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Commenti sulle poesie     

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Dibattiti  (Febbraio 2007 - Luglio  2012)


I dibattiti devono riguardare esclusivamente il mondo della poesia
4/3/2013

Rivoluzione civile.
Posto che il PM non giudica ma investiga, par di capire che quando venga contaminato dalla politica, non “dovrebbe” tornare ad occuparsi della vecchia professione per via di un non meglio specificato principio di “terziarietà”, in quanto potrebbe doversi occupare di un suo ex pari, da una posizione autoritaria. Quindi, il sospettato di reato può entrare o usciere dalla politica, avendo magari fatto strame perfino ai danni dello Stato, ma un magistrato, che fino a prova contraria lo Stato lo difende, no! Lo trovo capzioso, a meno di non pretendere che i professionisti, tutti, debbano essere politicamente asettici. Un avvocato che abbia avuto come assistito un indagato, del quale ovviamente verrà a sapere anche cose compromettenti, magari poi assolto per suo merito, entrati entrambi in parlamento e su opposto schieramento, condizionerà l'ex cliente ventilando la rivelazione di verità discutibili? Un vero, buon professionista, certamente no. Questo vale per banchieri, imprenditori, commercialisti, ecc. ecc. Tutti potrebbero portare cognizioni da costituire un numero infinito di conflitti nei confronti degli altri interlocutori ma, credo, si faranno terzi rispetto all'interesse generale che vanno a tutelare.
bruno amore

25/2/2013

Dimissioni del Papa – E’ evidente che il papa non aveva altra mossa da compiere per sfuggire alla morsa di Tarcisio Bertone, che l’aveva soggiogato. E’ stata una mossa di cavallo, o anche mossa di Sansone, quando scuote le colonne del tempio. La domanda è: basterà?
Frattanto altre mosse Ratzinger ha compiuto: sta accelerando i tempi del Conclave, ed ha sottratto a Bertone il suo segretario, trasferendolo.
Cosa altro potrà accadere? Perchè non se ne torna a Monaco?
Lucio Cornelio
 

24/2/2013

dedicato a Robespierre. Le elezioni dovrebbero essere momento di rinascita e rinnovamento, e non occasioni perdute. Torniamo alla pallacorda, e speriamo in un glorioso 25 brumaio...
Lucio Cornelio
 

22/2/2013
 

In risposta all'invito di Piero, la mia opinione sulle dimissioni del Papa, attuale ancora per poco, di primo acchito non è stata di umana comprensione, effetto di pietas cristiana, bensì l'ho sentito come un gesto di fuga da responsabilità dalle quali non poteva esimersi, essendo non solo vescovo di Roma, ma Vicario di Cristo in terra, come lo intendono tutti i cristiani credenti; e immediato è scaturito il paragone col suo predecessore, rimasto in carica fino all'ultima parola e all'ultimo respiro. Ho pensato: è un uomo oberato di compiti che non vuole più svolgere rispetto alla comunità cristiana e non, volenteroso di ritirarsi in buon ordine per consacrare i suoi ultimi anni di vita solamente a Dio e alla sua coscienza. Dante lo avrebbe condannato nella sua epoca, ma nell'epoca attuale gli avrebbe quantomeno concesso il Purgatorio? A distanza di giorni, riconosco sempre di più la sua fragilità umana e più che paura o stanchezza ho visto il suo dorso più curvo e il suo capo più canuto e nessuno al suo fianco a sorreggerlo, come lui probabilmente seppe fare con Giovanni Paolo II. Una curia o conclave, come si voglia chiamare, in cui paiono trionfare interessi terreni più che spirituali e logiche politico-economiche più che teologiche, e papa Benedetto XVI sempre più piegato in se stesso a cercare una ragione ultraterrena al destino dell'umanità e agli ultimi giorni del suo cammino esistenziale. Allora io non posso condannarlo, ma sento di rispettare la sua profonda libertà, che Dio ha riconosciuto nell'essere uomini. Non lo immagino santo come Papa, potrà esserlo come uomo. Mi auguro che questo abbandono del soglio pontificio non sia l'inizio della fine del mondo, tanto paventata nel 2012, o un ritorno alla barbarie di antica memoria, ma semplicemente un passaggio epocale che riavvicini la Chiesa all'umanesimo cristiano, che il Cristo Redentore conduca l'umanità e la Chiesa verso una rinascita. Antonietta Ursitti.

 

21/2/2013

Carissimo Gus, la tua gentilissima e argomentata replica merita un cenno di riscontro. Ho visto per un attimo nel tuo legittimo e ispirato sogno, allungarsi l’ombra di un incubo pensando che tutti i bambini della terra, tutti gliomosessuali del mondo, le coppie di fatto dell’universo e magari tutti i divorziati del globo ,comprese tutte le donne che aspirassero al sacerdozio o almeno sposarne uno, dovessero, per meritarsi il battesimo, la benedizione, i sacramenti del papa,  sottomettersi all’unico, incontestabile, incontrovertibile, indiscutibile dio professato dal successore di Pietro, con tutti gli annessi e connessi del caso. Anch’io, come te, sono contrario ad ogni forma di dittatura, sia essa politica che religiosa. I nostri politici, per lo meno, ogni certo numero di anni, sono costretti, proprio come in questi giorni, a sottoporsi al giudizio dei loro elettori. Altri politici, invece, , detti anche vescovi e cardinali (quest’ultimi elettori del papa) , non vengono eletti da nessuno, ma semplicemente nominati in base al volume di affari che producono nelle sedi da loro amministrate. Anch’io come te, ripeto, sono contro ogni forma di dittatura. A differenza di te, sono per la dittatura solo in un caso: solo se il dittatore sono io! Con stima e amicizia. (Carlo Chionne) .

 

20/2/2013

Gentilissimo Chionne,
il mio rispetto assoluto per i profondi sentimenti altrui, di religiosi o laici, di credenti o atei, mi spinge a rispondere alla tua comunque apprezzabile nota.
Io penso che il Papa, fin quando un Papa ci sarà e ci saranno centinaia di milioni di esseri umani che lo ritengano loro guida spirituale, non diventi un incubo se al di là di ogni formalismo, considererà tutti i bambini del mondo degni del Dio che professa, gli omosessuali creature di quel Dio e predicherà opere di bene più che preghiere.
Ti faccio un esempio: pur essendo io assolutamente contrario a qualsiasi forma di dittatura, se un dittatore ci fosse, lo combatterei con tutte le mie forze, ma comunque auspicherei che intanto fosse illuminato e facesse cose giuste e opportune.
Gus
 

IL PAPA -Mi chiedo e chiedo a tutti quelli che vorranno rispondere, se quello di GUS sia un sogno oppure un incubo.Qui si propugna addirittura la sacralizzazione del mondo, come se già non bastassero le diverse Terre o Città sante come la Palestina, Gerusalemme, La Mecca e così sacralizzando. Che cosa sarebbe tutto questo panpapismo, se non un impossibile ritorno al Medioevo.(Carlo Chionne).
 

Diversi anni fa il nostro De Ninis pubblicava sulle pagine azzurre questo mio brano:

Sogno
Ho sognato il Papa
vestito del saio di Francesco
che benediceva tutte le coppie di fatto
santificando le loro unioni.

Ho sognato il Papa
che con un gesto d'amore
proferendo parole
("sìnite parvulos venire ad me")
battezzava tutti i bambini del mondo
poichè di loro
nulla c'è di più sacro e di più puro.

Ho sognato il Papa
che diceva alla gente
"gli omosessuali sono creature di Dio
e come gli altri vanno rispettati",
che diceva alla gente
"un'azione in favore di chi soffre
vale cento preghiere".

Ho visto poi "rigremirsi" le chiese.

E la messa era festosa,
e tutti accorrevano portanodo fiori
e palme e rami d'ulivo

come accadde il giorno
quando il Figlio dell'Uomo
entrava in Gerusalemme.

Torna d'attualità questo mio sogno sinora inattuato ? Mi piacerebbe davvero.
Gus
 

8/1/2013

Cornelcaro, fuito consiglilsito. Tuoneggiòlampo comeNembrottpeto chiriasmi sensi su languaggnonsenso.
Manbatto a S.B. : bettersaria sehaidirnulladiredirnulla. Parlarunbel maifussescritto!
Piero Colonna Romano
 

Traduzione
Cornelio caro, fui nel sito da te consigliato. Come un lampo tuoneggiò un peto
di Nembrotte e mi chiarì i sensi sul non senso del linguaggio. Batto le mani a
Samuel Becket:  meglio sarebbe se nulla hai da dire, dir nulla. Un bel parlar
fosse mai scritto!
Piero Colonna Romano
 

L’ottimo Lucio Cornelio, mi ha chiesto di rendere pubbliche una serie di mail che ci siamo scambiate in questi ultimi giorni. Tale scambio è stato originato da un suo intervento , nei commenti,  il 7 gennaio. Ne riporto l’inizio:

“Mi chiedo se alle mie poesie manchi qualcosa di indispensabile. Voglio dire, credo che con tutta la sua introspezione colta che gli è congeniale, a Carlo Chionne sarebbe impossibile, a mio avviso, comporre esegesi come quelle da lui espresse per Michela Turchi, Antonia Scaligine, e Aurelia Tieghi, anche nel mio caso. Le mie poesie sono infatti elementari, da sillabario direi. In esse mi esprimo come mangio, o se preferite, come rutto, con i soggetti che fanno i soggetti, i complementi che fanno i complementi, e i verbi che fanno disciplinatamente i verbi.

Se in esse piango, le lacrime si vedono scorrere, se rido o sghignazzo, non v’è dubbio alcuno; se faccio l’amore, è opportuno che vi scostiate: potreste restare coinvolti. In tutti i casi, le mie poesie sono deplorevolmente e irrimediabilmente chiare.”

All’amico Lucio ho inviato la seguente mail:

Caro Lucio, ho letto l'ultimo tuo intervento in poetare e ne sono rimasto 
perplesso: "forse poesia vuol dire ellitticità, ardimenti semantici e, 
soprattutto, irrilevanza concettuale..." dici confrontando le tue poesie con 
quelle cui Chionne dedica peana, più o meno condivisibili.
E la mia perplessità deriva dal fatto che le prime due caratteristiche che 
elenchi in effetti sono presenti sia nelle poesie che nella pittura che nella 
musica (cito nell'ordine: Petrarca e Ungaretti, Mondrian e Piero della 
Francesca, Mozart  e Stravinsky.  In ognuna delle loro opere c'è quella 
"sezione aurea", di cui abbiamo parlato ieri, e deriva da quegli ardimenti 
semantici e da quelle ellitticità. Eppure sono così diversi, così distanti, 
così amati o rifiutati.

Ma c'è quella terza caratteristica che ci riporta al senso di un opera d'arte: 
ma è possibile che chiunque si accinga a comporne una, lo faccia in assenza di 
"rilevanza concettuale"? Significherebbe produrre il nulla partendo dal nulla, 
volendo il nulla.  
Non è più vicino alla verità pensare che il termine "concettuale" sia qualcosa 
(e non solo nell'opera d'arte) di talmente personale da poter essere non inteso 
da chi ne fruisce? Variabile nel tempo e nello spazio, cultura per cultura.

E qui torniamo alla domanda di fondo: che cosa è l'opera d'arte ? E, 
proseguendo, a chi ed a che deve servire? Hai una risposta certa a queste 
domande?

Nelle tue poesie ci sono ardimenti semantici, ellitticità e rilevanze 
concettuali. E non sempre sei cristallino, così come, a tuo dire, sarebbe un 
ingegnere.
Non ti confronterò mai con la deliziosa Michela Turchi, né con Antonia Scaligine 
né con Aurelia Tieghi, per quanto molto le  apprezzi.
E, se mi permetti un suggerimento, vai avanti per la tua strada, inonda la 
pagina della tua rabbia, dei tuoi rimpianti, del tuo amore, della tua 
impulsività. Usa la metrica, se può sottolineare meglio ciò che vuoi (o devi) 
esprimere o scordatene e lascia che sia il ritmo (che hai dentro sempre) a 
sottolineare il tuo sentire.
E' l'artificiosità che rende falsa l'opera d'arte, non la spontaneità.

Mi auguro e ti auguro che quelle poesie che hai inviato a Crocetti ed Aletti 
abbiano il successo che meritano ed un eventuale risposta positiva varrà 
certamente molto di più di qualsiasi commento, da qualsiasi parte provenga.
Ma anche se non ci dovessero essere riscontri sappi che la tua presenza nel 
sito (e credo non soltanto in Poetare) ne ha, e di molto, alzato la qualità.

Buona notte Lucio. A domani.
Vale
Piero

E questa la sua risposta:

Caro Piero,
io ho affermato per negare, perchè - ovviamente - sono certo che poesia non 
vuol dire certamente nè ellitticità, nè ardimenti semantici tout court, 
anche se essi sono permessi e più che accettabili in un contesto più vasto e 
più comprensibile. E inoltre, bada bene, non ho affatto contestato con le 
mie parole i versi della Turchi o delle altre due. Le ho solo prese ad 
esempio. Di una cosa sono certo, e cioè che la poesia non sia irrilevanza 
concettuale. E ti assicuro che quando c'è, me ne accorgo subito, e 
interrompo un'inutile lettura.

Non ravviso irrilevanza concettuale in Petrarca nè in Ungaretti, che adoro, 
e meno che mai in Mozart o Strawinskji. Se poi prendi il mio intervento come 
una reazione ad attenzione riservata ad altri, ti sbagli. Mi sono limitato 
ad osservare che quando c'è da rimestare nel torbido, tutti sono buoni, 
perchè la mancanza di chiarezza è sempre stata di aiuto sia ad autori, sia a 
critici, senza scrupoli.

Il termine "concettuale" è pervaso di una pericolosa tentazione: quella 
della soggettività. Ed è in nome di questa soggettività che un'opera d'arte 
è dichiarata comprensibile, o non è comprensibile nei confronti di un 
fruitore impreparato. Quanto deve essere universale il linguaggio d'un'opera 
d'arte? Quanto deve essere preparato un fruitore per accostarsi ad essa, e 
comprenderla? Dov'è la linea di confine "omologata", dov'è la Dead Zone? La 
Gioconda, chi cazzo la capisce? Io la capisco, e lo so, ma è lecito che non 
la capisca un ciabattino, o un Berlusconi qualsiasi? Perchè la Gioconda è 
un'opera d'arte? chi lo dice?

E ora rispondo, con vera passione, alla tua domanda principale: a che serve 
un'opera d'arte? A niente, caro Piero, un'opera d'arte non serve a niente. 
Non giustifica la passione dei collezionisti, nè l'incantato disorientamento 
di Stendahl. Non giustifica il museo degli Uffizi, nè i furti dei generali 
tedeschi. L'opera d'arte è soltanto una masturbazione, un sistema per 
procurarsi un piacere da soli. Tanto meno è patrimonio di una nazione, d'un 
museo, o d'una città. Il Davide di Donatello non vale il bronzo in cui è 
stato fuso. Convincitene.

Apprezzare un'opera d'arte è la sintesi di una comunicazione diretta tra chi 
l'ha creata e te che ne godi. Quindi è masturbazione, e basta. ho provato 
uguali sensazioni guardando una ragazza che si eccitava da sola dinanzi ai 
miei occhi. La stessa, identica cosa.

Sai una cosa? Vorrei che tu riportassi questo colloquio tra te e me nei 
commenti, così come è, come mi hai scritto e come ti ho risposto.

Vale
Lucio

E quel che segue sono le mie considerazioni su quanto sopra esposto:

Caro Lucio recentemente Renzo Montagnoli mi ha chiesto un'intervista 
(immeritatamente). Ad una sua domanda su cosa sia l'arte 
ho risposto che si tratta di outing, è esibizionismo puro.
Il nostro guardare all'arte converge soltanto su questo punto.
Ma non riesco ad accettare il tuo nichilismo. Non riesco a pensare al Don 
Giovanni o al Flauto magico come a qualcosa di inutile e di esibizionistico. 
C'è ben altro.
Hai una visione distruttiva di questa attività dell'uomo. Non solo ma per 
fruitori dell'arte accetti soltanto coloro che, attrezzati culturalmente, la 
possono intendere. Insomma, nella pittura, saremmo rimasti all'arte canonica 
dei "pompiers", scordando gli impressionisti ed il loro intento di 
universalizzare la pittura.
Credo che per arte si debba intendere un modo di comunicare, soprattutto 
sentimenti ma anche nuove ricerche, sperimentazioni. E questo vale per ogni 
forma d'arte.
Mi piacerebbe editare questi nostri scambi, probabilmente lo farò in 
dibattiti, dopo avere attentamente riletto il tutto.
Buon giorno Lucio. E' ora di un doppio caffè.
Vale sempre.
Piero

Resto in attesa di tuoni e fulmini. Ma so che questo tipo di scambi di opinioni possono soltanto rendere più profonda ed apprezzabile una reciproca conoscenza ed un’amicizia.

Piero Colonna Romano
 

a questo indirizzo, a questo URL di www:

 
rimando a tutti coloro che storpiano parole e le chiamano poesie. Spero che presto abbiano a lamentarsi di artrite alle dita, e paralisi cerebrale.
Lucio Cornelio

 

14/12/2012

CONSIDERAZIONI SULL'EDITORIA A PAGAMENTO

Cari amici vi riporto un dialogo che ho avviato con una mia amica su Facebook che ho ritenuto di socializzare con tutti voi. Come ho spiegato a Lorenzo, purtroppo, non avrò tempo a seguire l'eventuale contro dibattito e spero capirete. Risponderò appena leggerò (visto che spesso non leggo neppure i Commenti alle poesie) e potrò.

Ho soltanto voluto socializzare questa discussione perché penso sia un argomento abbastanza attuale soprattutto per coloro che spesso ricevono "proposte editoriali" di case editrici che promettono mari e monti quando alla fine il risultato è sempre inferiore ad uno stagno e ad un terrapieno!

 

CONVERSAZIONE DELL'8.12.2012 CON UNA AMICA SU FB

Amica
Salve, Armando!!
Vorrei segnalarti l'antologia "I poeti contemporanei", pubblicata sia in e-book che in cartaceo.
www.amazon.it/I-Poeti-Contemporanei-40-ebook:

"I poeti contemporanei" Casa Editrice Pagine Antologia di 13 Autori disponibile in e-book su Amazon.it. Sinossi. La modernità comporta velocità ed estensione: si arriva in un baleno a tante persone, nei luoghi più diversi e lontani. Può rifiutarsi a questo la poesia, tenuta così a lungo appartata? Ma la poesia ha per sua natura la grazia di darsi a ognuno, di condurlo nell'altrove della parola destinata a durare e del pensiero che rende chiari e colmi i giorni della vita. Così, in questi libri in cammino, nei loro versi, nelle loro frasi, troveremo il molto che ci portavamo dentro inespresso, la vicinanza di chi rivelandosi ci rivela a noi stessi. E daremo voce a sentimenti che fremevano dietro mura di silenzio, traverseremo mondi che ci appartengono e che mai prima avevamo nemmeno intravisto. Ognuno di questi libri nasce come un bene comune e un avvio". Elio Pecora

Salvatore Santoro
Ho incontrato Elio Pecora qualche anno indietro ad una serie di incontri promossi da Maria Luisa Spaziani presso la Biblioteca della Camera dei Deputati in via del Seminario a Roma. Ti dirò che questo autore non mi entusiasma più di tanto. La casa Editrice che sponsorizza mi sembra troppo "commerciale", come se ne trovano tante in giro sui portali letterari, ed io penso che se uno dovesse diventare famoso lo diventerà anche se pubblica con una piccola casa editrice a prezzi sicuramente più contenuti! L'editoria gratuita ormai ce la sogniamo! I grandi editori del passato che rischiavano per far decollare qualche bravo autore ormai non ci sono più. Le mie poesie fossero anche stilisticamente perfette oggi nessuno le pubblicherebbe gratis.

Amica
Mi dispiace che hai avuto un'impressione negativa... Che dire...? A me, per caso, è stata proposta quest'antologia e ho trovato conveniente accettare. L'ho fatto così, con semplicità, perché non aspiro a pubblicare ad ogni costo: se capita, se mi si offre l'opportunità e non ci rimetto niente, ben venga, altrimenti sono contenta lo stesso. Ciò che conta, per me, è sforzarmi di scrivere bene. Sono piuttosto esigente: scrivo e riscrivo molte volte i miei testi, per avvicinarmi il più possibile all'intenzione, all'idea che ho in mente. (Altrettanto esigente sono con i testi che mi capita di incontrare, per esempio, proprio qui su Facebook...). Ma, in definitiva, quello che mi sta veramente a cuore è la Poesia, ciò che mi appaga è leggere e riuscire a comprendere i grandi Poeti, perché soltanto le loro parole possono aprirmi grandi orizzonti.

Salvatore Santoro
Il mio problema è che credo poco alle società editrici che fanno troppa pubblicità su giornali ed in rete (e la pubblicità costa e qualcuno innocentemente paga) e propongono "proposte editoriali" con tanto di promesse di diffusione i cui risultati alla fine sono sempre scadenti ed all'autore non aggiungono nulla di quello che è già. I grandi poeti sono morti tutti di fame tra l'indifferenza generale. Solo dopo cent'anni che sono morti si scoprono le loro qualità e si sprecano recensioni e critiche nel loro nome e si pubblicano i loro scritti che alla fine non danno il pane che serviva loro quando erano in vita ma solo lustro OGGI a chi li pubblica che, in genere, non lo fanno a gloria del defunto poeta ma dei loro affari. Guarda la raccolta di volumi da poco pubblicati da "Il Sole-24 Ore" di grandi poeti come Mallarmé, Apollinaire, Rimbaud, Oscar Wilde (che ha assaggiato anche la galera in quanto "diverso"), ecc..., poeti morti tra l'indifferenza generale ed in miseria nera. Ecco perché non credo a queste case editrici ed a chi tanto le diffonde. Ma credo, invece, a case editrici come La Terza che ancora cerca di fare l'editore di vecchio stampo scoprendo cervelli e pubblicando senza proporre "contratti favolosi" e certo di sopportare i costi dell'insuccesso dell'opera pubblicata. Credimi, le vecchie case Editrici (la ex Mondadori ad esempio) non esistono più. Dietro non c'è più la cultura ma l'interesse. Ecco perché io pubblico in proprio ed alla fine sono più i libri che regalo di quelli che vendo e non mi fascio la testa per quello che pubblico che, credimi, non è tutta spazzatura, solo che pochi oggi capiscono la bella poesia e per bella intendo quella classica e quella in rima che ha le sue regole ed i suoi ritmi e che pochissimi autori intendono ed apprezzano. A scrivere si è tutti capaci. Basta prendere la penna. Ma a scrivere bene, credimi, non è altrettanto facile ed io mi ritengo un dilettante allo stato puro perché appena apro un libro di analisi poetica e leggo le prime pagine mi accorgo della mia abissale ignoranza in materia letteraria.

Insomma, ti chiederai, ed allora che voglio? Io proprio nulla. Spero solo che non mi sia impedito di continuare a scrivere. Intanto scrivo e diffondo emozioni e sentimenti. Può darsi, anzi senza può darsi, che quei temi siano già stati toccati da altri, ma io mi sforzo ad introdurvi un tocco di novità. Se ci riesco. Altrimenti pazienza. Dato che in quel momento provo quelle emozioni scrivo lo stesso e per me è una gratificazione, che aumenta se in rete trovo qualcuno che riesce ad emozionarsi per quello che ho scritto. A me basta così sicuro che morirò quello che sono, ma felice di aver seminato una emozione "nei campi del mondo" come dice la poesia in apertura del mio portale www.circoloculturaleluzi.net.

Ed allora qual è il mio messaggio finale? Scrivere, Scrivere, Scrivere e poi pubblicare in proprio e quel poco che ci serve senza impegnarsi con migliaia di copie che fanno a finire al macero o sulle bancarelle degli ambulanti ad un decimo del costo di stampa (che noi abbiamo pagato) e senza la certezza neppure che siano venduti sottocosto. Purtroppo i sentimenti non hanno mercato, ma sono ricchezze per chi li possiede. Ecco perché scriviamo.

Ti abbraccio.
Salvatore Armando Santoro

 

12/12/2012

Addio, Monti sorgente dalle banche, tassi elevati al cielo; fidi inuguali, noti a chi è cresciuto tra noi, e impressi nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi piú familiari; conti correnti, de' quali si distingue lo splash, come il suono delle voci domestiche; addio! Quanto è tristo il passo di chi, pasciuto tra voi, se ne allontana ...
Alessandro Gus
 

10/12/2012

Con Tremonti, Monti, Montezemolo e Monte de' Paschi, quanti altri monti di pegno dovremo aprire per depredare la povera gente?
Gus

 

6/12/2012

"La democrazia è un controsenso, perchè ne capiscono il valore solo pochi aristocratici del pensiero".
Gus
 

29/11/2012

“C'è del marcio in Danimarca”
Gli imbecilli “siamo” molti di più. Io non ho votato, potendolo, avendo maturato la convinzione dell'assoluta insignificanza del voto espresso da chicchessia per scegliere il “premier” più adatto alla situazione politica, economica e sociale, al momento della consultazione. Quale capacità di giudizio, quale cultura, quali informazioni, possiede il “chiunque” voti tizio o caio per valutarne i meriti? In milioni: si formano l'idea attraverso i media, e basta. L'americanata televisiva è stata un successo, certo, ma non sposta di un millimetro il concetto che cerco di esprimere avanti. La democrazia: in milioni sono convinti che sia essenzialmente votare ma, come saprete, non è così. I contrappesi legali e leali, sempre, sono il vero senso della Democrazia. Quindi? Sono 60anni, o giù di lì, che eleggiamo “democraticamente”, con leggi confezionate da coloro che dovevano essere eletti, il cui interesse, lasciatemi la malizia è, prevalentemente, salvaguardare la propria posizione. Non è possibile accettare di essere governati da coloro che hanno, o avranno, il potere di stabilire come sceglierli. Le leggi, tutte, debbono contenere principi egualitari e non possono essere stilate in presenza di conflitto tra le parti, neppure quando cercassero accordi di comodo, che evidenziano, come sta accadendo, la ricerca di formule che non danneggino alcuno di loro. “Cambiare perché nulla cambi” (disse T. di Lampedusa - più o meno). Non c'è soluzione? Si che c'è. L'onestà intellettuale che manca nella classe dirigente – in senso lato – nel nostro Stato. Le leggi le elaborino esperti con spirito costituente, avendo come fine il benessere generale della polis. Siccome non è stato, non è e non sarà, “mi siedo sulla sponda del fiume e aspetto che passi il cadavere del mio nemico”. Lo porti Beppe Grillo o Robespierre m'è, ormai, indifferente.
Ringrazio chi ha introdotto, ampliato e/o arricchirà, la discussione.
Bruno Amore


Caro Armando, non volevo di certo offendere nessuno, ma limitarmi a dire che secondo me il nostro capo dello Stato, non darà mai l'incarico ad uno come Vendola, Bersani o Renzi, ma dopo Monti ci sarà solo Monti. E' questa una mia previsione, se pur opinabile.
So bene che libertà è partecipazione, ma di questi tempi, credimi faccio fatica a credere che ci sia un briciolo di democrazia...
A proposito che ne pensi del nuovo porcellum e del fatto che vogliono fare una legge contro il Movimento 5 stelle?
Per quanto riguarda la poesia ti ringrazio del consiglio, la correggo in questo modo: su moneta c'era scritto/quant'è bello pesce fritto/e magar ti prend' un colpo/ se con patate come un polpo.
Caro Armando, che fine faranno i sette milioni di euro raccolti? Si pagheranno le tasse su essi? Chi ha dato l'obolo
potrà essere multato per non aver chiesto lo scontrino?
Ti saluto cordialmente. Gabriele
 

28/11/2012

Sono un imbecille
Mi dispiace proprio che la prima volta che commento qualcosa di Renda debba farlo in negativo. E mi riferisco alla sua poesia, “Tre milioni di imbecilli”.
Tra quei tre milioni (e mezzo) di imbecilli ci sarei stato anch'io, caro Renda, se mi avessero permesso di votare. Non l'ho potuto fare perché non ero residente in Toscana e, quindi, il mio voto non l'ho potuto esprimere. Ma se mi avessero permesso di farlo avrei votato, avrei dato volentieri il mio obolo e la mia preferenza sarebbe andata a Vendola, un poeta che almeno è una persona seria e sta dimostrando di sapere ben governare nella sua Regione, dove ha conquistato una marea di consensi.
Non c'entra il premierato, caro Renda. Lo sappiamo tutti bene che il nostro sistema costituzionale non prevede questa figura, ma esistono delle procedure per la formazione del Governo che il Capo dello Stato poi dovrà seguire, ed in genere segue, nel momento in cui dovrà conferire ad un premier l'incarico per formare il nuovo governo. Di fronte ad una consultazione che esprima una certa volontà popolare, il Capo dello Stato non può far finta di non aver visto o sentito nulla. Quindi questa consultazione, in caso di esisto positivo nelle prossime elezioni per la coalizione di centro-sinistra, servirà per fornire una indicazione molto chiara al capo della Repubblica del personaggio politico a cui affidare l'incarico per la formazione del nuovo governo. E questa scelta chiaramente può essere influenzata dalla volontà che quei tre milioni e mezzo di imbecilli che hanno espresso in una consultazione sicuramente democratica una indicazione ben precisa della personalità che riscuote la loro fiducia.

Perciò, scusami, non si può banalizzare, come hai fatto tu, il significato di questa consultazione popolare perché in questo modo stai offendendo una larga parte di elettorato che io non mi sento di considerare imbecille per il semplice fatto di essersi messo in coda con pazienza per votare ed alla fine anche per pagare. E meno male che questa volta nessuno ha pagato per loro e la mafia è rimasta fuori dai giochi. E questo è un fatto positivo o no?
Caso mai dovremmo essere contenti, tutti, che si stia verificando un recupero di credibilità del popolo verso un gruppo di partiti e valutare positivamente l'affluenza al voto come una forma di risveglio collettivo che sta maturando sulla scia di una serie di proteste e di proposte, più o meno condivisibili, di come dovrebbe essere gestita la cosa pubblica e di come dovrebbero funzionare gli apparati politici italiani.
Io la leggo così. Per me è una forma di democrazia di base che fornisce una indicazione ad un gruppo dirigente per la scelta di un candidato a capo di una lista di coalizione di partiti, a volte anche con idee e programmi diversi ma non opposti, che si coalizzano, rinunciando ad un pezzo di identità propria, per cercare di dare un governo diverso e nuovo al paese alle prossime consultazioni elettorali.

Mi dispiace per il tuo commento impietoso. Un poeta ha anche la funzione di pungolare ma non di sminuire e svalorizzare certe iniziative popolari. Caso mai ha un ruolo di grillo parlante criticando le cose che non vanno bene ma proponendo qualcosa di nuovo per farle funzionare meglio. Tu ti sei limitato a criticare senza nulla proporre ma in questo modo rischi di cadere nel qualunquismo.

Credo nei partiti e nel loro ruolo, che è insostituibile in una società complessa come la nostra. La democrazia di piazza non regge e non reggerà mai e spesso sfocia nello scontro e lascia ai soliti quattro noti il compito di risolvere i problemi. E spesso la democrazia di piazza genera confusione e inevitabilmente porta anche alla guerra civile costringendo ed invitando poi qualcuno a ristabilire l'ordine e l'esperienza del passato dovrebbe insegnarci tante cose in quanto dalla confusione si esce sempre con un governo forte che, guarda caso, non ha mai fatto gli interessi dei ceti popolari ed in parte questa situazione è già oggi sotto gli occhi di tutti.

Che vogliamo fare? Sollecitarla?

Ben vengano, dunque, forme di partecipazione popolari che diano indicazioni per tentare di uscire dalla confusione in cui stiamo piombando ed evitare danni maggiori al paese ed ai lavoratori che sono la maggioranza dei suoi abitanti e che dalle involuzioni dei sistemi democratici hanno sempre pagato il prezzo più alto.

E visto che nel portale parliamo anche di poesia ti segnalo la 5.a quartina della tua poesia va un po' risistemata perché il ritmo non quadra.

E questo penso che sia un punto che ci troverà tutti e due d'accordo e sarà già qualcosa.

Cari saluti

Salvatore Armando Santoro


Tre milioni d’imbecilli
Tre milioni d’imbecilli
senza testa e forse brilli
con un obol nella mano
ma gli sembra un’aeroplano.

M’anche oggi non si vola
gli angioletti han la pistola
la pistola è sulla nuca
mentre balla il tuca-tuca.

Con due euro o forse meno
compri un etto di veleno
e puoi far cosa gradita
se un po’ stufo della vita.

A Milano un panettone
a Torino un nocciolone
e giù in Puglia la focaccia
in Toscana la Vernaccia.

Su moneta c’era scritto
“democrazia è un diritto”
di nobil arte anche un colpo…
e con patate come un polpo.


Tre milioni d’imbecilli
con in testa solo grilli
con un obol nella mano
tra un gazebo ed un banano…
Renda Gabriele

 

18/11/2012

Sproloquio sui Carmina Burana:

Noto con vivissimo piacere che l’amico Lucio, dando prova di intelligenza acuta e (tuttora) vivace, ha cambiato opinione  circa il brano da me suggerito alla lettura. Se in prima battuta vi fu ironia, ad un suo più attento esame (nella versione in lingua latino/tedesca) il suo commento diviene fonte di plauso, in particolare per il ritmo dei versi.

Me ne compiaccio, ribadendo, ancora una volta, che nelle traduzioni, anche le più rigorose, gli originali perdono freschezza, ritmo e, spesso, persino senso.

Ciò detto avviso i naviganti: al prima accenno di sbadiglio si usi il telecomando.

Appassionate ricerche filologiche su di un manoscritto del XII secolo, ritrovato in un monastero del Baden ed oggi conservato presso la Munchen, Bayerische Staatsbiblioteke, hanno consentito all’elegante e ottimo compositore e direttore d’orchestra Carl Orff, nel 1937 e, successivamente, ad altri compositori e direttori d’orchestra (buon ultima Bettina Hoffmann) di mettere in musica quel che già ai tempi della sua formulazione era poesia messa in musica.

L’enorme difficoltà, per chi volle fare rivivere quella composizione, derivò dal fatto che le note presenti nel manoscritto erano prive dell’altezza e della durata. Lascio immaginare l’immane lavoro di confronto, con altre simili composizioni di quell’epoca, per arrivare a ridargli una veste musicale. Orff ne fece il suo capolavoro, spesso utilizzato quale colonna sonora di film aventi per tema l’epopea carolingia o il leggendario re Artù.

Ma tutto ciò che c’entra con la poesia?

A mio avviso c’entra e molto, per i seguenti motivi:

Torniamo indietro a quei fantastici XI e XII secolo. Siamo in Francia che, come noto, era divisa culturalmente in due regioni: quella del sud -Aquitania e Provenza- (langue d’oc) dove prevaleva la poesia trobadorica che narrava d’amor gentile e galanterie (fin d’amor). Amore che si realizzava (ma nella maggior parte dei casi solo idealmente) rigorosamente al di fuori del matrimonio, tra un lui menestrello ed una lei d’alto lignaggio.

Sentire, atteggiamenti e stile ereditati poi dal nostro dolce stilnovo, con annesse donne angelicate,

Dominava la scena poetica Guglielmo IX d’Aquitania, zio della colta e spregiudicata Eleonora, la due volte regina (prima di Francia con Luigi VII –che la ripudiò per eccesso di… vivacità sessuale- poi di Enrico il Plantageneto, re d’Inghilterra col numero II).

Ed appunto Eleonora (e le sue due figlie Maria ed Elaise), nel nord della Francia –langue d’oil- (Normandia, Piccardia, Champagne e sconfinamento in Germania) aprì la sua corte a poeti che, a differenza dei trobadori del sud, cantarono le gesta eroiche dei cavalieri di re Artù (ciclo bretone) e del ciclo carolingio. Qui prevaleva l’epico, il fantastico, la forza, la generosità, il senso cavalleresco della giustizia, il mito e la leggenda (ad es, Sigfrido).

Dell’amore, del fin d’amor, manco l’ombra.

Ma le contaminazioni sono inevitabili e ci pensarono i chierici vaganti a mescolare il tutto. Questi erano i personaggi più colti che la chiesa avesse formato. Depositari della cultura classica e delle interpretazioni a questa data dai “padri” della chiesa, si diffusero in tutta Europa, seminando il loro sapere.

Ma, assieme a questo, avevano la consapevolezza che, se inattaccabile era la fede, attaccabilissimi erano i gestori della stessa. In altri termini ce l’avevano a morte con le corrotte gerarchie ecclesiastiche e col monopolio monastico sull’istruzione.

Nasce così il movimento dei Goliardi (questo il nome di quella corrente culturale) che si dedicò oltre che ad ampliare la platea dei colti, con l’istituzione delle prime università laiche, anche alla ricerca di documenti che contenessero la volontà di comunicare, raccontare, divertire, istruire, ammonire. Rivolgevano i loro canti poetici ad una platea colta con  questo raffinato mezzo di comunicazione, sentendolo quale dovere davanti agli uomini ed a Dio.

I Carmina Burana sono la raccolta di circa 200 di tali documenti suddivisi in quattro sezioni: Carmina versis et amoris, Carmina potatorum, Carmina moralia e Carmina divina e gli argomenti spaziano dall’erotico, al ludico, al moraleggiante, al divino.

Angelo Rusconi, presentando una splendida versione discografica dei Carmina (Modo Antiquo diretto da Bettina Haffmann) così li commenta: “Certamente può apparire più suggestivo, ad esempio, sottolineare gli aspetti ludici e, almeno apparentemente, scanzonati: non vanno però dimenticate l’aperta polemica contro la corruzione delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche e la rilevante presenza di poesie religiose, perfettamente ortodosse. Peraltro, nelle stesse poesie giocose, dietro le espressioni forti, irriverenti, scurrili, realistiche, si proietta talvolta non soltanto lo spirito del divertimento e della trasgressione ma anche la disperazione interiore. Nel vino, nel sesso, nel gioco, si stordisce lo spirito che ha perso ogni illusione: tutto è inganno, corruzione, menzogna. Le vicende dei viventi sono governate dal caso cieco e dalla fortuna.”

E prosegue: “In proposito, gli autori delle poesie raccolte nel manoscritto di Benediktbedern, rivelano la loro appartenenza a ceti di alto livello culturale. La ricchezza della versificazione, la copia delle citazioni e delle allusioni alla letteratura classica e religiosa, la ricercatezza del lessico e il talora sovrapporsi delle immagini, rivela, senza ombra di dubbio, che questa non è  poesia popolare. Si tratta di una produzione i cui autori sono in possesso della più raffinata cultura contemporanea, sia in lingua latina sia in volgare.”

I Goliardi, il movimento intellettuale al quale si attribuisce gran parte dei Carmina Burana, nascono proprio dal rinnovamento sociale e culturale del XII secolo e , di questo, sono importante soggetto catalizzatore.

E veniamo alla poesia/canto “Ich was ein chint so wolgetan”: l’immagine della donna, ed il rapporto che con lei si ha può  avere, vedono o un individuo di ceto inferiore (servo, paggio o/e menestrello) che dichiara, con poetico canto, il suo amore, la sua devozione, la sua sottomissione, ad un irraggiungibile donna nobile, colta, ricca e, ovviamente, bella oppure, mutatis mutandis, un lui ricco ed arrogante che concupisce una donna di bassa estrazione sociale (servetta, pastorella, lavandaia) ottenendola con l’inganno o la forza.

Questo secondo caso è descritto nella poesia proposta alla lettura.

Per concludere, il movimento dei Goliardi costituisce un importante snodo culturale che riassume la poetica delle lingue d’oc e d’oil e dà impulso alla successiva produzione letteraria dell’intera Europa dal XIII secolo. I Carmina Burana sono l’esempio più luminoso del suo operare.
Piero Colonna Romano

 

16/11/2012

su I Carmina Burana:

Caro Piero,

l’italiano odierno non si addice alla ballata che ci hai offerto, proprio come Milano, vecchia signora un po’ sfatta, non si addice al pieno sole, ma ha bisogno di celarsi sotto un velo di nebbia discreta. La trascrizione originale della ballata

Ich was ein chint so wolgetan

è bellissima ed evocativa, e la immagino cantilenata da monaci e goliardi scostumati, in coro e con le tonache sollevate. Il ritmo è assolutamente trascinante:

Ich was ein chint so wolgetan
virgo dum florebam
do brist mich diu werlt al
omnibus placebam

ohimè

maledicantur thylie
iuxta viam posite

Ia wolde ich an die wissen gan
flores adunare
do wolde mich ein ungetan
ibi deflorare

ohimè

Er nam mich bi der wizen hant
sed non indecenter
er wist mich diu wise lanch
valde fraudulenter

ohimè

Er graif mir an daz wize gewant
valde indecenter
er fuorte mich bi der hant
multum violenter

ohimè

Er sprach frowe ge wir baz
nemus est remotum
dirre wech der habe haz
planxi et hoc totum

ohimè

Iz stat ein linde wolgetan
non procul a via
da hab ich mine herphe lan
timpanum cum lyra

ohimè

Er graif mir an den wizen lip
non absque timore
er sprah ich mache dich ein wip
dulcis et cum ore

ohimè

Er warf mir uof daz hemdelin
corpore detecta
er rante mir in das purgelin
cuspide erecta

ohimè

Er nam den chocher unde den bogen
bene venabatur
der selbe hete mich betrogen
ludus compleatur



meravigliosa.....

Lucio Cornelio
 

14/11/2012

Riflessioni sul sonetto La Roccia di Giorgio Valdes
Mi piacerebbe azzardare “sommessamente”, con il suo permesso e salutandolo cordialmente, alcune varianti :

Questo il sonetto:

Ancora il gregge guidi sulla sfera
nell'inverno che piano il cuore cinge
con le spine e l'affanno della sera
che di rosso le stanche membra tinge.

È tremula la tua voce che spera
nell'amore che salva sana e stringe
con un soffio di pace pia e leggera
che rialza chi all'eterna fonte attinge.

Sono curve e tremanti le tue mani
ed accogli ogni santa prova e pena
cercando vie e orizzonti ampi e lontani

e scorgi nella croce luce piena
fonte unica di pace e del domani
àncora e stella di salvezza amena.


e questi i ritocchi che propongo:

verso 5: è tremula la voce tua che spera

verso 9: curve e tremanti sono le tue mani

verso 11: vie cercando, e orizzonti ampi e lontani

verso 12: e nella croce scorgi luce piena


a parer mio queste piccole variazioni migliorano la musicalità e la comprensione istintiva della poesia. Che è comunque molto bella.
Cordiali saluti
Lucio Cornelio
 

Al termine di studi faticosi e molto approfonditi, non resta ormai alcun dubbio che i Carmina Burana altro non furono che un sito di poesia ante litteram. Tra le prove più convincenti dell’asserto figura senza alcun dubbio la ritrovata incisione, sul legno dell’organo del Monastero di Bura, della seguente frase, rimasta misteriosa per secoli:
www.codex_buranus.de
inoltre i manoscritti sono tutti attribuibili a scrittori diversi, come si desume dalle evidenti differenze tra un palinsesto e l’altro, e dalla presenza di opere di valore letterario molto vario, dalle più elevate, permeate da evidente ispirazione mistica, alle puttanate vere e proprie. Campeggia nelle numerose prove documentali la figura di Goliath DeNinus Episcopus, cui – non si sa per quale misteriosa ragione, i Goliarden tributavano ripetuti melensi omaggi, alla fine di ogni opera.
Le ricerche sono tuttora molto attive, e non dubitiamo che esse ci riserveranno ulteriori interessanti testimonianze.
Lucio Cornelio
 

13/11/2012

Sono certo che questa frivola e goliardica storiella darà la stura a considerazioni colte e profonde. Il periodo in cui è nata è preludio alla successiva poesia italiana, a partire dalla Scuola Siciliana. Dante è di là dal venire.

Ich was ein chint so wolgetan

Ero una ragazza tanto carina
quando fiorivo nella mia verginità
tuto il mondo mi lodava
e piacevo a tutti

Ohimè!

Volli andare sul prato
per cogliere dei fiori
quando un brutto sfacciato
volle prendersi il mio bel fiorellino

Ohimè !

Mi prese per la bianca mano
-ma non indecorosamente-
e mi portò con sé lungo il prato
-molto furbescamente-

Ohimè !

Mi toccò il mio vestitino bianco
-piuttosto indecentemente-
e mi portò via con la mano
-molto violentemente-

Ohimè !

Egli disse: "Andiamo donna,
che il bosco è lontano."
Ah come odio questo sentiero!
Come mi son pentita di tutto ciò!

Ohimè !

"Laggiù non lontano dal sentiero
c'è un bel tiglio:
là ho lasciato la mia arpa
il mio tamburo e la mia lira."

Ohimè !

Quando egli giunse al tiglio
Disse: "sediamoci."
L'amore lo incalzava.
"Facciamo un gioco!"

Ohimè !

Mi toccò le bianche membra
-non senza timore-
e mi disse: "Ti faccio diventar donna.
com'è dolce la tua bocca!"

Ohimè !

Mi tirò su la camicetta
scoprì il mio corpo
e irruppe nel mio castelletto
con la sua cuspide eretta.

Ohimè !

Poi prese l'arco e la faretra
e, dopo avere ben cacciato,
mi disse (proprio lui che m'aveva ingannata):
"Ora il gioco è finito."

Ohimè !

Uno dei Carmina Burana - il supporto cartaceo del qui presente canto (ovviamente in latino germanizzato, lingua romanza se si vuole) è esposto presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze
Proposta per la discussione da Piero Colonna Romano
 

L’intervento di Piero è una interessante fonte di notizie biografiche e di valutazioni estetiche. Non posso non concordare con le osservazioni che muove, sul nostro D’Annunzio.

Ma sono più prudente nel perseverare sulla condanna di narcisismo, che si fa incombere sempre, incessantemente, sul personaggio e sulla sua produzione letteraria e civile. Come se non ci fosse null’altro.

E, inoltre, pur sapendo che “decadente” è un termine tecnico che attiene a un certo stile di poesia in un certo contesto, nessuno mi toglie dalla testa che esso viene usato per autocompiacimento, come un sasso scagliato, per bollar qualcuno di qualcosa di indistinto e, tutto sommato, di stantio e ripugnante.

Se io fossi D’Annunzio, replicherei: “Decadente sarai tu e tua sorella...! “
Lucio Cornelio
 

Su “Alla Nutrice” di G. Rapagnetta:

“Amare se stessi è un idillio che dura tutta una vita”. Pare fatto su misura per il nostro Vate, questo aforisma di Wilde.
Rapagnetta si chiamava, quasi fosse un becero personaggio delle commedie del Beolco e, per uno attentissimo alla propria immagine pubblica, ciò era insopportabile.
Ma pure “Gabriele”, l’arcangelo dell’annunciazione, era il suo nome. E così, con somma modestia, ritenendosi unto da Dio e portatore di luce e della buona novella, cercò rimedio a quell’esser Rapagnetta.
Non si conoscono le notti insonni ed i tormenti (ed il grande barzellettier/comunicatore era di là da venire!) che soffrì l’esteta, l’esule, il sovrauomo, il dux conducador ed, infine, il desaparecidos per trovare altro più adeguato second name.
Sembra abbia iniziato con lo scegliere un “Dell’Annunciazione” e poi “Dell’Annunziata”. Scartò entrambi, lui fervente laico, affascinato dal classicismo grecolatino.
Un improvvisa illuminazione, alfine, gli fece pensare che lui, e lui soltanto, poteva annunziare il nuovo verbo (alla faccia di Marinetti & Co.) e così nacque prima un Dell’Annunzio, poi, più elegantemente D’Annunzio.
Non contento di ciò, per dare prova di modestia, si firmò con la “d” minuscola.
Gabriele d’Annunzio dunque vedeva la luce. (per completezza d’informazione: il Profeta ci raccontò che quel nuovo cognome era doveroso omaggio ad un suo zio che l’aveva adottato. Chi vuol credere creda.)

Sulla lirica “Alla Nutrice” hanno fatto  dotta analisi tecnico/poetica Lucio e Roberto. Me ne astengo, concordando con entrambi, pur non entusiasmandomi. Ed il mio scarso entusiasmo deriva dall’eccessivo tecnicismo (definito “architettura poetica”) usato per un tema che pure, a mio avviso, avrebbe avuto bisogno di minore “controllo”, di maggiore spontaneità e, perché no? di maggiore limpido sentimento. Magari con qualche umano errore tecnico. Non posso non notare la blasfemia di quel “…divina-/mente…” insuperabile ed insuperato enjambement.

Ma vorrei leggerla alla luce della personalità di questo grande poeta, e del suo considerarsi.
Tre elementi sono alla base del componimento: la notte di Natale (cioè, a sua convinzione, il giorno della sua nascita) più volte richiamata nel componimento, la scarsissima considerazione per la madre (definita, a mo’ di balia, “nutrice” -colei che nutre-), il tardivo pentimento per la sua vita dissipata (e qui forte è il richiamo al tema del “Breus” di Pascoli).

“Alla Nutrice” fa parte, anzi ne è l’introduzione, del Poema Paradisiaco formato da cinque “Hortus”. Di spazi chiusi parla il poeta, dunque. Spazi nei quali si realizza quella simbiosi tra uomo e natura, là dove la natura si umanizza e l’uomo si fa fiore, frutto, pianta. Panismo, in definitiva, possibile soltanto ad un sensibile uomo superiore (Nietzsche distorto) che può tutto, oltre la morale, oltre le leggi.  Lui e soltanto lui, insomma.

C’è tutto il d’Annunzio decadente in questo poema che fu ispirazione per i poeti crepuscolari dell’epoca (Govoni, Corazzini, Gozzano, Palazzeschi ecc).

Sinceramente, e non me ne vogliano gli amici Roberto e Lucio, di gran lunga preferisco il progetto incompiuto delle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi” dove, nell’Alcyone, si trova la più alta espressione poetica del Vate (La pioggia nel pineta e La sera fiesolana, in particolare). Quella che lo consegna alla storia come uno dei più grande dei poeti del ‘900.
Piero Colonna Romano

 

12/11/2012

D’Annunzio – Nutrice - Su questa poesia, cedo alla tentazione di esprimermi due volte, con atteggiamenti radicalmente diversi:

Prima istanza:

Il linguaggio del Vate. La Nutrice non è una donna, ma piuttosto l’Incaricata dal Destino di forgiare le prime sensazioni, le prime emozioni del Poeta:

Nutrice, da cui bevvi la mia vita
prima, ne le cui braccia ebbi il sopore
primo!….


Il Poeta, il Vate, ormai librato nei percorsi del suo destino, ritorna con la mente alle sue prime emozioni, e osserva quanto divergenti siano i destini suoi, e quelli dell’umile donna che è rimasta, ignara di tanti fasti, assisa al suo modesto caminetto, a filar la lana nella notte di Natale,

sinchè l’olio dura
nella lucerna…

Il linguaggio è aulico, scritto per la lettura di ambienti colti, e selezionati per ceto e per censo… Come si chiedeva, d’altronde, e come si voleva che fosse… In questa analisi D’Annunzio è il portavoce d’una cultura, d’un ceto, e d’un censo…..

Il finale cinico, la mammella morta e pendente, che configura l’involucro della crisalide, da cui si è innalzato, volando, la forma perfetta finale…

Seconda istanza:

Composizione perfetta, e coraggiosa financo alla luce della “modernità” dell’attuale linguaggio. D’Annunzio afferra le parole, compone i versi, e lo fa travolgendo ogni timidezza o insicurezza formale. La poesia, la forma d’arte “poesia”, è sua, nasce con lui, e lui ne è maestro e interprete primo e insuperato. Il disegno (quel ABAABC, di cui la C ripetuta, che ci fa rilevare Roberto) – preordinato secondo uno schema sofisticato di rime e di cadenze, è ambizioso e difficile, ma D’Annunzio lo affronta e lo porta a termine senza il minimo segno di approssimazione o di stanchezza, e ciò denota una sublime premeditazione, quando ancora la composizione era al livello di pensiero. Il formalismo, figlio necessario di un’epoca (mio nonno portava la caramella all’occhio, con un nastrino, e da napoletano di classe colta, parlava con “la evve moscia”, naturalmente arrotata) era il linguaggio d’allora e D’Annunzio ne è un profondo e convincente interprete.

Si vuol dire allora che è cinico? Che è superficiale? Che nella sua vita ha attinto a piene mani dai suoi capitali di leader, dai capitali emotivi di milioni di Italiani, facendoli inorgoglire di se stessi, ma anche quelli di altri e altre, travolgendo e distruggendo intere vite?

Diciamolo pure. D’Annunzio è stato il fuoco, che riscalda, purifica, e distrugge. E che rinnova anche. E soprattutto diciamo, compiangendocene, che il tempo attuale non riesce più – chissà come mai – a partorire un altro come è stato lui.
Lucio Cornelio
 

7/11/2012

La poesia che sottopongo alla vostra attenzione merita – a mio avviso – una attenta esegesi, sia per l’intrinseca qualità dei versi, sia per l’architettura del pensiero. Inoltre non è superfluo dare luogo a una critica contestualizzata nel periodo in cui essa è stata composta, assieme ad una rivisitazione che tenga conto delle odierne sensibilità.

 Vi sono luci ed ombre in questa poesia, che tuttavia non è uno scherzo di poco conto. Vi dirò le mie conclusioni, e frattanto vi prego di offrirmi le vostre. Grazie.

 Lucio Cornelio

 

P.S. Forte era la tentazione di non rivelare l’autore, ma avrei, tutto considerato, falsato il gioco, assumendomi arbitrariamente un vantaggio. Eccovi dunque tutto.

 

Nutrice

Gabriele D’Annunzio

(Poema Paradisiaco)

 

Gelida sta la notte cristiana
su le case degli uomini, ma pura.
- O tu che ne la casa tua lontana
fili con dita provvide la lana
de la tua greggia, sin che l’olio dura
ne la lucerna, e il ceppo a tratti splende,
 
Nutrice, da cui bevvi la mia vita
prima, ne le cui braccia ebbi il sopore
primo!, se da la tua bocca appassita
riudissi io quel canto e le tue dita
vedessi, ove s’attenua il bianco fiore
dei velli, e il fuso pendulo che scende,
 
e la fronte rugosa che s’inchina
incoronata di capelli bianchi,
ove la semplice anima indovina
si rivela talor quasi divina-
mente in un raggio, e i tuoi cavi occhi stanchi
ove qualche favilla pur s’accende,

io forse piangerei ancora un pianto
salùbre e forse ancora dal profondo
mi sorgerebbe qualche antico e santo
affetto, e mi parrebbe nel tuo canto
ritrovar l’innocenza di quel biondo
pargolo; - e lungi queste cose orrende!
 
E tutta la freschezza del tuo latte
ne le mie vene! - Una natività
novella, in un candor di nevi intatte. -
E tutta la freschezza del tuo latte
ne le mie vene, e tutta la bontà
dei cieli; - e lungi queste cose orrende,
 
lungi sempre da l’anima rinata
e del candor natale circonfusa!
Una immensa bianchezza immacolata,
una forma d’amore angelicata,
e per tutto l’imagine diffusa
d’un Bene Sommo che quivi s’attende! -

Ma tu, che ne la casa tua lontana
torci il fuso, non sai la mia ventura.
Fili con dita provvide la lana
de la tua greggia; nè sai la mia vana
tristezza, in quest’azzurra notte pura.
Tu torci il fuso, e il ceppo a tratti splende.
 
E fili, e fili sin che l’olio dura,
Nutrice; e morta la mammella pende.

Lucio Cornelio

 

 

27/10/2012

A Lucio Cornelio per le migliorie proposte al mio sonetto... Grazie Lucio per i preziosi consigli, ne faccio tesoro. Ho capito comunque che per comporre belle poesie in rima, non ci si puo' improvvisare, oppure fare affidamento solo sui sentimenti...ci vuole tanta tanta passione e...studio. Grazie ancora Lucio per le tue attenzioni
Salvatore Orefice

 

25/10/2012
 

Salvatore Orefice - Sonetto, baci e... condimento -

 

ah Salvatore, che bel sonetto...!  Sei stato bravissimo, e sommessamente, come dice Piero, ti propongo alcune migliorie. Questo il tuo, delizioso:

 

Ti sorprendero' con un bel sonetto
ti sbalordiro' prima della festa
per te lo faro' giuro lo prometto
perche' sei per me, bella dolce onesta

Musicalmente non sara' perfetto
inutile parlar di quel che resta
solo sul sentimento ci scommetto
d'altronde sono piccolo apprendista

Sara' con i miei baci e le carezze
con l'aggiunta di sguardi ed effusioni
un pizzico di sano condimento

Sara', per tutte le mie tenerezze
e per merito di mille attenzioni
che completero' il componimento

 

Ora i miei suggerimenti.

Prima quartina: zoppica nelle cadenze. Guarda come migliora così:

 

Io ti sorprenderò con un sonetto,

Io ti sbalordirò pria della festa,

che a te farò, lo giuro, lo prometto

perché sei per me bella, dolce e onesta.

 

(hai visto come gli accenti sono tornati a posto?)

 

Seconda quartina: salvataggio della rima

 

Musicalmente non sara' perfetto
inutile parlar di quel che resta
solo sul sentimento ci scommetto,
se ti accontenterai delle mie gesta

 

(il quarto verso risolve quello che è stato certamente un tuo tormento )

 

 

La prima terzina è perfetta così, ma sarebbe meglio che la seconda invertisse le rime, da ABC a BCA, per acquistare musicalità (poi lo fa anche Dante J: )

 

Sara' con i miei baci e le carezze
con l'aggiunta di sguardi ed effusioni
un pizzico di sano condimento


 

che completero' il componimento
e per merito di mille attenzioni
ti coprirò di tante tenerezze

 

Alla fine di tutto, rileggo il tuo sonetto nell’originale, e mi chiedo se non sia più bello così, fresco fresco, e con i versi che zoppicano un poco. Grazie per la tua pazienza.

 

Lucio Cornelio
 

23/10/2012

Caro Salvatore, sommessamente mi permetto, di suggerirti alcune varianti alla tua ottima "Ho un mondo nel cuore".
Per omogeneità della metrica usata (senario che, come tutti i parisillabi, dà un senso cantilenante alla poesia) ti propongo queste varianti:

II strofa : E monta e rimonta/di collera gonfio/ma timido sconta/non essere tronfio.
III strofa: Di moto affamato/su gambe di legno/d'ignoto affamato

Noterai che, pur utilizzando le stesse tue parole, il posizionamento diverso (nella III strofa) crea elisioni che riallineano i versi al senario che hai utilizzato.
Per lo stesso motivo ho aggiunto una "E" al primo verso della II strofa ed eliminato un "il" al terzo verso della stessa.

Con stima ed apprezzamento, un cordiale saluto. Piero
 

26/8/2012

Voglio farvi conoscere una poesia, bellissima. Una poesia che mi ha condotto alla più sincera ammirazione per la qualità e la sensibilità dimostrate dall’Autore:

Poesia Metasemantica: Fosco Maraini

Il giorno ad urlapicchio
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dago e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infragelluto,

ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzillano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m’hai detto “t’amo per davvero”.
Lucio Cornelio
 


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