Il maestro di giustizia di
Marco Salvador Fernandel Edizioni
Narrativa - romanzo
Strano romanzo, questo di Salvador, e che mi ha impegnato non poco
nella lettura, interrotta e ripresa più volte.
Direi che si può suddividere in tre parti, di cui una prima
propedeutica, volta a delineare il personaggio principale che parla
sempre in prima persona, una seconda in cui la protagonista,
realizzando la sua femminilità, riacquisisce se stessa e un'ultima,
molto più pregnante e di intensa spiritualità che chiude
superbamente l'opera.
Che Salvador sia un ottimo scrittore penso non ci siano dubbi, ma
che poi riuscisse a pensare e a parlare al femminile è stata una
vera e propria sorpresa, peraltro piacevole.
C'è da dire piuttosto che la seconda parte, per certi versi non
facile, è quella che mi è risultata meno gradevole, perché
l'erotismo che vi è presente mi è sembrato a volte eccessivo. Per
quanto non sia un bacchettone, tuttavia l'insistere su certe
immagini, su certi particolari di un rapporto amoroso ha finito,
anziché coinvolgermi ulteriormente, con il provocarmi un certo senso
di disagio.
Non dico che, data la tematica e le finalità dell'autore non
dovessero esistere pagine di erotismo, però, sempre a mio avviso, a
volte Salvador è andato oltre misura.
E' un peccato, perché sarebbe bastato poco, magari qualche tono meno
acceso e più sfumato, e Il maestro di giustizia sarebbe risultato un
capolavoro, anziché essere, secondo me, un romanzo di sola pur
eccellente fattura.
Nell'ultima parte l'autore è riuscito a ricreare una sorta di epoca
ormai sparita, un'isola sperduta di spiritualità in mezzo a un mondo
di ferocia. Nel ritorno alla sacralità della morte Salvador ci ha
indicato la via per una vera vita, con mano lieve, senza mai
indulgere a una commozione forzata, ma con la stessa naturalezza con
cui gli abitanti di un villaggio rumeno respirano, amano e
scompaiono.
Sembra di essere presenti, nei ritmi lenti, in quella sorta di muta
fratellanza che accompagna gente in pace con la natura e con se
stessa.
Alcune pagine, poi, mi sono sembrate di notevole bellezza e
particolarmente pregnanti, come se l'autore avesse veramente vissuto
una simile esperienza.
La morte che arriva in punta di piedi, il predestinato che
l'accoglie in modo del tutto naturale, gli ultimi giorni di vita
dell'amante della protagonista, lei che si trasforma da maestro di
giustizia in essere umano con emozioni e amore, sono quanto di più
bello Salvador potesse scrivere.
E anche le ultime righe sono nella completa logica che presiede alle
vicende dei mortali, un autentico tocco da maestro.
Marco Salvador nasce il 10
novembre 1948 a San Lorenzo di Arzene (PN), dove tuttora vive. Ha
pubblicato numerosi saggi sulle comunità rurali nel medioevo e sulle
giurisdizioni feudali minori. Inoltre ha scritto cinque romanzi: Il
longobardo (Piemme, 2004), La vendetta del longobardo (Piemme,
2005), L'ultimo longobardo (Piemme, 2006), La casa del quarto
comandamento (Fernandel, 2004) e appunto Il maestro di giustizia
(Fernandel, 2007).
Renzo Montagnoli
La donna che parlava con i morti
di Remo Bassini Newton
Compton Editori
Narrativa - romanzo
Romanzo difficile questo di Remo Bassini, quasi la ricerca di una
prova della maturità letteraria, e non solo quindi una conferma
della consapevolezza artistica delle opere precedenti.
Ritroviamo in questo testo elementi già presenti e radicati,
soprattutto in "Dicono di Clelia", un intreccio di storie e di
personaggi apparentemente non collegati, ma che poi finiscono con il
convergere in un'unica visione comune che, nel caso specifico, è la
realtà attuale, sempre frutto dei trascorsi, di quel passato
attraverso il quale costruiamo poi il presente.
Non intendo considerarlo un romanzo di genere, perché la tensione
emotiva propria del giallo è nel DNA di Bassini, né posso intenderlo
come un testo in cui si sviluppa l'esoterismo, anche se questo
finisce con l'essere presente, ma non costituisce l'elemento
dominante.
A fare i conti con il passato sono tutti i protagonisti di questa
vicenda e in primis quello principale, quell'Anna che di cognome fa
probabilmente non a caso Antichi, quasi un emblema della finalità
dello sviluppo narrativo. E' a lei soprattutto che l'autore rivolge
la sua attenzione, in modo quasi ossessivo, perché è lei che dà il
ritmo della narrazione, che si esprime attraverso una serie di flash
back che rimandano di volta in volta a vicende passate.
E' una parte essenziale questa e il ricorso a continui tuffi nella
memoria appare determinante nel delineare la vicenda, anche se devo
ammettere che appesantisce un po' la fluidità del discorso, ma
comprendo pure che, francamente, Bassini non aveva altre possibilità
per il modo in cui ha impostato lo sviluppo del suo romanzo.
Come dicevo tutti i personaggi devono fare i conti con il loro
passato e sono legati da un evento luttuoso che ha segnato la loro
vita. Per Anna è la morte del padre Leone, per Fabrizio, il
poliziotto di cui Anna è innamorata, è il decesso dell'adorata
moglie; analoghe perdite sono quelle che toccano Mario, scrittore di
successo imbarbarito dopo il suicidio di un figlio e per Antonio a
cui viene a mancare l'amico fraterno. Ma ci sono anche altri tipi di
lutti, quali quello di Roberto, abbandonato dalla moglie.
Questi personaggi che sono venuti a mancare assurgono a figure
determinanti in chi è restato, figure che in vita non erano state
giustamente valutate e su cui non era stato riversato l'affetto
adeguato. Questi fantasmi ora bussano alla porta di individui che
hanno la percezione di essere degli ingrati e che, a differenza di
altri romanzi di Bassini dove hanno l'attitudine a risolvere i
problemi con la fuga, qui fanno i conti con il loro passato, con
rimorsi, con rimpianti, esami di coscienza sui quali tentare di
ricostruire una vita, di avere un futuro.
Remo Bassini nasce a Cortona il
23 settembre 1956, ma vive da molti anni a Vercelli. Ha svolto molti
lavori per poi approdare a quello di giornalista, diventando
direttore de La Sesia.
Pubblicazioni: Il quaderno delle voci rubate (La Sesia), Dicono di
Clelia (Edizioni Mursia), Lo scommettitore (Fernandel Editore), La
donna che parlava con i morti (Newton Compton).
Renzo Montagnoli
Addii d'un rosso inconscio di
Luigi Panzardi Magnetica
Edizioni
Immagine di copertina di Luigi Panzardi
Narrativa - racconti
Quando ho intervistato l'autore in occasione dell'uscita del libro,
gli ho chiesto, non avendolo ancora letto, il motivo di un titolo
così strano e lui mi ha risposto che lo stesso annuncia, sia pur
vagamente, l'esito drammatico dei racconti, i cui personaggi sono
dotati di una personalità fuori dalla norma o a limite della stessa,
o addirittura sono in preda alla follia.
Nell'introduzione al testo, scritta dallo stesso autore, viene
rimarcato questo comune denominatore, citando la vita di Nietzsche,
universalmente considerato un genio, razionale, logico e che poi
all'improvviso finì con l'impazzire, quasi a voler dimostrare che è
presente in ognuno di noi un lato oscuro che, poi, per motivi
sconosciuti, può prendere all'improvviso la supremazia, trasformando
una mente lucida in una folle.
Quindi l'obiettivo di questa raccolta di racconti non è per nulla
facile, perché ci si addentra in un campo che continua a sfuggire
alla logica, con caratteristiche e modalità che variano da individuo
a individuo.
Lo sviluppo narrativo si avvale di un racconto lungo (La busta
azzurra), in cui è più presente, al di sotto di un'apparente
normalità, la radice della demenza, in questo caso quasi l'effetto
di una successione genetica che porta la protagonista all'omicidio
perpetrato quasi in tranche, in obbedienza al lato oscuro della
personalità, sempre latente, ma che sembra esplodere con casualità,
ricollegando un albero a una tragica vicenda familiare.
In questo racconto aleggia anche una certa aria di mistero, un senso
di oppressione che per certi versi richiama la letteratura di
genere, più incisivamente il gotico.
Questa sorta di horror psicologico è ancora più evidente in
L'Assolo, dove in atmosfere nebbiose si dipana uno sdoppiamento
della personalità che porta a un'imprevedibile conclusione.
Meno coerente nello sviluppo tematico, ma senz'altro assai riuscito
è invece La pecora, dove il degrado, inteso in tutti suoi
aspetti, porta a uno stato di rassegnata follia, intesa quale unica
soluzione di un problema senza altri sbocchi.
Di sicuro effetto è poi Il custode del canile, in cui
l'emarginazione diventa il campo di coltura di un disordine mentale
da cui si può uscire solo con la morte.
Ne L'ultima estate di Alì l'autore cerca di trovare i motivi
per i quali un essere umano si dà la morte, assieme ad altri ignari.
Nella lucida follia del kamikaze c'è una sorta di rassegnazione, di
mancanza di fede nella vita con totale dedizione alla morte,
descritti a piccoli passi, una serie di immagini al rallentatore che
non possono non coinvolgere.
La lettura di questa raccolta è senz'altro consigliabile.
Luigi Panzardi è nato a San
Giorgio Lucano in provincia di Matera il 27 maggio 1942 e vive a
Taranto. Ha già pubblicato due raccolte di poesie intitolate
Parole bianche e Istanze e sogni.
Renzo Montagnoli
Mario e Menco - i dottori de nna volta
di Silvano Conti edizioni
Edimond - Dicembre 2007
prefazione di Nicola Lucarelli
Immagini e copertina di Antonio
Renzini
Prosa vernacolare - 12 racconti
Prefazione
Il dialetto umbertidese per Silvano Conti, non trova il suo
esclusivo campo di espressione artistica nella poesia, ma anche nel
settore narrativo, nel quale gli altri autori dialettali raramente
si cimentano. La prosa dialettale appare in effetti meno frequentata
per le difficoltà che essa presenta ad un autore che si vuole
proporre come “immediato” e di facile comprensione. La poesia in
questo senso incarna quell'immediatezza senza mediazioni che il
dialetto sembra offrire rispetto al linguaggio colto. Come avevo già
indicato nella prefazione alla silloge “Tal merollone e al
tondo” la poesia dialettale – e Conti non smentisce la regola-
si serve del ritmo più tradizionale e della rima come modo di
espressione privilegiato, quasi a marcare una netta differenza con
gli esiti artistici di una poesia più colta che privilegia
l'espressione in una lingua più studiata e ricercata.
Nella prosa tutto ciò viene a mancare
e l'espressione si deve fare per forza più studiata ed elaborata nel
tentativo di mantenere, nello stesso tempo, la salutare immediatezza
del dialetto e nel contempo, nella necessità di ancorarsi a più
solide basi sintattiche – del dialetto s'intende- che derogano
spesso in forme dalle cadenze espressionistiche, in ancestrali
cantilene, negli usi e nei costumi veri, vivi, di un popolo vero e
sanguigno. Un incedere cui le poetiche, che affiorano nei dodici
racconti che Silvano ci propone, fanno da sfondo insieme ai luoghi
ed alle persone.
Nella raccolta “Mario
e Menco” l'autore ricorda delle figure assai note nell'epoca
della sua adolescenza e della prima giovinezza, in primis i due
protagonisti: i “dottori” fratelli Migliorati (Mariano e Domenico),
ma anche un buon numero di altri personaggi caratteristici, assai
noti nella nostra piccola città.
Mario e Menco erano i “dottori de nna volta” che “érono schietti,
magara anche m po sgarbati, ma sincéri, e quel ch'éon da dì, te l'
diceon tal muso, senza tante nanne”. Nella prosa di Silvano queste
due storiche figure risorgono, rivivono esattamente quali erano
quando gli umbertidesi le avevano conosciute, quasi persone di
famiglia, paterne e talora brusche a cui si doveva il rispetto
dovuto a un familiare più esperto e autorevole.
I tempi sono cambiati ed anche i medici di oggi sono diversi da
loro, forse più funzionali, come si dice ora, forse meno paterni
perché più giovani e magari conosciuti come normali ragazzi prima di
intraprendere la loro missione.
Queste due figure
che erano molto care agli umbertidesi – anche perché essi morirono,
per così dire, sul campo, esercitando la loro professione – sono
l'occasione per descrivere il paese della propria infanzia e della
prima giovinezza che pare essere l'ideale habitat dell'opera
dialettale di Conti.
Il dialetto appare infatti più indicato a descrivere il passato, il
ricordo, quasi a testimoniare una memoria che trova nella lingua
locale, se non l'unico mezzo espressivo, almeno quello da
privilegiare.
L'esperienza dialettale appare già di per se una scelta legata al
passato, a lasciare testimonianza di una lingua che per vari motivi
– l'invadenza della televisione, la crescita del livello
dell'istruzione media, emigrazioni ed immigrazioni sia nazionali che
internazionali e una società che si fa sempre più multiculturale se
ancora non del tutto multietnica- perde ogni giorni elementi
sintattici e lessicali abdicando nei confronti dei nuovi linguaggi
ed espressioni lessicali di “moda”.
Se nella prosa non si usa – com'è evidente – la rima, non passerà
comunque inosservato il particolare ritmo della prosa di Silvano,
che per la sua particolarità potrebbe essere definito una prosa in
versi, tanto l'esperienza della poesia dialettale si avverte e
influisce sulle sue scelte espressive.
La quantità di personaggi evocati nei racconti è notevole, sia per
episodi realmente accaduti, sia per altri in cui la fantasia
dell'autore si diletta a creare situazioni che sarebbero anche
potute accadere veramente e quindi più che verosimili. Ci passano
così davanti agli occhi le figure più tipiche della Umbertide che fu
e ci fanno riflettere su come il paese che avevamo conosciuto nelle
nostra infanzia ed adolescenza e che eravamo abituati a vedere come
immutabile e quasi eterno nella tipicità sua e dei suoi più tipici
personaggi, sia invece quasi improvvisamente mutato, rinnovato e
quasi irriconoscibile dopo che il tempo ha fatto inesorabilmente il
suo corso.
La lettura di questi brevi racconti
ci fa capire che ciò che non abbiamo chiaramente percepito nel
cambiamento continuo e inesorabile, perché anche noi coinvolti nello
stesso o distratti dagli impegni di lavoro e dai problemi della
vita, era che la gradualità dei mutamenti ci portava a pensare
intimamente che le cose in fondo non sarebbero poi molto cambiate e
che alcune particolarità che vedevamo come “punti fermi” non
sarebbero mai andate perdute.
Silvano ci riporta bruscamente alla realtà e ci fa vedere
come invece il paese e noi siamo cambiati, radicalmente,
ineluttabilmente; in questo la forza del dialetto è, direi quasi,
dirompente e di una valenza molto significativa che ne evidenzia
l'importanza e direi -senza tema di smentite- l'esclusività in
argomenti così strettamente collegati alla vita paesana.
Non voglio ancora trattenervi oltre e vi invito a quella che è la
cosa più importante da fare con questi racconti : leggerli e godersi
questo salutare ritorno ad un'epoca - abbellita dal ricordo
dell'adolescenza e della giovinezza- che merita senz'altro una
nostra riflessione per guardare al futuro senza inutili
conformismi, ma con la coscienza che per costruire qualcosa di
veramente nuovo non si debba né dimenticare, né rinnegare il nostro
passato.
Nicola Lucarelli
L’autore
Silvano Conti è nato ad
Umbertide nel 1951 e nella cittadina umbra tuttora vive e lavora.
Diplomato geometra, è impiegato in una importante azienda locale del
settore metalmeccanico.
Personalità poliedrica che spazia dalla musica ( drummer in una
formazione rock negli anni sessanta ), alla pittura, alla botanica,
alla micologia di cui è profondo conoscitore. É autodidatta nella
conoscenza del latino e studioso per diletto delle lingue
vernacolari e dei dialetti che ne derivano.
Il filtro della vita ha
trasformato, comprimendo il suo tempo libero, la sua predilezione
naturale per la prosa, ma ha accentuato, elevendolo all’ennesima
potenza, il valore intrinseco della sua poesia che esplode ad ogni
lettura con significati intensi di rara magnitudine.
Ha pubblicato : “ Il
significante” 1985, poesia – “Frattaje –
racconti satire e poesie in lingua frattigiana “
prosa-poesia; “Aspettando l’attesa- immagini rumori odori
del tempo che passa”, 1988, poesia-prosa; “La canzona de
Stinchi de Mavero” 1995 poemetto, poesia vincitore premio
letterario XXV Aprile ; “Tal merollone e al tondo”
1995, poesia-prosa; “Sentieri d’aria – sguardi e grida dal
cielo” 1995 poesia, “Catene – e di rimando
dettagli liberi e chiaroscuri” 1998, poesia.
Nicola Lucarelli
Canti celtici
di Renzo Montagnoli
Edizioni Il Foglio
Prefazione di Patrizia Garofalo
Immagine di copertina e fotografie
all’interno di Renzo Montagnoli
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Poesia – poema
VOCAZIONE
ALL’ASSOLUTO
E’ con grande piacere che mi accingo a
parlare di Canti celtici
di Renzo Montagnoli
(Edizioni Il Foglio, pagg. 90, Euro 10,00), in quanto ho avuto modo
di seguire passo passo sul suo blog
www.armoniadelleparole.splinder.com la genesi del libro, e il
privilegio di leggerlo appena uscito, per comporre un’intervista con
lui pubblicata sul neonato sito dell’associazione
[CaRtaCaNta©],
che potete leggere
qui.
Montagnoli è personaggio poliedrico:
dominus del sito
www.arteinsieme.net, è riuscito a coagulare attorno a sé poeti e
scrittori interessanti che bazzicano il sottobosco della piccola e
media editoria, contribuendo in maniera cospicua alla diffusione dei
loro lavori, svolgendo un servizio appassionato, dettagliato e
competente di trasmissione di informazioni, recensioni, estratti,
interviste con autori, editori e editor che potrebbe esser preso
seriamente a campione - dagli studiosi delle strategie di
comunicazione - della trasversalità del web e delle sue infinite
risorse in ambito di diffusione letteraria e culturale. Ma Renzo
Montagnoli non finisce qui: è scrittore di racconti, apprezzabile
fotografo e poeta della natura e della memoria, dalla voce difficile
da eludere.
I 22 Canti che compongono la silloge
esprimono un concept omogeneo, quasi programmatico nel porre
l’accento sui valori fondamentali che contraddistinguono una civiltà
che possa ancora dirsi tale. Non a caso l’interesse di Montagnoli
per il mondo dei Celti si rivolge a precise loro caratteristiche,
come i valori della comunità, della famiglia, a un contatto
animistico con la natura – i celebri boschi celtici.
Caratteristiche che il mondo odierno sembra aver perduto, nel
dilagante consumismo, nella ricerca esclusiva del profitto, nella
costruzione di paradisi artificiali, nello snaturamento dei valori
più veri e di quelle conquiste della mente e dello spirito in grado
di far progredire realmente la collettività. La soluzione, auspicata
da Montagnoli in questa raccolta, è quella del ritiro nel sogno di
un tempo arcaico, dal quale trarre nuova linfa vitale.
Il linguaggio dei
Canti celtici
è elegante e sorvegliato, ma senza artifici. La scrittura è piana e
diretta, va al nocciolo della materia da esprimere, sollecitando le
giuste corde. Sanguigna e vigorosa come solo quella di un bardo,
cantore di una civiltà nobile e guerriera, sa esserlo. E il verso
libero, modulato sulle assonanze ( “scorrere silente” e “rive
verdeggianti”, ad esempio, ne Il lungo fiume, dove i
due versi che si richiamano per assonanza, separati da un verso
intermedio – il fiume? Infatti c’è pure la parola acqua –
sono due novenari), su una quantità sillabica variabile, con
qualche rima e riprese di parole o sintagmi, rende il tutto molto
musicale. In alcuni componimenti il tono è dolente e
malinconico; il poeta è attento a cogliere il palpito della natura o
i fenomeni che intende indagare, con delicatezza e attenzione alle
sfumature, quasi per non disturbare quella “musica lieve” che
“viaggia nel tempo” (Musica e polvere). In altri canti la
voce cresce d’intensità, aumenta il ritmo e la concitazione; in
altri è impeto, epica della battaglia, in altri ancora un
ammonimento morale.
Riguardo ai temi, al termine di una
lettura piacevole – come se avessi ascoltato una playlist di quella
musica celtica che molto apprezzo e della quale Montagnoli è
appassionato -, ora con quelle aperture ariose, trasognate, o nel
ritmo serrato di una giga, tutta violini e thin wistle –
qualcosa non mi tornava, non andava ad allinearsi con l’immagine che
mi ero fatto di Renzo Montagnoli dalle cose che scrive e dai
progetti che cura. E, metto subito le mani avanti: il problema era
un certo mio smarrimento, l’incapacità di penetrazione del messaggio
sotteso a questi Canti celtici.
Mi sono chiesto: come può il Montagnoli
concreto dei suoi racconti, il narratore attento a compendiare
nell’espressione creativa la propria esperienza di vita; di più, il
Montagnoli che si è appropriato (pur appartenendo alla generazione
della macchina da scrivere) così bene delle nuove tecnologie,
in linea con l’evoluzione frenetica del mondo, caldeggiare una
“fuga” nell’irrazionale, un sottrarsi alla volgarità e allo
squallore del nostro tempo per rifugiarsi in un sogno e rievocare i
fasti di un’antica civiltà?
Non avevo impostato correttamente la
questione: Montagnoli è incline a perseguire il suo obiettivo
sperimentando, con modi imprevisti, “con quell’unica meta/che sfugge
a ogni logica” (Cocci). E a una più attenta analisi quel
mondo celtico non è un mondo-altro, bensì è un altro dei topoi
dell’immaginazione, un luogo nel quale la voce del bardo – che
rivela il suo spirito e parla per esso attraverso i Canti –
invita il lettore a riappropriarsi del suo passato, per scongiurare
in qualche modo quei “posteri già nati senza memoria” (Musica e
polvere) o “l’immagine di un’umanità senza sogni, senza memoria
e senza futuro” (Il lungo fiume), per non passare senza
“lasciar traccia” (Il futuro nel passato), ultimo approdo che
l’artista si prefigge. E l’imperativo etico è quello di un recupero
dei valori più fondanti: la bellezza e l’amore, la comunità, un
riguadagnato equilibrio con la natura e l’ambiente in cui viviamo.
Questo il messaggio concreto e attuale dei
Canti celtici.
Ma c’è anche un ulteriore livello di
lettura, più intimo, che riguarda l’esistenzialità dell’uomo
Montagnoli, il rapporto interlocutorio che la sua poesia intrattiene
con le forze che regolano l’universo. Da questa prospettiva, a ben
guardarli, questi Canti celtici
sono una vocazione all’assoluto. Alcuni dei canti rivelano questa
attitudine fin dal titolo: Eternità, Il testamento, Il futuro nel
passato, ma sarebbe interessante ripercorrere l’intero poema
avanti e indietro, o zigzagando, cercando prove che convalidino
questa ipotesi: “in quella immobilità del tempo” (Guerrieri
sull’acqua); “lo scandire di Crono in un’unica infinita storia
dell’umanità”(I segni del tempo); “la compagnia per
l’eternità” (In memoria di un bimbo); “(…) per il breve
tragitto/che ci condurrà alla casa del tempo infinito” (In mezzo
scorre il fiume); “e vogliono correre verso il nulla” (Il
mormorio del vento); “in un eterno istante” e “Pascoli del cielo
infiniti” (I pascoli del cielo); “riscopre la
continuità/infinita,/tra passato e futuro.” – dove l’aggettivo
infinita costituisce da solo un verso – (Cocci); “uno
sconosciuto riemerso dall’eternità” (Il testamento).
Sia che il paesaggio sia ravvivato dalla luce o avvolto da umide
nebbie, l’immersione dello spirito è totale. E’ un nuovo paganesimo
che mette in comunione con le cose, come se fosse l’esito di un rito
antico, o l’estremo tentativo di comprendere le leggi che regolano
il creato, quel “(…) mondo che è profondo in noi,/e che scompare nel
volger di un attimo” (Guerrieri sull’acqua), enigma
insondabile e meraviglioso, sospensione del moto, tregua agli
affanni, un istante prima che la realtà ritorni e il sogno si
nasconda “fino alla prossima alba” (Canto celtico).
L'autore
Renzo
Montagnoli
nasce a Mantova l’8 maggio
1947. Laureato in economia e commercio, dopo aver lavorato per lungo
tempo presso un’azienda di credito ora è in pensione e vive con la
moglie Svetlana a Virgilio (MN). Ha
vinto con la poesia Senza tempo il premio Alois Braga
edizione 2006 e con il racconto I silenzi sospesi il Concorso
Les Nouvelles edizione 2006. Sue poesie e racconti sono pubblicati
sulle riviste Isola Nera, Prospektiva e Writers Magazine Italia,
oltre a essere presenti in antologie collettive e in e-book. È il
dominus del sito culturale Arteinsieme (http://www.arteinsieme.net/).
Blog:
http://armoniadelleparole.splinder.com/
Alberto Carollo
Canti celtici
di Renzo Montagnoli Edizioni Il
Foglio
Prefazione di Patrizia Garofalo
Immagine di copertina e fotografie
all'interno di Renzo Montagnoli
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Poesia - poema
Un menestrello scomodo
La poesia di Renzo Montagnoli nasce dall'ascolto: e, come tale, è un
dono.
Un dono della terra, dell'acqua, delle forze primordiali che
popolano il mondo cercando un senso.
Canti celtici (Ed. Il Foglio, 2007) rappresenta questo viaggio di
ricerca.
Il poeta, nei testi, trasfigura se stesso, diventa menestrello per
scelta interiore e trascende dalla propria dimensione chiusa per
aprirsi alla meraviglia, alla dimensione - altra: fatto, questo, che
corrisponde ad una visione archetipa dell'esperibile, per cui
l'ordine del mondo è un magma che si fa terra, materia, linea
temporale perduta, pertanto evocata.
Le liriche -meglio, i capitoli della storia- muovono da questo
universo onirico, quasi visionario: lasciano così una propria
traccia, una cifra che sembra opporre in termini inconciliabili il
passato e il presente, ma che, in realtà, è chiave di lettura della
contemporaneità, sua denuncia insopprimibile. Distanza dall'oggi,
forse? Protesta? O altro?
Sicuramente i vari movimenti delle strofe vivono come organismi
autonomi e dotati di doppia natura: un primo corpo, se vogliamo lo
sviluppo della canzone, rivolto ad un emisfero altro -purificato,
oserei dire- dove tutto avviene ed è fermato in tradizioni e canti
passati, dal vago sapore alchemico o quanto meno magico - evocativo;
un secondo corpo, il congedo, in cui ossimoricamente il presente si
fa urgente, chiave di volta scomoda, denuncia. Ed esiste in
contrapposizione all'antico.
La costruzione formale delle liriche, dunque, acquista valore
proprio perché figlia di questo progetto, dove la razionalità si
incontra con l'irrazionale, la metafora, il vagheggiamento.
A livello lessicale, forti e continui sono i riferimenti al
desiderio di trovare radici e, in opposizione, alla negazione dell'hic
et nunc: è sufficiente citare il termine oblio , parola
chiave già presente nel testo proemiale, o espressioni quali
lavorio di secoli - non è più tempo - il tempo non
esiste - senza memoria - senza futuro - tempo ormai finito.
A ciò fa eco la segreta speranza di scivolare su un'acqua silente,
di dare un ultimo sguardo , quasi a ripercorrere il passato,
trasformarlo in storia, cantarlo per esorcizzare il male, per
rintracciare almeno un suo bagliore oggi, o quanto meno una vaga
possibilità di futuro.
microantologia
da "Canti celtici" (Ed. Il Foglio, 2007)
I segni del tempo
Di strade tracciate nel tempo
restano immote pietre, segni di un passato
che l'oblio dell'uomo non degna di sguardo.
Lì ci sono le radici, quello che l'oggi non sarebbe
senza il lavorio dei secoli, lo scandire di Crono
in un'unica infinita storia dell'umanità.
Non è più tempo di dei, il tempo non esiste più.
Corre l'uomo senza avvedersi del presente,
dimentico del passato, orfano del futuro.
Ma quelle pietre restano e sole testimoniano
le lontane civiltà, avi che nacquero,
vissero e morirono perchè nel dopo
qualche cosa di loro rimanesse.
E invece ora
sono solo inerti sassi
che un giorno qualcuno getterà.
***
Eternità
C'è un sentimento senza tempo,
che si ritrova in ogni era,
un fremito uguale che sempre si ripete,
un incontro che non vuol mai terminare.
E voi lo provaste, in epoca antica,
quando ancora non si scriveva di questo,
fra capanne piantate nelle acque del lago,
fiere affamate all'intorno pronte a balzare
e Dei di cui ormai s'è persa memoria.
Ma l'amore è rimasto, oggi come ieri,
oltre ogni logica, oltre ogni confine.
Giacchè il tempo per voi era passato,
ci fu anima pietosa che rese gloria
a un sentimento imperituro nei secoli
e nell'abbraccio dell'ultimo anelito di vita
vi affidò alla morte
perchè i posteri un giorno sapessero
che tutto finisce,
tutto cessa,
fuorché la forza dell'amore.
(A due neolitici sconosciuti che gli scavi effettuati
nei pressi di Mantova ci hanno restituito nell'ultimo
abbraccio)
Ivan Fedeli
Io, Parsifal
Il Romanzo del Cavaliere del Graal di
Joaquin Javaloys Tre Editori
Narrativa - romanzo
Nell'ultima di copertina c'è scritto questo:
"Parsifal, il mitico Re del Graal, e suo figlio Lohengrin, il
Cavaliere del Cigno, sono i protagonisti di questo romanzo dove la
leggenda si fonde con la Storia ad identificarli con i davidici
Trencavel che guidarono la resistenza catara contro i Crociati in
Occitania.
Una storia segreta che getta una luce nuova e sorprendente sull'eroe
immortalato da Wagner e che incantò personaggi come Ludwig di
Baviera e Adolf Hitler. "
In prefazione, peraltro, l' autore stesso dichiara che nell'opera
svelerà il mistero del Graal del davidico Parsifal, attribuendo il
merito di tale scoperta ai maestri medievali Flegetanis da Toledo e
Wolfram von Eschenbach, che a suo tempo raccontarono i capitoli
principali di questa storia realmente accaduta.
Per avvalorare questa affermazione, Javaloys fornisce, accanto a una
cronologia dei fatti storici rilevanti, anche un quadro sinottico
ove si definisce una corrispondenza fra i personaggi storici e
quelli leggendari.
Il lavoro svolto è stato indubbiamente complesso, ma l'impressione
che ho ritratto è che l'autore si sia trovato di fronte a una non
facile scelta di percorso narrativo. Si deve essere detto: scrivo un
saggio storico, oppure un romanzo storico, o addirittura un romanzo
di fantasia, pur con agganci storici, dove l'aspetto esoterico sia
dominante?
Probabilmente non è riuscito a darsi una risposta chiara, tanto che
alcune pagine sono proprie di una ricerca storica, mentre altre sono
un vero e proprio romanzo, con l'elemento magico presente, ma assai
sfumato.
Ora, la valutazione dell'opera dipende molto dalle aspettative che
il lettore si ritrae dalla stessa. Se desidera un romanzo di
fantasia non ne sarà contento, ma se vuole farsi un'idea su chi
erano Parsifal e Lohengrin, divertendosi a scorrere le pagine, che
spesso sembrano condurre a una sequenza cinematografica, questo
libro non potrà che piacergli.
I personaggi, cavalieri dell'epoca ben delineati nelle loro
caratteristiche, prendono gradualmente forma e sostanza, dando vita
a un intreccio che quasi costringe a seguire gli eventi che li vede
protagonisti, tipo tornei, battaglie, assedi, avventure amorose
anche.
Storicamente s'innesta poi la figura dominante e francamente
esecrabile della Chiesa di Roma, tesa a fare crociate con scopi
ufficialmente religiosi, ma con fini sotterranei ben più materiali.
Questa è forse una delle parti migliori del libro, perché l'aspetto
storico, se pur prioritario, finisce con l'essere raccontato in modo
accessibile ai più, nonostante la complessità derivante da tutta una
serie di intrighi che certo non mettono in buona luce l'opera del
papato.
Nel complesso si tratta di un quadro medievale di pregevole fattura
su fatti ed eventi a molti sconosciuti, ma che hanno una rilevanza
di tutto riguardo nella storia europea, il tutto narrato con uno
stile sobrio e anche accattivante. Penso si possa dire che questo
libro costituisce l'occasione per saperne un po' di più e se
considerato in tale funzione è sicuramente raccomandabile.
Renzo Montagnoli
L'autore
Joaquín Javaloys è uno scrittore amante della Storia.
Nato in Spagna ha vissuto in Italia, Francia e Stati Uniti
conducendo per anni ricerche culminate nella pubblicazione di opere
quali L'origine ebraica delle monarchie europee (Madrid,
2000) e Il Graal segreto dei Catari (Madrid, 2001).
Nel 2006 è uscita la versione spagnola di Io, Parsifal che ha
riscosso grande successo e attenzione.
Renzo Montagnoli
L'ingrato
di Sacha Naspini Editrice effequ
Narrativa - romanzo
Primo romanzo di Sacha Naspini, L'ingrato già rivela le
indubbie qualità di questo giovane autore e che potrei sintetizzare
in una scrittura matura, ma mai greve.
In effetti in questo libro si avvertono alcune linee base che poi si
ritrovano, perfezionate e in piena sinergia, ne I sassi.
L'analisi psicologica approfondita, l'ambientazione definita nei
suoi aspetti essenziali, quasi delle indicazioni, e una trama senza
intoppi sono caratteristiche che appaiono proprie di Naspini e
quindi non dovute al caso, delle vere e proprie fondamenta su cui
contare per dare vita a nuove situazioni, a vicende che non sono mai
ripetitive.
I pregi e i difetti della provincia (nel caso specifico un paesino
toscano) sono il pretesto per una spietata denuncia della
maldicenza, di questo vizio sottile, latente anche in persone
insospettabili e che appare come una valvola di sfogo per
frustrazioni sempre presenti.
Certo il maestro Calamaio, il personaggio principale, ha anche le
sue stranezze, come quella di spiare le bambine quando vanno in
bagno, ma quest'anomalia, che si limita a una semplice osservazione,
appare quasi insignificante rispetto all'acredine, alla storia del
tutto inventata che sorge in questo paesino e che attecchisce in
modo estremamente rapido.
E non è che la vox populi lo condanni per questo spirito guardone,
ma per qualche cosa di immorale che gli stessi creatori ignorano e
che nasce come frutto di fantasticherie che si dilatano di bocca in
bocca, come a dire che uno starnuto nel giro di tre vie diventa un
boato.
No, a Calamaio gli si rinfaccia l'ingratitudine, non gli si perdona
che lui, accolto in paese proveniente dalla città, non abbia
accettato le regole ferree che regnano sovrane nel tempo e che
rendono una comunità al tempo stesso carnefice e vittima di se
stessa.
Per dirla più chiaramente, Calamaio ha violato i confini sacri non
tanto dell'etico, ma del conformismo, delitto senza possibilità di
appello in una società chiusa che può solo accettare o respingere.
Fatto il primo passo, la maldicenza si amplifica, trae forza dalla
sua stessa debolezza di iniziare da una bolla di sapone, perché è
evidente che si viene a creare un inconscio legame fra chi per primo
ha cominciato e l'ultimo che chiude e riapre il cerchio, in una
sorta di girotondo senza fine.
L'individuo preso di mira non ha più cittadinanza e vive
un'emarginazione che è fatta di forzata solitudine e di dispetti
ricorrenti, quasi fosse considerato un corpo estraneo da cui
liberarsi.
Il pregio dell'opera sta proprio nella capacità che ha avuto Sacha
Naspini di rappresentare questa realtà, che non è un caso limite, ma
che invero è frequente, con quella distorta volontà di trovare a
tutti i costi un capro espiatorio su cui sfogare le proprie pulsioni
represse.
Renzo Montagnoli
L'autore
Sacha Naspini è nato a Grosseto nel 1976. Nel marzo 2006 ha
pubblicato il suo romanzo d'esordio, "L'ingrato" (Editrice Effequ).
Nel novembre dello stesso anno è uscito il tascabile "Il risultato"
(Magnetica edizioni). Suoi racconti sono apparsi in varie antologie,
tra cui: "Mia figlia Chiara" nella raccolta "Cattive storie di
provincia"; "Le parole, le stelle" nella raccolta "Antologia del
fantastico underground" (entrambe edite dalle Edizioni Il Foglio).
Vari riconoscimenti letterari, tra cui: nel 2005 vincitore del
premio nazionale "Canossa - Città di Bazzano" con il racconto "La
vita comincia a quarant'anni"; segnalato al premio "Licurgo
Cappelletti" con il racconto "I ragni"; tra i vincitori del "Premio
Boccardi" con il racconto "Serenity Garden". Nel 2004 è stato
finalista al premio internazionale "Massimo Troisi" con la favola
villana "Marito mio!".
Nel settembre dell'anno in corso è uscito il suo secondo romanzo, I
sassi (Edizioni Il Foglio, 2007)
In veste di grafico ha recentemente curato l'antologia di racconti
"È stata pura gioia" (Edizioni Parole & Musica).
Nell'ottobre 2005 è uscito l'album "…il peggio è passato (?)", disco
d'esordio dei Vaderrando (Ethnoworld - MI). Attualmente in
lavorazione il progetto "Anomia". Sacha Naspini, oltre che essere
"la voce" del gruppo, è l'autore di musiche e testi. Per contatti:
www.vaderrando.it
Renzo Montagnoli
Fiori e fulmini
di Cristina Bove - ed. Il Foglio
Le poesie raccolte in questo libro trattano
tematiche care all’autrice, sulle quali compone versi in modi sempre
originali e diversi, con uno stile in cui, oltre alla limpidezza e
chiarezza espressive, risaltano il ritmo, la musicalità ed accenti
malinconici e lirici. Tutti elementi che si colgono immediatamente e
che trasportano il lettore nelle dimensioni fantastiche immaginate
dalla poetessa.
La lettura procede in modo quasi inconsapevole, poiché si sente in
ogni verso e in ogni poesia una leggerezza e una armonia che fanno
pensare a una delle caratteristiche essenziali del “bello scrivere”
di cui parla Italo Calvino nel suo libro “Lezioni americane”.
È un modo di scrivere, anche in versi, in cui la ricercatezza del
lessico è tale da conferire levità, trasparenza quasi, alle immagini
che vengono con esso evocate. E questa caratteristica è tanto più
apprezzabile quanto più il contenuto poetico, di per sé, tratta temi
che potrebbero essere ritenuti quasi “oppressioni dell’anima”,
tormenti interiori, ricerca faticosa e sempre incompiuta di un senso
nelle cose del mondo: temi di una “pesante” serietà indiscutibile.
Se dovessi condensare in poche parole la poetica di Cristina Bove,
direi che essa consiste nella “ricerca della Verità ultima”. Con le
sue poesie, infatti, Cristina ci guida a comprendere che non bisogna
cercare lontano, in sfere e dimensioni metafisiche, ciò che è
“dentro di noi”. Ci invita a provare meraviglia per il mistero
dell’esistere; a stupirci e a commuoverci per tutto ciò che l’uomo
realizza, crea, fa; a stupirci della scoperta di essere parte,
infinitesima, sì, dell’universo, esattamente come tutte le cose
esistenti, e di partecipare dell’essenza del mondo, in tal modo
partecipando dell’essenza del “divino”.
Molte sono le poesie in cui questa dimensione divina viene ad essere
chiaramente esplicitata come insita nella dimensione umana. Ma la
magìa di queste poesie sta nell’attimo in cui la poetessa, ritrovata
nella stessa essenza dell’uomo la verità che cercava, precipita
immediatamente nel dubbio teoretico che la fa oscillare tra una fede
saldissima in un al di là, punto di congiunzione tra l’origine e la
fine dell’uomo, e l’impaccio dei riti inutili, fumi negli occhi di
sprovveduti e spegnimento della luce dell’intelletto. In queste
poesie raggiunge una liricità che è strettamente connessa
all’intensità della sua ricerca e alla sua insaziabile sete di
conoscere il vero senso dell’esistenza
Cito, a tal proposito, due soli esempi di poesie per tutte.
Una è la bellissima poesia “C’era qualcuno”, che ritengo essere una
vera e propria “ode teoretica”: è un rifarsi a Qualcuno che plasma
l’io nell’atto del suo “inizio”, sentirne il sorriso, le mani che
operano la creazione e vederLo risplendere sul ciglio del “pozzo
profondo”, contenitore dell’io che sta per avere origine, fino a
vedere da Lui scaturire il Tempo; ed è in questo Tempo ormai
divenuto “processo”, dinamismo, vita, che il Padre conosce il
Figlio, attraverso scale armoniche, le parole, da Lui stesso
inventate come simboli d’amore.
Ecco, in questi versi si ritrova il punto esatto da cui ha origine
la conoscenza della Verità ed è sconvolgente la semplicità con cui
la poetessa ci fa vivere questa sorta di incanto-magìa-mistero,
svelandone la causa, il luogo, il modo, il tempo, facendoci apparire
assolutamente divino, quello che è assolutamente umano, e
riportandoci in tal modo da una dimensione esistenziale metafisica a
una dimensione pregna di fisicità, di concretezza e di umanità che
appare, tuttavia, grazie al mistero svelato, appartenere ad una
ancora più alta sfera, onnicomprensiva. E in effetti, in questa
stessa scoperta la poetessa inserisce i concetti di immortalità
dell’Anima e di eternità della Vita, non dimostrandone
filosoficamente i relativi teoremi, ma semplicemente ampliandone i
concetti che, anziché essere riferiti alle singole individualità,
sono riferiti all’“in-sé” dell’una e dell’altra. Come dire: la “mia”
vita ha il suo tempo, la “mia” anima muore con il mio corpo, ma “la
Vita” è eterna e “l’Anima” è immortale.
L’altra poesia, emblematica del dubbio teoretico che attanaglia la
poetessa e che sembra improvvidamente e improvvisamente
destrutturare la sua poetica, è Oh Dio: un’invocazione del Suo
intervento a fronte dei mali incessanti che opprimono il mondo, e la
constatazione, (quasi irriverente, a tratti, per chi crede, ma in
realtà richiamo e grido disperante e disperato), che Egli non dia
alcun segno d’esistere. Tanto che, alla fine, la poetessa a Lui
lascia i riti inutili, “cerotti per la coscienza”, considerati come
panacea per tutti i mali del mondo che, invece, continuano ad
attanagliare gli esseri umani; e per sé tiene “l’inferno / di questo
nostro vivere / in cui siamo costretti ad inventarci / giudizi
universali / e a raccontarci / di paradisi inutili / per non odiarti
/ oh Dio”.
Legati a questo grande e fondamentale tema della Verità ultima, pur
nell’inquietudine che l’unica certezza sia l’essere incerti, sono i
temi a carattere sociale che la poetessa affronta in altre poesie,
così come il tema dell’amore, e le sue stesse inquietudini
esistenziali presenti in moltissime poesie.
Le poesie attraverso le quali Cristina travasa sulla carta “tutto il
dolore e la sofferenza spumeggiano nell’anima”, sono quelle più
intessute di malinconia e di nostalgici appigli, sono versi
delicati, intensi, che riempiono il cuore di tenerezza, mentre
offrono una visione di sé come di donna che ha scelto la poesia come
modus vivendi e mezzo per estrinsecare quel palpito divino che l’ha
forgiata e “la vive”.
Un’ulteriore caratteristica che, oserei dire, domina i versi di
Cristina Bove, è l’uso efficacissimo di metafore e di altre figure
retoriche così come di particolari accorgimenti stilistici che danno
uno spessore elevato non soltanto ai contenuti come tali, ma anche
al suo background culturale che risulta essere molto ricco, ampio e
diversificato.
Lèggere le poesie di questa raccolta, Fiori e Fulmini, significa
rendere leggère le nostre ore, provare piacere nel seguire la
fantasia della poetessa che ci fa volare con lei in altri mondi, e
che ci fa sognare, dandoci comunque - anche e soprattutto -
importanti segnali istruttivi e indicandoci delle vie nuove per
comprenderci e per comprendere.
Carmen Lama
La casa della serva
di Nino Montanari Fara Editore
Prefazione di Giuseppe Prosperi
Postazione di Stefano Martello
Copertina di Elvira Palgiuca
Dopo aver letto la prefazione, non si può non emozionarsi già dalla
prima pagina di questo romanzo della memoria, soprattutto per uno
come me che ha vissuto un certo periodo.
Si potrà obiettare che la vicenda non ha nulla di trascendentale,
che non ci sono messaggi di grande portata, ma La casa della
serva è un prezioso scrigno di ricordi di un'epoca che sembra
ormai lontana mille e più anni.
In un paese sconvolto dalla guerra, dove la miseria è l'elemento
dominante, la storia di Zvanin, questo bimbetto che è affetto da
balbuzie e che non ama la scuola, è dipinta con un pennello
d'artista, un susseguirsi di quadri che ben rendono l'atmosfera di
un'Italia che cerca di risorgere.
L'analisi psicologica del protagonista principale è sapientemente
intrecciata con quella dei comprimari, in una ricerca di identità
che offre dignità a tutti, dal babbo Carlone al Barone, un povero
scemo di guerra.
E di quel periodo c'è tutta l'atmosfera, con i comizi per le prime
elezioni, l'evidente parzialità al riguardo della chiesa cattolica,
la solidarietà tipica della povera gente, il paternalismo dei
ricchi, la vecchia vaporiera che assurge a simbolo di rinascita.
Zvanin è un personaggio che non è possibile dimenticare, perché è
vivo, quasi da toccarlo con mano; i suoi silenzi, le sue
riflessioni, le sue paure, il suo modo di percepire la realtà sono
un po' parte di noi, di quando avevamo quell'età, ma, soprattutto,
vivevamo in quell'epoca.
In Montanari è evidente la nostalgia che sale pari passo con il
ricordo e poco a poco dalla nebbia emergono le immagini che pure io
ho visto: i banchi di scuola con il legno intriso d'inchiostro, la
maestra che non aveva ancora perso il concetto di educazione
dell'epoca fascista, le aule fredde, la sagra di paese.
Un mondo in cui ho vissuto e che è stato spazzato via da un altro di
cui non vorrei aver ricordi.
Può sembrare una frase fatta dire che si stava meglio, quando si
stava peggio, ma allora Zvanin aveva una sua dignità di essere
umano, con tante speranze, sogni e illusioni, mentre oggi non
sarebbe altro che il risultato di un copia-incolla di un bambino
standard.
Questo romanzo di Nino Montanari è scritto in modo delizioso e
merita tanto di essere letto.
Renzo Montagnoli
L'autore
Nino Montanari è nato a Villa Verucchio (RN) il 6 dicembre 1941 e
vive a Rimini. Per lunghi anni ha svolto il lavoro di operaio, per
approdare, poi, ad attività che più di altre
ha amato: insegnante nella scuola statale, animatore nell'extra
scuola e, successivamente, dirigente scolastico fino a tempi
recenti. Ama la lettura e il cinema. Coltiva, a livello amatoriale,
il teatro e la musica. Ha collaborato a lungo con il Centro
Educativo Italo Svizzero di Rimini.
È attualmente membro della Fondazione "Margherita Zoebeli", del
gruppo di musica etnica della Romagna Uva Grisa e di altre
associazioni culturali.
Renzo Montagnoli
Il tacere del pendolo
di Antonello Bianchi Edizioni Il
Foglio
Introduzione di Daniela Caracappa
Poesia - silloge
Il tacere del pendolo è certamente un titolo strano per una
silloge poetica e può far immediatamente pensare a un tempo finito,
cioè terminato per individuo che sia venuto meno.
Invece, non è niente di tutto questo, ma è un concetto particolare
secondo cui per l'autore il tacere del pendolo è l'istante in cui un
essere umano, totalmente preso dall'arte, dalla filosofia o dalla
natura, riesce ad estraniarsi da ogni cosa che lo circonda e che non
gli interessa, finendo per non avvertire nemmeno la realtà propria
del tempo, e quindi del pendolo, lo strumento che lo misura per
eccellenza.
Pertanto, poter idealmente bloccare lo scorrere del tempo finirebbe
con il portare non tanto all'immortalità dell'individuo, ma del suo
operato.
Concetto affascinante che porta come logica conseguenza al tema
affrontato e svolto nella silloge, tutta imperniata sulla cognizione
del tempo.
L'opera, costituita da 27 poesie a tema, è divisa in 5 sezioni con
il preciso intento di agevolarne la lettura.
La prima di queste sezioni è dedicata al tempo breve, la seconda al
tempo del conflitto, la terza al tempo dell'amore, la quarta al
tempo della ragione e la quinta e ultima al tempo infinito.
Lo stile è del tutto personale ed è caratterizzato anche da una
particolarità, cioè da richiami a piè di pagina per quei termini
usati nei versi e che potrebbero risultare al lettore non del tutto
chiari o comunque dubbi.
Devo dire, però, che il ricorso a questa interpretazione autentica è
spesso superfluo, perché la lettura, oltre che gradevole, è anche
sostanzialmente facile.
In questo senso non si può dire che Antonello Bianchi abbia voluto
perseguire a tutti i costi una simbologia ermetica, preferendo,
giustamente, lasciare la possibilità di meglio procedere a ponderate
riflessioni sui concetti esposti.
E' una scrittura sul tempo, ma che stilisticamente procede a balzi,
con un fluire contemporaneo, ma con affondi ogni tanto nel passato,
con un evidente compiacimento a ripensare ai versi dei grandi aedi
dell'antichità, che qui trovano giusta collocazione per quelle
poesie dove la solennità del tema richiede una struttura più
consona, senza tuttavia che venga mai meno la relativa semplicità
della lettura.
Il tacere del pendolo è l'opera di esordio di Antonello
Bianchi e, francamente, sono dell'opinione che questa silloge
evidenzi una maturità letteraria da poeta vissuto, con quella
capacità di destreggiarsi con i versi senza mai perdere di vista
l'obiettivo prefissato, anzi nulla è lasciato al caso o a
divagazione, ma tutto è funzionale allo scopo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Antonello Bianchi nasce a Roma il 21 giugno 1974. I suoi primi
approcci col mondo dell'arte risalgono al 1986, quando ascolta
musica sinfonica e legge Rimbaud. Il 27 agosto 1990 scrive il suo
primo componimento poetico titolandolo proprio con quella data che
diverrà da allora in poi il suo nuovo genetliaco. Dal settembre 1992
prende parte a incontri di poesia. Qualche mese più tardi recita per
la prima volta in pubblico alcuni suoi componimenti. Subito dopo è
avvicinato da una giornalista del Corriere della Sera che riporterà
poi l'intervista in un articolo pubblicato il 27 marzo 1993. A
tutt'oggi vanta una produzione di quasi 300 componimenti lirici
divisi in nove raccolte (di cui una in lingua inglese), due racconti
brevi e un libello di filosofia che viene inserito nella sua tesi di
laurea in Scienze della Formazione dal titolo "Allegoria dell'io e
tripartizione della natura umana nell'antroposofia e nell'arte
dell'educazione di Rudolf Steiner". Le sue raccolte hanno una
determinata forma: ogni silloge contiene 27 poesie a tema divise in
5 sezioni, con note a piè di pagina. Egli crede, infatti, che una
tale architettura possa assicurare una struttura organica e omogenea
senza annoiare o risultare incomprensibile. I temi maggiormente
trattati sono il rapporto tra il sé e l'altro-da-sé , la solitudine
e la spiritualità, il pensiero e l'arte.
Il tacere del pendolo è la sua prima pubblicazione.
Renzo Montagnoli
Il passaggio
di Leonardo Gori Hobby & Work
Narrativa - romanzo giallo
Questo romanzo è l'ideale continuazione del precedente Nero di
maggio.
Infatti il teatro di scena è lo stesso (Firenze) e ritroviamo due
personaggi di particolare spessore (il capitano dei Reali
Carabinieri Bruno Arcieri, ora dei Servizi Segreti e aggregato agli
alleati, e la sua fidanzata Elena Contini, ebrea nascosta per
sfuggire alle deportazioni).
Cambia, tuttavia l'epoca: ora siamo nell'agosto del 1944 durante la
battaglia per la liberazione di Firenze.
In Gori apprezzo molto la capacità di descrivere ambienti e
situazioni con immediatezza, al punto che si ha l'impressione di
assistere a una successione di immagini in movimento, proprio come
in una pellicola cinematografica.
Avevo rilevato questa dote già in occasione della lettura di Nero
di maggio, romanzo che mi ha notevolmente impressionato. Ebbene,
ne Il passaggio, questa capacità si è ulteriormente evoluta,
direi perfezionata e sembra proprio di vedere una città storica in
pieno scontro bellico, direi che si avverte l'atmosfera tipica di
morte e di paura in una serie di quadri di grande impatto emotivo.
La trama è imperniata intorno alla ricerca di un autentico tesoro,
quel dipinto della battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci perso
irrimediabilmente per la fretta di asciugare i colori. Sono in tanti
e per diversi motivi impegnati in questa caccia, ricca di colpi di
scena e di non pochi morti ammazzati, in una tensione che non viene
mai meno dalla prima all'ultima pagina.
Certo che è naturale chiedersi come sia possibile sperare di trovare
un dipinto su muro ormai irrimediabilmente perso, ma c'è una
risposta logica e inconfutabile, pure nell'ambito della fantasia
creativa dell'autore. Al riguardo non intendo rivelare nulla, perché
mi sembra giusto che la ricerca in cui viene di fatto coinvolto
anche il lettore non gli pregiudichi il piacere di esserne
partecipe.
C'è un altro elemento, peraltro innovativo, rappresentato alla fine
di ogni capitolo dalle riflessioni di un giovane fascista, un
irretito da Pavolini, che dai tetti, in una sorta di delirio mistico
e politico, spara agli alleati, ai partigiani e anche a ignoti
cittadini. La sua lucida follia si inserisce come un tassello
determinante nel mosaico degli eventi che riguardano la città e
anche la caccia di cui ho detto.
In quella sorta di soliloquio si ritrovano tutte le caratteristiche
di un regime irreale, retorico e sfrenato, in netto contrasto con le
speranze di una nuova epoca, rappresentata dall'avvento degli
alleati e dei partigiani. Eppure anche questo cecchino non è lì per
caso e nell'epilogo dell'intricata vicenda sarà determinante.
Trecentoquarantasei pagine non sono poche, ma assicuro che si
leggono quasi d'un fiato, a dimostrazione della valenza di questo
romanzo, per certi versi migliore del già eccellente Nero di
maggio.
Renzo Montagnoli
L'autore
Leonardo Gori è nato a Firenze l'1 gennaio 1957. Il suo romanzo
d'esordio, nel 2000, è stato Nero di Maggio. A seguire ha
pubblicato: nel 2002 "I delitti del Mondo Nuovo" e "Il passaggio",
nel 2003 "La finale", nel 2004 "Lo specchio nero", nel 2005
"L'angelo del fango", con cui ha vinto il Premio Scerbanenco
nell'ambito del Noir in Festival di Courmayeur, nel 2006, insieme a
Franco Cardini, " Il fiore d'oro ", nel 2007 "Le ossa di Dio".
Renzo Montagnoli
Ai miei cari compagni
Diario inedito di un neo-garibaldino
di Luciano Bianciardi Edizioni
Stampa Alternativa
Introduzione di Ettore Bianciardi
Non è facile per uno scrittore che va controcorrente ritagliarsi una
collocazione nell'olimpo letterario e ancor di più lo è stato per
Luciano Bianciardi, con quella visione critica, frutto dello spirito
anarchico, con la quale osservava il mondo circostante.
Amava il Risorgimento, ma non quello falso e retorico che ancor oggi
si insegna nelle scuole, ma la parte più scomoda di questo, cioè
quella garibaldina, mazziniana e rivoluzionaria.
Questo gioiellino, che ho appena terminato di leggere, ne è un
chiaro esempio ed è costituito da due racconti lunghi che hanno come
tematica, rispettivamente, le cinque giornate di Milano e la
spedizione dei mille.
Concepiti come un sogno, giacché ovviamente gli eventi non furono
vissuti dall'autore, mescola sapientemente elementi dell'epoca ad
altri più attuali, con una vena ironica che non potrà che stupire.
Sì, perché nel raccontare del passato, descrive anche il presente,
che non può accettare, circostanza questa che l'ha sempre reso
inviso al potere.
Scrive, a proposito delle cinque giornate di Milano "In questi
cinque giorni di disordine ha regnato in città un ordine nuovo,
spontaneo, entusiastico. Basti pensare che non è stato segnalato un
solo caso di furto. Milano stava vivendo un clima morale del tutto
nuovo. I ladri han ricominciato a rubare non appena è stato
ristabilito il rispetto della proprietà".
Il concetto è tanto più evidente quando osserva che, cacciati gli
austriaci, le istituzioni ripreso sovrane, con una progressiva
disaffezione dei milanesi, che al ritorno di Radetsky ne furono
contenti, tanto più che questi non fece rappresaglie, limitandosi
intelligentemente a sanzionare grosse ammende ai più facoltosi,
circostanza che indusse il popolo a credere che fosse ripristinata
un po' di quella giustizia ed eguaglianza che era stata presente
solo durante le cinque giornate, cioè fino a quando era durata la
rivoluzione.
Bianciardi non nasconde una spiccata simpatia per Garibaldi, visto
come un'idealista e fautore della rivoluzione permanente, e nello
scrivere della spedizione dei mille fa emergere chiaro il suo
disprezzo per la dinastia sabauda, già approcciato nel racconto
delle cinque giornate, con una descrizione di Carlo Alberto e
dell'entourage piemontese del tutto impietosa.
Ripercorriamo così le storiche vittorie dell'eroe dei due mondi, da
Calatafimi al Volturno, su cui aleggia però sempre l'ombra sinistra
dei Savoia.
E, anzi, in occasione dell'incontro di Teano, procede ad un'acuta
osservazione, ribaltando tutta la storiografia ufficiale e trovando
una logica spiegazione non solo dell'attuale arretratezza economica
del meridione, ma anche della sfiducia di questo nelle istituzioni.
Tengo a precisare, peraltro, che in questo non dice nulla di nuovo
di quanto già gli storici non allineati non sappiano, ma è come lo
dice, evidenziando la stortura secondo la quale il Regno delle Due
Sicilie, più progredito rispetto al Piemonte, in breve tempo si vide
depauperato, burocratizzato e, diciamo pure la verità, schiavizzato.
Ai meridionali non restò che la ribellione, fatta passare per
brigantaggio, e che scatenò una repressione generalizzata, in
pratica un vero e proprio genocidio.
E' un libro che si legge con immenso piacere, che fa meditare e che
consacra, qualora ancora qualcuno avesse dei dubbi, la grandezza
letteraria e umana di Luciano Bianciardi.
Renzo Montagnoli
L'autore
Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 - Milano, 14
novembre 1971). E' stato giornalista, saggista e scrittore.
Le opere: I minatori della Maremma, 1956 (in collaborazione con
Carlo Cassola); Il lavoro culturale, 1957; L'integrazione, 1960; Da
Quarto a Torino, 1960; La vita agra, 1962; La battaglia soda, 1964;
Aprire il fuoco, 1969.
Renzo Montagnoli
Le fiabe di
Gramos
di
AA.VV. Edizioni City Angels Roma
Narrativa – raccolta di fiabe
Tu che mi leggi,
ti prego, ascolta. Questo libro è un libro di fiabe, certo, come
tanti. Più bello o più brutto, chissà. Non importa, non è questo il
punto. Ti ho chiesto, per favore, di ascoltare. Sono un
libro ma, dentro di me, c'è una
voce che, purtroppo, è un lamento. É di un bimbo piccolo, si chiama
Gramos. Lotta per la vita come un
eroe. Ascoltalo. Ti sta dicendo Ciao, mi chiamo
Gramos, vorrei ridere e giocare ma non posso. Ti sta
dicendo Aiutami. Ti sta dicendo anche Ho una brutta malattia, ho
paura. Ti sta dicendo Sei gentile
a comprare questo libro che altre persone gentili hanno scritto e di
cui migliaia di persone gentili, su una cosa chiamata internet,
han parlato. Lui è
Gramos. É un bambino. Vivrà
grazie a tutti voi. E un po' anche a me, che sono solo un piccolo
libro contro l'indifferenza (Remo
Bassini).
Così sta scritto su
l’ultima di copertina e direi che Remo Bassini non poteva esprimere
meglio il senso e lo scopo di questo libro.
Al di là del valore
intrinseco dell’opera, lo scopo della stessa è radicato nella
volontà, già di chi ha contribuito con le fiabe, ma di cui voi che
leggete potrete essere partecipi, di far sì che anche per Gramos ci
sia una favola, in cui lui, povero bambino kosovaro e malato assai
seriamente, è il protagonista. C’è una strega cattiva, una malattia
che si chiama tirosinemia che impone diete particolari e una cura
assai costosa per impedire che questo bimbo debba morire. E ci sono
anche le forze del bene, noi e voi, che vogliono combattere questo
maleficio, vogliono permettere che Gramos possa vivere.
Come in tutte le
favole, la battaglia è fra il bene e il male, ma nel caso specifico
c’è un orco che si chiama indifferenza, vinto il quale anche la
strega cattiva dovrà andarsene via. Le armi per combattere sono
alimenti speciali e i medicinali di una casa farmaceutica francese,
tutti prodotti che costano (complessivamente circa 22.000 euro
all’anno), che i genitori del bimbo non possono acquistare con le
loro modeste risorse, benché sappiano che in difetto Gramos morirà.
C’è tutta la disperazione della povera gente in questa favola che ha
un andamento tragico, ma che il bene può trasformare in speranza,
perché è necessario che il bimbo possa continuare a vivere
nell’attesa che i progressi della medicina possano risolvere
definitivamente la situazione e sconfiggere la strega cattiva.
Noi e voi vogliamo
stare dalla parte del bene, desideriamo che la nostra vita abbia un
significato per un altro essere umano, affinché, come tutte le
favole, anche questa abbia un lieto fine.
Comprate questo libro
per voi, per i vostri bambini, per i regali natalizi agli amici,
compratelo soprattutto per Gramos, affinché possa avvertire il
calore di mani amiche. In questo modo avrete realizzato qualche cosa
di cui poter andare fieri: l’amore per un essere indifeso. E
capirete quanto veramente sia bello donare, quanto ci accresca
spiritualmente aiutare chi ne ha bisogno.
I proventi del libro, cioè i diritti spettanti
agli autori delle fiabe, saranno devoluti interamente a questa
nobile causa.
Potete acquistarlo
esclusivamente al link
http://www.lulu.com/content/1423738
Se volete contribuire
con offerte, di seguito troverete le modalità, in uno con la storia
di Gramos.
*************
Alla fine di giugno 2007, un appello viene
lanciato dal blog sui senzatetto e sul sociale
http://acmedelpensiero.blogspot.com e ben presto
viene ripreso su molti altri blog, forum e siti. Suona più o meno
così:
Gramos Gashi è un bimbo kosovaro di 12 anni
che nel 1999 è giunto in Italia con un volo militare, nella speranza
di capire la ragione del suo corpicino malato: gravi problemi renali
ed epatici, rarissima malattia metabolica: la tirosinemia.
La cura continua che Gramos deve affrontare comporta una dieta a
basso contenuto di proteine, una somministrazione di vitamina D e
soluzioni di sali minerali contenenti calcio e fosforo, e un farmaco
peculiare prodotto a Parigi dalla ORPHAN che ha un costo
elevatissimo.
In un anno solare v'è la necessità di circa 22.000 euro per le cure
e soprattutto per non lasciare Gramos con la quasi certezza di una
degenerazione cancerosa del fegato, oltre ad un grave danno renale
che lo porterebbe al rachitismo.
Gramos ha bisogno del nostro aiuto per vivere sereno, molti si
stanno industriando per aiutarlo, facciamo sentire anche la nostra
voce. Le donazioni saranno gestite dall'Ospedale Pediatrico Bambino
Gesù.
Chi si occupa di questo caso è l'Associazione S.o.S. Infanzia nel
Mondo Onlus, Via Stazzo Quadro, 52, 00060, Riano (Roma).
Chi volesse fare una donazione: c/c bancario 3383 o 3385 Banca di
Credito Cooperativo di Riano - abi 08787 cab 39350 cin X. Ricordate
la causale: PRO GRAMOS.
Se volete maggiori informazioni per la trasparenza o solo per
conoscere meglio la storia di Gramos chiamate Miriam (349.1953550) o
Antonella (333.9382824) oppure scrivete a:
sosinfanzianelmondo@tiscali.it.
Assieme all’appello c’è un video, una foto che
mostra questo bambino dall’aria schiva, spaventata forse, nonostante
la presenza accanto a lui della madre e di una delle volontarie che
finora si è occupata di lui, qui in Italia.
La voglia di aiutarlo, di fare qualcosa, è
prepotente quanto imprecisa, molti di noi si chiedono cosa si può
fare, se davvero qualche persona di buona volontà, unita solo dai
rapporti spesso aleatori che si creano in rete, possa
fare qualcosa di concreto, qualcosa che davvero faccia
la differenza, per questo bambino.
Si forma un gruppo di lavoro, si studiano
strategie e appelli, una vera e propria raccolta fondi che ci
permetterà di donare 3500 euro a Gramos, in meno di due mesi.
Non basta certo, siamo ancora lontani.
Ecco allora l’idea di questo libro.
Questo che terrai in mano, che acquisterai
attraverso internet, che è uscito da un lavoro gestito sulla rete,
tra scrittori, blogger, persone di buona volontà, e i cui proventi
saranno tutti per lui, per Gramos.
Ora, se tu ci stai leggendo, sappiamo che la
risposta alla nostra domanda è sì: davvero, se lo si vuole sul
serio, si può fare qualcosa.
Con il tuo acquisto migliorerai concretamente
la vita di un bambino. E la tua.
Grazie, a nome di Gramos, della sua famiglia,
dei medici e di tutti i volontari che si prendono cura di lui. Come
te.
QUESTO LIBRO É UN
MESSAGGIO D’AMORE. SE LO RICEVERAI IN DONO, REGALANE UNA COPIA A CHI
AMI.
E puoi conoscere meglio, e seguire, la storia
di Gramos e di questo libro qui:
http://balenebianche.splinder.com/tag/gramos
http://acmedelpensiero.blogspot.com/search/label/Gramos
Renzo Montagnoli
I sassi
di
Sacha
Naspini
Casa Editrice Il Foglio
http://www.ilfoglioletterario.it/
Narrativa – romanzo
“””In fondo
ogni uomo è una pietra, a suo modo. Ogni vita lo è. Le vite sono
come i sassi, rotolano una accanto all’altra, cozzano, si rompono in
frammenti; e i frammenti si scontrano con altri frammenti… Ogni vita
è ricordo e possibilità di un’altra vita. Una vita può raccontare
altre vite, o esserne il riassunto. Riassunto di un’identità, dove
si capisce cosa porta qualcuno alle proprie scelte, cosa le comanda,
se davvero esiste un libero arbitrio al di là del vortice dove ogni
giorno ruotiamo di moto proprio, sulla spinta di altri moti che ci
hanno toccato prima, che ci toccheranno…”””
Spesso si
considerano i noir romanzi di pura evasione, ma mai si pensa di
associarli ad altri non di genere e che per qualità rientrano di
diritto nella buona letteratura.
Penso che questa omissione dipenda dal fatto che la trama è spesso,
per non dire quasi sempre, l’elemento essenziale dell’opera, mentre
altri aspetti, comunque importanti, sono meno curati, quando
addirittura trascurati.
Non è così per I sassi, di Sacha Naspini, che non voglio
considerare un semplice noir, pur essendo presenti tutte le
caratteristiche di questo genere, in una storia complessa che se
parte lentamente poi accelera gradualmente al punto da tenere
letteralmente incollato il lettore. E del resto della vicenda non
intendo parlare, di questa storia narrata in epoche alternate e con
una conclusione degna di un maestro della penna.
Quello che invece mi preme evidenziare è l’aspetto letterario
dell’opera, perché c’è qualità, e non poca, nelle 149 pagine di
questo romanzo, aspetto tanto più rilevante ove si consideri la
giovane età dell’autore, nato nel 1976. Alla base c’è una formazione
culturale di tutto rispetto che consente di esprimere concetti non
facili con apparente semplicità e mi riferisco in particolare alla
figura complessa della protagonista, intorno alla quale è poi
costruito l’intero canovaccio. Infatti ci sono alcune pagine che
definirei prioritarie per l’opera e sono quelle in cui lei parla di
se stessa al suo interlocutore, per il momento sconosciuto, e nelle
quali si delinea sapientemente la sua personalità di bimba adottata
che sa di non essere la figlia naturale dei genitori legittimi.
Questo stato di appartenenza e di non appartenenza alla famiglia che
la ospita, la sua proiezione del senso di solitudine sono pagine di
autentica elevata letteratura. L’autore ben sapeva che quella parte
del libro era determinante per reggere tutta l’impalcatura della
vicenda, una sorta di fondamenta, e infatti non ha risparmiato negli
elementi di sostegno, con una caratterizzazione di pregevolissima
fattura.
Mi corre anche l’obbligo di evidenziare come l’atmosfera sia stata
oggetto di attento studio e che i risultati al riguardo raggiungano
livelli di eccellenza, nonostante le evidenti difficoltà di trattare
di epoche diverse, di più luoghi e di situazioni, che, pur
concatenate, trovano giustificazione in quanto accaduto anni prima.
La vicenda, come ho già detto, è complessa, la protagonista e anche
altri personaggi sono complessi, perché in fondo un essere umano è
l’unione di tanti elementi, di qualità e di difetti, di
atteggiamenti e di intimi convincimenti. In questo senso Naspini ha
delineato delle figure vive, reali, che animano, quasi autonomamente
dal suo creatore, l’intera trama. Questa quasi assenza dell’autore,
che riesce a essere presente senza che ci si accorga, unita alla
capacità di fornire indicazioni non elaborate degli ambienti e delle
situazioni consente al lettore di avere una visione propria, di
sviluppare la sua creatività, facendolo diventare partecipe. Non è
un caso, infatti, se la lettura delle prime pagine, essenziali
propedeuticamente, è stata lenta, ma poi è tale il senso di
progressiva attenzione, quasi una crescente e ossessiva necessità di
conoscere, di scoprire, che il testo viene quasi divorato. Non si
riesce insomma a staccare gli occhi dal libro, con una fretta e
un’ansia di arrivare in fondo, a quella pagina 149 che, girata, e
bianca sul retro, ci fa provare il rammarico di essere giunti al
termine.
Allora interviene una pausa di riflessione e ci si ricorda che c’è
ancora qualche cosa da leggere, quella prefazione spesso trascurata
e che nel caso specifico porta la firma di Walter Serra. Si tratta
solo di una paginetta più qualche riga, dove si trova conferma delle
sensazioni e delle emozioni, ancora vive e forti, provate durante la
lettura del romanzo. Non c’è un moto di delusione, ma si è contenti
di trovare conferma, in altra persona, del giudizio ampiamente
positivo. Non è finita, però, perché nel foglio successivo è
riportata una frase di Daniele Boccardi che dà tutto il senso
all’opera, qualora non fosse stata compresa nella sua globalità:
Un bambino non è mai tutto suo
padre.
Anche questo è un passo avanti (Genetica).
Leggete questo romanzo e
capirete anche perché questa frase non è stata messa lì a caso,
tanto per giustificare una pagina in più.
Renzo Montagnoli
L'autore
Sacha Naspini è nato a Grosseto nel 1976. Nel marzo 2006 ha
pubblicato il suo romanzo d’esordio, “L’ingrato” (Editrice Effequ).
Nel novembre dello stesso anno è uscito il tascabile “Il risultato”
(Magnetica edizioni). Suoi racconti sono apparsi in varie antologie,
tra cui: “Mia figlia Chiara” nella raccolta “Cattive storie di
provincia”; “Le parole, le stelle” nella raccolta “Antologia
del fantastico underground” (entrambe edite dalle Edizioni Il
Foglio). Vari riconoscimenti letterari, tra cui: nel 2005 vincitore
del premio nazionale “Canossa – Città di Bazzano” con il
racconto “La vita comincia a quarant’anni”; segnalato al premio
“Licurgo Cappelletti” con il racconto “I ragni”; tra i vincitori
del “Premio Boccardi” con il racconto “Serenity Garden”. Nel
2004 è stato finalista al premio internazionale “Massimo Troisi”
con la favola villana “Marito mio!”. In veste di grafico ha
recentemente curato l’antologia di racconti “È stata pura gioia”
(Edizioni Parole & Musica).
Nell’ottobre 2005 è uscito l’album “…il peggio è passato (?)”, disco
d’esordio dei Vaderrando (Ethnoworld - MI). Attualmente in
lavorazione il progetto “Anomia”. Sacha Naspini, oltre che essere
“la voce” del gruppo, è l’autore di musiche e testi. Per contatti:
www.vaderrando.it
Renzo Montagnoli
La guerra dei sordi di
Laura Costantini e
Loredana Falcone Maprosti &
Lisanti Editore
Narrativa - romanzo
Non nascondo che era tanta la curiosità di leggere questo libro,
scritto a quattro mani da due amiche virtuali.
In cuor mio, però, avevo il timore di restare deluso, insomma di
trovarmi fra le mani un'opera appena accettabile, e ciò non tanto
per sfiducia nei confronti delle autrici, quanto per la difficile
tematica affrontata, con quell'eterna guerra fra israeliani e
palestinesi, di cui molti, anzi troppi, hanno scritto, sovente
abbracciando la causa di una delle parti in conflitto.
Aggiungo, poi, che mi destava perplessità l'ambientazione in un
territorio ove le due scrittrici non erano mai state; anche il fatto
che i due protagonisti principali fossero un palestinese e un'ebrea
poteva lasciar intendere più una narrazione di una vicenda d'amore
che un vero e proprio approfondimento delle cause di questo
conflitto.
Diciamo, pure, per farla breve che temevo che ci fosse una diffusa
superficialità.
Quindi ho preso fra le mani il libro con curiosità, ma anche con la
riserva mentale di leggere qualche cosa di non piacevole, il che
avrebbe provocato una mia mancata recensione, evento che avrei
voluto evitare alle mie amiche.
Dibattuto in questi sentimenti, con un pensiero costante a come
uscire dall'impasse di un eventuale mancato gradimento, ho iniziato
a leggere.
Non racconto la vicenda per ovvi motivi, perché c'è una tensione,
quasi da thriller, che porta all'epilogo e svelare, sia pure per
sommi capi, la trama mi sembra francamente una mancanza di riguardo
nei confronti delle autrici e, soprattutto, dei lettori.
Dopo questo lungo, ma indispensabile preambolo, verrà naturale
chiedersi come ho trovato questo romanzo, il giudizio insomma che è
maturato dentro di me.
Già il fatto che io sia qui a scriverne dovrebbe essere indicativo,
perché La guerra dei sordi è un ottimo libro, per diversi
motivi che delineo di seguito.
La trama è innanzitutto molto azzeccata, perché presenta tutto
quanto può interessare un lettore: una zona di conflitto permanente,
un amore fra due che dovrebbero essere nemici, una serie di colpi di
scena mai ingiustificati e una stupenda conclusione.
Aggiungo che i riferimenti storici degli eventi sono precisi, la
descrizione dei luoghi convincente, come se chi ha scritto vi avesse
soggiornato a lungo, ma quello che più mi ha colpito è stata
l'atmosfera di tensione e di insicurezza che le autrici sono
riuscite a ricreare senza rendere cupo il tutto e lasciando quindi
adito a delle possibili speranze.
Laura Costantini e Loredana Falcone, inoltre, hanno avuto la
capacità di non cadere nel tranello di prendere le difese dell'uno o
dell'altro contendente, evitando proprio l'aspetto politico della
questione e invece evidenziandone le caratteristiche umane.
Non si sono poste in alto a osservare, ma hanno guardato dal basso,
quasi mescolandosi fra gli ebrei da una parte e i palestinesi
dall'altra, avvertendo le loro paure, l'insicurezza costante che
accompagna da più di mezzo secolo la vita di due popoli, cercando di
comprendere le ragioni dell'uno e dell'altro.
E la conclusione, le ultime pagine sono quanto di meglio potessero
offrire come contributo per risolvere una situazione apparentemente
insanabile.
C'è tanta umanità, tanto rispetto per gli altri in questo libro, ma
soprattutto c'è la speranza che se gli uomini di tutti i giorni
dell'una e dell'altra parte abbandonassero le motivazioni distorte
della politica e delle religioni potrebbe nascere finalmente la
pace.
Il libro, quindi, mi è piaciuto e ne consiglio vivamente la lettura.
Renzo Montagnoli
L'autore
Laura Costantini, giornalista e scrittrice è nata a Roma dove
vive tutt'ora. Ha iniziato la carriera di giornalista nel 1994,
lavorando presso il Tg5 e il quotidiano genovese <Il Secolo XIX>.
Approdata poi alla stampa periodica, è stata per otto anni una delle
firme del settimanale Rcs <OGGI>, occupandosi di cronaca e di
spettacolo.
E' nel 2003 che viene chiamata nella redazione del programma di
punta del day-time di RaiUno <La vita in diretta>, presso il quale
lavora ancora oggi come inviata.
Impegni professionali che non l'hanno mai allontanata dalla sua vera
passione: scrivere.
Soprattutto romanzi che spaziano nei generi letterari i più vari, ma
sempre mantenendo un punto di vista tutto femminile, aiutata in
questo da una collaborazione ormai ventennale con la sua compagna di
penna, Loredana Falcone.
Loredana Falcone è nata a Roma, a Trastevere, cuore pulsante
della città. Laureata in Lettere moderne presso l'Università degli
Studi di Roma <La Sapienza>, ha scelto di rinunciare alla carriera
nel mondo dell'insegnamento per dedicarsi alla famiglia e ai suoi
due figli. La scrittura ha sempre avuto un posto di rilievo nella
sua vita, così come lo studio della Storia Contemporanea. Anni di
collaborazione con Laura Costantini hanno dato vita a storie
appassionanti che vedono protagoniste le donne e ad una profonda
amicizia.
Hanno pubblicato:
New York 1920 - il primo attentato a Wall Street Maprosti &
Lisanti (2006)
Eibhlin non lo sa… Maprosti & Lisanti (2007)
La guerra dei sordi Maprosti & Lisanti (2007)
Stanno pubblicando online il romanzo inedito Le colpe dei padri.
Insieme gestiscono i blog:
http://lauraetlory.splinder.com e
http://lestoriedilauraetlory.splinder.com
Renzo Montagnoli
Intervento del Prof. Raffaele Rizzo
alla Presentazione del libro
“Viaggio in V classe” di
Aurelio Zucchi
Reggio Calabria 22/12/2006 – Istituto Augusto Righi
Un paio di anni fa fui invitato a cena dai ragazzi della IV B
dell’anno scolastico 68-69. Accettai volentieri e mi recai al
“Ritrovo del Sole” col pensiero rivolto ai giovani di quella classe.
Sfilavano davanti a me ragazzi scalpitanti, desiderosi di bruciare
le tappe, pieni di vita, gioviali, capelluti. Mi ero fermato a 36
anni prima. E non vi dico la mia sorpresa quando mi vidi circondato
da uomini che, strada facendo, avevano perso i capelli e aumentato
le circonferenze. Lo scorrere del tempo aveva lasciato i segni su
quei ragazzi, ormai padri di famiglia ed affermati professionisti.
Ora, Aurelio Zucchi ci
riporta al magico momento della loro formazione sui banchi di
scuola, per le strade, sulle spiagge, su un improvvisato campo di
calcio, in un’osteria nei primi incontri d’amore. E lo fa con grande
perizia. L’io narrante scruta il vissuto da angoli di visuale e da
piani temporali diversi. Rievoca frammenti di vita, curiosità,
esperienze, ulissismo, sogni, speranze, tensioni ideali. Rivisita un
mondo fatto di semplici e schiette consuetudini. A volte il
narratore si cala totalmente nelle vicende raccontate e ne rivive le
emozioni. Altre volte se ne distacca, avverte la nostalgia ma non si
abbandona a rimpianti eccessivi. La nostalgia, che pur costituisce
la linfa lirica del racconto, è più sottesa che manifesta. Il
rimpianto è anche rivolto alle fantasie di un tempo e ai sogni
fioriti sulle spiagge assolate, contemplando il mare. Gli mancano i
compagni di scuola, le battute di pesca, le cene, le conversazioni
sostanziate da piccoli problemi, i trepidanti approcci amorosi, la
quotidianità e la normalità di quel tempo. Altre volte ancora
l’autore sorride compiaciuto o ironico vedendo, a distanza di molti
anni, se stesso e i suoi amici che animano il palcoscenico della
vita.
Il racconto ha una
sua impostazione sapiente in cui si alternano momenti descrittivi
fortemente coinvolgenti, ampie pause meditative che servono anche a
stemperare l’emozione quando si fa troppo intensa, riflessioni
socio-politiche. Il senso della misura (est modus in rebus...) è una
costante del romanzo. Le intemperanze e gli eccessi propri della
giovinezza sono quasi del tutto assenti. I ragazzi della quinta B
non amano gli estremismi del 68 e, come scrive Aurelio, “Non
pretendono di sovvertire il mondo ma si accontentano di
migliorarlo.”. Nel ’70 sono troppo impegnati con gli esami per
innalzare barricate. Qualche volta preferiscono marinare la scuola
per una bella passeggiata o per una partita di pallone sulla
spiaggia di Scilla, si scatenano nel ballo, si concedono succulente
spaghettate, ma sono fatti di ordinaria amministrazione per i
giovani. Anche la processione di protesta con tanto di ceri, che li
porta verso la nuova aula, già cappella dell’Istituto, è una trovata
geniale ed efficace, ma contenuta e lontana da ogni eccesso.
Questo senso
della misura ha una sua “medietà” espressiva. Uso questo termine con
il valore che gli attribuisce Binni a proposito delle Satire
dell’Ariosto. Il tono discorsivo del racconto è sempre misurato come
sono generalmente misurati i comportamenti. I sogni no. Essi
spaziano e sostanziano le lunghe contemplazioni delle distese marine
e dei tramonti sullo Stretto. Il ritmo del discorso è duttile e si
adegua alla varietà delle situazioni via via rievocate. Ora lieve
ora delicato, ora vivace e scoppiettante. La sua è una prosa sempre
sorvegliata, attenta alle sfumature, capace di toccare tutte le
corde dell’animo, di dipanare il gorgo delle sensazioni, di
dipingere interni di vita familiare. Anche se l’autore, a volte,
soprattutto nel dialogato, ricorre ad espressioni non castigate e
dialettali, per quel tanto che basta per rendere percepibile il
legame linguistico con la città teatro del racconto, rifugge da ogni
volgarità e non ama i preziosismi fini a se stessi.
Non
disdegna, però, i pezzi di bravura. Ecco qualche esempio. Nel
capitolo 35, la riflessione sul desiderio di capire e di essere
capiti, offre lo spunto di cogliere, con puntigliosa scelta
lessicale, la peculiarità dei suoi amici: “Ed essi (i
professori)? Come noi facevamo con i loro, guardavano ai
nostri sentimenti? Avevano messo a fuoco la sicurezza di Abramo, la
saggezza di Arena, la praticità di Benedetto, l’onestà di Benestare,
l’amicizia di Calabrese, la simpatia di Chiofalo, la brillantezza di
Chirico, la regolarità di Crucitti, lo stile di Dattilo, la
freschezza di Fallara, l’intelligenza di Filangieri, la modernità di
Iaria, l’estro di Larcara, il coraggio di Mandica, la semplicità di
Migali, l’efficienza di Morabito, l’ambizione di Pignata,
l’equilibrio di Plutino, l’ordine di Praticò, la quiete di Ravazza,
la trasparenza di Rognetta, la discrezione di Sgro, l’accortezza di
Smeriglio, la timidezza di Spanti, la destrezza di Surace,
l’effervescenza di Travia e infine... me?”
Raffaele, che tenta di carpire i segreti del registro, lasciato
momentaneamente incustodito, viene colto con le mani nel sacco ma
non si scompone e butta lì una frase che strappa l’applauso del
temibile professore. La scena è di straordinaria efficacia
descrittiva. La “drammaticità” della situazione viene stemperata
dall’uso di espressioni e di parole volutamente esagerate che
costituiscono una sorta di canzonatura interna di ciò che si dice.
Raffaele viene definito “temerario, prode, eroe” poi dice una
frase per nulla eroica che suscita ilarità.
Ma sono più
interessanti le pagine in cui la penna di Zucchi delinea con grande
sobrietà la figura della madre, vero nume tutelare della famiglia,
che vigila sui figli, trepida per loro, vive per loro.
Mi piace ricordare
rapidamente la figura di Sabrina, così diversa da Fabiana : “Da
una parte l’austera immagine di Fabiana, rigidamente offerta senza
scoppi e bollicine... dall’altra, la micidiale freschezza di
Sabrina, morbidamente proposta senza lacci né silenzi.”
Dopo
un’intensa scena d’amore, piena di pudore, il narrante domanda a
Sabrina: “Con tua madre come va?” “E’ morta quando avevo nove
anni”. Tutto qui. Il dramma di una sì grave perdita rimane
inespresso ma è palpabile. E’ un piccolo esempio di sobrietà e di
intensità espressiva.
Forse alcune
delle mie osservazioni vanno oltre le intenzioni del narratore ma
ogni scritto di largo respiro e di grande spessore acquista vitalità
dalle emozioni che genera, dalle riflessioni che suscita nel
lettore. Se la lettura è gradevole, intrigante, se ti commuove, se
ti fa sorridere o riflettere, se comunica qualcosa, l’autore è
riuscito nel suo intento.
Aurelio
il suo messaggio lo ha mandato e lo ha fatto bene. Sta a noi
coglierlo e rivitalizzarlo continuamente.
firmato Raffaele Rizzo
Le
vele di Astrabat di Antonio
Messina Edizioni Il Foglio
Nota introduttiva di Monica Cito
In copertina La dama del drago di Angela Betta Casale
Realizzazione grafica di Oscar Celestini
Quando mi appresto ad aprire un libro di Antonio Messina avverto già
una trepidazione, perché so che sto per avventurarmi in un universo
sconosciuto, in un mondo situato su un piano dove l'irrealtà è il
riflesso, mediato dalla mente dell'autore, della realtà che ci
circonda e in cui siamo immersi.
Leggere le storie di questo grande scrittore è come fare un viaggio
nell'onirico e perciò al primo impatto può apparire anche
incomprensibile, tanto che consiglio vivamente una preventiva
lettura dell'eccellente nota introduttiva di Monica Cito.
Personalmente non trovo grandi difficoltà perché affronto il testo
con lo stesso metodo che adotto con la poesia, nel senso che mi
lascio andare, mi astraggo completamente da ciò che mi circonda e
senza la necessità di soffermarmi sui vari punti proseguo la lettura
in modo piuttosto rapido, tanto che assai alla svelta arrivo al
termine del testo.
Ritengo anche doveroso precisare che i generi a cui ricorre Messina
per mostrarci il suo mondo generalmente non rientrano fra i miei
preferiti, passando dal fantasy de La memoria dell'acqua al
fantascienza-fantasy, visti certi richiami mitologici, de Le vele
di Astrabat. Tuttavia, affronto la lettura senza nessuna
ritrosia e mi immergo completamente in un'altra dimensione.
Non sto a delineare la trama, fatta di apparenti discontinuità, ma
ci tengo a precisare che il lavoro concettuale già avviato con
l'eccellente La memoria dell'acqua qui è diventato più chiaro, in
questa ricerca, che non è solo letteraria, di fuggire dall'estrema
materialità della vita corrente per rifugiarsi in un sogno, dove
elementi del passato si accavallano, si fondono, si dividono,
implodono con visioni del futuro, quasi a dimostrare come sia vero
che il concetto di tempo sia solo umano.
In questo senso l'autore ci prende per mano per accompagnarci nella
sua realtà, senza tuttavia imporcela, perché le immagini
caleidoscopiche che ci scorrono davanti possono essere viste a
nostro piacimento, con la possibilità così di costruirci un nostro
sogno, un rifugio a cui approdare dopo la tormentata esperienza di
una vacuità morale del mondo in cui siamo.
L'abilità di Antonio Messina è di avere una scrittura in bilico fra
la prosa e la poesia, con l'innegabile vantaggio, così, di poter far
apparire come concrete cose che non lo sono, una tangibilità che
aiuta il lettore nella completa immersione in un mondo che reale non
è.
Astrabat è un pianeta di Sabbie e di Ombre, dove c'è un vento
miracoloso che riesce a rigenerare le cellule, così da permettere
agli uomini di rinascere. Ma è anche una metafora della storia
umana, di una continua serie di apogei e di decadenze, di nascite e
di morti, in un disegno i cui motivi non ci è dato di conoscere e
che annulla di fatto il tempo.
Può venire in mente il bellissimo film di Kubrick 2001 Odissea nello
spazio, ma non è così, perché Le vele di Astrabat ha una sua
dignità autonoma, ha una forza che scaturisce dalle parole e che può
consentire, a chi l'accolga pienamente, di rendersi conto di quanto
potrebbe essere bella la vita solo che noi lo volessimo, solo che
rinunciassimo all'egoismo per percorrere insieme, solidalmente, il
viaggio terreno.
Non ci sono forzature, né imperativi nel procedere del testo, ma
solo una sottile pacata malinconia che induce ad accogliere a
braccia aperte il messaggio filosofico che lo permea.
Le vele di Astrabat è un'opera di elevato valore, da leggere,
rileggere, assaporare prima con il cuore e poi con la mente.
Renzo Montagnoli
L'autore
Antonio Messina nasce nel 1958 a Partanna, in provincia di Trapani.
Vive a Padova. La sua prima opera di narrativa L'assurdo respiro
delle cose tremule, incontra l'entusiasmo di molti lettori, ed anche
la critica spende parole d'elogio. L'opera viene recensita su
quotidiani, riviste telematiche e cartacee, e riesce a vendere un
buon numero di copie in libreria, senza nessun supporto
pubblicitario, grazie al passaparola dei lettori. Nel 2006 viene
pubblicata la raccolta di racconti La Memoria dell'acqua -
con introduzione di Elisabetta Blasi - per i tipi de Il Foglio
Letterario, Piombino.
Altri racconti vengono singolarmente editi:
- da L'ombra nella Bottiglia è stato realizzato, nel [2005],
un cortometraggio. Il progetto è partito su iniziativa del direttore
artistico (Roberto Messina) del Teatro Scuola Grifo D'oro -
nell'ambito di un concorso nazionale patrocinato dalla Regione
Sicilia, provincia di Trapani, comune di Partanna, BBC Belice, Atp
Trapani. Questo cortometraggio sull'alcolismo ha vinto nel [2005] il
Primo premio a Città di Castello; il testo inoltre viene richiesto
dalle migliori riviste telematiche e, pubblicato in cartaceo da
Progetto Babele (Modena), da Tam Tam (Roma), nel [2005]
La Marea. Il racconto viene pubblicato, nel[2005], dalla
rivista sarda Gemellae e richiesto dalle migliori riviste
telematiche, anche internazionali: Casa da Cultura (Portogallo) Isla
Nigra Sud America.
Alcune liriche sono presenti in qualificate antologie poetiche:
- E noi ad Amarci in antologia - Parole d'Amore, [2006]
Il Gesto in antologia- di I Segreti di Pulcinella, [2005]
Sogni di Carta in antologia Penna D'oca, [2005]
L'editore è Giulio Perrone, Roma
La lirica Fiumi di porpora compare nella sezione poetica
della Biennale di Venezia-Repubblica.It.
Renzo Montagnoli
Viaggio in V classe di Aurelio
Zucchi Il Filo
La scuola negli ultimi decenni è diventata il capro espiatorio di
tutti i mali sociali. Tra riforme e "controriforme", che si sono
abbattute quasi annualmente sulla pelle degli alunni incolpevoli e,
forse anche di più, su quella degli insegnanti, affannati a
comprenderne disegni e significati, essa ha tuttavia retto
all'inconsistenza e alla rozzezza di questo tempo dagli orizzonti
annebbiati.
E forse la ragione sta nel fatto che tutta una generazione di
insegnanti, ancora forgiata alle sudate carte, agli ideali alti
della professione e al senso del dovere, ha continuato a svolgere il
suo compito, nonostante tutto: guardando più alla pratica e all'
utile didattico, che a tante contraddittorie teorie (pseudo)
socio-pedagogiche "vocate" alla centralità dell'alunno, ma in verità
più attente agli "indottrinamenti", funzionali soprattutto a
redditizie carriere politiche.
Ce ne dà prova, e fa bene al cuore in questo contesto di totale
disorientamento degli educatori, di sfiducia generale, e del "V -
day" che non fa distinguo, un riuscito romanzo che, attingendo a
piene mani al vissuto personale dell'Autore, ci regala un piccolo
affresco di laboriosa e serena vita scolastica, neppure tanto
lontana dall'oggi.
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"Viaggio in V classe" d'Aurelio Zucchi, con intelligente prefazione
di Pietro Zullino, è il romanzo in questione. L' Autore, alla sua
prima prova letteraria, è il protagonista e l'io narrante di vicende
tanto "normali" quanto nobilitate dalla scrittura e dal sentimento.
Il libro risulta essere solo a tratti "diario di bordo" di un gruppo
di amici che frequentano tutti la stessa classe (la V B
dell'Istituto Tecnico "A.Righi" di Reggio Calabria) e condividono il
destino di giovani , appena usciti dall' adolescenza, inquieti per
l' incerto avvenire, ma fiduciosi nelle proprie capacità e
determinati dal bisogno: consapevoli delle difficoltà da superare e
protesi verso l'agognata meta della maturità, restano sordi agli
echi della contestazione sessantottina, né si lasciano coinvolgere
dalla rivolta della loro città scippata del capoluogo.
Zucchi, che si rivede come "un povero ragazzo ricco di vita" ma
senza scarpe o abiti firmati, produce una fotografia esatta di
luoghi e di persone reali, indicati coi loro nomi, fedelmente
sbalzati col cesello di un'acuta analisi dei caratteri e col ricorso
a quella parlata diretta, un po' sguaiata e sopra le righe, di una
"banda" in libera uscita , rotti i freni di una severa disciplina.
Dalle pagine del romanzo emerge un'umanità varia, quasi edificante,
vista certamente col metro di poi di chi, allevato al senso del
dovere e alle responsabilità, rivisita, con sereno giudizio critico
e non senza qualche groviglio nostalgico, episodi di una
quotidianità quasi scontata, ma sempre ravvivata dal calore
dell'amicizia, dalla complicità di gesti, segreti, marachelle,
vissuti spesso nell'alveo di una trasgressione più pensata che
attuata, in ogni modo mai debordante e greve.
Per tante pagine dedicate alla ricerca di senso e di esperienze di
vita, che hanno come costante l'allettante e misterioso mondo
femminile, "Viaggio in V classe" si può considerare anche romanzo di
formazione. Il viaggio "dentro" un'aula, con quanto vi accade di
significativo, per l'Autore, nei rapporti tra gli alunni e tra
questi e i docenti, apre scenari su altre dimensioni. Lo sguardo del
protagonista, continuamente rivolto a cogliere, in ogni situazione,
le emozioni e le ragioni dell'esistenza, proiettato già lontano ad
esplorare possibili condizioni e realtà nuove, rappresenta
metaforicamente il lento e faticoso distacco dall'età giovanile
verso la maturità, non solo scolastica, con un futuro prossimo da
costruire e non più da sognare.
Nell'affollato panorama di personaggi e ambienti, Zucchi indaga
anche il personale, difficile distacco dagli affetti e dai luoghi
della fanciullezza per il trasferimento a Roma della famiglia. Da
quel momento il ricordo di quel gruppo affiatato di amici che
"andavano a piedi e sognavano le macchine rombanti", sveglia a
tradimento sopite malinconie, ritma certezze di un tempo ritrovato
e, senza retorica, scioglie canti a una passata gioventù, coraggiosa
e ottimista, contenta di poco, educata all'impegno e ai buoni
sentimenti.
"Viaggio in V classe " è certamente il prodotto di un talento
personale, ma i contenuti parlano di "valori", più che enunciati,
vissuti in sintonia da un'intera comunità, e di una scuola che
spronava alla meta e manteneva le promesse. Chi vuole
intendere….intenda. Grazie Aurè!
Angela Ambrosoli
Canti
celtici di Renzo Montagnoli
Edizioni Il Foglio
Prefazione di Patrizia Garofalo
Immagine di copertina e fotografie
all’interno di Renzo Montagnoli
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Poesia - poema
Nel suono di un’ arpa ho letto i “Canti celtici” di Renzo
Montagnoli, vibranti della stessa intensa musicalità.
E’ l’anima del poeta che risuona in una sorta di incantamento,
attraverso le voci che Renzo riesce a dare ai personaggi di un
antico mondo affascinante, pervaso di mistero.
Ciò che il poeta riesce a comunicare con i suoi versi ricchi di
lirismo e carica emotiva, travalica lo spazio ed il tempo, trasporta
su ali di pura poesia.
Già dal primo canto si viene catturati dagli arpeggi che sembrano
provenire dalle parole…
“Guerrieri sull’ acqua” evoca un paese notturno popolato di elfi e
silfidi.
“Il lungo fiume” con la sua malinconica rassegnazione all’oltraggio
di questa nostra attuale, cosiddetta, civiltà, ci sorprende assorti
nel suo fluire.
“La fonte amica” è una vera fonte di rapimento, quasi ci si può
specchiare nella luce del plenilunio, quasi vi ci si può immergere.
E come non restare ammaliati da “In mezzo scorre il fiume”?, La
figura risaltante, che parla in prima persona, partecipe della
natura, consapevole del breve arco che si percorre vivendo.
Bellissima la chiusa.
“Il mormorio del vento” così evocativa, “…erano genti che
calcavano quest’ umida terra…Non uomini, oggi, ma spettri.”
Anche qui splendida chiusa.
E che dire della suggestiva, in qualche maniera visiva, “La ninfa
del lago”? Si rimane in attesa, sperando nella fantastica, possibile
riapparizione all’alba…”che già si annunciava con frecce di luce”.
“Musica e polvere”, qui Renzo riesce letteralmente a trascinarci
nello scorrere del tempo, che tutto sgretola fino alla chiusa,
formidabile, come tutte le altre di questo immaginifico poeta.
“Posteri già nati senza memoria” è addirittura una raffica
che coglie in pieno petto. E un senso di smarrimento pervade, con
rassegnata malinconia, di fronte alla ineluttabile cancellazione
delle umane radici.
“Eternità“ senza memoria, riflesso di un pensiero che abbraccia
secoli e che, malgrado la polvere di ogni fine, non può che
arrendersi alla forza dell’ amore che supera anche il tempo.
“Al Dio morente”, è una descrizione precisa e dolente di quella
perdita di numi che, secoli addietro, erano percepiti vicini, a fare
da tramite fra gli uomini e la natura, nei cicli ricorrenti e
ineludibili della vita sulla terra, mentre oggi ci vede sempre più
distanti, proni davanti a un Dio che abita i cieli ma nemmeno sa
della nostra esistenza.
”Il Testamento” è un’ altra sentita e sottile interpretazione del
poeta, è quasi scandita con i tempi del teatro tragico greco,
immette nel monologo interiore dell’ uomo smarrito e impotente
rispetto al mistero.
“Polvere”, e “Il futuro nel passato”, offrono, nell’ ossimorica
visione, una scia di sogno, di nostalgica memoria.
La musica continua, con “Il sogno del vecchio”, per
“…Una cavalcata, l’ ultima, per un saluto,
un definitivo commiato,
mentre cessa del tutto il vento del tempo.
Ancor domani sorgerà il sole,
per altri riprenderà il cammino
per dove il vecchio è alfine arrivato.”
Qui finisce la musica e la lettura, ma si è ancora rapiti dalle
pagine appena finite di leggere, non si riesce ad abbandonare la
fatata atmosfera lunare, stillante di parole che fluiscono con l’
acqua.
La poesia di Renzo Montagnoli è contagiosa, ci si ammala di voglia
di leggerne ancora, e se ne porta dentro, per sempre, l’ eco sospesa
e sognante.
Cristina Bove
Renzo Montagnoli nasce a Mantova l’8 maggio 1947. Laureato in
economia e commercio, dopo aver lavorato per lungo tempo presso
un’azienda di credito ora è in pensione e vive con la moglie
Svetlana a Virgilio (MN).
Ha vinto con la poesia Senza tempo il premio Alois Braga
edizione 2006 e con il racconto I silenzi sospesi il Concorso
Les Nouvelles edizione 2006.
Sue poesie e racconti sono pubblicati sulle riviste Isola Nera,
Prospektiva e Writers Magazine Italia, oltre a essere presenti in
antologie collettive e in e-book.
E’ il dominus del sito culturale Arteinsieme (www.arteinsieme.net/renzo/
)
Blog:
http://armoniadelleparole.splinder.com/
Cristina Bove
Fiori
e fulmini di Cristina Bove
Edizioni Il Foglio
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Prefazione di Renzo Montagnoli
Immagine di copertina di Cristina Bove
Elaborazione Grafica di Elena Migliorini
Poesia - Silloge
Il poeta riesce a guardare il mondo che lo circonda, trascendendo
ciò che gli occhi vedono, e in questo Cristina Bove non si
smentisce, perché in lei è presente questa straordinaria virtù ed è
coeva con la capacità di trasmettere in modo chiaro, direi limpido,
le sensazioni del suo animo.
Questa raccolta comprende un centinaio di poesie, solo una parte
delle numerose che nel corso della sua vita ha saputo creare, senza
mai essere ripetitiva.
In "Fiori e fulmini", pur nelle molteplici tematiche
affrontate, riluce la mano sensibile che riesce a trasferire nel
verso, con ammirevole semplicità, le più svariate emozioni, dal
tormento di un ricordo allo sdegno per la sorte riservata ai più
deboli.
L'animo di Cristina è uno specchio in cui si riflettono visioni che
rimbalzano sulla carta pregne di intime considerazioni, una presa di
coscienza che solo il confronto fra la realtà e il sentimento
trasfigura in messaggi, ora soffusi, spesso silenziosi, e quasi mai
in urla liberatorie.
C'è una visione dell'esistenza, anche nei suoi aspetti più tragici,
che lascia alla speranza dell'amore, inteso nella sua accezione più
ampia, quel dare spontaneo che gratifica anche senza risposta e che
fa sentire più vivi, come in Amo le voci " Amo le
voci che parlano sommesse che sanno dire senza farti male che
scelgono il silenzio quando è bene tacere ", oppure in Brulicava
di luci , una lirica di ispirazione quasi bucolica, dove il richiamo
alla morte va a sottolineare l'amore per la vita, una sorta di
antitesi che ne esalta il valore.
Ci sono liriche intimiste, dove il volgere gli occhi dentro di sé è
il cercare di conoscere la risposta a tanti perché e al riguardo
ritengo opportuno sottolineare il particolare spirito religioso
presente in tanti versi, una visione della vita che esula dai dogmi
delle religioni per sfociare nella dubbiosa consapevolezza che
qualche entità a noi ignota presieda ai destini del mondo, ai passi
che percorriamo ogni giorno, a fatti ed eventi a cui partecipiamo
secondo un copione che non conosciamo, ma che qualcuno ha ben
definito.
Domande logiche che tutti ci poniamo, ma che la sensibilità
dell'autore sa volgere in possibili risposte che alla luce della
ragione hanno un senso senza essere certe, perché l'unica realtà
tangibile è la vita, è quel fluire del tempo che ci accompagna dalla
nascita fino al distacco, un distacco che può anche essere mediato,
come quando qualcuno a noi caro ci lascia senza che possiamo far
nulla, un'improvvisa consapevolezza della nostra impotenza di uomini
che crediamo di saper tutto, ma che ignoriamo il perché esistiamo.
Al riguardo struggente è A mia madre, laddove Cristina
scrive " Mentre la vita che donasti a me non consentiva di
donarla a te ", una traslazione di pensiero che porta dal pathos
individuale a quello universale, una drammatica consapevolezza che
il ciclo vitale non può essere modificato.
Più fiori che fulmini, perché anche nell'uso sapiente e mai
ridondante delle metafore il verso, fluido, cristallino è al
servizio della filosofia dell'autore, un concetto semplice, ma dalla
grande portata per il bene del mondo: la vita è una sola, con
aspetti negativi e altri positivi, ma merita in ogni caso di essere
condotta fino in fondo, di amarla con tutte le proprie forze, il che
non è un atto di egoismo, poiché ciò a cui si deve effettivamente
aspirare sono gli autentici valori a fondamento di ogni civiltà,
perché in essa innati e che l'umanità si è portata appresso nei
secoli, ogni tanto dimenticandosene, nella rincorsa vana di feticci
della felicità.
Un'ultima, doverosa annotazione: leggere le poesie di Cristina Bove
è come entrare in un'altra dimensione, in un'atmosfera dolcemente
sospesa che infonde una grande serenità.
Renzo Montagnoli
L'autore
Cristina Bove è nata a Napoli il 16 settembre 1942, Vive a Roma dal
'63, anno in cui si è sposata. Da quando si ricorda ha sempre
dipinto, scolpito, letto molto e qualche volta scritto, famiglia
permettendo, poiché la sua stata alquanto numerosa e la sua vita
intensa, ricca di eventi meravigliosi come la nascita dei suoi
quattro figli, la creatività, gli amici, il miracolo di esserci
ancora, sopravvissuta non sa quante volte.
Presente in diversi siti Internet con le sue poesie, è l'autrice
appunto di "Fiori e fulmini", che costituisce al momento la
sua prima pubblicazione in volume.
Renzo Montagnoli
Il diavolo custode
di Luigi Balocchi
Meridiano Zero
Narrativa - romanzo giallo
Ha quasi il ritmo di una ballata questo romanzo tutto centrato sulla
figura di Sante Pollastro, per le cronache un bandito di Novi che ha
imperversato, soprattutto fra le due guerre, ma per la realtà
storica un ribelle.
Luigi Balocchi con uno stile del tutto particolare, che ricorre con
misura al dialetto, con frasi brevi, incalzanti, riesce a fornirci
un quadro completo di questa meteora dei diseredati.
Sì, perché le gesta di quest'uomo, indubbiamente contro la legge,
sono animate da uno spirito di rivolta contro un sistema che opprime
l'individuo, negandogli quella libertà che è suo diritto di nascita.
Sante Pollastro, il bel Santéin è anarchico senza saperlo, lo è per
un istinto naturale che lo porta quasi in un gioco-sfida con se
stesso a violare leggi che sembrano fatte apposta per consentire il
predominio di alcuni uomini sugli altri.
Ha simpatie per il movimento anarchico, perché lo considera la
testimonianza che il suo modo di condurre la vita ha un fondamento
che non lo rende dissimile da altri che si battono e muoiono per
un'ideale di libertà prima di tutto individuale.
Nel testo lo si definisce uno stirneriano naturale, ma lui di Max
Stirner forse ha solo udito il nome, perché la base culturale per
comprendere l'anarchismo non è presente. Lui è così, perché è nato
così, in ciò confermando praticamente la teoria del filosofo
tedesco.
Anche gli uomini della sua banda, pur riconoscendolo capo, appaiono
come dei discepoli, soggiogati dalla sua forte personalità, ma con
l'analoga predisposizione a rifiutare vincoli imposti dalle
istituzioni, apparati creati per limitare la libertà degli uomini.
E' tutta una serie di avventure picaresche che si susseguono nelle
pagine, con l'immagine memorabile del bel Santéin che corre a
perdifiato in bicicletta e spara con mira infallibile ai lampioni,
con gli assalti ai treni, con le rapine, ma anche con le feste fra
amici, con gli amori rapidi e intensi, con parte dei bottini
destinati a chi più ne ha bisogno.
Si delinea così la figura di un uomo a metà fra Robin Hood e Don
Chisciotte, una miscela amalgamata in modo perfetto, che ne fa un
personaggio a se stante, un mito anche per le polizie italiane e
francesi che lo rincorrono, un avversario pericoloso, ma leale.
Un concetto di vita inteso come avventura permanente, dove forte e
predominante è il vincolo dell'amicizia, dove bravate e allegria si
alternano anche alla tristezza per la morte di un compagno.
Così, se esilarante appare il bel Santéin tutto nudo d'inverno
quando si presenta per il servizio di leva, in modo da farsi passare
per matto ed evitare quindi la certa destinazione per la fornace di
morte del Carso (siamo durante la prima guerra mondiale), i ricordi
del fido Emilio, ucciso dai Regi Carabinieri in un agguato in cui
lui è scampato per miracolo, danno la misura di un uomo complesso,
dotato di grande temerarietà, di slanci impetuosi, ma anche di
malinconica nostalgia.
In un ambiente descritto in modo magistrale, con nebbie che sembrano
avvolgerti, con il freddo di cui hai il sentore, Il diavolo
custode è assai di più di un romanzo noir, di una riuscita
biografia, è un intenso, vibrante, e per certi versi struggente,
canto di libertà.
Renzo Montagnoli
L'autore
Luigi Balocchi nasce il 30 giugno 1961 a Mortara (Pavia). Ha
collaborato in qualità di cronista di nera con vari quotidiani e
settimanali locali.
È fondatore del gruppo di ricerca linguistica "La Brasca", volto al
recupero della tradizione dialettale in chiave di proposta
letteraria. Organizza pubbliche letture del repertorio vernacolare
lombardo.
Renzo Montagnoli
GIOVINEZZA
Partitura per mandolino e canto di
Francesco Giubilei
Società Editrice Il Ponte Vecchio
Narrativa - Dialogo - intervista
In fatto di precocità non c'è dubbio che a scrivere un libro a 13
anni e a pubblicarlo a 15 rappresenti un po' un record. E' ovvio che
però sorga spontaneo il dubbio sulla valenza di quest'opera, dal
genere non facilmente determinabile.
Francesco Giubilei ha avuto la fortuna di avere un nonno che l'ha
assecondato in questo lavoro, strutturato come un'intervista;
infatti il signor Italo Giubilei è stato testimone, come tanti
italiani dell'epoca, di un particolare periodo storico: il ventennio
fascista.
E il nipote, avido di conoscere come tutti i ragazzini, ha posto
all'avo delle domande, a cui sono state fornite risposte di
opinione, ma che presentano un livello di equilibrio sicuramente
encomiabile.
Non so se c'era nelle intenzioni la pretesa di scrivere una piccola
storia del fascismo, ma ne dubito, perché allora l'impostazione
sarebbe risultata diversa.
Resta comunque il tentativo di spiegare un fenomeno che ha visto il
nostro paese sostanzialmente in accordo con il regime fascista fino
allo scoppio della seconda guerra mondiale, circostanza da non
sottovalutare, perché denota certe caratteristiche di noi italiani,
caratteristiche presenti anche in Benito Mussolini che le seppe
sfruttare per un certo tempo nel migliore dei modi.
Questo l'essere il tutto e il contrario di tutto ci accomuna in
maggior o minor misura ed emerge nel corso dell'intervista, con la
popolazione contenta per un certo piccolo benessere, ma che mal
sopporta il pre-militare del sabato fascista, o che apprezza la
puntualità dei treni, ma condivide le iniziative politiche del suo
duce solo fino a un certo punto.
Come ho scritto prima, però, le risposte formulate dal nonno sono
frutto di un'opinione individuale e come tale finiscono con l'avere
una valenza limitata, se pure in linea generale è possibile
concordare con le stesse, sulla base di esperienze analoghe avute da
parenti che hanno vissuto lo stesso periodo.
Pur nella buona volontà dell'autore, il libro non ha una valenza
storica, ma eventualmente di cronaca.
Comunque, è piacevolmente scritto e, credetemi, considerando la
giovane età, è già stato realizzato molto.
Chissà che un giorno non ci sia possibile leggere un bel saggio
storico di Francesco Giubilei, ma è inevitabile che dovrà passare
del tempo, dovranno essere completati gli studi con il successivo
inevitabile tirocinio di chi cerca di affrontare questo difficile
compito di ricerca di una verità che non sarà mai quella definitiva.
Renzo Montagnoli
L'autore
Francesco Giubilei è nato a Cesena l'1 gennaio 1992. Frequenta il
Liceo scientifico "A.Righi" nella sua città.
E' interessato a numerose iniziative in Internet in qualità di
dominus (Caffè Storico Letterario, Historica), oppure di
collaboratore (Lankelot). "Giovinezza Partitura per mandolino
e canto" è il suo primo libro.
Renzo Montagnoli
Il Significante
di Silvano Conti -
prefazione di Giuseppina Bisogni -
Da un art. de “ Il corriere dell’Umbria” del 21 Marzo 1986
Sapienti fonìe
per un linguaggio attuale - la poesia dell’ « impotenza » di
Giuseppe Maradei
“ È l’impotenza dell’uomo/ che mi fa paura” – e ancora –
“ ho perso la gara col mondo “. Queste confessioni fanno parte
del corredo poetico di Silvano Conti che, con il volume “ Il
Significante” (Ed. Prhomos, Città di castello 1985 ) ci consegna una
poderosa somma di echi esperienziali nutrite dall’esterrefatto
presente privo di orpelli fantasiosi e incostante polvere d’oro
d’illusioni. La presentazione del volume di Silvano Conti è stata
curata da Giuseppina Bisogni ed il corollario grafico, si è avvalso
della sensibilità del pittore greco - Takis Tsentemaidis -,
conoscente e amico dell’ autore.
Non a caso si è voluto avviare questo intervento con le citazioni di
due versi. Consideriamo che il talismano della comprensione possa
affidarsi alla profezia del verso; in realtà gran parte della storia
umana e lirica di Silvano Conti, a nostro parere, possono arpionarsi
saldamente all’atmosfera introdotta da quei versi. Aggiungiamo a mo’
di chiusa a questo primo mosaico, la seguente asserzione : “
Siamo riusciti a levarci/ la fatica di vivere.” ( Tecnologia ).
Questa prima trilogia di citazioni ci pare essenziale per delineare
qualche motivo di poetica presente nel volume di Silvano.
A determinare con maggiore precisione il nostro assemblaggio
soccorre anche la stessa biografia del poeta. Silvano Conti ha
vissuto in prima persona eventi di illusione e delusione del
movimento studentesco, appartiene a quella generazione di giovani
che al sogno ideale del 68 hanno bruciato le migliori energie
creative e le speranze più impudiche. Sull’ara dell’impegno costante
hanno sacrificato lo scorrere del tempo ed ancora hanno negli occhi
il sinuoso dilagarsi del fumo che ha spazzato via l’utopia insieme
agli anni. Non è, Silvano Conti, un rassegnato, né può definirsi un
pentito. Semplicemente si rende conto lucidamente che è inutile
rincorrere i fantasmi del passato e non cede alla tentazione del
rimpianto. La sua analisi ora si interiorizza ed altri sono i
taselli esistenziali che aspira a vivere e comporre. Ora la vita gli
appare attaccata “ ai pensieri/ e cade/ come uno straccio/ dal
ramo più alto.”
Così anche il rapporto amoroso è consapevole del disinganno al punto
di far dire alla partner: “ Non sei stata mai mia/ neanche quando
il corpo cantava/ perché la paura ci rovina/ perché non sono mai
stato mio/ La paura/ guardava dall’alto”.
A questo punto ci sembra lecito avviare qualche notazione intorno ai
motivi poetici. Da quanto si è potuto incastonare e con le riserve
proprie legate al patrimonio di un volume, appare delinearsi una
propensione alla realtà che non si può sfuggire nonostante poggi
sulle ceneri della delusione. Silvano Conti evita il rifugio nella
profondità ammaliante di un consolatorio lirismo. La consapevolezza
della non presenza del mito si avverte anche quando s’abbandona al
fascino delle citazioni favolistiche o si racchiude nell’alcova
intima dei sobbalzi del cuore. Il frastuono metallico delle
fabbriche ed il cupo cromatismo delle ciminiere avvertono
continuamente che l’idillio deve fare i conti con il cemento. Anzi,
il ricorso alla granitica fonìa del presente tecnologico e
disumanizzante è per il poeta un sicuro sortilegio contro ogni forma
di manierismo e sentimentalismo. Allora sgorga intera dal fondo
della consapevolezza smitizzata la “impotenza” acquisita e
selezionata come antidoto di nuovo ristoro da contrapporre al sogno
irrazionale. La poesia dell’ “impotenza” trova il suo “significante”
dalla vita stessa del poeta cos’ come “il gesto lieve “
e “Daniel” ( il figlio di Silvano ) segnano il “
Significato”. Nasce una forza nuova che ha radici profonde perché
carica d’attese compiute e “ l’impotenza “ si trasfigura in nuovo
crepitio perché la storia riparta, seppure in punta di piedi.
Il linguaggio utilizzato da Silvano Conti è fatto di sapienti fonìe,
anzi, spesso lo stesso evento lirico è giocato sulla variegata
attitudine dei suoni. Vale la lezione, probabilmente, di Dino
Campana e non sono assenti echi futuristi, dadaisti e surrealisti.
C’è qualche strizzatine d’occhio a Mallarmé e qualche sorriso
compiaciuto all’ideogramma. Con questo non si vuole assolutamente
fare della poesia di Silvano Conti un paradigma di appartenenza a
schemi ritmici o ad antiche scuole. Basta dire che la poesia di
Conti trascina nel recente passato cui dona caratteri e movenze ben
al di là di qualsivoglia citazione intellettualistica. È la poesia
ad impossessarsi di tale recente passato ed a conferirgli tonalità
senza tempo. La storia di un uomo non domato dal tempo e fresco di
sentimenti, armonizza l’itinerario e lo trasogna per sempre
Giuseppe Maradei
Ultimo parallelo
di Filippo Tuena Edizioni
Rizzoli
Narrativa - romanzo
Occorrono capacità e coraggio per scrivere un libro simile. Per la
prima mi dilungherò più avanti, per il secondo invece preferisco
parlarne subito.
Premetto che, nella mia ignoranza, non avevo mai letto nulla di
questo autore e se ho provveduto in parte a riparare questa
negligenza lo devo soprattutto a Gian Paolo Serino, il cui articolo
in proposito apparso su Satisfiction mi ha convinto della necessità
di acquistare e leggere questo romanzo, ma non perché ha vinto il
premio Viareggio, bensì per l'entusiastico consiglio di lettura del
critico milanese, di cui condivido spesso i giudizi.
Ho parlato prima di coraggio e in effetti ne occorre per proporre
una storia, vera, di esplorazione, genere stranamente non tenuto in
considerazione dai lettori italiani; inoltre è un'opera di elevato
livello culturale che cozza contro il generale appiattimento
dell'attuale narrativa italiana, portata, nel migliore dei casi, a
una lettura d'evasione adatta a un pubblico da tempo abituato a
fiction e a reality che, di certo, non costringono a spremere le
meningi.
Di ciò l'autore è ben consapevole perché altrimenti non avrebbe
usato un linguaggio erudito, non avrebbe approfondito certi aspetti
della vicenda, indifferente quindi alla ricerca di un eventuale
successo commerciale.
Filippo Tuena ha inteso scrivere un prodotto culturalmente molto
valido, ben sapendo che ciò da diverso tempo è negletto e il
risultato è stato un'opera che senza ombra di dubbio può essere
definita un capolavoro, alla stregua di quelle dei grandi classici.
La vicenda trattata è abbastanza conosciuta ed è la tragica
spedizione del 1911, condotta dal britannico Robert Falcon Scott
nell'Antartide, per la conquista del Polo Sud.
Però, non solo non se ne era scritto mai in modo così dettagliato ed
esauriente, ma addirittura nessuno aveva pensato di ricavarne un
romanzo.
Che cos'è il Polo Sud, se non un punto ideale sulla calotta di
ghiaccio che ricopre un continente dell'emisfero australe?
Battuto da venti impetuosi, gelido, completamente deserto è una
terra del tutto inospitale, ma per molti anni ha rappresentato una
meta agognata, il desiderio intenso e ossessivo di tanti intrepidi
esploratori.
Raggiungere il polo non era solo una sfida fra uomini e una natura
inclemente, ma era molto di più, era la ricerca di se stessi, un
tentativo di conoscere il proprio io misurandosi con forze impari.
Sappiamo dalla storia che il primo a raggiungere il Polo Sud fu il
grande esploratore norvegese Roald Amundsen, ma, benché il suo nome
appaia in questo libro, non ci è mai dato di vederlo, anzi l'autore
lo circonda di un alone da divinità vichinga, sì che ci pare di
vedere la sua slitta, trainata dai cani, correre sul ghiaccio veloce
come un fulmine e dritta alla meta.
Lui è il vincitore, è l'uomo che ha sconfitto la natura, ma lo scopo
di Filippo Tuena non è di parlare di eroi trionfanti, ma di
ipotetici eroi ritornati nei ranghi della debolezza umana di fronte
a fatti e a circostanze che, nonostante l'insuccesso, hanno
destinato i lori nomi all'eternità.
Ecco, allora, perchè in questo libro si narra solo della infausta
spedizione inglese guidata da Robert Falcon Scott, il cui esito è a
tutti noto, ma che nelle parole dello scrittore assurge a dimensioni
titaniche, a una sorta di sacrificio umano, quasi il destino degli
uomini che perdono la sfida con gli dei.
E' stata una lettura sofferta, perché Tuena ha la rara capacità di
coinvolgere chi si sofferma sulle sue parole, e così mi sono immerso
in immense distese ghiacciate, ho visto uomini stremati che a
braccia trainavano le slitte, ho avvertito il gelo entrarmi nelle
ossa, mi sono amareggiato con la delusione di essere arrivato al
polo non per primo, ho sofferto pene intense lungo la via di un
ritorno che non ci sarà, mi sono rinchiuso in una fragile tenda
convinto di essere senza futuro, mi sono accorto della presenza
ossessiva, giorno dopo giorno, di un uomo in più.
E questa sensazione dell'uomo in più, che in effetti hanno provato
diversi esploratori nei momenti in cui la fatica sembrava
insormontabile, tale da esaurire ogni energia residua, ed espressa
in una sorta di visione incerta di un altro incappucciato e avvolto
in un mantello bruno, è stata abilmente sfruttata da Tuena.
Infatti, Scott non parla in prima persona, e nemmeno l'autore, ma a
rendere estremamente coinvolgente il testo ci pensa l'uomo in più e
così è attraverso i suoi occhi che seguiamo l'intera vicenda.
Al riguardo apro un'ideale parentesi, perché mi sono posto il
problema di chi fosse mai questo essere che si crede di vedere,
avvertendone la presenza.
Inizialmente ho pensato alla morte, ma, per quanto non improbabile,
non mi convinceva questa soluzione e allora ho interpellato
l'autore, al fine di confrontarmi e di avere un'interpretazione
autentica.
In merito, di seguito riporto le precisazioni dell'autore:
" Non pensavo necessariamente alla morte, piuttosto a una
divinità antartica che si desta con la presenza degli esploratori e
si spegne con la loro partenza. Credo che non esistano divinità dove
non vivono uomini che le possono vivificare. Più precisamente,
riguardo al libro, lo spirito che accompagna gli esploratori, è di
volta in volta lo scrittore che ne scrive e il lettore che ne legge
perché che cosa siamo noi, quando scriviamo e leggiamo, se non
coloro che accompagnano silenziosamente i personaggi di un libro nel
loro andare?".
Ecco, quindi, un ulteriore elemento che dimostra l'intenzionalità
dell'autore di coinvolgere attivamente il lettore e posso dire che
ci riesce benissimo.
Chiudo l'ideale parentesi e ritorno alla trama.
Demoralizzati per non essere arrivati primi, esausti, sfibrati da
mesi di marcia, Scott e i suoi quattro compagni prendono la via per
l'eternità, un calvario senza testimoni, ma in parte ritrovato in
due diari e in una macchina fotografica, una sorta di epitaffio
mancante solo dell'evento finale, di quel trapasso, per stenti e
freddo, ormai quasi desiderato come la soluzione migliore per chi ha
fallito e sta soffrendo le pene dell'inferno.
Se nella fase preparatoria della spedizione e nell'avvicinamento
alla meta la mano felice di Tuena non solo ha evitato di annoiare il
lettore, ma anzi lo ha progressivamente reso partecipe, è proprio
nel dramma finale che lo stile, la misurata pacatezza coinvolgono
oltre ogni misura, in un lento, crescente, angoscioso stillicidio di
eventi, di riflessioni, di tormenti interiori.
Non scrivo altro, perché Ultimo parallelo, come tutti i
capolavori, ha bisogno di essere meditato, assimilato a gradi, con
il trascorrere del tempo, per scoprire ogni volta qualche nuova
traccia preziosa.
Renzo Montagnoli
L'autore
Filippo Tuena è nato a Roma nel 1953 e vive a Milano. E' laureato in
Storia dell'arte.
Ha pubblicato:
Il tesoro dei Medici (Giunti Art & Dossier, 1987); Lo sguardo della
paura (Leonardo, 1991), Premio Bagutta Opera Prima; Il tesoro dei
Medici (De Agostani, 1992), in collaborazione con Anna Maria
Massinelli; Il volo dell'occasione (Longanesi, 1994); Il diavolo a
Milano (Ikonos, 1996); Cacciatori di notte (Longanesi, 1997); Tutti
i sognatori (Fazi, 1999), Premio Super Grinzane-Cavour; La grande
ombra (Fazi, 2001); La passione dell'error mio. Il carteggio di
Michelangelo (Fazi, 2002); Quattro notturni (Aletti, 2003); Il volo
dell'occasione (Fazi, 2004), nuova edizione; Le variazioni di
Reinach (Rizzoli, 2005); Premio Bagutta; Il diavolo a Milano - nuova
edizione e Fantasmi di Schumann a Manhattan (Carte Scoperte, 2005);
Michelangelo. Gli ultimi anni (Giunti Art & Dossier, 2006); Ultimo
Parallelo (Rizzoli, 2007), Premio Viareggio.
Sito web:
http://digilander.libero.it/filippotuena/
Renzo Montagnoli
Charlette
Itinerario di un amore di
Gaspare Armato Lulu Edizioni
Copertina di Maria Catarina Alvarez
Poesia - silloge
L'amore è un sentimento che si presenta sotto molteplici aspetti,
andando dall'emotività intensa, palpitante di quando nasce, alla
malinconia appena frenata di quando non costituisce che un ricordo.
In quest'ultimo caso si può parlare più di rimpianto, cioè di una
sensazione che da un lato tende ad esaltare momenti di intimità e
dall'altro subito frena un entusiasmo che già si rivela
irripetibile.
La lettura delle 57 liriche di Gaspare Armato, Charlette
Itinerario di un amore, mi ha indotto alla riflessione di cui
sopra, perché, secondo me, è chiaramente avvertibile una rimembranza
accentuata tipica dell'idealizzazione di un evento passato, lontano
nel tempo, ma che è rimasto indelebile nella memoria.
Le poesie, strutturate a versi liberi, presentano comunque un'armonicità
riflessiva, cadenzata da spazi precedenti parte del periodo, quasi a
invitare il lettore a soffermarsi su situazioni emotive che nascono
d'impulso dall'animo (Charlette proprio tu/ ancora tu/ premi il
cuore/della brughiera/del fantasma mio).
E in questa rievocazione si passa dall'entusiasmo per riassaporati
momenti di felicità a una progressiva constatazione che è solo sogno
e che nulla sarà ripetibile ( Piove amica mia/ è una pioggia/che
cade triste triste/ come me/nel lento sciupio/ delle giornate).
In questo percorso la conclusione, logica, è annunciata
dall'avviarsi della rassegnazione (I mesi passano/gli anni
scorrono/le righe/di questo quaderno/
si riempiono/col sudore/dei sogni).
Il tutto finisce, come una mano stanca di scrivere, con l'ultima
poesia, giustamente breve, per troncare un residuo di sogno e di
speranza in un ritorno alla realtà consapevole sintetizzata con un
aforisma (Si è troppo felici/per accorgersi/che la
felicità/durerà un attimo).
Con questa silloge, di piacevole lettura, Gaspare Armato si conferma
poeta dai sentimenti delicati espressi con tonalità tenue, quasi un
sussurro della sua anima.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gaspare Armato risiede e vive a Pistoia.
Le sue prime prove di scrittura iniziano oltre 24 anni fa quando
pubblica la sua prima raccolta di versi Epistemi, era il
gelido gennaio del 1983. Incoraggiato sia da una buona critica che
da consigli di amici e conoscenti, rielabora le precedenti liriche e
li ristampa, aggiungendone altre, nell'aprile del 1984 dal titolo
Ex novo epistemi.
Nello stesso anno termina di scrivere il suo primo saggio storico,
una fatica durata oltre un anno di ricerche e di lavoro: 41 mesi di
guerra, un libro dove si parla dell'Italia e degli italiani
nell'immane tragedia della Grande Guerra del 1915-1918. Il volume
vede la luce nell'ottobre del 1984. Riceve premi e lusinghiere
recisioni sia da quotidiani locali che da quelli nazionali.
Passano gli anni e nel 1986 pubblica un saggio botanico dal titolo
Piante mediterranee per giardini, seguito nel 1990 da I giardini al
mare: erano i primi libri in Italia che trattavano praticamente,
pragmaticamente quel tema.
Ma la sua voglia di dedicarsi alla poesia continuava celatamente e
nello stesso anno, 1990, raccoglie le sue ultime liriche in una
raccolta a cui dà il titolo Charlette - Itinerario di un
amore, era il fiorito mese di marzo. Poesie dal verso libero, di
rara e curiosa composizione stilistica, è un libro da leggere ad
alta voce, come fossero poesie teatrali.
Grazie al successo dei suoi due saggi botanici e spronato da un
nuovo editore, nel maggio 1991 esce Piante esotiche per climi miti,
una descrizione dettagliata, come le precedenti pubblicazioni, di
specie adatte ai nostri climi, con la particolarità d'avere come
base pratica l'esperienza decennale dell'autore.
Poi il silenzio, un lungo periodo di lavoro all'estero, un periodo
segnato dalla riflessione, un periodo dedicato alla lettura,
all'introspezione, alla vita del qua e ora.
Nel luglio del 2007, dopo oltre 17 anni di silenzio, decide di
ripubblicare, rivedendo e correggendo, il volume Charlette -
Itinerario di un amore.
Adesso sta portando a termine il suo nuovo saggio, un saggio
dedicato a particolari eventi storici, Passeggiando per la storia
- dal 1200 al 1800 -, che spera dare alle stampe prima della fine
dell'anno.
Dirige, dall'anno scorso, il suo blog
(www.babilonia61.splinder.com), blog che si occupa di storia, sua
segreta passione da quando era giovane.
Renzo Montagnoli
Vita da jinetera
di Alejandro Torreguitart Ruiz
Edizioni Il Foglio
Traduzione di Gordiano Lupi
Copertina di Oscar Celestini
Juliana è una bella ragazza che vive con la madre e con il figlio
Daglis, avuto da un marito tanto desiderato prima, quanto odiato poi
per la sua violenza e da cui è fuggita.
Una situazione, quindi, quasi normale, se non fosse per il fatto
che, per vivere, fa la jinetera, né più né meno che la nostra
prostituta.
Ovviamente, non è una vocazione, ma una necessità quella di
esercitare il mestiere più vecchio del mondo per poter mantenere la
famiglia, per crescere il figlio, per farlo studiare nella speranza
che un giorno, lui, si trovi in una Cuba diversa dall'attuale, dove
un popolo è costretto ad arrangiarsi per mettere qualche cosa in
tavola.
In pratica il romanzo è costituito dal racconto che fa Juliana della
sua vita, fra episodi passati e presenti, ed è lei a parlare in
prima persona, a narrare fatti e vicende all'autore che si è messo
in testa di scrivere la sua storia.
L'escamotage dell'io narrante del protagonista e della presenza
dello scrittore quale personaggio non è nuovo, ma nel caso specifico
è reso con straordinaria abilità, conferendo alla vicenda un
realismo quasi palpabile.
Juliana non è una figura negativa e non è nemmeno un'eroina, ma
rappresenta la tragedia di un normale essere umano costretto a fare
una vita che sicuramente, se i presupposti fossero stati diversi,
non avrebbe nemmeno immaginato.
E così ci sono racconti di amplessi senza amore, di incontri
occasionali che si rivelano poi delle colossali fregature, ma in
un'atmosfera stanca, senza palpiti, perchè in assenza di speranze
per l'avvenire Juliana accetta, accetta tutto come i normali incerti
del mestiere.
Eppure è una donna viva, che ama il figlio, che saprebbe anche amare
un uomo che non c'è, che sa accontentarsi di quelle piccole gioie
che la vita, quella vita, può dare.
Fra queste ci sono anche i colloqui con Alejandro, lo scrittore,
quasi una sorta di confessione liberatoria, perché lei ama parlare,
ma soprattutto ama essere ascoltata, desidera che le sue parole
assumano il significato di una piccola ribellione a un potere che la
sovrasta e che solo pretende da lei, sia che si tratti del regime,
sia che siano gli uomini dei suoi incontri, perché ha ancora una
dignità, svilita certamente, ma non tanto da non poter comprendere
che gli inermi, gli indifesi sono sempre in balia dei più forti.
In questo senso penso che l'autore sia ben riuscito a rendere la
rassegnata desolazione di un popolo che, perdendo l'oggi, non vede
il domani.
Renzo Montagnoli
L'autore
Alejandro
Torreguitart Ruiz
(L’Avana, 1979) scrive poesie e racconti per la rivista
El Barrio,
è poeta repentista e cantautore. Suona
in un gruppo rock chiamato Esperanza. Ha esordito in Italia
con il romanzo breve Machi di carta -
confessioni di un omosessuale (Stampa
Alternativa, 2003) che ha avuto un buon successo di critica e
di pubblico. A gennaio 2004 ha pubblicato il
romanzo breve La Marina del mio passato (Edizioni
Nonsoloparole - Napoli) e a maggio 2005
il romanzo di ampio respiro Vita da jinetera
(Il Foglio - Piombino) sul mondo della prostituzione.
Alcuni suoi racconti di impronta
politico-esistenziale sono stati pubblicati da quotidiani e
riviste. Tra questi: Il Tirreno, Il Messaggero,
La Comune, Container,
Progetto Babele, Il Filo, L’Ostile, Happy
Boys. Gordiano Lupi è il traduttore
e il titolare per lo sfruttamento dei diritti sulle sue opere
in Italia e per l’Europa.
Renzo Montagnoli
L'isola di
Federico Regini Edizioni Il
Foglio
Prefazione di Francesca Ria
Copertina di Elena Migliorini
L'isola è un romanzo di coscienza, di scoperta, anche meravigliata,
di come possa esistere e si possa costruire una vita tutta nostra
senza condizionamenti che ci portano alla completa omologazione.
Nel caso specifico l'isola è quella d'Elba, ma la vera "isola" è
quella in cui siamo prigionieri, per consuetudini, per educazione,
per un modo di vita imposto dagli altri.
Nonostante un inizio un po' verboso, ma utile per definire questa
sorta di clausura che permea il protagonista, come del resto tutti
gli uomini, questo romanzo prende quota gradualmente, grazie a una
prosa snella e alla capacità dell'autore di creare nuove
aspettative. C'è anche uno sfondo giallo, legato ad alcuni
avvenimenti di "mala politica" accaduti veramente all'isola d'Elba,
ma è ovviamente un pretesto, per quanto accortamente utilizzato, per
dare una svolta, una soluzione ai problemi esistenziali del
personaggio principale e dei suoi due amici.
In effetti, Regini sembra volerci dire che, per creare una propria
vita, se non ci si riesce da soli, ci si può arrivare con
l'amicizia.
E così, oltre alla libertà di poter rompere il guscio che ci
circonda, l'altro modo di lettura di questo testo è dato dal valore
dell'amicizia, grazie alla quale, infatti, il protagonista e i due
suoi più fidati compagni di vita potranno infine vivere felici e
contenti.
Regini ha saputo costruire una trama efficace, disegnando in modo
preciso i personaggi, con un'ambientazione e un'atmosfera intensa
come in un thriller, ma notevolmente realistica.
L'ho letto quasi d'un fiato e lo consiglio vivamente, perché, vi
assicuro, non ve ne pentirete.
L'autore
Federico Regini nasce il 16-11-1971 e vive all'Isola d'Elba.
Dipendente di un'azienda di credito, si diletta nel tempo libero a
scrivere racconti e sceneggiature.
A settembre del 2000, fonda con Stefano Giorgini e Sergio Casella un
gruppo di musicabareteatrale chiamato le "Mukke Pazze" di cui cura i
testi e le sceneggiature. Nello stesso anno scrive lo spettacolo
"Viaggio in America" (2000), rappresentato ripetutamente al teatro
dei Vigilanti di Portoferraio. Successive revisioni lo hanno reso
adatto a piazze e locali, dove il gruppo si è esibito regolarmente.
Seguono le sceneggiature la "Divina trag(g)edia" (2003) e "Bar
America" (2004).
E' in fase di stesura il nuovo spettacolo dal titolo "La notte del
tassista", che probabilmente sarà proposto durante la stagione
teatrale 2006/2007.
Dal 2002 è il presentatore (quando glielo fanno fare anche
"cantante") del "De Andrè Day", rassegna musicale dedicata al
cantautore genovese, curata ed organizzata dai BWP.
L'isola è il suo primo e, per ora unico, romanzo.
Renzo Montagnoli
Chissà, forse un
giorno faremo l'amore sull'orlo del mare di
Marcello Marabotti Otma Editore
Prefazione di Alessandra Volpi
Chissà, forse un giorno faremo l'amore sull'orlo del mare. Non
fuorvii il titolo, curioso, accattivante. Un titolo che rimanda ad
atmosfere baricchiane di cui forse vuole essere omaggio. Perché la
raccolta di poesie con la quale Marcello Marabotti, giovane poeta
milanese, classe 1985, si racconta per la prima volta al pubblico è
in realtà permeata di una tessitura sintattica e concettuale
estremamente eterogenea.
Poeta delle piccole cose soffuse di un lirismo dimesso di
reminescenze sabiane, vicino all'impronta prosaica dell'ultimo
Montale, Marabotti stupisce per la capacità tutta pascoliana di
cogliere il mistero intrinseco della quotidianità fatta di
situazioni, gesti, fugaci pensieri. Cantore della vita di cui narra
con forte taglio autobiografico i legami affettivi, sensazioni,
profumi, ambienti, Marabotti parla della vita attingendo a piene
mani dalla propria: nascono così fulminei aforismi di oraziana
memoria, lampi di eros di elegante bellezza, paesaggi o situazioni
vivi nell'immediatezza del contingente o trasfigurati nel ricordo,
affetti profondi. Nel silenzio interiore proteso a giungere al porto
sepolto emergono verità nascoste, lanciate dalla catapulta del
cuore, intrise di malinconia. Basta poco e tutto diventa poesia
grazie alla naturalezza con la quale Marabotti esprime il sentimento
vero, mai banale, mai scontato, anche quando l'essenza dell'attimo è
stata già individualmente vissuta da generazioni di poeti.
Marabotti fotografa l'attimo con la sensibilità intuitiva dei veri
poeti, quelli investiti dal sacro fuoco di Apollo, quelli che si
fanno veggenti; non necessita di sperimentalismi linguistici a volte
forzati per affermare la propria originalità nella speranza di
tracciare solchi diversi. L'unicità del canto è una conquista. E
Marabotti sembra essere sulla buona strada.
L'autore
Marcello Marabotti è studente presso la facoltà di Lettere
all'Università Statale di Milano. 'Chissà, forse un giorno faremo
l'amore sull'orlo del mare' è la sua prima raccolta di poesie. Ha
pubblicato anche la poesia A lei nell'antologia 'Parole d'Amore'
(Giulio Perrone Editore 2006). Collabora col quindicinale
SegrateOggi dal 2005.
Cesare Sinigaglia
Ballate di vita di
morte e d'amore di Fabrizio
Manini Edizioni Il Foglio
Prefazione di Gordiano Lupi
Introduzione di Antonella Governi
In copertina disegno originale di Fabio Marangio
Poesia - Silloge
Della produzione poetica di Fabrizio Manini, di notevole pregio (al
riguardo prego il lettore di leggersi le mie recensioni a Grigie
distese e a Voglio che dio mi mostri il suo volto), fa
parte anche un'opera di più ridotte dimensioni, ma sicuramente
atipica sia per l'autore che per le produzioni correnti.
La ballata era un tempo molto diffusa e la sua ritmicità permetteva
ai cantastorie di cantarla; spesso erano lavori che parlavano di
vicende amorose o anche storiche, ma adatti soprattutto ad
ascoltatori di poche pretese, quali potevano essere soprattutto i
servi della gleba di almeno sette secoli fa.
Ciò non toglie che vi si siano cimentati, con opere di diverso e
maggior valore, anche poeti famosi, fra i quali Petrarca e in tempi
meno remoti Carducci, Pascoli, D'Annunzio.
In queste composizioni la tecnica è essenziale e quindi occorre non
solo conoscere bene la metrica, ma esserne padroni. Infatti i versi
sciolti e liberi mal si adattano al ritmo richiesto e soprattutto a
quella sorta di ritornello armonico che è sempre presente.
Al riguardo Manini dimostra consapevolezza dei propri mezzi,
ricorrendo a quartine a rime pure, talvolta baciate, altre più
spesso alternate; tuttavia non si rifa alla tradizione italiana
della ballata, cioè alle opere dei citati Petrarca, Carducci, ecc.,
di carattere più elegiaco, ma ai grandi specialisti francesi, fra i
quali spicca quel François Villon, scapestrato e mezzo delinquente,
al punto tale che, al di là del valore, è anche noto per la sua vita
turbolenta.
Fabrizio Manini ha intitolato queste dodici ballate "Ballate di vita
di morte e d'amore", perché in effetti ha inteso tracciare alcuni
aspetti caratteristici dell'esistenza, con un occhio però di favore
più per la morte che per la vita e per l'amore.
E indubbiamente Villon ha avuto un grande ascendente su di lui, ove
si consideri che la fonte ispiratrice sono proprio le opere
dell'autore francese.
Non a caso il riferimento è addirittura la famosa Ballade des
pendus e anche nella silloge di Manini troviamo La ballata
dell'impiccato (…dal cappio pietà/ brunito d'attesa/la tua fune
saprà/che il mio culo pesa.).
Poi ci sono altre ballate che hanno tematiche diverse, ma nella
maggior parte delle quali è presente la morte.
Del resto, nell'epoca d'oro di questa forma poetica, la morte, vista
come figura, era quasi sempre presente, perché in fondo serviva
anche a umanizzarla. Questa tendenza smitizzante era ripetuta anche
nelle arti figurative, come nelle famose Danze Macabre che
affrescavano le pareti di molte chiese con annesso cimitero.
E anche in Manini questa smitizzazione è presente, perché in fondo
l'autore sembra volerci dire che la morte è una certezza, mentre la
vita non lo è.
Peraltro l'opera ha una sua valenza anche perché prefigura quella
che sarà la successiva produzione poetica dell'autore, e non tanto
per la forma, quanto per i contenuti.
In particolare si ravvisa quelle tematica esistenziale propria di
Grigie distese nella Ballata della noia, successivamente ripresa
con alcune modifiche nella silloge testé citata, nonché nella
Ballata della solitudine, segno evidente dell'evoluzione artistica e
filosofica che l'autore nel tempo va portando avanti.
Del resto i prodromi di Voglio che dio mi mostri il suo volto
si riscontrano, sia pure abbozzati, nella Ballata dell'amore e della
morte, dove il concetto, che sarà in seguito più ampiamente
espresso, qui è delineato in modo diverso, ma è pur sempre presente
la contestualità fra l'amore affettivo e quello erotico, il primo
rientrante con il pentimento nella raffigurazione divina e il
secondo, con l'espiazione nella morte, simbolizzato da una sorta di
diavolo salvificatore (…cerco l'oblio/dell'alito nero/ e invoco il
mio/ destino e spero…;… baciarti la bocca/ a labbra di seta/
salvezza mi tocca/ in morte discreta…).
E' opera di facile e gradevole lettura, dove la tecnica, come
precisato agli inizi, la fa da padrona, ma scorrendo le righe,
quartina dopo quartina, se riuscirete a essere partecipi, non potrà
non venire in voi il desiderio di canticchiarle, magari
immaginandovi di essere su una piazza del '500, contornati da
mocciosi che si accapigliano e da gente del popolo, che, estasiata,
batte il tempo con i piedi.
L'autore
Fabrizio Manini è collaboratore de Il Foglio Letterario dal
2001. All'interno delle Edizioni Il Foglio è direttore della Collana
Autori Contemporanei Poesia e della rivista ebook Carmina. Ha
pubblicato anche Briciole d'eternità (Ed. Polistampa, 1997),
Voglio che dio mi mostri il suo volto (Ed. Il Foglio, 2003),
Grigie distese (Ed. Il Foglio, 2005).
Renzo Montagnoli
Orrori Tropicali
Storie di vudù, santeria e palo
mayombe di Gordiano Lupi
Edizioni Il Foglio
Introduzione di Gianfranco Nerozzi
Copertina, disegni e fumetti di Oscar Celestini
Narrativa - raccolta di racconti
Già leggendo Nero tropicale avevo colto, pur se in forma
embrionale, una caratteristica del tutto particolare di Gordiano
Lupi e che in questa raccolta di racconti trova piena conferma.
Mi riferisco al fatto che questo autore scrive testi con finalità
che vanno oltre i brividi e le tensioni proprie del genere horror,
nel senso che tale struttura narrativa è un mezzo per riaffermare la
dignità di ogni essere umano di essere liberato da qualsiasi potere,
sia esso rappresentato da forze oscure e trascendenti, sia quello
che deriva da un governo opprimente e dispotico.
I personaggi diventano quindi un emblema della volontà di riscatto
del singolo di fronte a forze più grandi di lui.
Al riguardo Il mistero di Encrucijada, il romanzo breve che
fa parte della raccolta, ne è un tipico esempio, dove non è
difficile scorgere nella strega, che cerca di tornare in vita
sottomettendo psicologicamente una ragazzina quindicenne, un regime
che condiziona fin dall'infanzia e che solo con un atto di estremo
coraggio di individui che cercano di capire con la loro testa potrà
essere sconfitto. Non solo, ma anche il ricorso ad altri poteri
costituiti, come nel caso specifico la chiesa cattolica, non può
essere una soluzione, perché anche quello religioso è un regime e
come tale non può capire ciò che è al di fuori della sua rigida
struttura.
Come in Nero Tropicale l'ambientazione e l'atmosfera sono
resi in modo esemplare e anche la tensione non è mai spasmodica,
come se fatti al di fuori dell'umana comprensione in certi posti
possano essere quasi una costante, addirittura un'abitudine.
Chi pensa di trovare un gotico tenebroso, dalle tinte forti, forse
rimarrà deluso, ma personalmente preferisco questa versione
sudamericana più ariosa, dove all'azione è preferita l'introspezione
dei personaggi, con le loro reazioni e le loro angosce che finiscono
con il conferire credibilità a vicende di fantasia.
Da solo Il mistero di Encrucijada vale già tutto il libro e,
senza togliere nulla agli altri racconti presenti, questo romanzo ha
il pregio non comune, pur in presenza di un ritmo blando, di
centellinare accortamente fatti e situazioni, tenendo in tal modo
sempre vivo l'interesse, e ciò dalla prima all'ultima pagina.
Gli altri brani, più corti, spaziano un po' in tutti i campi
dell'horror, e così si va dalla moglie vampira de La pelle bruciata
agli zombie di Un terribile rimpianto. Quest'ultimo è un autentico
capolavoro, dove sprigiona in tutta la sua evidenza la
caratteristica che ho evidenziato sopra, una sorta di parabola che
stigmatizza chi si serve del suo potere per schiavizzare gli esseri
umani. Credetemi, mai come leggendo questo racconto avvertirete un
senso di profonda pietà per i morti viventi.
E per finire c'è Sangue tropicale, testo riuscito e già facente
parte di Nero tropicale, ma qui è in versione fumetto, ad
opera della capacità creativa e della mano artistica di Oscar
Celestini.
Quindi i motivi per leggere questo libro sono tanti, ma ce n'è anche
un altro, che ho lasciato per ultimo, ma non è da sottovalutare: il
piacere di arrivare all'ultima pagina e il dispiacere che il libro
sia terminato.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gordiano Lupi (Piombino, 1960).
Capo redattore de Il Foglio Letterario e Direttore Editoriale delle
Edizioni Il Foglio. Collabora con Mystero e con la Casa Editrice
Profondo Rosso di Roma. Pubblica racconti per X Comics, Blue e
Underground Press. Scrive soggetti e sceneggiature per fumetti
realizzati graficamente dal disegnatore Oscar Celestini (pubblicati
su X Comics, Blue e Underground Press). Ha pubblicato: Lettere da
Lontano (Tracce, 1998), Il mistero di Incrucijada (Prospettiva,
2000), L’età d’oro (Il Foglio, 2001), Il giustiziere del Malecón
(Prospettiva, 2002), Le ultime lettere di Pilvio Tarasconi (Il
Foglio, 2002), Per conoscere Aldo Zelli (Il Foglio, 2002). Ha
tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di
carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato
(Nonsoloparole, 2003), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005), Cuba
particolar – Sesso all’Avana (Stampa Alternativa, 2007). I suoi
lavori più recenti sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio, 2003),
Cuba Magica – conversazioni con un santéro (Mursia, 2003),
Cannibal – il cinema selvaggio di Ruggero Deodato (Profondo Rosso,
2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della
musica cubana (Bastogi, 2004), Quasi quasi faccio anch’io
un corso di scrittura (Stampa Alternativa, 2004), Orrore, erotismo e
pornografia secondo Joe D’Amato (Profondo Rosso, 2004), Tomas
Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004), Le dive nude
- vol. 1 - il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (Profondo
Rosso, 2005), Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005),
Nemici miei (Stampa Alternativa, 2005), Il cittadino si ribella: il
cinema di Enzo G. Castellari - in collaborazione con Fabio Zanello -
(Profondo Rosso, 2006), Filmare la morte – Il cinema horror e
thriller di Lucio Fulci (Il Foglio, 2006) e Orrori tropicali –
storie di vudu, santeria e palo mayombe (Il Foglio, 2006). Il suo
ultimo libro è il saggio Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana
(Stampa Alternativa, 2006). Di prossima pubblicazione: Il cinema di
Sergio Martino (in collaborazione con Fabio Zanello). Pagine web:
www.infol.it/lupi. E-mail per contatti: lupi@infol.it. Ha preso
parte ad alcune trasmissioni TV come Cominciamo bene le
storie di Corrado Augias (libro Serial killer italiani), Uno
Mattina di Luca Giurato (libro Serial killer italiani), Odeon TV
(trasmissione sui Serial killer italiani) e La Commedia all’italiana
su Rete Quattro (dove ha parlato di Gloria Guida e di commedia
sexy). È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche per i suoi
libri e soprattutto per il saggio su Cuba intitolato Almeno il
pane Fidel che sta facendo discutere. I suoi libri sono stati
oggetto di numerose recensioni e segnalazioni che si possono leggere
al sito ww.infol.it
Renzo Montagnoli
Italiæ Medievalis
Historiæ di Autori Vari
Edizioni Tabula Fati
Presentazione di Luca Molinini
Introduzione di Fulvia Serpico
Narrativa - antologia di racconti
Il premio letterario Philobiblion è un concorso per racconti brevi e
inediti a tema medievale, che l'Associazione Culturale Italia
Medievale ha promosso nel 2006 per la prima volta. Il nome
attribuito al premio si ispira all'omonima opera del monaco
benedettino Riccardo di Bury (1287 - 1345), cancelliere del re
Edoardo II.
In questo volume sono raccolti i racconti finalisti, tutti di ottimo
livello e in ogni caso di piacevole lettura.
Poiché il loro numero è modesto, essendo in tutto cinque, mi
soffermerò su ognuno di loro.
Il pranzo del Dux Mediolani di Loredana Limone, opera
che si è classificata al primo posto, è la cronaca esauriente del
pranzo tenutosi nel 1395 per l'incoronazione di Giangaleazzo
Visconti, il primo duca di Milano. Ho detto cronaca e in effetti si
ha l'impressioni di leggere l'articolo di un ipotetico giornalista
dell'epoca, un resoconto minuto e dettagliato di cibi, di ambiente,
anche di tresche amorose che farebbe la gioia di qualche periodico
attuale che si interessa della vita dei vip. E' indubbiamente
interessante, ma anche un po' stucchevole e del racconto, come
costruzione, ha ben poco.
Vallombrosa, di Vanes Fortini, secondo ex aequo,
riesce a mescolare sapientemente il sacro al profano, con una
vicenda forse paradossale, ma a cui l'irriverenza dell'autore ha
saputo conferire una dignità letteraria non comune.
Il pozzo, di Cristina Sottocorno, pure secondo ex
aequo, è una storia di un amore spontaneo che si scontra con la
ragion di stato, una tematica abbastanza frequente nella narrativa
che si ispira all'epoca medievale; un racconto che, tutto sommato,
si lascia leggere, senza che però si scopra qualche cosa di nuovo.
Frate Francesco e Frate Leone, di Mauro Ursino, terzo
ex aequo, è un bel racconto, scritto bene e che riesce a restituire
quella spiritualità che all'epoca faceva da contraltare alle
bassezze, quasi bestiali, dei potenti.
Il viaggio, una metafora della vita, compiuto da Francesco con un
confratello ha pagine di profonde riflessioni che non possono
lasciare indifferente il lettore.
Il re del nulla, di Fiorella Borin, pure terzo ex
aequo, è un racconto stupendo, sia per trama che per costruzione
della struttura. Anche in questo caso c'è un viaggio, vero, e
metafora però anche della caducità del potere.
Renzo Montagnoli
Gli autori
Loredana Limone ha pubblicato la
raccolta di fiabe Il Trenino Arlecchino e altre storie
(Edizioni Associate), la fiaba Il Pesciolino Eolo (Coop. La
Mongolfiera) per la divulgazione di un progetto di affido e due
libri letterario-gastronomici dal titolo La cucina del Paese di
Cuccagna (Il Leone Verde Edizioni) e Mangiare in Cascina
(Atesa Editrice, con prefazione di Davide Paolini). Ha ricevuto
diversi premi per la poesia, la narrativa e la drammaturgia; il suo
testo teatrale Mosaici d’Amore è stato messo in scena a Milano e
Reggio Emilia. È guida di letteratura gastronomica per il portale
superEva, conduce il laboratorio di scrittura creativa gastronomica
“Sapori letterari” e ha uno spazio radiofonico di recensioni
librarie su Circuito Marconi.
Vanes Ferlini, quarantadue anni,
abita a Imola e lavora a Bologna presso la Banca Nazionale del
Lavoro. Ha compiuto studi tecnici e più tardi ha sviluppato
l’interesse per la letteratura, iniziando a scrivere poesia per poi
proseguire con la narrativa. Nel marzo 2004 ha pubblicato la breve
raccolta di poesie Il poeta nudo (Montedit, Melegnano),
risultata finalista al Premio Il portone (luglio 2004) e al Premio
Emma Piantanida (aprile 2005). Nell’aprile 2006 ha pubblicato il
volume D’oltresogno. Raccolta di novelle per ragazzi e per adulti
sempre ragazzi (Montedit, Melegnano), 3° classificato nella
Sezione narrativa per ragazzi alla 9a edizione del Premio “Firenze
Capitale d’Europa” (Palazzo Vecchio, 16 dicembre 2006). Ha vinto
inoltre numerosi concorsi per la poesia e la narrativa inedite.
Cristina Sottocorno è nata il 19
maggio del 1977 a Monza. Dopo il diploma in lingue, consegue la
laurea in Relazioni pubbliche presso lo IULM di Milano con una tesi
sulla Comunicazione delle Istituzioni Museali in rete. Grazie
a due borse di studio, ha occasione di frequentare un master al
prestigioso Istituto Europeo del Design di Milano e successivamente
di fare un’esperienza lavorativa presso il Presidio Ospedaliero di
Desio. Attualmente vive a Lissone, con il compagno e il loro
viziatissimo jack russell Ares, e si destreggia fra il lavoro a
tempo pieno per l’Assessorato all’Educazione di Monza e la sua
inguaribile passione per la scrittura, la storia, le arti figurative
e tutto ciò che riguarda l’umana conoscenza. Il racconto Anima
sfregiata è stato selezionato nell’ambito del Concorso Racconti
Metropolitani indetto da “Metro” (quotidiano gratuito a
distribuzione nazionale) e l’Università Popolare di Roma (UPTER) e
pubblicato nell’antologia Tropico d’asfalto e altri racconti
(EDUP, Roma 2006).
Mauro Ursino è nato a Bologna nel
1958. È laureato in Ingegneria elettronica ed ha conseguito il
dottorato di ricerca in Bioingegneria. È professore ordinario di
Bioingegneria Elettronica e Informatica presso l’Università di
Bologna, dove si occupa dello sviluppo di modelli matematici di
sistemi fisiologici complessi. Insegna Elaborazione di dati e
segnali biomedici e Sistemi intelligenti naturali e artificiali. I
suoi studi recenti riguardano l’applicazione dei modelli matematici
alle neuroscienze e ai processi cognitivi. Ha pubblicato quasi
duecentocinquanta lavori scientifici, di cui oltre cento su quotate
riviste internazionali. Nel 1991 gli è stato conferito il Premio
Marotta dall’Accademia Nazionale delle Scienze. Coltiva da diversi
anni la passione per la letteratura. Con il racconto Frate
Francesco e Frate Leone si propone per la prima volta ai
lettori.
Fiorella Borin, nata a Venezia nel
1955, è laureata in psicologia. Si è dedicata per qualche anno
all’insegnamento di Scienze umane e Storia negli istituti superiori.
Ha collaborato con l’Università di Padova e, in seguito, ha maturato
qualche esperienza in seno a piccole case editrici. Da una
quindicina d’anni si dedica con passione allo studio della storia di
Venezia. Oltre duecento suoi piccoli lavori di narrativa, poesia e
saggistica sono presenti in antologie e riviste. Ha pubblicato la
raccolta di novelle La donna velata e altre storie (Firenze
1991), il romanzo breve Le putine del Canal Gorzone (Milano
2002), la raccolta di racconti La Signora del Tempio Nascosto
(Bologna 2003), il racconto storico-fantastico Il bosco
dell’unicorno (Tabula fati, Chieti 2004), e i due brevi romanzi
storici Mir i dobro (Milano 2005) e La sciarpa azzurra
(Perugia 2005) ambientati nella Venezia sfarzosa e beffarda del
Cinquecento. Ha conseguito una novantina di primi premi in concorsi
letterari nazionali e internazionali.
Renzo Montagnoli
Voglio che dio mi
mostri il suo volto di Fabrizio
Manini Edizioni Il Foglio
Prefazione di Taylor Grant Hauwkes
Introduzione di Alberto Peruzzi
E' difficile scrivere un commento critico di un testo di così
elevata portata, ma anche per sua natura estremamente complesso,
perché sinceramente parlare di entità supreme al di fuori dei canoni
dogmatici istituiti dagli uomini di chiesa può apparire, oltre che
profano, anche eretico.
Del resto quando un uomo rivendica una propria autonoma
interpretazione di qualsiasi cosa di questo mondo finisce
inevitabilmente per essere bollato con l'infamia propria di chi non
vuol far parte delle regole rigide di un ordine costituito.
Ritengo, però, opportuno chiarire subito un concetto, sgombrando
così quel dubbio che si potrebbe insinuare in un credente leggendo
le prime poesie: l'autore non ha inteso innalzare un ode
all'ateismo, anzi il poeta, per quel modo di vedere e di sentire del
tutto autonomo, intende rivendicare una propria specifica visione
della spiritualità.
In questo contesto, invece, emerge un evidente anticlericalismo,
rivolto non tanto alla Chiesa, ma agli uomini della chiesa, nel
senso che l'istituzione in sé non è criticabile, mentre altra cosa è
il comportamento di chi la rappresenta.
Del resto, il rivendicare una propria religiosità individuale, al di
fuori degli schemi rigidi creati da chi rappresenta la chiesa, se da
un lato costituisce un'eresia, dall'altro realizza quell'identità
spirituale fra uomo e divinità che è propria di una religione
monoteista volta ad essere compresa dall'animo di ogni individuo.
La visione di Fabrizio Manini si attua attraverso un'evoluzione che
dapprima porta a considerare Dio e il Diavolo due facce della stessa
medaglia, ma poi finisce con il considerarli elementi che non
riescono a trovare una collocazione logica nella mente umana proprio
perché non è possibile dimostrare la loro esistenza.
A questo punto sembrerebbe scattare l'ipotesi di un testo ateo, ma
subito viene fugata da un raziocinio che riesce a individuare come
ragion d'essere l'Amore, in ambo i suoi significati, cioè quello
puramente affettivo e quello erotico. Anche in questo caso sono due
facce della stessa medaglia; però se il primo è l'amore di Dio e il
secondo è quello del Diavolo, la visione percepibile concretamente
dalla mente umana non è la contrapposizione a cui ci ha abituato la
rigida e, per molti versi, illogica morale cattolica, ma la loro
contemporanea presenza, una perfetta unione in mancanza della quale
non può sussistere un concetto di vita salvifico.
Quindi, più che per lo stile, peraltro assai funzionale e piacevole,
questa silloge assume una valenza per il concetto espresso, tanto da
pensare che un filosofo si sia dilettato a esporre il suo pensiero
con la poesia.
Il titolo della silloge, oltre che essere tratto da due versi di una
delle liriche (MIODIO), riassume bene il significato di libertà di
interpretazione, di dialogo muto fra uomo e spirito che solo può
portare a una concezione religiosa in funzione dell'individuo che la
vive, quindi lungi da dogmatismi, frutto di imposizioni di altri
uomini.
A mio avviso, questa è un opera che conferma il talento di questo
autore, capace di rendere in poesia concetti filosofici di notevole
profondità.
Renzo Montagnoli
L'autore
Fabrizio Manini è collaboratore de Il Foglio Letterario dal
2001. All'interno delle Edizioni Il Foglio è direttore della Collana
Autori Contemporanei Poesia e della rivista ebook Carmina. Ha
pubblicato anche Briciole d'eternità (Ed. Polistampa, 1997),
Ballate di vita di morte e d'amore (Ed. Il Foglio, 2002),
Grigie distese (Ed. Il Foglio, 2005).
Renzo Montagnoli
I misteri delle
soffitte di Carolina Invernizio
Edizioni Il Foglio
Introduzione di Gordiano Lupi
Copertina di Elena Migliorini
Che cosa mi abbia indotto a leggere questo romanzo scritto da una
prolifica autrice, vissuta nella seconda metà dell'ottocento e nei
primi cinque lustri del millenovecento, mi è del tutto sconosciuto.
Non potrei nemmeno definirla curiosità, perché già in età giovanile
avevo letto qualche cosa scritto da lei, non ritraendone tuttavia
particolare piacere.
Eppure, la tentazione di mettere gli occhi in qualche cosa un po' al
di fuori della norma è stata forte, così che sono stato indotto ad
acquistare il volume.
Premetto che ci troviamo nell'ambito del cosiddetto romanzo
d'appendice o anche con il termine più spregiativo di feuilleton,
cioè una scrittura semplice, facilmente comprensibile soprattutto da
parte della gente meno istruita, con trame molto arzigogolate, dove
fioriscono tradimenti, dove il buono di turno è continuamente
vilipeso, anche se il finale gli riserva sempre un riscatto.
Se volessimo fare un paragone a un genere attuale, che trova la sua
forma espressiva però nel mezzo televisivo, è come la fiction, ma
con una differenza essenziale: il feuilleton ha sempre intenti
educativi, mentre l'altra è spesso totalmente priva di morale.
Per dirla in breve, culturalmente è meglio il romanzo d'appendice,
cosa tanto più preoccupante se si considera che gli amanti della
fiction hanno un grado d'istruzione ben superiore a quelli
dell'epoca d'oro del feuilleton.
In questo volume di Carolina Invernizio è presente una struttura da
giallo che, tuttavia, non è la finalità per cui è stato scritto, ma
è solo il supporto per imbastire intorno una storia a tinte fosche
di dolci dame tradite, di operaie belle come il sole, di giovani
sinceri ed onesti, di un conte che è la malvagità in persona, tutte
caratteristiche proprie del genere.
Lì uno se è buono lo è fino a diventare stupido e un altro se è
cattivo è peggio del diavolo.
Sono personaggi al di fuori della realtà, dove invece è sempre
presente in ognuno l'aspetto positivo accompagnato tuttavia, in
grado più o meno accentuato, da quello negativo.
In verità questi stereotipi semplificano molto la comprensione del
testo da parte di lettori spesso occasionali, di modestissima
istruzione e di ceto sociale remissivo.
Un altro aspetto, poi, da tenere in considerazione è lo stile, dove
l'eloquenza predomina non solo per bocca di nobili o dottori, ma
anche di servette e di modesti operai.
In effetti, non sono a parlare i personaggi, ma l'autrice stessa, di
cui si avverte continuamente la presenza con giudizi e consigli
esposti per il tramite dei soggetti da lei creati.
Tuttavia, l'aspetto più significativo è che l'interesse alla lettura
rimane inalterato, pagina dopo pagina, perché la Invernizio è capace
di creare continue aspettative che inducono il lettore odierno, più
smaliziato, a soprassedere a certe manchevolezze, quali
l'impressione che i protagonisti stiano recitando, insomma che siano
loro stessi attori di una trama preconfezionata.
E così, nonostante la lunghezza e una sempre presente verbosità, si
giunge al termine, forse non appagati culturalmente, ma comunque
consapevoli di aver trascorso qualche ora in modo gradevole senza
aver affaticato la mente.
E' una sorta di archeologia della letteratura, una scoperta, in fin
dei conti, di una narrativa minore che, tuttavia, non mi sembra
inferiore a certi romanzi che oggi hanno successo, pur non avendo
nemmeno il merito di interessare il lettore.
Renzo Montagnoli
L'autore
Carolina Invernizio (Voghera 1851 - Cuneo, 27 novembre 1916).
Scrisse per anni romanzi di appendice per La Gazzetta di Torino e
poi per l'Editore Salani, che le pubblicò la bellezza di 123 libri.
Ebbe grande successo fra i lettori dell'epoca, ma assai meno fra i
critici che, soprattutto, mal sopportavano lo sfondo gotico delle
sue trame.
Renzo Montagnoli
Piuma leggera
di Mara Faggioli Masso delle
Fate Edizioni
Saggio introduttivo di Vittorio Vettori
In copertina "Ritratto di Marco" di Mara Faggioli
Poesia - raccolta
Fiorino d'oro alla XXII Edizione del Premio Firenze.
Vincitore del Premio Città di Vienna.
Questa raccolta di poesie di Mara Faggioli, frutto di una
poliedricità di aspetti, potrebbe essere riassunta, dopo lettura, in
due semplici parole: soave semplicità.
La sintesi mi sembra quanto mai corretta nel caso specifico, ma
quali sono gli elementi che hanno portato a identificare un lavoro
di elevato impegno intellettuale con una terminologia così breve?
Lungi dal sentirmi influenzato dal saggio introduttivo di Vittorio
Vettori, per quanto ben scritto, ma poco esplicativo dell'opera
dell'autrice, ho proceduto soffermandomi su quei versi che più di
altri hanno acceso in me sensazioni, a volte contrastanti, ma sempre
pacate.
E così è possibile notare come l'autrice ripercorra sentimenti e
ricordi come un sogno che riaffiora dalle brume del passato a
rammentare, nella frenesia dell'oggi, la serenità di momenti vissuti
molto tempo indietro, ma la cui percezione sensoria è rimasta
inalterata, se pur latente, e che all'improvviso rivive in pochi
semplici versi.
Antica terra
Antica terra
dove il passo leggero
ha lasciato segni profondi
se con gli occhi
ti abbraccio
ancor posso udire
il tuo lieve respiro.
Oppure:
Nessuno
potrà rubarmi
i sogni:
seduti sulle nuvole
se ne stanno
in attesa
di slanciarsi
in volo.
O anche:
Come in autunno,
gli alberi
esausti e stanchi
lascian cadere le foglie
e quasi con sollievo
le regalano al vento,
così, forse,
anche l'uomo,
dalla sua vita
si separa
senza rimpianto
né dolore.
Sono emozioni, sentimenti che traboccano e mediati dal sogno si
stemperano, con una leggiadria che è propria della soavità.
Per quanto, poi, le poesie siano caratterizzate spesso da una
molteplicità di interpretazioni, queste hanno invece una linearità,
una semplicità che, pur non precludendo ad ognuno una lettura con
considerazioni non unanimi, presentano però una indiscutibile
traslazione in versi dell'intima natura dell'autrice, un vero e
proprio specchio dell'anima in cui è piacevole soffermarsi con lo
sguardo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Mara Faggioli, poetessa, scrittrice, scultrice
Nata a Firenze il 3 giugno 1950, risiede da oltre venti anni a
Scandicci (FI).
Divide il suo tempo e la sua sensibilità artistica fra scultura e
letteratura. Le sue opere riescono a coinvolgere con incisività e
nello stesso tempo con delicatezza e soavità di espressione,
toccando spesso temi che fanno riferimento ai valori multiculturali,
alla solidarietà ed alla fratellanza fra i popoli per affermare che
l'arte deve saper parlare al cuore della gente.
Nel 2001 ha pubblicato "Dedicato a Lorenzo"- Ed. Helicon e nel 2004
la raccolta poetica "Piuma Leggera"- Ed. Masso delle Fate, con
saggio introduttivo di Vittorio Vettori, vincitrice del prestigioso
1° premio "Fiorino d'Oro" al Premio Firenze-Europa e del Premio
"Città di Vienna". (1^ ristampa 2005).
Parte dei proventi della vendita del libro sono devoluti ai Padri
Missionari Comboniani per l'Ospedale St.Mary's Maternity di Khartoum
in Sudan che si occupa di assistenza alle madri ed ai bambini.
Fa parte della giuria del Premio Letterario di Poesia "E. Mazzinghi"
Ha curato la prefazione alla commedia in vernacolo "Amleto i'
vinaio" di M. Recchia.
Collabora con la rivista d'Arte "Pegaso".
Ha partecipato al progetto di "Educazione alla lettura ed alla
poesia" con gli studenti della scuola media.
Il Comitato del Premio Titano della Repubblica di S. Marino con il
patrocinio dell'Interreligious and International Federation for Word
Peace le ha conferito il titolo di "Promotore di una cultura di
pace".
E' impegnata in attività no-profit in ambito culturale e sociale.
E' stata inserita dalla Commissione Nazionale dell'UNESCO nel sito
web della "Babele Poetica" in occasione della giornata mondiale
della poesia 2003 e 2004.
Sue poesie sono state tradotte in rumeno, greco, russo, polacco,
inglese, francese e pubblicate in Romania nella rivista d'arte
Lamura.
Targhe alla carriera conferite dall'Accademia Culturale Le Tre
Castella della Repubblica di S.Marino e dal Circolo Culturale e
Poetico "Mario Luzi" di Boccheggiano (GR).
Ha fatto parte della Delegazione del Centro d'Arte Modigliani
partecipando all'VIII Mostra d'Arte contemporanea italo-franco-russa
a Pantin (Parigi) sia come scultrice che come poetessa nell'ambito
della manifestazione letteraria.
E' Membro permanente dell'Accademia Culturale Le Tre Castella della
Repubblica di San Marino.
E' inserita nel "Dizionario degli Autori Italiani del Secondo
Novecento", "Letteratura Italiana - Poesia e narrativa dal Secondo
Novecento ad oggi"; "Donne in Arte"; "Atlante Letterario Italiano";
"Arte e Pensiero "; "Canzoniere d'amore"; "Le donne: la storia, le
storie" realizzato da Auser Coop; "Poesia e Musica"; "Poeti e Poesie
della Toscana"; "Scrivere" ed in varie antologie e riviste
letterarie e d'arte.
Si è classificata al 1° posto a numerosi concorsi letterari
nazionali e internazionali ed è stata premiata presso la sede del
Parlamento Europeo di Bruxelles per il "Grand Prix de Poésie".
Ha ricevuto la "Colomba d'argento" ad Assisi per il Concorso "In
volo per la pace".
Come scultrice ha partecipato a mostre personali e collettive in
Italia ed all'estero.
Di particolare rilievo internazionale la Mostra itinerante del
Comitato Promotore della Pietra Lavorata del Comune di Castel
S.Niccolò "Omaggio a Francesco" allestita nella Cripta della
Basilica di S.Croce a Firenze, nella Chiesa delle Stimmate a Roma,
nella Basilica Superiore di S.Francesco ad Assisi, nella Basilica di
S.Francesco ad Arezzo, al Santuario della Verna, al Palazzo Chigi di
S.Quirico d'Orcia, alla Basilica di S. Francesco a Pisa, alla Chiesa
di S.Andrea a Montevarchi.
Una sua opera di scultura è stata scelta per la copertina del libro
di poesie "Adiacenze e lontananze" di Ninny Di Stefano Busà,
Presidente per la Lombardia dell'Unione Italiana Scrittori.
Sue sculture si trovano in collezioni private in Italia, Germania e
Canada ed in permanenza presso i Comuni di Firenze, Montelupo F.no,
Castel S.Niccolò e Greve in Chianti.
Renzo Montagnoli
Soggettiva
di Aristide Bellacicco
Prospettiva Editrice
Narrativa - raccolta di racconti
Sull'ultima di copertina c'è scritto che i racconti di questa
raccolta sono il frutto di un lavoro durato circa due anni, ore
sottratte al riposo dopo la fatica del giorno, magari strappate
anche al sonno.
Quanto sopra per evidenziare che il desiderio di concretizzare le
proprie idee, di dare sfogo alla creatività è quasi sempre un
bisogno impellente, una sorta di vocazione che non tiene conto
necessariamente dello sbocco commerciale, ma che riflette uno stato
d'animo teso a comunicare sensazioni ed emozioni.
Io conoscevo già Aristide Bellacicco come narratore prima della
pubblicazione di questo volume che, detto per inciso, premia un
autore con caratteristiche sue peculiari un po' al di fuori della
norma.
Tanto per dare un'idea, assai di frequente i suoi racconti non
terminano con un vero e proprio finale, ma lasciano una sospensione
che induce il lettore a immaginare come si sarebbe conclusa la
storia, una libertà di interpretazione che rende ancor più
interessante ogni prosa.
Il volume consta di 19 racconti, assai eterogenei come trama e anche
come genere, pur se definirli dei mainstream è forse un po'
troppo approssimativo.
Certo, l'impronta di quasi tutti è realistica, ma Bellacicco si
concede anche qualche apertura al noir e perfino al fantastico.
L'autore, partendo da situazioni concrete, si dimostra un acuto
osservatore del mondo nelle sue inevitabili piccolezze e ha il
merito, e anche la capacità, di non voler imporre il suo punto
vista, lasciando però trasparire fra le righe una vena di sottile
ironia, una sorta di compiacimento che sembra voler significare che
la vita è così, con i suoi alti bassi, con pregi e difetti, ma che
in ogni caso è meglio del non esserci.
Proprio per questo motivo e per lo stile non appesantito da inutili
fronzoli ed orpelli è una scrittura che non può non riuscire
gradevole al lettore, anche perché non gli impone sforzi di
elucubrazioni mentali per arrivare a comprendere, e quindi questo
volume mi sembra particolarmente adatto per passare qualche ora in
completo relax, magari distesi su una spiaggia, sotto l'ombrellone.
Renzo Montagnoli
L'autore
Aristide Bellacicco nasce a Roma nel 1955. Svolge l'attività di
medico e scrive nel tempo libero. Ama la musica barocca, i quartetti
d'archi di Beethoven e il blues, soprattutto quello tradizionale.
Flaubert, Kafka, Dostoevskij e, fra i moderni, Raymond Carver e
Cormac Mc Carthy sono fra i suoi autori prediletti, ma, sopra tutti,
ama i tragici greci.
Ha un grande trasporto per il cinema, in particolare il neorealismo,
gli americani di qualità (Altman, Scorsese, M. Cimino, De Palma
ecc.) e Takeshi Kitano.
Soggettiva è la sua prima pubblicazione.
Renzo Montagnoli
Non ti dimentico
di Carmen Fasolo
Edizioni Il Foglio
Prefazione di Saverio Vasta
Introduzione, immagine di copertina e fotografie di Carlo Riggi
Non ti dimentico.
Tu sei tutto per me,
le mie scarpe e le mille strade
che percorrerò.
Anche quelle che
Non ci faranno incontrare mai.
Il tormento di un
amore finito è la fonte di ispirazione delle 30 poesie che
costituiscono questa silloge, il cui titolo è fornito dalla lirica
di cui sopra e che ben rappresenta il particolare stato d’animo
dell’autrice, quella sorta di malinconico furore che si accompagna
sempre al termine di una relazione.
E’ quel periodo in
cui ci si contorce perché in fondo si ama ancora, è quel lasso di
tempo in cui, ben consci che tutto è finito, non si vuole accettare
la situazione.
Si potrà obiettare che è cosa normalissima ed è anche vero, ma è
doveroso sottolineare come Carmen Fasolo sia riuscita a veicolare le
sensazioni, le emozioni anche violente, in poesie di grande impatto
e di pregevole stile.
Aggiungo che l’idea di inserire ogni tanto le splendide e pertinenti
fotografie in bianco/nero di Carlo Riggi, oltre a dare respiro alla
lettura, presenta l’indubbio vantaggio di materializzare i
sentimenti espressi dai testi poetici.
E’ un felice connubio questo fra lettere e fotografie, che apporta
un ulteriore motivo di pregio a un’opera di per sé assai valida.
Il percorso di presa di coscienza dell’evento segue un perfetto
ordine logico, dipanandosi fra le nebbie di sentimenti che
appartengono già al filo della memoria, nella ricerca di un valido
motivo per accettare la realtà (hai
acceso il tuo silenzio/e hai chiuso gli
occhi,/mentre me ne andavo/senza fare
altro rumore).
Piace, inoltre, rilevare la semplicità stilistica, il fluire breve
delle parole che offre un’immediatezza di coinvolgimento tale da
rammaricarsi di essere arrivati all’ultimo verso.
Renzo Montagnoli
L'autore
Carmen Fasolo nasce nel 1978 a
Barcellona Pozzo di Gotto (ME), dove prevalentemente vive.
E’ docente di Psicologia e Informatica.
Si occupa anche di CyberPsicologia.
Ha fondato e dirige il giornale telematico
http://www.barcellonapg.it/ e la rivista culturale Zoom.
Collabora anche con altre testate giornalistiche.
Ha già pubblicato Verso un punto che non vedo (2005).
Blog:
http://nontidimentico.splinder.com/
Renzo Montagnoli
Cuba particular Sesso all'Avana
di Alejandro Torreguitart Ruiz
Edizioni Stampa Alternativa
Traduzione di Gordiano Lupi
Narrativa - romanzo
Di Alejandro Torreguitart Ruiz, giovane autore cubano, avevo già
letto il racconto lungo La marina del mio passato, che mi
aveva impressionato favorevolmente per la capacità di creare
un'atmosfera di malinconica esistenza con un esplicita
riaffermazione della libertà individuale contro ogni imposizione del
regime.
Là era una narrazione dove l'elemento centrale era un vecchio
rassegnato che trovava rifugio solo nel suo mare, con pagine finali
di intensa commozione e di un lirismo che forse per questo l'ha
fatto accostare al ben più noto Il vecchio e il mare di
Hemingway.
Con Cuba Particular Ruiz cambia completamente registro,
fornendoci una cronaca nuda e cruda della realtà del suo paese, una
sorta di verismo che non può lasciare indifferente il lettore.
Le case particular, a Cuba, sono quelle autorizzate dal governo a
ospitare turisti stranieri e quella di Isabel, ex comunista che ha
perso ogni fiducia in ciò che credeva, è ancora più particular,
perché la vecchia villa di calle veintitrés è una sorta di alcova,
dove vanno e vengono personaggi di varia natura, ma tutti legati da
un unico scopo: fare sesso.
C'è così un ampio campionario di turisti, ben delineati nelle loro
caratteristiche, che si alternano a occupare le stanze della casa.
L'occhio di Torreguitart ce li descrive anche impietosamente, nella
loro veste di colonizzatori del sesso, ma non c'è mai disprezzo e
solo fra le righe si può intuire un certo sdegno per chi in fondo
non è capace di amare.
Su un livello diverso si trovano le occasionali, o anche fisse,
compagne di questi uomini; sono ragazze cubane costrette dalla
necessità a vendersi, con la speranza per qualcuna di arrivare anche
a sposarsi, per lasciare quel mondo di giorni sempre uguali, dove
incontrastata domina la rassegnazione.
Come nelle telenovela nascono rapporti, sbocciano speranze, crescono
illusioni, crollano certezze, e poi tutto ricomincia, in
un'atmosfera in cui i sentimenti veri, quando ci sono, vengono
impietosamente mortificati da paure per il passo che si vuol
compiere, da quel desiderio inconscio di preferire il pressoché
certo niente a un futuro forse migliore, ma più spesso brumoso.
Isabel, la proprietaria, osserva, consiglia, organizza come una
regista e finisce con il diventare il fulcro di tutto il romanzo, la
voce fuori campo che commenta.
Sua è la frase "Questo ha prodotto la rivoluzione. Ai tempi di
Batista Cuba era il casino degli americani. Adesso è il casino del
mondo.", suoi sono certi atteggiamenti e giudizi come il fatto
che solo lei possa criticare il regime, perché presente e perché ha
creduto a una rivoluzione che nel tempo si è tramutata in una
dittatura da caudillo sudamericano.
Torreguitart ha un occhio di riguardo per questa donna che ha
vissuto gli anni pieni di speranza del regime castrista e che ora si
limita a gestire la casa particular, per sopravvivere, anche se lei,
a differenza delle ragazze che la frequentano, nate dopo, può
contare sul ricordo di un ideale, pur se tradito, e questo le
permette di vivere, in uno con l'amore, non interessato, per il suo
compagno Paco.
Per chi è venuto al mondo nel periodo speciale, quello della
ristrettezza economica, non c'è memoria di un passato, ogni giorno
si apre solo con la certezza che nulla cambierà e che se si vuol
sopravvivere bisogna gettare in fondo al pozzo la propria dignità di
essere umano.
In fin dei conti, il romanzo di Torreguitart, pur nel suo drammatico
realismo, finisce con il diventare un omaggio alla rivoluzione
cubana, ai suoi ideali, che nel tempo un regime dispotico, lontano
dai suoi stessi cittadini, ha per primo tradito.
Renzo Montagnoli
L'autore
Alejandro
Torreguitart Ruiz
(L’Avana, 1979) scrive poesie e racconti per la rivista
El Barrio,
è poeta repentista e cantautore. Suona
in un gruppo rock chiamato Esperanza. Ha esordito in Italia
con il romanzo breve Machi di carta -
confessioni di un omosessuale (Stampa
Alternativa, 2003) che ha avuto un buon successo di critica e
di pubblico. A gennaio 2004 ha pubblicato il
romanzo breve La Marina del mio passato (Edizioni
Nonsoloparole - Napoli) e a maggio 2005
il romanzo di ampio respiro Vita da jinetera
(Il Foglio - Piombino) sul mondo della prostituzione.
Alcuni suoi racconti di impronta
politico-esistenziale sono stati pubblicati da quotidiani e
riviste. Tra questi: Il Tirreno, Il Messaggero,
La Comune, Container,
Progetto Babele, Il Filo, L’Ostile, Happy
Boys. Gordiano Lupi è il traduttore
e il titolare per lo sfruttamento dei diritti sulle sue opere
in Italia e per l’Europa.
Renzo Montagnoli
Grigie distese
di Fabrizio Manini
Edizioni Il Foglio
Introduzione di Taylor Grant Hawkes
Copertina di Elena Migliorini
Non so se succede
anche a voi, ma a me capita sempre così.
Prendo in mano una silloge e comincio a leggere; all’inizio trovo
sempre un po’ di difficoltà, una sorta di atteggiamento di cauto
approccio che, per fortuna, viene superato con un semplice
ragionamento, che consiste poi in un atto di umiltà, quasi una
sottomissione al messaggio del poeta di turno.
Per comprendere e apprezzare la poesia si deve necessariamente avere
la massima disponibilità ad ascoltare quanto l’autore ci dice.
La stessa cosa è accaduta con Grigie distese e, lirica dopo
lirica (in totale sono 101), sono arrivato alla fine con la piena
consapevolezza di aver letto un’opera di notevole gradimento. Di
norma, in questi casi, esce spontaneo un aggettivo, che può essere
bella, magnifica, stupenda, ma che in questo
caso è stato il frutto di un nuovo conio, e così mi è sfuggito dalle
labbra un’intensa, quasi a voler qualificare, più che la
soddisfazione, l’intera sua costruzione. Preciso che intensa
è stato il primo della serie, perché poi è seguito un mirabile
e infine un realistica.
Subito dopo, scatta l’inevitabile domanda: perché?
Questa volta, complice il caldo afoso, che rallenta i riflessi e
impigrisce la mente, prima di rispondere con le mie considerazioni a
questo quesito di rito, quasi inavvertitamente ho incautamente
letto, cosa che invece di solito faccio solo dopo aver scritto la
recensione, l’introduzione di Taylor Grant Hawkes, poeta e saggista
americano.
Ebbene, queste poche righe sono state scritte in modo talmente
esauriente che ho finito con il pormi un’altra domanda: che
scriverò ora?
Per farla breve, ho deciso, nella circostanza, di mutare
completamente il mio modus operandi e dopo questa premessa,
forse un po’ lunga, anche barbosa, ma a mio avviso indispensabile,
di seguito potrete leggere la mia recensione.
La noia, non quella che ci prende ogni tanto, quando siamo
insoddisfatti temporaneamente della nostra esistenza, è alla base di
questa silloge.
E’ una noia che trova origine in un contesto esistenziale:
Anche
oggi/chiude gli occhi/chi non trova posto/nel tacito patto/di
esistenza/fra il milite ignoto/e la trincea del nulla.
(NOIA I).
Del resto già il
titolo dell’intera raccolta è di per sé esplicativo. Fra tutti i
colori quello più opprimente è il grigio, un colore non colore, una
massa uniforme che ci isola dagli altri e che separa noi dalla
realtà, come una nebbia persistente. Se poi aggiungiamo una distesa
di questo colore, possiamo comprendere come l’isolamento sia totale,
come profondo e insanabile sia il senso di solitudine di chi riesce
a vedere oltre le immagini, a differenza di chi opera sulle
apparenze.
E’ un rifiuto insanabile di fare parte di qualche cosa in cui non si
crede, è una lenta presa di coscienza di ciò che si è, di quello che
non si è e di nient’altro.
A un eroe
inutile/è concessa solo/ la forza di odiare/i giorni che si
ripetono (da Noia LXXXIII).
In un trauma
interno, in un conflitto fra la comprensione del proprio stato e il
ripudio della possibilità di essere parte del mondo omologandosi,
scaturisce un’ emozione catartica quale l’odio.
E’ il passo indispensabile nell’enfasi cosciente della sensazione,
ossessiva, del tempo che scorre per giungere a un lucido stato di
pazzia, con cui si finisce con l’accettare quel destino, quel
fardello che altri portano senza sapere.
La silloge termina con una lirica stupenda, un omaggio di un essere
rassegnato alla nemica, ma in fondo amica, perché propria del suo
sentire: sempre, eternamente la noia.
E così, con la Ballata della noia, si conclude un’opera non
solo di elevato livello stilistico, ma di pregnante, rilevante
analisi psico-filosofica, dove le risultanze dell’introspezione
diventano una visione più generale della vita, di quello che gli
altri sono incapaci di avvertire.
Renzo Montagnoli
L'autore
Fabrizio Manini
è collaboratore de Il Foglio Letterario dal 2001. All’interno delle
Edizioni Il Foglio è direttore della Collana Autori Contemporanei
Poesia e della rivista ebook Carmina. Ha
pubblicato anche Briciole d’eternità (Ed.
Polistampa, 1997), Ballate di vita di
morte e d’amore (Ed. Il Foglio,
2002), Voglio che dio mi mostri il suo volto (Ed.
Il Foglio, 2004). È prossimo alla discussione della tesi per la
laurea magistrale in psicologia.
Renzo Montagnoli
I
sorrisi del pensiero di Silvano
Notari Libreria Editrice Urso
Introduzione di Giuseppina Rossetto
In copertina: acquerello di Livia Corradi
Poesia - raccolta
Silvano Notari ama definire Sorrisi del pensiero le poesie, tanto
che ne ha scritta una dove ne parla, e anche molte altre, fra le
quali quelle che fanno parte di questa raccolta, caratterizzata da
diverse tematiche.
Si passa così dalla natura all'analisi del proprio io, all'amore e
anche l'indignazione per come vanno le cose nel mondo.
Poiché è evidente che la nostra infanzia e l'ambiente che ci
circonda riverberano su di noi, Silvano non si smentisce e quella
sua origine contadina si ritrova anche nel ritmo pacato delle
liriche, che sembrano seguire il corso naturale delle stagioni;
anche quando, poi, si hanno improvvise accelerazioni, motivate dallo
sdegno, le stesse si riconducono poi a un'osservazione non
esplicitata, ma sottintesa: tutto passa, gli uomini scompaiono, i
fatti entrano nei ricordi, ove lentamente sbiadiscono, mentre la
terra resta, sempre.
Questo legame, proprio di una civiltà contadina, è forte e vivo
nell'animo del poeta e addirittura prorompe in alcune poesie, dove
la natura non è impersonale, ma addirittura un soggetto con cui
dialogare, l'amico fidato, sincero, mai subdolo, con cui confidarsi.
Sono forse, queste, le liriche migliori della raccolta, dove la
spontaneità riviene proprio dal sentirsi parte di un mondo scremato
dagli uomini.
Aggiungo che Silvano Notari, con quella caparbietà e tenacia
contadina, ricerca continuamente in se stesso, per donarcele, quelle
emozioni che in lui sono da tempo presenti al punto di essere ormai
parte della memoria.
Per quanto un testo poetico si possa spesso prestare a diverse
interpretazioni, quelli presenti in questa raccolta sono lineari
nella rappresentazione del messaggio, una semplicità che, nel caso
specifico, è un valore, sommando la freschezza a una spontaneità che
li rende di gradevolissima lettura.
Renzo Montagnoli
L'autore
Silvano Notari nasce il 15 luglio 1950 in una casa colonica di
Monteveglio (BO).
Figlio unico, di famiglia contadina, è cresciuto a contatto con la
natura e la vita semplice dei campi e dei boschi che conserva ancora
nel cuore e ispira il suo pensiero poetico.
Dopo 38 anni di lavoro (ha iniziato giovanissimo), oggi si gode gli
anni della pensione dedicandosi alle sue due passioni: la poesia e
il teatro.
E' socio assiduo del Laboratorio di Poesia del Circolo La
Fattoria di Bologna.
Ha già pubblicato Poesie. Una vita di poesie…le poesie di una
vita (SPP, 2004).
Renzo Montagnoli
Il
vizio oscuro dell'Occidente. Manifesto dell'Antimodernità
di Massimo Fini Marsilio Editori
Saggio storico filosofico
La lettura dei saggi storico filosofici di Massimo Fini è quanto di
più facile ci possa essere: nessuna elucubrazione complicata, nessun
contorsionismo, ma una scrittura chiara e per certi versi semplice.
In lui si apprezza una coerenza invidiabile che si manifesta in ogni
libro, con il perseguimento di un obiettivo, con la sempre più ampia
esplicitazione di una teoria che parte da dati di fatto
incontrovertibili e che giunge a indicare una soluzione su cui molti
non potranno essere d'accordo, ma che di fatto è l'unica possibile.
L'industrialismo è un mostro che divora le esistenze, che sviluppa
una società sempre più insoddisfatta e che si regge solo su una
politica di potenza e di dominio.
L'analisi può sembrare spietata, ma è estremamente realistica, una
circostanza che pone il pensiero di Fini al riparo da critiche
costruttive perché nulla avrebbero da opporre.
In questo libro si parte dal famoso attentato alle Torri Gemelle di
New York per giungere, per gradi, all'amara constatazione che ciò
che ci sembra una condizione vita perfetta non lo è sicuramente.
La posizione egemone degli Stati Uniti che vuole imporre ovunque la
democrazia e con essa il suo modo di vita è la cartina di tornasole
che prova in modo inequivocabile che l'attuale sistema socio
economico è malato, in quanto insane sono le sue basi.
Si vive per produrre, oltre le proprie necessità, e quindi si
inventano nuovi bisogni; questo è il frutto dell'aver sostituito,
come elemento di centralità del sistema, l'uomo con l'economia, un
macroscopico errore che ha votato l'umanità all'infelicità.
Questo meccanismo assurdo ha comportato una serie di riflessi sulla
struttura sociale, ovviamente negativi, che in epoca preindustriale
non esistevano: la disoccupazione, l'accrescimento stratosferico
della ricchezza di pochi e l'immiserimento della quasi totalità
degli abitanti del pianeta.
L'illuminismo ha invocato tanto la libertà e l'uguaglianza, sancita
a chiare lettere in tutte le costituzioni, ma negli effetti pratici
c'è chi è più libero e più uguale. Insomma, come si è creato un
processo senza freni ad incrementare la produzione, si è introdotto
un analogo meccanismo che spinge a raggiungere sempre più elevati
livelli di carriera, perché non si tratta solo di maggiore
retribuzione stare su un gradino più alto, ma è soprattutto il
convincimento di poter fruire di una condizione sociale
privilegiata.
Ci si accorge quindi di non essere uguali a chi ci sta più sopra e
nemmeno a chi ci sta più sotto, ma ogni successo di posizione che
otteniamo provoca un'effimera felicità, perché subito ci si deve
attivare per salire più in alto.
Giustamente, rileva Fini, in epoca medioevale le classi sociali
erano sancite e non si poteva passare dall'una all'altra, perché era
un ordine costituito, magari con richiami fasulli al diritto divino,
ma il plebeo sapeva che la sua era una condizione che non poteva che
essere accettata. Nell'evoluto mondo attuale scoprire che,
nonostante sia sancita l'uguaglianza, questa di fatto non esista
finisce con il traumatizzare l'individuo, con il farlo sentire
vittima di un sistema che opera eternamente il Bene, ma realizza
sempre il Male.
La soluzione di un ritorno alla società preindustriale può sembrare
semplicistica e inattuabile, ma allo stato dei fatti è l'unica via
percorribile: la stessa si concretizzerà quando il sistema
collasserà, e non tanto per opera del fondamentalismo islamico,
nemico della modernità, quanto per il fatto che le genti, frustrate,
esasperate, non crederanno più in un meccanismo perverso che ha loro
tolto il piacere di vivere e di sperare.
Il vizio oscuro dell'Occidente è un libro da leggere in ogni caso,
sia che ci si trovi in sintonia con l'autore, sia nel caso
contrario, perché la realtà che ci viene mostrata è inoppugnabile.
Renzo Montagnoli
L'autore
Massimo Fini, di padre toscano e di madre russa, nasce sul lago di
Como il 19/11/1943. Dopo la laurea in giurisprudenza e diversi
lavori minori approda nel 1970 al giornalismo, dapprima
all'"Avanti", poi al "Giorno". Attualmente lavora per il "Giorno",
"Il Gazzettino", "La Nazione" e "Il Resto del Carlino". Ha
pubblicato: 'La Ragione aveva Torto?' (Camunia 1985, ripubblicato da
Marsilio in edizione tascabile nel 2004); 'Elogio della guerra' (Mondadori
1989 e Marsilio 1999); 'Il Conformista' (Mondadori 1990); 'Nerone,
2000 anni di calunnie' (Mondadori 1993); 'Catilina, ritratto di un
uomo in rivolta' (Mondadori 1996); 'Il denaro, "sterco del demonio"'
(Marsilio 1998); "Dizionario erotico, manuale contro la donna a
favore della femmina", (Marsilio 2000); "Nietzsche, L'apolide
dell'esistenza" (Marsilio 2002), "Il vizio oscuro dell'Occidente"
(Marsilio 2003) ; "Sudditi" (Marsilio 2004); "Il ribelle dalla A
alla Z" (Marsilio 2006).
Renzo Montagnoli
Versi
dal silenzio a cura di Francesca Innocenzi
Edizioni Progetto Cultura
Il libro
L'idea di un'antologia di poeti Rom nasce da un autentico interesse
per la cultura di questo popolo e, nel contempo, da una passione
letteraria vissuta in maniera spregiudicata, come occasione di
disvelamento di realtà altre, senza schematismi né chiusure
preventive. La tradizione millenaria della gente delle carovane è
stata, nel corso dei secoli, costantemente misconosciuta; nonostante
gli indubbi progressi compiuti negli ultimi decenni, il patrimonio
culturale romanì rimane per lo più circoscritto in un ambito
ristretto, mentre manca un'informazione seria e approfondita in
circuiti più ampi. L'augurio è che la pregnanza archetipica della
poesia e la sua intrinseca capacità evocativa costituiscano il primo
passo per sconfiggere stereotipi e resistenze e creino le premesse
per un incontro tra i Rom e i gagè (i non Rom). La valorizzazione di
una tradizione artistica nei suoi vari generi può tradursi nel
riconoscimento di identità troppo a lungo negate: la letteratura Rom
non nasce dalla richiesta di elogi solenni ma dalle ineliminabili
sfaccettature di una cultura che esige di essere, oggi più che mai,
conosciuta.
Una poesia a caso
PAULA SCHÖPS
Nota scrittrice Rom altoatesina, Paula Schöps è autrice di
apprezzati componimenti poetici e narrativi; particolarmente
evidenti nella sua scrittura sono le problematiche della donna e
dell'infanzia.
OLOCAUSTO DIMENTICATO
Silenzio, desolazione, oscura notte
il cielo è cupo, pesante di silenzio!
Aleggia nell'aria la nenia della morte!
Da queste pietre, grigie pietre,
da ogni rovina, dalle cornici infrante,
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s'impiglia nel filospinato
e la mia anima s'aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa nemica!
Chi sono? Nessuno! Chi sei? Nessuno!
Voi Sinti chi siete? Nessuno! Solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
prigioniera della più grande infamia
della storia dell'uomo!
Edizioni Progetto Cultura 2003 S.r.l.
Via San Roberto Bellarmino, 6 - 00142 Roma
Tel.: 0697617077 E-mail:
info@progettocultura.it Web:
www.progettocultura.it
Una
vita negata di Franca Maria
Bagnoli Casa Editrice Il Foglio
Introduzione di Rossella Anelli
Da un po' di tempo leggo opere di qualità, cioè che lasciano il
segno sia per lo stile che per la tematica.
Sono libri editi dalla Casa Editrice Il Foglio, a cui mi pare giusto
tributare un piccolo plauso per la capacità di selezione e per la
politica editoriale volta a privilegiare prodotti di ottimo livello,
quando non addirittura eccellente.
Una vita negata di Franca Maria Bagnoli è un romanzo scritto come si
deve e, soprattutto, parla di valori soffocati nell'antichità, ma
che non trionfano neppure nell'epoca odierna.
Abbiamo sempre considerato - perché così ci è sempre stato
raccontato - che Santippe, la moglie di Socrate, tediasse il marito
con le sue continue sfuriate, che insomma il povero filosofo fosse
una vittima di una donna bisbetica e insopportabile.
Il testo della Bagnoli, nel narrarci di questa vita di coppia,
ribalta questo concetto che si è perpetuato nel tempo, vestendo
Santippe di una nuova dignità che ne fa un personaggio di importanza
ben superiore a quella del marito.
Per far ciò si basa proprio su quella storia che viene ora ad essere
confutata e in particolare sulle abitudini di vita, sull'aspetto
sociologico della società ateniese.
Premetto che ci sono tutti i motivi per credere che Santippe in
effetti fosse la vittima di un sistema che vedeva il matrimonio come
un negozio giuridico volto a rafforzare la struttura sociale della
democratica Atene, con la moglie destinata solo a procreare per la
continuazione della specie e il rafforzamento dello stato, oltre a
provvedere alle normali faccende domestiche. Quindi, un rapporto
basato su una convivenza totale, sul principio che le decisioni
comuni spettavano a entrambi i coniugi, non solo non esisteva, ma
era addirittura impensabile.
Sarebbe riduttivo, però, limitare l'analisi di quest'opera alla sola
condizione della donna in quella società, perché Franca Maria
Bagnoli, attraverso Santippe, va ben oltre, contesta la mancanza di
libertà di una civiltà, pur fulgida, ma estremamente classista,
tanto da considerare normale la condizione della schiavitù, con
un'inclinazione tuttavia a mostrare più tolleranza per l'uomo, al
punto che solo il maschio schiavo poteva affrancarsi.
Quindi una struttura sociale rigida, ferrea, dove perfino la
religione aveva la funzione di conservare lo status quo, imponendo
Dei creati secondo le esigenze dei dominanti.
Il riscatto di Santippe, che riceve schiave come amiche, diventa un
emblema della dignità umana laddove sostituisce alle divinità
correnti un Dio costruito secondo il suo modo di sentire, un amico
che non ha bisogno di cruenti sacrifici per essere benevolo, ma che
è dentro l'individuo e che assume sempre di più le caratteristiche
della coscienza di una donna che ama il suo uomo a tal punto da
giustificarlo per il suo comportamento verso di lei, perché anche
lui è parte di quel sistema che ha sempre accettato e che lo
condurrà alla morte, senza ribellione, da perfetto integrato in un
meccanismo di cui è contemporaneamente artefice e vittima.
Scritto in modo assolutamente delizioso, con una scorrevolezza che
impone la lettura quasi d'un fiato, misurato nelle descrizioni - pur
splendide - al fine di lasciare ampio spazio di immaginazione, Una
vita negata è molto di più di un testo che si propone di riabilitare
la figura di una donna, ma è un commosso, stupendo grido di libertà.
Renzo Montagnoli
L'autore
Franca Maria Bagnoli è nata a Roma. Ha studiato al Liceo Giulio
Cesare e all'Università La Sapienza dove si è laureata in filosofia
con il massimo dei voti. Ha insegnato nei Licei, classico e
scientifico e poi nell'Istituto magistrale di Pescara.
Nel 1998 una sua favola, La giraffa ficcanaso è risultata tra le 10
vincitrici del Concorso Andersen. Nel 1992 un suo racconto lungo ha
ottenuto una segnalazione dalla Commissione del Concorso "Luigi
Petroselli", organizzato dal Comune di Roma. Nel 1998 è stata
invitata da Dacia Maraini alla trasmissione di RAI2 "Io scrivo, tu
scrivi" per discutere il suo romanzo breve Una vita negata. Nel 2004
le Edizioni Qualevita di Sulmona hanno pubblicato una sua raccolta
di favole e racconti per ragazzi prefata dalla Professoressa Anna
Oliviero Ferrarsi.
Ora, da pensionata, tramite Internet pubblica testi e racconti su
siti letterari.
E' il dominus, insieme a Pietro Sassi, dell'eccellente sito
culturale Internet Francamente (http://www.francamente.net/) .
Renzo Montagnoli
La
memoria dell'acqua di Antonio
Messina Edizioni Il Foglio
Introduzione di Elisabetta Blasi
Copertina di Danilo Messina e Oscar Celestini
L'armonia è quella sensazione di elevazione dello spirito che ci
rende quasi invincibili; è una forma d'amore, la forma d'amore più
completa che esista in tutto l'universo. Per arrivare a questa forma
d'elevazione spirituale ci sono voluti parecchi secoli, e l'istinto
è fondamentale per attivare il processo.
Avevamo compreso che solo con la ragione non si arrivava a nulla, a
parte vivere un'esistenza materiale e per certi versi fragile e
misera. Con l'armonia, invece, tramite la memoria dell'acqua, si
poteva sondare un mondo che appariva lontano, quel mondo che la tua
amica scrittrice aveva giustamente definito Ottembre: una realtà
percepibile solo con l'immaginazione…
Questa raccolta di racconti di Antonio Messina è un'opera di alto
impatto filosofico, il cui messaggio appare chiaramente sintetizzato
nella parte sopra riportata.
In un mondo quale il nostro, dominato dalle ferree regole della
logica e del pragmatismo, i nostri occhi non riescono a vedere oltre
le immagini che per la nostra mente rappresentano la realtà, una
limitazione che anziché fortificarci ci indebolisce, ci toglie il
piacere di vivere, ci rende schiavi della nostra limitata
conoscenza.
Per vivere un'esistenza degna di essere chiamata tale occorre perciò
che convivano, in perfetto equilibrio, l'istinto, l'armonia e il
sogno.
E questo libro, infatti, non è da leggere con gli occhi, con quella
razionalità che nel passare dei tempi si è radicata a tal punto dal
farci diventare incapaci di comprendere se non nei ristretti termini
di regole che ci siamo create.
E' da leggere invece con il cuore, istintivamente, immergendoci nei
mondi senza tempo che l'autore utilizza per ambientare le vicende di
supporto al suo concetto filosofico. Apparentemente, si potrebbe
dire che i racconti fanno parte del genere fantasy, ma non è proprio
così, perché invece ci troviamo di fronte a delle raffinate
metafore, perfettamente integrate in una prosa poetica che fa
scorrere dolcemente le pagine, riga dopo riga.
E il ritorno all'istinto è imprescindibile dal rientrare in umiltà a
far parte della natura, di smettere quella superbia che ci illude di
essere a conoscenza dei suoi segreti.
E' una natura, quella dipinta da Messina, che è personaggio nei
racconti, che crea quell'atmosfera di sogno a cui lasciarsi andare e
così troviamo venti che serpeggiano fra i dirupi innevati, cieli
che sembrano coperte di raso, una magica luna che nella notte
immobile cambia il colore ai gerani, periodi di alto lirismo,
visioni oniriche che conducono all'estasi.
Se il messaggio è filosofico, la forma utilizzata è di una apparente
lievità, una sorta di carezza che scende dritta fino al cuore,
ottenuta anche con il ricorso agli ossimori, che in un mondo
vagheggiato di sogno e di irrazionalità trovano una loro precisa
collocazione, come un riflesso di luce in un quadro surrealistico (la
quiete che agita il cuore; il silenzio urlante).
Preciso che fino a ora ho scritto solo del primo racconto, di quella
Memoria dell'acqua che dà il titolo alla raccolta, oltre a
essere quella portante del messaggio.
L'opera però comprende altri due racconti lunghi: La piuma degli
angeli, a tema religioso, e Polvere nel vento, dedicato al valore
della scrittura.
In verità, poi, ci sono altre sei prose, assai più brevi, ma dei
veri e propri squarci su stati d'animo, espressi prevalentemente
tramite dialoghi, quasi degli incipit di eventuali successivi
lavori.
Se ho preferito soffermarmi sul primo racconto, non è perché gli
altri siano qualitativamente inferiori, ma solo perché in questo il
pensiero di Antonio Messina finisce con l'essere di introduzione ai
successivi e dilaga, nella sua concettualità, in modo chiaramente
esplicativo, conducendoci per mano alla scoperta di un mondo che
ignoravamo.
Quindi è un'opera innovativa, di elevato valore, che, ripeto,
richiede per essere compresa solo lo sforzo di abbandonare il nostro
pragmatismo, lasciandoci andare, senza remore e timori, al fluire
delle parole.
Renzo Montagnoli
L'autore
Antonio Messina nasce nel 1958 a Partanna, in provincia di Trapani.
Vive a Padova. La sua prima opera di narrativa L'assurdo respiro
delle cose tremule, incontra l'entusiasmo di molti lettori, ed anche
la critica spende parole d'elogio. L'opera viene recensita su
quotidiani, riviste telematiche e cartacee, e riesce a vendere un
buon numero di copie in libreria, senza nessun supporto
pubblicitario, grazie al passaparola dei lettori. Nel 2006 viene
pubblicata la raccolta di racconti La Memoria dell'acqua - con
introduzione di Elisabetta Blasi - per i tipi de Il Foglio
Letterario, Piombino.
Altri racconti vengono singolarmente editi:
- da L'ombra nella Bottiglia è stato realizzato, nel [2005], un
cortometraggio. Il progetto è partito su iniziativa del direttore
artistico (Roberto Messina) del Teatro Scuola Grifo D'oro -
nell'ambito di un concorso nazionale patrocinato dalla Regione
Sicilia, provincia di Trapani, comune di Partanna, BBC Belice, Atp
Trapani. Questo cortometraggio sull'alcolismo ha vinto nel [2005] il
Primo premio a Città di Castello; il testo inoltre viene richiesto
dalle migliori riviste telematiche e, pubblicato in cartaceo da
Progetto Babele (Modena), da Tam Tam (Roma), nel [2005]
La Marea. Il racconto viene pubblicato, nel[2005], dalla rivista
sarda Gemellae e richiesto dalle migliori riviste telematiche, anche
internazionali: Casa da Cultura (Portogallo) Isla Nigra Sud America.
Alcune liriche sono presenti in qualificate antologie poetiche:
- E noi ad Amarci in antologia - Parole d'Amore, [2006]
Il Gesto in antologia- di I Segreti di Pulcinella, [2005]
Sogni di Carta in antologia Penna D'oca, [2005]
L'editore è Giulio Perrone, Roma
La lirica Fiumi di porpora compare nella sezione poetica della
Biennale di Venezia-Repubblica.It.
Ai primi di settembre uscirà il suo prossimo lavoro, Le Vele di
Astrabat, edite sempre da Il Foglio.
Renzo Montagnoli
A
quella vecchietta del metro se la rivedo le spacco il culo e altri
racconti di Vincenzo Trama
Edizioni Il Foglio
Devo essere sincero e perciò vi dico il motivo per cui ho lasciato
questo libro a giacere un po' sul comodino: il titolo.
Infatti quelle parole messe una dietro l'altra a significare qualche
cosa di inequivocabile mi provocavano una duplice sensazione: una di
naturale curiosità, l'altra di repulsione, perché mi balzava subito
agli occhi l'immagine di una vecchietta, magari una povera
pensionata, mentre veniva brutalizzata sul marciapiedi della
metropolitana.
Poi, una sera mi sono deciso e mi sono detto che mal che vada, se
dopo le prime righe capisco che è una vaccata, lo butto.
E invece dalla prima pagina sono passato senza accorgermene
all'ultima, nonostante un certo linguaggio trasgressivo che
probabilmente è proprio dei giovani d'oggi. Anzi, direi che questa
forma espressiva è essenziale in questo caso alla narrazione,
costituita da una serie di episodi che trovano origine
nell'adolescenza.
Un filo comune, a parte il linguaggio, è dato dall'ironia e dal
paradosso, caratteristiche che addirittura sono prorompenti, anzi
dissacranti di molti aspetti del mondo degli adulti.
In questo Vincenzo Trama riesce a dimostrare un'originale vitalità
che sembra esulare dalla sua giovane età, perché osservare la nostra
società con occhio critico non è difficile, ma riuscire a coglierne
gli aspetti grotteschi per costruire sugli stessi una vicenda che
porta a ridere, lasciando però un retrogusto amaro, è proprio di
scrittori che hanno alle spalle una lunga esperienza non solo
letteraria, ma anche umana.
E nemmeno a farlo apposta il racconto che mi ha impressionato più
favorevolmente è proprio quello che dà il titolo alla raccolta. Non
preoccupatevi, perché non viene brutalizzata nessuna vecchietta, ma
è una vicenda spassosa di un grafomane e delle cure per guarirlo,
con un corollario di personaggi che rappresentano, all'estremo,
comuni figure che ci stanno intorno.
Se volete un libro da leggere in spiaggia, questo di Vincenzo Trama
fa al caso vostro: scorre veloce e diverte, anche se alla fine vi
sorgerà spontaneo un dubbio, una sorta di tarlo che vi farà pensare
che quel che si è letto è la realtà di cui siamo parte, volutamente
esagerata nelle caratteristiche, ma è la nostra vita attuale.
Renzo Montagnoli
L'autore
Vincenzo Trama nasce nel marzo del 1981. Oltre a questa raccolta, ha
pubblicato ancora con Il Foglio in Sex Condicio, raccolta di
racconti di vari autori.
Renzo Montagnoli
Versi tra le sbarre
di AA.VV. a cura di
William Navarrete Edizioni Il Foglio
Poesia - raccolta
Conosciamo tutti l'impegno di Gordiano Lupi in difesa di quella
libertà di opinione che il fondamento di ogni società civile,
libertà che è invece è perseguitata a Cuba dal regime di Fidel
Castro. Questa presa di posizione dell'autore ed editore toscano non
è tanto politica come una certa sinistra, sbagliando, si sforza di
sostenere, ma è etica, nella stringente logica che viene ignorata in
certi paesi e secondo la quale al primo posto deve esserci la
dignità dell'uomo in quanto tale.
In questo contesto c'è un impegno costante di Gordiano Lupi a
diffondere le voci che non possono arrivare a noi e ciò viene
attuato anche con delle pubblicazioni, come quest'antologia poetica,
curata dall'esule e scrittore cubano William Navarrete.
Si intitola "Versi fra le sbarre" e in effetti sono voci che
provengono dalle prigioni della repubblica caraibica, sfoghi,
umanissimi e di valore letterario, di autori che hanno patito o
addirittura stanno scontando la reclusione solo per rivendicare di
essere uomini liberi.
Quello che più sorprende leggendo queste liriche è l'assenza di
odio, sono una protesta civile e dignitosa, uno sfogo temperato da
quella malinconia poetica che ha il pregio di arrivare direttamente
al cuore, in un rapporto quasi diretto fra autore e lettore.
E così si partecipa alla loro sofferenza, si avverte palpabile quel
desiderio di libertà che non è quello di poter varcare il cancello
del carcere e tornare alla famiglia, ma è quello ben più alto di
pretendere che all'uomo non siano imposte barriere e sbarre alle sue
idee.
Ragazza che cammini sul ponte,
e tieni in mano margherite,
fammi essere il ponte dove vivi,
o l'acqua tremolante del tuo ponte.
(da "Lei e il ponte" di Mario Enrique Mayo Hernandez)
oppure
La notte è una macchia quasi eterna.
Io distribuisco tutta
La solitudine del mondo.
( da "Rimedio" di Raul Rivero Castaneda)
O ancora
Quando torni, papà?
chiede il bambino a suo padre
che dall'altro capo del filo
non sa cosa rispondere.
(da "Quando torni, papà? di Omar Moises Ruiz Hernandez)
Sono sentimenti, emozioni proprie di ogni essere umano e non
albergano di certo nel cuore di delinquenti incalliti quali vogliono
essere fatti passare dal regime.
Credetemi, a leggere i versi di questa raccolta ci si commuove,
viene istintivo allungare la mano per incontrare quella di questi
poeti della libertà.
Renzo Montagnoli
Autori
I loro nomi
Ricardo Gonzales Alfonso, Regis Iglesias Ramirez, Mario Enrique Mayo
Hernandez, Jorge Olivera Castello, Raul Rivero Castaneda, Omar
Moises Ruiz Hernandez, Manuel Vazquez Portal.
Renzo Montagnoli
Mal di pietre
di Milena Agus Edizioni
nottetempo
Narrativa - romanzo
Mal di pietre è quasi una saga familiare di tre generazioni e
ruota tutto intorno alla figura della nonna, sofferente di calcoli
renali, il cosiddetto mal di pietre, che però finisce con l'essere
più un mal d'amore.
In questa storia c'è una freschezza, una lievità con cui si spazia
dalla realtà al sogno in modo accattivante, raccogliendo l'immediata
simpatia del lettore che corre sulle righe per arrivare a una
conclusione, che non anticipo, ma che è un vero e proprio tocco di
genialità.
La vicenda si svolge prevalentemente in una Cagliari dominata dal
sole e dal vento, tranne un breve excursus in una Milano nebbiosa e
di abitazioni degradate. In questa ambientazione regna sovrana la
figura della nonna paterna (l'io narrante è la nipote), una
bellissima donna che cerca l'amore in tutti gli uomini di cui viene
a conoscenza, senza però che questi corrispondano al sentimento. Le
delusioni, poco a poco, diventano ossessioni e la donna finisce, nei
momenti di crisi, per rinchiudersi in soffitta, dove si strappa i
capelli e si ferisce alle braccia, quasi a voler sfogare contro il
suo bel corpo l'angoscia di non essere riamata.
Per quanto ovvio, nella gente che la circonda, incapace di
discernere fra pazzia e sofferenza dell'animo, finisce per l'essere
considerata una che non ci sta con la testa e quasi non par vero ai
genitori della donna quando uno sfollato (siamo durante la guerra),
vedovo, la chiede in sposa, per sdebitarsi dell'ospitalità ricevuta.
E' un'unione senza amore, una sorta di vincolo di coniugio imposto
dalla legge e dagli usi, con i due sposi che se ne stanno nel letto
l'uno distante dall'altro. Il marito soddisfa le sue esigenze
sessuali nel bordello e allora la moglie, al solo fine di
risparmiare i soldi delle marchette per comprare il tabacco della
pipa che lui fuma, si sostituisce alle prostitute, come loro senza
amore.
Il gesto della donna non è inconsulto, ma una forma di
ringraziamento per un uomo che la stima e la tratta nel migliore dei
modi, ma ancora manca l'amore, quello che troverà, durante un
periodo di cure termali sul continente, in un reduce, mutilato di
una gamba.
Nove mesi dopo nascerà un bambino e ci si chiede giustamente di chi
è figlio. Il legittimo marito non viene nemmeno sfiorato dal dubbio
e riversa nel bimbo quell'amore che ha fatto mancare alla moglie, a
cui arriva, tuttavia, per il tramite di quella creatura.
Il ricordo del reduce, però, è sempre nella mente della donna, una
sorta di sogno che l'accompagnerà fino alla morte, quasi a voler
significare che l'unico modo per accettare la realtà è quello di
trovare una via di sfogo nell'idealizzazione di ciò che è il nostro
massimo desiderio.
Quindi, la trama è quanto mai variegata e tale da interessare il
lettore che, peraltro, si trova agevolato nella fase di
assimilazione dalla particolare forma di scrittura dell'autrice, una
specie di lingua parlata di grande efficacia, anche se, a mio
avviso, può nuocere il frequente ricorso a vocaboli in dialetto
sardo che, obbligando ad andare a vedere la nota esplicativa,
finisce con il creare un po' di fastidio.
E' un po' una moda quella di utilizzare ogni tanto il vernacolo, ma
la logica dice che è da farsi solo quando la sua resa è
sensibilmente migliore di quella della lingua italiana.
Ecco, questo è l'unico appunto che mi permetto di fare a un'opera
che è un autentico gioiellino.
Renzo Montagnoli
L'autore
Milena Agus è nata a Genova da genitori sardi e vive a
Cagliari, dove insegna italiano e storia in un istituto superiore
tecnico-professionale. Ha un figlio che studia pianoforte a Parigi.
Alcune case editrici sarde hanno pubblicato suoi racconti. Il suo
primo romanzo Mentre dorme il pescecane (nottetempo 2005) ha
avuto due ristampe in pochi mesi e grandi riconoscimenti critici.
Renzo Montagnoli
Long Evening Shadows
di Peter
Russell Casa Editrice Il Foglio
Poesia – raccolta
Traduzione di Franca Alaimo
Introduzione di Franca Alaimo
Postfazione di Maurizio Maggioni
Long Evening Shadows (Lunghe ombre della sera)
è una raccolta di 16 liriche scritte dal grande poeta britannico dal
21 febbraio al 21 luglio 2001. E’ un titolo che ha un valore
metaforico, perché l’approssimarsi della sera è inteso come il
progressivo decadimento fisico della vecchiaia, ed è anche
profetico, considerato che l’autore, in precarie condizioni di
salute e quasi cieco, morirà nel 2003.
Accanto a versi dedicati ai temi propri della malattia risaltano, di
fulgida luce, quelli propri della splendida bellezza della vita e
del mondo.
Questo dualismo, fra il sentore di essere prossimi alla fine
dell’esistenza e il compiacimento per quanto di meraviglioso offre
la natura, mi hanno richiamato subito l’immagine di una grande
figura della storia, quella dell’imperatore romano Publio Valerio
Traiano Adriano.
Anche là, immortalato nelle celebri pagine della Yourcenar, c’è un
uomo conscio dell’imminente fine e
che tuttavia si estasia ancora alle bellezze di un mondo che è
prossimo a lasciare.
Direi che c’è anche una corrispondenza nel concetto di spiritualità,
quasi a dimostrare che l’essenza dell’essere umano è rimasta
inalterata nel tempo.
Là è sintetizzata nell’emozionante Animula Blandula Vagula,
qua invece in Dunque, che succede?
Diversa è la concezione religiosa, con un Russell cristiano, ma
con una visione tutta sua di carattere filosofico più che teologico,
che finisce con l’accostarlo inevitabilmente ad Adriano: il Paradiso
esiste, ma non è dove viene canonicamente situato; è invece uno
stato particolare della mente, il massimo dell’estasi.
Ebbene questa sorta di trascendenza, che separa lo spirito dal
corpo, non è propria del momento della morte, ma può avvenire anche
in vita e questo grazie alla poesia.
Il mistero della musica
Il mistero della musica, il mistero della poesia,
La Bellezza, trono latente del Paradiso,
La capacità di riconoscerla, nota solo al saggio.
E’ un dono, come la Grazia che non si può comprare
Col denaro, la cultura o l’esperienza, il potere,
O le preghiere o le sante omelie,
Ma spogliandosi d’ogni egoistica finzione,
Una rimembranza di immortalità.
……..
E’ fuor di dubbio
che il Saggio è il lettore che, spogliandosi di se stesso, accoglie
il seme della parola coltivato nella terra fertile dell’animo
dell’autore.
Scritto così può sembrar complesso, ma Peter Russell ha
tremendamente ragione.
Infatti quando, dimentico di me stesso e del mondo che mi circonda,
leggo una lirica di notevole bellezza avverto sempre una soffusa
sensazione di profondo e sereno appagamento, un vero e proprio
stato di estasi.
E anche nei versi di cosciente cognizione del proprio decadimento (Divento
vecchio, senile insomma, e rimbambito) trovo che quel
flusso dinamico di emozioni raggiunge la mia mente, con una nota
malinconica che infonde comunque serenità, perché tutto è
nell’ordine delle cose e basta saper cogliere il poco che ci è
offerto perché la vita continui a stupirci (…Sebbene disperato
(annaspo per la mia tazza) Ho tirato fuori sette sonetti, davvero
ben fatti, oggi).
E il dolore per la perdita della vita è inteso più come
l’impossibilità di continuare a creare (…Spenta ormai la luce
della fantasia…).
Rimiriamo, allora, ancora una volta il bello che ci circonda, diamo
spazio alla fantasia per trasmettere l’emozione di certe visioni,
affinché palpitino nel cuore del lettore (Campi e campi di
margherite gialle – Il fuso verde – Luce solare).
Definire poesie queste composizioni sembra quasi riduttivo, perché
sono musica, genialità, acute e profonde riflessioni; sono lo
spirito di un uomo fatto parola.
Un doveroso cenno alla traduttrice mi sembra necessario, perché il
suo è un lavoro spesso oscuro, ma trasporre in un'altra lingua delle
poesie implica anche una sintonia con l’autore, un immedesimarsi che
non è certo facile e, considerato che l’armonia strutturale della
versione originale è rimasta inalterata anche in italiano, Franca
Alaimo merita un particolare plauso.
Renzo Montagnoli
L'autore
Peter Russell (Bristol, 1921 – Castelfranco di Sopra,
2003).
Influenzato da Yeats, ebbe modo di conoscere Pound e Eliot, che lo
aiutò anche finanziariamenteCondusse una vita molto movimentata,
con soggiorni, più o meno lunghi, in diversi paesi del mondo. Nel
1982 approdò in Italia, in Valdarno. Di fatto il nostro paese
divenne quello di elezione, a lui caro per l’ambiente naturale e per
aver dato i natali a poeti che stimava molto, fra i quali
soprattutto Petrarca.
Russell amava i ritmi semplici, l’osservazione della quotidianità, i
riferimenti mitologici, i valori e i simboli della natura. Candidato
al Nobel, è stato considerato uno dei maggiori poeti del modernismo
del novecento.
Renzo Montagnoli
Qualcuno uccida mio padre di
Domenico Petrolino Edizioni Il
Foglio
Narrativa
Chi si aspetta del pietismo, una vicenda strappalacrime, non potrà
che restare deluso, perché "Qualcuno uccida mio padre" è un veemente
e lucido atto di accusa contro le illogicità umane.
La vicenda, autobiografica e veritiera, tranne la soluzione finale,
è di per sé scarna: un padre che si ammala, che è colpito da uno di
quei mali che non perdonano e per cui non vi è nessuna speranza di
guarigione, l'accanimento terapeutico che prolunga le sue sofferenze
oltre ogni ragionevole limite, la morte liberatoria procurata dal
figlio.
Nonostante sia una storia che non pochi di noi conoscono, per avere
avuto un familiare o un amico nella stessa situazione, proprio per
questo motivo è invece tutta da leggere, perché Petrolino osserva,
scruta oltre il velo di apparente verità, ci mette a confronto con
noi stessi, con le nostre indifferenze, con l'accettazione supina di
dogmi veri e propri, e non solo religiosi, ma anche laici.
Che senso ha soffrire tanto per dover morire, che logica c'è
nell'accanimento terapeutico, se non la fredda sperimentazione di
uomini di scienza, ma senza coscienza?
E anche la religione ha le sue incongruenze, quella religione che
esiste solo in funzione della morte, perché se l'uomo non avesse una
fine non dovrebbe ricercare il senso di una vita nel dopo.
Ma c'è illogicità anche in noi stessi, in quella paura della morte,
del salto nel buio, indipendentemente che siamo religiosi o meno, e
finiamo con l'accettare così qualsiasi cosa, anche una vita non
vita, pur di restare.
In questo libro si affronta il problema dell'eutanasia sotto
molteplici aspetti: quello etico, quello religioso e anche quello
legislativo (non è un caso il richiamo alla "Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo").
Le domande sono tante, ma Petrolino giustamente non fornisce
risposte definitive, limitandosi a evidenziare le contraddizioni
delle teorie garantiste. Il suo è un modus operandi lucido,
razionale, al di fuori di tanti paradigmi che sembrano scritti
apposta per confondere l'evidenza dei fatti: chi può decidere della
propria vita è solo il diretto interessato.
E allora, se in piena coscienza questi, nell'impossibilità di
guarire, in preda ai dolori più atroci, chiede la morte, perché non
accontentarlo?
Di fronte a una vita ormai senza dignità gli si può concedere almeno
una morte con dignità.
E questa è logica, ferrea, stringente, contro la quale non c'è
principio religioso o anche laico che possa opporsi, se non con la
negazione dell'uomo come essere vivente e pensante.
E' un libro da leggere e da meditare, perché un giorno potrebbe
capitare anche a noi.
Renzo Montagnoli
L'autore
Domenico Petrolino è nato a Rivoli (TO) l'8 ottobre 1972. Laureato
in Economia, svolge un'attività imprenditoriale.
Qualcuno uccida mio padre è la sua prima opera.
Renzo Montagnoli
Una terra chiamata Alentejo di
José Saramago Edizioni Einaudi
Narrativa - romanzo
L'Alentejo, che vorrebbe dire al di là del Tejo, meglio conosciuto
da noi come Tago, si trova a est di Lisbona ed è una terra destinata
esclusivamente all'agricoltura.
Non sono trascorsi molti anni da quando l'immagine di questi
territori propri dell'Europa del Sud richiamava subito alla mente i
grandi latifondi, poco coltivati e con metodi quasi primitivi da
miseri braccianti, sottopagati e in balia del potere dei padroni.
Una terra chiamata Alentejo (il titolo originale è Levantado do Chao)
è stato scritto da José Saramago nel 1980 e racconta la storia
secolare di una famiglia di braccianti in quel territorio.
Sono quattro generazioni della famiglia Mau-Tempo (Maltempo, un nome
quanto mai emblematico) che vengono a comporre questa saga
contadina, il cui elemento d'unione è la miseria più nera, in un
periodo che va dalla fine della monarchia, attraversa gli anni neri
del regime di Salazar e si conclude con la luce della rivoluzione
dei Garofani (25 aprile 1974).
Nel corso di questo lungo periodo, mentre in Europa avvengono
sconvolgimenti che incidono profondamente sulla storia, in questo
remoto angolo, quasi dimenticato da Dio si passa dalla dura e
inclemente battaglia per sopravvivere alle lotte per ottenere una
condizione di vita almeno dignitosa.
Sì, perché quello che manca a questi miseri contadini è la dignità
dell'essere umano, è la speranza in un futuro diverso. In balia dei
latifondisti, sfruttati con orari di lavoro propri degli schiavi,
aggrappati a una religione che diventa ulteriore mortificazione,
vista la connivenza fra il clero e i padroni, si nasce, si vive e si
muore in un'inedia provocata dai patimenti, dalle fatiche, dalle
ingiustizie e dalla penuria di alimenti.
E' inevitabile, dato l'argomento, che la mente corra subito allo
splendido I Malavoglia di Giovanni Verga, il cui verismo fece
conoscere realtà per convenienza sempre sottaciute.
In Saramago è evidente la formazione marxista che distingue la sua
opera da quella di Verga, quest'ultima non ideologica e pertanto
assai più cruda ed immediata.
Però, se anche si avverte nelle righe il pensiero politico
dell'autore portoghese, resta un'immagine indelebile di un mondo
arcaico e di torti, dove solo un elemento pare non partecipe, pur
assumendo di fatto la caratteristica di personaggio principale: il
paesaggio.
Infatti il romanzo inizia con " La cosa più importante sulla terra è
il paesaggio…" e le descrizioni di Saramago sono veramente
splendide, tanto che sembra di vedere le pianure, i sughereti, i
temporali improvvisi, perfino i rilievi.
Se non bastasse questa eccelsa capacità dell'autore, del tutto
particolare è la forma della scrittura utilizzata, uno stile
personale, una specie di scrittura orale che inserisce il parlato
nel racconto, senza che vi siano pause o addirittura, spesso,
punteggiatura.
In tal modo viene a essere vivacizzata la narrazione,
necessariamente lenta altrimenti per l'assenza di eventi
determinanti, e l'impressione che se ne ricava è che Josè Saramago
esca dalle pagine e lì davanti a noi prosegua nel suo racconto, con
una voce dal tono a volte acceso, ma più spesso ironico, una sorta
di amico che ci partecipa le sue riflessioni su un mondo alla
rovescia.
Una terra chiamata Alentejo è un autentico capolavoro.
Renzo Montagnoli
L'autore
José Saramago è nato a Azinhaga, in Portogallo, il 16
novembre 1922. Ancor in età giovanile si è trasferito, con la
famiglia, a Lisbona, dove ha frequentato l'Università che ha dovuto
abbandonare per difficoltà economiche, adattandosi a fare i più
svariati lavori (fabbro, correttore di bozze, giornalista). La
svolta della sua vita avviene quando entra nell'editoria come
direttore letterario e di produzione.
Il suo primo romanzo ("Terra del peccato") è del 1947, ma non
ottiene successo, anche perché vige il feroce regime di Salazar.
La seconda giovinezza, o meglio la riscoperta delle capacità di
scrittore, avvengono però solo dopo lo scoppio della Rivoluzione dei
Garofani.
Saramago, iscritto da tempo al partito comunista, vede aprirsi un
mondo non fatto più di chiusure dittatoriali e può esprimere
liberamente il suo grande talento.
Si succedono così tutta una serie di opere che rivelano al mondo un
grandissimo autore: "Manuale di pittura e calligrafia", "Una
terra chiamata Alentejo", "Memoriale del convento", "L'anno della
morte di Riccardo Reis", "La zattera di pietra", "L'assedio di
Lisbona" e " Il Vangelo secondo Gesù ".
A suggello di queste elevate capacità artistiche viene il Nobel per
la letteratura, conferitogli nel 1998 e nonostante un vero e proprio
vespaio di polemiche, attizzate soprattutto dal Vaticano.
Attualmente vive a Lanzarote.
Renzo Montagnoli
Con il cuore leggermente indolenzito
di Claudia Priano Aliberti
Editore
Durante una fredda notte d'inverno, una donna di nome Lidia scompare
senza lasciare traccia. Martine, la sua amica di sempre, una donna
dal passato misterioso, sarà quella che darà l'allarme. Ed ecco che
la storia comincia, con una telefonata a Chiara, secondogenita di
Lidia ed io narrante di questa storia.
È in questo modo che i figli, Chiara, Margot e Bruno, che per anni
non si sono più visti o cercati, dovranno incontrarsi, passare del
tempo insieme, chiarire delle cose importanti e fare i conti con il
dolore di una famiglia frammentata. Ma soprattutto ognuno dovrà fare
i conti con sé stesso. Ed ecco che riappaiono anche altri
personaggi: il padre, i vicini di casa, parenti e amici che saranno
coinvolti in questa storia. E ancora altri personaggi, a tratti
buffi, ma mai macchiette. Una vicenda convincente, vera, che arriva
al cuore. Soprattutto ben scritta, specie nei dialoghi, essenziali e
asciutti. Un romanzo corale e intenso. Affronta temi duri, come il
disagio psichico, la paura, l'abbandono e i conflitti familiari. Ma
in un modo particolare, che è quello di non cadere mai nel
melodrammatico. Anzi, riesce ad arrivare a toccare corde profonde
commuovendo e facendo anche ridere. I suoi personaggi, a volte al
limite del grottesco, sanno farsi amare dal lettore. Tutti, nessuno
escluso, anche quelli più perfidi. Molte le citazioni letterarie,
ma, come è scritto sulla copertina del libro, quella di Sylvia Plath,
che l'autrice ama molto, e si vede, " Forse non sarò mai felice, ma
stasera sono contenta". Questa frase, tratta dai "Diari" della Plath,
pubblicati da Adelphi, è senza dubbio il messaggio che la Priano
vuole dare nel narrare la vita, dove non ci sono certezze, spesso
molta fatica, ma anche dove, attraverso la sofferenza, si possono
vivere momenti di grande serenità e complicità con l'Altro. Anche se
diverso da noi. Basta smettere di averne paura.
Camilla Resta
Nero di Maggio di
Leonardo Gori Hobby & Work
Narrativa - romanzo giallo
In un caldo maggio del 1938 a Firenze ci sono la visita di Hitler, i
frenetici preparativi della città per il memorabile evento, due
omicidi di prostitute assai giovani, un capitano dei Reali
Carabinieri dotato di notevole intuito, la sua fidanzata, ebrea, che
vuole dare un senso alla vita con un gesto clamoroso, un giovane
gerarca di primissimo piano e tutto un contorno di personaggi di
assoluta credibilità.
Il ricorso a una ricostruzione storica esemplare conferisce una
dignità letteraria di notevole livello a un romanzo giallo, ben
congegnato e con una trama avvincente, densa di pathos che resiste
benissimo fino alla soluzione finale.
L'impressione che ho avuto è che l'autore sia ricorso al thriller
come un pretesto, per descrivere invece atmosfere e personaggi di un
epoca nemmeno tanto lontana e questo è il pregio principale
dell'opera.
Fra l'altro è addirittura superlativa la capacità che ha avuto nel
delineare la figura dell'alto gerarca fiorentino, nel romanzo senza
nome, ma facilmente identificabile in Alessandro Pavolini, il più
nazista dei fascisti, uomo colto, brillante, costantemente in preda
a un delirio di rinnovamento accompagnato da uno spietato cinismo.
I dialoghi fra Bruno Arcieri, l'abile capitano dei Reali Carabinieri
e questo personaggio di primo piano, affabile, ma anche crudele,
sono la parte migliore di un romanzo in cui l'aspetto storico è a
mio avviso predominante.
La meticolosa ed esatta ricostruzione del corteo che porta dalla
stazione ferroviaria al centro Hitler e Mussolini è stupefacente per
il coinvolgimento del lettore, a cui pare addirittura di trovarsi
presente, fra la folla assiepata ai lati delle strade.
Un altro elemento da non sottovalutare è poi il conflitto fra il
profondo senso di giustizia del capitano Arcieri e il concetto della
stessa, del tutto personale e delirante, del gerarca.
Quindi, non solo un bel giallo, avvincente e ricco di tensione, ma
anche un grande affresco storico che riesce a darci una visione di
un'Italia alla vigilia della seconda guerra mondiale, un paese che
inizia ad avvertire i primi sintomi di un piccolo benessere, senza
accorgersi che è il miglioramento, apparente, del moribondo prima
del decesso.
Del resto l'apparenza domina su tutto, ogni cosa deve sembrare
fulgida anche se non lo è e i problemi non esistono, perché basta
non parlarne, caratteristiche che, purtroppo, ricompaiono anche ai
nostri giorni.
Renzo Montagnoli
L'autore
Leonardo Gori è nato a Firenze l'1 gennaio 1957. Il suo romanzo
d'esordio, nel 2000, è stato proprio Nero di Maggio. A seguire ha
pubblicato: nel 2002 "I delitti del Mondo Nuovo" e "Il passaggio",
nel 2003 "La finale", nel 2004 "Lo specchio nero", nel 2005
"L'angelo del fango", con cui ha vinto il Premio Scerbanenco
nell'ambito del Noir in Festival di Courmayeur, nel 2006, insieme a
Franco Cardini, " Il fiore d'oro ".
Renzo Montagnoli
Fatherland di
Robert Harris Arnoldo Mondadori
Editore
Narrativa - romanzo thriller
Mettiamo il caso che la seconda guerra mondiale non si fosse
conclusa come ben sappiamo e che invece avesse vinto la Germania di
Adolf Hitler, come si potrebbe immaginare un simile scenario?
Robert Harris ha voluto provarci e ci ha regalato un
thriller-fantasy di assoluto interesse, al punto che dallo stesso è
stato tratto un film dall'omonimo titolo e di grande successo.
Senza svelare nulla di particolare a chi fosse interessato a leggere
quest'opera, dico semplicemente che il quadro di questa ipotetica
situazione è stato disegnato dall'autore in modo convincente,
presentando anche alcune analogie con la situazione socio-politica
attuale.
In pratica, siamo nel 1964 e il grande Reich è proprio grande, tanto
che si estende dal fiume Reno fino alla catena degli Urali.
Tuttavia, l'ex blocco sovietico non è per nulla pacificato, con i
bolscevici che danno vita a un'attiva resistenza.
Hitler, all'apice del suo trionfo, è un uomo di 75 anni, vecchio e
senza particolari stimoli. Il presidente americano Joseph Kennedy
preannuncia una sua visita a Berlino al fine di coltivare una
possibile distensione fra i due imperi. Per quanto il Reich appaia
monolitico, quasi indistruttibile agli occhi degli avversari, in
effetti è corroso da un profondo malessere, alimentato dalla caduta
degli ideali imposti dal partito nazista, dalla violenza e dalla
corruzione che dilaga ovunque e dagli inevitabili attriti con le
diverse etnie, spesso assimilate solo a seguito di conquista.
In questo clima di corrosiva tensione, il ritrovamento del corpo di
un gerarca nazista nelle acque di un laghetto situato nei più
esclusivi ed elitari complessi residenziali rappresenta l'inizio di
una vicenda che vi terrà senz'altro con il fiato sospeso, in un
susseguirsi di rivelazioni e di colpi di scena che vi
accompagneranno fino alla conclusione.
E' una lettura piacevole e per nulla impegnativa, tanto che questo
libro può essere un motivo di evasione per le prossime vacanze
estive, sia che riposiate all'ombra di un pino in montagna, sia che
siate distesi su un lettino in una spiaggia assolata.
Renzo Montagnoli
L'autore
Robert Harris è nato nel 1957 a Nottingham, in Inghilterra.
Scrittore e giornalista televisivo inglese è famoso soprattutto come
scrittore di romanzi thriller. Fra questi, oltre a Fatherland
(1992), Enigma (1995), Archangel (1999), Pompei (2003), Leonardo e
la macchina infernale (2006) e Imperium (2006).
Renzo Montagnoli
I giovedì della signora Giulia
di Piero Chiara Arnoldo
Mondadori Editore
Narrativa - romanzo
Esiste il delitto perfetto? Non pochi autori del genere "giallo"
hanno affrontato questa ardua prova, con risultati più o meno
soddisfacenti, o credibili.
Piero Chiara, che non è possibile definire un autore di genere, ha
voluto provarci, mettendo anche a frutto la lunga frequentazione
degli ambienti giudiziari derivante dal suo lavoro e ne é uscita
così, più che un romanzo, una presceneggiatura, perché lo scopo
originale era di realizzare un adattamento televisivo, che poi si
concretizzò nell'opera con lo stesso titolo trasmessa in cinque
puntate nel 1970 dalla radio-televisione italiana e che ebbe grande
successo.
Indubbiamente il fatto che sia stato scritto in funzione di uno
spettacolo televisivo fa sì che in questo lavoro si avverta meno la
mano felice dell'autore, così bravo a descrivere con sottile finezza
gli ambienti di una certa provincia italiana negli anni del
dopoguerra.
E in effetti la narrazione si presenta necessariamente schematica,
pur non mancando la consueta abilità nel figurare i personaggi, ma
con un tono più distaccato, quasi di cronaca giornalistica.
Come in tutti i gialli che si rispettano c'è il commissario di
polizia, uomo accorto e capace, ma veritiero, e non un mostro di
bravura. Proprio per questo appare più funzionale alla trama e
finisce con il dare risalto all'abile piano architettato da un
omicida di notevole intelligenza. Sì, perché l'enigma non viene
sciolto neppure alla fine, tanto che il processo penale si
concluderà con un'assoluzione per insufficienza di prove.
La lettura è veramente appassionante, perché poco a poco ci si
lascia coinvolgere dallo stimolo pressante della ricerca della
verità, a cui si viene indirizzati in modo mirabile. Tuttavia,
quando si crede di aver fatta piena luce sulla vicenda, altrettanto
razionalmente ci viene proposta una soluzione di uguale validità, a
cui possiamo prestare anche fede, ma che viene a complicare
terribilmente le cose, tanto che alla fine il verdetto assolutorio
ci sembra la più logica delle conclusioni.
Ci si chiede: chi sarà il colpevole, o saranno entrambi colpevoli?
Non c'è risposta, e in questa sospensione, in questa tipica
incertezza ritroviamo il Chiara autore di quei romanzi di provincia
che terminano in modo non definitivo, come, per esempio, in "Vedrò
Singapore?".
Dimenticavo: è un opera che si legge in un fiato e che poi invece fa
arrovellare il cervello, in un'impossibile ricerca della verità che,
forse, nemmeno l'autore conosceva.
Renzo Montagnoli
L'autore
Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di
origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma poi abbandona la scuola,
completando da autodidatta la propria formazione culturale.
Dipendente di un'amministrazione statale, vive, durante gli anni del
fascismo, la più chiusa e al tempo stesso più eccitante vita di
provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi d'amore.
Data la sua naturale indole al dissenso, diviene inviso al fascismo,
al punto che il Tribunale Speciale emette una severa condanna nei
suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in Italia con un'aureola di
antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento nell'Italia
repubblicana.
Inizia un periodo di fervida creatività che lo porta ad abbandonare
il lavoro nell'amministrazione statale per dedicarsi unicamente alla
scrittura.
Nascono così i romanzi Il piatto piange, La spartizione,
1964; Il balordo, 1967, con cui vinse Il Bagutta; Il
Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976;
Il cappotto di astrakan, 1978; Vedrò Singapore?, 1981,
oltre a molti altri, una produzione tutta di notevole livello, dove
la capacità dell'autore di scrivere con equilibrio, di non indulgere
mai alla volgarità anche nelle storie più scabrose, non viene mai
meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31 dicembre 1986.
Renzo Montagnoli
Alloggio vista mare e altri racconti
di Cesarina Bo ExCogita
Editore
Narrativa - racconti
Dopo "Attrazioni e distrazioni" , edito sempre da ExCogita nel 2004,
Cesarina Bo ritorna con quest'altra raccolta, costituita da un
romanzo breve e da dodici racconti.
In quest'ultimo lavoro lo stile asciutto e senza enfasi dell'autrice
si è ulteriormente affinato, rendendo in tal modo la lettura facile,
rapida e gradevole.
Per quanto le vicende siano di fantasia parlano di personaggi che
esistono nella vita di tutti i giorni, per lo più figure non di
spicco, anzi dei veri e propri antieroi, con le loro stranezze, le
loro paure e soprattutto l'immancabile solitudine.
Il romanzo breve, che dà il titolo al volume, è quanto mai
esplicativo, con la storia del Mandelli, un ufficiale di marina in
pensione, misogino, sempre timoroso dei giudizi dei compaesani e che
trova sfogo nell'aridità della sua vita unicamente guardando il
mare, quell'immensità che lo aiuta stranamente a ritrovare un
equilibrio interiore, che nemmeno l'amore di una donna, una vicina,
gli può donare.
Si potrà forse obiettare che in fin dei conti il personaggio è di
una stranezza che rasenta la pazzia, ma di esseri con tante manie
che finiscono per condizionare la loro esistenza il mondo è pieno,
come per esempio il Professor Melotti dell'ultimo racconto,
valutatore per una casa editrice e poeta in incognito che sogna un
successo che si trasformerà in una beffa.
L'ambito creativo di Cesarina Bo in effetti è popolato da tanti
protagonisti che sono sostanzialmente degli illusi delusi, dei
perdenti, degli esseri umani che trovano difficile vivere secondo i
canoni della società a cui appartengono, ma sono vivi perché reali.
Per certi versi questi autoemarginati finiscono con il destare
tenerezza, perché ai nostri occhi appaiono indifesi, come il Lorenzo
di Passione, un anziano che vive solo per leggere e che si procura i
libri prendendo quelli abbandonati sui treni, oppure il Luigi de La
Prima Comunione, un bambino che osa comunicare la scoperta della
propria sessualità.
E' una galleria di personaggi ben delineati e inseriti in trame
idonee, senza forzature, una sorta di "candid camera" che è
piacevole guardare.
Renzo Montagnoli
L'autrice
Cesarina Bo nasce nel 1956 in provincia di Torino dove resede anche
attualmente. Laureata in Matematica, insegna questa materia in un
istituto superiore.
Ha già pubblicato la raccolta di racconti "Attrazioni e distrazioni"
(ExCogita, 2004).
Renzo Montagnoli
Istanze e sogni di
Luigi Panzardi Edizioni Il
Filo
Poesia - raccolta
Nel Poeta è sempre presente una solitudine interiore che lo spinge a
comunicare con gli altri tramite i versi. E' un secondo io, sempre
presente, ma che in momenti di particolare tensione emotiva trova un
suo sfogo guidando la mano a comporre riflessioni, urla di sdegno,
silenzi che parlano più di qualsiasi voce.
Ritroviamo questo pathos anche nella raccolta poetica di Luigi
Panzardi, caratterizzata da una quarantina di liriche dalle
tematiche più disparate, dall'osservazione della natura alla
dolorosa immagine dei diseredati.
In ogni caso è sempre presente la consapevolezza della caducità
della vita, della conclusione di un ciclo con la morte, un evento
accettato con una rassegnazione stanca.
Al di fuori di canoni stilistici ben precisi, si può far rientrare
tuttavia questo modo di poetare nel post-ermetismo, riprendendo da
quest'ultimo alcune caratteristiche che impongono al lettore
un'attenta lettura e rilettura, onde comprendere, peraltro senza
soverchie difficoltà, il senso del messaggio.
Aggiungo che c'è una costante linearità dell'esposizione, a volte
accompagnata da incisi in funzione rafforzativa, in una stesura dal
lessico non complesso, quasi comune, che non impedisce tuttavia il
raggiungimento di un'armonia semplice, ma funzionale.
Valga un esempio per tutti quella che, a mio parere, è la lirica più
riuscita, dove il contrasto fra il desiderio di una donna emarginata
e la realtà del mondo è espresso senza enfasi, e proprio per questo
induce a una più ampia e serena riflessione.
Davanti allo specchio di una vetrina
Paralizzata, guarda la vetrina,
gode per la lussuria dei colori esposta.
Un fragore di luci bianche
avvolge il nero vestito di seta giacente,
imperlato, come un cielo gremito di stelle.
Raspa con le mani il vuoto della borsetta,
ha l'animo agghiacciato dalla fame,
ha il cuore dentro che urla stupito,
chiede di sapere perché non può
correre sull'azzurro del mare.
Alle spalle il fiume gonfio e lento sta,
della folla di uomini e macchine,
scorre sullo schermo a due dimensioni:
una è ricchezza, l'altra è povertà.
Ecco, in questi versi c'è tutto lo sdegno per un mondo che accetta
solo se stesso, c'è il naturale desiderio, il sogno di una donna per
un abito che non può comprare, con quella mano che inconsciamente
cerca quello che non c'è nella borsetta. Come tutti i sogni lo
scontro con la realtà impone la domanda del perché altri sì e lei
no.
E la risposta è nell'ultima quartina, con quel fiume di un'altra
umanità che scorre insensibile, lasciando sulle sponde chi non può
percorrerlo.
Basterebbe questa lirica a dare valore a una raccolta che ne
presenta altre di significativo rilevo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Luigi Panzardi è nato a San Giorgio Lucano in provincia di Matera il
27 maggio 1942 e vive a Taranto. Ha già pubblicato una raccolta di
poesie intitolata Parole bianche.
Renzo Montagnoli
L'ombra del vento di
Carlos Ruiz Zafón Mondadori
Editore
Narrativa - romanzo
Nei primi giorni dell'estate del 1945 il proprietario di un piccolo
negozio di libri usati porta il figlio undicenne al Cimitero dei
Libri Dimenticati, un luogo sito nel cuore della città vecchia di
Barcellona e in cui migliaia di libri di cui non si ha più nemmeno
memoria vengono sottratti all'oblio. Daniel, così si chiama il
fanciullo, entra in possesso di un libro intitolato L'ombra del
vento, che cambierà tutto il corso della sua vita.
La storia di Daniel, dalla pubertà fino alla maturità, si svolge in
una Barcellona tetra e piovosa, oppressa da una cappa di nebbia e
immersa nel cemento e nello smog. Di pari passo con la lettura del
libro procede la vita del personaggio principale con strette
analogie fra realtà e fantasia, fino a un punto in cui l'esistenza
di Daniel si confonderà con la trama del volume che potremmo anche
definire "maledetto", perché tutta una serie di elementi, quali
antiche dimore con segreti inconfessabili e con spiriti che le
animano, palazzi fatiscenti popolati da mostri finiscono con il
richiamare la grande tradizione del romanzo gotico.
La grande abilità di Zafón è di illuminarci su quella che doveva
essere la vita negli anni cinquanta in Spagna, sotto il regime
franchista, una vera e propria cappa di piombo in cui la popolazione
si aggira incerta, in un misto, non esattamente divisibile, di amore
e odio per il Generalissimo.
L'intenzione dell'autore, però, non è quella di delineare un periodo
politico, anche se calza a pennello con il gotico, ma di tributare
un omaggio alla scrittura, alla creatività che le è insita,
realizzando un romanzo in un romanzo, in una sorta di gioco
indubbiamente complesso, ma di grande efficacia.
Se qualcuno può storcere il naso pensando a un romanzo gotico
scritto non da un inglese o da un tedesco, ma da uno spagnolo,
sbaglia certamente, perché Zafón non fa altro che appropriarsi di
tematiche che sono proprie della cultura europea, impreziosendole
con caratterizzazioni del tutto iberiche. Al riguardo, significativo
è il riuscitissimo personaggio di Fermin Romero, con la sua morale
superiore a quella della classe dominante, nonostante una vita
vissuta quasi da emarginato, e che richiama in modo perfetto la
figura del picaro, con quello spirito d'avventura animato da
un'ideale e con la miseria esteriore che cela un animo ricco di
altruismo.
Dell'altra caratterizzazione, cioè la cupa dittatura franchista ho
già accennato prima, anche se ritengo opportuno aggiungere che non
mancano le frecciate alla Chiesa per la sua complicità con un regime
che si professa difensore della cultura cattolica, ma che in nome di
questa compie ogni genere di nefandezze.
Il mistero, in questo contesto, appare quindi quasi naturale e di
mistero si tratta, perché pagina dopo pagina, nel mentre ci verrà
svelato il perché di tante cose, altre ne sorgeranno di enigmatiche,
anche se non del tutto incomprensibili.
L'aspetto più straordinario è che il ritmo e la tensione non vengono
mai meno; inoltre, tanto è il desiderio del lettore di arrivare alla
fine per scoprire la soluzione del tutto, ma altrettanto è il timore
che l'ultima pagina chiuda per sempre quell'atmosfera magica e
sospesa che lentamente, senza ce ne accorgessimo, è scesa su di noi.
Indubbiamente si può parlare di un testo avvincente, di rara potenza
ed efficacia, scritto con uno stile misurato e suadente. Certo,
l'invenzione di cui ho già accennato e che alla fine di questo
periodo ripeterò, attribuisce un'originalità fuori dal comune e che,
resa con maestria, mi induce ad affermare che questo libro nel
libro, questa storia nella storia, costituiscono un'opera di tale
qualità da renderne consigliabile vivamente la lettura.
Renzo Montagnoli
L'autore
Carlos Ruiz Zafón è nato a Barcellona nel 1964. L'ombra del vento
è il suo primo romanzo, anche se ha già scritto due autentici
best-seller nel campo della letteratura per ragazzi, e vanta una
notevole esperienza di sceneggiatore a Hollywood.
Renzo Montagnoli
Balene Bianche di
Sabrina Campolongo Michele Di
Salvo Editore
Narrativa - raccolta di racconti
Sabrina Campolongo, giovane autrice milanese, fa il suo esordio
letterario con questa raccolta di racconti che parlano di amore, un
amore non vissuto però, una sorta di inconsapevole attrazione che
muove i personaggi, essenzialmente femminili, fatta eccezione per
Michelino, un bambino in preda a un'infatuazione tipicamente
infantile.
Il tema non era certo facile, perché è meno arduo scrivere di
qualche cosa di cui il personaggio è cosciente; e invece ci troviamo
di fronte a quelle sensazioni non facilmente descrivibili che
potremmo definire più proprie dell'innamoramento.
La mano leggera della Campolongo riesce a trasmettere questa sorta
di momento psicologico con lo svolgimento delle trame, i cui attori
interpretano di volta in volta diverse tipologie dell'essere umano,
passando dalla modella insoddisfatta all'anziana prostituta ormai
rassegnata.
Personalmente, fra i sette racconti le mie preferenze vanno a:
Nora Nora Nora, una storia di emarginazione sociale, in cui
la dimensione dello squallore viene mitigata da un affetto quasi
materno della prostituta Nora per Samuele, un ragazzo anche lui
segnato irrimediabilmente dalla vita;
Lei deve essere Erica, in cui questo innamoramento lascia
spazio a tante possibili soluzioni, non esclusa quella di
un'infanzia che mai ritornerà;
Le mani delle sante, dove il personaggio del bimbo Michelino
riesce ad avere tutta l'innocenza della sua età di fronte a un
turbamento di cui non riesce ancora a trovare una spiegazione
logica.
Lo stile non è involuto, anzi è funzionale al ritmo, volutamente
calmo, della narrazione e contribuisce alla piacevole lettura di
questa raccolta.
Quello di Sabrina Campolongo è quindi un esordio positivo e ora è
naturale attendersi da lei una conferma, magari con un romanzo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Sabrina Campolongo è nata il 16 agosto del 1974, nel milanese. Dopo
aver conseguito un diploma linguistico, ha lavorato come impiegata
fino al 2003, quando ha deciso di concedersi il tempo per occuparsi
dei suoi due bambini e per scrivere.
Nel 2000 il suo primo romanzo giallo, tuttora inedito, è stato
scelto tra i sei finalisti del premio Alberto Tedeschi (giallo
Mondadori).
Nel 2005 uno dei suoi racconti è apparso sulla Writer's Magasine
Italia, edita da Delosbooks e un altro ha vinto il concorso
letterario Ore contate ed è stato pubblicato sulla relativa
antologia, curata da Ibis edizioni.
Nel marzo 2007 pubblica, con Di Salvo Editore, il volume di racconti
Balene Bianche.
Sito Internet:
http://balenebianche.splinder.com/
Renzo Montagnoli
Il filo d'inchiostro
Piccolo manuale per l'aspirante autore che non
vuol essere un pollo da spennare
di Maurizio J. Bruno e
Piera Rossotti Pogliano Edizioni
Tabula Fati
Manualistica
Maurizio J. Bruno, fondatore del Rifugio degli esordienti e
animatore di Danae, e Piera Rossotti Pogliano, che dirige la sezione
di Lettura Incrociata del Rifugio degli Esordienti, nonché il
catalogo di Danae, in forza dell'esperienza acquisita hanno
provveduto a scrivere questo manuale di indubbio interesse, una
sorta di vademecum per un autore esordiente che abbia in animo di
pubblicare il suo lavoro.
Volutamente schematico come un libretto di istruzioni per l'uso ha
il pregio non comune di fornire risposte precise a numerose domande.
Si va così dagli strumenti per scrivere, con consigli perfino
sull'uso del personal computer, alla protezione degli inediti dal
plagio, fino a utilissimi esempi pratici di sinossi e di lettera di
accompagnamento per un editore.
Non si tralascia nulla in questo prezioso libretto e infatti
troviamo anche il capitoletto dedicato ai premi letterari e alle
agenzie letterarie.
E' una lettura agevole che aiuta non poco chi è a digiuno in materia
nel districarsi in un mondo che ha le sue insidie, spesso travestite
da sirene.
Quindi, poiché la schematicità è essenziale, gli approfondimenti
sono necessariamente limitati, ma questo, nel caso specifico, è un
vantaggio, perché ne risulta un uso pratico estremamente efficace.
L'opera si conclude con un glossario di termini specifici assai
utile anche per chi si ritenga un autore già esperto (sfido a
trovare uno che sappia dire esattamente che cos'è il colophon) e con
una pratica sitografia per aree di interesse.
Per quanto ovvio, ritengo questo manuale uno strumento non solo
necessario, ma addirittura indispensabile.
Renzo Montagnoli
Gli autori
Maurizio J. Bruno nasce a Pinerolo (TO) nel 1964, ma cresce e si
forma in Campania, per poi trasferirsi a Roma e infine in Abruzzo,
dove vive attualmente. Ingegnere e progettista di una delle più note
aziende italiane di elettronica e informatica, a metà degli anni
Novanta riscopre l'interesse per la scrittura e per l'editoria, che
aveva già coltivato da bambino e, dopo la pubblicazione del suo
primo giallo tecnologico, RALF, decide di impegnarsi
concretamente al fianco degli scrittori italiani non ancora famosi.
Nel 1998 fonda il sito internet
Il Rifugio degli Esordienti, tuttora punto di riferimento per
gli scrittori alla ricerca di un editore, e nel 2002, insieme ad
altri inguaribili utopisti, dà vita a
DANAE, un'associazione di Scrittori, Librai ed Editori che si
occupa della promozione e della distribuzione di libri già editi ma
scritti da autori ancora poco noti. Attualmente, oltre che nel folle
tentativo di correggere le storture del mondo editoriale italiano, è
impegnato nella scrittura del suo terzo romanzo, come sempre pieno
di tecnologia e di misteri.
Piera Rossotti Pogliano, laureata in Lingue e Letterature Straniere
Moderne e in Comunicazione Interculturale, ha insegnato all’Istituto
di Filologia Romanza dell'Università di Liegi e oggi si dedica
all’inserimento delle nuove tecnologie nella didattica delle lingue
straniere. Appassionata da sempre di letteratura (soprattutto
francese) e di storia, fa parte del gruppo di inguaribili utopisti
di cui parla Maurizio J. Bruno, è impegnata da molti anni nella
selezione e nella promozione di narratori e poeti esordienti, e
dirige dal 1999 la sezione di Lettura Incrociata del
Rifugio degli Esordienti e dal 2002 il catalogo di
DANAE. Ha curato tre antologie di narratori esordienti, R@cconti
senza rete (Napoli, Di Salvo), Oltrel@rete (Roma,
Proposte Editoriali) e Ventid@llarete (Perugia, Graphe.it), e
ha pubblicato i romanzi storici Il diario intimo di Filippina de
Sales, marchesa di Cavour (Torino, L'Angolo Manzoni) e Il
ventre pieno di farfalle (Roma, Robin Edizioni).
Renzo Montagnoli
La stanza del vescovo di
Piero Chiara Mondadori Editore
Narrativa - romanzo
Fra tutte le opere di Piero Chiara questa è quella che ha più le
caratteristiche del romanzo, per completezza nello sviluppo della
vicenda e perché ha un finale che lascia aperte diverse possibilità.
Vi sono anche altri elementi che concorrono ad attribuire questa
classificazione, non presente in altri lavori dell'autore, con
caratteristiche più di racconti lunghi, cioè di storie compiute, che
iniziano e si concludono senza ulteriori prospettive.
Mi riferisco, in particolare, all'accuratissima ambientazione
storica (siamo nell'immediato dopoguerra), alla struttura del giallo
(presente peraltro anche in altre opere, come per esempio I
giovedì della signora Giulia), nonché, soprattutto, alla
rilevante introspezione psicologica dei personaggi, delineati in
modo veramente mirabile. Al riguardo assume uno spessore di grande
valore il ritratto di Matilde, una giovane vedova in cui è sempre
presente il rimpianto per il matrimonio non consumato e la carica
erotica, pronta a esplodere da un momento all'altro. La descrizione
di questo status è di alta scuola e rivela un notevole studio della
psicologia femminile.
Chiara però si supera con la figura dell'Orimbelli, un personaggio
enigmatico, dalla doppia contorta personalità e che è di fatto
l'autentico protagonista del romanzo. Costui è uno che vive di
ricordi, soprattutto della guerra d'Africa, ma è sostanzialmente un
frustrato, fallito come avvocato e che, se ha un po' di soldi, è
solo per aver sposato una moglie ricca, ma brutta.
Poi ci sono figure di contorno, altrettanto ben delineate, fra le
quali l'autore stesso che narra in prima persona, ovviamente non con
il suo vero nome; al riguardo, quell'incertezza della vita, quel
desiderio di cambiare, restando comunque se stessi, propri di
Chiara, sono sempre ben presenti.
Ho accennato prima all'ambientazione e ritengo ora doveroso parlare
dell'atmosfera, sonnacchiosa e decadente, in cui si svolge la
vicenda. C'è così un lago Maggiore che alterna momenti di luce ad
altri cupi, c'è un giallo che non è lo scopo della narrazione, ma è
funzionale strettamente alla trama, tanto che si intuisce subito
l'identità del colpevole.
Non è però la ricerca dell'assassino lo scopo vero dell'opera, ma le
motivazioni del delitto, l'analisi profonda della psicologia del
reo, le reazioni dei personaggi di contorno, secondo un susseguirsi
di scene che si ricollegano perfettamente, senza accentuazioni di
ritmo, ma con una logica di inequivocabile validità.
L'insieme di questi elementi mi portano a concludere che La
stanza del vescovo è una delle migliori opere della letteratura
italiana del novecento.
Renzo Montagnoli
L'autore
Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di
origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma poi abbandona la scuola,
completando da autodidatta la propria formazione culturale.
Dipendente di un'amministrazione statale, vive, durante gli anni del
fascismo, la più chiusa e al tempo stesso più eccitante vita di
provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi d'amore.
Data la sua naturale indole al dissenso, diviene inviso al fascismo,
al punto che il Tribunale Speciale emette una severa condanna nei
suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in Italia con un'aureola di
antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento nell'Italia
repubblicana.
Inizia un periodo di fervida creatività che lo porta ad abbandonare
il lavoro nell'amministrazione statale per dedicarsi unicamente alla
scrittura.
Nascono così i romanzi Il piatto piange, La spartizione,
1964; Il balordo, 1967, con cui vinse Il Bagutta; Il
Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976;
Il cappotto di astrakan, 1978; Vedrò Singapore?, 1981,
oltre a molti altri, una produzione tutta di notevole livello, dove
la capacità dell'autore di scrivere con equilibrio, di non indulgere
mai alla volgarità anche nelle storie più scabrose, non viene mai
meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31 dicembre 1986.
Renzo Montagnoli
Fatale appuntamento a Parigi di
Gabriele Tristano Oppo Edizioni
Tabula Fati
Narrativa - romanzo
Il 25 luglio 2000 è stata apparentemente una data qualsiasi. Provate
a chiedervi dove eravate e cosa avete fatto quel giorno e con ogni
probabilità non ve ne ricordereste se non per il fatto che è
accaduto qualche cosa di particolare rilievo. Infatti, il volo
dell'Air France da Parigi a New York fu appena abbozzato, perché il
fiore all'occhiello della tecnica aeronautica anglo-francese, il
supersonico Concorde, cadde subito dopo il decollo. Rivedo ancora le
immagini dei telegiornali che mostrano l'aeromobile con una scia di
fuoco e poi il luogo dell'impatto, che provocò la morte, oltre che
dei passeggeri, anche di alcuni abitanti della zona, e mentre si
snodano le sequenze rammento che all'epoca ero in un albergo della
costa garganica.
Il fato, il destino che sembra presiedere a ogni istante della
nostra vita ci viene riproposto in questo bel romanzo di Gabriele
Tristano Oppo, una narrazione a metà fra la realtà della cronaca e
la fantasia dell'autore.
Ci vengono così proposte le storie di quel 25 luglio di alcuni
personaggi che furono protagonisti della tragedia, o per esservi
periti, o per esservi scampati in modo del tutto casuale.
L'andamento della narrazione è frutto di un abile regia che riesce a
comporre tasselli di vita autonoma, che finiscono per essere
indissolubilmente legati dall'evento. E tutto questo sullo sfondo di
una Parigi non da cartolina, ma immersa pienamente nel suo tempo.
Si indaga sulla psicologia degli attori, sui loro sentimenti, sui
moti d'animo, ma con una mano leggera e discreta che conferisce al
racconto un senso di benevola pietà per il destino che di lì a poco
ai più sarà riservato.
Se in una prima parte c'è la presentazione di questi inconsapevoli
attori e nell'ultima e terza parte viene ricostruito il dopo, cioè i
giorni successivi alla tragedia, con il dolore dei familiari
superstiti e la naturale gioia dei sopravvissuti, la seconda parte è
quella più cruciale, perché fotografa gli ultimi istanti di vita
delle vittime e di quelli che invece miracolosamente scamperanno.
Questa fase intermedia è generalmente la più difficile perché può
accadere che lo scrittore tenda a indulgere al compassionevole, ma
in questo romanzo non accade. L'autore riesce infatti a mantenersi
abilmente al di fuori della vicenda, con un distacco che perfino nei
concitati istanti della caduta dona alla narrazione una realtà quasi
oggettiva.
Scritto con mano sicura e abilmente strutturato Fatale
appuntamento a Parigi è un romanzo di qualità e che si legge con
piacere.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gabriele
Tristano Oppo
è nato a Oristano. Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università
di Cagliari. Specialista in Ostetricia e Ginecologia e in Medicina
Legale. Libero docente di Clinica Ginecologica presso l’Università
di Modena. Primario del reparto di ginecologia dell’Ospedale di
Arezzo fino al 1992.
Ha pubblicato più di centotrenta contributi scientifici
originali su varie Riviste italiane e straniere. La sua attività
letteraria è stata apprezzata in occasione di numerosi concorsi di
poesia, ottenendo diverse segnalazioni e premi.
Socio fondatore e Presidente dal 1997 dell’Associazione degli
Scrittori Aretini “Tagete”.
Ha
pubblicato:
Il coraggio e i giorni, poesie (La Felce, Modena 1966);
Countdown, poesie americane (Lodigraf, Lodi 1971); Se
un’estate la solitudine..., racconti (Piccolo Teatro, Arezzo
1980); Il tuo essere donna, poesie (Lalli, Poggibonsi 1988);
Storie di genetica ambiguità, due romanzi brevi (Solfanelli,
Chieti 1992); Poker di donne, racconti (Tabula fati, Chieti
1997); Il rischio di amare, romanzo (Tabula fati, Chieti
1998); Pietro Aretino, saggio (Centro Studi Aretini, Arezzo
1998); Andrea Cesalpino, saggio (Centro Studi Aretini, Arezzo
1998); D’Annunzio e la terra d’Arezzo, saggio (Centro Studi
Aretini, Arezzo 1998); Poesie per la memoria di un giorno,
poesie (Centro Studi Aretini, Arezzo 1998); Giramondo, poesie
(Alberti Editore, Arezzo 2001); D’Annunzio e la Sardegna,
saggio (Accademia Casentinese di Lettere ed Arti, Borgo alla Collina
2002); Una donna tra due divise, romanzo (Tabula fati, Chieti
2002); Due colpi di pistola e Intrigo diplomatico a Londra,
due commedie in tre atti (Ed. Le Maschere, Arezzo 2003);
Barbarella. Il grande romanzo d'amore di Barbara Leoni e Gabriele
d’Annunzio, romanzo storico (Tabula fati, Chieti 2004); Gli
aretini nella storia dell’arte medica, saggio (Centro Studi
Aretini, Arezzo 2004); L’arpa celtica, romanzo (Schifanoia
Editore, Ferrara 2005); Morte in do minore, musical thriller
(Edimond, Città di Castello 2006); Telefoninovelas. Viaggio
attraverso l’Italia dei cellulari, racconti (Edimond, Città di
Castello 2006); Fatale appuntamento a Parigi, romanzo (Tabula
fati, Chieti 2007).
Renzo Montagnoli
Guerra sulle Alpi
(1915 - 1917) di
Fritz Weber Mursia Editore
Storia
Fritz Weber, che durante la Grande Guerra combatté dall'altra parte,
cioè fu per noi un nemico, si rivela uno storico appassionato e al
tempo stesso equilibrato e dotato di innata umanità.
Questo volume, che parla di gesta compiute sulle montagne, anche a
quote impervie, è un commosso omaggio al sacrificio di tanti e un
riconoscimento sincero del valore dei nostri soldati.
Si parte così dall'altopiano di Lavarone ove effettivamente Weber
prestò servizio per arrivare, un po' più in là, al Col di Lana, dove
si combatté una battaglia fra le più sanguinose e che si concluse
solo con l'esplosione della mina che avevano predisposto i genieri
italiani con un lungo e pericoloso lavoro.
Emergono così figure di notevole rilievo, fulgidi esempi di uomini
temprati, già famosi, ma che diventano immortali immolandosi in una
guerra crudele e senza risparmio di colpi, come nel caso della
famosa guida alpina Sepp Innerkofler.
Le notevoli quote a cui si svolgono i combattimenti, il freddo, la
neve, il ghiaccio saranno di volta in volta alleati dell'una o
dell'altra parte, anche se alla fine l'unico vero vincitore sarà la
natura.
Ci sono descrizioni di notevole effetto, narrazioni di eventi che se
non fossero riscontrabili avrebbero dell'incredibile, come la città
nel ghiaccio della Marmolada, perforata da lunghe gallerie costruite
sia dagli italiani che dagli austriaci, cunicoli che a volte
addirittura si incontravano.
Resta la magia della natura a far da testimone agli orrori di una
guerra fra uomini che, in altre epoche, si sarebbero invece
calorosamente salutati lungo gli impervi sentieri delle Alpi.
Renzo Montagnoli
L'autore
Fritz Weber (1895-1972) combattè durante la prima guerra mondiale
con il grado di tenente di artiglieria dell'esercito
austro-ungarico. Altre sue pubblicazioni, edite tutte da Mursia,
sono "Tappe della disfatta" e "Dal Monte Nero a Caporetto".
Renzo Montagnoli
Buio a Stromboli
di Ugo Amati Edizioni
Tabula Fati
Narrativa – romanzo
Stromboli, anni 70.
L’isola non è ancora il paradiso turistico agognato da tanti, ma è
un’isola scarsamente abitata, immersa in un mare infido e in una
natura selvaggia, quasi morta se non fosse per il vulcano che di
continuo fa sentire il suo cupo brontolio.
Ad essa approda nel 1974 l’autore, designato quale medico condotto
di Ginostra, un paesino piccolo e di poche anime.
Perché il Dr. Amati, peraltro all’epoca assai giovane, ha scelto di
isolarsi laggiù?
E’ quello che sapremo leggendo il libro, che ha tutte le
caratteristiche dell’autobiografia, peraltro limitata a un periodo
di tempo breve, ma ritenuto dall’autore di notevole importanza.
Là, dove non esiste nemmeno la luce elettrica, dove si finisce con
il tornare a una vita quasi primitiva, è possibile riflettere sul
proprio passato e meditare sui giorni a venire.
Amati, che è medico psichiatra, ci offre ottime pagine di
descrizione dell’ambiente, di conoscenze umane, rafforzate dalla
solitudine proprie dell’isola, ma spesso indugia professionalmente
sulle riflessioni, rendendole poco in sintonia con la narrazione,
con un cambio di registro che a volte può anche stancare.
In questi casi ho letteralmente evitato di assimilare e ho preferito
proseguire con l’aspetto narrativo, che è invece di buon livello e
che riesce gradualmente a trasmettere un senso di serenità, proprio
di chi ritrova se stesso a contatto con la natura. E’ in questa
chiave, in effetti, che deve essere letto il romanzo, un eccellente
quadro di un’epoca e di un ambiente che non ci sarà possibile
ritrovare.
Renzo Montagnoli
L'autore
Ugo Amati è vissuto in Francia dove è stato in analisi con
Jacques Lacan e dove ha lavorato presso la clinica La Borde diretta
da Jean Oury.
Psichiatra, psicanalista, è autore di numerose opere sui
processi della creazione estetica e sullo spazio della follia.
Alcune sue opere sono state tradotte e pubblicate all'estero. Vive e
lavora a Roma.
Tra le sue opere: Lo spazio della follia (Bertani,
Verona 1974), L'uomo e le sue pulsioni (Melusina, Roma 1994),
Arte, terapia e processi creativi (Borla, Roma 1996),
L'anoressia dello spazio (Borla, Roma 1999), Gnosi e
psicanalisi (Borla, Roma 2002), La psichiatria negata (Borla,
Roma 2003), La pulsione di Orfeo (Borla, Roma 2004), La
luce. Dialogo tra uno psichiatra e un pittore (Il Veliero,
Pesaro 2007), Se Freud si fosse fermato a Rimini (Alpes, Roma
2006).
Renzo Montagnoli
La
pensione Eva di Andrea Camilleri
Arnoldo Mondadori Editore
Narrativa - romanzo
Dopo la lettura, gradevole, ma sinceramente nulla di più, del "Il
colore del sole", non mi sarei aspettato, prendendo in mano
questo "La pensione Eva", di imbattermi in un gran bel
romanzo, uno dei migliori in assoluto fra i numerosi scritti da
Camilleri.
In verità lo scrittore siciliano tende a puntualizzare in una nota
finale: "Quanto scritto intende essere semplicemente una vacanza
narrativa che mi sono voluto pigliare nell'imminenza degli ottanta
anni."
Se questa è una vacanza narrativa, consiglio vivamente a Camilleri
di prendersene altre.
La nota prosegue:"Oltretutto, alla lettura credo che presenti
difficoltà minori di altri miei romanzi. E persino il titolo è
diverso dai miei soliti."
Effettivamente, nonostante lo strano linguaggio che caratterizza
tutta la produzione di Camilleri, risulta assai più comprensibile
del solito.
Sempre leggendo la nota: "Desidero avvertire che il racconto non
è autobiografico, anche se ho prestato al mio protagonista il
diminutivo col quale mi chiamavano i miei famigliari e i miei amici.
E' autentico il contesto. E la pensione Eva è veramente esistita…".
La precisazione è doverosa, in quanto si ha l'impressione che il
racconto sia autobiografico e forse, in parte, lo è, perché certi
turbamenti adolescenziali sono propri di tutti gli esseri umani.
Se la trama principale è la nascita, il successo e poi la fine,
drammatica, di una casa di tolleranza che ha la sede a Vigata, si
allacciano altre vicende, non sempre secondarie, che hanno il pregio
di fornirci una visione viva e realistica di un'epoca.
Tutto ruota, in effetti, intorno alla figura di Nenè che si presenta
fin dall'inizio con i suoi dodici anni e che poi chiude la
narrazione al raggiungimento della maggiore età.
I turbamenti sessuali di questo fanciullo, i giochi con la cuginetta,
le paure di non essere abbastanza uomo sono raccontate con mano
leggera, senza mai indulgere al laido, anzi non è infrequente un
sorriso di comprensione alla luce della naturale innocenza del
protagonista.
Non deve comunque stupire che Camilleri, a ottanta anni, si sia
messo a scrivere dell'amore carnale, perché vi sono degli illustri
precedenti e tanto per citarne uno mi permetto di fare il nome di
Garcia Marquez con "Memoria delle mie puttane tristi". In
effetti, sono dell'opinione che, giunti a una certa età, riesca più
facile scrivere proprio dei turbamenti giovanili, vivi mentalmente
nel ricordo, ma privi ormai della pulsione fisica del ricordo
stesso.
Questo Nenè, che si scopre, o meglio si illude di essere Casanova,
ci condurrà dentro la famosa pensione, ci renderà partecipi di
avventure varie, mentre la voce narrante ci porterà gradualmente a
conoscere la tragedia, nell'isola, della seconda guerra mondiale, in
pratica fino allo sbarco anglo americano.
La descrizione degli eventi bellici è quanto di meglio ci si possa
attendere: poche, sapienti incisive immagini e il lettore percepisce
chiaramente lo stato di tensione derivante dai bombardamenti, lo
sfascio di un regime e la psicosi della gente ormai in balia degli
eventi.
Non stupisce, poi, la simpatia dell'autore per le ospiti della
pensione, persone deboli, con storie familiari spesso tragiche, e
come è ben noto Camilleri ha sempre un occhio di riguardo per gli
umili e i diseredati.
L'ambientazione è resa in modo mirabile, la mano è felice e lieve
nel trattare argomenti un po' scabrosi, la trama è avvincente, i
vari personaggi sono azzeccati, la lettura è agevole.
Insomma, non è possibile pretendere di più da un libro.
Renzo Montagnoli
L'autore
Andrea
Camilleri
(Porto Empedocle, 1925), regista di teatro, televisione,
radio e sceneggiatore. Ha insegnato regia presso l’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica. Ha pubblicato numerosi saggi sullo
spettacolo e un volume, I teatri stabili in Italia
(1898-1918). Il suo primo romanzo, Il corso delle cose,
del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla TV col titolo La
mano sugli occhi. Con questa casa editrice
ha pubblicato: La strage dimenticata (1984), La stagione
della caccia (1992), La bolla di
componenda
(1993), Il birraio di
Preston (1995), Un filo di
fumo (1997), Il gioco della mosca (1997), La
concessione del telefono (1998), Il corso delle cose
(1998), Il re di Girgenti
(2001), La presa di Macallè (2003), Privo di titolo
(2005), La pensione Eva (2006); Il colore del sole
(2007); e inoltre gli altri romanzi con protagonista il commissario
Salvo Montalbano:
La forma dell'acqua (1994), Il cane di terracotta
(1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino
(1997), La gita a Tindari
(2000), L'odore della notte (2001), Il giro di boa
(2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta
(2005), La vampa d'agosto (2006).
Renzo Montagnoli
Vedrò
Singapore? di Piero Chiara
Mondadori Editore
Gli Oscar - Edizione 1983
Narrativa - romanzo
Il destino spesso è strano. Vedrò Singapore?, probabilmente uno dei
romanzi migliori di Piero Chiara, fu edito nel lontano 1981,
ottenendo fin da subito un considerevole successo di critica e di
vendite (in circa un anno si parla di 500.000 copie). Ci furono poi
successive ristampe, ma da un po' di tempo il libro non è più nel
catalogo dell'editore, come se avesse esaurito l'originaria spinta
iniziale. Ed è un vero peccato che non sia reperibile se non su
qualche bancarella di libri usati, perché questo romanzo è il frutto
di una maturità, che se aveva fatto gridare al miracolo all'uscita
de Il piatto piange, qui si rivela in tutta la sua complessità che
Piero Chiara ha saputo tradurre in poche e semplici parole: "Era
lei, la Ilde, a quarant'anni, che veniva dall'avvenire, dal futuro,
a dirmi che la vita è quella che è, orribile, ma sopportabile."
Il senso di rassegnazione alle vicende umane, quella sorta di
impotenza a opporsi al destino, tanto che vale la pena di lasciar
fare, di non angustiarsi, di agire d'impulso, è più che mai presente
in quest'opera, ambientata, per così dire, fuori casa, fra le
solitarie valli di quell'Italia orientale acquisita a seguito della
prima guerra mondiale. Se l'ambiente però non è più quello di Luino
e del lago Maggiore i personaggi e le storie acquisiscono una comune
identità, tanto da confermare che ogni mondo è paese, soprattutto
quando le realtà sono rappresentate da villaggi di pochi abitanti,
dove tutti si conoscono e dove la familiarità è quasi d'obbligo.
L'epoca, poi, è la stessa di quella de Il piatto piange, quegli anni
30 in cui il fascismo sembrava ormai consolidato e la rassegnazione
era la caratteristica comune di chi credeva che la libertà non
sarebbe più tornata. Una vita fatta di circoli chiusi, di spirali,
in cui i personaggi si muovono lasciandosi andare, una ricerca del
modo di trascorrere il tempo che sfocia in continue abitudini:
questo è il mondo, inserito in quell'epoca, che così bene Piero
Chiara sa descrivere.
Fra l'altro il personaggio principale è proprio l'io narrante,
trasferito in quei lontani posti dalla natia Luino, o meglio dalle
onde del Lago Maggiore, come esordisce lui stesso a un certo punto.
E' un uomo che più che vivere sopravvive, senza interessi (nemmeno
quello del lavoro) e che ritrova un po' il piacere dell'esistenza
nelle compagnie.
Se le vicende del romanzo, a corredo del filone principale, sono
numerose, bene articolare e spesso spassose, i personaggi di
contorno sono uno più azzeccato dell'altro, perfino nei nomi.
Così si incontra il terribile e temuto Mordace, un caporione
fascista che in quelle lontane terre vigila e dispone per
italianizzare e fascistizzare tutti gli abitanti, oppure il Pretore
Merdicchione, l'ex magistrato Carlo Fohn, ora ridotto a ladro di
polli, il tavolarista Andrea Zciuka che nasconde nei locali della
pretura un'amante da caravanserraglio, il procuratore delle imposte
Palateo, di orribile bruttezza, che va a letto con la bella promessa
sposa del corazziere, l'avvocato Grisella che vive veramente solo
nel momento del suicidio, la conturbante Brunilde, che si nega a
tutti, ma che poi si avvia al meretricio in casa d'appuntamenti.
Un campionario vario di esseri umani, tutti accomunati dal fatto di
essere dei falliti e dalla consapevolezza di questo loro destino,
dona al romanzo, in una serie di incastri, uno spessore di notevole
rilievo.
L'emblematico finale non fa altro che rafforzare il pessimismo di
Chiara: al personaggio principale, a seguito di una sua
disavventura, viene offerta la possibilità di non pagarne le
conseguenze, a patto che accetti di essere allontanato. Ob torto
collo acconsente all'essere imbarcato con la qualifica di scrivano
su un bastimento diretto a Singapore. "Vedrò Singapore?" si chiede
allora di fronte alla prospettiva di un cambiamento radicale della
propria vita. Ma, forse portato dal vento, gli arriva un sussurro:
"Torna alle onde del Lago Maggiore". Il romanzo finisce
nell'incertezza: si imbarcherà o ritornerà a Luino? Sono propenso a
credere alla seconda ipotesi: anche se ci si lascia trasportare dal
destino, la vita è meno orribile se si torna alle origini. E poi una
decisione importante non è nella natura del protagonista che sembra
dirci: meglio la certezza di una vita da poco che l'incertezza di
un'altra vita assai probabilmente ancor da poco.
Renzo Montagnoli
L'autore
Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di
origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma poi abbandona la scuola,
completando da autodidatta la propria formazione culturale.
Dipendente di un'amministrazione statale, vive, durante gli anni del
fascismo, la più chiusa e al tempo stesso più eccitante vita di
provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi d'amore.
Data la sua naturale indole al dissenso, diviene inviso al fascismo,
al punto che il Tribunale Speciale emette una severa condanna nei
suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in Italia con un'aureola di
antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento nell'Italia
repubblicana.
Inizia un periodo di fervida creatività che lo porta ad abbandonare
il lavoro nell'amministrazione statale per dedicarsi unicamente alla
scrittura.
Nascono così i romanzi Il piatto piange, La spartizione,
1964; Il balordo, 1967, con cui vinse Il Bagutta; Il
Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976;
Il cappotto di astrakan, 1978; Vedrò Singapore?, 1981,
oltre a molti altri, una produzione tutta di notevole livello, dove
la capacità dell'autore di scrivere con equilibrio, di non indulgere
mai alla volgarità anche nelle storie più scabrose, non viene mai
meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31 dicembre 1986.
Renzo Montagnoli
Una
terra per Siran di Manuela
Avakian Prospettiva Editrice
AVAKIAN, una scrittrice testimonia l’Armenia.
Manuela Avakian, col suo romanzo d’esordio “Una terra per Siran”, ci
conduce fra il popolo armeno.
Prende spunto dalla propria vicenda familiare, per raccontarne
l’ingiustizia dell’esilio. La sua narrazione ha ambientazioni
storico geografiche precise. Ci accompagna in Armenia a
scandalizzarci del suo sangue, poi in Etiopia, infine in Italia,
riuscendo a farci vivere usanze e mentalità di ciascuna etnia. Quasi
assaporiamo i piatti armeni cucinati dalla protagonista, Siran. Con
lei ci affacciamo sulle tukul in Africa. Dal suo salotto vediamo le
rotonde capanne di fango, ne sentiamo il puzzo di sporcizia e
malattia mentre gli indigeni ci coinvolgono nelle loro esistenze,
distinguiamo le case a luci rosse ancora più sudice per la sifilide.
Poi il disagio per le stagioni italiane sconosciute all’Africa e lo
stupore per i suoi paesaggi di uliveti e boschetti di ginepro. Per
finire ad imprimere orme sul bagnasciuga, con la certezza di
calpestare finalmente la propria terra.
E con Siran soffriamo per l’inflizione di un’educazione troppo
turchizzata. Non vero retaggio armeno, ma assimilazione di una
cultura “nemica”. Con lei ci ribelliamo ma alla fine versiamo
lacrime quando il padre ammette la sua troppa durezza.
La storia è una dei protagonisti del romanzo. Primo paese al mondo
ad adottare il Cristianesimo come religione di stato, l’Armenia,
anche per essa, è da sempre teatro di conflitti. È’ raccontata
durante il genocidio, movente dell’emigrazione della famiglia
Hagopian. Quello più recente del 1915/1916, in cui i Giovani Turchi
inseguirono il mito della Grande Turchia anche orrendamente
massacrando minoranze. L’Armenia ne aveva già subito uno precedente,
scatenato dal sultano dell’impero ottomano Abd – ul – hamid II negli
anni 1894/1896 e ne portava ancora le ferite.
Sangue. E ancora sangue. Tutt’ora sangue, in questa terra senza
pace.
Il 20 gennaio 2007, la stampa ha riportato l’omicidio del
giornalista e scrittore armeno Hrant Dink, già condannato per offesa
all’identità turca. Lo stesso reato per i quali sono stati
condannati altri due scrittori, il premio nobel per la letteratura
Orhan Pamuk e la scrittrice, questa volta turca ma grande amica di
Dink, Elif Shafak per il libro “Il bastardo di Istambul”. Come Dink,
hanno scelto di rimanere in patria per amore della propria terra e
dei propri avi, pronti al sacrificio sino alla morte. Si potrebbero
citare anche altri nomi, piuttosto noti nel mondo, che hanno
stabilito di superare la neghittosità tipica orientale ed esporsi in
prima persona. In Turchia l’incognita del successo di raggiungere
l’unico vero baluardo della libertà rimane l’islamismo. La sua
violenza e radicalità sono purtroppo ostacoli difficilmente
superabili.
Sangue. Tutt ‘ora sangue. E sangue chissà per quanto ancora.
Antonia Arslan, conosciuta scrittrice e giornalista italiana,
testimonia il sopruso attraverso le vicissitudini della propria
famiglia, col suo primo romanzo “La masseria delle allodole”. In
tono colloquiale, come in una chiacchierata accanto al camino, ci
presenta affettuosamente i suoi cari. Scevro d’odio, il romanzo
narra da una situazione iniziale di agiatezza al tramonto di gran
parte dei componenti della famiglia. Sempre distintasi per l’ottima
reputazione ed educazione, la famiglia Agopian insegnava ai propri
bambini a non mostrare dolore. L’educazione esige compostezza.
Facile, quando il dolore è un gioco. Quando dura il momento di una
foto. I piccoli armeni, in posa d’avanti ad una macchina
fotografica, giocavano a dissimulare quello dei calci e pizzichi che
si tiravano a vicenda. Chi sarebbe apparso più bravo? Ignoravano che
presto ne sarebbe toccato uno terribile, solo da urlare.
Un piccolo dolore soffocato può avere impedito di gridarne uno molto
più forte? La troppa educazione e fiducia nella rettitudine degli
altri, può aver ostacolato il riconoscimento del pericolo e il
fuggire in tempo? E nel silenzio le donne della famiglia subirono
l’inquadramento in massacranti marce, pause in campi profughi, e
ogni sorta di violenza. Ma a loro, alle sopravvissute, essendo gli
uomini tutti sterminati, toccava accusare. La loro voce, ancora
troppo poco ascoltata, incrimina attraverso una loro discendente.
Donna e scrittrice.
Avakian si associa alla Arslan nel traghettare la sua famiglia
dall’inferno dell’Armenia alla salvezza in Italia. Entrambe
descrivono atrocità senza falsi pudori, perché la guerra non merita
veli. Narrano gli abusi che si accavallarono sommergendo un popolo
nell’asfissia del dolore, togliendoli ogni traccia d’umanità. Lo
denunciano tutti i personaggi. Ad uno secondario, Heripsime, Avakian
dedica i versi di Primo Levi
“Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e il grembo
come una rana d’inverno …..”
Heripsime nelle forzate marce della morte. Heripsime nei campi di
concentramento. Heripsime, nel dolore e nel silenzio. Chi grida per
lei? Chi piange per lei? Chi l’ha conosciuta? Chi sapeva del suo
martirio? Sofferenza e solitudine. Un popolo malvagiamente offeso e
circondato dal silenzio, nonostante l’impietoso spettacolo dei suoi
cadaveri ammucchiati ovunque. Vittime su vittime.
Un emblema.
È’ così che succede sempre. Il genocidio è solo un’amplificazione
del quotidiano. La sofferenza è vissuta fra l’indifferenza di tutti.
La sofferenza educata, quella che si ha pudore di manifestare, non
viene colta. Quella gridata rompe temporaneamente il muro
dell’indifferenza, giusto il tempo di farsi compatire. Ma rimane
sempre sola. Unico vero possesso incondivisibile. Diventa il modo di
sentire, il filtro attraversato dagli avvenimenti della vita che ne
dimensiona la gravità. Rende succubi. Come il padre di Siran.
Affronto su affronto. Genocidio e silenzio. Conosciuto quello degli
ebrei. Ancora soffocato dalla magistratura turca quello armeno. La
ribellione dell’autrice per l’ingiustizia è esplicita. Persino gli
ebrei sono da invidiare. La loro tragedia, in ogni modo commemorata,
esalta la loro sorte. Gli armeni sono a tutti sconosciuti e la loro
sciagura addirittura negata. In effetti Avakian, del tutto incapace
di distacco, non racconta con freddezza cronografia gli avvenimenti
che hanno influito pure sulla sua vita.
Al contrario dell’Arslan, che incentra il suo romanzo sul genocidio,
Avakian oltrepassa la travagliata odissea dei progenitori e ci
racconta il presente in Italia. Siran, vive tra noi, insegna, decide
di divorziare, si apre ad un’intramontabile storia d’amore, si
riconcilia coi genitori e, soprattutto, ritrova se stessa. È una
donna in cerca della propria identità. Per conoscersi percorrere a
ritroso la propria esistenza, sino a gridare, alla fine del romanzo,
“sono armena!” finalmente consapevole del significato.
Dalla nascita Siran è vissuta da esiliata, in cerca di una patria
accogliente. “Quale mai sarà il luogo dei miei sorrisi. Ma io sono
stanca, stanca di girare, di cercare un posto che forse non c’è”.
Sogna di far parte integrante di una ben determinata società, dai
confini fisici prestabiliti. Invece, troppo spesso “Siran si sentì
sospesa in uno strano spazio/tempo che non apparteneva a nessun
luogo. Per una come lei che aveva quel profondo bisogno di
appartenere, la sensazione era insostenibile. Appartenere ad una
terra, ad un popolo. Avere delle origini”. Nel corso del romanzo
questa necessità si esterna con espressioni sempre diverse. Siran si
percepisce esule. Figlia di gente strappata alla propria esistenza,
di rimpianti trasmessi per generazioni, straniera priva di connotati
distinguibili fra gente indifferente. L’unico riconoscimento della
propria identità le viene dall’uomo che l’ha veramente amata.
Vittorio, solo leggendo il nome sul registro delle presenze dei
docenti, sa tutto di lei. Dal suo arrivo in Italia, Siran aveva
avuto moti di stizza per l’ignoranza palesata da chiunque e dalla
superficialità nel non volerne sapere di più. Vittorio la sorprese
per la sua cultura. E proprio la cultura, tanto amata da Siran, fu
freccia e linfa del loro amore.
Il romanzo ha due dimensioni. Accanto alla narrazione troviamo Siran
che si espone in prima persona scrivendo tenere lettere. Nel
confronto liberatorio con il foglio bianco riversa la sua vera
essenza, permettendo ai suoi sentimenti di fluire sinceramente. I
pensieri scorrono cercando di convergere nella sua dimensione. Si
racconta, si analizza, si ricorda, versa lacrime nel tornio della
propria mente per forgiare la sua armonia. E ci riesce. Siran
diventa consapevole di se e trova la forza di camminare verso il
futuro nella terra che finalmente sente propria.
Angela Plati
L'autore
Manuela Avakian scrittrice trentenne tarantina esordisce col romanzo
“Una terra per Siran” Prospettiva Editrice. Il romanzo è stato
premiato dal Collegio Pontificio di Roma, finalista al premio Calver,
recensito da testate giornalistiche anche nazionali tra cui La
Repubblica e addirittura internazionali come il New York Review of
Books. Il romanzo è adottato nelle scuole come testo di lettura. Ha
pubblicato su “Nuovi Argomenti” il racconto “Un destino nell’hadig”.
Angela Plati
Camp
Attack di Larry Lisca
Casa Editrice I Sognatori
Copertina e disegni di Francesca Santamaria
Satira
Non avete mai frequentato un campeggio?
Non importa, perché in questo libro il luogo è un pretesto per
parlare della nostra società, dei suoi difetti, che poi sono i
nostri, e infatti non mancherete di accorgervi di avere una o più
delle caratteristiche delle tipologie di personaggi che Larry Lisca
è riuscito a descrivere così bene.
Diciamo che si ride, e spesso, ma il fatto che ci possiamo
rispecchiare in queste caricature fa sì che il riso sia amaro.
Francamente, però, era da diverso tempo che, leggendo, non avevo
occasione di divertirmi, un po' perché di testi che inducano
all'ilarità ce ne sono pochi e anche perché certamente non è facile
far ridere ed è comunque assai più difficile che far piangere.
Definire la tipologia dell'opera di Larry Lisca non è cosi semplice
e anche lui in un'intervista riportata a fine volume non la
considera un romanzo, né un saggio, né una guida.
Secondo me è una sorta di riflessione satirica, in cui l'ironia
spesso sfocia nella comicità, dove la zampata arriva quando meno
l'aspetti, senza tuttavia essere una pochade.
Le osservazioni sono pertinenti e puntuali, e quindi le tipologie
dei personaggi non sono inventate, e in ogni caso ciò che conferisce
rilievo all'opera è lo stile con cui i concetti vengono esposti, una
sorta di humor all'inglese che evita possibili pesantezze e che
comunque permea ogni riga, stemperando l'eventuale impertinenza di
alcune affermazioni.
Quindi una lettura agevole, tanto che ho letteralmente divorato il
libro, che non è solo comicità, ma soprattutto è occasione di
opportune riflessioni.
Peraltro, Larry Lisca, in mezzo a tutti i suoi personaggi ne
individua al termine uno a cui riserva un trattamento ben diverso.
Mi riferisco al lettore, l'unico che non cerca di apparire diverso
da quello che è, il solo che nella frenesia vacanziera non viva in
funzione degli altri, ma si appaghi meditando sulle righe del volume
che ha in mano.
La circostanza è tanto più piacevole, perché l'autore, nella sua
prima opera, ha voluto tributare un commosso omaggio a quanti
aspirano effettivamente a conoscere attraverso la lettura. Per
questi non c'è satira, ma solo tanta simpatia.
Come al solito, la veste tipografica è eccellente e, oltre
all'indovinata copertina, Francesca Santamaria ci regala all'interno
anche dei riusciti disegni, in linea con i personaggi presi di mira.
In buona sostanza, se volete divertirvi, se amate la risata, se
volete fermarvi un attimo a guardare con occhi disincantati voi e
gli altri, questo è il vostro libro.
Renzo Montagnoli
L'autore
Larry Lisca, pseudonimo di Leonardo Lisca, nasce a Lecce nel 1956.
Camp Attack è il suo primo volume; ora sta scrivendo un
romanzo umoristico.
Renzo Montagnoli
Spiegazioni con mare e altri elementi di
Gabriel Impaglione Editrice UNI
Service
Poesia - Silloge
Nei versi di questa silloge si riflettono le condizioni dell'autore
di essere parte di due patrie: quella originaria, derivante dalla
sua nascita, dalle sue esperienze giovanili e in cui è maturata la
visione politico-poetica del mondo, e quella acquisita con il suo
matrimonio con Giovanna Mulas.
Il mare divide questi due regni di vita, ma anche li unisce, perché
i punti contatto, i sentimenti, le emozioni si fondono in una
universalità dell'esistenza che ci fa ben dire che non esistono
confini, ma distanze, che non vi sono nazionalità, ma uomini che
esprimono un comune sentire in lingue diverse.
Del resto di questo impegno non solo poetico, ma anche politico
Gabriel Impaglione ci ha già detto molto con Carte di Sardinia, ma
là in una dimensione più astratta, con una veemenza che qui si sfuma
nella quotidianità dei comportamenti, nell'appagamento di una serena
vita familiare, come un Ulisse che, dopo tanto peregrinare, è
approdato finalmente alla sua Itaca, ma che anela a che tutti
abbiano la possibilità
di ricongiungersi alle loro piccole isole-famiglie .
Ecco appunto la mirabile fusione fra il discorso politico e quello
poetico, la forza stemperata dall'affetto, ma proprio per questo più
incisiva.
Domande
Come si dice Pace perché si capisca?
Posso scrivere Fraternità in tutti gli idiomi?
Se non ti nomino posso dire Amore con tutte le lettere?
Perché chiamano globalizzazione l'imperialismo?
Perché all'imperialismo dicono democrazia?
Si può dire Libertà nei saloni dell'ONU?
Fu una goccia di sogno il principio di tutti i mari?
Come spiegarmi quando mi guardi?
Un poeta non ha se non tante domande.
…….
Ecco, mi sono permesso di riportare i primi versi di questa poesia,
peraltro molto lunga, unicamente come esempio di quanto ho scritto
sopra.
Aggiungo, inoltre, che la componente armonica, l'equilibrio fonetico
è sempre presente e costituisce, nella lingua originale, una
caratteristica consolidata dell'autore, e infatti, opportunamente, i
testi sono riportati anche in versione spagnola.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gabriel Impaglione (BsAs.1958) poeta e giornalista argentino.
Alcune sue pubblicazioni: "Echarle pájaros al Mundo" (Ediciones
Panorama, BsAs, 1994), "Breviario de Cartografía Mágica" (El Taller
del Poeta, Galicia, 2002), "Poemas Quietos" (Antol. Editorial
Mizares, Barcelona, 2002), "Bagdad y otros poemas" (El Taller del
Poeta, Galicia, 2003), "Letrarios de Utópolis" (Linajes Editores,
México, 2004), "Cuentapájaros" (Taller del Poeta, Galicia), "alala"
(Taller del poeta, España, 2005), "Carte di Sardinia" (UNI Service,
2006).
Dirige la rivista letteraria Isla Negra, coordina edizioni in
italiano e sardo di Isola Nera e Isola Niedda. Collabora con varie
riviste d'oltreoceano.
Renzo Montagnoli
Segreti dei Gonzaga di Maria
Bellonci Mondadori Editore
Narrativa - romanzo storico
Dopo la lettura dello splendido "Memorie di Adriano" di
Margherite Yourcenar è stato istintivo riprendere in mano un romanzo
storico per certi versi analogo e di indubbio valore.
Mi riferisco a "Segreti dei Gonzaga" di Maria Bellonci, edito per la
prima volta nel 1947 e poi soggetto a più ristampe, di cui l'ultima
risale al 2001.
In proposito, a parte le epoche diverse, non è difficile riscontrare
molti tratti comuni fra le due opere.
In effetti ci si chiede se Maria Bellonci abbia inteso scrivere un
trattato storico o un romanzo storico, ma la risposta che ci si può
dare al termine della gratificante lettura è difforme dalla domanda.
Troviamo infatti una ricerca minuziosa e approfondita dei documenti
a sostegno della trama, rileviamo una esauriente dissertazione
storica dove la Bellonci non si lascia mai trasportare da voli di
fantasia, ma che ha anche e soprattutto il pregio di attuare uno
scandaglio psicologico dei personaggi, entrando nel loro animo.
L'abilità dell'autrice è di avvincere sulla base di dati
rigorosamente rispettati, restando in un limbo indefinibile fra
storia e romanzo, una capacità tutta sua, una dote unica potremmo
dire, grazie all'abbinamento fra la profonda conoscenza scientifica
e l'umanità e sensibilità della scrittrice, fuse in modo
impercettibile, ma con effetti di grande rilevanza.
La narrazione della corte mantovana, del suo ambiente regale e
sontuoso si riveste di un'insolita amarezza, a cui non poco
contribuisce la crudeltà delle vicende, un comune denominatore che
anima la ragione dinastica, la morbosità del sesso e dell'amore, il
fasto, inutile di fronte alle leggi della vita.
In questo modo emerge un quadro di un periodo di questa grande
dinastia che, anziché lasciare i personaggi nelle crude pagine della
storia, li fa rivivere con tutti i loro difetti, le loro debolezze
proprie di ogni essere umano, com'era un tempo e com'è anche ora.
Ci troviamo di fronte a un'opera di grande pregio e se forse
l'accostamento a "Memorie di Adriano" può sembrare azzardato,
perfino impertinente, posso dire, a mio parere, che anche "Segreti
dei Gonzaga" è un capolavoro.
Renzo Montagnoli
L'autore
Maria Villavecchia Bellonci (Roma 30 novembre 1902 - 13 maggio 1986)
esordisce come scrittrice con la biografia di Lucrezia Borgia (Mondadori),
opera tradotta in più lingue e di notevole successo.
Appassionata di storia, dove era un'autorità, e di letteratura, nel
1947 diede vita con Guido Alberti, proprietario della nota industria
di liquori, al Premio Strega, che lei stessa ottenne nel 1986, anno
della sua morte, con Rinascimento privato (Mondadori).
Le altre sue pubblicazioni sono Marco Polo (Rizzoli),
Delitto di Stato (Mondadori), Tu vipera gentile (Mondadori),
Pubblici segreti (Mondadori) e Segni sul muro (Mondadori).
Renzo Montagnoli
Memorie di Adriano di Marguerite
Yourcenar Edizioni Einaudi
Narrativa - romanzo storico
"Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora
t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non
avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiano insieme
le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più…
Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti…"
Con i versi della poesia che Adriano scrisse lo stesso giorno della
morte termina lo stupendo romanzo di Marguerite Yourcenar.
Frutto di un lavoro di ricerca durato anni, di un'indagine attenta e
laboriosa, rappresenta un ritratto di fulgida bellezza di questo
imperatore.
Come raccontare la storia di un uomo, del suo modo di vedere, di
ascoltare, di sentire, dando un quadro della sua grandezza? Come
riconoscergli l'immortalità, una vita oltre la morte?
L'autrice parte da dati storici, da tracce, da scritti anche
autografi e, anziché narrare la sua vita, fa parlare lo stesso
Adriano, che ripercorre le tappe della sua esistenza, in una sorta
di monologo interiore, per mezzo di una lunga lettera che scrive a
Marco Aurelio.
E' un uomo vecchio, malato, ormai incapace di sopportare i pesi di
governo quello che ci viene rappresentato, in una sorte di poema
d'amore alla vita.
E così Adriano racconta della sua ascesa agli alti gradi militari,
le campagne di guerra condotte con capacità nonostante lui ami la
pace, il rispetto per l'avversario mai definito nemico, il desiderio
di conoscenza che non lo abbandonerà poi, il matrimonio di
convenienza che lo lascerà insoddisfatto, le astuzie e gli
intrallazzi per arrivare al trono, l'amore per il giovane Antinoo,
il dolore disperato per la sua morte, sentimenti, emozioni e
passioni di un uomo per il quale tuttavia il senso del dovere e
dello stato vengono sopra ogni cosa, in quella responsabilità, che
avverte sempre presente, della bellezza del mondo.
E lui è uomo in tutto, anche nel vivere la sua morte, nelle profonde
riflessioni del suo ultimo scorcio di vita, nell'accettazione
rassegnata del destino, consapevole della gravità del suo stato, nei
suoi sentimenti di riconoscenza per chi gli è sempre stato vicino e
che non l'abbandonerà fino al momento fatale.
In questo contesto l'autrice ha il merito di essersi messa al
servizio del personaggio, quasi nella veste del messaggero che
porterà la lettera; sempre fedele ai fatti, tutto il resto è
affidato alla sua grande sensibilità.
Ne esce un Adriano di grandissimo spessore, ma uomo come noi, alla
continua ricerca di un modo per conciliare dovere e felicità,
sentimenti e intelligenza, sogni e realtà.
Così, mentre consegna le sue spoglie mortali all'Ade, l'autrice ne
immortala il ricordo in un autentico capolavoro della letteratura,
un libro da leggere e rileggere, un raro esempio del felice incontro
di due grandi: Publio Elio Traiano Adriano e Marguerite Yourcenar.
Seguono poi i Taccuini di appunti, con i quali si può verificare
l'accurata meticolosità del lavoro intrapreso, nonché l'interessante
resoconto della traduttrice Lidia Storoni Mazzolani.
Renzo Montagnoli
L'autore
Marguerite Yourcenar, pseudonimo di Margherite de Crayencour, nasce
a Bruxelles l'8 giugno 1903 e muore a Mount Desert il 17 dicembre
1987, dopo una vita avventurosa ed errabonda. Le sue opere
principali sono Alexis o il trattato della lotta vana (1928), Il
colpo di grazia (1939), L'opera al nero (1968) e, soprattutto,
Memorie di Adriano (1951).
Renzo Montagnoli
Dare
voce al silenzio di Patrizia
Garofalo Edizioni Il Foglio Poesia - Silloge
Il silenzio
Affretta
I passi del tempo
E
Inghiotte parole
Infreddolito
Ornato di neve
Si è dissolto
Muto
Non avevo mai letto una lirica di Patrizia Garofalo, ma aprendo
quasi per caso, come un segno del destino, il volume contente la sua
silloge alla pagina 53, laddove il mio dito si è inserito senza
nessuna volontà, quasi attratto, ho trovato la poesia di cui sopra.
Sarebbe riduttivo dire che questi pochi versi mi hanno fortemente
impressionato, perché in effetti è stata una piacevolissima sorpresa
il constatare la straordinaria vena creativa e stilistica.
Poche, pochissime parole composte in perfetto equilibrio, in una
sintesi di raro effetto che mi ha condotto a un giudizio positivo e
che ha trovato poi conferma anche nelle altre liriche, pur se questa
mi sembra, ma è ovviamente solo la mia opinione, la più riuscita.
Del resto, Il silenzio, è citato anche in chiusura della esauriente
prefazione di Attilio Mauro Caproni, come un passo necessario per
l'autore, una volta che ha svelato a se stesso e agli altri
l'inconscio del suo animo, una sorta di abbandono che non è rifiuto,
ma autonomia di realizzazione concreta di ciò che è il proprio
pensiero.
La silloge si dipana in una sorta di diario, in un susseguirsi di
puntualizzazioni, di trasposizioni della propria vita interiore, una
sorta di autoanalisi da cui scaturisce l'immagine che, pur dentro di
noi, ci è sconosciuta prima di intraprendere questo lavoro di
indagine.
In effetti, tutto quanto non appare esteriormente ci è spesso
ignoto, è una sorta di silenzio che occupa l'animo e che attende
solo la nostra verifica per risuonare, quasi un grido di liberazione
del nostro io.
Una tematica quindi complessa, non facilmente sviluppabile, e ciò
nonostante l'autrice è riuscita nel compito e in modo anche egregio.
Per quanto concerne l'aspetto stilistico mi limito ad osservare come
nell'essenzialità del verso assumano rilevanza, anche formale, le
parole, studiate, meditate e infine armonizzate al fine di giungere
a un equilibrio di sonorità e di tempi.
Renzo Montagnoli
L'autore
Patrizia Garofalo vive e insegne lettere a Ferrara.
Ha pubblicato 4 libri di poesie:
Ipotesi di donna (1986, Edizioni Corbo);
Le bambole non si pettinano (1992, Edizioni Corbo);
Terra di nomadi (1996, Casa Editrice Poesia Contemporanea);
Mare d'anime (2003, Schifanoia).
Ha sceneggiato per il teatro il suo primo testo che è stato
rappresentato da più parti tra cui LA Polivalente di Ferrara.
Renzo Montagnoli
La
prima guerra mondiale di Keith
Robbins Arnoldo Mondadori Editore Storia
Di libri sulla prima guerra mondiale ne sono stati scritti tanti, e
non mi riferisco ai romanzi, peraltro numerosi e assai noti come "Niente
di nuovo sul fronte occidentale" di Remarque o "Addio alle
armi" di Hemingway, ma ai saggi storici.
Non intendo citare le opere generali e corpose di Keegan, di
Willmott o di Ferguson, e nemmeno la storiografia specialistica in
ordine all'aspetto militare dal punto di vista strategico, oppure
tattico (vedasi l'opera assai valida di Basil Liddell Hart "La
prima guerra mondiale. 1914-1918").
Quella che mancava era una trattazione organica e completa, ma resa
facilmente comprensibile per un comune lettore, cioè un qualche cosa
di esauriente, ma non da addetto ai lavori.
Ha provveduto a questa necessità Keith Robbins, che, in questo
volumetto proposto da Mondadori fra gli Oscar e quindi a un prezzo
accessibile, riesce nel quasi impossibile compito di fornire una
visione d'insieme del conflitto scritta in modo accattivante e anche
con apprezzabile sinteticità.
Il metodo adottato è quello di procedere per argomenti e per
ciascuno di questi evidenziare solo gli aspetti più salienti.
Così le cause del conflitto sono parte del primo capitolo, a cui
segue l'andamento delle operazioni belliche, visto più da un
generale punto di vista strategico che da quello tattico;
successivamente c'è un'ampia trattazione riguardante gli armamenti,
poi si passa agli scopi dei belligeranti e, posteriormente a
un'analisi del fronte interno, si perviene all'esperienza della
guerra, con i riflessi letterari, i problemi demografici e quelli
morali.
Penso che di più non si possa pretendere, alla luce anche di una
sostanziale imparzialità di giudizi dell'autore, che non risparmia
da critiche nemmeno i suoi connazionali.
Per chi desidera conoscere un'epoca che ha segnato, e continua a
segnare, gli anni successivi, senza dover sudare le proverbiali
sette camicie per comprendere, mi sento di affermare in tutta
tranquillità che questo libro è perfettamente rispondente allo
scopo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Keith Robbins insegna Storia Moderna all'Università di Glasgow.
Le sue più importanti pubblicazioni sono: Sir Edward Grey,
The Abolition of War, The Eclipse of a Great Power:
Modern Britain 1870-1975, Nineteenth-century Britain:
integration and diversity.
Renzo Montagnoli
Il
cimitero dei giocattoli inutili e altri racconti calpestati
di Aldo Moscatelli Casa
Editrice I Sognatori
Narrativa - raccolta di racconti
Non ho mai capito perché buona parte dell'editoria ignori le
antologie di racconti scritti da un solo autore (per quelli, per
così dire a più mani, invece c'è un certo mercato). Eppure spesso il
risultato può essere migliore di un romanzo che, se non piace, non
vende. Nel caso dei racconti, invece, può essere che se ne trovi
qualcuno meno gradevole insieme ad altri che invece possono
considerarsi riusciti. Inoltre, è di più rapida e di più facile
lettura un racconto rispetto a un romanzo, se non altro perché, per
il numero più ridotto di pagine, ogni storia finisce lì e non c'è
bisogno di andarsi a rileggere i precedenti quando si riprende in
mano il libro.
Dopo questa premessa vengo a parlare di questa bella antologia di
Aldo Moscatelli, giovane autore, nonché editore, che ha anche
pubblicato un romanzo, il noir L'orologio di cenere.
Questi racconti sono stati scritti, con mano sicura, in un arco di
tempo piuttosto lungo (dieci anni), ma non rivelano la differenza
epocale di creazione, anche perché, se pur diversi nelle trame, li
unisce un filo comune, rappresentato dalle tante domande che
l'autore si pone in ordine alle problematiche fondamentali
dell'esistenza. Insomma, sono una sorta di discorso filosofico, per
nulla abbozzato, anzi molto approfondito, elaborato in modo da
renderlo accessibile alla maggior parte dei lettori,
indipendentemente dagli studi effettuati.
Com'è riuscito in questo intento? Aldo Moscatelli ha dato alla
maggior parte dei racconti un'impronta favolistica, senza però
cadere nella stucchevole morale propria di non poche fiabe.
L'autore, infatti, si pone il problema e cerca una soluzione, non
imponendola poi al lettore.
Ecco come è possibile discorrere dei "massimi sistemi" senza
ricorrere ad affastellanti orpelli o a pesanti elucubrazioni.
Quindi è una lettura piacevole e peraltro anche veloce,
proprio perché la levità dell'esposizione dispone a un'assimilazione
totale.
Complessivamente i racconti sono dieci e mi sembra che parlare di
tutti sarebbe un po' troppo; di conseguenza provvedo a fornire un
piccolo cenno solo di quelli che, secondo il mio metro di giudizio,
sono più validi.
Lo specchio di fango, che non ha una struttura favolistica, è
chiaramente un brano contro la guerra, di un acceso antimilitarismo
- che troveremo poi anche in un altro racconto -. E' un vero proprio
urlo, o come si suole dire, un pugno allo stomaco, un risultato
raggiunto evitando abilmente la retorica e smorzando i toni con
accenni poetici.
La nuova morte ha un sapore fantascientifico, ma al di là
della trama, pur pregevole, è di assoluto rilievo la riflessione
sulla vita e sulla morte.
Etereo poi è L'onda che tentò di parlare agli uomini, dove
filosofia, poesia e narrazione si fondono in modo esemplare, dando
vita a un racconto che infonde una profonda serenità.
Il mio preferito, però, è La storia del melo e della triste
piantina, il più favoleggiante di tutti, ma anche il più
concreto nelle conclusioni. Sono dell'idea che sarebbe piaciuto
tanto anche a Esopo.
L'altro racconto antimilitarista è Il soldato semplice Gordonpim,
con una trama asservita perfettamente allo scopo, senza una parola
di più e senza una di meno.
Non cito gli altri racconti, ma tengo a precisare che sono
ugualmente validi e godibili.
Da ultimo un piccolo cenno all' Aldo Moscatelli editore; il volume
presenta ottime caratteristiche, del genere di quelle che si
riscontrano nelle pubblicazioni delle grandi case editrici e anche
la rilegatura appare molto robusta; da segnalare l'eccellente
realizzazione della copertina, in bianco e nero, a opera di
Francesca Santamaria.
Renzo Montagnoli
L'autore
Aldo Moscatelli (1978) è nato a Grottaglie (TA) e vive a Lecce.
Laureato in filosofia, ama scrivere fin da quando era adolescente.
Indignato per il comportamento vessatorio della grande editoria, ha
costituito, unitamente a Francesca Santamaria, la casa editrice I
Sognatori al fine di dare spazio agli autori esordienti in modo
chiaro e senza oneri per loro.
Le sue pubblicazioni: L'orologio di cenere (2006, I Sognatori); Il
cimitero dei giocattoli inutili (2006, I Sognatori).
Renzo Montagnoli
Nemici miei
di Gordiano Lupi Stampa
Alternativa Narrativa - libello
Non è facile trovare libri scritti con intenti dissacratori, ma
supportati da una piacevole ironia che alleggerisce l'enfasi del
discorso, finendo con il divertire il lettore.
Devo essere sincero, prima di tutto con me stesso: Renzo, avresti
mai immaginato che Gordiano Lupi, il narratore di storie horror
ambientate a Cuba, sarebbe stato capace di scrivere un libello nei
confronti dell'attuale mondo letterario, smussando i toni epici con
un'ironia sottile, un humor quasi britannico?
No, lo ammetto: non credevo che la cosa fosse possibile.
E invece "Nemici miei" è un'indagine accurata, anche spietata della
letteratura italiana attuale, condotta con mano sicura e con
l'occhio attento al lettore, affinché possa conoscere, indignarsi,
ma comunque senza che in lui sorga il legittimo desiderio di
abbandonare per sempre il piacere di leggere un libro.
Va dato merito, infatti, a Gordiano di avere evidenziato i mali del
mondo editoriale senza che il lettore venga indotto a una
repulsione, salvando così quelle piccole imprenditorialità che
sembrano, al momento, le uniche - se pur deboli - forze in grado di
contrastare quella letteratura del nulla che viene imposta dai
grandi gruppi.
Non sfugge nessuno della filiera libraria all'occhio attento di
Lupi: in primis gli autori, ma anche i recensori, le riviste
culturali, gli editori, gli agenti letterari, i giornalisti e
perfino le scuole di scrittura, un gigantesco apparato che si regge
mediante uno scambio continuo di favori e di alleanze.
E se forse qualcuno non potrà essere d'accordo con uno o più dei
nomi degli autori citati a disistima, resta sempre il fatto che
emerge chiaro un quadro di un mondo che dovrebbe essere culturale e
che invece non lo è.
E' da anni che osservo questa realtà, tanto che ho scritto più di
una riflessione al riguardo, e non posso, pertanto, che trovarmi
d'accordo con il giusto sfogo di Lupi. Ho detto sfogo, come un
discorso fra sé e sé, scritto come tale e infatti è un italiano
parlato quello del libro, un italiano anche incavolato, con
punteggiatura frammentaria, con quegli errori che emergono solo
quando ci si inalbera, come in un dialogo che resta all'interno.
Sottolineo questo, perché su IBS ci sono dei giudizi che lamentano
certi errori grammaticali, segno che i loro estensori non hanno
compreso il significato del testo, né conoscono altre opere di Lupi,
di natura diversa e pertanto scritte in quel linguaggio corretto che
è proprio di questo autore.
Sono 122 pagine che mi hanno divertito, strutturate come un
dizionario e infatti alla lettera A) troviamo "Agenti letterari",
poi "Ammaniti Nicolò", e a seguire in perfetto ordine alfabetico,
fino all'ultima W, nel caso specifico "Wu Ming".
Quale è il personaggio che mi ha divertito di più? Collina Pier
Luigi, sì, proprio lui, il famoso arbitro di calcio, pure scrittore.
Del resto, se molti aspiranti narratori inseguono il sogno di essere
pubblicati, consci però dell'estrema difficoltà, questo non accade a
personaggi noti, le cui incursioni in campi diversi da quelli che
sono loro propri non solo fanno costume, ma vengono caldamente
incoraggiate da certi editori, indipendentemente dal livello
qualitativo dell'opera.
Soprattutto l'importante è scrivere il nulla, cioè niente che possa
costituire un minimo di letteratura. Ci penserà poi la filiera
produttiva a imporre il prodotto, la cui qualità solo per qualche
raro caso è buona.
Con ciò non deve passare né la voglia di leggere, né la voglia di
scrivere; nel primo caso è necessario evitare quasi tutti i best
seller per non essere impallinati; nel secondo ci si può sempre
rivolgere a qualche piccola casa editrice e lì, se il prodotto è
valido, c'è qualche probabilità che un sogno si traduca in realtà.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Capo redattore de Il Foglio
Letterario e Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio.
Collabora con Mystero e con la Casa Editrice Profondo Rosso di Roma.
Collabora con Contro Radio di Firenze per recensioni sul cinema
italiano anni Settanta. Pubblica racconti per X Comics, Blue e
Underground Press. Scrive soggetti e sceneggiature per fumetti
realizzati graficamente dal disegnatore Oscar Celestini (pubblicati
su X Comics, Blue e Underground Press). Ha pubblicato: Lettere da
Lontano (Tracce, 1998), Il mistero di Incrucijada (Prospettiva,
2000), L'età d'oro (Il Foglio, 2001), Il giustiziere del Malecón
(Prospettiva, 2002), Le ultime lettere di Pilvio Tarasconi (Il
Foglio, 2002), Per conoscere Aldo Zelli (Il Foglio, 2002). Ha
tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di
carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole,
2003) e Vita da jinetera (Il Foglio, 2005). I suoi lavori più
recenti sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica -
conversazioni con un santéro (Mursia, 2003), Cannibal - il cinema
selvaggio di Ruggero Deodato (Profondo Rosso, 2003), Un'isola a
passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi,
2004), Quasi quasi faccio anch'io un corso di scrittura (Stampa
Alternativa, 2004 - due edizioni in un anno), Orrore, erotismo e
pornografia secondo Joe D'Amato (Profondo Rosso, 2004), Tomas Milian,
il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004), Le dive nude - vol. 1
- il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (Profondo Rosso,
2005), Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005 - duemila
copie vendute nei primi tre mesi); Nemici miei (Stampa Alternativa,
2005), Le dive nude Il cinema di Gloria Guida e Edwige Fenech
(Profondo Rosso, 2006); Almeno il pane, Fidel (Stampa alternativa,
2006).
Renzo Montagnoli
Il colore del sole
di
Andrea Camilleri Mondadori
Editore Narrativa romanzo
E’ strano questo romanzo
di Andrea Camilleri: non è un giallo, anche se ne ha i presupposti,
e non è storico, anche se alcuni riferimenti sono certi.
Probabilmente l’autore si è divertito a narrare sotto forma di un
improbabile diario un periodo della vita di Michelangelo Merisi,
meglio conosciuto come il Caravaggio.
E appunto le pagine che dovrebbero essere state scritte dal grande
pittore costituiscono il fulcro di tutto il libro e se Camilleri non
deve aver faticato molto per inventare certi eventi, data la vita
avventurosa e sregolata del protagonista, non poco si è dato da fare
per imitare il modo di scrivere dell’epoca (il 1600), rivelando un
notevole virtuosismo nel far convivere i tipici contrasti di quel
linguaggio con la limitata scolarità del Caravaggio.
Non solo questo, però, perché l’autore si azzarda a fornirci una
spiegazione di quegli inimitabili giochi di luci e di ombre, tipici
delle opere di quest’artista, spiegazione da cui trae origine il
titolo del romanzo.
Per quanto si tratti, a mio avviso, di un’opera minore, soprattutto
se raffrontata con le altre più riuscite di carattere storico quali
La concessione del telefono e La presa di Macallè, ha il pregio di
offrire una piacevole e rilassante lettura, indicata soprattutto per
ritemprare la mente dopo una faticosa giornata di lavoro.
Renzo Montagnoli
L'autore
Andrea
Camilleri
(Porto Empedocle, 1925), regista di teatro, televisione,
radio e sceneggiatore. Ha insegnato regia presso l’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica. Ha pubblicato numerosi saggi sullo
spettacolo e un volume, I teatri stabili in Italia
(1898-1918). Il suo primo romanzo, Il corso delle cose,
del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla TV col titolo La
mano sugli occhi. Con questa casa editrice
ha pubblicato: La strage dimenticata (1984), La stagione
della caccia (1992), La bolla di
componenda
(1993), Il birraio di
Preston (1995), Un filo di
fumo (1997), Il gioco della mosca (1997), La
concessione del telefono (1998), Il corso delle cose
(1998), Il re di Girgenti
(2001), La presa di Macallè (2003), Privo di titolo
(2005); e inoltre gli altri romanzi con protagonista il
commissario Salvo Montalbano:
La forma dell'acqua (1994), Il cane di terracotta
(1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino
(1997), La gita a Tindari
(2000), L'odore della notte (2001), Il giro di boa
(2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta
(2005), La vampa d'agosto (2006).
Renzo Montagnoli
Tre ciondoli
di Giuseppe Iannascoli
Edizioni Tabula Fati Poesia - raccolta di sillogi
Chi unisce alla lontananza di tuo padre?
Chi sa che in quel sorriso ai nostri figli
cerchi gli occhi di un figlio che non hai mai avuto?
E ogni notte in un lenzuolo di ricordi
anneghi il tuo dormire,
non vorresti più svegliarti
meglio morire un'altra volta.
Da "Uomo solo"
Non a caso ho messo questi versi, che sono parte di una poesia di
Giuseppe Iannascoli; ripeto che non è a caso, perché mi sembra che
rappresentino adeguatamente sia il modo di poetare di questo autore,
sia il riflesso di quanto è presente nel suo animo.
Se è vero che un poeta finisce anche con il rappresentare i problemi
esistenziali del mondo, Iannascoli ne è un tipico esempio. Nei suoi
versi c'è una muta sofferenza, una malinconia talmente profonda
dall'esserne sopraffatto, come un guscio di noce in balia del mare
in tempesta. Il suo dramma è una solitudine interiore, una sorta di
chiusura alla monotonia della vita vissuta, intesa come un
susseguirsi di eventi ripetitivi che non consentono di verificare
differenze fra un giorno e l'altro.
Le uniche emozioni che si possono provare sono quelle che nascono
all'interno di noi stessi, pensando a quanto è restato del mondo
dalle sue origini, senza la presenza distorcente dell'uomo. E' un
richiamo alla natura il suo, una natura quasi mitizzata e quindi
tanto più appagante quanto meno reale.
Anche nelle liriche d'amore c'è uno spirito rassegnato, quasi che
l'incomunicabilità latente ponesse dei limiti allo scambio delle
sensazioni, quasi che i sentimenti dovessero essere solo
unilaterali.
Quanto allo stile, lo stesso appare sopraffatto dalla necessità di
esternare, di liberare l'animo dal gravame che l'opprime; di
conseguenza è un effluvio di parole, quasi un torrente impetuoso e
l'autore, se riuscisse a indirizzarlo verso il giusto alveo, con una
ricerca più accurata della componente armonica, finirebbe con il
regalarci liriche ancor più significative delle attuali.
Renzo Montagnoli
L'autore
Giuseppe Iannascoli è nato a Pescara nel 1964 e dopo gli studi si è
trasferito per un periodo di sette anni a Bologna, rientrando a
Pescara a metà degli anni '90.
Ha pubblicato una silloge Sguardi d'acqua (Tracce, Pescara
2003) e vinto il Premio speciale al Concorso letterario nazionale S.
Egidio nell'edizione del 2003. Nel 2004 è stato finalista al
concorso "Meeting sulla migrazione" di Loreto Marche.
Attualmente gestisce uno spazio cultural-gastronomico per artisti di
ogni genere nel locale Ventonotturno, nel cuore di Pescara.
È in corso di pubblicazione il suo primo romanzo L'uomo degli
altri.
Renzo Montagnoli
L'ombra del Duomo
di AA.VV. Larcher Editore
Narrativa - antologia di racconti di autori diversi
Come noto, in Italia sono presenti numerose città di antiche origini
e fra queste vi è anche Modena, che non è solo culatello, lambrusco,
aceto balsamico o auto sportive Ferrari, ma ha anche una sua
identità artistica di cui il Duomo è l'elemento più caratteristico.
Di fronte alle antiche pietre, ai due leoni in granito, chissà
quante volte il turista non frettoloso si è fermato a fantasticare
su quello che potrebbero raccontare queste antiche vestigia, così
ricche di misteri proprio perché testimoni di epoche passate.
Marco Giorgini, modenese, deve aver fatto più di una di queste
riflessioni e lì probabilmente gli è nato lo spunto per il suo
racconto Strutture, costruito come una pellicola
cinematografica, incalzante e ricca di dialoghi, con un finale a dir
poco sorprendente. Non si è accontentato però di mettere nero su
bianco le sue idee, ma ha coinvolto anche altri autori, dando luogo
così a una sorta di omaggio narrativo alla sua città.
Il genere fantastico predomina e non poteva essere altrimenti, visto
che veniva chiesto agli scrittori di sviluppare idee da spunti
legati indissolubilmente allo spirito antico di una città che in
parte ne conserva ancora in buona misura.
Ecco così allora Roberto Barbolini che con Dum Gemini Cancer
trasporta davanti al vecchio Duomo, in un giallo fantastico, Padre
Brown e Montalban; Cecilia Randazzo, invece, scrive con I due
leoni la storia, di grande effetto, di una sensitiva alle prese
appunto con uno dei due leoni che sembrano di guardia alla vecchia
chiesa.
Con Ossa, poi, di Raffaele Gambigliani Zoccoli entriamo in un
episodio kafkiano, quasi una storia di ordinaria follia; si passa,
quindi, a un'ambientazione che ricorda certe cinematografie
americane anni 60 con Baby Blue di Giuseppe Sofo. Nel lavoro
è stato coinvolto anche un autore che non solo non è modenese, ma
addirittura è gallese; mi riferisco a Dorian Reavers, con
Fantasia dopo il disastro, un racconto breve, ma estremamente
concentrato.
Nella lista figura anche Il cuore nero della città, noir
sovrannaturale di Gabriele Sorrentino, un'opera pregevole per
originalità creativa e per lo stile misurato.
Mi ero riproposto di parlare solo di alcuni racconti, ma mi accorgo
che non posso fare a meno di dire qualche cosa di ognuno, perché in
effetti si tratta di brani tutti di buona fattura e quindi
meritevoli almeno di un cenno.
Come non dir nulla de Il ritorno del Drake di Gabriella
Guidetti, che ci fa rivivere, peraltro splendidamente,
l'inaugurazione dell'autodromo di Modena? E' una scrittura suadente
la sua e coinvolge il lettore in modo graduale, al punto che sembra
di essere presenti allo sfrecciare dei bolidi in quello che ora è un
parco.
Enigmatico, ma anche malinconico è poi La città sommersa di
Stefania Gentile, con una trama che non pecca certo di poca
originalità.
Christian Del Monte si impegna poi con Derive, una storia
satanista, senza però giungere a toni esasperati, ma riconducendo il
tutto in una normale anormalità.
Ultimo del volume, ma non come qualità, è poi L'osso del drago
di Eliselle, quasi una fiaba, narrata con mano ferma e sicura, con
un richiamo allo spirito religioso, quasi a chiudere degnamente
l'antologia, spalancando le porte del Duomo agli occhi, compiaciuti,
dei lettori.
Da ultimo, nel confermare la gradevolezza che si ritrae dal leggere
questi racconti, ritengo doveroso un piccolo cenno alla buona cura
editoriale, sia come editing che come confezione (splendida la
copertina di Andrea Corradini), a dimostrazione che anche nella
piccola editoria ci può essere la qualità e di questo deve essere
dato merito a Fabio Larcher.
Renzo Montagnoli
Altre storie di
uomini, di alcune donne e di molte bestie di
Nicola Oronzo Accattato ed. Galasso
La scrittura di Nicola Oronzo Accattato tra poesia e ironia
Accade raramente che un'opera si presti a muovere curiosità già nel
suo titolo: "Altre storie di uomini, di alcune donne e di molte
bestie".
Curiosità che la lettura trasforma in stupore per i modi in cui
l'Autore dipinge immagini, suggerisce riflessioni e significati.
Alle origini della narrativa di Nicola Oronzo Accattato si colloca
un vivace impegno di carattere morale, di qui il tono, a volte,
brusco, il taglio rapido e polemico del suo discorso. Esiste in
tutta l'opera un duplice piano di intenzioni stilistiche: da un lato
l'ambito narrativo sembra chiuso entro un bozzettismo semplice,
dall'altro una forte problematica morale e politica tende a
sconvolgere le linee pure del bozzetto per restituire una più
profonda immagine della realtà umana e storica.
La semplicità e l'elementarità delle vicende dei personaggi sono
solo pretesto per un fondo tematico politico-sociale che dà una
misura più certa delle finalità dell'Autore e una prospettiva più
profonda.
Il libro, in forma di collage di scritti, procede asimmetrico e ha
il pregio di trasformare il tempo di scrittura, in luogo di
scrittura, cioè in uno spazio che accomuna, articola situazioni e
personaggi dissimili, alimenta l'intreccio dei rapporti interni, di
relazioni distanti, di intervalli e scansioni.
Questo apparente " disordine " sembra voluto non solo per
rintracciare il tempo ma anche per organizzare lo spazio
problematico nel quale si colloca la miriade di elementi che
compongono questa raccolta.
Al di là del fatto narrativo vero e proprio, questo libro è uno
scenario di impressioni, di suggestioni, di tonalità affettive.
E' un mettere sulla pagina tracciati di idee, spunti, iniziali forme
di pensiero che si muovono verso ulteriori forme, in un percorso
assolutamente non lineare fra narrazioni, ricognizioni storiche,
biografiche e autobiografiche, fra storie di parole e parole senza
storia che dal profondo salgono alla consapevolezza e all'urgenza
della scrittura.
E' uno scrivere, quello di Accattato, che cerca di raccontare come
il pensiero sia una costante metamorfosi, in un attraversamento di
un'infinità di architetture, dimensioni possibili, a volte, persino
apparentemente impossibili.
Ciò che esso narra è un intreccio: un annodare episodi a sensi,
parole a sentimenti, delusioni a speranze, fili di fantasia a fili
di verità, in un gioco di ricerca di rapporti fra le proprie idee e
la realtà. Immagini, modi di sentire e di vivere il mondo. Un mondo,
quello del paese di origine, dell'infanzia, così carico di affetti e
di significati.
Lo stile si risolve in un personalissimo modo di accostare pensieri
e immagini, quel rischioso porre gli uni accanto alle altre, in una
composizione segmentata e differenziata che fa risaltare i " vuoti "
piuttosto che i " pieni "… le parti delle parti del discorso solo
pensato più che il discorso nella sua compiutezza.
L'opera sembra costruita sulla sottrazione più che sulla estensione:
come a voler dare valore allo spunto, al parziale, alla
sfaccettatura, al disuguale, all'intervallo separativo fra un
pensiero e l'altro.
La scelta è quella del rapido e non dettagliato disegno steso sulle
pagine, su cui scivolano veloci e ineguali frammenti di pensieri il
cui incerto e breve vagare incontra la nostra emozione.
L'incompiutezza di certe frasi, il loro senso abbozzato, più
interrogativo, propositivo, che dimostrativo ed esaustivo, l "
oltraggio " alla sintassi generano uno spazio dell'incerto,
dell'inquieto, che può essere affrontato solo se si riesce a
tollerare il dubbio, la fatica del pensiero interrotto, condotto
altrove, sfiorato anziché tenuto a pieni mani.
Quella di Accattato è una lettura " scomoda " che può urtare la
suscettibilità dei benpensanti e irritare coloro i quali danno
valore a ciò che è lineare, definitivo, bello, rassicurante. La
nostra epoca sembra prediligere le spiegazioni tranquillizzanti, le
esorcizzazioni del pensiero e dei significati più inquietanti…di
certa letteratura conformista, in sintonia con l'esigenza di
rimozione della realtà problematica, di coprirla, occultarla,
annacquarla.
Con il suo stile, il suo lessico, l'Autore riesce ad essere aderente
alla materia del racconto… una sorta di " poetica realista " in cui
il linguaggio è trascrizione immediata del parlato, e il discorso
risulta immediatamente adeguato al mondo e ai personaggi descritti.
Percorre questi racconti una sottile ironia nei confronti della
lingua letteraria, vissuta come troppo astratta, troppo separata
dalla quotidiana realtà degli uomini, delle donne e… delle bestie di
cui ci parla Accattato.
La sintassi irregolare, gli elementi dialettali, danno il senso
autentico di un ambiente e dei suoi personaggi. Segni essenziali del
linguaggio che realizzano la definizione del grado morale, della
condizione umana e culturale di cui si parla…e che riescono a
persuaderci perché mai riducono la pagina a folklore né tendono
all'effetto puramente espressionistico e di colore. La finalità è la
denuncia dei mali sociali, dell'incuria politica, della condizione
di perenne attesa in cui si trova il Sud.
L'Autore riesce a rendere con immediatezza il mondo popolare che gli
appartiene, l'atmosfera del vicolo in cui è cresciuto e al quale la
sua fantasia e creatività continua ad attingere attraverso un
costante ritorno alle origini con un atteggiamento che non è mai
ingenuo idillio o proclamazione vagamente sentimentale.
Il linguaggio di Accattato è segno di maturità culturale, si fa
interprete della sua verità più profonda, del suo ritmo segreto che
riesce pienamente a comunicare e a renderla anche attraverso la
procedura a strappo, talvolta lacerando, rendendo a brandelli
l'unità del discorso.
Unità che viene ritrovata più nel disfarsi e ricomporsi incessante
del discorso attraverso le sue parti: quelle minimali; forse quelle
tralasciate; quelle non dette, taciute, che ancora devono trovare i
suoni delle parole e le collocazioni. Quelle parti che non sono
ancora parole ma supporto silenzioso e indispensabile al pensare.
Nella scrittura, Accattato le parole non le lascia mai ferme. Si
muovono, si logorano e si trasformano. Al pari della vita.
Questo libro è costruito " da ogni parte " e ogni parte può essere
arrivo e partenza, inizio e fine, ma anche attraversamento,
corridoio, viottolo, tragitto; i pensieri che contiene decentrano il
discorso, lo deviano, lo rendono rinviante e riformulabile.
La sua lettura può farsi " da qualsiasi parte ", in un gioco di
parti ugualmente componibili in un itinerario, con soste riflessive
in cui la stessa, non manca di farsi poesia e di emozionarci…
Antonia Tursi
Dentro al fuoco
di Caterina Trombetti Prefazione
di Mario Luzi Passigli Editore
Raccolta di sillogi poetiche
Accostarsi a un libro di poesie non è come leggere un romanzo,
perché ogni lirica rappresenta un capitolo a sé, una
rappresentazione di un'emozione che, se ben espressa, genera una
commozione che si apre nell'ultimo verso per chiudersi nel primo del
componimento successivo.
Si tratta quindi di un avvicendarsi di sensazioni, di stati emotivi
che un romanzo, per la sua struttura e anche per quanto bello sia,
non può fornire.
In occasione della recensione di "Fiori sulla muraglia" della
medesima autrice avevo evidenziato l'apparente semplicità stilistica
che le è propria, con quell'immediatezza di comunicazione che rende
i suoi versi di rara comprensibilità, nonostante i profondi concetti
esposti.
Questa seconda raccolta "Dentro al fuoco" costituisce un'ulteriore
evoluzione dello stile che, senza perdere le sue rilevanti
caratteristiche, tende ad affinare ulteriormente l'aspetto armonico
facendo ricorso a una tecnica estremamente raffinata.
"Ecco gialleggia da lontano
la sfera solare
che mi porta dentro."
Da "Astro"
Quell'andare a capo non casuale, quell'iniziare nuovamente da un
numero specifico di battuta, determina una sospensione temporale e
quindi viene a influenzare il ritmo, esplicitando una melodia
secondo i tempi propri di una composizione musicale.
Ancor più evidente appare questa ricerca nei versi seguenti, dove il
passaggio da una staticità a un'improvvisa velocizzazione è
rimarcato da una lunga pausa che si interrompe con un'acuta
osservazione a cui il punto esclamativo finale dona la funzione di
accentuare il ritmo.
"Come è liscia l'acqua alla pescaia
e quale vorticoso andare
dopo il dislivello!"
Da "Arno"
E quindi evidente che Caterina Trombetti ha aggiunto un ulteriore
prezioso tassello alla sua esperienza poetica, caratterizzando,
positivamente, ancor più il suo stile, senza perderne le doti
originarie.
Renzo Montagnoli
L'autore
Caterina Trombetti è nata a Firenze dove svolge l'attività di
insegnante, occupandosi prevalentemente dell'educazione degli
adulti. Intensa è la sua attività di promozione alla lettura e
frequenti sono gli incontri, in veste di autrice, con gli alunni
delle scuole in varie città. Come poeta è presente in varie
antologie e riviste, e noti critici letterari si sono occupati della
sua poesia, che ha avuto traduzioni in diverse lingue.
Le sue precedenti raccolte poetiche sono: Il pesce nero,
1990; L'obliqua magia del tempo, 1996; Stelle della mia
Orsa, 2002. Con la Passigli Editori ha pubblicato nel 2000
Fiori sulla muraglia e nel 2004 Dentro al fuoco.
Renzo Montagnoli
Istanbul Bound
di Carlo Bordoni Edizioni Tabula
Fati Narrativa romanzo
Dopo le prime pagine avevo tratto la convinzione di trovarmi di
fronte a un romanzo che aveva attinto ispirazione dal celeberrimo
Moby Dick o da qualche narrazione di Joseph Conrad. In effetti sono
presenti elementi che convaliderebbero questa mia impressione: la
ricerca spasmodica di un'isola misteriosa, un sogno/incubo del
capitano Beltramino divorato da questa ossessione, le lunghe
giornate a bordo, ripetitive, tranne quando le forze della natura si
scatenano, la descrizione intensa dell'equipaggio, di rudi uomini di
mare visti dagli occhi stupiti del giovane mozzo al suo primo
imbarco.
E invece Istanbul Bound è un romanzo dotato di propria autonomia ed
è la descrizione di un viaggio, effettuato nell'imminenza della
seconda guerra mondiale, da Massa a Istanbul, località a cui la nave
non arriverà mai in un finale del tutto imprevedibile, ma frutto di
una geniale invenzione dell'autore che, nelle ultime pagine, ha
profuso a piene mani un'indubbia eccellente creatività. Del resto,
anche prima, ci sono delle felici intuizioni, una sorta di stacchi
temporali che evitano che la narrazione possa appiattire, così che
il lettore abbia a godere un po' di rilassamento, astraendolo
momentaneamente da una lenta, ma crescente suspence. In effetti,
come ne Il deserto dei tartari, si ha viva l'impressione che da un
momento all'altro la quasi noiosa calma apparente possa subire
un'improvvisa lacerazione, come accade poi alla fine.
Ben scritto, con un'analisi accurata dei personaggi, con delle
riflessioni e approfondimenti di pregevole livello (raccomando di
leggere con attenzione quella relativa alla guerra), Istanbul Bound
è un romanzo che merita di essere letto.
Renzo Montagnoli
L'autore
Carlo Bordoni (Carrara, 1946) è docente di Sociologia dei processi
culturali e comunicativi all'Università di Firenze. Ha insegnato
all'Istituto Universitario Orientale di Napoli e allo IULM di
Milano. È stato direttore dell'Accademia di Belle Arti di Carrara
dal 1990 al 2003.
Tra le sue pubblicazioni: La paura il mistero l'orrore dal
romanzo gotico a Stephen King (Solfanelli, 1989), Il romanzo
di consumo (Liguori, 1993), Conversazioni sul vampiro (Neopoiesis,
1995), Stephen King (Liguori, 2002), Linee d'ombra
(Pellegrini, 2004), Introduzione alla sociologia dell'arte (Liguori,
2005), Le scarpe di Heidegger (Solfanelli, 2005), Il testo
complesso (Clueb, 2005), Società digitali (in corso di
pubblicazione).
Dirige la collana di saggistica Micromegas per le Edizioni
Solfanelli. Collabora alle riviste "Il Ponte, "L'Indice dei Libri",
"Labirinti del Fantastico". Il suo precedente romanzo, In nome
del padre (Baroni, 2001), è una storia fantastica attorno al
tema della morte apparente.
Renzo Montagnoli
Il piatto piange
di Piero Chiara Edizioni
Mondadori Narrativa romanzo
Sono trascorsi ormai oltre 40 anni dall'uscita di questo romanzo
(era il 1962) e in quest'arco di tempo ho avuto l'occasione di
leggerlo più volte, ritraendone sempre un gradimento crescente.
E' stata la prima fatica, nella narrativa, di Piero Chiara, a cui ne
seguirono diverse altre dall'esito egualmente fortunato (La
spartizione, 1964; Il balordo, 1967, con cui vinse Il Bagutta; Il
Pretore di Cuvio, 1973; La stanza del vescovo, 1976; Il cappotto di
astrakan, 1978; Vedrò Singapore ?, 1981).
Benché abbia letto tutti questi romanzi, apprezzandoli, Il piatto
piange mi è rimasto dentro con un'emozione che si rinnova a ogni
lettura. Non so spiegarmene esattamente il motivo, ma penso che a
questa mia preferenza non poco contribuisca l'aver scoperto tanti
anni fa come sia possibile scrivere di eventi, del tutto normali, in
modo semplice, ma efficace. Sì, perché lo stile di Piero Chiara è
del tutto particolare, nel senso che, senza ricorrere a magistrali
descrizioni, ha un'immediatezza che consente al lettore di vedere
trasformarsi le parole in immagini. Un pregio, quindi, rilevante
che, unito all'originalità delle trame, ha decretato il successo di
questo grande scrittore che ha visto poi molte delle sue opere
trasposte sul grande schermo.
In questo senso, Il piatto piange assume caratteristiche proprie del
neorealismo, con un'ambientazione della vita di paese, nell'arco fra
le due guerre, di rilevante interesse, non solo letterario, ma anche
sociologico.
E' un mondo chiuso, quasi addormentato, dove la vita scorre ancor
più monotona per effetto del regime fascista che tende a impedire
ogni novità. In quest'atmosfera di un ozio quasi logorante, gli
accaniti giocatori di poker o chemin de fer trovano nelle carte
un'evasione quasi surreale, una forma di innocua primordiale
ribellione. Gli unici eventi, quindi, che si staccano dal grigiore
quotidiano sono le interminabili partite, con i lazzi nei confronti
dei perdenti, oppure le avventure boccaccesche, anche queste una
sorta di gioco per rivendicare la propria essenza di uomini
fondamentalmente liberi.
In un clima ovattato, fra le montagne e il lago, si delineano, più
che una serie di storie, una varietà di personaggi, ognuno con pregi
e difetti, ma soprattutto con caratteristiche del tutto proprie.
Troviamo così il biscazziere Sberzi, disposto perfino a giocare se
stesso, Mammarosa, la tenutaria del bordello del paese, descritta
con senso di tenerezza come una delle istituzioni del luogo,
l'anonimo Camola, se pur nell'intimo misterioso, e il tombeur des
femmes Tolini.
E' tutto un mondo proprio di un'epoca e che verrà spazzato via dalla
seconda guerra mondiale e dalla Resistenza, tanto che i due
personaggi più tipici e anche più forti, il Camola e il Tolini,
moriranno in circostanze diverse, ma in seguito a una zuffa con i
tedeschi.
Assicuro che leggere queste pagine è di un'estrema piacevolezza,
quasi a riscoprire una diversa civiltà, ora perduta, una sorta di
archeologia letteraria che Piero Chiara ha saputo e voluto farci
conoscere.
Renzo Montagnoli
L'autore
Piero Chiara nasce a Luino il 23 marzo 1913, in una famiglia di
origini siciliane.
Studia in vari collegi religiosi, ma poi abbandona la scuola,
completando da autodidatta la propria formazione culturale.
Dipendente di un'amministrazione statale, vive, durante gli anni del
fascismo, la più chiusa e al tempo stesso più eccitante vita di
provincia: lunghe letture, il gioco e gli intrighi d'amore.
Data la sua naturale indole al dissenso, diviene inviso al fascismo,
al punto che il Tribunale Speciale emette una severa condanna nei
suoi confronti e che evita unicamente con la fuga in Svizzera.
Terminata la guerra, ritorna in Italia con un'aureola di
antifascista, che gli sarà di aiuto nel reinserimento nell'Italia
repubblicana.
Inizia un periodo di fervida creatività che lo porta ad abbandonare
il lavoro nell'amministrazione statale per dedicarsi unicamente alla
scrittura.
Nascono così i romanzi che ho citato, oltre a molti altri, una
produzione tutta di notevole livello, dove la capacità dell'autore
di scrivere con equilibrio, di non indulgere mai alla volgarità
anche nelle storie più scabrose, non viene mai meno.
Piero Chiara muore a Varese il 31 dicembre 1986.
Renzo Montagnoli
Alchimie d'amore e di
morte di Giovanni Buzi
Edizioni Tabula Fati Narrativa racconti
I desideri più nascosti, le ossessioni che albergano nell'intimo di
ogni essere umano possono esplodere all'improvviso in forme e
contenuti del tutto inaspettati. Nella realtà ci capita di vedere
fatti di cronaca di una violenza inaudita, ma se si tratta di
scrivere in proposito, ricorrendo alla creatività, nessuno meglio di
Giovanni Buzi ne è capace. Autore eclettico, a volte anche
eccessivo, in questi sei racconti ha trovato il giusto equilibrio
per proporci altrettante storie di ordinaria follia che sconfinano
nel soprannaturale.
E quando si va oltre il limite della percezione umana, Buzi è un
maestro nell'inventare trame, forse di per sé non particolarmente
originali, ma privilegiate, per non dire rese uniche, da uno stile
del tutto inconfondibile che attrae inevitabilmente il lettore.
Così è tutto un susseguirsi di visioni oniriche, di quadri surreali,
al cui risalto non poco concorre anche l'indole artistica
dell'autore per la pittura.
Un tocco di pennello qua, uno là, e i colori, sempre particolari,
concorrono a formare un caleidoscopio di immagini di rara efficacia.
Al riguardo, penso bastino due esempi:
" Sfumatura rosa arancio su tessuto bianco. Lino tanto sottile da
sembrare impalpabile, quasi uno scherzo della luce." (da " Suor
Maria Degli Angeli")
" Verde, il colore del mantello e del cappuccio era verde muschio,
come quegli occhi." (da "Sotterranei").
Ecco, in entrambi i casi, chi legge vede immediatamente e faccio
notare che la descrizione non è per nulla laboriosa e si ammanta di
un'aureola di poesia; in fin dei conti avrebbe potuto dire solo che
gli occhi erano verdi, e invece l'indicazione degli abiti identici
nel colore agli occhi configura meglio il soggetto, è un'immagine
che si forma nella mente e che vi si imprime.
Per quanto i generi dei racconti non siano simili, restano pervasi
dallo stesso alone di mistero che finisce con il legare
indissolubilmente le pagine con la naturale, spontanea curiosità del
lettore.
Non sono in grado di dire quale dei sei mi sia piaciuto
maggiormente, ma forse il primo (Suor Maria degli Angeli) per
l'ambientazione e l'epoca è quello a cui vanno le mie preferenze.
Per concludere, mi preme evidenziare come sia una lettura, per
quanto intensa, anche assai piacevole.
Renzo Montagnoli
L'autore
Giovanni Buzi, nato a Vignanello (VT) nel 1961, insegna lingua e
cultura italiana al Parlamento Europeo di Bruxelles e storia
dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Bruxelles.
Tra le sue pubblicazioni: i romanzi Faemines (Roma 1999),
Il Giardino dei Principi (Bolsena 2000) e Agnese (Chieti
2005), il saggio William Turner in Etruria (Bolsena 2004), le
raccolte di novelle Fluorescenze (Viterbo 2004) e Sesso,
orrore e fantasia (Bolsena 2005). Il racconto "La collana di
perle celesti" ha vinto il Premio Profondo Giallo 2005
(pubblicato in appendice al libro di Giulio Leoni, I delitti del
mosaico, Giallo Mondadori n. 2896, Milano 2006).
Renzo Montagnoli
Venti d@lla
rete di
AA.VV. Graphe.it Edizioni
Narrativa racconti
una selezione a cura di Piera Rossetti
Pogliano
Frutto di
un’accurata selezione fra i tanti racconti di esordienti inviati
alla Lettura Incrociata de Il Rifugio degli esordienti, questa
antologia, presentata appunto congiuntamente a Danae, è una
piacevolissima sorpresa.
Infatti, abituato a leggere sia sul web che su altre pubblicazioni
analoghe testi per lo più di modestissima levatura, con trame
sovente sciatte e banali e con stili alquanto incerti, non avrei mai
pensato che mi sarei trovato fra le mani un’opera egregia, oltre che
di lettura assai gradevole.
Ammetto che l’approccio è stato titubante, quasi rassegnato a
sorbirmi un minestrone di pessima fattura, e invece fin dal primo
racconto (Cuore infame di Stefano Belriguardo) non solo mi sono
dovuto ricredere, ma ho anche trovato, pagina dopo pagina, quella
piacevolezza del leggere che consta nel passare da un genere a un
altro, da un modo di scrivere a uno stile diverso.
Penso che, al di là della bravura degli autori, una buona parte del
merito vada alla selezionatrice Piera Rossetti Pogliano che ha
saputo fare una cernita assai oculata al fine di evitare che fra i
20 racconti ce ne fosse qualcuno di non idonea levatura.
Per quanto ovvio, anche per motivi connessi al gusto individuale, ce
ne sono che mi sono piaciuti di più e altri che invece non hanno
avuto un analogo gradimento, ma in ogni caso questi ultimi mi sono
parsi di buona fattura e degni di far parte dell’insieme.
Personalmente quelli che più mi hanno colpito sono stati:
- Cuore infame, di Stefano Belriguardo, che ha saputo
ambientare una storia di prostituzione
con mano leggera e senza eccessi;
- La camicia, di Daniele Locchi, capace di creare una
Venezia surreale;
- Servizio di manutenzione, di Mauro Mirci, una trama di
fantascienza, forse non originale,
ma sicuramente ben sviluppata e
avvincente;
- Giovinezza, di Stefano Montanari, improntato a
un’ironia deliziosa;
- Il grande Moloch, di Alessandro Palmieri,
un’irresistibile intrusione nel mondo della burocrazia;
- L’insalata di rinforzo, di Alessandro Testa,
un’esilarante indagine poliziesca ambientata
a Napoli;
-
Il domatore di cinghiali, di Pierpaolo Zara, a mio avviso il
migliore fra i 20, soffuso di un alone
di magia e con una tecnica narrativa di rara
efficacia.
Gli altri autori,
che non ho nominato, non me ne vogliano, perché, come ho detto
sopra, le loro opere sono senz’altro meritevoli, al di là di quello
può essere il mio gusto personale.
In conclusione, mi sento di consigliare vivamente la lettura di
quest’antologia, 207 pagine di autentico piacere.
Renzo Montagnoli
L’autore
Piera Rossotti Pogliano
si dedica da molti anni alla selezione e promozione di narratori e
poeti esordienti occupandosi dei siti web Rifugio degli
Esordienti e del catalogo di DANAE. Ha curato due
antologie di autori esordienti: R@cconti senza rete
(Napoli, Di Salvo) e Oltrel@rete (Roma, Proposte
Editoriali) e pubblicato i romanzi storici Il diario intimo di
Filippina de Sales, marchesa di Cavour (Torino, L’Angolo
Manzoni) e Il ventre pieno di farfalle (Roma, Robin).
Renzo Montagnoli
Elogio della guerra di
Massimo Fini
Marsilio Editori Saggio
Quello che mi piace maggiormente nel modo di scrivere di Massimo
Fini è l'estrema concretezza, accompagnata da una chiarezza di
esposizione, pur in presenza di analisi altamente approfondite.
Anche questo saggio presenta tali caratteristiche che agevolano non
poco la lettura a fronte di argomentazioni normalmente complesse, ma
che nella trattazione dell'autore sono di immediata e univoca
comprensibilità.
La guerra viene esaminata nelle sue funzioni, nelle ragioni che la
determinano, nelle sue pulsioni e nella sua moralità.
Massimo Fini, indubbiamente pacifista, affronta il problema senza
remore, visto che è connaturato all'uomo, quasi facesse parte del
suo DNA.
Al riguardo raccomando di leggere le due prefazioni, scritte una il
9 aprile 1999 e l'altra nel febbraio del 2003, in quanto
estremamente significative di reazioni e comportamenti constatati in
così breve tempo sullo scenario mondiale dei conflitti.
Pagina dopo pagina ci sarà possibile comprendere l'aspetto della
guerra sotto il profilo sociologo, psicologico ed economico e alla
fine della lettura apparirà chiaro che per vivere sempre in pace ciò
che dovrà mutare profondamente è l'uomo, nella sua più intima
struttura.
Renzo Montagnoli
L'autore
Massimo Fini, di padre toscano e di madre russa, nasce sul lago di
Como il 19/11/1943. Dopo la laurea in giurisprudenza e diversi
lavori minori approda nel 1970 al giornalismo, dapprima
all'"Avanti", poi al "Giorno". Attualmente lavora per il "Giorno",
"Il Gazzettino", "La Nazione" e "Il Resto del Carlino". Ha
pubblicato: 'La Ragione aveva Torto?' (Camunia 1985, ripubblicato da
Marsilio in edizione tascabile nel 2004); 'Elogio della guerra' (Mondadori
1989 e Marsilio 1999); 'Il Conformista' (Mondadori 1990); 'Nerone,
2000 anni di calunnie' (Mondadori 1993); 'Catilina, ritratto di un
uomo in rivolta' (Mondadori 1996); 'Il denaro, "sterco del demonio"'
(Marsilio 1998); "Dizionario erotico, manuale contro la donna a
favore della femmina", (Marsilio 2000); "Nietzsche, L'apolide
dell'esistenza" (Marsilio 2002), "Il vizio oscuro dell'Occidente"
(Marsilio 2003) ; "Sudditi" (Marsilio 2004); "Il ribelle dalla A
alla Z" (Marsilio 2006).
Renzo Montagnoli
Vicus Boldonis terra di marcite
di Luisito Bianchi Associazione
Amici dell'Abbazia di Viboldone
Poesia - Poemetto
Il libro non si trova nelle librerie; chi lo vuole, contatti il
Monastero.
(mail: info@viboldone.it;
telefono: 02 9841203 )
L'autore, altresì, precisa che il prezzo dichiarato non si deve né
si può applicare agli amanti della poesia.
Di Luisito Bianchi avevo già letto il meraviglioso "La messa
dell'uomo disarmato ", romanzo di rara bellezza di cui ho scritto
con altra mia.
Quando mi è capitato fra le mani questo volumetto, donatomi
dall'autore, a prima vista ho pensato a una guida della pur famosa
Abbazia di Viboldone e in effetti a suo modo lo è, sia per il
corredo fotografico, sia, soprattutto, perché contiene 35 poesie che
hanno il pregio, anche, di rendere in modo esemplare l'atmosfera che
si respira in quel luogo di culto.
Peraltro la sorpresa è stata anche nel constatare come Luisito
Bianchi, oltre che grande narratore, risulti un poeta di notevole
livello e così il leggere una dietro l'altra queste composizioni e
il sentirsi pervasi da uno stato di beatitudine quasi celestiale è
stata un'esperienza unica, quale non provavo da tempo, se non di
fronte a certi spettacoli della natura.
L'opera è anche un omaggio a questa abbazia, dove don Luisito
Bianchi, sacerdote dal 1950, svolge le funzioni di cappellano. E'
dedicata, in ogni sua stazione, a dei morti che a suo tempo ebbero
un particolare rapporto d'amore con questo tempio dalle pietre
rosse. Verrebbe spontaneo allora pensare che l'aspetto tragico
finisca con l'impregnare i versi e invece non è così, perché nel
ricordo degli scomparsi ci sono parole di vita e le figure che ora
non sono più presenti sulla terra rivivono in quelle pietre, negli
affreschi; diventati ormai puri spiriti, la loro presenza aleggia a
intonare ancor di più quell'atmosfera serena racchiusa fra le
vecchie mura.
Ogni poesia è preceduta, oltre che dalla dedica a uno scomparso, da
una breve nota relativa agli affreschi, la cui fotografia peraltro è
sempre presente, una sorta di riflessione introduttiva sull'episodio
del Vangelo ivi rappresentato.
Sono osservazioni di notevole spessore e che accrescono
ulteriormente il contenuto letterario dell'opera.
Ovviamente ne caldeggio vivamente la lettura, un modo nuovo per
immergersi nella religiosità o per cercare di comprenderla.
Renzo Montagnoli
L'autore
Luisito Bianchi è nato a Vescovato in provincia di Cremona, ed è
sacerdote dal 1950.
E stato insegnante e traduttore, prete-operaio e inserviente
d'ospedale.
Attualmente svolge funzione di cappellano presso il monastero
benedettino di Viboldone (Milano).
Ha pubblicato: Salariati (Ora Sesta, Roma 1968), studio sociologico
sul salariato di cascina nel cremonese; Come un atomo sulla bilancia
(Morcelliana, Brescia 1972, riediz. Sironi, Milano 2005), storia di
tre anni di fabbrica; Dialogo sulla gratuità (Morcelliana, Brescia
1975, riediz. Gribaudi, Milano 2004), Gratuità tra cronaca e storia
(1982). Dittico vescovatino (2001), Sfilacciature di fabbrica (1970,
riediz. 2002), Simon Mago (2002), La Messa dell'uomo disarmato
(1989, riediz. Sironi, Milano 2003), un romanzo sulla resistenza;
Monologo partigiano sulla Gratuità (Il Poligrafo, Padova 2004),
appunti per una storia della gratuità del ministero nella Chiesa;
diverse raccolte di poesie tra cui Vicus Boldonis terra di marcite
(1993) e Sulla decima sillaba l'accento, In terra partigiana, Parola
tu profumi stamattina, Forse un'aia.
Renzo Montagnoli
LiberaMente di
AA.VV. Graphe it Edizioni
Antologia di racconti, composizioni poetiche, curiosità, fumetti &
immagini, istruzioni per l'uso
prefazione di Sidne Rome
Veramente originale l'idea di questa giovane casa editrice (è sorta
nell'estate del 2005), con un concorso un po' fuori dalla
norma:considerato che la vita è troppo attiva e che si va sempre di
fretta, perché non proporre letture veloci e agevoli, da effettuare
magari in treno, in autobus, e, perché no, anche nella stanza da
bagno, eventualmente seduti sulla tazza?
Per quanto ovvio non si deve trattare di qualche cosa di
impegnativo, ma che eventualmente aiuti a trascorrere quel poco
tempo rilassando.
Dai risultati di questo concorso (il primo, tenutosi lo scorso anno)
è nata così questa raccolta antologica, che comprende generi vari.
Si passa così dalla quasi filastrocca "La giraffa Domitilla" di
Loredana Simonetti alla poesia sulle stagioni di un anno "cartoline
di stagione.com" di Milvia Comastri. C'è spazio anche per i
racconti, ovviamente brevi, fra i quali ricordo "I rodimenti del
sapere " di Giuseppe Lucca; troviamo, poi, le Istruzioni per l'uso
(particolarmente divertente" Come non cucinare un polpo" di
Antonella Podda); non mancano le curiosità varie (particolarmente
indovinate mi sono sembrate quelle di "Pillole" di Silvana Sonno) o
i fumetti, come quelli appunto sulla tazza ("Pensieri" di Francesco
Brugnolo).
Mi scuso se non ho citato gli altri autori, perché la scelta è stata
motivata soprattutto da motivi di brevità, rapidità di recensione,
nel pieno spirito che è stato alla base del concorso e che ritengo
ben compreso nelle opere di questa antologia.
In chiusura ritengo doveroso un consiglio: a mio avviso, non è da
leggere come un normale volume, seduti in poltrona, magari con la
pipa in bocca; è invece molto più di soddisfazione ricorrervi nei
ritagli di tempo, proprio così come si è proposto l'editore.
Renzo Montagnoli
Frammenti d'anima di
Tiziana Monari Aletti Editore
Poesia - Raccolta
Sei il tempo che resta
un desiderio senza fine nel cuore
pelle su pelle
sogno su sogno
(da "Sei…").
Inizia con questi versi il volume di poesie con cui Tiziana Monari,
più conosciuta nel mondo di Internet con l'alias Orchidea Nera,
esordisce "a solo", in quanto precedentemente diverse sue liriche
erano parti di antologie collettive.
Il tema dominante di questa silloge è l'amore, un sentimento che nei
versi appare come un'emozione trasognata, con un idealizzazione di
immagini che spesso conducono al surreale.
Ciò che però colpisce maggiormente il lettore è una latente
sensualità, come una porta spalancata sull'aspetto più intimo della
personalità dell'autrice.
Bussa alla porta dell'alba con pensieri proibiti
l'uomo venuto dal vento
con una strana magia muove le dita
apre il cuore con fili di voce
ha passi senza orme
rumore di brividi sulla pelle
(da "L'uomo del vento")
Penso che questa lirica, meglio di altre, possa far comprendere il
concetto che ho espresso sopra, con questa figura maschile quasi
stilizzata che travolge l'autrice in un turbine di sentimenti, di
passioni rese mirabilmente con poche brevi pennellate a formare,
appunto, un quadro surreale.
La lettura risulta agile e piacevole, in ogni caso mai affaticante,
e in questo senso si deve riconoscere a Tiziana Monari una innata
capacità di immediatezza che, peraltro, riesce a utilizzare al
meglio.
Renzo Montagnoli
L'autrice
Residente in Toscana, ma di origini emiliane, Tiziana Monari è
piuttosto restia a svelare qualche cosa di sé, anche perché molto
dimostra con la sua produzione, in verità assai numerosa, presente
su diversi siti Internet e anche in antologie cartacee.
Renzo Montagnoli
Aria di lago di
Carla Bariffi, Ed.
LietoColle 2006
È la raccolta poetica di
un’autrice radicata al lago di Como.
Non sorprende
quindi il titolo così simbiotico con il suo vissuto, anzi è invito a
scoprire le vibrazioni del paesaggio, anche a chi vive in un ambiente
geografico diverso.
La
prefazione di Gianmario Lucini è la preziosa cornice del quadro intessuto
di colori sintonici, di cui gli acquerelli inseriti sono lo specchio.
Apre
le tre sezioni del testo - Aria di lago, La voce del sangue, Nel sangue,
l’amore – un distico di Emily Dickinson:
“…e tu coglimi,anemone,
tuo fiore per l’eterno”
in cui è palese il
forte desiderio di appartenenza, per sempre.
Ed è proprio la passione che
pervade tutto il libro: la Bariffi è la donna dell’appartenenza
agli affetti, al suo lago, alle sue montagne, anche oltre la morte.
Si cela nel “per l’eterno”, così condiviso da essere incipit al
testo, l’apertura all’al di là, alla certezza che né il bene, né il male
potranno separarla dall’ Aria.
“Aria “come canto,
scrive Gianmario Lucini, certo; aria come atmosfera si
potrebbe aggiungere, esperita su quelle sponde ricche di
immaginario.
“ Quel ramo del lago di Como…”: in chi, del resto, questo poetico
aprirsi, non
ha creato pathos, brama di vedere, chissà… un tabernacolo, sagome –
emozioni, monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo, cime
ineguali…?
In questo spazio si gioca la presa psicologica di intere generazioni:
è stata una scommessa, a mio parere, quella di Carla Bariffi, ad esporsi
su un terreno tanto delicato; scommessa vinta, del resto, perché il
lettore resta affascinato da quella che Lucini definisce a ragione la
”complessa semplicità” della poeta, cioè “non troviamo qui descrizioni
complicate, allusioni a pensieri filosofici particolari, …, ma soltanto la
capacità di interrogare, interrogarsi e stupirsi.”
Mi piace a titolo esemplificativo
soffermarmi su alcune liriche.
L’ora più bella
Dall’imbrunire sorge
a spargere
fremiti
su labbra mai
sazie.
- E’
l’ora in cui ti scrivo -
Un attimo colto
nel quotidiano: l’imbrunire, segmento di vita verso il silenzio, dove i
pensieri più intimi ritrovano finalmente il loro spazio e, il contatto
con l’altro, è intimo, appagante. In quattro versi, straripa
l’essenza della vita.
A volte sento
la morsa forte nel petto
fluida e corposa
vibrare ogni nota
distorcere
salde ragioni.
- Allora capisco
di non sapere niente –
Semplici sensazioni sulla complessità
dell’esistenza, convincono distorcendo “salde ragioni”, di aver bisogno
d’imparare ancora.
Sul tuo ventre
sciolgo i miei colori
aperti e riversati
Folti fili mogano
fluttuanti in girandole giocose
di pioggia e sole
a rivestirti.
Esplode l’eros, colmo di quel desiderio di
appartenenza già intravista nei versi della Dickinson. “ Sciolgo i miei
colori, aperti e riversati”: niente di sé resta all’amante, se non
l’estasi del corpo amato.
Lucia Visconti Cicchino
Improbabili confessioni al veterinario di
Nicola Oronzo Accattato
Tra gli scrittori emergenti della nuova Calabria un posto particolare
spetta a Nicola Oronzo Accattato, cui si affissa con maggiore attenzione
l'interesse della critica letteraria, e il suo "Improbabili confessioni al
veterinario" è da ritenere il frutto maturo di una lunga stagione poetica
e narrativa.
Figura singolare di scrittore-testimone, Nicola Oronzo Accattato ha saputo
con coerenza portare avanti un discorso-ricerca sull'Alto Jonio Cosentino,
che lo vede pioniere -fin dagli anni '70- con voce sempre più sicura e
persuasiva assumere un ruolo caratteristico di predicatore sociale,
insistendo sul fatto che il Sud, prima ancora di essere un territorio
geografico dai confini netti è uno status dell'anima, è una metafora della
solitudine, della diversità, dello sradicamento.
La passione civile, unita ad una ricerca antropologica sul campo anima le
pagine del Nostro. Pagine che sono intrise di un dolore lancinante di
condivisione per la sorte disperante in cui versa la gente del Sud,
estraniata a se stessa, sulla via dell'esilio: la cui disgregazione non è
tanto geopolitica, quanto di natura spirituale e spinge l'autore ad acuire
lo sguardo, a formalizzare nuovi percorsi e, con novità di intenti, ad
approfondire una tematica, che pur inserendosi nell'alveo della
problematica meridionale, ne supera i limiti angusti ed obsoleti del
ritardo storico e del mancato decollo, su cui ha tanto insistito e poi,
per sterilità di risultati, si è arenata gran parte della pubblicistica.
Insomma, sembra suggerire Accattato, la via da percorrere è un'altra:
quella di scavare in direzione opposta, risalendo ad un humus organico, ad
una condizione primigenia inverata e fecondata da un ethos, la cui forza
coesiva esaltava i vincoli di appartenenza comunitaria e di solidarietà
umana. Le "Confessioni" suggeriscono la nostalgia e/o il bisogno di una
immersione nel liquido amniotico di una alma mater, MATRIA e non PATRIA,
quale ritorno alle fonti originali per il recupero dei valori: che non
sono quelli ormai distorti che le varie ideologie (religiose, sociali,
ideologiche) dominanti hanno variamente elaborato ed imposto lungo i
secoli della nostra "storia di uomini". E questa Alma Mater rivive e si
rinnova nella moderna Oriolo, luogo della memoria, arroccata sul monte
come una nuova Gerusalemme, in cui il tempo e l'uomo, stratificati come le
rocce, portano incisi il proprio destino, segnato nella sua essenza di
eterna immobilità. Il tutto è trasposto con poetica surrealistica, che si
può agevolmente comparare ad un grande affresco di Chagall. E come in
Chagall la tavolozza dei colori, qui l'impasto linguistico si fonde
mirabilmente in brandelli di vita che rendono incandescente e continua la
gradazione dei toni, con bagliori di luce vivissima che racchiudono
-rappresa- la materia. Soprattutto l'intonazione lirica rende le
"Confessioni", possibili di una lettura rapsodica e/o trasversale, ed ogni
capoverso -come le strofe di una ballata romanza- si apre su arditi
squarci che cristallizzano visioni oniriche, in cui l'ego narrante, come
uno strato affiorante, evidenzia uno strascico di echi e risonanze che
riconosce come rimembranza e riappropriazione di qualcosa perduto e, ora
svelato, che impone a nuova vita. Sul filo di questa Recherche, si
intrecciano i fili d'oro di esili ma tenaci ricordi ad ammonirci che la
realtà non fugge, il tempo è durata e come tale non scorre e non si
annulla nel divenire, e gli uomini "pulvis et umbra" nel contesto della
solennità del villaggio godono di una luce immortale: c'è sempre Don
Pierino "maestro bravo", Don Osvaldo "che ce l'aveva messa tutta nei tre
anni di medie", il camposantaro, Don Ciccio che intonando il Te Deum
"saltellava come un grillo pelato da una canna all'altra dell'organo
meraviglia e vanto". E i luoghi di questo paesaggio trasparente ed eroso
dalla violenza del tempo: la timpa, il ponte, la piazza del Borgo, la
cantina di Spaventa, il torrente Ferro "che ha avuto acqua solo quando
gli ortolani ci andavano a pisciare", la salita della Barisana,
diventano gli archetipi universali di ogni possibile luogo, e che portiamo
scolpiti sempre dentro in ogni cavità del nostro cuore, quasi memoria
collettiva, iscritta nel DNA della nostra specie, quali strumenti di
conoscenza, modelli di confronto e di approccio a qualsiasi realtà di cui
andiamo ad esperire. Tra i meriti grandi delle "Confessioni" è l'aver dato
moto e restituito alla vita qualcosa -era nell'aria- che sembrava muto e
sommerso sotto una coltre di sedimenti e risentimenti, trasfigurando in
bellezza, la bellezza delle piccole cose, la grandezza dei "piccoli"
uomini di fronte ad una odierna Oriolo-Paperopoli su cui oscuramente
incombe una minaccia e va senza futuro incontro ad un destino di morte.
Qui la voce dell'autore si leva indignata e risentita contro quegli uomini
che "contano" e che come sempre sono quelli "che contano i soldi" e che
hanno negato al paese un ospedale perché "doveva sorgere a…vicino a…e non
lontano da.." su cui pesa -non rimosso- il sacrificio di Maria "che ci
lascia le penne perché si era sognata di avere un parto difficile"
Ma "spes contra speme" la seconda parte del romanzo "Il vile maschio che è
in me" sembra approdare , con il primo stupore della scoperta del mare, a
spiagge luminose e assolate: io che non avevo mai visto il mare…il mare
con le sue onde alte aveva aperto la porta.
La porta che immette in un viaggio iniziatico per alla conquista della
propria identità ed il percorso di centonovantatre passi che l'autore
compie ogni volta nei momenti decisivi della sua vita, sono la misura
dello sforzo, la distanza ideale e reale che separa dal raggiungimento
della felicità, alla conquista dell'amore. Felicità che non è posta in
lontananze infinite, in luoghi esotici e remoti ma hic et nunc e solo
quando l'uomo recupera il senso della solidarietà umana,della dolcezza, la
meraviglia delle cose, lo stupore della luce. Qui sta il significato dell'ex-sistere,
qui il luogo del ritorno ad Itaca-Oriolo, per quanti soffrono sulla loro
pelle le ferite dell'esilio, lo sradicamento dalla Matria. E in questo
viaggio a ritroso si andrà alla scoperta dell'uovo d'oro che le antiche
mitologie hanno posto nelle leggende della loro preistoria. L'incanto
di tante uova bianchissime sotto un cielo tutto sole, in mezzo ad una
pianta di ginestra…Il passo sopraccitato si carica di simbologie
inquietanti, che rimandano ad una cultura antropologica che ha visto
nell'uovo racchiuso il mistero della vita: nel bianco il candore e la
purezza incontaminata di ogni origine; e poi il cielo e il sole nostri
referenti e simbolo di ogni religione. E su tutto, come un'epigrafe,
l'umile ginestra leopardiana, fiore del deserto che al cielo di
dolcissimo odor manda un profumo, e che il destino consola.
Nino Viscuso
Il riflusso della marea
di
Robert Louis
Stevenson
Marlin Editore Narrativa romanzo
Il 1894 è l’anno in cui
Robert Louis Stevenson muore, dopo lunga malattia, in un’isola del
Pacifico e “Il riflusso della marea” è l’ultimo suo romanzo terminato poco
prima del prematuro decesso.
E’ indubbio che l’autore debba la sua fama a opere come “L’isola del
tesoro” e a “Lo strano caso del Dottor Jekill e di Mr. Hyde”, romanzi che
costituiscono, soprattutto il secondo, una pietra miliare nella
letteratura del XIX secolo; con questo, però, non intendo dire che “Il
riflusso della marea” sia un risultato minore, perché, per certi aspetti,
rappresenta l’apice del percorso letterario di Stevenson, preconizzando il
grande romanzo del novecento.
Infatti, l’aspetto avventuroso, pur presente, non è il tema centrale della
narrazione che volge invece a rappresentarci con realismo la corruzione
morale, tanto più accentuata, quanto più l’uomo tende a civilizzarsi.
I protagonisti sono tre uomini irrimediabilmente segnati dal loro destino,
da un degrado da cui non riescono a uscire e di cui anzi finiscono con il
compiacersi in una sorta di autocommiserazione che li porterà a una caduta
definitiva, senza possibilità di risorgere.
La visione dell’umanità di Stevenson è inoltre rivoluzionaria per l’epoca
e già era stata introdotta con la vicenda del Dottor Jekill e Mr. Hyde:
non esistono esseri solo buono o solo cattivi, ma ci sono due componenti
opposte e continuamente in lotta che garantiscono la sopravvivenza, quasi
fosse una specie di gioco di equilibrio. Quando il male soverchia il bene,
la discesa all’inferno è inevitabile, in una sorta di autodistruzione tale
da rappresentare una compiaciuta punizione.
Come mia abitudine non accennerò altro della trama, comunque interessante,
al di là degli autentici contenuti dell’opera.
Ritengo invece doverosa una parola almeno allo stile dello scrittore che,
abbandonata l’opulenza dell’inizio del secolo, riesce, quasi scarnamente,
a rappresentare paesaggi dando loro una visibilità da immagine
fotografica; con la stessa tecnica l’atmosfera di putrefazione morale
viene progressivamente a prendere corpo, in una trasmissione del senso che
il lettore coglie senza accorgersi, perché è viva, pregnante, accompagna
i personaggi che con il loro fare le danno vita.
Il riflusso della marea, quindi, ha titolo per rientrare fra i grandi
classici della letteratura.
Renzo Montagnoli
L’autore
Robert Louis Stevenson nacque nel 1850 a Edimburgo, dove visse fino
al 1863. Debole di salute fin dall’infanzia e tormentato da problemi
polmonari, si spostò in Francia, in Italia e negli Stati Uniti alla
ricerca di un clima migliore. La scoperta della letteratura segnò la sua
strada di giovane sensibile e curioso: Shakespeare, Walter Scott e Dumas
furono i suoi primi maestri. Nel 1878 pubblica i suoi primi libri di
viaggio e i racconti che riunirà nelle Nuove mille e una notte
(1882). Il successo gli arriva con L’isola del tesoro (1883),
classico di ogni tempo e di ogni età. Nel 1886 escono Il fanciullo
rapito e Lo strano caso del Dottor Jekyll e di Mr. Hyde, che lo
confermano nella fama internazionale. Nel 1885 conosce Henry James, al
quale rimarrà legato da grande amicizia. Terminato nel 1888 il romanzo
Il Master di Ballantrae, parte per il Pacifico, dove scriverà racconti
celeberrimi come Il diavolo nella bottiglia e La spiaggia di
Falesà, romanzi come Il naufrago e Il riflusso della marea,
e dove rimarrà fino alla morte, avvenuta nel 1894 a soli 44 anni.
Renzo Montagnoli
Fiori sulla muraglia
di Caterina Trombetti Passigli
Editore Raccolta di sillogi poetiche.
“ E’ il primo tenero
boccio,
l’hai colto per me
e con un gesto inatteso
hai afferrato il mio cuore “
Da “La rosa”
Non a caso ho messo questi
versi di una poesia che fa parte della raccolta “Fiori sulla muraglia”.
Quello che mi ha sempre stupito nelle composizioni di Caterina Trombetti è
l’apparente semplicità stilistica con cui riesce a esprimere sentimenti,
emozioni e anche concetti profondi. E notate che non si tratta di semplici
espressioni, ma di versi che vengono a comporre un quadro armonioso di
pura bellezza, cioè una poesia nel suo concetto più classico e in tal
senso assoluto.
Del resto, nella prefazione, il compianto Mario Luzi ravvisa pure lui
questa caratteristica di elevato valore che rende tutta la poetica
dell’autrice di immediata comprensione nella linearità stilistica che le è
propria.
E’ quindi prima di tutto una lettura piacevole, gratificante e che
rasserena l’animo, perché è evidente la naturalezza dell’esporre, con
versi che sgorgano limpidi come la sorgente di un ruscello di montagna.
Si aprono alla vista così visioni che non comportano differenze
interpretative, come se l’autrice fosse riuscita a scattare una fotografia
del proprio animo, dei propri sentimenti, delle proprie emozioni.
Al riguardo, per spiegare meglio il concetto, mi affido a una parte dei
versi di un’altra poesia: Meriggio.
Guardo un lenzuolo
disteso al bancone
e mi invade la pace.
Ecco la vela
si gonfia di vento
ondeggia nel sole
e il muro, la pietra si animano
di quel luccicante biancore.
In conclusione,
immediatezza e semplicità alla base di una grande poetica.
Renzo Montagnoli
L'autore
Caterina Trombetti
è nata a Firenze dove svolge l’attività di insegnante, occupandosi
prevalentemente dell’educazione degli adulti. Intensa è la sua attività di
promozione alla lettura e frequenti sono gli incontri, in veste di
autrice, con gli alunni delle scuole in varie città. Come poeta è presente
in varie antologie e riviste, e noti critici letterari si sono occupati
della sua poesia, che ha avuto traduzioni in diverse lingue.
Le sue precedenti raccolte poetiche sono:
Il pesce nero, 1990;
L’obliqua
magia del tempo, 1996;
Stelle della mia Orsa, 2002.
Con la Passigli Editori ha pubblicato nel 2000
Fiori sulla
muraglia e nel 2004 Dentro al fuoco.
Renzo Montagnoli
Nerone. Duemila anni di
calunnie di Massimo Fini
Mondatori Storia biografia
Questo libro è dedicato soprattutto ai giovani
perché, attraverso le menzogne sulla storia di ieri, sappiano riconoscere
quelle, per loro certo più importanti, sulla storia di oggi.
Questo pensiero, del tutto condivisibile, introduce il lettore a un
trattato su un imperatore romano che a scuola, negli spettacoli
cinematografici e perfino negli usi comuni è sempre stato considerato un
pazzo sanguinario. Penso che molti noi ricorderanno la eccellente
interpretazione di Peter Ustinov nei panni di Lucio Domizio, più
comunemente conosciuto con il nome di Nerone, nel celebre film "Quo vadis?".
A suo tempo ero un ragazzino e rimasi fortemente colpito da quest'uomo che
alternava indifferentemente la passione per l'arte e la brutalità più
esecrabile, una sorta di mostro che sotto l'aspetto pacioso celava una
crudeltà senza pari.
A scuola poi l'hanno sempre presentato come colui che incendiò Roma e che
ne fece ricadere la colpa sui cristiani, sottoposti a un vero genocidio.
Non ho mai messo in dubbio questa versione dei fatti, dato che aveva
l'ufficialità dell'insegnamento, ma, se avessi pensato che la storia è
fatta a uso e consumo della classe dominante propria di ogni epoca,
logicamente mi sarebbero sorti dei dubbi.
Infatti, quanto sappiamo di Nerone è frutto di due storici romani,
Svetonio e Tacito, sulla cui onestà intellettuale vi è più di un motivo
per ritenere che nella fattispecie non fosse cristallina, in quanto il
primo era più incline ad accogliere i pettegolezzi senza verificarne la
veridicità e il secondo faceva parte della classe senatoriale, tanto
osteggiata proprio dall'imperatore folle.
Quindi, non prendendo più come oro colato i testi di questi due storici,
considerati non propriamente attendibili ed esaminando con spirito critico
ogni avvenimento dagli stessi narrato, la moderna storiografia ha
ridisegnato completamente la figura di Nerone, dandone un quadro opposto a
quello per tanto tempo propinatoci.
Massimo Fini è riuscito, sulla base degli studi aggiornati degli storici,
a raccontarci la vita di quello che probabilmente è stato uno dei più
grandi imperatori.
Il tutto non è frutto di un' opinione personale, perché sono ampi e
documentati i richiami ai testi utilizzati per la stesura del libro.
Il grande pregio dell'autore è stato quello di aver saputo coordinare gli
elementi delle fonti, dando vita
a un saggio che ha lo svolgimento di un romanzo, pur non lasciando nulla
alla fantasia.
E' una lettura facile e anche coinvolgente, il che dimostra come la storia
possa costituire, oltre che un accrescimento culturale, anche un piacevole
passatempo, insomma, come avrebbero detto gli antichi, un vero e proprio "jucunde
docet".
Renzo Montagnoli
L'autore
Di padre toscano e di madre russa, Massimo Fini nasce sul lago di Como il
19/11/1943. Dopo la laurea in giurisprudenza e diversi lavori minori
approda nel 1970 al giornalismo, dapprima all'"Avanti", poi al "Giorno".
Attualmente lavora per il "Giorno", "Il Gazzettino", "La Nazione" e "Il
Resto del Carlino". Ha pubblicato: 'La Ragione aveva Torto?' (Camunia
1985, ripubblicato da Marsilio in edizione tascabile nel 2004); 'Elogio
della guerra' (Mondadori 1989 e Marsilio 1999); 'Il Conformista' (Mondadori
1990); 'Nerone, 2000 anni di calunnie' (Mondadori 1993); 'Catilina,
ritratto di un uomo in rivolta' (Mondadori 1996); 'Il denaro, "sterco del
demonio"' (Marsilio 1998); "Dizionario erotico, manuale contro la donna a
favore della femmina", (Marsilio 2000); "Nietzsche, L'apolide
dell'esistenza" (Marsilio 2002), "Il vizio oscuro dell'Occidente"
(Marsilio 2003) ; "Sudditi" (Marsilio 2004); "Il ribelle dalla A alla Z"
(Marsilio 2006).
Sito internet:
http://www.massimofini.it/
Renzo Montagnoli
La messa dell’uomo
disarmato di
Luisito Bianchi Sironi Editore Narrativa romanzo
Confesso che quando
l’amico Remo Bassini mi ha parlato di questo libro e anche del suo autore
è sorta immediata una naturale curiosità, cioè quella di conoscere che ne
pensa un sacerdote, e Luisito Bianchi lo è, di un fenomeno di assoluta
rilevanza quale è stata la Resistenza. A onor del vero, questo trepido
desiderio è rimasto un po’ frenato quando, in possesso del libro, mi sono
accorto della sua mole. Al momento l’ho accantonato, perché 860 pagine mi
spaventavano, e così è rimasto per una ventina di giorni sul comodino,
quasi a vegliare la mia notte. Ogni volta che mi coricavo buttavo
un’occhiata e quel bel campo di grano in copertina accresceva di più il
senso di incertezza; poi, una sera, non ho resistito e l’ho preso fra le
mani, ripromettendomi di iniziare con un paio di pagine. Se non avessi
guardato l’orologio avrei fatto l’alba, perché quei piccoli fogli di carta
fluivano fra le mia dita come le fresche acque di un ruscello e la
lettura, oltre che gratificante, risultava lieve. C’è voluto il suo tempo,
ma poi sono arrivato alla fine, non con un’aria di trionfo, ma con il
dispiacere che non vi fossero altre pagine.
Questo preambolo mi sembra doveroso, proprio per evidenziare il fatto che,
quando un’opera è di valore, non dobbiamo lasciarci influenzare dalla sua
dimensione ed è quindi un invito a leggere questo romanzo, senza
preconcetti, perché, al di là del suo elevato pregio. riesce a infondere
nell’animo un senso di serenità, una quiete interiore sempre più difficile
a trovarsi.
E’ stato anche definito un romanzo sulla Resistenza e in questo senso è
vero, perché ha saputo cogliere l’autentico significato di questo periodo
storico che prima ancora che un fatto bellico è stato un evento umano, con
quel ritrovamento di una dignità da tempo sepolta.
La messa dell’uomo disarmato non è però solo questo, ma molto di più. E’
un romanzo sulla vita cristiana, sul rapporto fra uomo e natura, fra uomo
ed Ente Superiore, sulle relazioni fra gli uomini. La visione di Luisito
Bianchi non è cattolica, ma cristiana, nel senso che si è spogliato degli
abiti talari quando si è accinto a metter mano alla penna e così del suo
ufficio è rimasta solo la sostanza, quel continuo dialogo fra il razionale
e il trascendentale che può benissimo essere sintetizzato nella frase di
Franco, il narratore del romanzo: “Credi in Dio? Non so, come una
volta, ma credo alla Parola annichilita e risorta per dare un unico
senso alla morte e alla vita”.
L’origine contadina dell’autore si riflette poi nell’amore viscerale
per la terra che permea tutto il libro, quella terra da coltivare con mani
amorevoli, quasi fosse un essere vivente, con i ritmi di vita propri delle
attività connesse e disancorati da quelli fissati dall’uomo.
La terra è una grande madre a cui i figli attendono con i lavori agricoli
come pargoli che succhiano il latte dal seno e a cui, alla fine di una
vita, ritornano, per formare con essa un’unica entità, in un ciclo
costante che dura da millenni, in una simbiosi che da un senso a tutta
l’esistenza.
La messa dell’uomo disarmato è anche il romanzo della pietà, non una
pietà di comodo, ma quel gesto amorevole che deriva da una radicata
umanità.
E così anche le tragiche pagine centrali del volume, quelle che parlano
degli anni della resistenza, con tutti gli episodi di scontri bellici, di
eccidi, di bestialità, finiscono con il diventare un messaggio di pace di
rara bellezza ed efficacia.
Questo romanzo ha tanti personaggi, talmente vivi che sembra di vederli, e
questo nonostante manchino le classiche descrizioni, perché per delineare
le figure Bianchi si avvale delle loro azioni. L’autore non dimostra una
spiccata preferenzialità per l’uno o per l’altro, però un po’ più di
attenzione c’è per i poveri e puri di cuore. Personaggi come Balilla,
Giuliano e, soprattutto, Rondine sono di struggente bellezza, entrano nel
lettore in punta di piedi e non escono più dal suo cuore.
Aggiungo, poi, che ci sono pagine in cui la capacità poetica di Bianchi si
esprime ai massimi livelli: “Come al solito, quel lunedì 26 luglio 1943
l’avemaria suonò alle cinque e mezzo, saltellò sui tetti delle case,
s’incontrò con la mano di porporina dorata che il sole s’era affrettato a
pennellare sulle cime degli alberi,…”.
E di periodi come questo, di una dolcezza senza pari, ce ne sono altri, ma
non sono un esercizio di stile, in quanto funzionali al massimo alla
vicenda.
Bianchi ha scritto tante pagine, ma non ha usato una parola più del
necessario, e anche se la prima parte può sembrare troppo lunga e l’ultima
troppo breve, quasi affrettata, restando il corposo nucleo centrale
l’essenza vitale del romanzo, sono dell’opinione che l’autore abbia agito
per il meglio, componendo la sua opera come un grande concerto di musica
sinfonica, dove il preludio è l’indispensabile base per comprendere il
tutto e la fine è la naturale risposta a tanti perché.
La messa dell’uomo disarmato, secondo il mio giudizio, è un romanzo di una
bellezza sublime, un autentico e raro capolavoro come pochi se ne trovano
nella letteratura mondiale.
Renzo Montagnoli
L'autore
Luisito Bianchi è nato a Vescovato, in
provincia di Cremona, nel 1927 ed è sacerdote dal 1950. È stato insegnante
e traduttore ma anche operaio, benzinaio e inserviente d’ospedale.
Attualmente svolge funzione di cappellano presso il monastero benedettino
di Viboldone (Milano). Nel corso degli anni ha pubblicato: Salariati
(1968), Gratuità tra cronaca e storia (1982), Dittico
vescovatino (2001), Sfilacciature di fabbrica (1970; riediz.
2002), Simon mago (2002). Negli ultimi anni sono stati editi
Dialogo sulla gratuità (1975; Gribaudi 2004) e Monologo partigiano
(2004, Il Poligrafo). Sironi ha pubblicato nel 2003 il suo grande romanzo
sulla Resistenza, assai elogiato dalla critica e apprezzato dal pubblico,
La messa dell’uomo disarmato.
Renzo Montagnoli
Lo specchio delle mie
emozioni di Moira Di Fabrizio
Tabula Fati Edizioni Silloge poetica
E' un piacere scoprire un giovane autore che sa apprezzare il più bello e
il più nobile dei sentimenti: l'amore, in qualsiasi modo esso venga
inteso.
Le sue liriche sono di ragguardevole impatto emotivo e la semplicità
schematica della stesura dei versi tende ancor di più a rafforzare una
sensazione di intima profonda gioia.
Le parole scorrono come un fiume tranquillo in cui volentieri ci si lascia
immergere; eppure traspare sempre un pudore antico nell'aprire questo
immenso cuore, perché le emozioni sono prima nostre, conquiste che
custodiamo come tesori e che partecipiamo agli altri solo per testimoniare
che la vita, nonostante tutto, può essere bella.
Ha ragione Giulio Lucchetta quando scrive nella prefazione " Presentare un
poeta: è forse sgualcire un fiore, frantumare le ali di una farfalla,
interrompere l'estremo canto di una cicala."
E i versi di Moira Di Fabrizio sono lievi come il battito di ali di una
farfalla, ma intensi come il sole radioso che in estate splende a
mezzogiorno.
Renzo Montagnoli
L'autore
Moira Di Fabrizio nasce a Chieti nel 1978, dove studia e si diploma presso
l'Istituto Magistrale "Isabella Gonzaga".
Nel 2002 si trasferisce a Bologna per esigenze lavorative, dove opera nel
campo delle spedizioni, ed è programmatrice e operatrice computer.
Appassionata di archeologia, in particolare dell'Antico Egitto, come
autodidatta, ha un proprio sito sull'argomento.
Si avvicina al mondo della poesia sin da ragazzina trasformando i suoi
pensieri e le sue emozioni in parole.
E' autrice di una silloge di poesie e racconti Tra nuvole e realtà
(Tabula Fati, Chieti 2005).
Renzo Montagnoli
Le ali della sfinge
di Andrea Camilleri
Sellerio Editore Narrativa romanzo poliziesco
La fretta è la caratteristica saliente dell'undicesimo romanzo con
protagonista il commissario Salvo Montalbano. In effetti la trama si snoda
con una velocità inusuale per Andrea Camilleri: è un fiume in piena che
rischia di tracimare dagli argini quello che assilla il sempre simpatico
poliziotto.
Alla necessità di concludere velocemente due indagini per avere un
contatto chiarificatore con Livia, eterna amica-fidanzata, si aggiunge la
presa di coscienza di dover dare una svolta alla propria vita.
Quest'ultimo elemento, altra novità, si estrinseca in uno sdoppiamento del
personaggio, con un Montalbano uno e un Montalbano due, quasi reali, al
punto che dialogano su posizioni opposte tanto da bisticciare.
Da un lato c'è il frutto dell'esame del proprio stato, la convinzione di
non aver saputo dare alla propria vita un'impronta familiare, uno scopo
anche per la vecchiaia, con affetti stabili e sicuri, e dall'altro
troviamo la pigrizia conservatrice che contesta questo atteggiamento, anzi
fa di tutto per soffocarlo.
E' un Montalbano ancor più umano quello di questo romanzo, un essere che
si trova a scoprire le proprie debolezze e combattuto fra il porvi rimedio
e il continuare il consueto modo di vivere.
In questo contesto la risoluzione dei due casi, che costituisce l'elemento
caratteristico della narrativa gialla, passa in secondo piano e
preponderanti diventano l'ambientazione, la psicologia dei personaggi,
quasi che l'autore abbia avuto come scopo quello di lanciare messaggi di
ben altra levatura.
E in effetti non si trova traccia della tensione tipica legata a eventi
delittuosi, ma assume caratteristiche predominanti la frenesia del
personaggio, gli artifizi che mette in atto per raggiungere il suo scopo,
con vere e proprie sceneggiate che strappano più di una risata.
L'impressione che ho ricavato è che Camilleri abbia intenzione di porre
fine alle vicende di Montalbano e che stia preparando il terreno per il
suo commiato, che mi auguro non comporti la sua scomparsa in modo eroico,
ma semplicemente l'inizio di una nuova vita, magari da pensionato, insieme
a Livia.
Renzo Montagnoli
L'autore
Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 1925), regista di teatro, televisione,
radio e sceneggiatore. Ha insegnato regia presso l'Accademia Nazionale
d'Arte Drammatica. Ha pubblicato numerosi saggi sullo spettacolo e un
volume, I teatri stabili in Italia (1898-1918). Il suo primo romanzo, Il
corso delle cose, del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla TV col
titolo La mano sugli occhi. Con questa casa editrice ha pubblicato: La
strage dimenticata (1984), La stagione della caccia (1992), La bolla di
componenda (1993), Il birraio di Preston (1995), Un filo di fumo (1997),
Il gioco della mosca (1997), La concessione del telefono (1998), Il corso
delle cose (1998), Il re di Girgenti (2001), La presa di Macallè (2003),
Privo di titolo (2005); e inoltre gli altri romanzi con protagonista il
commissario Salvo Montalbano: La forma dell'acqua (1994), Il cane di
terracotta (1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino
(1997), La gita a Tindari (2000), L'odore della notte (2001), Il giro di
boa (2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta (2005), La
vampa d'agosto (2006).
Renzo Montagnoli
Pietro Badoglio
Maresciallo d'Italia di Piero Pieri
e Giorgio Rochat Edizioni Mondadori
Biografia
Si tratta, forse, della miglior biografia di un
uomo che, nel bene e nel male, è stato senz'altro uno dei personaggi più
in vista del secolo scorso.
La figura di Pietro Badoglio, quale militare e quale politico, è delineata
mirabilmente, con obiettività, avvalendosi, peraltro, di una corposa ed
esaustiva ambientazione, sia di luoghi che di tempi, così da ottenere un
quadro complessivo della vita italiana dal 1915 al 1945.
A una prima parte, curata da Piero Pieri, e tendente a esplicitare i
motivi della carriera militare di Pietro Badoglio e che arriva all'incirca
alla fine della prima guerra mondiale, ne segue una seconda, redatta da
Giorgio Rochat e che affronta l'ascesa al vertice dello stato di un
personaggio che a conti fatti non aveva doti esaltanti di condottiero e di
politico, tanto che si sarebbe potuto definire solo un onesto soldato.
Fu forse allora solo fortuna questa vita caratterizzata da un crescendo di
successi?
Non viene data, giustamente, risposta a questa domanda, anche perché assai
probabilmente non c'è.
Infatti, è più logico pensare che Pietro Badoglio sia stato il classico
uomo per tutte le stagioni, senza eccellere in nulla, ma non presentando
gravi difetti, e con una capacità invece innata di riuscire a dare sempre
il meglio di se stesso, non trascurando la sua abilità diplomatica di
sapersi far benvolere da alcuni superiori senza inimicarsi gli altri.
Più tattico che stratega, riuscì a superare indenne la tragedia di
Caporetto, pur avendo anche lui le sue colpe, e a tramutare uno scacco in
un trionfo, tanto che non solo fu uno dei pochi a non pagare per la miopia
strategica che consentì al nemico di dilagare nella pianura veneta, ma
addirittura ne uscì rafforzato, sapendosi proporre a Diaz, nuovo
comandante in capo, come unico effettivo elemento di affidabilità che
potesse garantire la transizione nella condotta della guerra da offensiva
a difensiva.
Renzo Montagnoli
Gli autori
Piero Pieri (Sondrio, 1893 - Torino, 1979) è stato il più importante
studioso della storia militare italiana dal Cinquecento alla Prima guerra
mondiale.
Giorgio Rochat, nato a Pavia nel 1935, è stato docente di Storia
contemporanea a Milano, Ferrara, nonchè Torino, dove oggi insegna Storia
delle Istituzioni Militari.
Renzo Montagnoli
La marina del mio passato
di Alejandro Torreguitart Ruiz
NonSoloParole.com Edizioni
Narrativa racconto lungo
Il racconto presenta due aspetti, opposti, ma inscindibili: la
riaffermazione del diritto di essere se stessi in quanto individui dotati
di propria autonomia intellettiva e quindi di personalità, e la grigia
oppressione di un regime, del tutto avulso dalla realtà che ogni giorno
vivono gli esseri umani che ne sono assoggettati.
Il protagonista, un vecchio pescatore, solo, che vive in una palafitta
della Marina, non crede a nulla, non ha mai creduto, non è religioso e
anche quando ha combattuto nella Sierra con i castristi contro Batista lo
ha fatto per necessità. Tuttavia, là, fra tante battaglie e pericoli, la
figura del suo capo, dell'esempio che ogni giorno portava ai suoi
sottoposti, ha rappresentato un faro, una guida su cui contare e di cui
avere fiducia.
Ancora una volta è quindi l'uomo che emerge prepotente sulla
spersonalizzazione del regime politico, tanto più vero ove si consideri
che per il resto della sua vita il pescatore ha creduto in una sola
persona: sua moglie.
Parallelamente alle acute osservazioni sul dualismo fra individuo e
regime, il ricordo di quest'uomo, che non si aspetta più nulla dalla vita,
va alla consorte, che tanto ha amato e che per un male incurabile lo ha
lasciato.
In verità ci sarebbero le figlie, ma una si è sposata con un italiano e
vive nel nostro paese, e dell' altra, rimasta a Cuba, si è persa la
traccia. Non è che il nostro protagonista non ami chi gli rimane della
famiglia, ma questi rappresentano un'entità autonoma, elementi di un
futuro di cui non potrà mai essere partecipe, perché lui non crede più a
nulla.
Così trascorre il tempo fra la pesca, che gli consente di raggiungere il
minimo di sussistenza, vendendo le aragoste ai ricchi turisti stranieri,
con il pericolo di essere scoperto, in quanto il pescato per legge è di
proprietà dello stato, e il riposo seduto sulla veranda, con davanti agli
occhi l'oceano, uno schermo immenso sul quale si proiettano tutti i
ricordi di una vita, magari grazie anche ai suggerimenti del suo vicino,
vecchio come lui e pure solo, ma per libera scelta.
Entrambi sono senza speranze, perché per loro non c'è futuro ed è solo la
memoria del passato che li tiene in vita, ma in una sorta di desolata
rassegnazione, con la certezza che il domani non sarà diverso dall'oggi.
Le pagine di questo racconto sono tutte belle, ma le ultime sono
addirittura sublimi, a tal punto da generare un'autentica intensa
commozione.
La figura dell'anziano pescatore e il suo rapporto con l'oceano può
indurre a qualche accostamento con "Il vecchio e il mare" di Hemingway, ma
assicuro che si tratta di un'opera ben diversa, più malinconica e, in
alcuni elementi, forse migliore (in particolare per quanto concerne la
descrizione del paesaggio e dell'ambiente, realizzata con poche
appropriate parole e perciò mai greve, pur in presenza di un sottofondo
emozionale lasciato abilmente trasparire solo quando strettamente
necessario).
Ruiz è un giovane scrittore, ma di indubbio talento, che nell'isola in cui
vive, e che ama, ben difficilmente potrà emergere. In questo senso è
doveroso un ringraziamento a Gordiano Lupi, che lo ha tradotto e lo ha
fatto conoscere nel nostro paese.
Renzo Montagnoli
L'autore
Alejandro Torreguitart Ruiz (L'Avana, 1979) scrive poesie e racconti per
la rivista El Barrio, è poeta repentista e cantautore. Suona in un gruppo
rock chiamato Esperanza. Ha esordito in Italia con il romanzo breve
Machi di carta - confessioni di un omosessuale (Stampa Alternativa,
2003) che ha avuto un buon successo di critica e di pubblico. A gennaio
2004 ha pubblicato il romanzo breve La Marina del mio passato
(Edizioni Nonsoloparole - Napoli) e a maggio 2005 il romanzo di ampio
respiro Vita da jinetera (Il Foglio - Piombino) sul mondo della
prostituzione. Sono in attesa di pubblicazione: Bozzetti avaneri,
una raccolta di racconti che non sono racconti opzionata da Caminito
Edizioni di Firenze e La casa di Isa, storia di vita quotidiana
nella Cuba del periodo speciale tra jineterismo e arte di arrangiarsi.
Alcuni suoi racconti di impronta politico-esistenziale sono stati
pubblicati da quotidiani e riviste. Tra questi: Il Tirreno, Il
Messaggero, La Comune, Container, Progetto Babele,
Il Filo, L'Ostile, Happy Boys. Gordiano Lupi è il
traduttore e il titolare per lo sfruttamento dei diritti sulle sue opere
in Italia e per l'Europa.
Renzo Montagnoli
Nero tropicale
di Gordiano Lupi Terzo millennio
Editore Narrativa racconti noir
Conoscitore della realtà cubana per motivi familiari, Gordiano Lupi riesce
a ricreare in questi cinque racconti - di cui uno assai lungo, tanto da
potersi assimilare a un romanzo breve (Nella coda del caimano) -
un'atmosfera caraibica densa di tensione e di mistero, dove la religiosità
e l'esoterismo si fondono in una sorta di modus vivendi proprio di queste
popolazioni di origini africane, per le quali il culto dell'animismo non è
mai cessato, pur essendo state convertite al cristianesimo.
Le varie vicende, pertanto, sono tutte caratterizzate dalla presenza del
soprannaturale che è alla base delle stesse e nell'ambito del quale
vengono trovate le soluzioni di morti violente apparentemente
inspiegabili.
In un ambiente, ben descritto, di degrado morale e materiale causato dalla
dittatura castrista, spesso il ricorso a entità di un altro mondo
rappresenta l'unica via di fuga possibile dalla dura realtà quotidiana.
Così, accanto a statue di santi a grandezza d'uomo, convivono spiriti
maligni, e in contrapposizione ai sacerdoti cattolici troviamo i santéri,
paleri e babalaos.
In questo senso il bel volume di Gordiano Lupi ha una funzione che va
oltre quella del puro intrattenimento, pur godibilissimo, in quanto cerca
di rappresentare un modo di vivere che rifugge dalla nostra logica, ma
che, in quell'ambiente e in quelle condizioni, ha una funzione talmente
importante da essere radicato nella gente, quasi una certezza acquisita.
Nella narrazione l'autore è riuscito a equilibrare lo spirito creativo con
quello didattico, così che tutto procede in modo estremamente scorrevole e
il lettore, nel seguire lo svolgersi della trama, riesce anche ad
apprendere gli usi e i costumi di quel popolo in modo del tutto naturale.
Dei cinque racconti, almeno al mio gusto, i più riusciti mi sono sembrati
La vecchia ceiba e Nella coda del caimano, anche se gli altri tre sono di
piacevole lettura. Mi sono anche domandato il motivo di questo maggior
gradimento e penso d'averlo trovato nel fatto che in entrambi la vera
protagonista è la natura, nel primo un vecchio albero, nel secondo un
fiume, cioè un qualche cosa di concreto che controbilancia idoneamente le
perplessità di un europeo di fronte a certi miti e leggende. In
particolare Nella coda del caimano ha uno sviluppo assai articolato, ricco
di imprevisti, di colpi di scena che travolgono letteralmente il lettore,
ansioso di arrivare a comprendere come finirà.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Capo redattore de Il Foglio Letterario e
Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio. Collabora con Mystero e con
la Casa Editrice Profondo Rosso di Roma. Collabora con Contro Radio di
Firenze per recensioni sul cinema italiano anni Settanta. Pubblica
racconti per X Comics, Blue e Underground Press. Scrive soggetti e
sceneggiature per fumetti realizzati graficamente dal disegnatore Oscar
Celestini (pubblicati su X Comics, Blue e Underground Press). Ha
pubblicato: Lettere da Lontano (Tracce, 1998), Il mistero di Incrucijada
(Prospettiva, 2000), L'età d'oro (Il Foglio, 2001), Il giustiziere del
Malecón (Prospettiva, 2002), Le ultime lettere di Pilvio Tarasconi (Il
Foglio, 2002), Per conoscere Aldo Zelli (Il Foglio, 2002). Ha tradotto i
romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa
Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003) e Vita
da jinetera (Il Foglio, 2005). I suoi lavori più recenti sono: Nero
Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica - conversazioni con un
santéro (Mursia, 2003), Cannibal - il cinema selvaggio di Ruggero Deodato
(Profondo Rosso, 2003), Un'isola a passo di son - viaggio nel mondo della
musica cubana (Bastogi, 2004), Quasi quasi faccio anch'io un corso di
scrittura (Stampa Alternativa, 2004 - due edizioni in un anno), Orrore,
erotismo e pornografia secondo Joe D'Amato (Profondo Rosso, 2004), Tomas
Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004), Le dive nude - vol.
1 - il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (Profondo Rosso, 2005),
Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005 - duemila copie vendute
nei primi tre mesi).
Pagine web: www.infol.it/lupi.
E-mail per contatti: lupi@infol.it
Renzo Montagnoli
Il volto e l'anima
di Fiorella Macchioni Edizioni
della Meridiana
Ho tra le mani "Il volto e l'anima " di Fiorella Macchioni, Edizioni della
Meridiana. luglio 2006.
Ne ho scorso le pagine, una, due, tre volte. Mi sono scoperta calamitata,
sedotta dalle icone, scrittura del sacro: chiamano, accolgono, invitano al
silenzio. Il più muto, per entrare nella contemplazione, e lì parlano
d'Amore fino a sbalordire.
Scrittura d'unione di terre e acqua, terre e uovo. La mia terra, unita
all'acqua del battesimo o all'uovo, simboli di Vita Eterna, rivelati nel
Mistero pasquale, si trasfigura nell'oro della S.S. Trinità, mistero di
unità e agapé, da sempre riversato sul creato.
"La terribile minaccia: - Polvere sei e polvere tornerai - si scioglie
nell'oro dell'Amore risorgente di Cristo", come sapientemente sottolinea
Don Giorgio Mazzanti nella Prefazione.
Le icone presentate sono 31.
Alcune "scrivono" le antiche preghiere della cristianità orientale, altre
segnano la risonanza irripetibile dell'autrice, rimandando al passo del
Vangelo:
" Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un
padrone di casa che trae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt.13,52
)
Troviamo l'Eleusa (Madonna della tenerezza) in quattro diverse sfumature,
un particolare dalla Genesi, pura creazione dell'artista come pure la
Celeste Gerusalemme; diverse deposizioni, eppure sempre nuove nel loro
linguaggio di forme e colori e ancora, ancora…ma l'emozione non si
estingue.
Il libro non è semplicemente un catalogo, per quanto prezioso. L'artista
raggiunge punte di altissimo lirismo mistico accompagnando i suoi scritti
con la penna.
Per la Crocefissione ( pag.12)
Il primo fu un grido,
quello della nascita,
cellule
esplosioni di luce
e
la voce delle stelle percepita.
Ora muori…
Così
Morendo
Ti partorisco amore.
Per il Crocifisso ( pag. 28)
Consegnerò parole
alla Voce…
Mia anima
nido vivente
nell'ombra dell'Albero.
Per Eleusa (pag. 58)
Ogni volta
l'intera anima mia
trabocca di te.
E in te trabocca.
Per il Cristo Pantocrator ( pag. 72)
Amico,
sono a chiederti
le parole di un padre
per capirmi.
Sono a chiederti
se posso con Te far festa
e forse
scioglierò questo nodo.
Sono a chiederti quiete.
Per scoprire che il dolore deve all'anima
il passaggio obbligato dell'amicizia.
Ma chi è Fiorella Macchioni? Una claustrale, una consacrata…chi e'?
E' una donna felicemente sposata, con due figli splendidi; sana,
economicamente tranquilla. Veste comodi jeans, nuota, scherza, si fa uno
con chi soffre.
Una persona dunque che nell'arte non cerca alienazione, ma canta la vita,
la innalza a Benedizione.
Fiorella ha scoperto il segreto dell'Esistenza e generosamente ci offre
una mano per accompagnarci alla fonte dell'Essere.
Lucia Visconti Cicchino
Altre storie di uomini,
di alcune donne e di molte bestie di
Nicola Oronzo Accattato ed. Galasso
Magico, come l'efflorescenza luminosa dei fuochi d'artificio del santo
patrono; irridente come lo sberleffo maliziosamente innocente di un bimbo
che mette lo sgambetto ad un adulto; contestativo come lo sparo improvviso
nella quiete mattutina che squarcia la noia del paese.
Sto parlando del romanzo di Nicola Oronzo Accattato "Altre storie di
uomini, di alcune donne e di molte bestie " edito da Galasso,
Trebisacce, 2002.
Un'ubriacatura di scrittura, condotta sapientemente, attraverso i raccordi
della memoria che non hanno l'aspetto trasversale del tempo, ma quello
orizzontale dello spazio del proprio paese: le viuzze, gli andirivieni
spaziali diventano le accensioni della mente, delle emozioni, dove
personaggi ed idee assumono i sommovimenti, gli incanti e le delusioni del
protagonista-corale.
L'inizio è fulminante, come quel falco descritto nella seconda pagina, che
repentino restringe il suo orizzonte per ghermire la vita del coniglio: "Che
Nicola non la fece così". E' un colpo allo stomaco del lettore che
subito avvince e che poi trova rispondenza a metà racconto, con quella
briosa caricatura ed ironia, sul significato dotto della grammatica e
della sintassi: se il "che" iniziale significa perché o invece.
Il protagonista ha un'identità mobile, ma non per questo meno pregnante: è
l'Io, la voce narrante dell'autore che guarda con distacco la realtà del
Sud, è il popolo, quel noi che unisce e fa sognare alla ricerca
impossibile della donna: donna come mare mai visto, donna come aria, donna
come imperscrutabile folto boschetto che anima il sangue, la mente, il
corpo di questo popolo. Con brividi esistenziali e filosofici. Perché
Caterina o Antonietta è la riscoperta della propria innocenza, del sesso,
ma anche della sofferenza del popolo, della sua dignità dinnanzi ad un
bicchiere di vino, mentre i partiti, le ideologie, bandiera rossa o
biancofiore diventano copertura per affari di chi resta sempre a galla.
Questa esplosione linguistica che volutamente scardina la grammatica,
questo cromatismo e dinamismo della sintassi, che diventa aperta campagna
spazio d'incontro e di solidarietà senza più la gerarchia tirannica del
soggetto o la centralità del verbo, sono il modo di tradurre la realtà
arretrata dei perdenti, ma che conservano nel cuore sogni e austera
nobiltà.
Piace questo romanzo per la singolarità d'impostazione e di coordinamento:
è come se ci fossero più strati nella scrittura di Accattato che nascono
alla luce del sole in modo graduale. Giacché il brio e la brillantezza
delle prime due parti "Invece noi"e"Il vile maschio che è in me"
non nascono ex abrupto. Sono, piuttosto, la naturale conclusione della
capacità di Accattato di essersi appropriato della vicenda del suo popolo,
della sua terra, non come cronista distaccato, ma partecipe ed accorato
del flusso che, tra acque limpide a volte, scorie e miserie altre volte,
aspira ad arrivare al mare della vita e della storia.
Se andate a leggere la terza parte "Altre storie" vi renderete
conto dell'umanità, della ironia briosa, comprensiva delle furbizie del
popolo per sopravvivere, dei suoi furori che, anche se non intellettuali,
restano eroici lo stesso per l'aderenza alla vita e al rispetto della
natura. Allora gusterete scene surreali o di una sensualità ammiccante e a
doppio senso (specie della donna, che assume anche un ruolo sociale di
rilevante immediatezza e concretezza) che solo il popolo possiede per
sopravvivere al sopruso e alle avversità della vita. Come pure sarete
presi dalla nostalgia per personaggi e luoghi oramai scomparsi (la cantina
di Spaventa, luogo del mondo) che vivono solo negli interstizi dell'anima
del protagonista. O, infine, dovrete ammirare la capacità di animare la
scena, i volti indimenticabili di don Ciccio, don Liborio, Giorgio, che
sono diventati l'identità di un popolo che, strafottente in cantina o
mortificato dalla politica, ritrova la sua voce genuina, quasi cuore che
palpita e anima il castello slabbrato dal tempo, o il tempo assassino che
porta a mare anche la pietà per i morti, come nell'alluvione degli anni
'70.
La stratificazione del romanzo assegna così a questa terza parte il ruolo
di humus profondo, la terra grassa che dà consistenza e significati ai
giochi linguistici: essi passano dalla fisicità del primo stadio, quasi
slittante per l'ipocrisia del mondo, all'affiorare della superficie, con
una loro levità lunare ed un pungente lirismo. Per cui, anche l'atto più
intimo e, nella società perbenistica, repellente cathedra pestilentiae, il
cesso, assume infine sfaccettature infinite, dalla sensazione di
liberazione di fare i bisogni nell'aperta campagna (e viene in mente una
bellissima pagina di "Cristo si è fermato a Eboli", quando in questo atto
fisico i nostri connazionali, con accorata nostalgia, ritrovano la forza
di gridare, in terra straniera e di umiliazione, "Viva l'Italia")
fino a momento di meditazione, di vera solitudine per ritrovare se stessi
e liberarsi di ogni scoria e non solo fisica.
Gli strati del romanzo sono interconnessi, senza distinzione tra materia
in preparazione e sua elaborazione: ognuna ha una sua autonoma fisionomia,
quasi "divina commedia"commisurata al popolo che viaggia nelle proprie
lacerazioni e ha nel primo momento aspetti sanguigni, mentre negli altri
avverte l'esigenza di un'aria più rarefatta e disincantata. A livello
stilistico e di composizione, questo romanzo, riporta l'atmosfera del
narrare sud-americano, corale e partecipativo, con in più il disincanto e
l'ironia raffinata di una terra che fu magna-grecia e di un intellettuale
oramai lontano dalle beghe paesane, anche se le guarda sempre con umana
simpatia e delicata dolcezza, con autoironia (Il poeta allora in voga),
riuscendo a dare al pettegolezzo la vivacità sapida della satira latina.
Gianni Mazzei
La casa del quarto
comandamento di Marco Salvador
Edizioni Fernandel Narrativa romanzo
C'è qualche cosa peggio del carcere, perfino di quello a vita. Sei un
innocente, hai lavorato tutta la vita per crescere la famiglia, per dare
ai figli un avvenire migliore del tuo. Poi diventi vecchio, magari ti
muore anche la moglie, e tu ormai esisti solo ed esclusivamente perché hai
un figlio. A lui dai tutti i risparmi di una vita, offri generosamente un
futuro, ma quando cominciano i primi acciacchi il ringraziamento consiste
nello sbatterti in un ospizio dove non esistono i giorni, tanto sono
sempre uguali, e da cui sai che uscirai solo con i piedi in avanti.
In mezzo ai non autosufficienti, ai terminali, agli "andati" ti sembrerà
di impazzire, poi, a poco a poco, la rassegnazione adombrerà la tua mente,
riducendoti a un vegetale, a meno che non si trovi qualche cosa per cui
valga ancora la pena di continuare a vivere.
Prima l'amicizia di un compagno di stanza all'inizio mal giudicato, poi il
desiderio di rendersi utile agli altri che vivono con te, proteggendoli
dai soprusi, dalle ruberie, e infine quello che non si pensava possibile,
ma che è la molla più forte per riaffermare la propria identità,
scaturisce quasi all'improvviso, un amore senile fatto di sguardi, lievi
carezze e anche di un po' di sesso.
E allora subentra la ribellione, il desiderio di tornare nel mondo dei
vivi, ma tutto ha un prezzo e quello che pagheranno il generoso Martino,
la delicata Leda e il vissuto Oddo chiude in modo commovente un romanzo di
straordinaria bellezza.
Salvador ha una capacità di analisi psicologica non comune nel descrivere
un mondo a cui non appartiene, a ricreare un'ambientazione che, vista
dall'esterno, sembra impossibile, ma che risponde a verità.
I piccoli dispetti quotidiani, l'attesa spasmodica della visita dei
parenti la domenica, privilegio riservato a pochi che quasi si
pavoneggiano con gli altri, e l'amarezza di essere, ma di non vivere sono
tratteggiati con delicatezza, senza indulgere a pietismi che avrebbero
straniato una narrazione diretta, senza fronzoli, non incline ad accurate
descrizioni, ma comunque di rara efficacia.
Più che leggerlo l'ho divorato, più che commuovermi mi sono indignato:
Salvador non poteva scrivere in modo migliore il destino della maggior
parte di noi.
Renzo Montagnoli
L'autore
Marco Salvador nasce il 10 novembre 1948 a San Lorenzo di Arzene (PN),
dove tuttora vive. Ha pubblicato numerosi saggi sulle comunità rurali nel
medioevo e sulle giurisdizioni feudali minori. Inoltre ha scritto quattro
romanzi: Il longobardo (Piemme, 2004), La vendetta del longobardo (Piemme,
2005), L'ultimo longobardo (Piemme, 2006) e, appunto, La casa del quarto
comandamento.
Renzo Montagnoli
Altre storie di uomini,
di alcune donne e di molte bestie di
Nicola Oronzo Accattato
NICOLA ORONZO
ACCATTATO, GIOIOSO RABDOMANTE DELLO SPIRITO.
Mi convinco sempre più che per Accattato scrivere è come partorire,
partorire se stesso.
Accattato è gravido di un libro che di continuo gli cresce
dentro e che si porta dappertutto.
Ma per il Nostro il parto di se
stesso è, per usare le parole di Kierkegaard, un continuo procrastinarne
il momento, un “restare sempre con le doglie”.
Accattato, partoriente e partorito,
vita che si devolve e si concede tramutandosi in forma di materia,
ha timore del momento al suo approssimarsi; un timore umano (ed
artistico), perché il parto è comunque uno svuotamento, è un dare che è
anche un privarsi, una libertà che è anche una mancanza, un atto di
creazione ma anche uno stato di spoliazione di sé.
Di qui la tentazione di ritrarsi.
Perché la decisione è grave, il momento è solitudine.
Per Lui è un parto senza mammana.
E’ dolore: fisico ed artistico.
Sa, come Consolo – l’altro
milanese -, che “scrivere è una lotta con se stesso”; e che la sua
gravidanza non ha termine con il parto della forma; che la sua è una
gravidanza letteraria perenne; che avrà sempre il pancione ingombro di
luce e nuvole, di vicoli e facce, di musica e Caterine, di uomini e
bestie, che non potrà (né vorrà) ignorare, perché non potrà rinunciare a
tutto questo affiorare di “sottili malinconie”, al suo “mondo di echi”;
non potrà rinunciare, per dirla ancora con Consolo, a “tornare nel ventre
della terra, nel cuore della zolla, da cui non s’esce mai”.
E come il ventre
della terra non può non essere pienezza e progetto costante di vita, così
il ventre del poeta e dello scrittore. Accattato non può non essere
partitura di note-parole nasciture danzabili.
Accattato-“maestro d’argilla” plasmerà fino all’esaurimento della materia
argillosa. Il libro
emozionale che Accattato si porta dentro - di cui il libro-testo-forma
“Altre storie di uomini, di alcune donne e di molte bestie” di
recente pubblicazione costituisce una seconda genitura letteraria-, è un
libro che verosimilmente potrebbe non aver deciso Lui di scrivere ma che
tuttavia non può sottrarsi dallo scrivere, perché il tutto questo cui si è
fatto cenno, o il tutto quello - la “mia Calabria di vicoli e di mosche,
di storia e di mito”- che lo contiene e lo alimenta non potrà ricusare la
sua parola ritmata attraverso cui transita la propria vita, essendo Egli
uomo invaso da voci interne ansiose di suoni, ingiunzioni pressanti, acqua
bollente che fa saltare il coperchio se provi a chiudere la pentola. Torneranno compare
Gigino, Silvio, il Barone, comare Elvira e Micuzzella nel “salotto del suo
cesso” a “ridergli in faccia l’odore della ginestra e la meraviglia del
sole, con quella lingua viva, con quel gusto dell’intreccio”. E tornerà anche
Caterina. Egli cederà al
ventre della terra, al cuore della zolla. Con un sorriso e una
“parolaccia”. Arriveranno di
nuovo le doglie. E per dar voce al “cuore
della zolla” occorrono parole-suoni impastate di terra. E allora le parole
non possono non essere “cose solide, che si fermano nell’aria a lettere
maiuscole, come quelle che si mettono sulle tombe”; perché le parole
contenute nel vocabolario-supermercato possono scadere a forme anguste e
gusci puramente retorici che danno l’effetto di “prurito come la maglia di
lana”, anelli compositivi di frasi anche esteticamente buone per certa
letteratura di maniera (dando forma ad una lingua “corrosa e depravata dal
luogo comune, nonché dall’inestirpabile malcostume ironicamente chiamato
bello scrivere: J. Rodolfo Wilcock), ma certamente inadeguate alle
peculiarità espressive di chi “non andò mai a vestirsi nel guardaroba
della retorica”, di chi comprende la “forza delle cose” (L.Pirandello). Accattato possiede
la “parola-sangue”, perché Egli ha colto “il miracolo della cose che
parlano. E le cose parlano senza aver imparato l’idioma a scuola, senza
aver appreso le regole e le leggi della composizione artistica. E così del Nostro
si può dire quel che a tale proposito è stato scritto di Giordano Bruno:
“nomina liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio
essere; non dice vergognoso quel che fa degno la natura; non copre quel
ch’ella mostra aperto, chiama il pane pane, il vino vino, il piede piede,
et altre parti di proprio nome; dice il mangiare mangiare, il dormire
dormine, il bere bere, e così gli altri atti naturali significa con
proprio titolo”. E allora le corna
sono corna, la bestemmia bestemmia, la parolaccia parolaccia (senza
virgolette). All’inizio fu comare
Elvira - presa a “maestra di grammatica” dallo scrittore Accattato -: la
di lei “la parolaccia ben detta” – e benedetta -, diviene tela pittorica
di rappresentazione del mondo popoloso del suo spirito; la testimonianza
dell’autenticità del vivere e del vissuto; parolaccia che perché “ben
detta” – e benedetta -, non è mai gratuita, non scade mai a turpiloquio e
non diviene oscenità né dei personaggi, né dello scrittore. Perché l’uso
letterario della parolaccia è diverso dall’uso letterario dell’oscenità -
la quale pure può assumere un uso letterario, come insegna H. Miller, e
rappresentare addirittura una leva ideologica; nessuna connotazione
ideologica è invece connaturata all’uso della parolaccia in Accattato, per
il quale è una parolaccia sostanzialmente pudica e innocente. Infatti, seppure si
“senta a suo agio” nel momento della parolaccia quando questa è
indispensabile al dipanarsi delle storie e alla caratterizzazione dei
personaggi in quanto espressione di topoi e tipi (per esempio
quando esprime il gallismo brancatiano di Don Liborio o la mascolinità
della “zoccola” con le “palle di toro” che viene eletta Presidente del
Quartiere), Egli non la lascia in bocca alla “piagata” che si accanisce
che “il pezzo più grosso che doveva restare di me su questa terra doveva
essere il lobo dell’orecchio” e “il mio sesso doveva diventare più fine
della cenere”. Quindi, la
parolaccia quando ci vuole ci vuole; e quando ci vuole non ci sono mezzi
termini a mitigarla: non la si può graduare; darla un tanto al chilo o
all’etto. Perché una “incazzatura” non può essere un’arrabbiatura, specie
se ci si “incazza di santa ragione”; perché nel nostro mondo di contadini,
di “gente fottuta”, non ci si arrabbia, ci si “incazza” e basta. Senza
eufemismi. E come tutti
sappiamo, noi abitanti di queste ataviche contrade, la “parolaccia” non è
espressione dell’ animo corrotto di un uomo malvagio (ecco, un eufemismo)
o di una donna di malaffare (un altro eufemismo), e allo stesso modo la
“bestemmia” non identifica in colui che la pronuncia un blasfemo, un “vrosciasanti”. Insomma, leggendo
“Altre storie di uomini, di alcune donne e di molte bestie” non
dobbiamo mettere il bip alle parolacce e non dobbiamo noi lettori
sentirci complici di un eretico. Piuttosto da lettori dobbiamo immergerci
nel mare di emozioni, nel liquido amniotico del fecondo scrittore, nella
placenta vitale dei suoi racconti: e così nella sua verità troveremo le
verità di cui siamo in cerca nel nostro pesante cammino lungo i sentieri
dell’anima, e scopriremo che camminando camminando il nostro passo
diventerà più leggero e che le verità per quanto ricurve accenneranno ad
essere più rettilinee. E forse ci
accorgeremo della spiritualità delle cose e degli uomini. La parolaccia in
Accattato è, pertanto, solo l’altra faccia del pudore: quella
pudicizia che diventa creatrice di metafore e, quindi, di
poesia. Infatti la prosa dei
suoi racconti è una prosa poetica.
Non è forse poesia, vera
poesia, la metafora del mare-Caterina? E il racconto “una concitata
palpata sulla tetta destra”? E il dialogo a distanza di tempo e di luogo
con l’assente Spaventa?
Per tornare a Wilcock, lo scrittore giovane “sente il bisogno di crearsi un nuovo
linguaggio” attraverso una “sistematica riconquista del vocabolario”. E.
Pound sosteneva che “la lingua italiana ha bisogno di carta vetrata”?
Tuttavia, il “nuovo
linguaggio” – imperativo che il Nostro sente come pressante esigenza
espressiva – può nascere anche senza “scartavetrare” la lingua italiana –
cioè la lingua letteraria ufficiale, posto che il processo che porta alla
creazione linguistica è un movimento che appunto procede da un
punto dato e conduce altrove; cioè a dire che una invenzione linguistica –
come ogni altra invenzione – non nasce dal nulla, bensì origina e si
dipana da un esistente.
E anche qui – oltre
che dell’ispirazione poetico-letteraria – l’esistente è sempre Oriolo: non
quindi la lingua intellettuale, la prosa accademica, bensì la lingua
parlata, da identificarsi con quella che Egli stesso definisce “lingua
viva”; e precisamente il dialetto oriolese (o si dice oriolano?)
– specularmene alla vecchiette che in chiesa “martoriavano il latino
piegandolo alla prosodia del nostro dialetto”.
Accattato, quindi, più che un iconoclasta
della lingua italiana, un sovvertitore della lingua accademica e
letteraria è da considerarsi un magnifico e gioioso rabdomante dello
spirito che ha scoperto (cosa che necessita di grande intelligenza e
cultura!) che si può pensare in dialetto e scrivere in italiano – così da
italianizzare il dialetto, conservando nel contempo la forza del
primo e la mediaticità del secondo -, ottenendo i classici due piccioni
con una fava: creare una lingua non solo letterariamente “tosta” e
compiuta ma per di più scevra da inutili fronzoli intellettualistici,
senza i “tanti aggettivi pennellati” dei tanti “poeti in voga”.
Ma l’opera narrativa di Accattato non è solo
“vertigine della parola”: è anche ritmo. E non solo ritmo
narrativo, bensì ritmo musicale: è jazz. I racconti
(veramente felice la scelta della forma racconto !) sono altrettanti brani
musicali, dove le parole sono anche note; le punteggiature pause musicali;
gli intrecci narrativi altrettanti cambi accordi e di tonalità nell’ambito
della medesima unità ritmico-narrativa.
E non è tanto il jazz letterario
nordamericano di Keruoac – metropolitano e cupo; è piuttosto un jazz
sudamericano solare e agreste. Non un jazz individuale e nevrotico, ma un
jazz vorticoso e corale, che può nascere solo sotto le palme di Mangue
Seco o sotto gli ulivi di Calabria, e maggiormente nella Cantina di
Spaventa e alla Scifuel.
Più che un jazz di trombe è un jazz di tamburi
di Bahia e di cupi-cupi di Oriolo: a volte anche malinconico; sempre
passionale.
E’ un jazz che si balla, un pensiero fisico che
dondola; è una poesia che ondeggia i fianchi, sale le scale a pioli, palpa
concitatamente; è un rullante con la lingua lunga, una metafora col mal di
denti; una grancassa dei comizi, un timpano della commozione e, a volte,
dell’amarezza.
Ma dello stile narrativo dei racconti non può tacersi il “gusto
dell’intreccio”: quella “agile mobilità” che Egli ha attribuito
all’ascetico Don Ciccio per la maestria nel suonare l’organo della chiesa
(“saltellava piedi e mani da un tasto all’altro e da un pedale all’altro
per fare eruttare altissimi suoni all’organo, con un andamento ora brioso
e allegro, ora lento e maestoso”) è il suo “ricamare i pensieri, con uno
che si intreccia con un altro e poi ne richiama un altro e un altro
ancora”: il suo “volare con le parole, insomma”, che è proprio del dialogo
e del racconto orale della “fauna umana” che egli ama.
Un dialogo circolare: un percorso che
parte dall’alba delle emozioni pure e ritorna attraverso i racconti a
quelle emozioni con la critica del vissuto.
Un dialogo polifonico, corale e, quindi,
democratico, possibile solo se ci si immedesima con la “fauna umana”
che si vuole raccontare, e Accattato è uno di loro ed è dalla loro parte,
dalla parte dei “fottuti” (forse fottuto tra i fottuti) ed in questo
totale compenetrarsi consiste la sua dimensione di scrittore sociale.
E’ altresì uno scrittore socializzante,
nella misura in cui incoraggia la “chiacchiera” (perché tanto il suo mondo
fisico che quello narrativo è piazza) che esprime, appunto, un
bisogno di socializzazione, l’ansia di comunicare dell’uomo-animale
politico; la scuola per diventare adulti (“l’età che ci porta a guardare
con l’occhio più largo”): preferisce la Cantina di Spaventa al Bar
Novecento, perché questa è la culla della “chiacchiera”, come pure la
Scifuel (“il luogo di incontro di tante generazioni, dove ci si facevano
tante belle chiacchierate, ci si confidava sulla propria stitichezza, sul
lavoro che non c’era, sull’acqua che non arrivava, su Andreotti”), vera e
propria “seconda casa”.
Il mondo fisico e narrativo di Accattato è
anche il mondo degli sfottuti (anch’Egli forse sfottuto fra gli
sfottuti): galeotta sempre la Scifuel, teatro di rivelazioni
compromettenti e deleterie e di intime confidenze e confessioni; piazza
che metteva a nudo non solo i deretani (maschili e femminili) ma anche
le insicurezze dell’ingenuo uomo maschio, che nella sua
“minchioneria” esprime dubbi sulla sua potenza virile e “qualcuno dei più
fessi anche dei sospetti fondati sulla fedeltà della moglie”. E allora la
confidenza diventa “pettegolezzo”, che fa il giro del borgo di bocca in
bocca e al “minchione” non resta che cambiare paese se si dà poco da fare
o diventare il monumento del “cornuto” se è la moglie a darsi troppo da
fare.
In realtà, l’uomo non ne esce molto bene dai racconti
del Nostro: l’uomo è “friabile”. E’ fallace (Don Liborio), e quando non è
fallace è vanitoso (il “più migliore”), e quando non è vanitoso è
egocentrico (il “poeta allora in voga”), e quando non è egocentrico è
inaffidabile (Spaventa), è quando non è inaffidabile è vile (l’amico del
veterinario), e quando non è vile è “minchione”(tanti), e quando non è
minchione è troppo permaloso (Don Ciccio) o impulsivo (Francesco) oppure
buffone (Pascoli e Carducci) o tirchio (Don Pasquale): e poi, ovviamente,
è cornuto.
Che le donne non sono così.
A parte le zitelle e quelle “magre come un
chiodo”, le donne sono opulente come le mulatte dei racconti di J. Amado,
comprensive (le madri), disponibili (“le donne sono di compagnia, e che se
c’è da ammiccare non si tirano indietro e vanno pure più avanti degli
uomini se c’è da appartarsi dietro ad un cespuglio per sfogarsi quel
languido languore all’inguine”) e all’occorrenza battagliere (“il
Presidente del Nostro Quartiere”) e con la “lingua lunga”(comare Elvira
che “zittiva i maschi”) e autorevoli (“sanno farsi ascoltare dai mariti,
dai figli e in alcuni casi anche dal proprio amante”): insomma, “solide”
come la Timpa (“le donne sapevano mettere al mondo figli e cucinare e
chiacchierare, ma anche vedere e parlare e lungimirante pensare e muoversi
con la destrezza delle faine, con la grazia delle farfalle, con le palle
dei tori”). Delle vincenti: anche le cosiddette “zoccole” che “era raro
che soccombessero”.
E Caterina…
E in ultimo vengono le bestie.
Antonio Carmine La Banca
Eraclito e il muro di
Cinzia Pierangelini Edizioni GBM
Narrativa romanzo
Già conosciuta in campo letterario (sua l'ottima raccolta di racconti
"Dall'ultimo leggio"), Cinzia Pierangelini fa il suo esordio nel difficile
ramo dei romanzi con "Eraclito e il muro" ed è una prima di classe, a
conferma delle eccellenti qualità dell'autrice.
Ambientato in un tipico paese siciliano, è la storia di un critico
musicale votato a stroncare artisti e musicisti del locale teatro lirico.
La sua non è solo una vocazione, che trova origine in un carattere chiuso
e misogino e nella sua totale inattitudine all'arte, ma è anche una
ribellione alle chiuse regole di un mondo dominato dall'ipocrisia e da
norme non scritte e misteriose. Quando la sua attività si scontra con gli
oscuri interessi del "potente" del luogo, in concomitanza con una
depressione insorta per effetto di uno scherzo, viene abilmente rinchiuso
in una clinica per malati mentali dove, di fronte al comportamento fuori
dalle regole degli altri ricoverati, ritrova il piacere di vivere e anche
l'amore che, per motivi del tutto abietti, viene stroncato. Dimesso,
perché apparentemente guarito, cercherà una plateale vendetta, che solo in
parte si realizzerà, e finirà i suoi giorni in carcere.
Al pari del principe Salina del Gattopardo, Cinzia Pierangelini riafferma
che in questo mondo tutto cambia, pur restando alla fine sempre uguale, e
chi è disposto a contrastarne le regole finirà per essere rinchiuso in una
solitudine senza speranza, come il grande filosofo greco Eraclito.
E il muro del titolo? È quello del teatro, dove ignoti si divertono ad
annotare maldicenze, di tanto in tanto ricoperte da una mano di bianco,
prontamente e nuovamente imbrattato, a riprova dell'immutabilità della
vita.
Scritto in modo scorrevole, accattivante, con la tensione di un thriller,
anche se non lo è, è un libro che si legge tutto d'un fiato, pur se più di
una volta è opportuno e salutare soffermarsi su certe riflessioni, come la
chicca filosofica del consueto ritardo del treno da Palermo.
Lo stile è quello solito e piacevole dell'autrice, in questo testo ancor
più perfezionato, con descrizioni mirabili del paese, quasi dei quadri di
armonia figurativa. Interessante poi è l'inserimento di modi di dire e
antichi proverbi in dialetto siciliano, utilizzati soprattutto come
incisi, con il preciso scopo di rafforzare il concetto senza
sovrabbondare.
Inutile che dica che ne consiglio vivamente la lettura.
Renzo Montagnoli
L'autore
Cinzia Pierangelini è nata nel 1963 a Messina, dove vive e svolge
l'attività di docente e violinista. Ha iniziato a scrivere solo nel 2004,
realizzando così un sogno che si portava dietro sin dai tempi
dell'adolescenza.
Molti suoi lavori, vincitori di premi letterari, sono editi in antologie,
in e-book e in riviste. Con altre case editrici ha pubblicato:
Dall'ultimo leggio, raccolta di racconti; La Quaresima,
nell'antologia Quindici passi nel buio; L'origine, nell'antologia
Il mio mare; Il viaggio, nell'antologia Libera uscita. In stampa la
poesia "Quando Jasmine sciolse la sua treccia" selezionata per
un'antologia poetica e il racconto "La signora Rosa" selezionato
per un'antologia erotica. In editing il romanzo per ragazzi Il
professor Scelestus e in attesa di editore il romanzo La jatta.
Renzo Montagnoli
Pelle di leopardo-Giai Phong! La liberazione di
Saigon di Tiziano Terzani
Edizioni TEA
Saggistica storica
La guerra in Vietnam come non l'avete mai letta, un reportage eccezionale
scritto da chi la vissuta in prima persona e che arriva fino alla caduta
di Saigon.
Il Terzani giornalista è riuscito a creare, con gli articoli da lui
scritti sull'argomento, una narrazione di straordinaria efficacia, ma
senza cedere al sensazionalismo o, peggio, al déjà vu. La sua è una
cronaca minuta, attenta, a volte forse pedante di un conflitto che i media
hanno ampiamente presentato, anche in diretta, ma senza quell'umanità,
quella sensibilità che è propria di Tiziano.
I libri in effetti sono due, benché riuniti in uno solo.
"Pelle di Leopardo", scritto nel 1973, parla delle esperienze di Terzani
arrivato in Vietnam l'anno precedente.
"Giai Phong" , pubblicato nel 1976, invece tratta dell'ultimo periodo del
conflitto, con la liberazione di Saigon e il primo periodo post bellico.
In ogni caso riesce a trasmettere emozioni palpabili, con quella capacità
di Terzani di scavare in fondo alla notizia, cercarne i retroscena,
descrivere ammirevolmente la sofferenza di quel popolo e il suo
cambiamento, morale e materiale, dopo il termine delle ostilità.
Benché cerchi di essere imparziale, lascia trapelare la simpatia per i
vietcong, mentre è netta la sua presa di posizione nei confronti del
regime corrotto e fantoccio di Saigon e degli americani, imbarcatisi in
una guerra, spesso feroce, e da cui se ne sarebbero usciti a capo basso.
Da leggere, sicuramente, per capire, ricordare questo altro dramma del XX
Secolo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Tiziano Terzani (1938-2004) è stato per una trentina d'anni corrispondente
del settimanale tedesco Der Spiegel dall'Asia e collaboratore, prima di
Repubblica, e poi del Corriere della Sera. Profondo conoscitore dell'Asia,
ha scritto su questo continente numerosi libri.
Tra le sue opere ricordiamo: Buonanotte signor Lenin, Pelle di leopardo,
La porta proibita, Un indovino mi disse, In Asia, Lettere contro la
guerra, Un altro giro di giostra e La fine è il mio inizio, l'ultima sua
opera prima della morte.
Renzo Montagnoli
Un anno sull'Altipiano di
Emilio Lussu Editore Einaudi Narrativa
romanzo storico
Considerato da molti, e non a torto, come un romanzo che nulla ha da
invidiare a "Niente di nuovo sul fronte occidentale " di Erich Maria
Remarque, differisce da questo sia per l'ambientazione (là il fronte
franco-germanico, qua quello italo-austriaco), sia per la diversa
struttura narrativa (più romanzo quello di Remarque, pur se basato su
esperienze personali, più diario quello di Lussu).
Premetto che è un bel romanzo, anche se secondo me inferiore a quello del
tedesco, laddove la guerra appare come una mostruosità quasi insita
nell'uomo, mentre nel testo di Lussu, pur mostrando l'orrore di un
conflitto, è più marcato il riferimento a certe decisioni, ad alcuni
personaggi (vedasi il generale Leone) che sembrano imprimere con il loro
comportamento un andamento sanguinoso alle tante piccole battaglie o
scaramucce.
Questo dipende anche dall'andamento quasi diaristico della scrittura,
frutto dell'esperienza diretta dell'autore sull'Altipiano di Asiago
dall'estate 1916 alla successiva del 1917.
In buona sostanza, nel romanzo di Remarque ci si indigna subito per la
guerra, mentre in questo si viene esacerbati dalle azioni stolte di certi
comandanti e solo di conseguenza si arriva a comprendere l'assurdità di un
conflitto.
Comunque in queste pagine c'è tutto il dramma di una gioventù che in
divisa ha servito il paese nella grande guerra:
la vita di trincea, i comandati fuori di testa, gli ordini sbagliati,
l'artiglieria italiana che regolarmente spara sulle nostre linee, gli
assalti senza alcuna utilità, le ore di ozio e la paura delle azioni.
Il tutto viene descritto con tono distaccato, quasi che l'io narrante, il
tenente Emilio Lussu fosse un semplice spettatore. Infatti, non c'è
bisogno di commenti o chiarimenti, perché la realtà parla da sola.
Considerato anche lo stile non greve, anzi dinamico, non sarebbe male,
anzi sarebbe bene che fosse presente nei programmi scolastici.
Renzo Montagnoli
L'autore
Emilio Lussu nasce ad Armungia, in provincia di Cagliari, il 4 dicembre
1890 e muore a Roma il 5 marzo 1975. Laureato in Giurisprudenza, fu un
acceso interventista nel primo conflitto mondiale, anche se poi dovette
ampiamente ricredersi. Antifascista, e per questo perseguitato, dopo il
1945 si occupò di politica, orbitando sempre nell'ambito della sinistra.
Un anno sull'Altipiano, il romanzo per cui è giustamente famoso, è stato
scritto nel 1938 ed è stato oggetto nel 1970 di una fortunata riduzione
cinematografica, a opera di Francesco Rosi, dal titolo "Uomini contro".
Renzo Montagnoli
Il giardino dei Finzi Contini di
Giorgio Bassani Arnoldo Mondatori
Editore Narrativa romanzo
L'opera fa parte di un grande impianto romanzesco a cui Giorgio Bassani
lavorò per circa quarant'anni e che comprende anche "Dentro le mura",
"Dietro la porta", "L'airone", "Gli occhiali d'oro" e "L'odore del fieno",
testi non strettamente connessi, ma che presentano una comune simbologia
poetica e un'ambientazione che costituisce anche una metodologia di
osservazione degli eventi storici, con una Ferrara quasi mitizzata, dalle
ampie e silenziose strade, con una vena di esile malinconia che riflette
tuttavia il piacere di un vivere in un mondo quasi a sé, fra nebbie
perlacee che tutto celano e che lasciano scoprire all'improvviso case,
mura, alberi, affinché lo stupore della visione si accompagni alla quiete
silente di una provincia quasi fuori dal tempo.
Questa atmosfera è descritta benissimo ne Il giardino dei Finzi Contini,
un romanzo che sorge e cresce sul filo del ricordo. Raramente mi è
accaduto di immergermi inconsapevolmente in un ambiente, di sentirmi parte
della narrazione, come se dietro l'io narrante ci fossero tutti i nostri
sentimenti, i nostri sogni di una vita quieta, lontana da ogni clamore,
come se gli eventi del mondo fossero lontani anni luce.
E se nel prologo ci sono le immagini di una necropoli etrusca, che portano
a una riflessione sulla morte, non atroce, ma malinconica, come un evento
ineluttabile che chiude la vita, pure il romanzo inizia con la descrizione
del cimitero ebraico di Ferrara, quasi a prendere atto che tutto ha un
termine, fugando così il naturale timore della dipartita.
Anche nella tragedia della famiglia dei Finzi Contini, distrutta nei campi
di sterminio, non c'è traccia di orrore, non c'è ansia atroce, ma solo il
mesto ricordo di un amore giovanile perduto per sempre.
In questo senso è assai emblematico il personaggio di Micol Finzi Contini,
la fanciulla di cui l'io narrante è perdutamente innamorato senza che
tuttavia lo dimostri apertamente, perché le decisioni, nel mondo ovattato
e sospeso del giardino dei Finzi Contini, non devono esserci. Sarebbe,
infatti, un ritornare sulla terra, affrontando una realtà che spesso non è
piacevole.
Quanti giardini ci sono nel nostro animo, quanti rifugi irreali in cui nei
momenti di difficoltà ci piace adagiarci per fuggire il quotidiano!
Ecco, l'invito a leggere questo romanzo, di una delicatezza e di un pudore
incredibili, è d'obbligo, perché alla fine, quando il protagonista
rinuncia a Micol, sarà per tutti chiaro che il sogno non è un comodo
rifugio e che la realtà, tutto sommato, è l'unica prova della nostra
esistenza, pur con il suo carico di dolori, ma anche di brevi gioie.
Renzo Montagnoli
L'autore
Giorgio Bassani nacque a Bologna il 4 marzo 1916 e morì a Roma il 13
aprile 2000. Di famiglia ebraica, patì le persecuzioni razziali e durante
gli anni di guerra partecipò attivamente alla resistenza. E' solo dopo il
1945 che si dedica all'attività letteraria in via continuativa, sia come
scrittore che operatore letterario (suo è il merito di aver caldeggiato
all'editore Feltrinelli la pubblicazione de Il gattopardo).
Poeta raffinato, Bassani ottenne il successe di pubblico proprio con Il
giardino dei Finzi Contini, di cui fu curata anche una trasposizione
cinematografica da parte di De Sica.
Renzo Montagnoli
Povera Gente di
F.M.Dostoevskij (1846)
Quando questo romanzo venne pubblicato, Fëdor Dostoevskij aveva
ventiquattro anni; fu un successo travolgente: l'autore era un genio, un
genio Dostoevskij stesso, però, che viveva nella miseria più nera, quella
miseria senza speranza che ispira, appunto, "Povera gente". Due giovani si
scrivono, si raccontano le loro piccole vicende quotidiane, le loro
speranze, i loro sogni. Nasce così un amore che potrebbe aprire a
entrambi la via della felicità, ma la loro miseria è tale che la ragazza
deciderà di sposare un uomo non più giovane, ma ricco nella folle speranza
di poter aiutare il suo infelice amico. Un romanzo epistolare che scosse
la Russia e segnò l'inizio della carriera di un titano della letteratura
mondiale.
La psicologia di Dostoevskij in Povera gente è diversa, come è diversa la
sua maniera, un po'monotona forse e troppo sentimentale, ma
fondamentalmente realistico-psicologica.
Le opere di Dostoevskij esprimono una problematicità ancora aperta.
I temi trattati si possono così condensare:
la missione universale del popolo russo (messianismo), che consiste nel
conciliare Oriente e Occidente, all'insegna di un cristianesimo basato
sulla fraternità e sul bene dell'intera umanità.
Superamento dell'idealismo e del positivismo.
Crisi di tutte le ideologie.
Denuncia della condizione di isolamento, di solitudine, di crisi dell'uomo
moderno, da cui è possibile si generi il male.
Polifonia, pluralità, pensiero dialogico.
Ansia di libertà e ribellione.
Elio De Luca
Umiliati e Offesi di
F.M.Dostoevskij (1862) Ed. Mondadori,
Grandi Classici
Questo romanzo mi ha suscitato una chiara ed immediata riflessione: la
vita di un uomo è la pellicola lucente che limita la superficie del mare o
meglio questo è il teatrino dentro cui è inserito, ma dentro di se ogni
uomo e ogni donna si portano tutto l’oceano; e quanto impercettibili sono
i segreti che nascondono gli oceani!.
L’inizio del romanzo è esilarante, incalzante, dopo quattro pagine ci si
sente subito catturati da un vortice sinfonico di sentimenti che dipingono
uno scorcio di vita popolare russa fine ‘800.
Il solo episodio del vecchio Smith già trancia il cuore, ed è solo
l’inizio…ma in ciò Fedor è il maestro dei maestri: passare direttamente
dalla offesa e dalla umiliazione subita da un vecchio alla svolta
compassionevole di tutti coloro che poco prima lo avevano aggredito.
Umiliati e Offesi sono il Popolo Russo, moralmente assai superiori e assai
più intelligenti dei potenti e dei “despoti” sociali a cui sono
storicamente sottomessi. Il teorema del romanzo sembra essere: le persone
nobili d’animo e caratterialmente elevate sono eternamente collocate tra
gli ultimi della terra, mentre chi sta in alto, chi comanda chi ha il
potere è sempre una persona non virtuosa.
D. è continuamente ossessionato dalla visione evangelica della vita, e il
suo è un romanzo narrato in prima persona; Vanja, è il
protagonista-osservatore delle vicende e in lui si riconosce l’autore
stesso, il suo carattere mite e profondo.
Alioscia è il tipico bel ragazzo di nobile famiglia che ama e si fa amare
ingenuamente condannando alla sofferenza chi lo circonda.
E’ un sognatore ingenuo ma talmente fuori dalla realtà che non è in grado
di metter freno ai danni che irrimediabilmente innesca nella vita degli
altri.
Elena, bambina orfana, una specie di cenerentola epilettica, bella e
orgogliosa, è il personaggio che D. esalta maggiormente poiché e’ un fiore
che nasce dall’inferno e non si china ad alcun compromesso, è la bellezza
interiore che rimane intatta e non si lascia scalfire dal marciume sociale
che circonda le vite disgraziate dei contadini e dei poveri russi.
Orgoglio dignità, resistenza che sboccia fuori dalle mura lucubri di una
vecchia che la prostituisce fin da bambina approfittando della morte della
madre, in questa bambina sono racchiuse tutte le speranze che lo scrittore
nutre per il popolo russo, un popolo simile al nostro, italiano, abituato
ad ogni sorta di sottomissione, ma resistente.
Ci sono quattro strutture narrative da seguire:
1- serghei –Andreevna
2- Natasja-alioscia
3- Smith – elena
4- Il Principe e il suoi piani che condizionano tutti.
Il Principe incarna la malvagità la falsità e il sadismo della classe
aristocratica e proprietaria terriera, latifondista, l’intelligenza unita
al più astuto cinismo, ma è comunque un personaggio affascinante che D.
non si limita a descrivere artificiosamente (l’unicità di questo scrittore
consiste sempre nel saper entrare e far vivere appieno la psicologia di
tantissimi personaggi, senza giudizi morali Dostoevskij muove le vite dei
suoi eroi e dei suoi antieroi con la massima e completa immedesimazione).
Il romanzo tratta abilmente la vicenda di un amore rovinato dall’odio
delle rispettive famiglie a cui appartengono appunto Il figlio del
principe, Alioscia e natasja, figlia di modesti contadini genitori
acquisiti di Vanja (Dostoevskij) rimasto orfano in tenera età, e in ciò vi
è una chiaro rimando al Romeo e Giulietta di Shakespeare e ai Pomessi
Sposi di Manzoni: amori impediti e rovinati dalla appartenenza a diversi
ranghi sociali.
Tra Vanja e Natasja vi è un amore profondo sospeso, impedito, platonico,
contrastato dall’essere fratelli “acquisiti”.
La vita di Vanja sembra quasi non esistere, la sua personalità è
completamente estroversa, assorbita dalle vicende altrui, egli si dona
completamente a tutti, e in ciò vi è un certo parallelismo col personaggio
del principe Myskin nell’Idiota.
Il romanzo è anche pesantemente incentrato sulla problematica del rapporto
Padre-Figlia tanto che l’autore sembra prefigurare la psicologia freudiana
sulle tematiche del complesso di Elettra.
La sottigliezza psicologica di Dostoevskij è sempre formidabile: Natasja e
la madre di Elena sono donne che hanno tradito il volere del padre, che si
son rovinate con un amore “impossibile” ed in un certo qual modo vogliono
la loro autodistruzione, mandano all’aria tutto, in preda a deliri (gli
stessi deliri della Filippovna sempre dell’Idiota) e attacchi isterici di
una lucidità intellettiva formidabile, ma così facendo sembrano essere
ignare di volere in realtà vendicare l’onore paterno (e qui ci sta tutto
Freud), come redimersi nella sofferenza per aver fatto soffrire
ingiustamente la loro amatissima (e offesissima) figura paterna.
L’Odio verso il principe Velcovskij (personaggio a sua volta similissimo
al Pavel Pavlovic dei fratelli karamazov) delle due donne, nasconde
l’amore per il padre più che l’amore per il proprio amante, e questo D. lo
lascia intendere con l’arte narrativa anziché con la fredda e sciapa
analisi psicologica razionale.
Anche Elena detta anche Nelly, è figlia di una donna che fa la fine della
Smerdjaskaja, donna umiliata e offesa, quasi stuprata, e Nelly stessa, è
simile a Smerdjakov in quanto a umiltà e attacchi epilettici sormontati da
un fermo orgoglio e dignità (altro parallelismo coi Karamazov).
Ma per essere più precisi il principe Velchovskij è del tutto simile al
padre naturale di Fedor Dostoevskij un uomo dissoluto, libertino,
passionale che maltratta sadicamente i suoi sottomessi nella società
proprio come faceva il padre con i suoi servi della gleba nella tenuta
terrena.
Ricordiamo che gli stessi servi uccisero il padre di Dostoevskij in una
rivolta contadina, ciò provocò la prima crisi epilettica nel famoso
scrittore: questo fattore è importantissimo da analizzare poiché in ciò vi
è evidente un amore forte e non ricambiato verso la figura paterna, e allo
stesso tempo un contrasto interiore fortissimo nell’appoggiare la causa
della soppressione della servitù della gleba.
In pratica D. appoggia moralmente la causa di coloro che hanno ucciso il
suo padre-padrone, ed in ciò vi è tutta la spiegazione tra l’inizio
progressista e rivoluzionario della carriera dell’artista fino a giungere
ad un forte e radicato conservatorismo cristiano, in questa parabola c’è
tutta la dinamica del parricidio, che poi simbolicamente nei Karamazov
arriverà al Deicidio, a sua volte prefigurante tutta la cultura
nietzschiana.
Interessante è la dichiarazione spontanea che il principe fa a cena con
Vanja, circa la sua vita dissoluta e i suoi cinici calcoli…Velchovskij è
un personaggio di De Sade travestito da nobil uomo: gli uomini e le donne
più austere sono in realtà le più perverse e le più diaboliche sembra
confermarci Dostoevskij.
E poi l’eccesso opposto, Nelly, un carattere tormentato, abituato a subire
violenza, umiliazione proprio dai potenti e ricchi perversi,
maltrattamenti che alla fine la rendono allergica anche ai tentativi di
Vanja di porle una sincera mano amica.
Nelly è la piccola bambina talmente tormentata che ha superato quella
soglia oltre la quale desiste ad accettare anche l’idea che possa esistere
un “uomo buono”.
Dostoevskij sembra consigliare che a contatto con queste persone l’unica
modo per aiutarle è di opporre carezze, generosità e amore senza
desistere!
Dura è anche la lezione sul perdono: si può perdonare finche si è in vita
, non oltre e all’apice della commozione è proprio l’umiltà di nelly alla
fine a sciogliere i cuori intorpiditi e raffreddati degli altri
personaggi.
In fine c’è anche Azorka il vecchio cane di Smith che condivide la stessa
sorte del padrone: l’inizio del romanzo è in realtà la fine, e ci vuole
dire che uomini e cani figli del popolo muoiono assieme, entrambi umiliati
e offesi, ma interiormente superiori nelle virti e nei valori.
Elio De Luca
Dicono di Clelia di
Remo Bassini Ugo Mursia Editore
Narrativa romanzo
E con questo ho letto tutti i romanzi scritti fino a ora da Remo Bassini,
augurandomi che quello che ha in cantiere possa uscire a breve.
"Dicono di Clelia" è un po' atipico, nel senso che c'è la giusta tensione
del giallo, ma non lo è, e ci sono pure accenni a un moderato erotismo,
senza che per questo lo si possa far rientrare in questo genere. Questa
ambivalenza, ben dosata, senza che prevalga l'una o l'altra, è
probabilmente uno dei tanti motivi di riuscita di questo romanzo, non
dimenticando forse quello più importante, con quel procedere di diverse
storie parallele, apparentemente non collegate, ma che finiscono con il
ricondurre a questa Clelia, l'unica fra i tanti "io narranti" che non
appaia in prima persona.
Chi è Clelia?
Un sogno?
No, esiste veramente, beninteso nel romanzo, ma ha tutta una sua
fragilità, un bisogno costante di essere protetta che finisce con
l'attirare irresistibilmente sia uomini che donne. In questo senso le
pagine scorrono caricandosi di una sacralità dell'immagine che dona il
giusto risalto a un personaggio che non parla, ma "di cui si dice".
E' ammirevole, al riguardo, la costruzione perfetta dell'intreccio, senza
la minima sbavatura, e che porta alla conclusione della lettura con un
desiderio più che legittimo: e dopo che sarà di Clelia?
In buona sostanza, entrando noi in ogni storia, finiamo con l'essere
inconsapevolmente coinvolti nel desiderio di tendere una mano a una figura
femminile che non vediamo, ma di cui gli altri personaggi ci hanno dato
una descrizione mirabile.
Io ho provato più volte a farmi un'idea di questa donna, ma ogni volta ha
assunto un volto diverso, come se il senso della narrazione fosse quello
di rappresentare la femminilità nella sua essenza più evidente, ma ormai
sempre più rara: la debolezza propria di chi si accosta alla vita
consapevole delle difficoltà della stessa e pertanto ricercando, fra tanti
pugni, una mano tesa.
Lo stile di Bassini è inconfondibile: asciutto, senza tanti fronzoli, ma
sicuramente efficace. I personaggi, poi, sono descritti con la consueta
cura e con tratti brevi e decisi, lasciando all'evolversi delle vicende il
compito di tratteggiarli psicologicamente.
E sono tanti, ma uno ben distinto dall'altro; fra questi si avverte
chiaramente una preferenza, o meglio una simpatia dell'autore, che ho
individuato nel maresciallo dei carabinieri (ben lungi dall'essere la
macchietta delle barzellette, ma pur sempre divertente) e nella tenutaria
di una casa squillo (indifferente a tutto, tranne che a Clelia).
A loro va pure tutta la mia simpatia.
Renzo Montagnoli
L'autore
Remo Bassini nasce a Cortona il 23 settembre 1956, ma vive da molti anni a
Vercelli. Ha svolto molti lavori per poi approdare a quello di
giornalista, diventando direttore de La Sesia.
Ha fino a ora pubblicato tre romanzi: Il quaderno delle voci rubate (La
Sesia), Dicono di Clelia (Edizioni Mursia) e Lo scommettitore (Fernandel
Editore).
Renzo Montagnoli
Niente di nuovo sul fronte occidentale
di Erich Maria Remarque Mondadori
Narrativa romanzo
Questo romanzo mi è stato compagno fedele fin dalla gioventù ed è stato
oggetto di più riletture al fine di non dimenticare il messaggio di pace
che porta in modo addirittura sublime.
La guerra, questa bestialità dell'uomo, mai è stata descritta così bene
come in questo testo di Erich Maria Remarque, alsaziano che l'ha vissuta
direttamente sul fronte francese combattendo sotto le bandiere dell'impero
tedesco.
Non c'è una riga di troppo, non si avverte mai la tentazione, in cui era
pur così facile cadere, di invitare il lettore alle facili lacrime. Eppure
la commozione prende mentre si scorrono le pagine, dense di episodi di una
gioventù allevata con uno spirito nazionalistico che l'ha fatta aderire
entusiasticamente a una guerra motivata dalla becera retorica della
grandezza della patria e della legittima aspirazione di ampliarne i
confini. Parole vuote riempiono le menti di questi giovani studenti,
nascondendo non solo gli autentici fini di potere e di denaro di ogni
guerra, ma anche la realtà della stessa.
Anni in cui si dovrebbero conoscere le gioie della vita sono così segnati
dall'orrore della morte, dalla paura di ogni giorno, dal senso di colpa
che ti prende quando ferisci a morte un nemico, se poi hai occasione di
conoscerlo e di vedere in lui un povero disgraziato come te, numero in una
macchina infernale che tutti divora, vinti e vincitori.
Si può solo resistere se si conserva, o addirittura si crea, un gruppo
affiatato di amici con cui condividere questa pena di vivere.
La fornace della guerra, però, strapperà al protagonista, ad uno ad uno,
gli affetti, rendendolo sempre più indifferente alla vita fino a quando
anche lui verrà ucciso.
Il romanzo è senza ombra di dubbio un autentico capolavoro che dovrebbe
costituire oggetto di studio nelle scuole di ogni nazione, con dignità
pari a quella dei testi di grandi classici, e con il preciso scopo di non
dimenticare che la pace è uno stato di grazia.
Dubito, però, che ciò sia possibile, perché gli interessi che muovono alla
guerra sono gli stessi che presiedono alla vita di ognuno durante i
periodi di relativa tregua.
Renzo Montagnoli
L'autore
Erich Maria Remarque nasce il 22 giugno 1898 a Osnabruck e muore il 25
settembre 1970 a Locarno. Benché di origini francesi non esita nel giugno
del 1916 a arruolarsi per partecipare alla Grande Guerra e viene subito
destinato al fronte occidentale, dove viene ferito. Al termine del
conflitto viene insignito dell'onorificenza della Croce di Ferro, a cui
tuttavia rinuncia. Negli anni caotici di Weimar vive di lavori saltuari ,
fino al 1924, quando inizia l'attività di giornalista. Scrive in quegli
anni "Niente di nuovo sul fronte occidentale" che, pubblicato nel 1929,
ottiene subito un grande successo, tanto che Mileston ne ricava nel 1930
una versione cinematografica che forse è la migliore.
Osteggiato dai nazisti, si rifugia dapprima in Svizzera e poi negli Stati
Uniti. Ritornato in Europa nel 1948, muore nel 1970 in una clinica di
Locarno.
La sua produzione letteraria è piuttosto variegata e caratterizzata da
opere di eccellente valore, anche se "Niente di nuovo sul fronte
occidentale" può essere considerato il suo miglior romanzo.
Di notevole interesse, comunque, sono anche "Ama il prossimo tuo" del
1939, "Tre camerati" del 1936, "Arco di trionfo" del 1945, "Tempo di
vivere, tempo di morire" del 1954, "L'obelisco nero" del 1956.
Renzo Montagnoli
Lo scommettitore di
Remo Bassini Edizioni Fernandel
Narrativa romanzo
"Scommetto che nessuno ci riesce a fare questo.
Scommetto che se ho sete resisto senza bere. Scommetto che se ho mal di
pancia non lo dico a nessuno."
Terzo romanzo di Remo Bassini, Lo scommettitore non è solo il racconto di
un'Italia provinciale, dove meschinità e sozzerie si elevano all'ennesima
potenza nel torbido mondo della politica, ma è anche una storia di ben più
ampio respiro e significato.
La trama indubbiamente avvince per i richiami a una realtà che abbiamo
sempre sotto gli occhi, per quegli scandali così ripetuti da non apparire
con il tempo più tali, e il tutto con il ritmo di un giallo, privo
tuttavia degli immancabili omicidi, in un susseguirsi di eventi a
incastro, fra passato e presente, di indubbia efficacia.
Se fosse solo questo, sarebbe già un buon romanzo, uno dei tanti che si
leggono, che divertono, ma che poi metti in biblioteca, abbandonati in un
angolo. E invece no, Lo scommettitore, è qualche cosa di più che un
semplice reportage, pur ben scritto.
Bassini sembra volerci dire che in fondo la vita è tutta una scommessa,
dalla nascita fino alla morte.
Prendiamo la figura del protagonista che, smessi i panni
dell'investigatore dedito, ovviamente contro compenso, a partecipare
attivamente alle campagne elettorali, facendo di fatto eleggere l'uno o
l'altro candidato, vuole guardare dentro se stesso e arriva al punto di
provare a vivere da povero, arrangiandosi fra mille difficoltà; finisce
così con l'acquisire gradualmente la simpatia del lettore, specie con quel
suo desiderio di riscatto che lo porta, con i mezzi meschini sempre in
precedenza utilizzati, a combattere la corruzione solo per amore, per quel
sentimento che prima non riusciva a provare.
Scommette pure il direttore di giornale Cardoni, una vecchia volpe
rispolverata per necessità e che si lascia avvincere dal gioco avviato
dallo Scommettitore, grazie al quale una generale aria di pulizia spazzerà
via un torbido ambiente di intrallazzi e di veleni.
Insomma, scommettono tutti, ma soprattutto due personaggi, che la mano di
Bassini ha saputo ricamare con straordinaria abilità e tenerezza: Ornella
e il figlio, due vinti, lei non più giovane, reduce da uno sfortunato
matrimonio, in disagiate condizioni economiche; lui, ancora un ragazzo, ma
che soffre di epilessia.
Scommettono entrambi con la vita, affrontandola con dignità, nonostante
tutto.
E alla fine della lettura di questo bellissimo romanzo, mi sono trovato a
scommettere pure io:
Vuoi vedere che anche il prossimo libro di Bassini sarà un successo?
Glielo auguro di tutto cuore, perché se lo merita.
Renzo Montagnoli
L'autore
Remo Bassini nasce a Cortona il 23 settembre 1956, ma vive da molti anni a
Vercelli. Ha svolto molti lavori per poi approdare a quello di
giornalista, diventando direttore de La Sesia.
Ha fino a ora pubblicato tre romanzi: Il quaderno delle voci rubate (La
Sesia), Dicono di Clelia (Edizioni Mursia) e, appunto, Lo scommettitore (Fernandel
Editore).
Renzo Montagnoli
Il Sogno Di Un Uomo Ridicolo di
F.M.Dostoevskij (1877) Ed. Mondadori,
Grandi Classici
Il sogno di un uomo ridicolo è un racconto fantastico, nel senso che
è davvero surreale, ma magnifico nel suo contenuto; è la storia di
un sogno che Dostoevskij fa all'età di quarantasei anni,
probabilmente in uno dei suoi momenti di profonda e tragica
introversione: il racconto inizia un po' come le memorie dal
sottosuolo…."Sono un uomo ridicolo…e ora mi danno anche del
pazzo"..si sente triste perché conosce la verità mentre gli altri no.
In una notte di cieli oscuri e aria pesante prende la decisione di
togliersi la vita dopo aver fissato in uno squarcio di cielo limpido
una stella lucente che sembrava suggerirgli proprio questo terribile
atto. (questo mi fa ricordare Van Gogh quando poco prima del
suicidio nei suoi deliri mentali dell'ospedale psichiatrico presso
cui era ricoverato scrisse che era convinto che durante l'attimo
della morte tutti noi raggiungiamo una stella).
Presa la decisione passeggiando s'imbatte in una bambina che piange
disperata e che invoca il suo aiuto poiché la sua mammina sta per
morire e nessuno corre in loro soccorso….Dostoevskij la scaccia, con
brutalità meschinità, col cinismo e l'ostentata indifferenza di chi
avendo deciso di farla finita non vuole minimamente preoccuparsi
dell'altrui sofferenza.
Torna alla sua abitazione, una bettola piena di ubriaconi e continue
risse, ma la sua camera possiede una sontuosa poltrona alla
Voltaire e comincia a rimuginare, elaborare e si accorge che in
realtà nonostante l'apparente freddezza e l'ostentata indifferenza
prima mostrata in realtà aveva provato compassione e pietà per la
povera bimba….e il dolore per lei provato (ma mascherato) lo distrae
miracolosamente dal suo proposito autodistruttivo, si pente e si
vergogna del suo atteggiamento.
Inizia una serie di elucubrazioni mentali (di quelle che Natasja
additerebbe a noi maschietti insicuri e logorroici) e giunge ad una
sua Visione della Verità attraverso un sogno che fa addormentandosi,
senza cambiare la linea di ragionamenti fatti durante la veglia.
Nel sogno si suicida per davvero, senza dolore si crea un immenso
buio attorno a se e vive tutto la situazione tragica (le persone che
accorrono, la sua sepoltura) che si cera nella palazzina
successivamente al suo suicidio; la pallottola conficcata nel cuore
e nella rabbia che continua a provare per se stesso come per magia,
da un essere misterioso (un angelo?) viene trasportato
nell'immensità dell'universo lontana dall'odiata Terra, passano
accanto a Sirio e nel frattempo Fedor si rende conto che dunque
anche dopo la morte continuiamo ad esistere, anzi siamo costretti a
rinascere in qualche altro angolo remoto dell'universo.
La paura, il freddo, e infine l'approdo in un altro universo , un
nuovo mondo e un nuovo Sole, simile al nostro, "un sosia".
Dostoevskij rimane stupefatto di questa magia dell'universo di
creare perfette copie del nostro mondo a distanze di milioni d'anni
luce.
Il compagno di viaggio misterioso proprio mentre lui stupefatto e
atterrito rimembra ancora la povera bambina esclama solenne <<Vedrai
Tutto>> cosciente che nella sua dipartita noi riusciamo ad amare la
nostra Terra solo piangendo e nella profonda sofferenza.
L'angelo lo abbandona e lui rinasce su questa nuova Terra che si
trova nelle condizioni primordiali in cui la sacre scritture
descrivevano il nostro pianeta nell'età dell'Eden, il meraviglioso
giardino: un paradiso vivente di unione tra regni viventi, senza
sofferenza, ma bambini meravigliosi allegri e gioiosi come gli
adulti anch'essi belli e pieni di vita, in pratica l'animo di Fedor,
il suo inconscio regredisce all'era di Adamo.
Gli uomini vivono senza scienza razionale parlavano e dialogavano
tra di essi come con gli stessi alberi e piante che rispondevano con
altri linguaggi assieme agli animali che gli uomini comprendevano lo
stesso.
Non esistevano relazioni burocratiche, sfide, sentimenti d'invidia,
malizia o gelosia e i figli erano figli di tutti e tutti avevano più
madri e più padri contemporaneamente, insomma tutta la comunità
umana era un'unica grande e allargata famiglia (e qui la cosa mi ha
veramente colpito perchè questo sogno fatto da Fedor più di
centocinquanta anni fa corrisponde all'idea che mi ero fatto anch'io
utopicamente della vita in comune, è proprio vero che quando ci si
innamora di un autore il connubio avviene per una sorta di affinità
elettiva, in realtà ciò che sia accetta come maestro non è
nient'altro che colui che risveglia nella tua coscienza qualcosa che
viveva già in forma latente, come il seme, come l'energia potenziale
rispetto alla forma cinetica).
Gli abitanti della nuova terra non avevano luoghi di culto ma erano
coscienti della vita eterna così come avevano "una continua
coscienza dell'universo intero" e credevano che la morte non fosse
altro che una porta che aprisse ad una comunicazione ancora più
vasta e completa con tutto il Creato.
Dostoevskij nel frattempo continua a sognare e tuttavia diviene
sempre più convinto che non sta solo sognando ma vivendo in una vera
e propria "altra dimensione" attraverso il delirio del suo cuore .
La tragedia, afferma l'autore è che finisce lui stesso per
CORROMPERLI TUTTI.
Lui, quasi involontariamente, con la sua stessa presenza, trasmette
loro il "bacillo" del gusto della menzogna, da cui nasce la malizia,
la sensualità, la vanità la gelosia e l'invidia……viene così sparso
il primo sangue (come in 2001 odissea nello spazio).
Poi sorgono le idee di onore e coalizioni contrapposte nonché il
seme della vergogna della nudità (= sincerità= ingenuità= idiozia
del principe Myskin), la famosa foglia di fico posta sui genitali di
Adamo ed Eva.
Si iniziano a parlare diverse lingue e dopo la conoscenza del dolore
e del piacere nacque pure la necessità della "scienza" e la pena di
morte per i criminali violenti….e nel frattempo conservavo l'ANTICA
MEMORIA DEI TEMPI AUREI E PACIFICI definendola però una sciocca
favola da sognatori ed idealisti a cui però si inchinavo
prosternandosi come adoratori di feticci e simulacri di un tempio.
Da allora cedettero che la scienza li avrebbe resi saggi poiché
avrebbero riscoperto le leggi della felicità: così ognuno diventò
geloso delle proprie cose, della propria identità come unica cosa da
amare veramente e nel frattempo accanto al culto della personalità
nacque la povertà e la servitù nonché la schiavitù volontaria e
coloro che parlavano e reinvocavano l'antica armonia umana smarrita
venivano perseguitati, derisi e lapidati.
Alla fine uscirono fuori i lussuriosi e i superbi che dicevano o
tutto o niente (Natasjia direbbe i megalomani come me) che
ricorrevano alle malefatte e se non ottenevano il tutto con voracità
si suicidavano (forse Dostoevskij stesso nel romanzare il suo
strabiliante sogno viveva una fortissima frustrazione interiore,
però non scordiamoci che da quel periodo in poi nascono i suoi
capolavori, L'Idiota, Delitto e Castigo, i Demoni e i Fratelli
Karamazov in cui Dosto da tutto il suo meglio per mostrare come
anche diviso schizofrenicamente in quattro personalità rimane pur
sempre un vorace, un gorgo infinito di passionalità seppur disperata
e travagliata).
Concludendo osannarono la sofferenza proclamando che essa stessa
è "bellezza" (sembra qui recuperare la potenza della mitologia
greca), e Fedor continuava a vagare tra di loro amandoli lo stesso e
sentendosi in colpa per esser stato il primo artefice della "caduta".
Torcendosi le budella al solo pensiero che la colpa fosse tutta sua
(io credo che qui si potrebbe fare una lunga digressione sulla sua
malattia poiché è medicalmente accertato che gli epilettici sono
individui che si danno la colpa di tutto, anche di ciò che
ragionevolmente dovrebbero evitare e questo forse è il segno che non
sempre la malattia è un male ma anche la porta che apre la strada al
cuore e alla coscienza…..non voglio scandalizzarvi ma una volta
lessi su un'edizione Einaudi alcuni vangeli apocrifi che asserivano
con certezza che Gesù soffriva di epilessia ovviamente a ciò lascio
il beneficio del dubbio).
Fedor alla fine scongiura quella popolazione intera "l'umanità sosia
e da lui corrotta" di torturarlo e di crocifiggerlo poiché non aveva
il coraggio di uccidersi da sé, ma essi ridevano sostenendo che
avevano ricevuto da lui solo quello che essi stessi desideravano e
che se non la piantava l'avrebbero bollato come pazzo e rinchiuso in
un manicomio urlandogli addosso che era un uomo pericoloso, allora
una profonda sensazione di morte lo attanagliò e in quel preciso
istante si risvegliò.
Silenzio totale della notte, la candela consumata sulla poltrona, e
in quel preciso istante decise che avrebbe dedicato tutta la vita
alla predicazione della Verità, convinto di averne avuto la perfetta
visione e sicuro che il Male, la corruzione e la degenerazione non
possano essere LA CONDIZIONE NORMALE DELL'UMANITA' PUR SAPENDO CHE
TUTTI ANCHE NELLA VITA VERA CONTINUERANNO A RIDERE DI QUESTA SUA
IMPAVIDA CONVINZIONE.
All'improvviso dice: ma cos'è in realtà un Sogno? La voglia di amare
gli altri come se stessi e la reiterazione di un più grande sogno
che seppur nei millenni ha messo ancora poche radici sulla Terra.
Il teorema finale SCRITTO NELLE UTLIME DUE RIGHE DEL RACCONTO è
questo: BISOGNA COMBATTERE L'IDEA CHE LA COSCIENZA DELLA VITA SIA
SUPERIORE ALLA VITA STESSA, E LA CONVINZIONE CHE LA SCIENZA DELLE
LEGGI DELLA FELICITA' SIANO SUPERIORI ALLA FELICITA' STESSA.
La bambina la ritroverà e insieme a lei camminerà a lungo.
Sogno, archetipi biblici, suicidio e via d'uscita dal
nichilismo……..il tutto in sole 26 pagine.
Che dire? Se Dostoevskij avesse scritto solo di questo brevi
racconti l'avrei comunque sia considerato un genio e una colonna
portante del sapere umano, la coscienza degli altri suoi capolavori
me lo fa annoverare tra i più grandi artisti e profeti di tutti i
tempi.
A voi la parola……
Elio De Luca
L’eterno marito di
F.M.Dostoevskij (1870)
Romanzo incalzante, breve e anche dal retrogusto umoristico, cosa rara in
questo autore, poiché riesce a far apparire l’uomo come appendice del più
potente, spietato, furbo e irrazionale mondo femminile.
L’Eterno marito è in chiave sarcastica il prototipo di uomo a cui tocca
esser destinato a rimanere per via della sua viltà, impersonalità,
incoerenza, debolezze varie e complessi di inferiorità, un eterno supporto
o complemento oggetto di una figura femminile che nella società lo
sopravanza, lo tradisce e lo rigira come un calzino.
Il romanzo gira attorno a due figure principali, Pavel Pavlovic l’eterno
marito ed eternamente cornuto, fatto tale dagli stessi amici che ha in
comune con la moglie, e Vel’caninov il vero protagonista, uomo discreto e
risoluto, amico del primo e amante della moglie.
Il romanzo ha un ritmo accelerato frenetico febbricitante in cui tutto si
svela velocemente, come nel “Sosia” Vel’caninov è seguito da un ombra che
lo assilla: è un fantasma del passato con cui deve fare i conti, Pav
Pavlovic l’eterno marito di Nadja, con cui lui stesso aveva avuto una
relazione ed una figlia illegittima che crescerà Pavlovic stesso scoprendo
da una lettera d’amore che la figlia non era affatto sua, ma del nostro
protagonista.
Varie sono le caratteristiche impareggiabili di Fedor D. anche in questo
romanzo: la trama a intrigo da giallo poliziesco, la profonda connotazione
psicologica e psicosomatica di ogni suo personaggio trattati, il contrasto
esacerbante tra le false formalità e i perbenismi linguistici e
comportamentali cozzanti con i sentimenti di natura irrazionale che
irrompono fino a debordare nella scena del romanzo: i complessi
d’inferiorità, la sfida al duello onorevole tipico del russo ottocentesco,
i comportamenti ambivalenti talvolta ridicoli patetici e pietosi fino alle
soglie del comico.
Il ruolo precognitivo e mistico dei sogni che si intrecciano con la
realtà; le caratteristiche schiette, diaboliche, feline dell’universo
delle donne.
La piccola Lisa, cresciuta senza madre figlia di un uomo che era un amico
di suo padre, sembra essere l’anello di congiunzione, nonchè piccola
vittima sacrificale di una partita a poker della vita stessa, dietro ogni
sorriso c’è lo scacco matto della vendetta che Vel’caninov (spesso punto
di vista dell’autore) sembra saper analizzare con la più ardua capacità
introversiva ma anche cinica.
I rimorsi, i rimpianti, e poi le vendette sopite, e il bilanciamento dei
conti attraverso lo svolgersi stesso degli eventi della vita nella scala
dei tempi nelle forme meno aspettate come dettate da un fato, un grande
regista che tutto muove a pennello, l’apparente Caso.
In sole duecento pagine un grande capolavoro da non perdere per chi sa
apprezzare le vera e rara arte narrativa.
Elio De Luca
La luna e lo zingaro di
Federico Marsili, TA.TI. Edizioni -
Raccolta di poesie
Il volume raccoglie una serie di poesie sorte in occasione di uno dei
numerosi viaggi effettuati dall'autore, oppure frutto di conoscenze
femminili, anche del tutto occasionali.
L'ars poetica di Marsili ha i doni, rari, dell'immediatezza e della
spontaneità:
l'autore apre il suo animo, trasferisce senza indugio le sue emozioni e i
suoi sentimenti sulla carta e il lettore li recepisce con naturalezza,
tanto è evidente la semplicità dell'esposizione, anche di concetti non
certo facili, come nel caso di Poesia 2 (31 maggio 1998, ore 9,32) che per
maggior chiarezza riporto integralmente.
"Poesia è
creare dal nulla
dar vita a un pensiero
una visione, un'allucinazione
una speranza, un'illusione
è magia, sogno, realtà,
saggezza e pazzia
è l'alba e tramonto
disperazione e gioia
crudeltà e dolcezza
è Libertà."
Ecco, penso che questa descrizione sia una delle migliori che ho letto
sulla poesia, perché esprime, senza ricorrere ad alchimie, la bellezza
dell'estro creativo che si estrinseca in una totale libertà di proporre il
proprio animo al lettore.
Marsili ci propone una poesia semplice, quasi naif, al di fuori di
correnti letterarie che ne snaturerebbero la naturale bellezza
dell'istinto creativo.
Questa repulsione ad inquadramenti schematici viene ripresa anche nella
lirica che dà il titolo alla raccolta (La luna e lo zingaro), dove lo
spirito ribelle del nomade si fonde armoniosamente con l'incanto della
natura.
Dunque, poesie facili da leggere, ma non filastrocche, versi che non
scontano termini improponibili, o concetti astrusamente esposti, ma che
sono frutto di una completa libertà di espressione che si traduce nel
piacere di leggerli.
Renzo Montagnoli
L'autore
Federico Marsili è nato a Tradate (VA) nel 1965, ma risiede a Limido
Com'asco (CO), dove si occupa di editoria in qualità di titolare della
TA.TI. Edizioni; ha ottenuto diversi riconoscimenti in concorsi letterari
e La luna e lo zingaro è al momento l'unica silloge pubblicata.
Renzo Montagnoli
Il quaderno delle voci rubate di
Remo Bassini, La Sesia Editrice
Narrativa romanzo
Reduce dalla rilettura di un grande classico, quale è La Certosa di Parma,
ho affrontato la prima opera di Remo Bassini con un po' di titubanza, nel
senso che temevo che, come buona parte delle opere di autori esordienti,
non mi sarebbe piaciuto.
E invece è stata una piacevolissima sorpresa.
Dire che l'ho letto è un eufemismo, perché invece l'ho quasi fagocitato,
pagina dopo pagina, arrivando all'ultima con il rammarico che non ce ne
fossero altre.
Il microcosmo di un paese con il suo bar più conosciuto è descritto in
modo mirabile, con i personaggi che si alternano in perfetta sincronia,
ognuno con una sua storia, gente anche di umile estrazione, ma a cui lo
scrittore ha saputo dare una dignità tale che figure come il Carletti, il
Bordin o Teresa la puttana restano indelebilmente impresse nella memoria.
E anche l'io narrante, il proprietario del bar, assurge a protagonista,
senza che per questo gli altri siano comparse.
Bassini descrive la vita, i suoi personaggi destano simpatia perché sono
veri, né eroi, né codardi, ma esseri umani, con tanto di pregi e difetti.
Lo stile è scarno, essenziale, ma di straordinaria efficacia; descrive
senza grevità, lasciando ampi spazi alla fantasia del lettore per
immaginare l'ambiente e le figure che lo animano, di cui invece tratteggia
alla perfezione il carattere.
Non poche volte, chiudendo gli occhi dopo una pagina, mi sono visto
l'ambiente della locanda del Merlo e i suoi avventori, aggiungendovi la
mia persona; devo dire che questo volo di fantasia non mi è riuscito per
nulla difficile, anzi il desiderio di essere parte della vicenda è la
prova più evidente dell'abilità di Bassini di saper coinvolgere il
lettore.
Non si creda, inoltre, che le 172 pagine siano solo di puro e semplice
svago, perchè dietro ogni personaggio c'è una vicenda da cui c'è da
imparare e poco conta che l'insegnate sia una prostituta come Teresa,
quando dice " La vita è bastarda, scappa via mentre noi guardiamo le
stelle cadenti ", oppure " Ci vorrebbe che Dio esistesse: darebbe senso a
tutto".
La frase, però, che più mi ha colpito è riportata anche nell'ultima di
copertina " Il bar è come un cinema, solo che il film è a sorpresa. E
anche quando non c'è nulla, resta comunque l'atmosfera dell'attesa:
qualcosa, da un momento all'altro, può sempre capitare". Ecco penso che
Bassini abbia voluto, metaforicamente, riferirsi alla vita.
Renzo Montagnoli
L'autore
Remo Bassini nasce a Cortona il 23 settembre 1956, ma vive da molti anni a
Vercelli. Ha svolto molti lavori per poi approdare a quello di
giornalista, diventando direttore de La Sesia.
Ha di recente pubblicato due romanzi: Dicono di Clelia (Edizioni Mursia) e
Lo scommettitore (Fernandel Editore).
Renzo Montagnoli
Una nota a Senza Cielo
di Menotti
Lerro
(Lettere
Italiane, Guida, 2006)
C’è una poesia (o meglio un frammento) nella
raccolta di Menotti Lerro, Senza cielo, che immediatamente colpisce
per la forma che l’annuncio della tragedia a venire assume in questi
versi, cataclisma dinanzi al quale il poeta si pone come deve porsi, non
in modo preveggente, bensì acutamente e coerentemente testimoniale:
“Quando crollerà / sarà una massa grigia che viene giù a pezzi, / sarà il
punto di luce che acceca” (XV, p. 31). La
tragedia dell’umanità, riflessa in quella personale, che la scelta del
tempo verbale pone provocatoriamente al futuro, è, infatti, già avvenuta,
non una volta, ma mille volte, e si riproporrà illimitatamente avanti,
finché non muteranno le dinamiche perverse da cui origina.
Con l’imminenza di questo crollo, Lerro
enuncia, dunque, lo sgretolarsi delle certezze della materia, dinanzi agli
scenari di morte insensata e illogica che l’attualità ci somministra
quotidianamente.
L’enfasi cade su tre elementi fondanti: sul dato materiale di
questo crollo che, appunto, frammenta il corpo solido del reale,
riducendolo “a pezzi”; su quello della visione, come intuizione e
consapevolezza che abbagliano; e sulla follia dell’artista, indotta dalla
capacità di assumere in sé l’immenso cumulo di un reale ridotto a macerie
(“Abbraccerò in piazza il cavallo, / l’amico di Wagner”, XV, p. 31),
follia che procede appunto per rievocazioni e citazioni, consumandosi in
questo affanno morale (“ e di me non resterà che essenza”).
Come non ravvedere, in questa massa che crolla, frammentandosi in urla di
spasimo e paura, un rimando all’11 settembre? Come non sentire sulla
propria pelle il modo in cui questa lotta di fagocitanti forze distruttive
penetra all’interno degli ambiti espressivi del poeta, non solo per il
dovere etico della cronaca o della testimonianza, ma per interiorizzazione
viscerale dell’orrore storico, che in questi versi incontra l’angoscia
individuale? E come, infine, non riconoscere la maniera in cui queste
tematiche civili ne escono fuori sfigurate, traslate, restituite
figurativamente alla pagina in guisa di piaga sul corpo dell’artista,
strazio e grido nella sua stessa voce.
Esempi dell’assenza di un’accezione positiva di spazialità, avvertibile
come condanna, sono disseminati dappertutto nella raccolta, basata
sull’organizzazione grafica che si appoggia in basso, sulla terra, come
suggerisce il titolo. Senza cielo, difatti, traduce
essenzialmente tre dimensioni: la mancanza fisica di cielo sulla città di
Milano, coperta dallo smog, dove il progresso diventa regresso, ed il
degrado e l’asocialità sono evidenze quotidiane nei rapporti formali
interpersonali; la mancanza metaforica di cielo, intesa come assenza
irrimediabile di Dio, rimpiazzato dal mito della macchina; e infine la
mancanza di futuro nell’universo interiore, devastato da profonde crisi
private, che sul piano dell’extratesto pittorico si riconoscono dell'urlo
di Munch: “Ogni giorno ombre mi parlano, / mi inseguono in ogni
angolo del cervello” (XII, p.28); “La mia mente è un cimitero / dove fiori
stanno accanto ai morti”, XVII, p. 33).
Riconosciamo questi morti: sono le vittime della disumanità cui si
accennava, sebbene Lerro lasci i loro nomi nell’indeterminatezza di un
anonimato, che ce li accomuna, simulacri delle nostre identità in bilico
in ambienti disgregati e privati di valore: “Capire d’esser vivo mi
sconvolge, / in ogni sogno morto in queste mura […].” (XXXVI, p.52)
L’agnizione spaventosa dell’esistere, che questi versi tradiscono, non è
dunque paura di morire, ma di restare permanentemente catturato
nell'indistinto delle voci di chi vive alla soglia di un’esistenza mai
posseduta.
Il modello di uomo
contemporaneo che emerge da questi versi di Lerro, il cui impegno di
denuncia dell’orrore si sintetizza nella metafora di un’allucinazione
(“Nel bar del gobbo entravo in un video game / e nessuno me ne tirava
fuori”, 13, p. 56), o di una malattia collettiva che si ritorce,
ipocondriacamente, sul soggetto poetante, è certamente quello che oggi
suggerisce la ripresa di una tacita e intima forma di dissidenza,
caratteristica di un’arte che si aggancia criticamente al reale e al
presente, ma senza pretese vitalistico-interventistiche di controllo su di
esso.
Questo modello rimanda alla poesia del secondo
dopoguerra, da Lowell e Plath, a Pavese, e all’immagine del poeta come
capro espiatorio. Il poeta è, infatti, intensamente visto come entità
sensibile che si mantiene ai margini della città, pur essendone al cuore,
interprete e traduttore, nel linguaggio della poesia, delle innumerevoli
tensioni in atto nelle lingue e culture che, su altri piani
dell’attualità, scatenano lotte di sangue, religione e razza, guerre di
primato ed egemonia, estranee all’interesse immediato del poeta, ma
riflesse nello specchio della sua arte.
Là dove il dolore collettivo
oscuramente divampa, il senso della poesia lirica, che sgorga dal corpo
del poeta con la coscienza d’essere secchio d’acqua gettato sull’incendio
più devastante, è dato con straordinaria modestia e insieme liricità nel
frammento XVII, “Il mio cuore è una pozzanghera / dove a volte un cane si
disseta.” (p. 33). La voce che si fa strada
nella raccolta, dunque, se propone una riflessione sul presente, lo fa
attraverso se stessa, facendo appunto leva sulla dialettica sottilissima
di un ethos capace di munirsi e munirci di un filo conduttore per
l’approfondimento dei piani che costituiscono l’elaborazione della propria
‘dramatis persona’, sorta di Sigismondo, da La vita è sogno, che
urla dalle segrete del potere che lo tiene prigioniero.
Ed è forse rilevante individuare nel
lamento che sorge da questa prigione dell’essere, cava di un incubo
privato del cielo, l’aspirazione per sé e per gli altri (i morti) ad una
vita se non compiuta, almeno meno mutilata, desiderio precedente ad ogni
ordine o struttura.
La poesia di Lerro, dunque, se
aspira a qualcosa, sembrerebbe farlo non già per iscrivere le proprie
intenzioni nel corso delle cose, per risignificare le ragioni che
dilaniano gli uomini e le loro comunità, ma per proclamare il diritto alla
testimonianza e dissidenza (“Il mio corpo è l’albero di Giuda” […] la mia
anima è un teologo ateo”, XVII, p. 33), per perseguire una sopravvivenza
amara ma vigile, al nucleo di una irrinunciata resistenza – “Eppure
respiro ancora / in questa stanza senza luce / tra la polvere e la noia” (XIII,
p. 29).
Da dentro e oltre l’orizzonte
massmediatico, questa resistenza in sé riverbera il destino dell’umanità,
non per vuota autoreferenzialità, ma per scambio, sinergia, solidarietà,
come recita un verso semplice ed insieme eloquente della lunga sequenza di
frammenti, che, sul piano strutturale, costituisce la seconda parte
dell’opera, dal titolo “Il perché che non trovammo”: “Il grido di Maria ci
sorprese / mentre spartivamo le focacce”, (3, p. 53).
Infine, si potrebbe forse così
riassumere il senso il movimento programmaticamente ‘frammentato’ di
Senza cielo: a) una resistenza passiva al male del vivere (20, p.58),
sull’esempio della dottrina Zen, b) una pietas creaturale come
identificazione con l’altro, che coinvolge ogni essere vivente nello
scambio affettivo-cognitivo dell’incontro occasionale, senza alcuna
gerarchia di valore: “Impazzire fu la morte del cane / che mi leccava il
cuore”(15, p. 56); c) l’impressione, che rimane volutamente oscura e vaga,
della condivisione di una destino terreno difficilmente superabile, che
appare ancora e sempre condanna penale, nella gabbia di una
metropoli-prigione, affollata di relitti, e morti-vivi, che disperano,
agiscono, provano odio e amore, resistono; d) una città infernale, come la
Milano contraddittoria di ambiziosi entrapreneurs, da una parte, e,
dall’altra, di infelici ed emarginati emigranti, città di ottundimento e
sconfitta, che Lerro rende densa di riferimenti a nemici e lotte
intestine, con percorsi e cicli di pena, di cui percepiamo, attraverso
questa sequenza di tematiche interconnesse con lapidaria, ma non ermetica
crudezza, la dissennata, tragica, irrisolvibile conflittualità di lingue,
destini, credenze e miserie, tutte assorbite negli occhi, nella voce, nel
sangue del poeta: “Tornando a casa, / via Padova è un fiume di occhi neri:
/ sui marciapiedi, negli autobus marci. / Un filo d’acqua buona / per
pulirsi, specchiarsi, bere.” (25, p. 59)
Erminia Passannanti
La Certosa di Parma di
Stendhal - Newton Compton Editori
Quando lessi per la prima volta questo romanzo è stato all'incirca una
quarantina di anni fa; all'epoca ero uno studentello che si sentiva quasi
importante per avere fra i suoi autori preferiti Henry Beyle e la Certosa
di Parma aveva tutto quanto può rendere interessante la lettura a un
giovane spensierato: passione, intrighi, duelli, insomma un cappa e spada
in piena regola.
A distanza di così tanto tempo la rilettura è andata quasi inconsciamente
a cercare un'altra visione dell'opera, perché troppo semplicemente era
facile attribuirle i connotati di un romanzo d'avventura, fuori dai canoni
letterari propri di Stendhal.
E allora mi sono soffermato su quelle pagine che da giovane mi avevano
destato minor interesse e così ho scoperto l'autentica grandezza di
quest'opera, scritta in poco più di un mese e mezzo quasi alla fine della
vita del suo autore.
Stendhal non aveva affatto l'intenzione di realizzare solo un romanzo
d'avventure; il suo scopo è stato ben più elevato e non a caso
l'ambientazione è in uno stato assolutista quale era il Ducato di Parma.
La sua è una ferma condanna alla politica, che tutto piega alla ragion di
stato, tanto che mi verrebbe spontaneo dire, rifacendomi a quanto osservò
Balzac, entusiasta dell'opera, La Certosa è il romanzo che avrebbe scritto
il Machiavelli se fosse vissuto a quell'epoca e fosse stato messo al bando
dai poteri imperanti.
Insomma, secondo me, tutti i romanzi di Stendhal, ma soprattutto questo,
sono delle vere e proprie dissertazioni di amoralismo politico.
E ciò è tanto più vero se si osservano i tre personaggi principali:
Fabrizio Del Dongo
Vive come distaccato dalle azioni che compie, è un essere per certi versi
più spregevole del Julien Sorel de Il rosso e il nero, perché, benché ne
abbia tutte le opportunità, reputa di scarso peso occupare una nicchia ben
precisa nell'umanità, al punto, anche, di essere incapace di amare.
La Sanseverina
E' una romantica pura, passionale al massimo, nel suo amore per Fabrizio
che si accresce tanto più quando deve essere protettiva e allora sboccia
immediata l'arguta trama politica, intesa sì come una necessità per porre
rimedio ai gesti inconsulti del giovane Del Dongo, ma anche come gioco
necessario per poter a pieno titolo essere parte di un mondo di sottili
intrighi, di rivalità, di capovolgimenti di fronte, di alleanze tradite e
riprese.
In poche parole per essere colei che conduce la politica.
Il conte Mosca
Il politico per eccellenza che si adopera per accontentare tutti senza
scontentare nessuno. A suo modo è una figura simpatica e sembra di vederlo
questo aristocratico cavalcare le varie fazioni con la dignità che gli è
propria, ma la mancanza di rispetto per se stesso. Preciso che la
personalità del Mosca è quella di una brava persona, ma che manca di
ideali, tanto che, fedele servitore del Principe, finisce con il suggerire
soluzioni inapplicabili, in modo che qualche cosa abbia momentaneamente a
cambiare per riconfermare alla fine l'immobilismo più assoluto.
Questi tre personaggi, apparentemente diversi nel comportamento, finiscono
con l'essere accomunati dalla tragicità di non credere a nulla, di vivere
il loro rapporto a tre come se al mondo esistessero solo loro, in una
totale mancanza di ideali a cui cercano di supplire tramite i rapporti
personali, alla ricerca di una felicità impossibile in chi può far
progetti e invece vive, o meglio vegeta, alla giornata.
C'è, inoltre, un quarto personaggio a cui Sthendhal guarda con la più viva
simpatia, desiderando in cuor suo di potergli somigliare: Ferrante Palla,
un liberale condannato a morte in contumacia, un po' vanesio, se non
pazzo, e che del politico è esattamente l'opposto, con una fede
incrollabile nel suo ideale, tanto da esser disposto a tutto, anche a
sacrificare la vita. E' innamorato della Sanseverina, anche se sa che
questo sentimento sarà senza speranze, ma è egualmente felice, perché,
come crede nei suoi principi liberali, crede anche fermamente nel suo
amore. Da notare che questa figura, simpatica nelle sue vesti di Robin
Hood, assume toni ridicoli, quasi a diventare una parodia della libertà e
della giustizia, a cui solo chi non è savio di mente può credere come
realizzabili, sembra dirci Stendhal.
Renzo Montagnoli
L'autore
Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle, nasce a Grenoble il 23 gennaio 1783 e
muore a Parigi il 23 marzo 1842. Convinto sostenitore della rivoluzione,
alla caduta di Napoleone assume un atteggiamento di condiscendenza con la
restaurazione intervenuta, in contrasto con le sue idee, ma indispensabile
per poter vivere; preferisce soggiornare lontano dalla Francia, in Italia,
dove svolge l'attività di Console, di scarso interesse, ma abbastanza
remunerativa per consentirgli di dedicare la maggior parte del suo tempo
alla narrativa. Fra le sue opere ricordiamo Lucien Leuwen, Cronache
italiane, La badessa di Castro, Dell'amore, la Certosa di Parma e la sua
migliore Il rosso e il nero.
Renzo Montagnoli
Voci dall'inferno di
Michael Santhers - Arcipelago Edizioni
Quasi onnipresente sul web, Michael Santhers ha pubblicato anche non pochi
volumi di poesie, fra i quali, appunto, Voci dall'inferno, una raccolta in
cui il suo spirito graffiante, ironico, ma anche crepuscolare, emerge
prepotente con testi di amara drammaticità.
La visione del mondo è sempre improntata al più radicato pessimismo,
quantunque rassegnato, come se le miserie umane fossero ineluttabili.
Eppure, nonostante una certa misoginia, frequente nelle sue opere e frutto
di questa disincantata osservazione dell'umanità, Santhers sa anche essere
raffinato poeta di temi amorosi, come nella sua "Piccolo fiore", un
autentico gioiello per stile e invenzioni :
Piccolo fiore
E un giorno verrò sull'isola della pace
E non sarai più sola.
La morte sarà una iena
In una gabbia
E non potrà mangiarsi
Il nostro eterno abbraccio.
C'è un richiamo al romanticismo più puro, a quel sentimento così costretto
dall'impossibilità di realizzarlo.
Comunque, nulla sfugge all'occhio attento del poeta e attività,
situazioni, classi sociali vengono dipinte in un quadro rappresentante le
loro grottesche meschinità.
Uno stile scorrevole, un linguaggio per nulla difficile da comprendere
rendono facile la lettura di queste poesie, il cui contenuto, per quanto a
volte opinabile, è tuttavia di notevole efficacia figurativa, così che
emerge chiaro un mondo, il nostro, dove imperante è la sua progressiva
decomposizione.
Renzo Montagnoli
L'autore
Michael Santhers è lo pseudonimo di Michele Salvatore, nato a
Cercemaggiore il 28 ottobre 1957.
Ha pubblicato: Silenzi che hanno parlato al vento (Oceano Edizioni),
Parole Fredde (Oceano Edizioni), Piccoli rumori dell'anima (Libroitaliano),
Poesie Cialtrone (Oceano Edizioni), Scritture agricole e metropolitane
(Oceano Edizioni), Voci dall'inferno (Arcipelago edizioni), Amori scaduti
di un essere qualunque (Oceano edizioni), Una farfalla all'ombra della
luna (Oceano Edizioni), E le rose piangono al tramonto (Ennepi libri),
Normalità in condivisibili fra maschere clonate (Oceano edizioni),
Pensieri che non dormono mai (Oceano edizioni), Quando gli alberi si
rifiutano di ospitare le foglie (Oceano edizioni), Vite Contromano (Oceano
Edizioni).
Renzo Montagnoli
Carte di Sardinia di
Gabriel Impaglione - Editrice UNI Service
In una poesia ci può attrarre l'armonia, la dolcezza dell'esposizione,
oppure anche la forza, quando questa è talmente vitale da esserci
trasmessa fin dai primi versi.
Normalmente se c'è dolcezza non c'è forza, e viceversa, ed è quindi assai
raro trovare l'una e l'altra fuse insieme in un sapiente equilibrio.
Gabriel Impaglione, con "Carte di Sardinia" è riuscito in questa
difficilissima impresa. In questa splendida silloge, edita dalla UNI
Service di Trento, troviamo così la forza dell'impegno politico e sociale
e la dolce malinconia di un esule, che è riuscito a calarsi nei panni di
un migrante della terra di Sardegna.
E' un canto il suo, a volte impetuoso, altre sommesso, con il quale riesce
a trasmetterci le emozioni proprie di chi ha dovuto lasciare il paese
natio, e con esso un angolo del suo cuore. Che questo paese si chiami
Sardegna, o invece Argentina, poco cambia, perché l'uomo, il suo io, ha
gli stessi sentimenti sotto ogni latitudine.
E' un peccato che il mio spagnolo sia assai limitato, perché la traduzione
in italiano a fianco di ogni lirica, per quanto valida, efficace, finisce
inevitabilmente per ridurre la componente armonica della lingua originale.
E allora do un consiglio: leggete prima ogni brano in italiano e poi
volgete lo sguardo all'originaria versione in spagnolo. Liberi
dall'interpretazione concettuale potrete apprezzare il meraviglioso
equilibrio dei suoni, l'armonia diffusa che promana dai versi, in una
sorta di compendio musicale di forza e dolcezza.
L'elegante e pratica veste tipografica ci agevola in questo esercizio, da
cui, assicuro, si esce straordinariamente rasserenati e, quel che più
conta, in uno stato di grazia del tutto particolare, come di chi sa che
dalla lettura ha arricchito l'animo e la mente.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gabriel Impaglione (BsAs.1958) poeta e giornalista argentino.
Alcune sue pubblicazioni: "Echarle pájaros al Mundo" (Ediciones Panorama,
BsAs, 1994), "Breviario de Cartografía Mágica" (El Taller del Poeta,
Galicia, 2002), "Poemas Quietos" (Antol. Editorial Mizares, Barcelona,
2002), "Bagdad y otros poemas" (El Taller del Poeta, Galicia, 2003), "Letrarios
de Utópolis"
Renzo Montagnoli
I fiumi scendevano a oriente di
Leonard Clark - Edizioni TEA
Ho letto in gioventù questo classico dell'esplorazione e l'ho riletto
recentemente con immutato piacere.
In un'epoca, quale quella attuale dove si inventano miti e leggende, dove
la pura fantasia viene subdolamente spacciata per realtà, il libro di
Clark costituisce, invece, una rappresentazione veritiera, magari un po'
romanzata e anche forse in alcuni passi amplificata, di un mondo che
esiste e che la bramosia dell'uomo tende lentamente a distruggere: la
grande foresta del bacino del Rio delle Amazzoni.
Sulla base di qualche notizia, con pochi mezzi, e con un solo compagno,
questo grande esploratore partì alla ricerca delle Sette Città di Cibola,
il luogo del mitico Eldorado, che i conquistadores spagnoli non erano mai
riusciti a trovare. In un non meglio identificato luogo a oriente delle
Ande peruviane, nel territorio del Gran Pajonal, occupato da giungle
fitte, da corsi d'acqua imponenti, da indigeni primitivi e feroci, Clark
trovò le antiche rovine, riconoscendo le tracce del favoloso regno perduto
per sempre.
Al di là del risultato, di per sé pregevole, dalla lettura di questo
viaggio di esplorazione emerge la figura dell'uomo, della sua costanza,
della sua audacia, della sua incrollabile fede. Attraverso peripezie, fra
mille pericoli, si riscopre uno spirito di avventura che la moderna
tecnologia ha profondamente modificato, ci si accorge che nel cuore di
Clark vibra la stessa passione che ha animato altri grandi esploratori del
passato, quali Colombo, Magellano, Livingstone.
Renzo Montagnoli
L'autore
Leonard Clark , laureatosi all'Università di California, è stato uno dei
più grandi esploratori del XX Secolo. Viaggiò moltissimo, soprattutto in
Asia e nell'America Meridionale. Durante la seconda guerra mondiale fu il
capo del sistema di spionaggio americano in Cina. Morì nel 1957,
attraversando un fiume, durante un'ennesima spedizione sudamericana.
Renzo Montagnoli
Col cappello da poeta di
Paolo Rodriguez - Midgard Editrice
La poesia è una delle forme espressive più complesse; infatti, non di
rado, al termine della lettura di alcuni versi possiamo dire che ci sono
piaciuti, ma se ci chiediamo il perché il più delle volte rimaniamo
dubbiosi .
Che si fa allora? Si ritorna a leggere, a esaminare ogni parola, a
congiungere le idee che ne scaturiscono fino a quando diamo una risposta
alla nostra domanda.
Ecco perché non è facile leggere una poesia, comprenderne lo spirito,
tranne in rari casi, dove la capacità dell'autore di trasmettere i suoi
sentimenti, il suo messaggio consente di acquisire con immediatezza ciò
che voleva dirci.
Col cappello da poeta, una riuscita silloge di Paolo Rodriguez, rientra
fra quelle opere, poche in verità, in cui l'appagamento della lettura si
accompagna alla pressoché immediata comprensione del testo.
A onor del vero non tutte le poesie di questa raccolta presentano una
simile caratteristica, ma in una buona parte - si potrebbe anche definire
ricorrendo a termini giuridici una maggioranza qualificata - rispondono
pienamente alle aspettative già introdotte con la prima lirica "Regali
natalizi".
Paolo Rodriguez osserva le sfaccettature della vita di ogni giorno, gli
aspetti comuni della società non con lo spirito di un novello Savonarola,
ma con una giusta dose di ironia che finisce con il togliere ogni
pesantezza ai testi, lasciando inalterate quelle caratteristiche di
critica bonaria, ma non banale, che rendono gradevole la lettura, senza
per questo far venir meno il messaggio, nobile di intenti, che è
sottinteso.
Quindi un ottimo volume per una lettura non particolarmente impegnativa
che possiamo portare con noi a letto prima di dormire, ma anche su
un'assolata spiaggia.
Renzo Montagnoli
L'autore
Paolo Rodriguez è nato nel 1943 a Rimini, dove anche risiede.
Dopo esperienze giovanili con la poesia l'entrata nel mondo del lavoro
l'ha costretto ad accantonare questa passione, prontamente ripresa
nell'anno 2000 con la collocazione a riposo.
Nel 2005 ha vinto il "Città di Perugia", oltre a risultare finalista in
altri concorsi riservati alla poesia.
Renzo Montagnoli
Novelle e leggende della Capitanata, a
cura di Giovanni Saitto, con
illustrazioni di Primiana Nista -
Edizioni Del Poggio
Ritengo indispensabile una piccola premessa, soprattutto per chi non
conoscesse dove si trova la Capitanata: è una regione storica della
Puglia, corrispondente, all'incirca, all'antica Daunia e all'odierna
provincia di Foggia.
Detto questo, passo all'esame del testo.
Ci sono libri specializzati per viaggiatori, dove si consigliano
itinerari, si evidenziano particolarità paesaggistiche e artistiche dei
luoghi, si indicano alberghi e ristoranti; e poi ci sono libri che parlano
di etnie locali, di modi di vita, di tradizioni delle genti di certi
posti.
L'antologia oggetto della presente non rientra esattamente in nessuna
delle due succitate tipologie, pur presentandone alcuni caratteri.
Infatti, inizia con un'esauriente relazione sul Gargano, intitolata
appunto dall'autore Giuseppe D'Addetta "La montagna del sole - Itinerari
garganici"; in questo tende ad assomigliare a un libro di viaggi, però con
una distinzione del tutto particolare: le pagine parlano sì di mete, di
percorsi, ma non a uso di un veloce visitatore, ma come compendio, con
note emozionali, delle bellezze paesaggistiche e architettoniche del
promontorio del Gargano. Si scende in particolari che a prima vista
sembrano di poco conto, ma che nell'insieme vengono a formare un quadro di
rara efficacia di questa splendida zona. E' giusto che si sappia che lo
scrivente di questa recensione conosce piuttosto bene la questa parte
della provincia foggiana, meta di alcuni suoi viaggi; ebbene,
l'impressione che ne ho ritratto leggendo queste pagine è di aver
riscoperto qualche cosa che credevo di conoscere.
La relazione finisce poi con il diventare quasi l'elemento propedeutico
essenziale per la seconda parte del volume, quella dedicata alle novelle e
leggende della Capitanata, raccolte amorevolmente da Giovanni Saitto.
Si tratta di narrazioni, spesso orali, tramandate da generazione in
generazione, e che assurgono alla dignità di storia delle genti di quei
posti.
Alcune sono semplici, quasi ingenue, perlomeno ai nostri occhi smaliziati,
ma hanno tutto il sapore delle cose antiche, di quei racconti che
ascoltavamo dalla bocca della nonna. E per ognuna c'è un'illustrazione
perfettamente in sintonia con l'argomento, realizzata con mano sicura da
Primiana Nista.
E' un volume abbastanza corposo (233 pagine), ma si legge bene,
immergendosi con gradualità nella suggestiva atmosfera di un luogo spesso
visto solo con gli occhi del turista frettoloso.
Da rilevare che queste memorie, affinché non vadano disperse, sono state
anche oggetto di stampa di un volumetto, con lo stesso titolo, ma più
ridotto di pagine e senza la parte introduttiva di cui ho accennato;
destinatarie di questo lavoro sono le scuole, principalmente quelle
locali.
Se interessa, può essere ordinato direttamente alla Casa Editrice
"Edizioni Del Poggio", tramite il suo sito internet
www.edizionidelpoggio.it.
Renzo Montagnoli
L'autore coordinatore
Giovanni Saitto è nato il 31 agosto 1960 a Poggio Imperiale, dove anche
vive. Di professione consulente editoriale si interessa di storia,
soprattutto locale, e ha pubblicato "Poggio Imperiale. Cento anni della
sua storia: dalle origini all'unità d'Italia", "Fatti e briganti della
nostra terra", "I giorni del plebiscito a Poggio Imperiale", "Poggio
Imperiale. Storia, usi e costumi di un paese della Capitanata"; per le
Edizioni del Poggio ha curato anche "Memorie di un soldato" , "Su l'altare
di Sciara Sciat", "Poggio Imperiale nel 900" e "Dal Sannio alla
Capitanata".
Renzo Montagnoli
L'illustratrice
Primiana Nista è nata a Lesina il 14 maggio 1963. Stimata artista,
appassionata di storia locale e di storia dell'arte, ha tenuto con
successo diverse personali e alcune sue opere sono esposte a Roma, Ancona,
Torino e Milano.
Renzo Montagnoli
L'armadio della vergogna di
Franco Giustolisi - Edizioni Nutrimenti
Fra il 1943 e il 1945 decine di migliaia di civili furono vittime di
stragi orrende compiute dai nazisti e dai fascisti in tutta l'Italia. Nei
mesi che seguirono la Liberazione furono individuati molti dei colpevoli e
a loro carico si aprirono procedimenti penali. Dal 1947, però, ignoti
hanno messo tutto a tacere, rinchiudendo in un armadio della Procura
generale militare ben 695 fascicoli; e non fu una dimenticanza, ma un atto
voluto. Dal 1994 la Procura ha riaperto i processi a carico degli ormai
pochi superstiti..
Franco Giustolisi, che ha portato alla luce l'esistenza di questo armadio
della vergogna, tratteggia nel volume in modo inequivocabile l'intera
vicenda dell'insabbiamento delle prove e ricostruisce, sulla base dei
documenti e delle indagini a suo tempo esperite, quelle stragi, infami per
efferatezza e crudeltà.
Sarà compito di una commissione parlamentare d'inchiesta stabilire i
colpevoli di questa criminale decisione di lasciare impuniti i crimini di
guerra. Già si sa che le cause della manovra di insabbiamento furono
essenzialmente politiche, il che lascia ben poche speranze di una
esemplare condanna dei responsabili.
Questo comportamento, dettato anche dalla ragion di stato, ha fatto sì che
le vittime dei crimini fossero state in pratica due volte colpite: una
dalla ferocia dei loro assassini, un'altra dalla volontà di coprire i loro
carnefici.
E' un libro che dovrebbe essere diffuso anche nelle scuole, affinché i
giovani sappiano dell'orrore che ha caratterizzato la storia del nostro
paese negli ultimi anni di guerra e che traggano le dovute considerazioni
dal comportamento di una certa classe politica che ha cercato di
nascondere la verità alla giustizia per così tanti anni.
Renzo Montagnoli
L'autore
Franco Giustolisi, giornalista, è inviato speciale dal 1960: ha lavorato
per Paese Sera, Il Giorno, la Rai (Tv Sette) e attualmente scrive per
L'Espresso. Ha scritto con Pier Vittorio Buffa, Al di là di quelle mura (Rizzoli,
1984) e con Pier Vittorio Buffa e Alberto Franceschini, Mara, Renato e io.
Storia dei fondatori delle BR (Mondadori, 1988). Nel 2003 ha partecipato
al volume collettivo Tra storia e memoria. 12 agosto 1944: la strage di
Sant'Anna di Stazzema, edito da Carocci. Dal 1996 conduce la sua battaglia
per far luce sull'Armadio della vergogna. In questi anni è stato uno dei
più attivi promotori delle diverse iniziative a favore della costituzione
della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi nazifasciste. Per
questo motivo, il 12 dicembre del 2001 gli è stata conferita la
cittadinanza onoraria di Stazzema.
Renzo Montagnoli
Sudditi. Manifesto contro la democrazia
di Massimo Fini - Edizioni Marsilio
Ho letto e riletto più volte questo interessante saggio di Massimo Fini,
autore a cui certo si deve riconoscere la capacità di analisi acuta di
qualsiasi argomento, soprattutto di quelli che appaiono dei miti, o
comunque dei dogmi inconfutabili.
E' indubbio che sia stato scritto quale risposta seria e concreta alle
pretese di chi nel nome della "democrazia" vuole imporla con ogni mezzo,
anche con la forza bruta, e il riferimento al conflitto iracheno non è per
nulla casuale.
E' un'analisi spietata, non tanto da un punto di vista dell'ideologia
politica, ma della logica filosofica.
Quante apparenti certezze verranno a cadere dopo la lettura di questo
volumetto (147 pagine)! Quante inevitabili domande ci dovremo porre nel
momento in cui ci renderemo conto che la logica esauriente di Fini ci farà
apparire la democrazia come un regime di oligarchie politiche ed
economiche, e anche criminali.
Però, confessiamolo, che in cuor nostro abbiamo sempre dubitato della
valenza di questo sistema; questo saggio non ha fatto altro che riunire i
molti dubbi, confrontarli, amalgamarli e il risultato è inequivocabile. Se
per la nostra cultura la democrazia è il migliore dei sistemi possibili,
per Massimo Fini, ma anche per noi, finisce con il ridursi al meno peggio
dei sistemi possibili.
Renzo Montagnoli
L'autore
Massimo Fini, di padre toscano e di madre russa, nasce sul lago di Como il
19/11/1943. Dopo la laurea in giurisprudenza e diversi lavori minori
approda nel 1970 al giornalismo, dapprima all'"Avanti", poi al "Giorno".
Attualmente lavora per il "Giorno", "Il Gazzettino", "La Nazione" e "Il
Resto del Carlino".
Ha pubblicato: 'La Ragione aveva Torto?' (Camunia 1985, ripubblicato da
Marsilio in edizione tascabile nel 2004); 'Elogio della guerra' (Mondadori
1989 e Marsilio 1999); 'Il Conformista' (Mondadori 1990); 'Nerone, 2000
anni di calunnie' (Mondadori 1993); 'Catilina, ritratto di un uomo in
rivolta' (Mondadori 1996); 'Il denaro, "sterco del demonio"' (Marsilio
1998); "Dizionario erotico, manuale contro la donna a favore della
femmina", (Marsilio 2000); " Nietzsche, L'apolide dell'esistenza"
(Marsilio 2002), "Il vizio oscuro dell'Occidente" (Marsilio 2003) ;
"Sudditi" (Marsilio 2004); "Il ribelle dalla A alla Z" (Marsilio 2006).
Renzo Montagnoli
La vampa d'agosto di
Andrea Camilleri - Sellerio editore
Palermo
Di tutti gli episodi che vedono protagonista il commissario Salvo
Montalbano questo, ultimo come pubblicazione, è a mio avviso il migliore.
Si ritrova, infatti, quella verve dialettica e anche creativa che era
venuta un po' a mancare ne "La luna di carta".
Soprattutto quello che colpisce, al di là della trama, misteriosa e
interessante, è la capacità di Camilleri di dipingere con acuta bonomia i
protagonisti, ora non più in ombra rispetto alla figura del celebre
commissario, ma essi stessi dotati di propria forza autonoma che li rende
spalle ineguagliabili di un Salvo Montalbano in lotta fra l'incipiente
vecchiaia e morbosi desideri di carattere sessuale.
I lettori, comunque, non hanno di che preoccuparsi, perché il declino
fisico non impedirà di certo la nascita di successivi episodi e anche se
Camilleri ha raccontato in un'intervista di aver già scritto quello con la
fine della sua creatura resta ferma la convinzione che potremo ancora
goderci delle nuove avventure.
Questa volta tutto è in perfetto equilibrio, con l'inizio divertente, lo
svolgimento successivo scorrevole e appagante, la logica conclusione,
prevedibile solo nelle ultime battute.
Ne La vampa d'agosto l'unico difetto, forse, di una trama ben congegnata è
proprio la fine, troppo veloce e che lascia un po' spiazzati, ma forse è
solo il dispiacere di non poter continuare una così gradevole lettura.
Renzo Montagnoli
L'autore
Andrea Camilleri è nato a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925.
Ha iniziato a lavorare come regista teatrale nel 1942, mettendo in scena,
da allora, più di cento opere. Ha esordito come romanziere nel 1978 con
"Il corso delle cose", primo dei romanzi storici (La strage dimenticata,
Il birraio di Preston, La connessione del telefono, per ricordarne solo
alcuni). La fortunata serie che ha come protagonista il commissario
Montalbano vede i natali assai più tardi, nel 1994, con "La forma
dell'acqua".
Renzo Montagnoli
La luna di carta di
Andrea Camilleri - Sellerio editore
Palermo
Il tempo passa per tutti, anche per l'inossidabile, in apparenza,
commissario Salvo Montalbano. Infatti, nel penultimo episodio della
fortunata serie pubblicato da Sellerio, assistiamo a un invecchiamento più
psicologico che fisico del simpatico investigatore che, quando la sveglia
il mattino gli interrompe il sonno, nell'attesa di decidersi a lasciare il
letto corre sistematicamente con il pensiero alla morte.
La stranezza è che, se per lui ci sono altri segni dell'incipiente
senilità, per tutti gli altri personaggi di contorno (Catarella, Fazio,
Mimì Augello) il tempo sembra invece essersi fermato, quasi a voler
significare che l'identificazione autore-protagonista ormai è diventata
talmente accentuata che sempre più prevale su Montalbano Andrea Camilleri.
E così, mentre tutto il resto non cambia, quasi cristallizzato,
inevitabile è il declino del personaggio principale, qui alle prese con
due donne affascinanti, ma pericolose.
L'invecchiamento di Montalbano non è l'unica peculiarità di questo
episodio, perché il giallo assume i contorni sottili, spesso sfumati
propri delle opere della grande Agata Christie; quindi nessun colpo di
scena eclatante, ma un lavoro di investigazione meticoloso e quasi oscuro
che porterà a scoprire la verità in ordine a un misterioso delitto.
Un altro elemento di novità è dato dalla relazione incestuosa fra fratello
e sorella, argomento difficile a trattarsi, ma ben affrontato, con il
dovuto tatto, da Camilleri. Nei precedenti episodi richiami di ordine
sessuale costituivano un corollario della vicenda, mentre in questo ne
sono il tessuto strutturale, finendo con il diventare un limite. In questo
senso l'autore sembra avere appannata la creatività della trama,
ricorrendo in fin dei conti a un intreccio abbastanza scontato. Resta
comunque sempre di elevato livello la capacità di creare atmosfere e
ambienti, arrivando a delineare un quadro d'insieme non avulso dalla
realtà, ma specchio impietoso della situazione odierna non solo della
Sicilia, ma dell'intera nazione.
Renzo Montagnoli
L'autore
Andrea Camilleri è nato a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925.
Ha iniziato a lavorare come regista teatrale nel 1942, mettendo in scena,
da allora, più di cento opere. Ha esordito come romanziere nel 1978 con
"Il corso delle cose", primo dei romanzi storici (La strage dimenticata,
Il birraio di Preston, La connessione del telefono, per ricordarne solo
alcuni). La fortunata serie che ha come protagonista il commissario
Montalbano vede i natali assai più tardi, nel 1994, con "La forma
dell'acqua".
Renzo Montagnoli
Le parole per te di
AA.VV. a cura di Monica Schiaffini e Giuseppe Bianco Giulio
Perrone editore
“La poesia è un momento di raccoglimento personale in cui il poeta riesce
ad eternizzare un ricordo, una sensazione, un’emozione… solo così la
gioia, il dolore, l’amore, la solitudine, la rabbia, la confusione
vivranno per sempre fra quelle righe d’inchiostro”. Così definisce il
genere Monica Schiaffini, curatrice dell’antologia poetica Le parole per
te (Giulio Perrone Editore) insieme a Giuseppe Bianco, ideatore dell’opera
e organizzatore del Premio letterario Città di Caivano.
Oggigiorno il canale di diffusione più promettente per la poesia è senza
dubbio la rete, dove fioriscono numerose iniziative per promuovere questa
forma d’arte. Proprio grazie all’attività di catalizzatore svolta da siti
letterari come Le parole per te (www.leparoleperte.it), gestito dallo
stesso Giuseppe Bianco, ha reso possibile la realizzazione di quest’opera
che raccoglie ben 80 poesie di altrettanti autori.
I criteri di selezione degli autori tengono conto del fatto che… “non
esistono poesie belle o brutte, come non ci sono poeti più o meno
qualificati per ricoprire tale posizione”. Sono state quindi selezionate e
raccolte le poesie giudicate migliori per ciascun autore, basando la
valutazione non sull’aspetto formale ma sulle sensazioni che emergono
dalla lettura dei componimenti.
I temi trattati dalle poesie sono molto vari; se la poesia è davvero lo
specchio dell’anima, allora ci troviamo di fronte ad una emozionante marea
di stati d’animo. Tra i primi senza dubbio l’amore, come nella poesia
Ultimo saluto della stessa Monica Schiaffini, la solitudine come l’omonima
poesia di Angelo Cocozza, o il ricordo come in Amico fiume di Gerardo
Rosci. Inoltre vengono trattati anche temi attuali come l’inconsistenza di
un mondo virtuale come Internet nella poesia Il paese delle meraviglie di
Antonio Balistreri, i mortali effetti di un’overdose in Cocaina di Gennaro
Chierchia, e la sorte di chi vive all’ombra di un’orribile guerra in Il
soldato di Baghdad di Marianna Scagliola.
Il libro inoltre è già stato presentato con successo al Maschio Angioino
di Napoli, sabato 25 febbraio, nella Sala della Loggia. La presentazione,
a cura della compagnia letteraria Homo Scrivens (www.homoscrivens.it), per
la regia di Tiziana Brondi, le musiche ed i suoni di Leonardo Amendola
(autore anche delle opere presenti nella sala) e Luigi Lucci, ha previsto
la lettura e la rappresentazione di alcune delle poesie più significative.
Presenti all’evento, oltre ai curatori dell’opera e ad alcuni degli
autori, anche l’editore Giulio Perrone, che ha espresso il suo favore
verso un’opera come questa antologia, dove può rivivere il valore della
poesia.
Raffaele Galasso
Salò o le 120 giornate di Sodoma di
Pier Paolo Pasolini
Mi hai sedotto Dio, e io mi sono lasciato sedurre mi hai violentato e
prevalso, Sono divenuto oggetto di scherno ogni giorno, ognuna si fa beffe
di me....
Si, io sentivo la calunnia di molti, " Terrore all'intorno, Denunciatelo e
lo denunceremo" Tutti i miei amici spiavano la mia caduta << Forse si
lascerà sedurre e così noi prevarremo su di lui e ci prenderemo la nostra
vendetta su di lui>> Geremia cap 20, vv.7 e 10.
Sono mesi che ormai visito periodicamente questo sito su pasolini per
approfondire la conoscenza di Pasolini, che io considero non uno dei più
grandi autori del '900 italiano, ma a ragion veduta il più grande autore
del '900 in assoluto per mole di opere, genialità ed eclettismo,
versatilità.
Credo che di geni come Pasolini ne nascano uno ogni qualche secolo e che
alla fine anche i più grandi da vivi, come Elsa Morante, Montale, Moravia
e Calvino abbiano sicuramente riconosciuto in Pier Paolo qualcosa di
profetico di sicuramente più elevato, sublime.
Ora io non capisco come sia possibile che debba faticare così tanto a
trovare tutti i suoi film, capisco, sono nato in quella che lui chiamava
la città di Dio dove di certo ha seminato tanto amore da trovarsi sommerso
dai nemici che se solo pensando alla macchina Vaticana sono molti e molto
in alto. Ma insomma nel 2006 a Roma risulta impossibile rimediare i dvd di
Pasolini, inoltre quei pochi son restaurati da Mediaset, sembra quasi un
tranello...in "la Guinea" recitava infatti così "Io muoio e anche questo
mi nuoce, insomma perseguitato processato come un vero profeta degli
ultimi tempi anche la morte ha cercato di gettare fango su di lui.
Ma io son convinto che nel 2864 verrà studiato e tenuto sul palmo della
mano culturale al pari di Dante e Michelangelo poiché questo è ciò che si
merita, speriamo che la Chiesa non lo faccia santo per il suo martirio
altrimenti finirebbe per appropriarsi anche di Caravaggio e Giordano Bruno
e ciò sarebbe la fine di ogni speranza. Io lo amo in quanto eretico
infatti, anzi oso dire che ogni profeta della storia a suo modo è stato e
sempre sarà u frutto dell'eresia empirica.
Io sono uno studente di geologia ma sono appassionato di letteratura
scrivo poeto e dipingo e ciò lo devo principalmente alla scoperta di
quello che io oserei chiamare il vangelo pasoliniano ossia tutta la sua
opera completa...grazie a Pasolini (Descrizioni di descrizioni) ho
conosciuto anche l'opera di Dostoevskij che non è da meno!
Ora ho letto alcune lettere e mail che non mi sembrano dare il giusto
contributo al Nostro e soprattutto quelle riguardanti il suo ultimo film
Salo' che è un'opera così astutamente storica e allo stesso tempo
proiettata visionariamente nel futuro che credo sia drammaticamente chiara
e limpida più per noi della generazione ( io sono del '78) che lui
definirebbe antropologicamente mutata, se non addirittura geneticamente
ormai.
Ora,le mie parole potranno sembrarti dure, forse la lettura di ciò che sto
per scriverti potrà darti un pugno nello stomaco come lo è tuttavia la
visione del film stesso, ma ciò io lo devo, a lui alla sua memoria
storica, anzi a futura memoria sperando davvero che ciò possa contribuire
a leggere più chiaramente questo film che credo (forse ho la presunzione)
di aver capito meglio di chiunque altro.
Ho qui una foto di Pasolini regista, l'ho ritratta in carboncino e ho
sotto scritto, UMBRA PROFUNDA SUMUS, perché appunto l'opera di Pasolini va
inquadrata nella filosofia Bruniana o addirittura Nietzcshiana oltre che
marxista e va dipinta come una tela di Caravaggio: appunto tra contrasti
karamazoviani tra tenebre e luci.
Innanzitutto bisognerebbe sottolineare che l'omosessualità (lo credo da
eterossessuale io) in un uomo o in una donna possano essere varianti (e
non deviazioni) naturali, ma nel caso di Pasolini si tratta al pari della
grande poetessa Saffo di un segno potente di una (io oserei chiamare)
completezza divina, ossia come nel caso dell'epilessia di Dostoevskij
oserei chiamare l'esser posseduti dall'energia divina che è appunto
maschio-femmina in quanto unità, e ciò mi rincresce ammetterlo ma ciò che
oggi vien chiamato malattia ai tempi degli antichi greci era considerata
l'iniziazione ai misteri eleusini, proprio l'epilessia e l'omosessualità
eran considerati mali-sacri.
Ora se è il signor Rossi a possederli non credo sia di grande aiuto ma
bisogna riflettere profondamente sul perché l'epilessia di Dostoevskij o
l'omosessualità di Pasolini abbiano avuto la capacità e la profondità di
infondere a due artisti la capacità di esser profeti in un campo laico che
è appunto quello della letteratura.
Questo è un lento ritorno agli antichi greci e addirittura a ciò che è
presocratico ossia non razionale.
Pasolini, le sue guance e il suo sguardo hanno un tratto potentissimo che
è quello della bellezza dionisiaca, ossia di ciò che "squarcia il velo"
ruba a Giove la fiamma del sapere e si ribella: cos'ha di squarciato la
sagoma e il corpo e l'anima di Pasolini? Semplicemente questo che
sarcasticamente potremmo definire il "crimine della conoscenza" e ciò
sebbene apra a noi gli abissi dell'inferno e del paradiso bisogna aver il
coraggio di riconoscerlo: Pasolini è un poeta sacro, sottolineo sacro è un
uomo che ha lasciato il suo frutto come Gesù annunciava dei suoi futuri
"eletti": dai frutti voi li riconoscerete...ebbene come non riconoscerlo!
Vengo al dunque:
Il film Salò o le 120 giornate di Sodoma è un film profetico, visionario
per questo non è ancora del tutto compreso, io non so come sia possibile
ma Pasolini con sagacia artistica ha dipinto il futuro delle nostre
società ancora più dettagliatamente e incisivamente di quanto non lo abbia
fatto Orwell con il suo classico 1984.
Tieniti pronta, perché quello che ti dirò sarà difficile accettarlo,
urterà inevitabilmente le sovrastrutture cattolico-borghesi di cui tutti,
tutto sommato essendo italiani, siamo imbevuti.
Eccola mia analisi del film:
Il film inizia con un'inquadratura crepuscolare dei quattro potenti che
sottoscrivono e autorizzano con tanto di timbro ufficiale i Regolamenti
che non sono nient'altro che le regole di vita che domineranno il mondo,
l'era della Civiltà dei consumi che Pasolini additava come grande
Neofascismo e inquadrava proprio nella prospettiva della borghesizzazione
totale del mondo civile, ora questo mondo civile è un mondo che Pasolini
con Teorema aveva già inquadrato apocalitticamente con la visione sua
propria di una borghesia che non si presenta più in quanto classe
dominante ma in quanto tumore cancro sociale, da estirpare, come da lui
stesso affermato in Scritti Corsari ed Empirismo Eretico.
La civiltà dei consumi, il genocidio totale, mutazione antropologica sono
le tre caratteristiche principali che si confanno alla grande era dell'Edonè
decadente di cui siamo tutti compartecipi e coinvolti, è un 'epoca (la
nostra) prossima ad una fine proprio come lo era quella descritta da De
Sade nei suoi romanzi che si deliziano di perversioni erotiche.
Ora questo quattro potenti chi sono? Sono simbolicamente il Potere
vaticano ed ecclesiastico (Monsignore), il potere politico e affaristico e
quindi oramai imprenditoriale-mafioso (Presidente) il potere giuridico
(Magistrato) e il potere delle nobiltà e delle aristocrazie occulte come i
massoni e le cerchie che praticano ancora l'esoterismo (Sua Eccellenza).
Insomma questi quattro potenti sono i quattro luoghi allegorici e
simbolici che domineranno l'Era Neofascista dei Consumi (si potrebbe fare
un parallelismo enorme e azzeccatissimo traquesto film e il suo ultimo
romanzo incompiuto Petrolio e quindi caso Mattei, Eni, Imperialismo
americano mafia) e il libro dei "Regolamenti" sancisce le regole che sono
appunto estreme, infatti il Monsignore esclama "tutto è bono quando è
eccessivo"..Pasolini vuole condannare fin dall'inizio una volontà perversa
nell'esagerare nel portare al limite la condizione degli esseri umani, ciò
è voluto dall'alto, dalle menti potenti, gli stessi di cui quando scriveva
"Io so ma non ho le prove" non poteva fare nomi e cognomi pur sapendo, e
pertanto ricorre alle figure simboliche, le quattro suddette.
Il film inizia quindi la sua parte attiva proprio come un Divina Commedia
(anzi tragedia) partendo dall'Antinferno, ossia ragazzi e ragazze figli di
paesani, contadini, gente comune o famiglie sovversive vengono deportati,
rubati alla loro vita per soddisfare i piaceri di questi quattro potenti.
Questi uomini e donne deportati anche loro simbolicamente rappresentano un
testimonianza storica di quello che avvenne ai ragazzi e alla repubblica
di Salò nella declinazione finale del potere fascista, nella fase di
declino e collasso, alla ritirata perdente di Mussolini ma allo stesso
tempo è un modi per fare capire bene DOVE, GEOGRAFICAMENTE E
SIMBOLICAMENTE IL FASCISMO E' SOPRAVVISSUTO E QUINDI DA DOVE E' RIPARTITO
E I RAGAZZI E LE RAGAZZE RAPITI/E SIAMO DUNQUE SIMBOLICAMENTE NOI DI
QUESTA GENERAZIONE POST-FACSISTA STORICA E NELLA CONTINUAZIONE CLERICO
FASCISTA APPORTATA DALLA DEMOCRAZIA CRISTIANA E ORA DALLA CASA DELLE
LIBERTA', INUTILE SOTTOLINEARE CHE MOLTI EREDEI DI SALO' SONO STATI E SONO
ANCORA AL GOVERNO.
Per quello che mi riguarda i quattro potenti potrebbero esser
tranquillamente Andreotti (Presidente) Ruini (Monsignore) Castelli (come
"capo" della giustizia) e Licio Gelli (Sua eccellenza)..ma insomma vado a
fantasia ognuno ci metta quello che vuole..tantomper dare un connotato
realistico.
Non scordiamoci che parallelamente in quel periodo in Petrolio Pasolini
parlava di un potente borghese settentrionale che aveva in mente di
reinstaurare un nuovo regime autoritario di destra e fascista in tutta
Italia, questo bravo uomo collegato poi alla mafia (magari attraveso uno
stalliere) potrebbe essere tranquillamente Berlsuconi, e anche qui
Pasolini ha letteralmente e metaforicamente profetato.
Poi vi è la Selezione: la selezione non è nient'altro che la scelta dei
migliori dei più belli/e da destinare al massacro delle perversioni dei
potenti, solo i migliori vengono selezionati quasi umoristicamente a
sottolineare che ormai nascere belli è una condanna (Ricordiamo il suo
articolo del 74 "Siamo belli dunque deturpiamoci") e in più vengono
selezionati attraverso lo una scelta liberamente democratica, quella del
voto referendario, quasi che Pasolini volesse prendersi burla di questa
falsissima democrazia in cui siamo vissuti.
La scelta riguarda meticolosamente i peni, i deretani, le vagine e il seno
di questi poveri destinati al macello..anche qui ricordiamoci gli articoli
di Pasolini in Lettere Luterane in cui sembra ormai essere disgustato
anche dall'estetica dei peni e delle vagine dei ragazzi moderni, come se
non ci fosse più naturalezza e bellezza, ma solo torpore e lacerazione e
qui non vuole essere il solito fervente anticattolico che scandalizza
parlando di Chiesa Peni e Vagine, ma vuole appunto condannare l'eccesso
dell'Edonè materialistico, ciò è facilmente riscontrabile facendosi una
panoramica del mondo della pornografia e del sesso sulla rete internet.
Volti di donna ricoperti di sperma, orge, corpi tatuati e molteplici cazzi
che distruggono le donne e la femminilità del mondo...il mondo intero si
andando in frantumi ci siamo mangiati il femminile, natura compresa.
Io mi chiedo che mondo stiamo lasciando in mano ai bambini, io stesso
ormai non avrei il coraggio di diventare padre e quindi autore cosciente e
forzatamente eludente questi crimini della Epoca moderna. Arancia
Meccanica sembra una favola della Disney al confronto.
Dunque la selzione siamo noi, la nostra generazione antropologicamente
mutata, "loro" hanno deciso attraverso i mass-media, il mondo della moda,
dei vestiti, delle icone da superstar della musica e del cinema come
dobbiamo vestirci, pettinarci, tatuarci, raderci la vegine e i peni o
addirittura costellare i corpi di piercing anche nei luoghi più inusuali,
come clitoridi e capezzoli, ciò a cui visivamente Pasolini non ha
assistito rappresenta ciò che lui stesso però definiva infuturandosi
nell'immagine della fine della storia e dell'uomo Neoprimitiva a cui lui
assisteva per privilegio di anagrafe...una sorta di neonazismo psicologico
occulto che si insidiava subdolamente e subliminalmente nelle nostre
coscienze: ecco, questa rivoluzione nascosta sotto i pantaloni le gonne e
le maschere umane del vivere quotidiani è completamente riuscita ai
poteri, non dobbiamo rendere di ciò omaggio a Pasolini che in realtà è
l'ultimo autore di una visione sana e classica dell'Eros e della nudità e
un autentico disprezzatore delle vera e volgare pornografia.
Questa pornografia è ormai il mondo totale, lo dico parlando della mia
generazione, si penso solo che Pasolini aveva in mente il suo prossimo
film prima che gli venisse tappata la bocca come al corvo di Uccellacci e
Uccellini, appunto PORNOTEOKOLOSSAL, che io credo sarebbe stato come al
solito un capolavoro oltretutto in linea e anticipante le tematiche
trattate da Kubrick in Eyes Wide Shut. Le immagini più salienti son qui
quella della ragazza bruna che viene eliminata per avere un' agenesia
dentale e quella degli occhi eccitati dei potenti che si meravigliano
estasiati della fanciulla bionda che cade in lacrime per aver perso la
madre in battaglia, qui Pasolini vuole sottolineare che i Potenti godono,
letteralmente godono nel vedere soffrire una donna e ciò aumenta la sua
portata li dove Sua eccellenza costringerà a mangiare le feci alla stessa
fanciulla urlando "Mangia Mangia" ed esclamando che la sua reticenza e la
sua sofferenza aumentano ancora di più il suo godimento.
La pornografia è la vera pedogaga di queste nuove generazioni, e la
pornografia è questita da questi quattro potenti, poco tempo fa ho letto
sul sito di Beppe Grillo che la maggior parte dei siti porno sulla rete
sono gestiti da corporazioni americane legate alle chiese e alle
associazioni di stampo spiritualistico moderno, Opus Dei, Scientology etc..
La pornografia insegna a noi come portare le sopracciglia come radersi,
come farsi i muscoli, come spogliare il nostro corpo di peli e ricoprirlo
di tatuaggi in tutte le parti del corpo, questa sorta di feticismo
estetico è come stuprare la Natura, di ciò ne sono vittime tutti e come al
solito le donne in maggior risalto per ragioni prettamente storiche legate
al sempiterno patriarcato maschilista.
Per sottolineare la poesia visiva di Pasolini ( in questo film tragica,
apocalittica) bisogna evidenziare come il patto tra potenti sia rinsaldato
da una logica incestuosa che promette una salda alleanza tra "le parti",
"le partizioni" in cui è diviso il potere. I potenti si sposano
reciprocamente con le figlie del potente limitrofe, quasi a certificare
una visione mafiosa di autoperpetuazione del privilegio dei poteri: lo
sputo in faccia ordinato ai commilitoni è la rappresentazione visiva della
del disprezzo della donna e ancora più dell'umiliazione del "femmineo,
femminile" in tutte le società.
Le regole di vita dentro al palazzo del potere e delle orge che
simbolicamente rappresentano il mondo odierno sono sorrette dalla
compiacenza delle Puttane di Alto Borgo (più una musicista che deve
accompagnare il tutto con la più falsa e smorta delle colonne sonore
borghesi, e in ciò vi è un'altra similitudine con Kubrick nella scelta di
celebrare quasi festosamente ma con retrogusto squallido gli ambienti e le
tradizioni di vita borghesi.
Appunto le regole sono la sodomia l'incesto le orge e ogni genere di
lascivia e in più ogni atteggiamento di tipo religioso verrà punti con la
morte, e in ciò vi è il massimo l'apoteosi di una visione apocalittica
della società...tutto ciò rappresenta il nostro mondo e come viene vissuta
la sessualità dai giovani e dalla nuova medioborghesia, lo ripeto basta
fare un giro si internet o per le strade malfamate delle nuove metropoli
italiane e ci si renderà conto che Pasolini anche qui è stato poeticamente
prefigurativo.
Girone delle manie, ogni racconto è prefigurativo di nuove fantasie
erotiche che verranno soddisfatte dai potenti sulle vittime.
A tavole si è costretti a mangiare la merda come a dimostrare che i
potenti avrebbero costretto l'umanità intera a mangiare cibi scadenti pur
di soddisfare l'ansia consumistica di aquietare l'appetito di un mondo
sovrappopolato.
Notare come l'umorismo dei potenti e delle prostitute è sempre
graziosamente borghese e squallidamente in realtà antiumoristico.
Il Matrimonio diventa una concessione(una falsa tolleranza) borghese fatta
dai potenti ai singoli uomini come pretesto per trasgredire le regole
delle monogamia, infatti Sua Eccellenza parte toccando baciando uomini e
donne convitati, come a dire questi corpi di ragazzi e ragazze sono tutti
"miei" comprese queste troie, Pasolini qui è di una lungimiranza e di una
potenza psicologica penetrativa assolutamente ineguagliata da qualunque
altro artista: il mondo è obbligato a partecipare alle nozze non spontanee
ma decise dai potenti e una volta avvenuto il rito di unione tutti vengono
sbattuti fuori violentemente, e i quattro potenti rimangono da solidi
fronte agli sposi nudi e indifesi, sembrano come Adamo ed Eva (non è un
caso che un personaggio del film si chiami Eva) al fonrte dei quattro
potenti, vengono obbligati a fare l'amore davanti a loro, come a dire che
non vi è più rispetto ne possibilità del pudore e della privacy che
dovrebbero contraddistinguere un rapporto sessuale tra due amanti.."dai
imbecille datti da fare".e dopo l'esitazione iniziale quelli riescono ad
iniziare a far l'amore ma ecco che subito i Potenti si precipitano su di
essi esclamando "No, questo fiore appartiene a noi!" come a dire che ormai
l'amore non è più consentito poiché è divenuta proprietà privata, merce
dei potenti e ciò si esplicita nell'atto successivo di uno stupro e di una
sodomizzazione tra potenti "il gesto sodomitico è infatti quello che più
si avvicinaalla morte in quanto infrange, corrompe le norme sociali in
realtà per accettarle".
Infatti questo fiore spetta a noi perché deve essere di nostra proprietà
visiva per l'ecciatzione erotica, appunto equivale allo schermo in cui sto
scrivendo e da cui si sta leggendo, è proprio l'occhio artificiale del
grande fratello a fare da spartiacque tra mondo delle vittime e mondo dei
carnefici, basta masturbarsi davanti alla pornografia e si diventa
carnefici, come andando puttane per strada e come imponendo a donne e
uomini il modo per cui essere sessualmente desiderabili, magari con una
vagina completamente depilata, questo è GENOCIDIO.esteticamente abbinabile
alle moderne periferie malamente urbanizzate e architettate. Inciò si
potrebbe fare un gran parallelo con il film The Wall dei Pink Floyd.
Gli uomini cani sono la parabola degli uomini sottomessi ai potenti,
tenuti al guinzaglio senza più alcuna possibilità di libertà, mi viene da
pensare alle torture inferte ai prigionieri di Abu Grahib o a Guantanamo
dai potentati militaristici americani.
Il Gusto di uccidere con una polenta piena di spille, il gusto di frustare
perché ci si è sottratti al dovere..è un gusto tutto sadico da preti
suore, il Monsignore esclama infatti "sapete dove siamo diretti da un
desiderio insoddisfatto" Pasolini vuole condannare la morale cattolico
puritana sessuofobica che porta inevitabilmente a perversione.
La repressione genera inevitabilmente perversione e degenerazione. Di ciò
ne sono autori e corresponsabili tutti i cattolici-borghesi, ossia tutta
una parte di cui è intrisa e impregnata la società italiana.
Pasolini ha la sensibilità di notare nell'enfasi della liberalizzazione
delle pratiche sessuali una sorta di esplosione orgiastica che è tutt'altro
che naturale in una visione sana e sacra dell'Eros quale egli possedeva.
Un'orgia che porta gli uomini al limite, oltre il quale si apre il vuoto
più totale, la consapevolezza della mancanza dell'impossibilità
dell'amore.
Erich Fromm direbbe di noi che siamo l'estasi dell'avere, ma non più la
possibilità dell'essere.
Girone della merda quindi, merda in quanto prodotto del potere (Petrolio)
in cui sono affogati stuprati e deturpati tutti i giovani e le giovani di
questa generazione, il mondo, le orge, la pornografia, e la prostituzione
di corpi senza più anima sono una panoramica sulla fine del mondo, di
questa epoca che Pasolini ci mostrava 40 anni fa e che oggi la cronaca
quotidiana ci conferma.
Banchetti di nozze in cui I Potenti mostrano il lato oscuro, segreto di
tutti i potentati, l'omosessualità dei Presidenti del Consiglio, Dei
Monsignori e Vescovi, dei Potenti del mondo della Moda..."Vecchi figli di
puttana esclama il sacerdote che da inizio alle nozze reali tra
omosessualo" cosa direbbe oggi Pasolini della nuova sinistra che promuove
i matrimoni tra gay, non direbbe forse che anche gli omosessuali ormai
sono vittime di quest'ansia di conformismo di uniformarsi al potere, di
esser riconosciuti e quindi omologati...insomma non sarebbe comunque
Pasolini contrario ad ogni forma di matrimonio etero-omosessuale che sia
poiché celebrata dalla falsa tolleranza della classe
medioborghesecattolica?
Pasolini esposto in quanto intellettuale omosessuale vuole forse darci a
intendere che i potenti coloro che sono chiamati Onorabili sono mascherati
nel Palazzo delle Orge di Kubrick e che sono tutti incestuosi, stupratori
di bambine, voyeristi, e anche omosessuali se non bisessuali ma appunto
mascherati nei luoghi del potere che sono tuttavia ormai visibili nel
panorama della pornografia su internet..ossia dove entra l'occhio del
grande fratello orwelliano.
Concorso di bellezza, ecco la selezione dei Vip, delle veline usa e getta,
delle attrici etc...il premio è la morte per colui e colei il cui deretano
venga giudicato il migliore..c'è tutta una parafrasi denunciatoria del
modo di scegliere democratico "mi rimetto al parere della maggioranza"
come a dire.E' QUESTA DEMOCRAZIA, SONO QUESTE DEMOCRAZIE CHE STANNO
COMPIENDO QUESTI CRIMINI!" il ragazzo viene ucciso per finta come volevasi
dimostrare prima poiché il Monsignore e sua Eccellenza discutevano sul
fatto che il gesto del sodomita e reiterabile mentre quello del carnefice
ne e invece il monsignore dimostra proprio che è reiterabile, appunto
simulando una condanna a morte, un po come avvenne in vita al povero Fedor
Dostoesvkij, appunto per un gusto sadico "Imbecille non lo sai che
vorremmo ucciderti mille volte fino all'infinità possibile prima di
ucciderti per davvero", qui ci sta tutta la vera natura dei perversi
maniaci sessuali tra i potenti...mi verrebbe da chiedere al fantasma di
Pasolini chi sono i veri autori e mandanti dei delitti del mostro di
Firenze se non gli stessi del suo delitto...non credo che le persone siano
le stesse ma di certo gli ambienti e l'estrazione sociale molto vicini.
Questo film è visceralmente collegato alla morte di Pasolini! Chi ha il
potere di dirlo? E Dimostrarlo? Come vorrei poter esser utile per fare
luce e giustizia sulla sua morte!
E infine infatti il girone del sangue dopo l'urlo di Pasolini "la
raffinatezza del libertinaggio è quella di essere allo stesso tempo
carnefici e vittime..." questi libertini siamo noi, società intera
superedonistica in cui la donna bella e stuprata è costretta ad urlare
"Dio, Dio perché ci hai abbandonato" come Cristo in croce.
Poiché l'epopea di Pasolini si conclude appunto a Ciudad Juarez dove
l'inquisizione mondiale e lo stupro mondiale è in azione con la
testimonianza delle Croci Rosa, il mondo prefigurato da Pasolini si
conclude con un ritorno ai crimini della Santa Inquisizione, e io mi
chiedo se qui corpi marchiati a fuoco amputati di peni e vagine, occhi e
lingue, uccisi e privati dello scalpo sono veri o allegorici? Io mi
rispondo sono veri, perché tali crimini ricadono su questi quattro poteri
e si perpetuano in molte parti del mondo con l'evidenza della guerra e dei
genocidi culturali.
Le torture sono il punto di approdo di questa macchina neocapitalistica
che ha reso merce anche i nostri corpi come animali al macello.
Se Pasolini è davvero un profeta bisogna avere paura di ciò, ma una paura
che porti a ribellione non una paura perdente, poiché in questo abisso
storico in cui ci stiamo approssimando non dissimilmente alle epoche delle
streghe e degli eretici del controriformismo seicentesco bisogna pensare
che un libro come la Chimera di Sebastiano Vassalli sia tristemente
storico e ammonitivo anch'esso.
La punizione di ogni reato, omosessualità maschile e femminile sincera e
pudica, di fare le feci durante la notte e non quando dicono i potenti,
defecazione feticistica, torture collegate all'eccitamento sessuale ai
macchinari sadici...la morte del fratello partigiano che fa l'amore con la
serva e muore col pugno alzato.
Pasolini mette in bocca frasi eccellenti che dipingono tutto ciò, i
potenti son uomini dotti, ma Pasolini dipinge un mondo in cui l'amore è
considerato un reato in cui sono permesse tutte le pratiche sessuali del
non.amore e ciò si sta drammaticamente realizzando nelle nostre società.
Pasolini ha dipinto con un pretesto storico del passato un futuro senza
amore, senza alcuna possibilità di amore vero se non quello che finisca
con la tortura e la condanna a morte.
La pianista che ha accompagnato con la colonna sonora tutte queste
turpitudini si suicida, e tutto daccapo con i ragazzetti sottomessi dai
potenti costretti di nuovo a ballare ignorando ciò che è successo, ossia
ciò che sta avvenendo a questo mondo; il macello umano su scala
industriale come un orrendo mattatoio, questo ha dipinto Pasolini.
Insomma un prossimo venturo Medioevo, e Pasolini con a sua vita e la sua
morte è stato un testimone della verità al pari di Bruno, Caravaggio e
Gramsci..insomma gli è stata zittita la bocca di corvo. Un profeta non è
che inviso alla sua stessa società. Dura verità, ammettere che Pasolini
sia un eletto, dura per il mondo laico materialista dura per
l'intellighenzia borghese cattolica.
Duro ammettere che del delitto Pasolini non ne sono responsabili solo
malavitosi e abili meschini potenti che hanno architettato la sua fine con
l'aiuto dei neofascisti e di qualche aggancio con la banda della Magliana,
Pasolini era ormai inviso a tutti a destra sinistra, comunisti e fascisti
borghesi e poveracci...della morte di Pasolini ne è responsabile un'intera
società italiana che ha consentito anche che passassero inosservati i suoi
33 processi duri e lunghi come gli anni di Gesù, solo per aver compiuto
opere del tutto cristiane evangeliche, e soprattutto pregne del senso
della verità.
Elio De Luca
Donne, ricette, ritorni e abbandoni di
Milvia Comastri - Edizioni Pendragon
Non è un libro di cucina, ma un volume che raccoglie racconti, più o meno
brevi, dove la preparazione del cibo rappresenta un comune denominatore;
poi, ci sono anche ricette, più o meno invitanti, a seconda dei gusti di
ognuno, ma quel che conta è la gradevolezza, non al palato, delle storie
che vengono rappresentate da Milvia Comastri con linguaggio fresco, con
annotazioni argute, vicende anche semplici, ma raccontate con garbata
partecipazione.
Personalmente mi hanno favorevolmente impressionato due racconti, se pur
antitetici e su questi intendo spendere una parola.
Il compleanno di Amalia Gargiulo ha un sapore di cose antiche, di
calore familiare che non può che coinvolgere; una vita di speranze di due
emigranti, il ritorno al paese natale, la morte di lui, la sofferenza
intima di lei - a cui darà una svolta imprevedibile - ancora adesso,
mentre scrivo, mi provocano un brivido di emozione. Mi sembra di vedere
Amalia intenta a cucinare e a ricordare, quasi sento la sua voce mentre
conversa con il marito morto. Una vicenda triste, che non scivola però mai
nel melodramma e che fa ben comprendere quanto ampio e potente sia il
significato della parola amore.
Buon anniversario, tesoro! L'amore fra due coniugi non c'è più, lui
la tradisce, lei apparentemente ne soffre, ma continua a far finta di
niente. L'apparentemente ha un senso perché invece la vendetta sarà un
piatto di straordinaria efficacia. Scritto quasi con la cadenza di un
thriller, anche se di morti ammazzati non ce ne saranno, è di una
originalità incredibile e alla fine viene quasi spontaneo applaudire
l'azione di rivalsa della donna nei confronti del marito.
Ecco, sono solo due dei racconti; non è che gli altri non siano piacevoli,
anzi si leggono volentieri e tutto d'un fiato. Ho voluto ricordare solo
questi perché ritengo che possano rappresentare adeguatamente l'intera
opera.
Concludo con un'ultima annotazione: non credo che ci sarà bisogna di
augurarvi buona lettura, perché sono certo che lo sarà e che magari vi
soffermerete, come me, un po' di più sulle pagine in cui si parla di
Amalia Gargiulo e del particolare anniversario di Eleonora e di Aldo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Milvia Comastri è nata a Bologna il 18 agosto 1946 e ha iniziato a
scrivere molto precocemente favole, poesiole, brevi racconti, alcuni anche
pubblicati sul Corriere dei Piccoli.
Con il matrimonio, la nascita del figlio, il lavoro ha abbandonato la
scrittura, riscoprendola però circa quattro anni fa. E i risultati sono
venuti pressoché subito, con i riconoscimenti di premi letterari (Primo
posto al concorso nazionale "Il Tarlo 2004", gradino più alto del podio
per la 4^ edizione del premio "Carlo Levi", terza al Premio Firenze 2004)
e con la pubblicazione della raccolta di racconti oggetto della presente
recensione.
Attualmente sta lavorando al suo primo romanzo (Isole).
Renzo Montagnoli
Serial Killer Italiani di
Gordiano Lupi - Editoriale Olimpia
Gli assassini seriali sono sempre esistiti e non sono quindi un fenomeno
recente. Questo bel saggio di Gordiano Lupi conferma che gli omicidi in
serie per opera di uno stesso individuo non erano sconosciuti nemmeno nel
XIX secolo, come testimoniato dalla vicenda di Antonio Boggia, il mostro
di Milano. E quel che è peggio è che, se si sono più accentuati negli
ultimi decenni, frutto anche di indagini più accurate che hanno portato a
evidenziare la presenza di un'unica mano dietro delitti apparentemente
senza punti di contatto, il futuro non potrà che confermarci che non si
tratta di un fenomeno di moda, ma di un pericolo sempre presente. Non a
caso l'ultimo capitoletto porta un titolo chiaro e lampante: i killer che
verranno.
Ciò premesso, il saggio in questione presenta più di un punto d'interesse
che tende a differenziarlo da altre opere analoghe più frequenti in
periodi recenti.
L'autore non ha volutamente cercato di suscitare emozioni forti, intense,
quasi angoscianti nel lettore; il tono distaccato della narrazione è
infatti sempre imperniato su tre cardini fondamentali: quando, come e
perché.
Quando accadde, anzi accaddero gli eventi delittuosi; come avvennero e
infine il perché ebbero a succedere.
Questo percorso logico farebbe presupporre una certa noiosità
nell'esposizione che invece non si riscontra perchè giustamente l'autore
ha inteso delineare razionalmente un quadro della situazione senza
eccessivi approfondimenti, tipici di un criminologo, ma con risposte
basate sul comune senso della logica, lavoro non certo facile, considerato
che la quasi totalità degli omicidi seriali presentano accentuati disturbi
psichici.
Da questo lavoro di indagine nasce così una sorta di resoconto
giornalistico, compassato, che potremmo definire all'inglese, in cui si
lascia ampio margine alla fantasia del lettore per immaginare scene che
altrimenti potrebbero, pur nella loro drammaticità, gravare eccessivamente
sulla struttura, di fatto impedendo lo scopo dell'opera.
Il saggio, infatti, ha come obiettivo quello di rendere edotti di un
fenomeno ricorrente, al di là di miti e leggende, affinché si abbia sempre
ben presente che certi fatti esistono e che traggono origine,
prevalentemente, da traumi giovanili che, associati a un'indubbia
predisposizione, posso diventare scatenanti di comportamenti illogici e
violenti. Insomma, non si può parlare di comuni delinquenti, visto che,
salvo rari casi, lo scopo di questi omicidi seriali non è l'arricchimento
attraverso l'azione delittuosa.
Il tutto, e non è poco, perché il volume conta 291 pagine, è riportato con
lo stile mai greve di Gordiano Lupi che sempre si è potuto apprezzare.
Si arriva così velocemente all'ultima pagina attraverso una piacevole
lettura che offre altresì il pregio di un'acquisizione di conoscenza in un
campo che costituisce florido supporto per gli autori di romanzi noir, in
cui spesso la fantasia è assai inferiore alla realtà descritta così bene
nell'opera in argomento.
Renzo Montagnoli
L'autore
Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Capo redattore de Il Foglio Letterario e
Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio. Collabora con Mystero e con
la Casa Editrice Profondo Rosso di Roma. Collabora con Contro Radio di
Firenze per recensioni sul cinema italiano anni Settanta. Pubblica
racconti per X Comics, Blue e Underground Press. Scrive soggetti e
sceneggiature per fumetti realizzati graficamente dal disegnatore Oscar
Celestini (pubblicati su X Comics, Blue e Underground Press). Ha
pubblicato: Lettere da Lontano (Tracce, 1998), Il mistero di Incrucijada
(Prospettiva, 2000), L'età d'oro (Il Foglio, 2001), Il giustiziere del
Malecón (Prospettiva, 2002), Le ultime lettere di Pilvio Tarasconi (Il
Foglio, 2002), Per conoscere Aldo Zelli (Il Foglio, 2002). Ha tradotto i
romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa
Alternativa, 2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003) e Vita
da jinetera (Il Foglio, 2005). I suoi lavori più recenti sono: Nero
Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica - conversazioni con un
santéro (Mursia, 2003), Cannibal - il cinema selvaggio di Ruggero Deodato
(Profondo Rosso, 2003), Un'isola a passo di son - viaggio nel mondo della
musica cubana (Bastogi, 2004), Quasi quasi faccio anch'io un corso di
scrittura (Stampa Alternativa, 2004 - due edizioni in un anno), Orrore,
erotismo e pornografia secondo Joe D'Amato (Profondo Rosso, 2004), Tomas
Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004), Le dive nude - vol.
1 - il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (Profondo Rosso, 2005),
Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005 - duemila copie vendute
nei primi tre mesi).
Renzo Montagnoli
Lughe de Chelu (e Jenna de Bentu) di
Giovanna Mulas - Editore Bastogi
Quello che colpisce immediatamente nella lettura di questo romanzo è lo
stile del tutto particolare di questa prolifica scrittrice sarda; è
evidente il certosino lavoro di ricerca lessicale con lo scopo di meglio
rendere la descrizione di certi paesaggi tipici della Sardegna e del suo
mare. Quest'ultimo, in particolare, riflette alcuni stati d'animo di
Giona, protagonista di una tenerissima storia familiare che,
improvvisamente, si trova a tu per tu con il male, con il dolore e con la
paura della morte.
E' una crescita, una maturazione quella della donna protagonista, che la
porterà dalla natia Nuoro fino a Roma, un viaggio che si rivelerà come una
lunga presa di coscienza del proprio essere.
Sconvolta da un evento di particolare violenza, Giona scoprirà dentro di
sé delle risorse che ignorava di avere e che la condurranno a riemergere
di nuovo da quel mare di intima sofferenza che l'aveva sommersa,
affermando l'amore per la vita ed i valori della famiglia.
Lughe de Chelu è l'energia che presiede a tutto, anche se Giona preferisce
chiamarla anima e l'autrice, non a caso, dedica l'opera alle sue luci del
cielo, ai suoi quattro figli, veri e propri astri che rappresentano la
continuità ideale di una vita.
Questa per sommi capi è l'essenza del romanzo, ma torno a ripetermi sullo
stile del tutto particolare, perfettamente funzionale alla vicenda, che
anzi viene ulteriormente impreziosita; ci sono poi pagine in cui le
descrizioni di ambienti, di paesaggi, ma anche di caratteri, assurgono al
livello di vera e propria poesia, riuscendo a indurre il lettore a un raro
ed efficacissimo coinvolgimento.
Inutile aggiungere che consiglio vivamente la lettura di questo romanzo
che, personalmente, giudico stupendo.
Renzo Montagnoli
L'autore
Giovanna Mulas è nata a Nuoro il 6 maggio 1969; scrittrice, poetessa,
pittrice, ha al suo attivo numerose pubblicazioni, fra le quali Passaggi
per l'anima (romanzo), Canticum presagum (poesie), Come le foglie
(poesie), La stanza degli specchi (romanzo), Il tempo di un estate
(romanzo). Vincitrice di ben 53 Primi Premi Internazionali, è candidata,
per l'Italia, al Nobel per la letteratura del corrente anno, dopo esserlo
stata nel 2003. Alla Fiera del libro di Roma, a dicembre, sarà presentato
il suo nuovo romanzo, Domo del Viento -cartas de amor all'essenza di
rosa-, il primo da lei scritto in italiano/sardo/spagnolo.
Renzo Montagnoli
Lettere contro la guerra di
Tiziano Terzani - Editore TEA
Il volume raccoglie alcune lettere, in parte inedite, in parte pubblicate
sul "Corriere della sera", successivamente al tragico evento dell'11
settembre, a quell'attentato alle Torri gemelle di New York che
prepotentemente ha fatto tornare in risalto i sempre latenti desideri di
risolvere i problemi con la guerra.
Qualcuno potrà considerare questi scritti come l'esile tentativo di un
convinto pacifista di trovare una soluzione impraticabile per addivenire a
un mondo di pace; personalmente, invece, ritengo che costituiscano un atto
di grande umanità contro la roboante retorica del più forte sul più
debole.
Scrive Terzani:
"Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono
passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia,
l'orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare
atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e
riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. E' il
momento di uscire allo scoperto…Il cammino è lungo e spesso ancora tutto
da inventare. Ma preferiamo quello dell'abbrutimento che ci sta dinnanzi?
O quello, più breve, della nostra estinzione?".
Utopia, idee nobili, ma campate per aria? No, l'uomo può tutto, purché lo
voglia, purché in un altro uomo cerchi i punti di contatto, e non solo
quelli di attrito, dimentichi che l'interesse personale, il guadagno non
sono le ricchezze della vita, che tendere la mano è in fondo più facile
che sferrare un pugno.
Impossibile tutto ciò? No, già c'è stato chi con la non violenza ha
dimostrato che la via è percorribile, e non mi riferisco tanto a Gesù
Cristo, quanto a una figura più recente, a un uomo la cui grandezza è
stata inversamente proporzionale alla sua statura, al mahatma Ghandi.
E secondo Terzani non è sufficiente comprendere il dramma del mondo
mussulmano nel confronto con la modernità, il ruolo dell'Islam come
ideologia contro la globalizzazione, la necessità dell'Occidente di
evitare una guerra di religione, ma occorre soprattutto capire,
convincersi che l'unica possibilità di uscire dall'odio, dalla
discriminazione e dal dolore è appunto solo la non-violenza.
Renzo Montagnoli
L'autore
Tiziano Terzani (1938-2004) è stato per una trentina d'anni corrispondente
del settimanale tedesco Der Spiegel dall'Asia e collaboratore, prima di
Repubblica, e poi del Corriere della Sera. Profondo conoscitore dell'Asia,
ha scritto su questo continente numerosi libri.
Tra le sue opere ricordiamo: Buonanotte signor Lenin, Pelle di leopardo,
La porta proibita, Un indovino mi disse, In Asia, Lettere contro la
guerra, Un altro giro di giostra e La fine è il mio inizio, l'ultima sua
opera prima della morte.
Renzo Montagnoli
Buonanotte signor Lenin di
Tiziano Terzani - Edizioni Tea
Tiziano Terzani parla, in questo suo bellissimo libro, della fine
dell'impero sovietico. Nell'agosto del 1991, infatti, mentre lo scrittore
si trovava in Siberia, sul fiume Amour, con una spedizione
sovietica-cinese, avvenne il famoso colpo di stato contro Gorbacev; decise
allora di intraprendere, da solo, un lungo viaggio fino a Mosca.
Il libro è il resoconto di questo percorso, attraverso la Siberia, l'Asia
Centrale e il Caucaso, toccando città mitiche quali Samarcanda, Bukkhara e
Taskent.
Nel saper narrare di paesaggi stupendi, quasi primordiali, Terzani ha
saputo cogliere con rara abilità ed efficacia lo sgomento per l'improvviso
cambiamento, il salto nell'ignoto come tanti all'epoca avvertirono.
L'abilità non è tanto quella del giornalista in cerca di scoop, quanto
quella di saper partecipare al lettore le sue sensazioni, le sue
impressioni, con quella pacatezza e imparzialità che gli sono sempre state
proprie.
E in più di una pagina emerge forte il suo alto senso di umanità, la
comprensione per il turbamento delle genti, l'angosciosa attesa di
risposte che forse non arriveranno mai.
Gli eventi della storia sono determinati da pochi, ma la realtà di questi
è vissuta da tutti. Così, accanto a speranze autonomistiche, a desideri di
una libertà vagheggiata e sconosciuta, si accompagnano i timori sia di
quelli che prima si foraggiavano del regine sovietico, sia dei tanti,
umili cittadini che, scardinati di colpo da un modus vivendi, temono per
il loro futuro.
E' un caleidoscopio di personaggi, dal più potente al più povero, che
anima le pagine, in un quadro d'insieme di rara bellezza.
Come suo solito, Terzani osserva, domanda e anche, a volte, esprime la sua
opinione di uomo che sa fare proprie le incertezze di un intero popolo.
Un libro che ritengo fondamentale per cercare di comprendere ciò che è
stato e perché tramontato il grande impero sovietico.
Renzo Montagnoli
L'autore
Tiziano Terzani (1938-2004) è stato per una trentina d'anni corrispondente
del settimanale tedesco Der Spiegel dall'Asia e collaboratore, prima di
Repubblica, e poi del Corriere della Sera. Profondo conoscitore dell'Asia,
ha scritto su questo continente numerosi libri, tradotti in diverse
lingue.
Tra le sue opere ricordiamo: Pelle di leopardo, La porta proibita, Un
indovino mi disse, In Asia, Lettere contro la guerra, Un altro giro di
giostra e La fine è il mio inizio, l'ultima sua opera prima della morte.
Renzo Montagnoli
Il tempo sospeso di
Pietro Barbera
Avevamo letto già qualche mese Il tempo sospeso, la prima silloge di
liriche che il poeta trapanese Pietro Barbera ha pubblicato a Palermo
(Edizioni Thule, Palermo 2003, prefazione da Salvatore Mugno) trovando
l'occasione di quella lettura non priva di un sicuro interesse. Adesso,
alla rilettura, riscopriamo i motivi che già ci avevano persuasi attorno
ad un dato essenziale, e cioè che Pietro Barbera ha indubbiamente il cuore
e la mente del vero e autentico poeta. In sostanza, ne possiede il
temperamento e la vocazione.
Per il fatto che egli abbia "scoperto" e praticato la scrittura in versi
dopo i quarant'anni (oggi ne conta quarantacinque), non si può perciò dire
che le varie coordinate della sua poetica (nucleo tematici , interessi del
sentire, sensibilità, forme del pensiero, e così via) e del modello
formale posto in atto (linguaggio, stile, struttura del verso, equilibrio
del dettato, ecc), siano quelle definitive, quelle cioè sulle quali il
poeta potrà stabilizzare i segni letterari di riconoscimento. Anzi, si
sente chiaramente nel libro che il poeta sta vivendo la prima stagione
della propria esperienza di scrittore, e che quindi assegna a questa
stagione il compito di avviare una ricerca dell'espressione, della forma e
dei temi, o meglio, delle sue narrazioni, sulla cifra variabile del puro
istinto creativo. È quindi chiaro che, quando le cose stanno così, la
verifica è il necessario compimento della ricerca. E come si sa, ci sono
in campo la verifica dell'autore e quella a carico della critica.
Noi crediamo che Pietro Barbera non debba attendersi - non è ancora il
tempo - che la critica s'appresti alle procedure della verifica per la
quale invece egli qualche altra prova dovrà ancora far maturare. Noi,
intanto, cogliamo di tale percorso la letterarietà come merito già
raggiunto felicemente, e la confrontiamo con favorevole risultano al
progetto di poetica già posto in itinere dal nostro valente autore.
Dicevamo dei nuclei tematici, e ne segnaliamo alcuni tra quelli di più
felice compiutezza espressiva. Uno di questi riguarda il senso della
cosmicità, della sideralità, dell'infinito, con cui il poeta sintonizza il
proprio respiro. E superando ogni sgomento per la fragilità umana egli
stesso si pone come partecipe del respiro universale. La stessa sensazione
proviamo leggendo le poesie del cosmo di Giovanni Pascoli.
Vi è inoltre, nei versi di Barbera, ad aleggiare il segno di quel mistero
del tempo che scorre e consuma la nostra esistenza terrena, non per
annientarne il valore, ma per restituirci al fluire degli spazi infiniti,
noi stessi poi aria e luce nel mondo. E per converso, il nostro autore
recupera la poetica commossa delle cose quotidiane e minute, riproposte
con attente e ineccepibili descrizioni quasi da ècole du regard . E non
può essere, infine, trascurato l'amore del poeta per la sua Sicilia,
ricordando in modo particolare i versi dedicati a Mozia, a Erice o a
Segesta coniugando i passaggi a lui cari ad una sorta di classicità
dell'oggi.
Va detto che tutta l'umanità di Pietro Barbera affiora in quelle liriche
dove sono gli effetti familiari, il mondo intimo del cuore, che trovano
nel canto la loro rappresentazione.
Come si vede, un mondo poetico quello di Barbera ricco di motivi e bene
articolato. Diciamo, in conclusione, il Il tempo sospeso è un buon libro
di buona poesia, ma invece la apre verso quegli sviluppi che attendiamo.
Palermo, 14.09.2004
Salvatore Di Marco
Nota a "Dentro
al fuoco" di Caterina
Trombetti, Ed. Passigli, Firenze 2005 Prefazione di Mario Luzi
Il 22 febbraio u.s, Leandro Piantini, poeta e critico letterario, ha
presentato nella Sala degli Affreschi della Regione Toscana, "Dentro al
Fuoco" di Caterina Trombetti, notissima poeta fiorentina. Il libro è stato
accolto dal numerosissimo pubblico costituito in larga parte da pittori,
scrittori, altri poeti, con entusiasmo ed emozione. Quell'entusiasmo ed
emozione che Caterina Trombetti sprigiona e comunica senza riserve.
La sua poesia nasce dal profondo, si affina con un sapiente labor limae e
resta orma dell'anima "vena di acqua sorgiva, estranea ai comuni artifici"
( da "Un canto perenne". Fiori sulla muraglia. Passigli 2000)
Le liriche "semplici e dirette, desunte con lineare emozione
dall'esistenza e dai pensieri sull'esistenza" ( dalla Prefazione di Mario
Luzi ) raggiungono i lettori come interpreti del loro sentire.
Ed in realtà , come la stessa poeta ha ribadito durante l'incontro, ella
attribuisce alla poesia oltre alla valenza letteraria, quella sociale, di
cui - ha sottolineato - è sempre più convinta.
Già, ne "La tua voce per me" ( da ' Il pesce nero. Lalli 1990 ), troviamo
versi emblematici:
"Sterile, e un grande
bisogno d'espressione.
Sterile e un universo
che mi scoppia dentro...
Si placa l'uomo per
un momento, se trova
in altri espressione di sé.
Sente vicino
chi lo ha preceduto,
sente compagno
quello sconosciuto
che tanto bene ha saputo dire".
Caterina, donna provata più volte da quel dolore che rende sepolti vivi,
senza scampo, come sotto una pietra tombale, ha esperito nella carne
attimi di quiete , trovando "in altri espressione di sé". Da questo
incontro pacificante è scaturito il bisogno di comunicare la sua
com-passione, il suo soffrire con gli altri , il dare voce a chi non ce
l'ha.
Si è anche allargata coraggiosamente a portare allo scoperto sensazione
più intime quali l'amore, il rapporto con la natura e il Creatore.
Il titolo di quest'ultima raccolta è sintesi completa e matura del suo
convincimento: Caterina Trombetti condivide il Fuoco ( inteso come
passione vivificante o distruttiva) con gli uomini del suo tempo. Si apre
a considerazioni o domande sul senso della vita, "mantenendo sempre
semplicità come vocazione ed essenza, e semplicità come ideale stilistico
da salvaguardare "( dalla Prefazione di Mario Luzi a "Fiori sulla
muraglia").
"Evidentemente la sua lirica così aperta e diretta riaccende quel tanto di
sogno o di rimpianto che dorme nell'uomo avvilito e banalizzato dei nostri
giorni." ( dalla Prefazione a "Dentro al fuoco" di Mario Luzi ). Da qui i
larghi consensi, anche a livello internazionale.
Mi piace, infine, far conoscere, a titolo esemplificativo, alcune liriche
in cui gustare la linfa della più significativa tradizione poetica.
Il salto
Vorrei lasciare l'essenza mia nell'aria,
almeno un segno buono del passaggio.
Forse questo mi spinge,
questo il perché del trafelato affanno
questo mi prende
nell'occorrenza di essere per gli altri.
Mi sono data in pasto,
un bocconcino, un gesto,
una parola, un tocco della mano.
Intensa la premura, anche nei cedimenti
e senza mai riposo.
Ma questo, sento, è il valore grande,
questo confondersi nel tutto.
Po, forse, resterò nei cuori
dopo l'estremo salto.
Colloquio d'amore
Che pensa un bambino incantato
a guardare l'onda
che bagna i suoi piedi?
Questo andare e venire all'infinito
Lo avvince
ed estasiato così
osserva la pianta che affonda,
sente il suo corpo baciato dal mare.
Che pensa in questo contatto con l'onda
che parla
e spumosa
rotola poi
sulla sabbia?
Forse nasce un colloquio d'amore
fra il bambino
e l'acqua
che lo riconosce.
Si rinnova quel mito originario
del primo incontro
fra l'uomo e il suo mare.
Crogiolo
Canti d'Africa e suoni d'Oriente
intrecciati in questa terra
che da sempre chiama.
Dall'alba dei tempi
Vanno e vengono
gli uomini,
lasciano talvolta orme leggere,
si tessono fra loro nell'ordito.
Ecco, è tempo di nuove migrazioni
E ciò che accade ora
già era accaduto.
E' colto da stupore,
lui
nella sua poca memoria,
non sente dentro di sé
incarnate le tracce
dell'uomo che vorrebbe allontanare.
Potesse questa terra essere culla
per le tante voci
che dicono le gioie e i dolori.
Che dicono il diritto all'esistenza,
a stare dentro il cuore
di Europa la dea
benevola e violenta,
tornata dall'Olimpo sulla terra
a generare figli,
ad essere grande nella sua accoglienza.
O desiderio omicida
sradicare da sé la madre antica
che vive in tutti
nello stesso modo.
Il carro scorre e la fiaba si snoda,
viene da spazi e tempi sconosciuti.
E' l'incanto del luogo originario,
dell'universo che portiamo dentro.
Sembra parli di uno soltanto
e invece dice
che noi tutti siamo una voce sola.
Lucia Visconti Cicchino
TEOREMA
di Pier Paolo Pasolini: ovvero la verità
sull'amore.
Teorema è innanzitutto un film (ma anche romanzo)
che parla d'amore, l'amore quello con la "A" maiuscola.
Si dice che l'amore sia un dono degli Dei, almeno lo si pensava una volta
quando negli Dei si credeva e si manifesta sotto molteplici forme,
rimanendo comunque una fonte magica che non appartiene agli umani, ma
piuttosto donata agli uomini.
Il Teorema è questo: Ecco l'Amore, un lampo improvviso, un fulmine al ciel
sereno che viene a sconvolgere la tranquille e beate coscienze di tutti i
componenti di un'agiata famiglia settentrionale e borghese. Dunque, quali
sono le possibili o inevitabili conseguenze che può causare nell'individuo
umano questo misterioso e folle sentimento?
Dunque teorema è un vero e proprio enunciato matematico con tutti suoi
relativi corollari che vengono presentati con la stessa esattezza,
razionalità e decisione con cui si dimostra un'argomentazione
logico-matematica.
Il teorema è dunque che l'Amore è un fuoco sacro che brucia le quiete
esistenze, logora coscienze, dona luce ma può anche accecare, in ogni modo
rappresenta un evento che cambia e sconvolge la vita di chi lo riceve, o
di chi lo cerca disperatamente.
Perché l'amore di cui parla Pasolini non è un amore qualunque, bacini e
carezze, l'amore del grande poeta è Dionisio, il Dio di ineguagliabile
bellezza che porta alla completa ribellione verso se stessi, verso la
società, verso tutto il malsano ordine civile che ci circonda.
L'amore del grande poeta è L'Eros, l'amore vivo, carnale che si dona a
tutti, il perfetto contrario di quello che tutto la scolastica cattolica
ci ha portato a identificare con la spiritualità dell'amore platonico.
L'amore, tramite l'Eros è un fluido magico attraverso cui Geova, la voce
di Dio, parla all'uomo: è una voce sconvolgente, così come è sconvolgente
la tragedia che si cela dietro la bellezza di Dionisio, ma per Pasolini
sembra essere l'unica via di salvezza al nostro mondo moderno, allo
sviluppo neocapitalista, a come l'uomo è stato antropologicamente mutato
dal nuovo "modo di produzione". Dunque il teorema-amore-apportatore di
verità è un rischio che si deve correre ma è anche l'unica speranza che
l'autore ci pone ai vari corollari delle conseguenze dell'amore:
E' impressionante guardando a ritroso come tutta l'opera del poeta
friulano sia pervasa da un immenso sentimento sacro dell'amore e della
vita, proprio lui così scandaloso, così dissacratorio, così realista ed
eretico, col senno del poi dimostra di essere molto più sacro e religioso
di chi per tutta la vita (di quanti! Non uno solo!) lo accusò di blasfemie
e vilipendi vari e con tali presupposti trentatre volte lo fece
processare.
Si perché bisogna dirlo: Pasolini fu un uomo "perseguitato" in ogni dove e
in ogni come: ogni opera ordiva lo scandalo dei pedanti, e ad ogni
indignazione lui rispondeva aumentando il tiro, perfezionando la tecnica e
il messaggio tale da rendere ridicole le motivazioni per cui altri lo
oltraggiavano o perseguitavano.
Pasolini fu un profeta e come ogni profeta non è inviso più che nella sua
stessa patria: mai come in questo film ha parlato chiaramente di amore e
delle verità sull'amore.
Dunque una volta infuocato dall'amore eccoci ai corollari:
1-Corollario Odetta: Rimarrai immobile, pietrificato dall'imponenza del
messaggio d'amore nato dentro al cuore, lo sofferenza interiore, quanto
prima lo era la gioia sarà un macigno che ti terrà legato/a al letto in
un'immobilità asfissiante, in un autismo irreversibile e non
diagnosticabile per la scienza medica.
Questo primo corollario impone una seria riflessione sull'interpretazione
di alcune malattie ritenute ancora misteriose (malattie nervose come
paralisi, parkinsonismi, autismi, epilessie vanno dunque inquadrate in
un'assenza di amore o in un trauma da amore? Come non pensare al concetto
di "satan" che in ebraico rappresenta i lacci le gabbie che legano l'uomo
e non lo lasciano libero).
E come non pensare al Vangelo di Matteo (altra grande passione di
Pasolini) li dove Gesù annuncia "poi ci saran coloro che si faranno
eunuchi da sé in vista del Regno" come se l'amore imponesse un a via tanto
ardua da percorre che pochi avranno il coraggio di imboccarla..e anche
qui: molti saranno i chiamati e pochi gli eletti.
2-Corollario Emilia: Dopo esser stata/o salvato/a da un prossimo suicidio
dovuto alla illusione di non potere avere e vivere quell'amore tanto
sognato e desiderato, una volta invece vissutolo ti offrirai in olocausto
per denunciare la distruzione del mondo e della natura apportata dalla
civiltà dei consumi, ti farai volontariamente macellare da questa orrenda
macchina della distruzione umana prodotta su scala industriale come una
catena di montaggio, PURCHE' LA TUA MORTE SIA IN VISTA, NON
SPRECATA, LI TESA A DENUNCIARE LO SCEMPIO PAESAGGISTICO LA MUTAZIONE
GENETICA DEGLI UMANI, MA SOPRATTUTTO PURCHE' IL TUO OLOCAUSTO GENERI UNA
FONTE DA CUI SI POTRANNO ABBEVERARE ALTRI CHE AVRAN SETE DI CONOSCENZA.
Questo è a mio avviso il tema più centrale e commovente del film perché
rappresenta Pasolini stesso, la sua tragedia, il suo sacrificio umano,
nella sua amata amica Laura Betti, oltrettutto accompagnato dalla
sepoltura di sua madre Susanna che ancora una volta come nel Vangelo
piange la prematura morte di un altro figlio, un corvo a cui piace parlare
troppo di antiche e nuove verità e a cui verrà schiacciato il becco una
volta per tutte in una notte di novembre all'Idroscalo di Ostia.
3-Corollario Lucia: Tradirai pervertirai e ti sdoppierai nel non
riconoscere il tuo amato Dio, il falso dio-cattolico, e andrai alla
ricerca di un amore selvaggio, forse umiliante ma sincero, dopo aver
appreso la banalità e la falsità che si nasconde dietro la codificazione e
l'istituzionalizzazione del più sacro dei sentimenti, ma la domenica come
il buon clero vuole sottacendo a tutte queste riconosciute verità,
continuerai a recitare falsa il tuo rosario in Chiesa.
4-Corollario Pietro: Diventerai un artista e nell'arte tua propria
cercherai una valvola di sfogo a tutte le emozioni e rivelazioni che
l'amore ha apportato dentro di te, con il rischio di perderti in un
nauseante astrattismo su cui tu stesso piscerai sopra chiamandoti stronzo..è
dunque un appello ad essere veri artisti, a nuove tecniche, nuovi colori,
ma alla rinascita di un "Bello".
5-Corollario Paolo: E un corollario fortissimo poiché sembra dire: se vuoi
esser perfetto vendi tutto ciò che hai dallo ai poveri e seguimi. Poi
nell'immagine del padrone di fabbrica che si spoglia dei suoi vestiti c'è
un chiaro e lampante richiamo all'esperienza di san Francesco che si
riallaccia vistosamente col tema principale con cui si apre il film:
Esodo, 13, 18, "E Dio piegò il popolo per la via del deserto", L'Etna
luogo in cui Il Gesù di Pasolini incontra il Diavolo e lo vince, lo stesso
in cui il grande imprenditore industriale Paolo grida il suo urlo, che è
poi lo stesso del poeta, un urlo selvaggio, disumano, bestiale che non si
sa neanche cosa voglia dire, ma destinato comunque a "durare oltre ogni
possibile fine". Il corollario è dunque: Metterai in discussione tutta la
tua vita finora vissuta, sarai solo e perso come nel deserto, ti
spoglierai dei tuoi stupidi, inutili, superflui e insensati averi e li
donerai a chi più di te li meritava. Il tuo urlo nel deserto cadrà nel
vuoto anche in mezzo a mille persone perché un urlo di vero amore non può
esser ascoltato da orecchie che non sanno più ascoltare (come vaccinate
dal veleno-amore così come concepito dalla classe medio-borghese) o occhi
che non sanno più vedere.
Dunque un teorema con al centro l'Amore e intorno un pentacolo di
corollari. Il suo non è un giudizio morale sull'amore, proprio come
Fellini amava dire..l'autore non vuole dimostrare ma semplicemente,
mostrare. La molteplicità dell'amore sacro e profano. Alla Bocca di Rosa
di De Andrè: un'amore appassionato e disinteressato che arriva e va via
quando vuole lui, un amore completamente libero e amorale, eterosessuale,
omossessuale, con una ragazzina, una vecchia o un uomo poco conta!
L'importante è che sia vero amore.ed in una società in cui si ghettizzano
e pregiudicano ancora le forme di amore diverse dall'ordinario si capisce
bene perché le opere o la vita stessa del poeta siano state malintese e
non apprezzate, forse il Nostro grande autore avrebbe dovuto vivere in
Francia, in Spagna o addirittura nelle sperdute terre arabe o africane.
La cosa che mi appassiona di Pasolini è il suo gusto, la sua maestria a
distruggere e decomporre a regola d'arte gli stereotipi della vita
borghese che egli stesso considerava "un vero e proprio cancro, tumore
sociale da estirpare" così come apprendiamo dai suoi Scritti Corsari e
dalle Lettere Luterane, il suo progredire di capolavoro in capolavoro con
una febbricitanza tesa a liberarsi della propria italianità, del proprio
esser borghese...un arco teso verso un nuovo se stesso, di continuo.
Pasolini distrugge, annienta anche i luoghi comuni dell'amore nostrano,
donandogli completa libertà che poi diventerà totale e altissima
responsabilità: in questo preciso e particolare aspetto il poeta stesso si
mostra in perfetta linea con la vera idea di superuomo che Nietzsche
dimostra di avere nello Zarathustra e nell'Anticristo, il nuovo uomo,
libero, tragicamente libero e che dopo aver ucciso Dio, deve ripartorirlo
da se stesso con una lunga e travagliata gestazione.
A mio avviso il film non mostra una preferenza per le reazioni dei singoli
all'amore, poichè nel bene e nel male anche la vita dell'autore sembra
ripetere le stesse tappe:
1- Se notiamo le foto, le immagini, i filmati, le pose e i movimenti di
Pier Paolo notiamo spesso il volto e il copro di un uomo bello, virile ma
delicato, robusto ma anche un non so che di lacerato, di irrigidito,
bloccato..ed in ciò vi è Odetta.
2- Pasolini come Emilia si è offerto anima e copro fino alla morte per
denunciare l'avvento dell'orrore post-umano della mercificazione e
alienazione totale dell'uomo a cui noi posteri assistiamo sbigottiti come
di fronte alla parole di un profeta che ha prefigurato anche con la forza
delle immagini il nostro futuro (Lo stesso che fece Dostoevskij con I
Demoni a proposito di animi incontenibili alla guida di regimi totalitari
del novecento).
3-Andò con la mente e con il corpo alla ricerca di amori pericolosi, nel
sottosuolo della malavita romana, rapporti comunque non codificati o
accettati dalla morale medio-borghese.come Lucia.
4-Diviene un artista multiforme ed eclettico..come pietro.
5-Ha urlato contro l'ingiustizia, il Potere, sempre in onore della verità,
fino al suo ultimo giorno di vita, ma il suo grido è destinato a durare
per i secoli a venire, poichè proteso all'immortalità dell'eterno
messaggio dell'Amore.
Non vi è nel '900 italiano un poeta un autore un artista che abbia
espresso con la stessa potenza e libertà il messaggio di amore di questo
lasciatoci in eredità da Pasolini.
L'esistenza di questi rari uomini devono farci riflettere, così come deve
farci riflettere il segreto che si è portato appresso dentro la sua tomba,
un mistero ancora nascosto che ci ha negato la testimonianza e la presenza
di uno dei più grandi artisti di sempre, soprattutto in tempi così oscuri,
imprecisi, disorientanti, di colpevole revisionismo storico e in cui la
sua voce sarebbe stata ancora un forte timone, una sicura ancora di
salvezza.
Elio De Luca
Agnese
di Giovanni Buzi - Edizioni Tabula
Fati
L'approccio con questo romanzo, costituito dalla copertina, offre
già un'idea di quello che sarà il suo contenuto. Sullo sfondo di una
vecchia casa si stagliano le immagini di una giovane signora sorridente
che stringe a sé un bimbo vestito già da ometto e con lo sguardo che
esprime sorpresa, come se il lampo del fotografo lo avesse colto
all'improvviso, fermando in tal modo il trascorrere del tempo all'epoca
felice della gioventù. Il fanciullo in questione è lo stesso autore e la
dama accanto è proprio Agnese, quella mamma che, nonostante il passare
degli anni, resta sempre nei nostri ricordi più belli, mai invecchiata, ma
come la si vedeva quando si pendeva dalle sue labbra, quando ci si
rifugiava fra le sue braccia protettrici.
Agnese non è però solo il romanzo dei ricordi di un'infanzia, ma anche una
pregevole ricostruzione di un'epoca, focalizzata nelle immagini di gite
fuori porta con le prime utilitarie, di donne prosperose, pregne di una
femminilità familiare e non ancora in lizza con gli uomini nella corsa ai
primati di una società che sta crescendo e che diverrà dimentica del suo
più genuino e tradizionale passato.
Giovanni ha saputo conservare dentro di sé quelle osservazioni tipiche dei
bambini e, da adulto, riesumarle per costruire, grazie a un pregevole
collage, un quadro d'insieme non stereotipato, ma naturale, per non
definire quasi spontaneo.
E con sapienza sa alternare pagine gioiose ad altre ben più tristi, in un
filo conduttore che mai si spezza, perché sempre latente c'è il timore di
perdere la madre, il che poi avverrà effettivamente, troncando bruscamente
la parentesi della fanciullezza per proiettarlo, con la morte della
persona cara, nella realtà degli adulti.
Lo stile è di una sobrietà esemplare, mai greve, e presenta dei veri e
propri tocchi di grazia, con pagine che rasentano la poesia, tali sono
quelle dove sono espressi gli stati d'animo.
Leggo, per passione, tanti romanzi; di questi, non pochi esauriscono il
loro interesse non appena chiusa l'ultima pagina, mentre altri mi accorgo
di averli dentro di me, compagni fedeli della mia vita e "Agnese" è fra
questi.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Giovanni Buzi é nato a Viganello, in provincia di Viterbo, nel 1961. E'
diplomato all'Accademia di Belle Arti di Roma, nonché laureato in Storia
dell'arte contemporanea presso l'Università "La Sapienza". Dal 1998
insegna lingua e cultura italiana al Parlamento Europeo di Bruxelles e dal
2005 è docente di storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle
Arti, sempre di Bruxelles. Artista eclettico, è pittore di fama
internazionale, nonché scrittore vincitore di numerosi premi letterari,
anche internazionali.
Tra le sue numerose pubblicazioni: Manuale di storia dell'arte (Sovera
Multimedia, 1993), il romanzo Faemines (Libreria Croce, Roma 1999), il
romanzo Il giardino dei principi (Massari, Bolsena 2000), il saggio
William Turner in Etruria (Massari, Bolsena 2004), la raccolta di novelle
Fluorescenze (Il Filo, Viterbo 2004), la raccolta di novelle e acquerelli
Sesso, orrore e fantasia (Massari, Bolsena 2005). Suoi racconti sono
presenti in diverse raccolte antologiche; è, inoltre, apprezzato poeta,
tanto che si è aggiudicato il Premio Internazione di Poesia "Coluccio
Salutati" 2004.
Da ultimo, ha vinto l'edizione 2005 del concorso "Profondo Giallo" con la
novella "La Collana di Perle Celesti" che sarà prossimamente pubblicata
nella collana il "Giallo Mondadori".
Renzo
Montagnoli
“Dicono di noi. Il Belpaese nella stampa estera”
di Davide Romano
Palermo, 3/02/2006
- Si sa che la stampa estera, che è poi lo specchio fedele del comune
sentire dei Paesi di riferimento, ha avuto spesso da ridire su certe
inveterate abitudini degli italiani, come, per esempio, la mancanza di
puntualità, il poco rispetto per le istituzioni, una certa superficialità
nella gestione della cosa pubblica, e quel modo un po’ sbarazzino nel
tenere fede agli impegni, soprattutto quelli di carattere internazionale.
E pure ammirandone la bellezza dei monumenti e l’incanto dei paesaggi,
nella maggioranza dei casi questi osservatori non hanno mai mancato di
rimarcare la propria difficoltà a considerare l’Italia come un possibile
luogo di residenza per un tempo superiore a quello di una vacanza.
Certo la mentalità incide molto sul giudizio, ma è fuor di dubbio che noi
stessi, al di là di ogni ragionevole spirito campanilistico, e pur
considerando che anche altrove sono presenti gravi e seri problemi al pari
del nostro Paese, abbiamo spesso motivo di ritenerci insoddisfatti della
vita che conduciamo. Siamo però coscienti, almeno quelli come noi che
abbiamo occhi per vedere ed orecchie per ascoltare, che se le istituzioni
non funzionano come dovrebbero, se i servizi peccano sovente di una buona
dose di impreparazione o peggio di inefficenza, causando non di rado
ferite profonde agli utenti come nel caso della sanità, la colpa va
equamente divisa con i cittadini che non hanno il coraggio di ribellarsi e
di pretendere una migliore qualità della vita.
È, questo, il filo conduttore di un agile volumetto (Davide Romano, Dicono
di noi. Il Belpaese nella stampa estera, Presentazione di Rosalinda
Camarda, Prefazione di Giuseppe Apprendi, La Zisa, pp. 104, E. 10,00) che
raccoglie alcune interviste rilasciate all’autore da alcuni giornalisti
stranieri che per vari motivi sono venuti nel nostro Paese, e talvolta
anche in Sicilia, negli ultimi anni. Si tratta, per lo più, di giornalisti
moderati, talora accreditati preso la Santa Sede, come: Pauline Valkenet,
olandese, corrispondente della rete televisiva “RTL Nieuws” e del
quotidiano “Truw”; Mathilde Schwabeneder volto assai noto dell’emittente
austriaca “Osterreichischer rudfunk”; Anne Le Nir, francese, autrice di
numerosi e apprezzati servizi per “Radio France International” e per il
giornale cattolico “La Croix”; l’italo-americana Costanza Barone del
canale televisivo “CBS-News”; Aleksandra Bajka, vaticanista della radio
polacca “RMF”; l’altoatesina Doris Ladstaetter; l’olandese Ewout Kieckens;
e Sebastian Cresswell-Turner, autorevole firma del giornale conservatore
inglese “Daily Telegraph”.
Taluno di loro ha il proprio appunto da fare, – ma senza acrimonia, anzi
con affetto e amicizia –, spesso dovuto alla propria cultura o allo stile
di vita abituale, ma tutti sono concordi nel riconoscere che il nostro
Belpaese negli ultimi anni, in quella che noi genericamente potremmo
definire l’età di Berlusconi, è notevolemente peggiorato come immagine di
sé nel contesto internazionale. Anche l’attuale opposizione di
centro-sinistra si è lasciata purtroppo imbastardire dall’andazzo
generale. Non è riuscita, tranne qualche rara eccezione, ad offrire un
volto dell’Italia nobile e serio. Del resto, basta guardare la nostra
televisione, quella pubblica (non tutta, per fortuna) e quella privata
(con rarissime, lodevoli eccezioni), come giustamente è stato osservato,
per avere un’idea della volgarità e della ciarlataneria che ci circonda.
E, sinceramente, ci fa male il cuore se pensiamo che per secoli questa
nostra terra ha dato al mondo uomini come Dante Alighieri, Michelangelo
Buonarroti, Giuseppe Verdi, Galileo Galilei, Leonardo da Vinci, Pier Paolo
Pasolini, Luchino Visconti, Federico Fellini, Leonardo Sciascia, Renato
Guttuso, o come Giuseppe Mazzini, Camillo Benso di Cavour, o, più
recentemente, Antonio Gramsci, Alcide De Gasperi ed Enrico Berlinguer.
Quell’epoca forse è finita. Oggi ci dobbiamo sorbire i protagonisti del
“Grande Fratello” o della famigerata “Isola dei famosi”, i tanti
giornalisti che vendono il proprio onore per lauti compensi, certi
spocchiosi intellettuali (almeno tali considerati, secondo aberranti
logiche di mercato) che contrabbandano per cultura miserabili interessi di
bottega, o uomini politici che starebbero meglio nel museo degli orrori
per non parlare di quelli che sarebbe meglio confinare nelle patrie
galere.
Proprio sul versante della legalità l’Italia manifesta crepe profonde, che
negli ultimi tempi si sono maggiormente accentuate. Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino, e i tanti come loro che hanno pagato con la vita per
dare un senso al bisogno di giustizia e di onestà della parte migliore del
nostro Paese, che allora amava far sentire la propria voce e che adesso
silenziosa è stata o si è messa all’angolo, sono un ricordo lontano. Non è
forse la caccia al magistrato indipendente e deciso lo sport preferito di
numerosi e ben individuabili gruppi dirigenti nazionali? E che dire di
quei milioni di nostri connazionali che credono veramente che la libertà
sia sinonimo di impunità? O che la democrazia sia una merce di cui si può
fare a meno, che si può tranquillamente delegare a chi ci fa balenare
davanti agli occhi la conquista a buon mercato di sogni impossibili?
Non è un caso, dunque, che l’Italia si trovi oggi negli ultimi posti delle
classifiche mondiali in ciò che è positivo, e nei primi posti in ciò che è
negativo. Il guaio peggiore, però, è che i commenti salaci dei nostri
visitatori non riescono più a toccarci. Ci siamo messi in un tunnel, che
probabilmente ci toccherà percorre fino in fondo, prima di accorgerci del
rischio a cui stiamo andando incontro.
Quel giorno il libro di Davide Romano sarà ripescato dall’oblio, e
qualcuno, bontà sua, ci verrà a dire che un giorno, tempo addietro,
qualcuno, vedendo giusto e in anticipo, ci aveva ammonito, col sorriso
sulle labbra. Speriamo, fortemente speriamo, che non sarà troppo tardi per
riprendere la giusta via.
Maurizio Rizza
Il bambino perduto di
Marghanita Laski - Edizioni nottetempo
Alla vigilia della seconda guerra mondiale Hillary, un poeta e ufficiale
inglese, conosce e ama a Parigi Lisa, una profuga ebrea polacca, i cui
genitori sono stati uccisi in Russia nel 1917. Si sposano e hanno un bimbo
che il padre vede solo per qualche ora il giorno prima che la Francia
venga invasa.
Hillary e Lisa, nella convinzione che il paese riuscirà a opporsi al
nemico, si dividono: lui va in Inghilterra a compiere il suo dovere di
militare, lei e il piccolo restano a Parigi.
I fatti, come noto, non andranno così.
Hillary viene a sapere da un amico francese che Lisa, agente della
resistenza, è stata uccisa e che prima di morire ha affidato il bambino a
Jeanne, moglie appunto di questo amico. Jeanne, prima di essere arrestata
(milita anche lei nella resistenza) affida il piccolo a un prete cattolico
e poi non si sa più nulla.
Terminata la guerra, Hillary ritorna a Parigi, perché Pierre, l'amico
francese, gli ha fatto sapere che forse ci sono delle tracce per poter
ritrovare il bambino.
Le ricerche, in una Francia postbellica descritta mirabilmente, portano il
padre in un misero orfanotrofio nel nord del paese, dove esiste una
creatura che potrebbe essere suo figlio.
Già, ma come riconoscerlo? Il dramma interiore di Hillary,
nell'incertezza, nel travaglio dell'anima, nonché la pietà dell'adulto
verso l'innocenza, sono delle pagine di una bellezza unica. Il romanzo,
del resto, è scritto in punta di penna, con un rispetto per i sentimenti e
gli avvenimenti che lo pone al di fuori di certe ricostruzioni di maniera.
I personaggi sono tutti ben delineati, con un affetto tenero, ma garbato;
indimenticabile è poi la figura del prete cattolico che salva i bambini
ebrei nascondendoli nella cesta della biancheria della sua lavandaia.
Un romanzo ricco di sentimenti e di emozioni così difficili da trovare nei
testi della nostra epoca.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Marghanita Laski nasce a Manchester nel 1915 e muore nel 1988. Per tutta
la vita ha scritto su giornali e riviste; ha pubblicato, inoltre, saggi
letterari, racconti e romanzi, fra i quali, il più noto, è appunto "Il
bambino perduto".
Renzo
Montagnoli
Vita del gatto Romeo detto anche Meo
di Angelo Mundula -Spirali -
2005 - Milano
Esce per le edizioni Spirali la nuova raccolta poetica di Angelo Mundula
Vita del gatto Romeo detto anche Meo. Che Angelo Mundula, "poeta
serio, solitario, appartato…", come indica la quarta di copertina, non
intendesse parlare soltanto del proprio gatto era fuor di dubbio per chi
ne conosce, almeno in parte, l'opera e dunque l'uomo e la sua etica. E del
resto, si sa: alla poesia non si addicono limitazioni tematiche, e quando
poi si parla di gatti… scopriamo che un numero ragguardevole di poeti,
narratori e uomini d'ingegno si sono cimentati sul tema, a cominciare da
Torquato Tasso, Leonardo Da Vinci, Charles Baudelaire, padre della poesia
moderna.
Per l'autore, nato e residente a Sassari, si tratta del decimo libro di
poesie, dopo Il colore della verità (1969), Un volo di farfalla
(1973), Dal tempo all'eterno (1979), Ma dicendo Fiorenza
(1982), Picasso fortemente mi ama (1987), Il vuoto e il
desiderio (1990), Per mare (1993), con Giorgio Bàrberi
Squarotti e Giuliano Gramigna, La quarta triade (2000), e
Americhe infinite (2001); a cui si aggiungono due libri di prosa:
Tra letteratura e fede (1998) e L'altra Sardegna (2003); ha
collaborato con i maggiori quotidiani e le più qualificate riviste
nazionali e, da vent'anni, continua a collaborare con le pagine letterarie
e culturali dell'Osservatore Romano.
Poiché sappiamo che nulla è casuale nelle opere di Angelo Mundula, ecco,
allora, che aprendo e leggendo questo bel libro dall'accurata veste
grafica ritorniamo fanciulli, ci improvvisiamo lettori casuali e, non di
meno, compulsatori prevenuti, allertati dalle sue precedenti opere. Da
ogni prospettiva restando, però, a lettura ultimata, soddisfatti.
Ma chi è il gatto Romeo protagonista di questa silloge? Romeo, detto anche
Meo, "…era un comunissimo gatto soriano", ci spiega ancora la quarta di
copertina, infilatosi poco a poco nella vita del poeta e che "…di poesia
in poesia, di verso in verso, è andato acquistando una sua sempre più
spiccata e originale "personalità". E come per noi umani c'è un prima e un
dopo (di noi), un inizio e una fine, un incedere di giorni coi suoi
eventi, i suoi laghi di luce e d'ombra - fino alla discesa ineluttabile e
all'assenza - così del gatto Romeo conosciamo il suo predecessore Paquito,
e il suo ingresso nell'intimità della casa, stravolgendo abitudini e
weltanschauung: Siamo nati per l'eterno e per grandi imprese/ma basta
un niente appena il fiato di un animale/a mutare per noi il senso
dell'universo. E la vita di Romeo si fa metafora, paradigma, elemento
di confronto: Solitario, serio, appartato/contrario a ogni
presenzialismo/un gatto - devo pur dirlo - che/se non fosse un gatto
sarebbe/quell'altro che ne fa il ritratto ("Ritratto"). Più che col
padrone di casa - un qualunque padrone di casa - è dunque con l'artista
che si scoprono nel tempo fili sottilissimi di affinità, di comunanza:
Della grandiosa famiglia/ha ereditato le pose solenni/e il sublime
distacco ("Sua maestà il gatto"), Di sé non può (forse, non vuole)
promettere niente/né fedeltà né gratitudine sebbene/talvolta ne dia
qualche segno./Nell'apparente serenità della mente/c'è sempre l'idea della
fuga (dal tutto? dal niente/che gli sta intorno? che lui solo vede o non
vede?) (Il poeta Romeo), Scappa, gatto, da queste aride contrade/da
queste zolle acide./Lascia ciò che dev'essere lasciato./I tuoi occhi
acuti, gatto,/non vedono le fiamme/che si levano da ogni parte?/I tuoi
occhi che bucano/la tenebra non vedono/quanto male imperversa su/quest'arida
terra sempre più/inabitabile? sempre più inospitale? (La brughiera).
Giovanni Nuscis
Aycelin Il Templare di
Roberto Querzola - Editore Aliberti
Il romanzo storico da noi non è frequente ed è un peccato perché è un modo
per conoscere fatti ed epoche in modo piacevole e coinvolgente.
Quando ho terminato la lettura di Aycelin Il Templare mi è venuto
istintivo un accostamento con il celebre Il nome della Rosa di Umberto
Eco, perché in entrambi i romanzi è possibile rilevare un'accurata
ricostruzione delle epoche a cui si riferiscono, con la creazione mirabile
delle atmosfere, quasi palpabili.
Querzola ha svolto un accurato lavoro di ricerca, con attenzione e senza
lasciarsi sfuggire nulla, tanto che la fine dell'Ordine dei Templari, pur
nella fantasia della trama narrata, è descritta esattamente nei modi e nei
motivi con i quali è avvenuta. Se fosse stato un semplice saggio storico
non è per niente improbabile che ne sarebbe scaturita un'opera puramente
didattica; l'avere invece inserito in un filo rigorosamente di realtà una
trama avvincente come non poche presenta il duplice pregio di intrattenere
in modo coinvolgente il lettore e di renderlo anche edotto su un
avvenimento cardine della storia (le lotte per la supremazia fra la
Francia di Filippo il Bello e la Chiesa Cattolica di Clemente V).
Il romanzo parla della vita di un nobile francese, appunto Aycelin, dagli
entusiasmi giovanili alla maturità della vecchiaia, conclusa tragicamente
a Parigi fra le fiamme del rogo a cui era stato condannato per il solo
fatto di essere un templare fedele ai propri ideali, vittima di un gioco
di potere tragicamente ricorrente nella storia e riscontrabile anche ai
giorni nostri.
Ecco, quindi, che, al di là della vicenda in questione, Querzola riesce,
per il tramite della sua creatura Aycelin, a lanciare un messaggio
universale: contro la corruzione dei poteri non ci si deve snaturare,
perché l'unica possibilità che ha un essere umano per poter sperare in una
società più giusta è la coerenza, intesa come lealtà, disponibilità
perfino al sacrificio personale e con la consapevolezza e la dignità di
vivere il proprio destino.
Non intendo anticipare la trama, peraltro assai attraente, per non
togliere al lettore il piacere di viverla con il personaggio, pagina dopo
pagina, e preferisco soffermarmi sullo stile espositivo.
A tal proposito, la scrittura di Querzola , pur nella necessità di essere
talora assai descrittiva per ricreare l'ambientazione, è tuttavia snella e
quasi si direbbe che il narratore, pur immedesimandosi in Aycelin, non si
sia fatto prendere la mano, lasciando al suo personaggio un'autonomia
propria che può essere solo radicata in un uomo che crede con fermezza nei
suoi ideali. Non ci sono quindi eccessi, o cadute di tono, anzi il tutto
procede spedito sullo stesso ritmo scandito dal passare del tempo, senza
la benché minima forzatura.
Sotto questo aspetto mi permetto di evidenziare il notevole equilibrio
delle ultime pagine, laddove si narra della morte sul rogo di Aycelin: una
fine orribile, atroce, ma che l'autore ha saputo descrivere con un tocco
di grazia poetica che porta il lettore a una commozione liberatoria.
In conclusione mi sento di raccomandare caldamente la lettura di questo
bellissimo romanzo che, mio avviso, meriterebbe anche una trasposizione
cinematografica.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Roberto Querzola è nato a Faenza (RA) il 18 aprile 1960, ma vive da molti
anni a Forlì. Laureato in Giurisprudenza, lavora presso un istituto di
credito. Aycelin è il suo secondo romanzo (il primo è "Una stregone alla
corte dell'anno mille" , edito da Il Ponte Vecchio); attualmente sta
lavorando a una terza opera che dovrebbe intitolarsi "Il condottiero boemo"
e che riguarderà la vita del generale Wallenstein, il capo delle armate
imperiali durante la famosa guerra dei Trent'anni che divampò nell'Europa
del '600.
Renzo
Montagnoli
Memorie dal sottosuolo di
F. M. Dostoevskij
Mi ci rispecchio, come al solito in ogni opera di Dostoevskij, molto bene
nelle famose sue memorie dal sottosuolo.
Queste memorie sono le confessioni e le intuizioni di un animo caduto in
completa solitudine e segregazione rispetto al suo contesto sociale.
Tuttavia questa melma, questo fango interiore, questo angoluccio della
propria coscienza sporco e basso come la vita di una talpa sotto terra
concorrono a creare in lui quei dubbi, quelle infelicità e quelle angustie
che sono la premessa per sfoderare dal manico della sua intelligenza
grandi verità che sovrastano di gran lunga il semplice raziocinio umano
nato dal famoso 2 più 2 uguale quattro, che si raccorda al ben pensare
all'essere gradevoli e giusti.
Egli assapora il gusto di dire che 2 più 2 può fare 5 (2+2=4=Razionalità,
2+2=5=Libertà dunque sembrerebbe proprio che la razionalità umana sia la
negazione più alta della libertà umana) e che non vi sarà mai sulla terra
uomo che rinunci completamente a questa stravagante ipotesi come allo
stesso modo sebbene siano più ragionevoli l'ordine, la disciplina e
l'obbedienza allo stesso tempo l'uomo non finirà mai, per via della sua
stessa misteriosa natura, ad amare il caos, la melma e l'autodistruzione.
Dostoevskij dichiara dunque che vi può essere onore, gusto e voluttà non
solo dal trarre piacere dalla propria vita ma anche dall'autodenigrazione
di se stessi e che anzi proprio l'umiliazione e l'esporsi all'offesa può
misteriosamente corrispondere al più alto grado di elevazione morale
dell'animo umano.
Fedor vuole smontare l'edificio del 2 più 2 della mera razionalità umana,
considerandolo l'archetipo di quell' "edificio di cristallo" che
rappresenta l'ordine, la razionalità e il potere ossia, per parafrasare
quello che Nietzsche dice a riguardo della tragedia greca, tutto ciò che
vi è di armonioso e "apollineo" nell'universo per ristabilire di
prepotenza la presenza del tragico, del "dionisiaco".
Si, del dionisiaco: Dostoevskij nel sottosuolo della sua anima riconosce
Dionisio, il Dio del caos, della potenziale manifestazione libera e
demoniaca dei suoi più impuri e meschini sentimenti spontanei, la sua
animalità di essere umano, la rivendica e la contrappone con ostinata
forza all'apollineo che vi è dietro al 2 più 2, 4 su cui si fonda
l'edificio di Cristallo.
Da qui nasce il caos, il nichilismo e l'ansia di distruzione che poi
prefigurerà nei protagonisti dei suoi grandi capolavori successivi: dalla
segreta alchimia che nasce dal volere la propria sofferenza anziché le più
smisurate agiatezze e comodità che non fanno altro che contribuire a
soddisfare quella parte dell'umanità che aspira a diventare formica e
fondare il grande formicaio su cui poi nell'ansia di considerarsi un unico
grande gregge verrà sigillato il dominio, lo stemma dei tre grandi poteri
(descritti con l'audace forza visiva del Grande Inquisitore nei "Fratelli
Karamazov") ossia: mistero, autorità e il pane.
Da qui nasce l'eterna contraddizione umana: l'uomo limitato, non libero ma
illuso di esserlo dopo avere affidato tutta la sua libertà nelle mani di
chi si impadronisce delle coscienza degli uomini, vivrà sereno e
tranquillo troverò il suo bel posto da formica nel suo grande formicaio ma
ci vivrà bene sebbene dopo aver rinunciato ad esser propriamente uomo:
schiavo dei poteri a lui superiori, si emanciperà, si realizzerà si
arricchirà e con grande autodafé mostrerà con orgoglio i traguardi
raggiunti ai suoi consimili con raggiante orgoglio e spirito positivista
(bisogna rifletter sul perché grandi letterati poeti e filosofi come D.
Nietzsche e Leopardi avessero così in mala visione tutta l'opera dei
filosofi positivisti e progressisti); l'uomo illimitato, intelligente,
totalmente libero all'interno della sua ipertrofica coscienza delle cose è
invece condannato a vivere nel sottosuolo dell'inazione conscio in
anticipo sui suoi stessi tempi delle conseguenza che possono scaturire
dalle sue (libere) azioni.
L'uomo perbene è dunque schiavo e vigliacco.
L'uomo libero e illuminato è una bestia, oserei dire condannato ad esser
giudicato sempre come un criminale, un uomo disfatto e disgregato che ha
rinnegato l'ansia dell'uomo medio di sottomettersi a canoni stereotipati:
l'uomo libero di Dostoevskij sembra condannato all'altrui derisione
all'invidia e alla sottomissione verso coloro che sono uomini molto più
limitati di lui stesso: questa è la tragica verità del grande scrittore
russo, che più si va in alto e più si trovano uomini d'azione limitati e
felici, mentre più si va in basso e più si trovano uomini illimitati e
infelici.
Bisogna ammettere che lo scrittore già prima dei Demoni, L'Idiota e I
Fratelli Karamazov ha già operato in se stesso UN CAPOVOLGIMENTO TOTALE
DELLA MORALE DI GIUDIZIO UMANA E SULL'INTERA UMANITA'.
Il romanzo sembra anche procedere su tre schemi consecutivi: Sottosuolo-
Competizione (voglia di riscatto)- Amore (patetico ma unica salvezza
dell'uomo).
Dostoevskij va fino in fondo e con estremo coraggio intellettuale osa dire
e riconoscere quello che la maggior parte di noi uomini non osa neanche
ammettere a metà, di fronte agli altri e anche di fronte a noi stessi:
risulta chiara ed evidente la sua presa di posizione anticonformista e
anti-perbenista tipica della cultura indoeuropea ed occidentale in
generale.
Dostoevskij sposa, si mischia, eleva a volontà di potenza la morale del
popolo umiliato e offeso anche da lui stesso (nella figura della
prostituta Liza che invidia propria per la sua maggiore bassezza e
degradazione sociale): Dostoevskij invidia ciò che sta più in basso di
lui, ne invidia la maggiore infelicità frustrazione e sembra volersene
masochisticamente appropriare al contrario dell'umanità che invidia e
invidierà sempre ciò che sta più in alto, che è più elevato; inutile dire
quanto il suo messaggio sia profondamente simile al messaggio evangelico,
per lui gli ultimi sono veramente i primi nel regno dei suoi stessi valori
morali: in ciò, egli svela denuda l'esser umano anche il più potente,
TIRANNEGGIARE SIGNIFICA SENTISRSI MORALMENTE, PSICOLOGICAMENTE E NEGLI
STESSI VALORI INFERIORI A CHI SI HA LA PRETESA DI TIRANNEGGIARE,
CONTROLLARE SOGGIOGARE. Egli stesso pone la sua anima a laboratorio
coraggiosamente esposto al lettore per questa lucida analisi che capovolge
gli schemi di giudizio comuni.
Tutto ciò nasce dal volere la propria sofferenza, dalla potenza del caos,
da Dionisio che catapulta l'edificio di cristallo della razionalità umana
fondata freddamente sul 2 più 2 uguale 4 che sembrerebbe quasi
identificare nelle famose "anime morte" di Gogol. Ecco, Dostoevskij
ristabilisce di prepotenza le ragione del cuore e non del cervello, anzi
stabilisce che la coscienza divina delle cose è sul piano emotivo ancor
prima che su quello razionale, lucido, pacato come la superficie di un
lago; no, no, lui è tutto un mare in tempesta che si porta racchiuso nel
sottosuolo.
L'uomo evoluto è quindi condannato all'inattività poiché eccessivamente
severo con se stesso fino alle più stupide assurdità, vanitoso si, ma fino
al completo e totale disprezzo di se stesso; l'uomo evoluto che lui sembra
amare al posto del limitato-superattivo è di conseguenza un anti-eroe da
opporre con fermezza morale all'eroismo di certi "stupidi e infantili
sognatori" (è inutile dedurre cosa ne penserebbe questo grande scrittore
della quasi totalità della cinematografia americana). Questi uomini
"universali" sono fallaci e perdenti positivisti.
La psicologia di Dostoevskij è fredda, cinica, reale e brutale; egli
attesta di se stesso di esser un uomo vile e cattivo, per emanciparsi
dalla condizione degradante del sottosuolo cerca un conflitto un duello
con gli uomini affermati, socialmente più in alto di lui; questo duello si
esaurisce in se stesso poiché non gli viene concesso alcun duello quasi
per il totale disprezzo che ispira agli occhi degli altri la sua buffa e
ridicola fisicità e tutta l'ansia di riscatto si sfoga su una povera
prostituta a cui per rabbia e sadismo mentale rivela il suo pessimo e
rivoltante futuro nonché la sua squallida morte data la vita che fa.
In un perverso gioco psicologicamente sadomasochistico e conflittuale
nell'amore tra uomo e donna in cui le parti del carnefice e della vittima
sembrano scambiarsi vicendevolmente per poi riappacificarsi della morsa
serrata della passione e nell'inevitabile duro e schietto teorema
dostoevskijano secondo cui in realtà non si ha amore se non nella volontà
di dominare, tiranneggiare e quindi invidiare l'oggetto del proprio amore
(dopo averlo però sottomesso), forse Fedor vuole dimostrarci che un amore
duraturo è un amore capace di ribaltare tumultuosamente queste due parti
in continuo dinamismo e che in realtà un amore stabile ed equilibrato
poiché vi è un elemento per sempre dominato e un altro per sempre
dominante non è nient'altro che l'anticamera del non-amore.
Il vero amore che poi è la salvezza dell'essere umano è quella forza che
scioglie il ghiaccio del sottosuolo o lo libera dalle catene come la "neve
bagnata" sciolta dalla potenza e dal calore dei raggi solari (ed in questo
tema della seconda parte del romanzo credo che vi sia una potenza e una
maestosità poetica degna del suo grande maestro Puskin).
Il finale del romanzo mi esalta poiché "abbassa la cresta" all'umanità
intera illusa di possedere le vette della sapienza, della scienza e del
potere sulla terra..il finale è grandioso e ve lo cito: "Noi sentiamo
perfino il peso di essere uomini, ce ne vergogniamo, lo consideriamo un
disonore e cerchiamo di essere non so che immaginari uomini universali.
Siamo dei nati morti ed è già un pezzo che non nasciamo più da padri vivi
e questo ci piace sempre di più? Ci prendiamo gusto e presto escogiteremo
anche il modo di nascere addirittura da un'idea".
Noi ovviamente del sottosuolo perché il restante presente nell'intera
umanità avrà sempre il disprezzo e la paura nella propria coscienza di una
tale eloquente e sincera affermazione nichilista e dispregiativa di se
stessi.
Sembra dunque che per rinascere ed esser veramente uomini bisogna
rivoltarsi prima di tutto un po' contro se stessi e poi riaffrontare il
mondo con nuove lenti.
Elio De Luca
I Fratelli Karamazov di
F. M. Dostoevskij
I fratelli Karamazov sono il romanzo più bello che abbia mai letto in
tutta la mia vita, hanno scavalcato nel mio personale e modesto giudizio
il Narciso e Boccadoro di H. Hesse.
Il tema di questo romanzo è il parricidio ossia un tema epico, il figlio
che uccide il padre, la tragedia di Edipo che a detta di Freud tutti noi
uomini viviamo nel profondo della nostra psiche (complesso di Elettra nel
caso delle donne).
Io credo che questo tema rappresenti un archetipo del genere umano,
qualcosa di profondo da cui non si può assolutamente prescindere così come
la farfalla per prendere vita deve assolutamente valicare le porte della
larva entro cui e' compressa, così anche l'uomo per diventare propriamente
"uomo" deve saper affrontare questo tema nel sociale e nel proprio intimo.
La lettura del romanzo, lungo profondo e ricco di spunti di ogni genere,
psicologico, storico, biblico e religioso non e' facile da affrontare
anche poiché si potrebbe scrivere un libro di critica per ogni singolo
capitolo tanto ogni pagina è pregna di intuizioni filosofiche geniali e
rivoluzionarie.
Mi piacerebbe che qualcuno lo leggesse per poter condividere con me spunti
di riflessione, per arricchirmi di tutto quello che mi è passato di mente
o che non ho saputo apprezzare per miei limiti mentali.
Per ora scrivo la mia:
Innanzitutto credo che Fedor sia un visionario o un profeta così come un
Isaia lo è nel campo biblico; cioè credo che non solo abbia prefigurato la
psicanalisi di Freud e Jung ma l'abbia addirittura arricchita di qualcosa
di misterioso che forse tutt'oggi non è ancora stato studiato o
sperimentato nel campo della psicanalisi: il tema del doppio o addirittura
del quadruplo e poi dell'universale.
I personaggi principali sono Il sig.Pavlovic che sarebbe il padre di
quattro figli: il primo, Mitja avuto dalla prima moglie che trascurava e
da cui si sentì poi abbandonato (o almeno così si lagnava in paese
vittimisticamente) è un bimbo completamente trascurato dalla dissolutezza
della vita del padre…praticamente si scorda proprio della sua esistenza,
non lo considera e viene automaticamente affidato al sig.Grigorij
domestico e uomo fidato del padre nell'abitazione; poi Ivan e Alesa
(protagonista) figli della seconda moglie L'urlona anche lei deceduta
durante l'infanzia dei figli: il primo vive col padre ma dopo aver vissuto
a lungo in Europa, è il cosiddetto filosofo ateo e materialista
dell'ottocento, il secondo non vive con loro ma bensì viene affidato allo
starec Zosima, un'altra figura importantissima del romanzo, ossia il
monaco cristiano primitivo inviso all'ortodossia religiosa russa; infine,
il quarto figlio, Smerdjakov illegittimo nato da un'avventura del signor
Pavlovic con la "scema del villaggio" una sorta di stupro di branco con i
compagni di sbronze la quale dopo aver tenuto in grembo il figlio per nove
mesi (anche se ebete) durante le doglie si reca nell'abitazione del
sottoscritto di notte e nel bagno di nascosto partorisce morendo lei
stessa Smerdjakov il quale verrà anche lui accudito dal custode e la
moglie….però per ironia della sorte si ritroverà anche lui a far da
maggiordomo e cuoco dentro la casa del padre di cui non si capisce se
sappia o meno di essere il figlio (già qui Dostoevskij fa prefigurare un
tema, quello dell'inconscio o della rimozione dalla coscienza, ma non ce
lo dice….in realtà non si capisce se il figlio illegittimo sia cosciente o
meno della cosa anzi a dire il vero lo scrittore fa passare di sfuggita
anche l'episodio della copulazione con la povera scema del villaggio, come
se anche questo fosse una via di mezzo tra la realtà e la diceria tipica
dei paesani….e qui ci sono tutti i puntini di Dostoevskij sulla conoscenza
profonda della natura umana).
Allora premetto che, avendo studiato anche tutte le altre opere e la vita
di Dostoevskij, a mio avviso questo romanzo non è solo autobiografico ma
anche onnicomprensivo del tema di tutte la altre opere: Fedor Pavlovic è
un uomo passionale, buffo ma intelligente, autoritario, spavaldo ma pieno
di sentimenti, egoista ma fiero e sincero del suo egoismo…sembra quasi
meritarsi quella sua morte...è identico al vero padre di Dostoevskij
proprietario terriero, autoritario e violento che fu ucciso durante una
rivolta dei servi della gleba che lui stesso teneva sotto il suo
potere….fu quello l'episodio che segnò l'inizio dell'epilessia del povero
scrittore…dunque l'epilessia è considerata da Dostoevskij come un
contrasto di estremo amore/odio verso la figura paterna….è qui c'è anche
autopsicanali. La malattia come uno squilibrio amore/odio ma anche come
presa di coscienza a volte profetica e profonda.
Voglio fin da adesso precisare che il tema della mia riflessione è
principalmente questo : I QUATTRO FIGLI DEL SIG.PAVLOVIC RAPPRESENTANO LE
QUATTRO PARTI IN CUI E' DIVISA L'ANIMA DI DOSTOEVSKJI E I PADRI SONO DUE,
IL REALE E IL DOPPIO (MAGGIORDOM0) CHE RAPPRESENTA UN PADRE PIU' PIO E
MANSUETO.
Allora:
Alesa: è un'anima gentile, pura, incorruttibile, casta, onnisciente, dolce
e allo stesso tempo equilibrata e audace.
Mitja: è un'anima passionale violenta e lussuriosa….del tutto identica al
padre.
Ivan: filosofo laico se non quasi ateo, materialista e realista,
rappresenta la cultura europea dell'800 di cui Fedor è ammiratore ma anche
critico.
Smerdjakov: è un idiota, nel senso vero e non spregiativo del termine,
riservato, silenzioso, debole, ricettivo, astuto ma anche malizioso,
condizionabile ed epilettico…ma le poche volte che apre bocca sembra che
dica la verità anzi che predica proprio il futuro, che lo presenta e che
da ciò derivino le sue crisi epilettiche.
E' il più disgraziato è la fine che Dostoevskij gli fa fare è il suicidio
perché è lui che compie materialmente il delitto (quindi Dostoevskij da
epilettico fa compiere a se stesso il delitto paterno anche se nella
società lo compiono i servi della gleba….in più si relega il posto più
disgraziato in famiglia)….qui c'è molto dell'Idiota (altro capolavoro
romanzesco dello scrittore).
Ecco la cosa che mi stupisce e sbalordisce è questa: il tema del
parricidio è un tema epico, tragico (purtroppo anche nei giorni nostri) ma
qui c'è il doppio, ossia vengono uccisi due padri e misteriosamente
avviene come una spartizione democratica del delitto tra i fratelli
sebbene l'autore lo fa compiere ad uno solo (Smerdjakov) mentre il doppio
del padre (il domestico Grigorij) tenta di ucciderlo Mitja stesso, il
figlio più simile al padre vero: qui sembra che lo scrittore voglia
suggerirci la non importanza del sangue di appartenenza, quanto più chi
nella vita riveste le vere vesti del padre.
Tema importante: l'incesto psicofisico tra padre-figlio tramite una donna
Grusenka, che li porta allo stremo, si lascia sedurre da entrambi….Dostoevskij
fa capire che il complesso edipico non è dovuto alla sola pulsione
aggressiva del figlio verso il padre dato l'attaccamento morboso alla
madre…ma bensì che vi è proprio un conflitto di interessi nel caso in cui
il padre non "fa" il padre nella vita (e ciò viene fuori nel processo
durante l'arringa del difensore….a proposito chiama il tema del capitolo
"gli adulteri del pensiero") ossia si presenta come rivale o
pretendente….la cosa è reciproca: praticamente può capitare che il figlio
voglia farsi la donna del padre e viceversa…complesso edipico e doppio nel
senso che anche il padre è geloso, invidioso e rivale del figlio per
quanto riguarda le donne e la società PRONTO A COMPETERE CON LUI NON DA
PADRE MA DA NEMICO VERO E PROPRIO.
Poi Ivan è il "mandante" poiché nella sua filosofia atea e materialistica
esclama davanti a Smerdjakov "tutto è permesso" e lui lo prenderà alla
lettera e pensando che avvenga l'omicidio a breve (avendo predetto " dei
due rettili uno divorerà l'altro" riferito al Mitja e Pavlovic essendo
caratterialmente simili sono obbligatoriamente rivali e la donna sembra
masochisticamente godere all'idea di farli competere). Ma Ivan fugge dal
padre invece di difenderlo anzi sembra pure che lasci la porta aperta come
segno di accondiscendenza (altro particolare della storia che Dostoevskij
fa passare dietro al sipario sempre per tenere vivo il tema della
rimozione dalla coscienza) Alesa sarà invece lontano solo perché si
occuperà di una altro grande tema ossia del padre povero e proletario che
il figlio orgogliosamente cerca di riscattare da un oltraggio subito pur
morendo giovane.
Smerdjakov sembra invece ripetere "Delitto e Castigo"(anche li c'è il tema
del doppio l'uccisione di due madri simboliche nella madre e nella
sorella) ossia è l'unico ad aver veramente diritto a uccidere quell'essere
immondo del padre per ricavarne dei soldi e una rinascita: ma invece su
suiciderà dopo una delle tante crisi epilettiche.
Alesa, il protagonista sembra l'unico esente da colpe nel senso che cerca
di prendersi cura di tutte le colpe vere e immaginarie dei fratelli ma
allo stesso tempo tradisce anche lui un odio verso il padre quando si
permette di richiamarla urlona…..ossia vi è un lato femminile e sensibile
che lo salva dalla catastrofe (sarà questo il teorema di Dostoevskij?
Un'altra cosa che ce lo fa intendere è l'amore quasi omosessuale anche se
non esplicito che lega i quattro fratelli).
Smerdjalov è dunque l'epilettico, che assorbe e che muore implodendo.
Ivan è il mandante poiché filosofo ateo…(a proposito il suo racconto ad
Alesa Credente "La leggenda del grande Inquisitore" una delle più profonde
pagine mai esistite di esegesi evangelica applicata alla letteratura…c'è
tutto il vangelo sacro e un chiarimento per me stesso sbalorditivo delle
tre tentazioni di Cristo nel deserto con un grido di accusa e profonda
invettiva verso la Chiesa Cattolica)
Ivan è dunque un eretico, rinnega Dio è come Nietszche e infatti prima che
questo filosofo facesse questa fine…Dostoevskij lo fa impazzire poiché lo
lascia nelle mani del Diavolo OSSIA VEDE LA VERITA'HA LE VISIONE DELLA
LUCE MA IMPAZZISCE.. LUCI-FERO…..Ivan morirà pazzo poiché arriva ad avere
visioni del demonio in sembianze umane…ossia nel doppio di se stessi….la
seconda tenebrosa voce che ognuna ha dentro di se.
Dostoevskij è dunque un laico a metà…poiché condanna alla pazzia l'ateismo
completo.
Le donne del romanzo sono poi tutte come dei pianeti che girano intorno a
se stessi messi in moto dalle baldorie degli uomini e si placano solo dopo
scatti di ira, gelosia, sado-masochistici e crisi isteriche…è chiaro che
Dostoevskij considera più interessante l'universo maschile ma la
rappresentazione delle donne è esemplare e si rivela un profondo
conoscitore anche della psiche femminile.
Dunque quello che per me è misterioso è questo: lo sdoppiamento del padre
sembra volerci suggerire…fate un passo avanti piccoli uomini perché io so
che il tema del parricidio non si ferma e non è contemplato nella sola
spiegazione del complesso edipico….c'è di più sotto e questo non ve lo
dico lo dovete scoprire voi perché forse non lo so neanche io….io credo
che sia questo ciò che lui nascondeva: UNA VOLTA UCCISO IL PADRE,
SIMBOLICAMENTE, OGNI UOMO SI RITROVA A DOVER COMBATTERE CON UN ALTRO
PADRE…CHE NOI CHIAMIAMO DIO….OSSIA IL PADRE NEL CIELO, I "PADRI" CHE CI
TRASMETTONO, COME DICEVA IL TEATRO GRECO, LE COLPE CHE ANCHE NOI
INDISCUTIBILMENTE DOBBIAMO PAGARE E AFFRONTARE NELLA STORIA.
E la colpa dell'uccisione del padre è quadrupla ossia: GUARDATE SCRITTORI
E LETTORI, IO IN QUESTI QUATTRO PERSONAGGI NON VI HO MESSO SOLO LE QUATTRO
PARTI DI ME STESSO MA LE QUATTRO PARTI IN CUI E' DIVISIBILE IL GENERE
UMANO: I PASSIONALI GUERRIERI, I FILOSOFI POLITICI, GLI UTLIMI (PLEBEI,
ANAUYM) E I MONACI E TUTTI, SOTTLIONEO TUTTI, SONO GLI AUTORI DEL
PARRICIDIO COSMICO, NESSUNO NE è IMMUNE E ANCHE NEL PROCESSO, NELL'ODIO
DEGLI UOMINI E NEL TIFARE DELLE DONNE VI E' NASCOSTA UN'ALTRA VERITA' CHE
TUTTI GLI UOMINI SONO NORBOSAMENTI ATTRATTI DA FATTI DI CRONACA COME
PARRICIDI, FRATRICIDI E SORELLICIDI PERCHE' ANCHE LORO NEL GIUDICARE SONO
COINVOLTI PUR NON AVENDO COMMESSO IL FATTO.
Parafrasando De Andrè nella sua storia di un impiegato si potrebbe dire
che DOSTOEVSKIJ VOGLIA DIRCI: "ANCHE SE NOI CI CREDIAMO ASSOLTI SIAMO LO
STESSO COINVOLTI".
Credo infatti che tutto il tema del racconto sia incentrato sull'eroe di
cui si parla alla fine meno di tutti, che si salva dalla galera e dai
lavori forzati in Siberia (pena scontata con condanna a Morte dallo stesso
Dostoevskij per esser un sovversivo politico contro il regime zarista in
cui viene fatto fucilare a salve da un fanatico ufficiale
sadico…nell'episodio un commilitone dello scrittore incanutì all'istante e
un altro impazzì per il resto della sua vita….pensate voi a che vita ha
vissuto questo scrittore epilettico…la grazia concessa in punto di morte
dallo zar sembra davvero un'intervento da provvidenza divina…..altrimenti
di Fedor non avremmo avuto niente) che si salva dalla pazzia e dal
suicidio….ossia la salvezza in questo libro di Dostoevskij coincide con il
"non giudizio" poiché Alesa è un uomo che non giudica ma ama
spassionatamente tutti e capisce la gioia e il dolore di chiunque: CAPIRE
COINCIDE CON IL NON GIUDICARE, IL NON CONDANNARE.
Le pagine più belle sono forse anche i ricordi di padre Zosima (anche qui
c'è da notare il suo dono preveggente di fronte all'incontro con Mitja si
inchina come se presentisse la sua tragica fine).
Poi c'è anche il tema del sogno come elemento o inconscio e premonitore
della vita individuale e collettiva.
Il processo finale poi è una summa della cultura russa, delle speranze che
gli uomini non si giudichino ma si amino…sebbene la tragedie di ciascuno.
Insomma credo che questo romanzo riassuma gli archetipi della Bibbia della
tragedia greca, di tutto il sapere filosofico prodotto sino alla fine
dell'ottocento, prefiguri la psicologia e la infuturi anche rispetto alle
conoscenze tutt'oggi raggiunte, del dramma della divinazione, il mistero
della profezia e delle preveggenza e quindi il dramma dell'uomo che
diventa autore corresponsabile del suo stesso destino anche delle sue
vicissitudini e malattie….non esiste predestinazione o superstizione in
Dostoevskij ma allo stesso tempo la sua analisi della psiche umana va
oltre l'umano come se raggiungesse quei nodi imperscrutabili dove tutto
quello che avviene in una sorta affinità elettive avviene perché non può
che avvenire così…..Dostoevskij isola e lavora sulle pulsioni i sentimenti
e le azioni senza pensiero come se l'uomo fosse un'animale incosciente e
allo stesso tempo lo fa elevare maturare e crescere dopo aver preso
coscienza del proprio peccato che non poteva non compiere….tutto cio' che
vi è tra il pensiero e l'azione cioè il non agire secondo natura e impulso
in Dostoevskij sembra diventare inferno e incapacità di amare…..quest'autore
sembra cogliere una trama nell'agire umano in cui la somma dei liberi
arbitrii degli uomini formano il destino umano e poiché lui sta oltre
riesce a capire come andranno le cose….le cose andranno così perché non
possono andare che così non perché esista un Dio o una predestinazione ma
perché questa è la natura umana.
Il testamento di Dostoevskij è innanzitutto un ritenersi un "salvo" alla
fine della sua tragica vita ma allo stesso tempo un monito per l'umanità:
solo nel vangelo e nel messaggio di Cristo vi è salvezza per l'essere
umano, nella fine dell'isolamento del singolo individuo, nel capire che è
stupido allo stesso tempo essere un unico gregge omologato
all'accettazione delle tre tentazioni nel deserto di Cristo, ma agire di
liberà volontà anche peccando in tutte le maniere possibili e passando
attraverso il necessario peccato per il cammino della redenzione e della
presa di coscienza e tornare puri come fanciulli. Secondo Dostoevskij se
un uomo cade e viene giudicato colpevole in realtà sta avviandosi alla
liberazione e sembra quasi dire (guardate che quel padre sebbene lo amassi
tanto anch'io meritava quella morte) Mitja infatti non è colpevole
dell'omicidio….tutti rimuovono dalla coscienza al momento opportuno la
possibilità di salvarsi salvando il padre dall'uccisione ma allo steso
tempo non riescono a non ucciderlo.
Dostoevskij predica il perdono e fa capire che solo attraverso il perdono
si può salvare l'anima di una persona….PER LUI IL GIUDIZIO UMANO E' UNA
VIOLENZA CHE GENERA VIOLENZA ED AUTOCONDANNA.
Io nella mia modesta conoscenza del Vangelo e della figura storica di Gesù
credo che in questo romanzo ci sia racchiuso tutto l'amore di Cristo per
gli uomini e allo stesso tempo un incandescente e prorompente messaggio di
libertà e salvezza per tutta l'umanità.
Questo libro deve aver subito una fortissima gestazione nel suo autore un
pò come il Zarathustra del famoso filosofo tedesco.
Dostoevskij è un Karamazov ossia "DUE PROFONDI ABISSI IN UN UOMO SOLO"
come nella Divina Commedia Dantesca fa della sua vita un laboratorio di
profonda ricerca fino a comprendere in se stesso tutto l'inferno e tutto
il paradiso possibile. Non esiste l'uno senza l'aver attraversato l'altro.
Questo mi riempie di una commozione enorme perché libera l'uomo dall'idea
del peccato originale ma allo steso tempo lo consola con l'idea del
peccato necessario e dell'amore incondizionato, come il Sole che dona
senza pretendere niente in cambio questo grande autore ci ha lasciato un
opera paragonabile a Beethoven o Mozart, a Caravaggio e Van Gogh.
Auguro a chiunque la lettura di questo capolavoro indiscutibile della
letteratura russa.
Si potrebbe dire che ognuno di noi passionalmente è portato a uccidere la
figura paterna come Mitja vedendo nel padre un rivale e capendo che il
padre stesso ci si rapporta come un rivale; Ivan è colui che uccide il
padre solo attraverso il lavoro filosofico intellettuale e che alla fine
rischia di impazzire se lo pensa solo l'omicidio e lo lascia attuare da
qualcun altro (sempre simbolicamente parlo, poiché credo che è proprio dal
rimuovere dalla coscienza queste tematiche che si rischia un infruttuoso
scontro o rapporto col proprio padre vero o simbolico che sia); Smerdjakiv
è quella parte di noi che uccidrebbe il padre per vendetta per non essere
mai stato preso in considerazione, che lo uccide durante le proprie crisi
e malattie ma poi si pente e rischia il suicidio; Alesa è quella parte di
noi cosciente della altre tre e che le tiene a bada con la forza della
ragione e che dunque cerca di salvarle.
Lo starec Zosima è l'unica speranza che una figura sacerdotale possa
rappresentare una buon punto di riferimento per i giovani e le donne…..per
evitare che le religioni siano solo "l'oppio dei popoli".
Ma in ognuno di noi si racchiude anche quell'amore profondo verso il padre
(come Iljusa) che ci porta a riscattarci nella società, vendicando anche
gli ingiusti torti che hanno subito i nostri padri…..che quindi capendoli
noi possiamo perdonare e farci perdonare.
Elio De Luca
La terza prova-Harry Potter e il calice di fuoco-
di J. K. Rowling
Nonostante l'ardimento e lo spirito battagliero dei quattro campioni, il
tenace Viktor Krum e la favolosa Fleur Delacour non riescono a districarsi
dal percorso più tenebroso del labirinto.
Entrambi si ritrovano perduti fra le letali trappole nascoste ai loro
occhi, e solo Harry e Cedric riescono ad intravedere la vittoria prima di
scoprire che ormai la loro vita è segnata.
Nell'agitata furia di vincere la coppa, ormai vicina, i due ragazzi
vengono catturati dalla trappola mortale che, a loro insaputa, Voldemort
aveva già preparato da tempo.
Cedric viene ucciso dal servo Codaliscia, e Harry viene torturato fino
alla totale perdita delle forze.
Voldemort risorge e, insieme ai suoi seguaci Mangiamorte, sfida Harry a
duello: l'ultima speranza di vita del giovane mago. Con grandissimo
coraggio Harry estrae la bacchetta e tenta, con un disperato sforzo, di
disarmare il suo avversario il quale reagisce scagliando l'incantesimo
della morte: Avada Kedavra.
Poichè il destino di Voldemort e quello di Harry sono legati
dall'uguaglianza delle bacchette, (entrambe scaturite dalla piuma della
fenice), la forza degli incantesimi lanciati crea un reticolo di enrgia e
concentrazione che impedisce l'impatto di ciascun incantesimo contro
l'avversario.
Harry e Voldemort si ritrovano imprigionati in una cappa di pensieri ed
entità passate, fra le quali Harry riconosce i suoi genitori e il compagno
Cedric.
Il ragazzo fa appello a tutta la sua forza, (sia mentale che fisica),
riuscendo ad interrompere il contatto e tornando ad Hogwarts con il corpo
privo di vita di Cedric.
Insieme a questo tragico avvenimento, Harry è costretto a scoprire la
verità: l'insegnante Malocchio Moody di difesa contro le arti oscure è in
realtà Barty Crouch Junior, per l'appunto un mangiamorte e artefice di
questo ingegnoso piano. Dopo un vano tentativo di uccidere anche Harry,
Barty Crouch Junior viene ricondotto alla sua cella nella terribile
prigione di Azkaban, dove resterà per tutta la vita.
La tristezza e la minaccia incombono ormai su Hogwarts e sui suoi
studenti, i quali temono il trionfo e l'affermazione dell'oscuro regime di
Voldemort.
Maggie Vigliotti
Musolino il brigante dell'Aspromonte
di Enzo Magrì - Ed. Camunia- 1989
UNA INGIUSTIZIA ALLE ORIGINI DI UNA DEVIANZA
Quando lo stato riparerà i torti subiti dal Brigante Musolino?
Enzo Magrì, dopo aver espresso il meglio di se stesso con un precedente
libro "IL BANDITO GIULIANO" pubblicato per i tipi della Mondadori nel 1987
ci offre un nuovo ed interessante spaccato della società meridionale
d'inizio secolo con il volume "IL BRIGANTE MUSOLINO" dove, narrativa ed
antropologia si intrecciano riuscendo a trasportare il lettore nel clima
politico e culturale a cavallo tra fine '800 ed inizio '900 e riuscendo a
fornire una chiave di lettura chiarissima della realtà geopolitica
calabrese di un periodo storico dove i soprusi baronali, l'arretratezza
culturale e morale della popolazione trovavano quasi una giustificazione
nell'azione del brigantaggio mentre i tentativi repressivi da parte delle
forze di polizia si scontravano con gli atteggiamenti di omertà e di
complicità delle masse rurali che vedono nei ribelli un modo per esprimere
la loro rivolta contro lo sfruttamento a cui erano sottoposti.
Dell'innocenza di una persona, dopo che questa ha scontato trent'anni di
ergastolo e dopo il suo decesso, non interessa più a nessuno.
Eppure tutto ciò non è corretto. Un uomo condannato ingiustamente dovrebbe
avere un minimo di risarcimento morale e materiale. E se deceduto, tale
risarcimento dovrebbe andare alla famiglia o ai suoi discendenti. Questi
hanno visto il loro casato infangato da una condanna ingiusta, che ha
anche comportato nel tempo disagi e danni economici che si sono ripercossi
nel tempo sui familiari e sui loro eredi.
Se fossi un magnate sicuramente finanzierei una iniziativa di revisione
del processo Musolino al fine di rendere almeno giustizia ad un giovane
che è stato spinto, proprio dalla giustizia che avrebbe dovuto tutelarlo,
a diventare un assassino.
E' vero che Musolino viveva in un contesto in cui la spavalderia e la
violenza erano moneta corrente, ma è anche vero che dopo l'unificazione
italiana le condizioni morali e materiali del popolo calabrese non
consentivano la crescita di una coscienza civile della popolazione: Lo
strapotere dei baroni, poi, e gli intrighi dei politicanti locali, che
molte volte riuscivano anche con false testimonianze a fare incriminare e,
quindi, eliminare dal contesto politico, i loro concorrenti, erano
occasione per alimentare una rivolta interiore delle masse popolari
soggette a condizioni disumane di sfruttamento e di soggezione.
L'azione si svolge in un siffatto contesto di arretratezza e la rivolta
per l'ingiustizia subita trasformano Musolino in una sorta di vendicatore
e di riparatore dei tanti torti subiti dalla popolazione meridionale.
Anche la vendetta gioca una parte importante in questa vicenda, anche se,
come fa osservare l'autore, la vendetta non è una pratica fiorita nel
meridione ma vi è stata importata dall'esterno. Infatti la vendetta era
patrimonio culturale delle regioni settentrionali d'Europa che ve la
introdussero in Italia con le invasioni barbariche. Nel mezzogiorno forse
attecchì con più forza rispetto alle altre regioni appuntò per le
condizioni di sottosviluppo in cui versava questa regione, anche se
l'autore fa notare che tale cultura della vendetta aveva in altre parti
d'Italia dei sostenitori accaniti e racconta la storia di un pio uomo
fiorentino che dopo essere stato pugnalato da un amico, in punto di morte
chiede perdono a Dio ma lasciò nel testamento un lascito per colui che
avrebbe ucciso il suo feritore.
In tale contesto si sviluppa la reazione di Musolino ai soprusi subiti e
la vendetta gioca un ruolo non secondario per punire i delatori che con le
loro false testimonianze lo avevano rovinato.
Che Musolino abbia potuto fare tutto da solo è uno dei dubbi ricorrenti
nel volume. Fu la 'ndrangheta ad aiutarlo oppure una serie di situazioni
favorevoli e la sua testardaggine, uniti ad una buona dote di abilità
personali e di fortuna, gli consentirono di farla franca e di
ridicolizzare centinaia e centinaia di carabinieri e di "cacciatori di
taglie" che erano stati sguinzagliati sulle sue tracce per catturarlo dopo
la sua evasione dal carcere di Gerace e dopo le prime vendette che aveva
incominciato a praticare?
Il volume di Magrì, logicamente in molti punti frutto di intuizione
personale, si scosta tuttavia da tanti altri autori che hanno romanzato
altri personaggi che nel passato sono assurti agli onori della cronaca
giudiziaria.
Infatti lo sforzo dell'autore è quello di una profonda accusa a tutto il
sistema giudiziario di quegli anni che trovava fondamento nelle teorie del
Lambroso sulle caratteristiche morfologiche e somatiche dei criminali che
avrebbero, poi, avallato prima la condanna, senza approfondire gli
elementi di squilibrio mentale già manifestati in più occasione dal
Musolino, e successivamente l'incivile ed inumana segregazione a cui fu
sottoposto per ben 10 anni nel carcere di Portolongone (oggi Porto
Azzurrro) nell'Isola d'Elba dopo la condanna a 30 anni, emessa dal
tribunale di Lucca.
I dieci anni di isolamento inflitti contribuirono a far peggiorare le sue
già precarie condizioni fisiche e mentali fino a portarlo alla pazzia. Da
qui la denuncia ancora più dura da parte dell'autore nei confronti di un
sistema carcerario che, lungi dal prodigarsi per il recupero del
condannato, non fece altro che aumentare o addirittura motivare, con le
sue restrizioni e le sue regole inumane, l'odio verso la società e
soprattutto verso coloro, testimoni, giudici e poi carcerieri, ritenuti,
ed a ragione aggiungerei, la causa del suo comportamento asociale e
ribelle.
Infatti quale condannato (o persona normale) sopporterebbe oggi senza dar
di testa ben 10 anni di segregazione in isolamento, dovendo elemosinare un
paio di fogli di carta settimanali per poter per lo meno ingannare il
proprio tempo scrivendo?
La considerazione più amara sta nella constatazione che nonostante le
visite mediche a cui Musolino era stato sottoposto durante la detenzione
dell'Isola d'Elba da parte dell'ispettore sanitario, Filippo Saporito,
inviato appositamente per ben due volte dal Ministero, e questo nonostante
che nel corso del processo di Lucca del 1902 il parere dei periti si fosse
diviso tra favorevoli alla sua pazzia e quelli decisamente contro, non
vennero valutati gli elementi di squilibrio mentale che si stavano
aggravando in Musolino e che erano già esplosi durante la sua prima
segregazione all'ospedale criminale di Reggio Emilia dopo la sua cattura,
soprattutto a causa dell'isolamento a cui era sottoposto e che un
tentativo di reinserimento, almeno tra i detenuti comuni, avrebbe potuto
evitarne l'aggravamento ed avrebbe offerto occasione di socializzazione
tale da bloccare l'escalation della sua follia.
Ma l'altra più amara considerazione viene dalla constatazione che mentre
la scienza ammise più tardi i propri errori, asserendo che era mancato il
coraggio di porsi contro altri colleghi e contro il potere costituito
nell'affermare e sostenere la pazzia di Musolino, lo stato non riconobbe
mai i suoi errori.
Ed anche quando dall'America l'ex-picciotto Giuseppe Travia ammise di aver
sparato lui contro lo Zoccali, episodio per il quale era stato incriminato
e condannato a 21 anni di reclusione Musolino, grazie anche ad una serie
di false testimonianze non valutate adeguatamente, nessuna revisione del
processo fu avviata per restituire almeno giustizia ad un uomo che ritenne
opportuno farsela da solo per la superficialità del sistema giudiziario.
E neppure l'unica sorella "superstite Anna era in grado di indurre lo
stato, ormai fascista, a riconoscere i pasticci di uno dei suoi poteri
sulla cui fedeltà faceva molto affidamento".
Ma oggi, col senno di poi e guardando a quegli avvenimenti passati
diventano più chiare le parole rivolte ai giurati da Musolino nel processo
di Lucca che rappresentano oggi un macigno sulla coscienza del persone del
nostro tempo che credono nell'efficienza e nell'efficacia della giustizia
e del diritto.
Musolino aveva detto: "Se un uomo campasse cento oppure duecento anni, una
condanna a quattro o cinque anni sarebbe un fatto grave e sopportabile
considerando il grande tempo che gli rimane da vivere; ma come può un uomo
giovane e innocente che si sente strappare dalla sua vita e condannare a
ventuno anni di carcere sopportare tutto questo?"
Ed oggi potremmo concludere anche noi con una amara considerazione: Come
possono i cittadini, dopo aver saputo come realmente si siano svolti i
fatti in quel lontano inizio secolo, sopportare l'ingiustizia perpetrata
dalle istituzioni senza che queste avvertano ancor oggi il bisogno di
avviare autonomamente una revisione di quel processo per rendere giustizia
ad una persona che le stesse istituzioni costrinsero a diventare un
assassino e che poi punirono in modo così terribilmente atroce?
Salvatore Armando Santoro
Il gattopardo di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Edizioni Feltrinelli
Premetto che ci troviamo davanti a un'opera di valore assai elevato, tanto
che ormai Il gattopardo è da tempo un classico della letteratura.
Il romanzo si focalizza sulla figura del principe Fabrizio Salina,
aristocratico colto, scettico di fronte ai nuovi tempi (la narrazione ha
come iniziale riferimento lo sbarco dei mille in Sicilia e pertanto il
1860), ma contemporaneamente consapevole della fine della società di cui è
parte.
Nel suo ramo familiare figura il nipote Tancredi, prediletto perché questi
rappresenta, con il suo opportunismo e la sua audacia, la nuova forza che
si sprigionerà dal vecchio mondo ormai morente, per dar luogo a una
società solo apparentemente nuova, poiché il mutamento sarà solo esteriore
e il potere continuerà a restare ben saldo nelle mani della vecchia classe
dirigente a condizione che questa si impegni in questa apparente
rivoluzione per orientarla verso i propri fini.
In questo quadro il Principe Salina asseconda il nipote nei suoi giochi,
senza tuttavia prendervi direttamente parte, ma solo come semplice
spettatore dello sviluppo storico, con una sorta di consapevole
rassegnazione che, se anche tutto e nulla cambia , per la sua classe
sociale, per questa antica nobiltà sicula legata alla terra non ci sarà
più futuro.
E in effetti tutta l'opera è pervasa da un opprimente senso di decadenza,
che si rispecchia nella desolata campagna siciliana, negli antichi e
decrepiti paesi, nei palazzi quasi abbandonati da una aristocrazia pigra e
incapace di alimentare le ragioni della sua stessa esistenza. Al riguardo,
giustamente famosa è la scena del ballo di Palermo, con la crudele
rivelazione, per il principe Salina, della deformazione della morte sui
volti allegri dei giovani che gli stanno intorno.
Ci sono pagine di stupenda bellezza, quali quelle in cui il gesuita Padre
Pirrone, prelato personale della famiglia Salina, andato a trovare la sua
vecchia madre, spiega a un addormentato erborista le caratteristiche dei
nobili, oppure quelle della morte del principe, in una stanza d'albergo,
con una descrizione del trapasso che raggiunge i vertici dell'abilità
narrativa.
Benché la vicenda sia ambientata nel XIX secolo lo stile non è proprio
dell'epoca, ma nemmeno del secolo successivo in cui l'opera è stata
redatta; non c'è una parola di troppo, né una di meno, non è per nulla
ridondante, ma nemmeno scarno, non è costruito, ma nemmeno stringato,
insomma è uno stile del tutto personale e irripetibile che mai stanca, pur
invitando a soffermarsi sul vero significato di tutte le frasi.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Giuseppe Tomasi di Lampedusa nasce a Palermo il 23 dicembre 1896, da
nobile e antica famiglia, che annovera fra i suoi avi il Principe Giulio
Fabrizio alla figura del quale si sarebbe ispirato nel redigere il suo
unico romanzo "Il gattopardo". E' interessato alla letteratura fin
dall'infanzia, senza che tuttavia pervenga a una produzione letteraria.
Nel 1954 accompagna il cugino Lucio Piccolo al convegno letterario di San
Pellegrino Terme e conosce così personalmente alcuni scrittori,
circostanza che lo induce a scrivere il romanzo a cui pensava da molti
anni e che ultima nel 1956.
Muore a Roma il 23 luglio 1957, dopo che la sua eminente opera è stata
rifiutata sia dalla Mondatori che dalla Einaudi. Grazie a Giorgio Bassani,
il Gattopardo viene pubblicato nel 1958 da Feltrinelli e il successo è
clamoroso.
Renzo
Montagnoli
NORDEST di
Massimo Carlotto e Marco Videtta
- edizioni e/o
Ecco un grande successo editoriale, con più di sessantamila copie vendute,
per un noir magistralmente condotto dall'inizio alla fine.
Racconta del rapporto fra un padre e un figlio, inserito nel contesto
della realtà attuale del Nordest italiano, un territorio fino a poco tempo
fa assai ricco, ma che ora sta vivendo una crisi epocale che ha indotto
gli industriali a trasferire le loro attività in Cina e in Romania.
Nordest parte da un delitto per raccontare la diffusa illegalità che ha
consentito di accumulare grandi fortune, senza rispetto per chiunque e per
il territorio.
E' un romanzo di grande respiro che, pur tuttavia, non affonda il bisturi
nelle problematiche, ma si limita, peraltro assai bene, a evidenziarle. Se
questo può apparire un limite, rappresenta comunque un vantaggio sotto
l'aspetto della leggibilità, non appesantendo la narrazione che scorre
fluida e limpida dall'inizio alla fine.
Per gli appassionati del genere noir, ma non solo per quelli, è un'opera
caldamente raccomandabile.
Renzo
Montagnoli
Gli autori.
Massimo Carlotto nasce a Padova nel 1956 e vive in Sardegna; è autore di
romanzi noir e di racconti per ragazzi, nonché di testi teatrali. Ha
esordito nel 1995 con Il fuggiasco, autobiografia del suo periodo di
latitanza (accusato di omicidio nel 1976 e graziato nel 1995 da Oscar
Luigi Scalfaro); successivamente ha scritto La verità dell'Alligatore, Il
mistero di Mangiabarche, Le irregolari, Nessuna cortesia all'uscita, Il
corriere colombiano, Arrivederci amore, ciao, Niente, più niente al mondo,
L'oscura immensità della morte e Nordest.
Marco Videtta è nato a Napoli nel 1956 e vive a Roma. Ha pubblicato saggi
e articoli su cinema e letteratura. Lavora come sceneggiatore, story
editor e produttore per la fiction televisiva e il cinema.
Nordest è il suo primo romanzo.
Renzo
Montagnoli
Giustizia in prima linea di
Anne Perry - Edizioni Fanucci
Preciso subito che è un thriller avvincente come pochi, ma a differenza di
tutti gli altri ha un pregio forse unico: l'ambientazione del tutto
particolare.
La vicenda, infatti, si svolge nel corso della Prima Guerra Mondiale
principalmente sul fronte delle Fiandre, fra le truppe inglesi accorse a
contenere l'avanzata germanica.
In questo scenario viene commesso un omicidio proprio in prima linea e la
vittima è un giovane e arrogante corrispondente di guerra spintosi oltre i
limiti consentitigli.
Se l'assassino fosse stato un soldato tedesco, sarebbe rientrato
nell'ineluttabilità dell'evento bellico, ma colui che gli ha tolto la
vita, e non per sbaglio, è un militare inglese.
Non ci sono indagini da parte della polizia, ma c'è chi vuole sapere la
verità ed è un cappellano inglese comandato su quel fronte. Dietro
l'omicidio c'è tuttavia una macchinazione quasi infernale che potrebbe
cambiare le sorti del conflitto e gli equilibri mondiali, e in questo
scenario si svolge l'attività investigativa.
La tensione non viene mai meno, dalla prima all'ultima pagina, e l'abilità
dell'autrice è di tenerla viva anche in episodi apparentemente
insignificanti, ma che ci consentono di apprezzare la descrizione della
guerra in trincea, rappresentata con un'efficacia sorprendente.
Il romanzo assume un valore che quindi va ben oltre quello del thriller
vero e proprio per la sua capacità di fornirci, in modo impeccabile e
veritiero, la realtà di un'epoca che, con le sue ripercussioni, ha segnato
in modo indelebile tutta la storia del secolo scorso.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Anne Perry è nata nel 1938 e vive a Londra. E' autrice di diversi gialli
ambientati nell'Inghilterra del periodo Vittoriano; le sue fortune
letterarie sono legate soprattutto alla creazione di due personaggi, gli
ispettori William Monk e Thomas Pitt. Delle sue opere sono state vendute
più di quindici milioni di copie in tutto il mondo. Fra la sua produzione,
tradotta in italiano, degni di nota sono Il battesimo, In un vicolo cieco,
Alto tradimento e, appunto, Giustizia in prima linea.
Renzo
Montagnoli
Tappe della disfatta di
Fritz Weber - Edizioni Mursia
La prima guerra mondiale vide direttamente impegnati, l'uno contro
l'altro, il Regno d'Italia e l'Impero d'Austria, quest'ultimo anche
pesantemente coinvolto nel conflitto con la Russia zarista.
C'è un'abbondante storiografia italiana riguardante quella che fu chiamata
"La Grande Guerra" , pubblicazioni di abbastanza facile reperibilità nelle
librerie; meno facile è trovare qualche opera della parte avversa, degli
sconfitti, e in tal senso c'è da ringraziare la Casa Editrice Mursia che
ha dato alle stampe tre volumetti di Fritz Weber, di cui uno oggetto della
presente disamina.
Il valore di "Tappe della disfatta" sta soprattutto nel fatto che il suo
autore racconta la sua esperienza diretta in questo immane conflitto;
tenente di artiglieria, operò su tutti i settori del fronte: dagli
Altipiani di Folgaria e di Lavarone a quelli dell'Isonzo, dal Pasubio a
Caporetto, fino all'ultima fallita offensiva sul Piave.
Lo stile, sobrio, ma avvincente, fa rivivere nel lettore grandi eventi e
la vita di ogni giorno di questi nostri nemici che certamente penavano al
pari de nostri soldati, verso i quali l'autore ha parole da avversario, da
contendente equilibrato, mettendo in luce le pecche, che non erano poche,
dei nostri alti comandi, ma evidenziando un rispetto profondo per noi
italiani.
Ci sono pagine che fanno rabbrividire e altre che muovono alla commozione,
ma su tutto emerge chiara l'insensatezza di un conflitto come risoluzione
dei problemi.
Non ha forse il carisma di "Niente di nuovo sul fronte occidentale", più
romanzo, per quanto stupendo, ma riesce a delineare con un'efficacia
incredibile il quadro di una guerra
crudele e le fasi del disgregamento di quello che fu il grande impero
austro-ungarico.
Per quanto ovvio, nel descrivere gli eventi si avverte lo spirito di
parte, ma non trascende mai e, soprattutto, non stravolge le verità.
Per gli appassionati di storia della prima guerra mondiale sono dell'idea
che questo libro sia imperdibile.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Fritz Weber (1895-1972). Altre sue pubblicazioni, edite tutte da Mursia,
sono "Guerra sulle alpi" e "Dal Monte Nero a Caporetto".
Renzo
Montagnoli
La regina d'inverno di
B. Akunin Edizioni Sperling & Kupfer
Ci troviamo nella Mosca zarista del 1876; in un parco affollato un giovane
si spara davanti agli occhi di una ragazza che poco prima gli aveva
rifiutato un bacio. E' solo l'inizio di una inquietante catena di suicidi
all'apparenza inspiegabili.
E' così che prende l'avvio questo bellissimo romanzo giallo di B. Akunin,
uno scrittore russo assai conosciuto e stimato nella sua patria, ma anche
molto apprezzato all'estero.
Il testo si snoda con coerenza, logica e colpi di scena fino alla
conclusione finale, attraverso l'indagine di un investigatore , Erast
Fandorin, del tutto particolare, perché alle prime armi e quindi privo di
esperienza, alla cui mancanza supplisce con un acume non comune.
Il pregio dell'opera, però, è un altro: Akunin riesce a realizzare un vero
e proprio miracolo, vale a dire rende possibile e di notevole impatto la
coesistenza fra un genere minore come il giallo e la grande letteratura
russa dell'Ottocento. Il risultato è una stupefacente qualità narrativa
unita al fascino di una trama talmente avvincente che costringe il lettore
a non concedersi un attimo di sosta sino a quando non sarà arrivato alla
fine. Aggiungo che la ricostruzione storica è coinvolgente al punto di
provocare nostalgia per un'epoca in cui non abbiamo certamente vissuto.
Tutto procede con una linearità sorprendente, senza forzature, senza
brusche accelerazioni, in un'atmosfera di raro ed efficace fascino.
Renzo
Montagnoli
L'autore
B. Akunin, il cui vero nome è Grigori Tchkhartichvili, nasce in Georgia
nel 1956. Laureato in filologia e storia orientale, si è specializzato in
lingua e letteratura giapponese. Dal 1958 vive a Mosca.
Saggista, traduttore, narratore, ha pubblicato numerosi romanzi gialli,
alcuni animati dal citato investigatore Fandorin, altri dalla
suora-detective Pelagija.
Renzo
Montagnoli
TRINCEE confidenze di un fante di
Carlo Salsa - Edizioni Mursia
Di romanzi aventi come oggetto la prima guerra mondiale ne sono stati
scritti molti e alcuni hanno ottenuto una fama meritata, come per esempio
il celeberrimo "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria
Remarque. Il secondo conflitto non ha trovato un eguale fioritura di
opere, fatta eccezione da noi per quelle relative alla resistenza. Mi sono
sempre chiesto il perché di questa differenza e penso che il motivo
risieda nella particolare drammaticità di questo evento bellico che, pur
non coinvolgendo, se non sporadicamente, le popolazioni civili, ha mietuto
vittime fra i militari in misura inaudita, a causa di concezioni
strategiche e tattiche obsolete, pur a fronte dei nuovi potenti e
distruttivi mezzi forniti dalla tecnologia.
La guerra in trincea era di per se stessa un inferno per la precarietà dei
ricoveri, per la natura del terreno, per la sempre presente scarsa
considerazione dei combattenti, numeri e non esseri umani, da usare
semplicemente come bestie da macello.
In questo quadro il libro di Carlo Salsa si differenzia dagli altri per la
sua struttura e, più che un romanzo, può essere considerato una
testimonianza scritta di vita vissuta; nulla a che fare con un diario,
tuttavia, perché l'intreccio, la trasposizione degli eventi sono propri
del romanzo, anche se la narrazione in prima persona, l'emozione
effettivamente provata ne danno una luce tutta sua e notevolmente
esplicativa di quella che doveva essere l'angoscia che tormentava di
continuo i soldati, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Scritto con sobrietà, senza mai cedere nulla alla retorica, né cercar di
muovere a facili pietismi, è un affresco di rara bellezza di un evento
tragico che ha segnato un'epoca e una generazione; non vi sono certo
trionfalismi, ma la sofferta consapevolezza dell'assurdità della guerra,
che distrugge le cose, gli uomini e, questi, anche dentro.
Preciso che l'intenzione, più che riuscita, dello scrittore non è tanto
quella di portare alla commozione il lettore, ma di farlo riflettere sui
veri valori della vita, così vilipesi e calpestati dall'orrore dei
conflitti. E a tal proposito ben scrive Carlo Salsa nella sua introduzione
"E allora, se la guerra dev'essere una partita d'interesse, si sappia
cos'è. Nel preventivare le passività, si approfitti della ragioneria e si
lasci da parte la retorica".
Renzo
Montagnoli
L'autore
Carlo Salsa (1893 - 1962) chiamato alle armi nel 1914, all'inizio della
Prima guerra mondiale fu inviato subito sul fronte del Carso, quale
tenente di fanteria; combatté sempre in prima linea, fu ferito e infine fu
fatto prigioniero dagli austriaci.
Nel 1929 fondò con Leonida Rèpaci e Alberto Colantuoni il Premio
Viareggio.
Renzo
Montagnoli
Indietro Savoia! di
Lorenzo Del Boca - Edizioni Piemme
Da che mondo è mondo la storia è sempre stata insegnata secondo le
esigenze della classe dominante.
A questa verità non poteva sfuggire, pertanto, anche il nostro paese e a
tante menzogne che ancor oggi vengono propinate sui banchi di scuola ha
cercato di porre rimedio Lorenzo Del Boca, con questo piacevole volumetto
che tratta del nostro periodo risorgimentale.
Che Carlo Alberto fosse re tentenna lo sapevamo tutti, ma che poi fra le
sue caratteristiche ci fosse anche la vigliaccheria e la cattiveria ci è
sempre stato taciuto. E la più volte ripetuta ferocia austriaca durante le
cinque giornate di Milano? Radetzky, che peraltro era sposato a
un'italiana di umili origini, avrebbe potuto tranquillamente bombardare la
città e invece non lo fece, perché quella era la sua città.
Un altro personaggio chiave, sempre descrittoci come eroico e glorioso,
cioè Vittorio Emanuele II, altri non era che un donnaiolo impenitente di
bocca buona, per nulla coraggioso, al punto da nascondersi durante le
battaglie della II Guerra d'Indipendenza, e per di più anche disonesto;
fra l'altro lui sì che fece bombardare Genova nel 1849, soffocando nel
sangue una pacifica manifestazione di protesta dei cittadini di quella
città.
Le chicche più ghiotte, però, si leggono relativamente alla leggendaria
impresa dei mille, con un Garibaldi ben diverso da quello della
storiografia ufficiale, mai in prima linea e in ogni caso non a cavallo, a
causa di un'artrosi che lo affliggeva da anni e che gli impediva di stare
in sella.
L'epica battaglia di Calatafimi, dove le camicie rosse, sparute di numero
e male armate, mettono in fuga un esercito borbonico di 100.000 soldati
ben addestrati, mi aveva reso dubbioso fin dalle elementari ed ecco
spiegati i motivi della grande vittoria: corruzione fra gli alti dignitari
e ufficiali del Regno delle due Sicilie, abilmente messa in atto da Cavour
attingendo alle risorse della Lombardia da poco conquistata.
Meno noto e veramente increscioso fu poi il trattamento riservato dalle
truppe piemontesi alla povera gente del sud che, tartassata da tasse e
balzelli, sognava il ritorno dei Borboni.
La storiografia ufficiale parla di guerra al brigantaggio e invero qualche
brigante esisteva in meridione, ma non tale da giustificare l'uccisione di
circa 200.000 civili, la distruzione di villaggi, la violenza alle donne.
Non vado oltre per non anticipare le risposte alle domande che molti si
porranno; mi limito a dire che è un libro che consiglio vivamente, sia per
la sua facile lettura, sia perché la ricerca della verità dovrebbe essere
propria di ognuno di noi.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Lorenzo Del Boca è giornalista di professione e dal 2001 Presidente
dell'Ordine dei Giornalisti. Ha scritto altri saggi storici, fra i quali
Maledetti Savoia e Il dito dell'anarchico.
Renzo
Montagnoli
L'oscura immensità della morte di
Massimo Carlotto - Edizioni e/o
Non avevo letto mai nulla di Massimo Carlotto, ma incuriosito dalla sua
vicenda giudiziaria, talmente nota che non è necessario dica oltre, ho
voluto conoscere almeno una delle sue opere.
L'oscura immensità della morte è forse uno dei suoi migliori romanzi, a
quel che mi si dice; non sono in grado di confermare, ma di una cosa sono
sicuro: è un'opera di notevole livello, che, al vantaggio di leggersi con
facilità, unisce anche lo stimolo a profonde riflessioni sui rapporti fra
gli uomini, sulle loro reazioni agli avvenimenti che li toccano
direttamente, lasciando un segno incancellabile sulla loro psiche.
In breve il tutto nasce da una rapina dove vengono uccisi da uno dei due
banditi due innocenti, madre e figlio. Uno dei malviventi viene arrestato
e condannato all'ergastolo, l'altro invece fugge e resta in libertà.
Quindici anni dopo l'omicida, affetto da un cancro inguaribile, chiede la
grazia e quindi il perdono del marito e padre delle vittime, un uomo ormai
prigioniero della solitudine e della memoria, con sempre impresse nella
mente le ultime parole di sua moglie "E' tutto buio, Silvano. Non vedo più
nulla. Ho paura, ho paura, è buio."
Non vado oltre per non togliere il piacere al lettore di scoprire come si
evolverà la vicenda, dove, pur negli stilemi di un "noir", si è indotti a
profonde riflessioni sulla vita e sul concetto di giustizia, con una
narrazione essenziale, incalzante e incisiva, ma non per questo meno
coinvolgente. Carlotto come scrittore ha il dono dell'immediatezza, cioè
riesce a trascinare il lettore nelle spire della trama, rendendolo di
fatto partecipe fino a immedesimarsi prima con l'uno e poi con l'altro dei
due personaggi principali, che non sono altro che le rispettive immagini
speculari.
Alla vicenda fa da sfondo una città del Nordest, in cui tutto è regolato
dall'ipocrisia, in particolare da quella dai mass-media, ossessivi e
implacabili nell'imporre il loro concetto di giustizia, ma anche
propinatori di illusioni alle quali i due protagonisti non si sottraggono.
L'oscura immensità della morte è un romanzo di grande respiro, una sorta
di compendio dei molti difetti e dei pochi pregi della società in cui
viviamo.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Massimo Carlotto nasce a Padova nel 1956; è autore di romanzi noir e di
racconti per ragazzi, nonché di testi teatrali. Ha esordito nel 1995 con
Il fuggiasco, autobiografia del suo periodo di latitanza (accusato di
omicidio nel 1976 e graziato nel 1995 da Oscar Luigi Scalfaro);
successivamente ha scritto La verità dell'Alligatore, Il mistero di
Mangiabarche, Le irregolari, Nessuna cortesia all'uscita, Il corriere
colombiano, Arrivederci amore, ciao, Niente, più niente al mondo, L'oscura
immensità della morte e, con Marco Videtta, Nordest.
Renzo
Montagnoli
Il rosso e il nero di
Stendhal - Edizioni Einaudi
Benché questo romanzo sia stato pubblicato per la prima volta nel lontano
1830, è di un'attualità incredibile per l'ambientazione nella Francia
della Restaurazione e le analogie con i tempi correnti sono più d'una.
Caduti i sogni di libertà e di uguaglianza della rivoluzione ritorna il
conservatorismo ancor più meschino di prima, per effetto di una classe
sociale rampante quale quella borghese e per l'innato desiderio di
rivincita dei nobili. Fioriscono così intrallazzi di ogni genere e sempre
più conta ciò che appare, e non ciò che è realmente.
Il protagonista, Julien Sorel, è un giovane avventuroso, romantico, ma
calcolatore; di classe sociale inferiore, cerca di emergere, ma è un uomo
del suo tempo, con tutte le relative contraddizioni, e così alterna amori
passionali a freddi calcoli, in una continua sfida con se stesso e la
società che vorrebbe conquistare, fra traguardi raggiunti con forzature
della personalità, fino al tragico esito finale.
Considerato il miglior romanzo di Stendhal e imbastito su un fatto
accaduto veramente è di lettura abbastanza facile, nonostante lo stile
inevitabilmente datato.
Al di là della vicenda, riveste un sicuro interesse soffermarsi, pagina
dopo pagina, sulla straordinaria abilità dell'autore nel tratteggiare le
contraddizioni del cuore, nel sondare con mano leggera, ma precisa,
l'animo dei personaggi, talmente ben delineati che sembrano scorrere via
via dinanzi ai nostri occhi, in un caleidoscopio di eventi apparentemente
normali, ma che sono il frutto del costante divenire delle volontà
contorte dei protagonisti.
Non vi sono mai cadute di ritmo, anche quando frequenti sono gli
interventi del "Dio narrante" (una straordinaria invenzione di Stendhal,
in veste di divinità che conosce i più nascosti pensieri dei personaggi),
e anzi sono inseriti con una precisione e una tempestività eccezionali, al
fine appunto di snellire il testo, che in altre mani sarebbe probabilmente
risultato ampolloso e prolisso.
L'abilità di Stendhal è di calare gradualmente il lettore nella vicenda,
sì da farlo divenire un testimone diretto, con un coinvolgimento emotivo
di rara efficacia e bellezza.
Così le pagine scorrono l'una dopo l'altra con una piacevolezza che ci fa
dimenticare il passare del tempo; non si creda, però, che si tratti di un
romanzo da divorare, da leggere nell'arco di poche ore, perché tante sono
le riflessioni a cui muove e che necessitano di opportuni, anche inconsci,
approfondimenti.
Resta, comunque, il fatto che la narrazione continua a sorprendere per
spontaneità, coerenza e logica, tre elementi che da soli ne sancirebbero
il successo.
E anche il finale, che ovviamente non anticipo, giunge con una naturalezza
sorprendente; benché lo si indovini, riesce a stupire per il calcolo
esatto dei tempi: nessuna forzatura, nessun stravolgimento, ma la
conclusione logica del divenire delle cose, come voluto dal protagonista.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle, nasce a Grenoble il 23 gennaio 1783 e
muore a Parigi il 23 marzo 1842. Convinto sostenitore della rivoluzione,
alla caduta di Napoleone assume un atteggiamento di condiscendenza con la
restaurazione intervenuta, in contrasto con le sue idee, ma indispensabile
per poter vivere; preferisce soggiornare lontano dalla Francia, in Italia,
dove svolge l'attività di Console, di scarso interesse, ma abbastanza
remunerativa per consentirgli di dedicare la maggior parte del suo tempo
alla narrativa. Fra le sue opere ricordiamo Lucien Leuwen, Cronache
italiane, La badessa di Castro, Dell'amore, la Certosa di Parma e la sua
migliore, appunto Il rosso e il nero.
Renzo
Montagnoli
Tre semplici sconosciuti di
Andrea Franco - Edizioni traccediverse
Si tratta di sei racconti, opera prima dell'autore, caratterizzati, tutti,
dalla ricerca dei protagonisti di risposte valide ai tanti perché che
ognuno si pone di fronte ad avvenimenti che segnano indelebilmente la
vita.
E' quindi una ricerca interiore, un'indagine svolta addentrandosi nei lati
più nascosti dell'animo.
"Colori" è un vero e proprio itinerario che si svolge nell'inconscio, "Il
vecchio che parla" è un'analisi della memoria, "La prima volta",
particolarmente struggente, è l'emozione intensa del sentimento provato
per la morte della persona amata, "Moriresti per me?" è un viaggio
allucinante dentro chi sa di essere affetto da un male incurabile, "La
forma del pensiero" è una storia altamente drammatica, dove l'antitesi fra
realtà e immaginazione trova un suo necessario punto di coesione e una
logica stringente, "Tre semplici sconosciuti", il racconto che ha dato il
titolo al volume, è una riflessione attenta sui rapporti interpersonali.
La vena malinconica è sempre presente, anche se è misurata, dosata in modo
tale da non far indulgere con facilità alla commozione, perché lo scopo
dell'autore è quello di far meditare il lettore su circostanze, eventi
reali, e sulle loro implicazioni sull'animo umano.
Scritto con sobrietà, senza forzature, è una piacevole lettura che alla
fine fa assumere la consapevolezza di quanto ancora ci sia da scoprire
guardando dentro noi stessi.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Andrea Franco è nato a Ostia il 13 gennaio 1977; si occupa, in ambito
universitario, di filologia e linguistica; grande appassionato di musica,
suona il pianoforte, esibendosi con buoni risultati in balere e componendo
brani per voce e strumento solista (fisarmonica e sax).
In internet ha pubblicato diversi racconti che si possono trovare su
Progetto Babele e su La Tela Nera.
Renzo
Montagnoli
Dall'ultimo leggio di
Cinzia Pierangelini - Edizioni
traccediverse
Undici racconti brevi, undici personaggi diversi accomunati dalla
difficoltà di vivere.
Cinzia Pierangelini, in questa sua opera prima, ha saputo tratteggiare con
rara maestria
ed efficacia delle vicende forse del tutto normali, ma accompagnandole con
un tocco di grazia che le fa assurgere a emblemi dell'esistenza.
I protagonisti, normalissimi individui che ci è dato di incontrare ogni
giorno, assumono così la veste di personaggi, emergendo dalla loro
anonimità, in un trionfo dell'essere "qualunque" , vero tessuto connettivo
di una società.
Lo stile è sobrio, non ridondante, con descrizioni ben congegnate
dell'ambiente e dell'atmosfera, senza tuttavia togliere nulla alle
possibilità del lettore di fantasticare, immedesimandosi con naturalezza
nei protagonisti.
All'autrice va poi riconosciuto il particolare pregio di trattare le sue
"creature" con tono pacato, senza mai enfatizzarle, senza accentuare
l'aspetto doloroso di talune che ben avrebbero potuto invogliare a
citazioni retoriche.
Si snoda così una galleria di personaggi imprigionati dalla loro
condizione, di cui a volte riescono a liberarsi e altre invece no, in
completa naturalezza, perché la vita è così.
Ecco allora la vicenda della prostituta Salomè, redenta dal caso, oppure
quella della vecchia che non si rassegna ad avere un futuro diverso dalla
morte.
E ogni volta vengono ricreate atmosfere diverse, come in "Settecani",
quasi una favola, dove la maturazione di un bambino alle prese con un
diverso è raccontata con delicatezza, quasi con pudore.
Non è che gli altri otto racconti siano da meno, anzi presentano
suggestioni variegate di questa difficoltà di vivere, situazioni in cui
ognuno di noi potrà in parte ritrovarsi.
E' una lettura a cui è veramente piacevole abbandonarsi, facilitata anche
dalla brevità dei singoli brani; si giunge così in poco tempo all'ultima
pagina, con il solo rammarico di aver terminato.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Cinzia Pierangelini è nata nel 1963 a Messina, dove vive e svolge
l'attività di docente e violinista. Ha iniziato a scrivere solo nel 2004,
realizzando così un progetto che si portava dall'adolescenza.
Molti suoi lavori sono editi in antologie e in e-book.
Dall'ultimo leggio è la sua prima raccolta di racconti.
La luna e i falò di
Cesare Pavese - Edizioni Einaudi
Cesare Pavese ha scritto questo romanzo nella seconda metà del 1949 e la
pubblicazione è avvenuta nell'aprile del 1950, quattro mesi prima del suo
suicidio.
Con questa premessa "La luna e i falò" rappresenta un vero e proprio
testamento spirituale, un'opera complessa densa di significati e un
messaggio di speranza per un mondo nuovo.
Il protagonista, Anguilla, è un bastardo cresciuto nella miseria
dell'anteguerra e che ritorna nel suo luogo di origine, un paese delle
Langhe, a conflitto terminato, dopo aver fatto fortuna in America.
Il romanzo viaggia su due piani paralleli che si intersecano mirabilmente:
uno è quello del passato, con velati rimpianti a un'epoca sì di stenti, ma
anche di traboccanti entusiasmi giovanili; l'altro è il presente con
l'incontro del suo amatissimo amico e maestro Nuto.
Insieme i due ripercorreranno il passato e ne faranno una comparazione con
il presente.
I dialoghi con Nuto, già partigiano e ora marxista non politicizzato, sono
oggetto di profonde riflessioni, dove il personaggio dell'amico
rappresenta la logica coerente dell'anima, ben conscia che in una guerra
civile ci sono ragioni dall'una e dall'altra parte che non possono essere
trascurate se la vita deve continuare senza le premesse di un nuovo
conflitto.
In questo quadro si innesta il messaggio di speranza dell'autore;
Anguilla, infatti, identifica il futuro con il personaggio di Cinto,
l'orfano storpio che abita nella sua vecchia casa e in cui idealmente si
rivede.
La menomazione gli impedirà, a differenza di come ha fatto lui, di fuggire
da questo ambiente di miseria e di conoscere il mondo, ma proprio perché è
di una generazione che non deve fare i conti con la guerra è puro,
incontaminato da una tragedia che invece, in un modo o nell'altro, ha
segnato indelebilmente chi l' ha vissuta.
Sotto l'aspetto dello stile narrativo, la descrizione del paesaggio, della
miseria che in alcuni casi può portare alla follia è quanto di più
efficace abbia mai letto.
I personaggi vengono delineati con brevi e concise frasi e i dialoghi fra
Anguilla e Nuto hanno il pregio di creare un'atmosfera che coinvolge il
lettore, rendendolo partecipe, quasi presente.
Ne "La luna e i falò", inoltre, i riferimenti autobiografici, già presenti
nelle opere precedenti, assumono una connotazione maggiore, quasi
preponderante, così che non è difficile identificare, per certi versi, il
personaggio di Anguilla con lo scrittore.
Si tratta quindi di un'opera complessa, dove la maturità artistica di
Pavese raggiunge il suo punto più elevato e dove probabilmente ha detto
tutto quello che aveva da dire, un testamento inconscio di chi non si
sentiva più parte di un certo mondo, al punto di togliersi da lì a poco la
vita.
Renzo
Montagnoli
L'autore
Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paese
delle Langhe in provincia di Cuneo. Il padre muore quasi subito e questa
scomparsa inciderà profondamente sul suo carattere, già di per se stesso
introverso. Svolge l'attività di traduttore, facendo conoscere i grandi
autori americani, e, nel frattempo, comincia a scrivere. Antifascista, più
su un piano culturale che politico, viene condannato nel 1935 a tre anni
di confino, di cui poi ne sconterà solo uno per intervenuta grazia. Questa
esperienza, tuttavia, sarà per lui ancor più sconvolgente perché nel
periodo di lontananza finirà l'unico vero amore della sua vita.
L'introversione si accentua e si accompagna a ricorrenti crisi religiose e
politiche, emarginandosi di fatto dalla realtà. Muore a Torino il 27
agosto 1950 ingerendo una forte dose di barbiturici.
Fra la sua produzione letteraria si ricordano la sua opera prima "Il
carcere", "La casa in collina", "Dialoghi con Leucò", "Verrà la morte e
avrà i tuoi occhi", "Prima che il gallo canti", "La bella estate", "Il
mestiere di vivere" e appunto "La luna e i falò", tutti pubblicati da
Einaudi, alla cui fondazione nel 1933 contribuisce l'autore stesso, grande
amico di Giulio Einaudi.
Renzo
Montagnoli |