
“modernità” dell’attuale linguaggio. D’Annunzio afferra le parole,
compone i versi, e lo fa travolgendo ogni timidezza o insicurezza
formale. La poesia, la forma d’arte “poesia”, è sua, nasce con
lui, e lui ne è maestro e interprete primo e insuperato. Il
disegno (quel ABAABC, di cui la C ripetuta, che ci fa rilevare
Roberto) – preordinato secondo uno schema sofisticato di rime e di
cadenze, è ambizioso e difficile, ma D’Annunzio lo affronta e lo
porta a termine senza il minimo segno di approssimazione o di
stanchezza, e ciò denota una sublime premeditazione, quando ancora
la composizione era al livello di pensiero. Il formalismo, figlio
necessario di un’epoca (mio nonno portava la caramella all’occhio,
con un nastrino, e da napoletano di classe colta, parlava con “la
evve moscia”, naturalmente arrotata) era il linguaggio d’allora e
D’Annunzio ne è un profondo e convincente interprete.
Si vuol dire allora che è cinico? Che è superficiale? Che nella
sua vita ha attinto a piene mani dai suoi capitali di leader, dai
capitali emotivi di milioni di Italiani, facendoli inorgoglire di
se stessi, ma anche quelli di altri e altre, travolgendo e
distruggendo intere vite?
Diciamolo pure. D’Annunzio è stato il fuoco, che riscalda,
purifica, e distrugge. E che rinnova anche. E soprattutto diciamo,
compiangendocene, che il tempo attuale non riesce più – chissà
come mai – a partorire un altro come è stato lui.
Lucio Cornelio
7/11/2012
La poesia che sottopongo alla vostra
attenzione merita – a mio avviso – una attenta esegesi, sia per
l’intrinseca qualità dei versi, sia per l’architettura del
pensiero. Inoltre non è superfluo dare luogo a una critica
contestualizzata nel periodo in cui essa è stata composta, assieme
ad una rivisitazione che tenga conto delle odierne sensibilità.
Vi sono luci ed ombre in questa
poesia, che tuttavia non è uno scherzo di poco conto. Vi dirò le
mie conclusioni, e frattanto vi prego di offrirmi le vostre.
Grazie.
Lucio Cornelio
P.S. Forte era la tentazione di non
rivelare l’autore, ma avrei, tutto considerato, falsato il gioco,
assumendomi arbitrariamente un vantaggio. Eccovi dunque tutto.
Nutrice
Gabriele D’Annunzio
(Poema Paradisiaco)
Gelida sta la notte
cristiana
su le case degli uomini, ma pura.
- O tu che ne la casa tua lontana
fili con dita provvide la lana
de la tua greggia, sin che l’olio dura
ne la lucerna, e il ceppo a tratti splende,
Nutrice, da cui bevvi la mia vita
prima, ne le cui braccia ebbi il sopore
primo!, se da la tua bocca appassita
riudissi io quel canto e le tue dita
vedessi, ove s’attenua il bianco fiore
dei velli, e il fuso pendulo che scende,
e la fronte rugosa che s’inchina
incoronata di capelli bianchi,
ove la semplice anima indovina
si rivela talor quasi divina-
mente in un raggio, e i tuoi cavi occhi stanchi
ove qualche favilla pur s’accende,
io forse piangerei ancora un
pianto
salùbre e forse ancora dal profondo
mi sorgerebbe qualche antico e santo
affetto, e mi parrebbe nel tuo canto
ritrovar l’innocenza di quel biondo
pargolo; - e lungi queste cose orrende!
E tutta la freschezza del tuo latte
ne le mie vene! - Una natività
novella, in un candor di nevi intatte. -
E tutta la freschezza del tuo latte
ne le mie vene, e tutta la bontà
dei cieli; - e lungi queste cose orrende,
lungi sempre da l’anima rinata
e del candor natale circonfusa!
Una immensa bianchezza immacolata,
una forma d’amore angelicata,
e per tutto l’imagine diffusa
d’un Bene Sommo che quivi s’attende! -
Ma tu, che ne la casa tua
lontana
torci il fuso, non sai la mia ventura.
Fili con dita provvide la lana
de la tua greggia; nè sai la mia vana
tristezza, in quest’azzurra notte pura.
Tu torci il fuso, e il ceppo a tratti splende.
E fili, e fili sin che l’olio dura,
Nutrice; e morta la mammella pende.
Lucio Cornelio
27/10/2012
A Lucio Cornelio per le migliorie proposte al
mio sonetto... Grazie Lucio per i preziosi consigli, ne
faccio tesoro. Ho capito comunque che per comporre belle poesie in
rima, non ci si puo' improvvisare, oppure fare affidamento solo sui
sentimenti...ci vuole tanta tanta passione e...studio. Grazie ancora
Lucio per le tue attenzioni
Salvatore Orefice
25/10/2012
Salvatore Orefice - Sonetto, baci
e... condimento -
ah Salvatore, che bel sonetto...!
Sei stato bravissimo, e sommessamente, come dice Piero, ti
propongo alcune migliorie. Questo il tuo, delizioso:
Ti sorprendero' con un bel sonetto
ti sbalordiro' prima della festa
per te lo faro' giuro lo prometto
perche' sei per me, bella dolce onesta
Musicalmente non sara' perfetto
inutile parlar di quel che resta
solo sul sentimento ci scommetto
d'altronde sono piccolo apprendista
Sara' con i miei baci e le carezze
con l'aggiunta di sguardi ed effusioni
un pizzico di sano condimento
Sara', per tutte le mie tenerezze
e per merito di mille attenzioni
che completero' il componimento
Ora i miei suggerimenti.
Prima quartina: zoppica nelle
cadenze. Guarda come migliora così:
Io ti sorprenderò con un sonetto,
Io ti sbalordirò pria della festa,
che a te farò, lo giuro, lo
prometto
perché sei per me bella, dolce e
onesta.
(hai visto come gli accenti sono
tornati a posto?)
Seconda quartina: salvataggio della
rima
Musicalmente non sara' perfetto
inutile parlar di quel che resta
solo sul sentimento ci scommetto,
se ti accontenterai delle mie gesta
(il quarto verso risolve quello che
è stato certamente un tuo tormento )
La prima terzina è perfetta così,
ma sarebbe meglio che la seconda invertisse le rime, da ABC a
BCA, per acquistare musicalità (poi lo fa anche Dante
J: )
Sara' con i miei baci e le carezze
con l'aggiunta di sguardi ed effusioni
un pizzico di sano condimento
che completero' il componimento
e per merito di mille attenzioni
ti coprirò di tante tenerezze
Alla fine di tutto, rileggo il
tuo sonetto nell’originale, e mi chiedo se non sia più bello
così, fresco fresco, e con i versi che zoppicano un poco. Grazie
per la tua pazienza.
Lucio
Cornelio
23/10/2012
Caro Salvatore, sommessamente mi
permetto, di suggerirti alcune varianti alla tua ottima "Ho un mondo
nel cuore".
Per omogeneità della metrica usata (senario che, come tutti i
parisillabi, dà un senso cantilenante alla poesia) ti propongo
queste varianti:
II strofa : E monta e rimonta/di collera gonfio/ma timido sconta/non
essere tronfio.
III strofa: Di moto affamato/su gambe di legno/d'ignoto affamato
Noterai che, pur utilizzando le stesse tue parole, il posizionamento
diverso (nella III strofa) crea elisioni che riallineano i versi al
senario che hai utilizzato.
Per lo stesso motivo ho aggiunto una "E" al primo verso della II
strofa ed eliminato un "il" al terzo verso della stessa.
Con stima ed apprezzamento, un cordiale saluto.
Piero
26/8/2012
Voglio farvi conoscere una poesia, bellissima. Una poesia che mi ha
condotto alla più sincera ammirazione per la qualità e la
sensibilità dimostrate dall’Autore:
Poesia Metasemantica: Fosco Maraini
Il giorno ad urlapicchio
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dago e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infragelluto,
ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzillano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;
è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m’hai detto “t’amo per davvero”.
Lucio Cornelio
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