Storia di Neve
di Mauro Corona Edizioni
Mondadori
Narrativa romanzo
Raramente mi è capitato di leggere un romanzo così lungo (817
pagine), eppure così intenso.
Vi è assicuro che è un'esperienza altamente coinvolgente, al punto
tale che come si inizia la lettura si desidererebbe andare sempre
avanti, senza mai fermarsi, per giungere alla fine. Va da sé che
invece sono necessarie delle interruzioni, anche per riflettere e
spunti e motivi ce ne sono in abbondanza.
Il teatro della rappresentazione è come al solito Erto, il paese
natio, ma la vicenda, questa storia di Neve Corona Menin, l'unica
bimba nata nel gelido inverno del 1919, è qualche cosa di
straordinario, come del resto lo è la protagonista. Sospeso fra
realtà e fantasia, con escursioni anche nel campo dell'horror, il
romanzo ha una forza travolgente, grazie a un testo vitale e
particolarmente suggestivo.
Neve è la parte buona della strega Melissa, tornata nel mondo per
porre rimedio ai torti commessi in vita, una specie di santa in
grado di miracolare, come in effetti ogni tanto fa, ma vittima della
cupidigia del padre teso ad arricchirsi grazie alle straordinarie
qualità della figlia, in un egoismo cieco e sordo, che porterà a una
serie di disgrazie e di delitti di raccapricciante efferatezza.
Il contrasto fra l'essenza spirituale della fanciulla e la
bestialità materiale del genitore riesce a dare all'opera quella
continuità logica che è indispensabile per sostenere l'impatto con
una storia particolarmente lunga.
In questo contesto si inserisce la vita del paese, la coralità dei
suoi abitanti nei riti annuali della primavera e dell'autunno, nella
fienagione e nel taglio delle piante, nelle sere trascorse
all'osteria, un microcosmo reale, pulsante di umori, anche
primitivo, talvolta violento e chiuso, oltre che omertoso.
I caratteri dei personaggi, le descrizioni delle stagioni, le pagine
dedicate ai rigidi e nevosi inverni sono tutti elementi che
nobilitano questo romanzo.
Pur se la vicenda di fantasia è preminente, si rimane stupiti di
fronte alla soavità, quasi poetica, che l'autore dedica a immagini
della natura, con albe, tramonti, i vortici del fiume Vajont, le
cime, i boschi, una sorta di concerto che accompagna tutta l'opera.
Nell'insieme Corona è riuscito a mantenere in adeguato equilibrio la
violenza e la bontà, l'orrore e la nobiltà dei sentimenti, un gioco
difficile e anche pericoloso condotto tuttavia con mano sicura dalla
prima all'ultima pagina.
Chiuso il libro ci si sente come frastornati dalla forza della
macchina narrativa, ma è solo un momento, perché ci si accorgerà ben
presto che questa splendida storia lascia dentro un senso di grande
serenità e di Neve serberemo il ricordo come della parte migliore di
ognuno di noi, quella platonica ingenuità infantile non condizionata
dalla realtà e di grande aiuto per superare gli scogli della vita,
pur se rifugiandosi solo in un sogno.
Storia di Neve è un libro magico.
Mauro
Corona
(Pinè, 9
agosto 1950
nasce sul carretto dei genitori friulani Domenico Corona e Lucia
Filippin, venditori ambulanti, sulla strada che da
Pinè
porta a
Trento.
Dopo i primi anni dell'infanzia passati in
Trentino
ritorna con la famiglia a Erto, il paese d'origine.
Lì vive in prima persona la
tragedia del
Vajont. Ha ereditato dal nonno
scultore
la passione per il
legno e
dal padre
cacciatore
la passione per le
cime.
Corona è uno dei più apprezzati scultori lignei contemporanei, noto
a livello europeo. Inoltre si dedica all'arrampicata
(ha aperto numerosi percorsi sulle
Dolomiti)
e alla
scrittura.
Molti suoi romanzi sono stati tradotti in diverse lingue fra cui il
cinese.
Ha scritto:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998
&
2008),
vincitore del Grinzane Cavour 2008
Finché il cuculo canta (1999)
Gocce di resina (2001)
La montagna (2002)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
Storie del bosco antico (2005)
L'ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005
&
2007)
Vajont: quelli del dopo (2006)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi(e un corvo) (2007)
vincitore del premio Itas “Cardo d’argento 2008”
Storia di neve (2008)
Sito web dell'autore:
www.maurocorona.it
Renzo Montagnoli
'A JATTA di
Cinzia Pierangelini Edizioni GBM
Narrativa romanzo
C'è qualche cosa che assilla Alfredo, pensionato e scapolo
impenitente, lungo tutto l'arco della giornata e che gli impedisce
perfino di dormire, è un tarlo che lentamente rosicchia la sua vita
e che gli propone di continuo il bilancio dell'esistenza. Quello che
lui non vuole ammettere è che ormai è in preda alla solitudine, un
sentimento di scoramento che, persi gli ardori giovanili, lo fa
sentire nel deserto di una casa vuota e anche l'amico più fidato che
decide di punto in bianco di sposarsi è un'ulteriore spina che si
conficca profondamente nel cuore, ampliando il senso di smarrimento
che si impadronisce di lui e che gli fa perdere la memoria, perché
tanto di importante c'è poco da ricordare.
Andrea, invece, più giovane e determinato, corona il desiderio da
tanto tempo agognato di concretizzare quella natura profondamente
femminile che si porta fin dalla nascita pur nei panni di un
maschio. Gli interventi chirurgici che lo trasformano in femmina,
una bella femmina peraltro, gli acuiscono però quel senso di
incompletezza che potrebbe essere colmato solo con l'incontro con un
uomo, di modo che l'amore, quello vero, costituisca il punto di
arrivo e di ripartenza della sua vita.
I due personaggi, non atipici, soprattutto Alfredo, per uno strano
scherzo del destino finiranno per incrociare le loro strade e dopo
alterne vicende confluiranno in unico percorso che darà un senso a
tutta la loro vita.
Questo secondo romanzo di Cinzia Pierangelini, dopo il convincente
Eraclito e il muro, sempre edito da GBM, conferma le buone
capacità narrative dell'autrice che riesce a confezionare una storia
che si snoda senza intoppi e nel complesso convincente.
L'ambientazione è ancora una volta quella della provincia siciliana,
tanto che non è infrequente il ricorso a un fraseggio in dialetto,
volto più che altro a dare spessore a certe situazioni o
affermazioni.
La trama è anche una schermaglia amorosa, in cui si inserisce un
terzo incomodo, Giorgio, un violoncellista di fama internazionale
che s'innamora di Andrea, provocando la gelosia di Alfredo, con
tanto di ansie e tormenti.
Troviamo così alcune tipicità dell'autrice, come appunto la figura
del musicista, con delle belle descrizioni delle esecuzioni di brani
classici, e anche l'amore per gli animali, tanto che Andrea nutre
una vera passione per i cani, un affetto materno che riversa su di
loro consapevole che la trasformazione che l'ha resa donna
esteticamente non potrà mai darle la gioia di un figlio.
Ma il titolo che c'entra con la storia?
'A jatta, cioè la gatta, è l'unica compagnia, peraltro mal
sopportata da Alfredo, a cui è pervenuta in eredità; la bestia, che
apre e chiude il romanzo, è di indolente natura, ma i progressivi
mutamenti del padrone la porteranno a ricercare l'amore di un altro
suo simile. Ci riuscirà e lei e i piccoli, frutto di una
scappatella, troveranno l'affetto di Andrea e di Alfredo.
Scritto con l'italiano corretto e ormai non consueto che è proprio
dell'autrice, 'A jatta è un romanzo che corre sicuro su
binari stilisticamente apprezzabili e che risulta di assai piacevole
lettura, tanto che lo consiglio vivamente.
Cinzia Pierangelini è nata nel
1963 a Messina, dove vive e svolge l'attività di docente e
violinista. Ha iniziato a scrivere solo nel 2004, realizzando così
un sogno che si portava dietro sin dai tempi dell'adolescenza.
Ha pubblicato: Dall'ultimo leggio, raccolta di racconti, ed.
traccediverse - Eraclito e il muro, romanzo ed.GBM - 'A jatta,
romanzo ed. GBM - Draghia, romanzo fantasy. In uscita Il professor
Scelestus - romanzo fantasy per ragazzi. Suoi racconti e poesie si
trovano nelle antologie. Noir. Quindici passi nel buio; Il mio mare;
Libera uscita; Femmine, Concorso di emozioni, Corrispondenze di
sensi; Siculiana. Una fiaba per Gramos, antologia a scopo benefico
ed. Lulu. Il racconto Il piromane vincitore del concorso
Writers-Magazine 2007 e il racconto Non c'è musica sono stati
pubblicati dalla rivista Writersmagazine. Tutti i colori dei
bambini,antologia a scopo benefico ed.Montag
Renzo Montagnoli
Michelangelo. La
grande ombra di Filippo Tuena
Fazi Editore
Narrativa romanzo
Leggere un libro di Filippo Tuena è sempre un'esperienza del tutto
particolare, perché si può star certi, ogni volta, di trovarsi di
fronte a una spiccata originalità, sia come struttura che come
stile, entrambi mai ripetitivi.
La sua espressione artistica, infatti, non è mai rivolta a
soddisfare il gusto di un pubblico assuefatto a modi di scrivere
tradizionali, ma è il frutto di una ricerca che se nelle prima
pagine può disorientare finisce poi con lo stupire, il meravigliare,
perché non c'è nulla come la novità che possa veramente colpire il
lettore attento.
Inoltre ci si accorgerà che successive riletture faranno scoprire
nuovi motivi di riflessione, mantenendo inalterato il gradimento
dell'opera.
Tuena, per parlarci di un Michelangelo al termine della sua vita,
avrebbe potuto scrivere un romanzo tipicamente storico, magari
avvincente, e invece ha saputo costruire una narrazione che
travalica i limiti propri di quel genere, offrendoci non solo un
affresco di pregevole fattura, ma un'approfondita disamina dei
rapporti fra arte e potere e tra disfacimento senile e decadenza di
un periodo storico di grande rilievo quale fu il Rinascimento.
Con queste finalità imbastisce un tessuto letterario che prende
spunto da una domanda: perché l'ormai anziano, quasi inabile
Michelangelo rifiutò i pressanti inviti di Cosimo de' Medici a
rientrare a Firenze? Che cosa determinò in lui la ferma decisione di
non fare ritorno in patria e di morire così a Roma?
Si tratta di un quesito senza apparente risposta, tanto che si
potrebbe pensare alle bizze di un vecchio, oppure addirittura a un
pretesto dell'autore per imbastire il solito romanzo storico, e
invece ci troviamo fra le mani un'opera dai mille risvolti, da
finalità che a primo colpo non si scorgono, ma che nel loro insieme
danno corpo e sostanza a un lavoro di straordinaria qualità.
Filippo Tuena infatti rivela ancora una volta la capacità di
stupire, di essere artista alla ricerca dell'originalità dei propri
lavori, tanto che non si smentisce con questo Michelangelo La
grande ombra, già uscito otto anni fa sempre per i tipi di Fazi
e ora in un'edizione rinnovata non solo nella veste, ma anche con
modifiche e implementazioni.
L'autore si pone la domanda e cerca la risposta avviando un'indagine
che vede protagonisti, di volta in volta, chi conobbe Michelangelo
negli ultimi anni della sua vita, nomi talora famosi, come lo stesso
Cosimo de' Medici o Giorgio Vasari, tanto per citarne due, e altri
meno noti, ma non per questo meno importanti per giungere al
risultato principale, nonché per affrontare altri argomenti di
interesse più generale.
Come le pietruzze, sapientemente accostate l'una all'altra, vanno a
formare un mosaico, le testimonianze sono singole voci di un coro e
con le loro specificità danno vita a un ritratto incredibilmente
palpitante del grande pittore e scultore fiorentino.
Un uomo, esso, affetto da profonda solitudine, propria solo dei
grandi geni che si sentono lontani dalla quotidianità degli altri
uomini, impossibilitati a condurre un'esistenza normale; è una
solitudine che al contempo esalta la sua arte, ma che anche lo
isola, gli fa avvertire fortemente come la creatività sia
concepibile solo con la massima astrazione e l'altrettanto massima
libertà.
Michelangelo non torna a Firenze perché Cosimo de' Medici
rappresenta il potere, il principe che pretende la proprietà
intellettuale di quell'opera d'arte che l'artefice invece sente solo
sua.
Ma dal coro di voci, costituite da uomini con inevitabili pregi e
difetti, quali l'invidia, il malanimo, emerge anche un altro
elemento che, oltre a connotare la fase di declino del Rinascimento,
proietta la specie umana ai nostri giorni, con gli stessi vizi e le
stesse virtù, comuni dei mortali e che nulla contribuiscono
all'accrescimento di valori della specie stessa.
Tuena non disprezza questi personaggi, anzi conferisce loro una
propria dignità, facendoli anche portavoce di riflessioni su cui il
lettore è indotto a soffermarsi, perché risultano tipiche
dell'esistenza e quindi sempre di attualità. Al riguardo trascrivo
alcune righe della testimonianza del poeta Giovan Battista Strozzi,
righe che danno la misura di ciò che l'uomo pensa e sente quando
avverte il declino della vita " Mi si viene a dire che
Michelagniolo ha compiuto una scelta simile. O, non parlo di palazzi
affrescati, di broccati, di arazzi. Del lusso, in una parola. Ma
parlo del buio di una stanza, del rinchiudersi in se stesso, del
cercare in sé la verità che fuori ci appare artefatta. Mai più
grandi sepolture per le morti altrui; mai più affreschi per altri
edifici. Tutto per sé è quello che produceva."
E' tutto un susseguirsi di opinioni, e anche di supposte verità, di
autoreferenzialità, ma pure di profonda convinzione dei propri
limiti; sono personaggi che riemergono dalle tenebre, si agitano,
ricorrono a un linguaggio che l'autore di fatto ha inventato (una
sorta di gradevole commistione tra rinascimento e moderno), operano
freneticamente come tante formiche all'ombra del genio, ammiratrici,
ma anche invidiose, perché incapaci di comprendere che cosa ci sia
realmente al fondo della creazione di quei capolavori. Quei
monumenti, quegli edifici, quelle statue che non finiscono di
sorprendere sono al tempo stesso l'estasi e il tormento di un autore
la cui genialità è tale da rendergli impossibile la convivenza con i
comuni mortali.
Da questo libro, quindi, emerge non solo l'eterno contrasto fra
potere e libertà artistica, ma scaturisce anche un ritratto
veritiero, spesso impietoso, della condizione umana, di una specie
dotata del bene dell'intelletto, eppure così fragile, così immatura
da non riuscire a comprendere nemmeno se stessa.
Ci si chiederà comunque perché il titolo sia Michelangelo La grande
ombra. Che cos'è quest'ombra? E' quella in cui agiscono gli artisti
dell'epoca inferiori al genio che brilla di luce propria, o è
qualche cosa d'altro?
Se consideriamo già le pagini iniziali, con un Cosimo de' Medici
emiplegico, con un filo di bava che gli scende da un angolo della
bocca, quasi un cadavere vivente, ma conscio del suo stato, e se poi
leggendo percepiamo nelle risposte degli altri intervistati il
timore, sempre latente ma che riemerge nell'occasione, della
naturale conclusione della vita umana, a cui non pochi sono
prossimi, o addirittura vi sono già giunti, emerge prepotente
l'atmosfera dell'ombra della morte che aleggia su tutto, a riprova
che la caducità è propria di tutti uomini, geni o sconosciuti che
siano.
In questo quadro di dolorosa, ma naturale angosciante incertezza per
il dopo, si viene così a delineare anche la decadenza di un periodo
storico così importante per le arti quale fu il Rinascimento. Del
resto i frutti, ormai marcescenti, del Concilio di Trento
arriveranno non solo a condizionare la vita degli uomini, ma anche a
creare un'epoca di illiberalità, una sorta di reazione metodica e
oppressiva, di cui anche Michelangelo, ormai defunto, fu vittima,
visto che si decise, con una stoltezza che si commenta sé, di metter
le braghe alle figure ignude del Giudizio Universale.
Nella lotta fra libertà creativa e potere temporale quest'ultimo
riprese il sopravvento, ma, per sua fortuna, Michelangelo già non
c'era più.
Filippo Tuena è nato a Roma nel
1953 e vive a Milano. E' laureato in Storia dell'arte.
Ha pubblicato:
Il tesoro dei Medici (Giunti Art & Dossier, 1987); Lo sguardo della
paura (Leonardo, 1991), Premio Bagutta Opera Prima; Il tesoro dei
Medici (De Agostani, 1992), in collaborazione con Anna Maria
Massinelli; Il volo dell'occasione (Longanesi, 1994); Il diavolo a
Milano (Ikonos, 1996); Cacciatori di notte (Longanesi, 1997); Tutti
i sognatori (Fazi, 1999), Premio Super Grinzane-Cavour; La grande
ombra (Fazi, 2001); La passione dell'error mio. Il carteggio di
Michelangelo (Fazi, 2002); Quattro notturni (Aletti, 2003); Il volo
dell'occasione (Fazi, 2004), nuova edizione; Le variazioni Reinach
(Rizzoli, 2005), Premio Bagutta; Il diavolo a Milano - nuova
edizione e Fantasmi di Schumann a Manhattan (Carte Scoperte, 2005);
Michelangelo. Gli ultimi anni (Giunti Art & Dossier, 2006); Ultimo
Parallelo (Rizzoli, 2007), Premio Viareggio.
Sito web:
http://digilander.libero.it/filippotuena/
Renzo Montagnoli
Prima di sparire
di Mauro Covacich ed. Einaudi “I
coralli”
Romanzo –Narrativa
“Vedi non l’hai uccisa, l’hai solo abbandonata. Adesso devi trovare
la forza di non tornare più”.
Questa storia viene considerata così viva da farne un libro
straziante sul desiderio e sull’abbandono. Lo scrittore riesce a
trasformare un fatto assolutamente privato in una vicenda di tutti,
è il caso in cui la scrittura scorre come il sangue e invade dalle
pagine alla vita. Covacich confessa di aver raccontato 18 mesi della
sua vita, precedenti la stesura del romanzo dove il ricordo è la sua
versione del ricordo e dove la vita di tanti si è trasformata nella
scrittura di uno solo.
La trama è come una treccia a tre incastri: LUI che abbandona la
moglie per un’altra donna, una moglie che tradisce il marito e
seguiamo gli incontri clandestini di questi due amanti e un atleta,
il marito tradito, diventato per puro caso un performer, artista di
successo. Mauro, Anna, la moglie abbandonata, Susanna, l’amante, una
triade di persone, personaggi ruotanti su se stessi alla ricerca
l’uno dell’altra in un continuo e contrastante tumulto di sentimenti
laceranti, forti. Uno scrittore di successo che tra conferenze,
presentazione di libri, reading consuma un amore non completamente
spento per un altro non pienamente convinto. Si strugge d’amore e
per amore e se non fosse per la scrittura dirompente, iperrealistica
ed incisiva, potrebbe la trama rassomigliare ad un romanzo
sentimental-rosa.
Impressiona in positivo non tanto la storia di per sé non
particolarmente avvincente, quanto la tecnica narrativa: l’io
narrante interno/esterno, il lessico attualizzato di inglesismi, la
minuzia descrittiva dei particolari fisici, ambientali. Es: studio
televisivo; i riflettori neutri, senza gelatina, le parti metalliche
delle telecamere, i cavi pendenti, la lucida convessità degli
obiettivi, la compostezza minerale degli assistenti di studio…
Covacich scandaglia persone, sentimenti, ambienti al microscopio,
individua i frammenti cellulari dell’animo umano e al pari di un
chirurgo viviseziona e segmenta ogni percezione sensoriale. In
questo senso smonta il congegno complesso del cervello scindendo
pensieri, riflessioni e pulsioni emotive. La centralità della storia
sta non nelle azioni, ma negli stati emozionali del protagonista che
mette a nudo senza filtri le sue debolezze e le sue sofferenze. E’
senz’altro un romanzo di qualità in cui la scrittura trascina sempre
più lontano lo scrittore al di là delle sue intenzioni, la
letteratura si sottomette alla vita.
L’autore:Mauro Covacich è nato a
Trieste nel 1965. Ha pubblicato diversi libri di narrativa, tra cui
Storia di pazzi e di normali (Teoria 1993, Laterza 2007), Anomalie
(Mondatori 1998, 2001), L’amore contro (Mondatori 2001), A
perdifiato (Mondatori 2003, Einaudi 2005), Fiona (Einaudi 2005) e
Trieste sottosopra (Laterza 2006).
Arcangela Cammalleri
Alla corte del nonno
masticando liquirizia di Mela
Mondì Sanò Edizioni Agemina
Prefazione di Salvatore G. Vicario
Narrativa romanzo
Varrebbe la pena di leggere questo romanzo almeno per la descrizione
del paesaggio nebroideo, una serie di affreschi di pregevolissima
fattura che ci introducono in un mondo di rara bellezza, con questa
valle che degrada verso il mare, colorata dai frutti degli aranci,
assopita nelle giornate torride d'estate, sconvolta ogni tanto da
furiosi temporali. Viene voglia di andarci subito per vedere con i
nostri occhi, per toccare con mano, per lasciarsi inebriare dal
profumo intenso delle zagare.
Ma il vero tema dell'opera non è il paesaggio, pur se importante
nella struttura, rappresentando di fatto la tela su cui l'autore ha
trascritto la vicenda.
Questo libro, in effetti, vuole parlare dei profondi sconvolgimenti
avvenuti in poco tempo in una società immobile da secoli, di stampo
quasi feudale, in cui i nobili erano tutto, mentre gli altri, i
cafoni, erano allineati sul gradino più basso di una scala che
impediva loro di risalire.
Il tutto avviene, nel racconto della protagonista isabella, in un
arco di pochi anni, all'incirca fra il 1930 e il 1960, con in mezzo
una guerra che non poco ha pesato in questo stravolgimento.
Per parlare degli altri occorre prima guardare dentro di sé ed è
quello che avviene per il personaggio principale che rivede fatti,
uomini, donne con il filtro della memoria, forse un po' sbiadita, ma
sempre volta a comprendere i perché di tante cose.
E' quasi una saga familiare, con la figura carismatica del vecchio
nonno, un patriarca di nobile lignaggio che tiene apparentemente i
fili del tutto, ma nella consapevolezza che il mondo da cui viene
inevitabilmente è destinato a finire. In questa famiglia i vari
componenti sembrano un blocco compatto, ma presi uno a uno rivelano
le piccolezze degli uomini, gli egoismi schermati fa un formalismo
di maniera.
Lei, Isabella, è l'ultima generazione ed ha come riferimento una
madre contessa, mentre il padre, avvocato, ha come genitori dei
cafoni. E' estremamente simbolico questo, perché rivela una
caratteristica che è propria di quel periodo di tempo, a cui la
guerra e il primo dopoguerra hanno contribuito in modo determinante.
Con Isabella avviene un passaggio dal mondo feudale, già incrinato
dal matrimonio fra un plebeo e una nobile, a una modernità che dà
vita a un ceto medio, relegando a un mondo di ricordi la nobiltà.
Mela Mondì racconta e si racconta, riflette, ci offre una figura di
nonno di grande rilievo, nella sua complessità, un uomo di grande
cultura, tutto teso a mantenere unita la famiglia con i suoi
privilegi, ma anche attento a cogliere il passaggio del tempo, a
tendere la mano o a mostrare i pugni, a stare con un piede nel
passato e con l'altro nel presente.
Pagina dopo pagina è anche una continua ricerca della verità, per
sapere delle proprie origini, ma le verità, sulla scia del pensiero
di Luigi Pirandello, sono tante e alla fine si riveleranno tutte
false con la scoperta di un fatto di grande rilievo e di cui voglio
tacere, per non togliere il piacere della lettura.
Ne risulta un romanzo di grande fascino, che, al di là della
vicenda, è un'approfondita analisi sociologica, con elementi anche
filosofici, una fusione di strumenti in grado di dare risposte alle
inevitabili domande che l'autore e il lettore finiscono con
l'imporsi.
Mela Mondi Sanò è nata a
Torrenova (ME).
Laureata in Pedagogia, abilitata in Scienze umane e Storia, ha
lavorato nella scuola: prima come insegnante e poi come capo
d'Istituto.
I suoi interessi culturali sono molteplici. Infatti ha scritto e
pubblicato di pedagogia, di matematica, di storia.
La stampa e la televisione si sono occupate di lei per le iniziative
socialmente significative che ha espresso fin da giovane, quando nel
1957, unica donna siciliana, si presentò a "Lascia o Raddoppia" e
vinse il massimo premio.
Nel 1984 ha pubblicato "Da Pietra di Roma a Torrenova" (ed.
Pubblisicula ), un libro che aiuta a scoprire l'identità di un paese
istituito a Comune autonomo.
Ha ricevuto riconoscimenti nel campo della poesia. Nel 1994 ha
ottenuto il premio internazionale di poesia "L'Acàlypha" con il
libro "Razza della mia terra" ed. Agemina.
Impegnata nel sociale ha conseguito:
negli anni 1970/80 la specializzazione nell'educazione degli alunni
stranieri;
nel 1996 il diploma triennale in formazione politica al Centro
Arrupe di Palermo. È stata consigliere nazionale e poi presidente
provinciale del M.I.E.A.C. (movimento di impegno educativo dell'A.C.).
"Alla corte del nonno masticando liquirizia" è il suo primo romanzo.
Ambientato sui Nebrodi, ci permette di conoscere ed apprezzare le
bellezze storiche e naturalistiche di questo territorio oggi
conosciuto come il Parco Regionale dei Nebrodi.
Renzo Montagnoli
“ Tu notte che
conduci” di Domenico Campana
Ed. Bompiani
Romanzo-narrativa
Quarta di copertina: “ La voglia di verità di fronte al mistero.
Eroismi e tradimenti in una Sicilia che è ormai Italia”.
Palermo, anni ’90: Elisabetta Tindari, una giovane ispettrice di
polizia, al capezzale della madre in coma, apprende l’uccisione
dell’anziano giudice (con il quale ha una relazione) insieme alla
scorta di cui ne fa parte lei, ma che per fatalità è scampata. Pensa
alla madre: che avesse presentito la tragedia e si fosse ammalata
per allontanare la figlia dal pericolo di morte? Elisabetta segue le
orme paterne (colonnello dei carabinieri), animata da uno spirito
idealista, si fa poliziotta per rimettere in squadra, un poco, lo
sgangherato universo. Pensa che in un ambiente come la polizia, la
libertà mentale avrebbe dovuto rifulgere. Ma non aveva calcolato
l’egemonia dello spirito burocratico, sul quale tutto deve
minuziosamente ricalcarsi. E’sposata con Stefano, un commissario che
per motivi di lavoro vive lontano; il loro rapporto è in crisi. Dopo
la strage, le viene assegnato un nuovo incarico, si sarebbe occupata
di minorenni perché era riguardoso, le dirà il capo di gabinetto, un
periodo lontano dalla mischia sanguinosa, al momento era pericoloso
continuare l’attività di capo scorta. Ma dopo una settimana,
accusata di aver agito in modo irriflessivo, sarà trasferita alla
squadra omicidi dove si occuperà dell’indagine dell’assassinio di
una giovane prostituta. Verrà a scoprire intrecci, trame, collusione
tra coloro i quali rappresentano la legge e dovrebbero applicarla e
tra coloro i quali sono al di fuori della legalità e ne fanno un
modello di vita. L’universo è complessivamente guasto! Ma anche il
suo universo precipita: la morte della madre, la rivelazione del
medico che ha assistito sua madre di essere il suo vero padre, il
marito accusato di “intelligenza con lo straniero”, tutto si
rivolta: pensa al nonno rappresentante della polizia del neonato
regno d’Italia, al padre ufficiale dei carabinieri che combattè la
mafia nel dopoguerra, quando la mafia era alleata degli alleati e
vaccinava l’isola, forse l’intera neonata Repubblica, contro le
infezioni delle sinistre. Ella teme che per la quarta volta, la sua
vita sarà passata come un vetrino al microscopio: quando fu
assegnata alla scorta, quando il giudice è morto, quando è stata
assegnata alla omicidi e …adesso come la moglie di un poliziotto
corrotto. Dispiacere e vergogna, ma anche incredulità misto a
sdegno. L’ indagine che porta avanti sull’omicidio della presunta
prostituta s’intreccia con un altro caso, la scomparsa di una
bambina inglese che Elisabetta crede di riconoscere nella figlia
adottiva di un mafioso. Un avvilimento solca il cuore di Elisabetta
quando il suo diretto capo le vieta il proseguimento delle indagini,
nessuno si prefiggeva di sconfiggere il male, bastava tenerlo sotto
controllo secondo le oscillazioni dell’umore popolare: il
patteggiamento era la regola. Ad una domanda che Elisabetta aveva
posto al giudice, dopo la caduta del muro di Berlino chi fossero
adesso, i nemici, si era sentita rispondere coloro contro i quali il
governo punta il dito allo scopo di vincere le elezioni. Alla fine
la storia avrà il suo finale liberatorio, sia pure amaro; si
ricompongono i tasselli e si cicatrizzano le ferite. Il romanzo una
sorta di scandaglio dell’animo femminile quando, soprattutto, si
trova a convivere in un universo dalla mentalità maschile e si trova
a cozzare con i disegni ambigui e torbidi della politica, delle
forze dell’ordine e del sottobosco della mafia. Le anime femminili
sono più elaborate, addestrate alla finzione, spesso, una pura
finzione teatrale: si sforzano di apparire indisponenti per non
svelarsi. Nei maschi l’orgoglio impone di recitare meno. Accade che
ad una mediocrità apparente corrisponda la banalità di fondo. Una
corrosiva critica al sistema del nostro Paese: la classe dirigente
ha violato e schernito la legge, alla fine lo Stato sta divorando se
stesso. L’idea di uno Stato che si estingue risulta maligna e
inconcepibile, va contro ogni convinzione e ragionevolezza, ma la
morale si trova in fondo alle pagine di questo romanzo, una
riflessione cinica e realista detta dal capo di polizia: si possono
compiere azioni non illegali, eterodosse, sì, ma sempre per il
vantaggio dello Stato. Una sorta di rivisitazione del fine
giustifica i mezzi di memoria machiavelliana: la differenza tra un
criminale e un rappresentante dell’ordine costituito sta in questo,
si può compiere un atto arrischiato, ma non si ammazza e non si ruba
ad ogni piè sospinto, non bisogna superare il limite.. La società
deve funzionare e la virtù l’intralcia. Un giallo sui generis, dove
il ritmo narrativo non è dato dal succedersi dei fatti quanto dal
convincente scavo psicologico dei personaggi, dalla struttura
narrativa che si dipana su due livelli, l’io narrante squaderna la
riflessioni personali, mentre le azioni sono narrate in terza
persona. Un romanzo dalla scrittura lucida ed essenziale e da una
rappresentazione della realtà sempre in perenne bilico tra atti di
eroismo e cadute nell’abisso della vendetta e dell’orgoglio. Riporto
una frase del nonno Michele Tindari dell’Isola delle Femmine, che
l’uomo: “deve erigere dighe al male pur sapendo che verranno
abbattute”. Un’altra frase che si presta al romanzo: “ Gli uomini
sono idealisti nell’ideologia, ma realisti in politica”.
L’autore: Domenico Campana vive
a Roma. Ha pubblicato i romanzi Memorie del crudele inverno (
Rusconi, 1976), La stanza dello scirocco (Sellerio, 1986),
L’Isola delle Femmine (Einaudi, 1991), I giardini della
Favorita (Einaudi, 1992).
Arcangela Cammalleri
Bastola La signora del
fuoco di Francesco Giubilei
Società Editoriale ARPANet
Narrativa romanzo breve
Quando la storia, specie quella molto antica, non ha riscontri
obiettivi si sviluppano leggende, frutti di fantasie che non di
rado, tuttavia, hanno alla base un fatto o un personaggio realmente
esistito.
L'incendio che nel 1237 distrusse completamente Gualdo Tadino, forse
causato dal nemico Ducato di Spoleto o anche innescato da un evento
del tutto fortuito, essendo rimasto senza spiegazioni plausibili
fecondò la fantasia popolare che tramandò oscuri disegni, già
ripresi da tale Alessio Bucari Battistelli, senza pretesa di essere
gli unici e veritieri.
La vicenda ha affascinato anche Francesco Giubilei, cesenate, ma di
origine gualdese per parte di padre e di nonno, e così la figura
della Bastola, già additata come responsabile del rogo, ha stimolato
la sua fantasia, tanto da scriverne una versione tutta personale.
Il romanzo breve (80 pagine) ha trovato il consenso della Società
Editoriale Arpanet che lo ha pubblicato nella sua collana mini
Concepts Storia, libriccini di piccolo formato (10 x 10),
comodissimi da portare con sé, ma che non sacrificano nulla al
piacere della lettura stante la normale dimensione del carattere.
Francesco Giubilei, dopo un preambolo doveroso e di carattere
artistico e storico di Gualdo Tadino, ricostruisce con attendibilità
le vicende di questa Bastola, non limitandosi alla sola narrazione
del fatto, ma anche deliziando gli occhi e l'animo con i toni
delicati con cui ha rappresentato il paesaggio della zona.
Ne scaturisce, così, un romanzo sospeso fra storia e leggenda, in un
equilibrio che non induce a credere che tutto si sia verificato
realmente così, ma non porta nemmeno a dubitare che quanto narrato
possa rispondere a verità. E' importante questa capacità di esporre
un'interpretazione fantastica di un evento dandole quel grado di
credibilità che alla fine della lettura viene da dire
spontaneamente: "Però, potrebbe essere andata veramente così."
E in effetti si resta avvinti, pagina dopo pagina, dal personaggio
della Bastola e da una vicenda che porterà, senza accorgersene, ad
arrivare alla fine con il desiderio di sapere sì ciò che già
immaginavamo in partenza, ma non importa, perché risulterà un tempo
piacevolmente trascorso.
Francesco Giubilei è nato a
Cesena l'1 gennaio 1992. Frequenta il Liceo scientifico "A.Righi"
nella sua città.
Appassionato di storia, è il direttore editoriale della rivista
Historica. Ha già pubblicato Giovinezza - Partitura per
mandolino e canto (Il Ponte Vecchio, 2007).
Renzo Montagnoli
Un ragazzo come tanti
di Laura Tufilli
Altromondo editore
GENERE: Sentimentale
Un ragazzo come tanti è la storia di una amore. L’ amore
sorprendente sbocciato tra un giovane ricco, desiderato e affermato
ed una ragazza semplice, bella, intraprendente e attorniata dai suoi
inseparabili amici.
Una scottante verità, alcune situazioni inaspettate e molteplici
colpi di scena metteranno a dura prova la loro unione.
Laura Tufilli
Il cerchio infinito
di
Renzo Montagnoli Edizioni Il Foglio
Introduzione dell’autore
Prefazione di Fabrizio Manini
In copertina “Galassia M 104”
fotografata dal telescopio spaziale Spitzer della NASA
Elaborazione grafica di Elena
Migliorini
Più che ad una
riflessione, la poesia di Renzo Montagnoli mi attira verso una
meditazione sulla teoria che sta a monte di essa, inviluppata nel
“Cerchio infinito”, teoria che si enuncia apoditticamente e si
analizza dialetticamente nella scomposizione del cerchio in due
realtà: quella dell’anima (Cerchio I: ”tempo senza fine/ catena
indissolubile di destini…/soffi di vita ritornati all’eternità”….)
e quella del mondo-natura-cultura.
Dall’enunciato la poesia si sprigiona in una liturgia di sentimenti
legati a ricordi, ad illusioni e disillusioni, ad accorate
tristezza, a melanconiche nostalgie che sembrano naufragare in un
mare di solitudine dove la speranza, in un mondo rituale, sempre
uguale a se stesso, e dove ci sono soltanto il poeta e la natura,
l’uomo e le cose, è àncora che come “goccia…lenta scivola sul petalo
del fiore”.
Nel ”Cerchio infinito” sembra di trovarsi nel tempo circolare dei
riti stagionali e dei misteri su cui gli Ioni costruirono le loro
teogonie e le loro cosmologie, in un circolo che se per certi versi
sembra quello della ragione divina nella quale ogni punto unisce
principio e fine e chiude tutta la realtà (Eraclito), dall’altro
lato sembra una retta dove il poeta, nel suo infinito procedere,
trova la “Montagna sacra”.
Sulla via della retta verticalità la vita è sofferenza ,”la via è
impervia e scoscesa” perché accadono gli incontri imprevisti,”canti
di sirene…vento e pioggia/ gelo e neve”.
Non siamo nel cerchio magico dove comanda il fato e le creature sono
passive, sulla verticalità c’è l’uomo partecipe, arbitro e libero
nelle sue scelte e può costruirsi la sua storia. Può cambiare la sua
relazione con il mondo.
Ma Montagnoli ci trascina dentro il suo “Cerchio infinito” dove
aspettiamo di incontrare l’ “Essere” universale ma incontriamo
sempre il mondo del molteplice, quel mondo de “La stazione”, del
“desiderio”, dei “sogni evanescenti”, un mondo che ci richiama
”l’eterno ritorno” di nietzscheana memoria della lotta tra l’ESSERE
ed il nulla e qui il poeta incontra il dolore e la noia perché esso
si rivela come il mondo della disgregazione, della limitazione e
della miseria. Così mi sembra che il poeta nel momento in cui sembra
pronto per consegnarsi all’epos si trasforma in antieroe. Come
Nietzsche con il suo “eterno ritorno” credeva di avere eliminato il
divino dal mondo invece era proprio con il divino che si scontrava,
Montagnoli si scontra nel “l’autunno è prossimo a venire”, e nel
vedere arrivare “il silenzio delle cicale”. Senza il divino all’uomo
non resta che contorcersi in un anello, sentirsi come blindato in
una fortezza volante e contemplare il “caos perfetto” ed il tempo
diventa tempo sconsacrato perché lo vive affidato al caso. Allora
dobbiamo dire che nelle poesie di Renzo Montagnoli non si respira il
divino?
Direi che il suo divino è del tipo parmenideo, ossia è ”Essere”
come forma. Ora la forma (il cerchio,il circolo, l’anello, il
triangolo, la retta….) ha di sé la caratteristica che esclude ogni
relazione e fuori di sé ha il nulla.
In questo territorio metafisico i “ricordi” diventano “dei” e gli
“dei” diventano “statue” da contemplare: Non operano. Riescono ad
essere soltanto ingombranti.
Il vero Dio di Montagnoli se ne sta fuori sulla “Montagna sacra”,
ossia sul suo Olimpo, fuori dagli eventi e quindi è un Dio che non
opera. E un dio che non opera non è Dio.
Eppure alla fine si ha l’impressione che il poeta sia errabondo alla
ricerca di una spiegazione attraverso i due percorsi di cui abbiamo
detto all’inizio. In questo suo errare vagabondo mi sembra di vedere
Nietzsche nella Silvaplana quando percepì quella situazione come
vissuta e concepì la sua idea dell’ ”ESSERE” esclamando “Io sono la
tua affermazione in eterno”.
Montagnoli ci dà l’idea che egli sia il fiume ”che ignora la sua
età”, “un incessante fluire di acque mutanti” blindate “tra
la limpida giovinezza…/e la pigra e lenta vecchiaia.”, e dove
tutto genera primavere e lune sempre uguali a se stesse.
Se le cose stanno così, se tutto si rincorre in una rituale
ripetizione, al poeta non resta che rassegnarsi.
Infatti , anche se la scoperta di Nietzsche sull’”ESSERE” fa si che
il filosofo dica “Non voglio nulla di diverso da quello che è, non
nel futuro, non nel passato, non per tutta l’eternità”, ma ci lascia
allo stesso tempo presagire la sua teoria del super-uomo, i versi di
Montagnoli ci rivelano un uomo rassegnato, blindato dentro il fato
fino a sembrare egli stesso l’anello della ripetizione rituale che
da poeta percorre tra sogno e realtà aspettando forse il tempo come
flusso di coscienza, quella coscienza cioè che fa di ogni soggetto
umano, un essere unico ed irripetibile ossia un essere storico.
Mela Mondì
Sentieri di luce
di Silvano Conti
- Graficherò 2008
(Recensione a cura di Carmen Lama)
Poliedrica voce della creatività e della ricerca interiore, qui e
ora, ma anche in prospettiva, oltre l’orizzonte visibile: così
definirei - d’impatto - il poeta Silvano Conti attraverso la lettura
delle poesie di questa nuova silloge.
Bisogna poi entrare con cautela nei “sentieri” percorsi dal poeta,
in ciascun poemetto, pur breve, perché è lì – dentro – in
profondità, la luce che li illumina. Pur breve, sottolineo, perché
una prima caratteristica delle poesie di Silvano Conti è proprio
quella della densità concettuale concentrata con grandissima
efficacia ed incisività in poche, essenziali, espressioni poetiche.
Inoltre, vi si percepisce un ritmo, emergente dal solo senso
profondo di ogni poesia, che invita a soffermarsi in silenzio, dopo
la lettura, per sentirlo risuonare ancora nell’anima. Ed è come
scuotersi da un dormiveglia. Dal mio punto di vista, esterno al
mondo poetico qui rappresentato, capto una volontà di trascendenza
di se stesso da parte del poeta, il quale si volge al divino, al
soprannaturale nella speranza di assorbire in qualche modo la sua
luce e, illuminati così i sentieri della vita, poter dare
spiegazioni accettabili a tutto ciò che accade e che “gli” accade.
C’è, evidente tra le righe, un movimento interiore del poeta, che
passa da un’autoanalisi incentrata inizialmente su una sorta di
torpore dell’anima,
(“Senza
di Te/ consumo solo tempo…”...
oppure: “E per quanto tempo la Tua voce / - a lungo inascoltata
-/ ho avuto dentro pei sentieri percorsi…”) a una successiva vibrazione delle sue corde più sottili e
profonde, (Anelo conoscerti / insieme a me
stesso/ senza impedirmi ancora/ di amarti al buio”)
a una timida consapevolezza di una presenza discreta ma forte
accanto a sé, (Mi
sei rimasto accanto,/ con gran fragore all’anima),
a una luce “invisibile” che guida, (e
più mi occorri/ più mi soccorri,/ prendendomi per mano),
alla visione, infine,
di un traguardo come sicuro ed eterno approdo
(Congiungo/
due punti in linea retta,/ dal vuoto all'infinito,/ e Ti ritrovo). In questa consapevolezza, e solo in questa apertura al
trascendente, il poeta ritrova se stesso e il fine della propria
esistenza mondana. Si sente anche emanare da ogni poesia una forza
prorompente che si esprime nella sicurezza del poeta di riuscire a
far fronte, d’ora in poi, ad ogni richiamo pur apparentemente
insensato che la vita potrebbe rivolgergli, poiché al fondo di tutto
un senso ci deve essere e c’è. Ed è proprio nella pienezza di questa
esistenza, da portare alla luce come resoconto di un passaggio non
inutile, non indifferente, che risiede il senso. In alcune poesie
“dedicate” questo desiderio del poeta è espresso con convinzione. Da
questo momento in poi, il poeta sente di doversi far portavoce della
sua scoperta molto personale ed intima per condividerla con i
lettori ed aiutarli ad “essere”. “Si è”, presenti a se stessi,
consapevoli del proprio mondo interiore e delle proprie aspirazioni,
delle proprie responsabilità e speranze, soltanto se ci si cerca nel
profondo, se si va oltre l’apparenza materiale veicolata dal corpo e
più ancora dal viso, dagli occhi e dal proprio nome, e ci si
trascende, trovando la propria spiritualità. È questo, mi pare, il
percorso poetico esistenziale di Silvano Conti che si può cogliere
leggendo le poesie di questa silloge. Occorre però una disposizione
d’animo particolare, intelligente, (nel senso etimologico di
“leggere dentro”, andare in profondità), ed essere pronti ad
immedesimarsi in quest’opera di scavo interiore compiuta dal poeta.
L’esito della lettura è senza dubbio un respiro dell’anima, uno
sguardo nuovo alle cose intorno a sé, un vedere se stessi in
cammino… sui “sentieri di luce” indicati. Sicuri che anche per
ciascuno di noi ci potrà essere una nuova Damasco. Seguire il poeta
allora, sarà come egli stesso ci dice: “Avere
un'ansa in questo andirivieni/ su cui aggrapparsi al volo alla
bisogna/ è come avere i sogni vuoti pieni”.
Silvano Conti - è nato e vive ad
Umbertide Pg, il 12.07.1951
Ha pubblicato: Frattaje - racconti satire poesie in lingua
frattigiana - ed. Promhos 1985
Il Significante - ed. Promhos 1985 - poesie
Aspettando l'attesa -– immagini rumori odori del tempo che passa -
ed. Promhos 1988 prosa-poesia.
La canzona de Stinchi de Màvero - ed. Nuova Promhos 1995 - poemetto
Tal merollone e al tondo - ed. Nuova Promhos 1995 - prosa-poesia
Sentieri d'aria - sguardi e grida dal cielo - ed. Nuova Promhos
1995 - poesia
Catene - e di rimando dettagli liberi e chiaroscuri - stampato in
proprio 1998 - poesia
Mario e Menco - i dottori de nna volta - ed. Edimond 2007 - prosa
Tutto l cucuzzaro - Ed. Edimond 2008 - Città di Castello -
prosa-poesia
Sentieri di luce - stampato in proprio - Graficherò - 2008 -
poesia
Carmen Lama
Agnese, ancora di
Giovanni Buzi Edizioni Akkuaria
In copertina fotografia di Agnese
negli anni '50 dello scorso secolo
Narrativa romanzo
Il filo dei ricordi, soprattutto quelli dell'infanzia, sempre
aggrovigliato tende a dipanarsi quando arriva il momento delle
grandi riflessioni e allora si va a cercare nel passato per
comprendere soprattutto il presente.
Giovanni Buzi, dopo il fortunato Agnese (Tabula Fati, 2005),
prova di nuovo investigare sul tempo trascorso con questo Agnese,
ancora, naturale seguito del precedente, da cui sarebbe stato
troppo pretendere originalità e freschezza, immancabilmente meno
evidenti quando con altro testo si vuole dare continuità a un'idea
creativa.
Tuttavia l'abilità dell'autore riesce egualmente a tener vivo
l'interesse in una serie di episodi, di affreschi e anche di
ritratti di un periodo di cui non rammenta tutto alla perfezione,
supplendo con la fantasia alla carenza di memoria. Sicuramente sono
spunti che emergono dalla nebbia di un tempo sempre più lontano,
intorno ai quali riesce a costruire vicende convincenti, anche se
sovente mancanti di quel pathos proprio di un'esperienza diretta.
E' lì che si riscontra la capacità del narratore, nell'imbastire
trame da un quasi nulla e in cui tutti possano anche ritrovarsi.
Così assistiamo al cicaleccio pomeridiano delle amiche della madre,
ai tentativi di far maritare una di loro, agli intermezzi gustosi,
una sorta di contrappunto, frutto della personalità del nonno,
anziano, sulla poltrona a rotelle, che poco parla tanto da sembrare
assente, ma invece è ben presente.
Senza un apparente ordine di continuità si susseguono dei brani, per
lo più brevi, che riescono a ricreare un ambiente di quasi mezzo
secolo fa, in un'Italia rialzatasi dalle rovine della guerra e in
pieno boom economico.
A volte queste storie sono interdipendenti, ma più spesso no, come
se la memoria, sollecitata, le facesse uscire dalla mente in ordine
sparso e questo, che potrebbe sembrare un difetto, finisce invece
per snellire tutto il corpo dell'opera che scorre più armoniosa,
meno legata a un filo logico di cui del resto l'autore non potrebbe
avere un'esperienza completa, né un ricordo dettagliato.
Resta una figura, nel silenzioso dolore della sua malattia,
quell'Agnese, la madre, questa sì ben impressa dentro, tanto da
rivederne l'immagine, lo sguardo, dal risentirne la voce, dal
percepirne il profumo.
Questo libro è certamente un romanzo da cui tutti potranno ritrarre
piacere nel leggere, ma, come il precedente, costituisce anche la
fissazione su carta del sentimento di un figlio per la mamma, una
specie di sacrario di un amore che il tempo non attenua.
E anche se l'emozione è giustamente contenuta, il desiderio di
parlarne non viene mai meno, ma sempre sommessamente, tranne nel
finale, dove però tanto è forte quanto il pudore che ha portato a
scrivere queste righe: Una cosa sola so di te, Agnese: il tuo mondo
era di cartapesta, le tue pareti di carta colorata, solo i tuoi
sogni erano veri, mamma.
Giovanni Buzi, nato a Vignanello
(VT) nel 1961, insegna lingua e cultura italiana al Parlamento
Europeo di Bruxelles e storia dell'arte contemporanea all'Accademia
di Belle Arti di Bruxelles.
Amante della pittura espone suoi quadri in Italia e all'estero fin
dal 1985. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni di romanzi,
racconti, poesie e saggi. Ha ottenuto significativi riconoscimenti
in molti premi letterari, tra cui Lovecraft, Rill e Yorik.
Oltre a partecipare a numerose antologie, ha pubblicato a solo:
Romanzi
Faemines (Libreria Croce, 1999), Il Giardino dei Principi (Massari,
2000), Agnese (Tabula Fati, 2005), Uragano (Delos Book, 2008),
Agnese, ancora (Akkuaria, 2008).
Raccolta di novelle
Fluorescenze (Il Filo, 2004), Sesso, orrore e fantasia (Massari,
2005), Alchimie d'amore e di morte (Tabula Fati, 2006).
Saggistica di storia dell'arte
William Turner in Etruria (Massari, 2004) e un manuale di storia
dell'arte per i licei (Multimedia, 1993).
Renzo Montagnoli
Il
respiro della luna
di
Cristina Bove
-
Edizioni Il foglio 2008
Recensione a cura di Carmen Lama
In questa
nuova silloge di Cristina Bove sono presenti poesie che si
potrebbero raggruppare in quattro grandi tematiche: l’amore,
immancabile motore della vita e delle più sofferte gioie, il dolore
come insopprimibile compagno che dà maggior valore ai momenti
positivi vissuti, l’attenzione per la natura e i suoi cambiamenti e
le sue mirabili bellezze, e temi di carattere sociale non disgiunti
da una vena personale molto giustamente critica osservando i guasti
prodotti da uno spavaldo e spudorato uso della religione come
mediatore tra l’uomo e il divino.
I temi affrontati, pur prendendo spunto da esperienze personali
profondamente vissute, possono essere universalizzati, assumendo
così una dimensione più ampia rapportabile all’esperienza di
ciascuno di noi: questa possibilità di generalizzazione fa sì che
il lettore s’immedesimi nel vissuto espresso e lo faccia in qualche
modo suo, riuscendo ad apprezzare maggiormente la significatività
del contenuto di ogni singola poesia. Nelle poesie in cui si dà
rilievo alla sofferenza, si avverte una nota intimistica, che induce
ad accogliere i pensieri tristi dell’autrice sublimandoli però,
insieme a lei, in quell’atmosfera leggera e rarefatta in cui li
pone, accompagnati quasi sempre da una dolcezza di immagini di
attesa, di speranza, o anche di ritorno a quell’approdo finale visto
nella sua luce più rassicurante, come ricongiungimento all’origine e
aggancio all’eternità.
Come è facilmente verificabile, nella vita di tutti i giorni si
alternano esperienze positive e negative, l’animo umano si rafforza
proprio in virtù di quel che vive giorno per giorno, purché sappia
farsene delle ragioni che risultino plausibili alla mente ma anche
al cuore. Così, in questa raccolta si alternano poesie in cui una
sensazione forte di malinconia s’insinua nell’animo della poetessa
che, talvolta, la lascia fluire dentro di sé senza opporre alcuna
resistenza, anzi abbandonandosi a quel che è, e poesie in cui, pur
mostrando in prima istanza la sopraffazione del dolore, della
sofferenza, si giunge ad un distanziamento catartico che lascia
ancora spazio al positivo che verrà. Si potrebbero fare in tal senso
diversi esempi, ma per non appesantire e aggrovigliare qui il filo
del discorso, ne proporrò soltanto alcuni, che ritengo
particolarmente suggestivi. Nella poesia Mi rivesto, una
breve illusione è la vita e tutto quel che accade. La poetessa sente
dentro di sé lo scorrere del tempo che non perdona, non sconta
giorni, né si risparmia di far danni, eppure un toccasana d’insania
potrebbe capovolgere il destino (qui fa capolino la speranza). Ma è
solo una brevissima illusione di un istante e subito ci si sente,
infine, “il riflesso di un inganno”. Nella poesia Oggi,
di contro, emerge una nuova speranza, una nuova attesa, che si
compia un desiderio, “che l’amore di un dio fermi la notte”,
che non avanzi il buio della sera della vita, che si fermi il tempo
a “oggi” per poter godere ancora attimi di intensa gioia, attimi
intensi di vita. E mentre in Avviene è lucidamente espresso
il contrasto fra l’anima, che resiste al tempo perché è fuori dal
tempo, e il corpo che nel tempo è immerso e ne segue ritmo e
movimento con la necessaria conseguenza dell’incanutirsi e
dell’accorgersi tristemente della solitudine che ci accompagna come
“mistero che fa da culla e bara”, in un’altra bellissima
poesia, No, anima mia, si cerca di capovolgere ciò che in un
primo momento appare negativo, in qualcosa di bello e positivo, e
nello stesso tempo in cui ci si accorge dell’estrema solitudine
costitutiva dell’essere umano, si compie quel gesto di umiltà di
sapercisi adattare e di saper rendere feconda la stessa solitudine.
Giusto come fa Cristina, creando queste sue ricche liriche. Ne è
pura e intensa testimonianza la bellissima Fuga dal tempo, in
compagnia proprio della Poesia che rischiara la notte dell’anima,
tiene desta la mente e con essa la vita così tenendo distante la
morte.
Tra le poesie più legate ai temi sociali, ce ne sono alcune dedicate
alle donne, nelle quali emerge con chiara e stridente
consapevolezza, il valore della persona umana, troppo spesso
denigrata, annientata da soprusi, violenze, oltraggi. Con deciso
piglio, che sottende un amore profondo, la poetessa viene in loro
soccorso invitando soltanto gli uomini veri a fare
altrettanto, e regalando loro “l’istante di un sorriso” che
da solo “varrebbe un anno di mimose”. In un’altra poesia
viene esaltata la forza della parola delle donne che viene più
spesso utilizzata per rappacificare, nonostante tutto. E qui si
rivela il sublime, secondo me.
Un accenno ancora alle poesie d’amore, una in particolare,
L’accidente, in cui si dà una schietta quanto semplice, ma vera
e profonda, definizione di questo sentimento: “l’amore vero è
qualcosa di eterno che s’adorna solo di bellezza, mai di note
stonate o di parole che portano in sé buio.” E tale è la
consapevolezza di Cristina, rispetto a questo sentimento universale,
che ne immagina anche i risvolti più impensabili, ma esistenti e
inventa così una Favola asincronica, di un amore irrealizzabile.
Investe così l’amore della capacità di divertirsi a fare scherzi di
tempo, creando e facendo incontrare anime asincroniche, che vivono
uno struggimento fortissimo per un’occasione mancata e per non poter
sincronizzare gli orologi del loro tempo, ma che con dolcezza e
patimento sono costrette a rassegnarsi al destino e a darsi
appuntamento in un’altra vita. Un’altra bellissima poesia d’amore,
Urlo, esprime l’audacia della bellezza di un sentimento. Un urlo
preme dentro l’anima, vorrebbe uscire, ma si racchiude nei labirinti
della ragione ed ecco che assume nuove sembianze di suono, di
melodia. Metaforicamente: un sentimento, un’emozione che non possono
trovare sbocco se non vivendo di se stessi e trovare, infine, in
questa loro stessa esistenza la loro vera bellezza.
Infine, le poesie legate al tema ambientale hanno una loro
particolare intrinseca vivacità, in quanto fanno in qualche modo da
sfondo agli eventi che accadono nella nostra vita e spesso fanno
solo da spettatori, spesso entrano a pieno titolo nell’evento, altre
volte designano metaforicamente il corso dell’esistenza. E sempre
con un finale a sorpresa. Un esempio: Tra i ciottoli. È una
triste metafora della vita sofferta, che indurisce e inaridisce il
cuore, eppure c’è la speranza di una nuova primavera che con lieve
carezza di pioggia aiuti il disgelo (dell’anima). Un altro esempio,
Sasso: bellissima metafora, in questo caso di un amore, che
rigenera come acqua di pioggia. Pure un sasso può riprendere vita,
ma qui purtroppo è solo una breve illusione.
Ma per comprendere appieno le poesie di questa silloge, occorre una
lettura attenta, soppesata nel tempo necessario per coglierne le più
profonde e nascoste sfumature, per sentire tutto il senso espresso
in ogni poesia, dalla “poeta” Cristina Bove, che utilizza in modo
magistrale metafore gradevoli e un lessico molto particolare, che è
anche quello che le dà uno stile inconfondibile, come è stato già da
me rilevato nella precedente recensione a Fiori e Fulmini, edizione
2007.
Dalla suggestione delle poesie qui brevemente tratteggiate, in
relazione ai quattro momenti/temi più significativi rappresentati e
descritti da Cristina, emerge una fantasia e una creatività
eccezionale della musa che fortunatamente la ispira, e ne vengono
fuori come dei bellissimi quadri d’autore. Come se Cristina, artista
a tutto campo, sia capace di trasfondere la sua vena pittorica anche
nella sua arte poetica. Così le creature che qui offre alla nostra
lettura, prendono corpo, si animano e ci raggiungono fin nel
profondo. E “il respiro della luna”, si riflette su di noi, in un
crescendo che rigenera, perché ogni poesia è “un respiro”
dell’anima.
Carmen Lama
La vita agra
di Luciano Bianciardi Bompiani
Narrativa romanzo
Questo romanzo, in larga parte autobiografico, si sarebbe potuto
anche intitolare Missione impossibile e il perché lo
comprenderete con le righe che seguono.
La vicenda prende origine dal disastro minerario di Ribolla nel
1954, in cui perirono 43 minatori, per negligenza, ma soprattutto
per calcoli di economia del padronato in cui il valore di una vita
umana non rientrava minimamente.
E' così che il protagonista, nel desiderio di vendicare quegli
innocenti, da buon anarchico vuole colpire il simbolo del potere che
si annida in un palazzone di Milano, il torracchione, da far saltare
con una giusta combinazione di aria e metano, proprio come era
avvenuto per lo scoppio di grisù in miniera.
Il proposito è ardito, la volontà è salda, ma la grande città è un
mostro che piano piano ingloba, appiattisce, distrugge la vita e gli
ideali.
Nemmeno il desiderio di coinvolgere i suoi cittadini schiavi in un
moto di ribellione (bellissima la descrizione delle partenze degli
operai alla sera dalla stazione Centrale di Milano) può trovare
sbocco, perché in quei sudditi l'appiattimento si è trasformato in
apatia e l'abitudine in rassegnazione, anzi è gente che crede di
poter convivere con il mostro che li asservisce.
E' un'umanità impersonale, quasi i suoi componenti non avessero il
volto, oppure questo è sistematicamente eguale fra le donne, una
sorta di automi inaciditi e invecchiati prima del tempo, a cui al
massimo è concessa la facoltà di far le scarpe agli altri, in una
modesta carriera che assomiglia a uno scontro quotidiano. Solo una
appare non inglobata, quella Anna di cui lui, già sposato con Mara
rimasta al paese con il pargolo, si innamora perdutamente, per
reazione e perché tanta è la differenza rispetto alle altre.
In concomitanza con la conoscenza di questa compagna di vita
iniziano le pagine più autenticamente rivoluzionarie con una visione
libera totalmente della vita sessuale, con un richiamo forte a un
amore fisico secondo natura, scevro dall'ossessiva pubblicità che
sembra dare e invece toglie tutto, in una satira della classe
dirigente come prima non si era mai scritta.
Nell'attesa, sempre più disillusa, di arrivare a far saltare non
solo il torracchione, ma il coperchio di potere che schiaccia la
città, il protagonista, per mantenere sé, la sua compagna e la
famiglia, è costretto a lavorare, a fare il traduttore di testi
letterari che, nella realtà, come ebbe a dire Bianciardi, divenne
poi la sua effettiva occupazione.
E' un lavoro duro, non valutato adeguatamente, in cui un
intellettuale preparato, impegnato ore e ore, finisce presto in
preda all'amarezza, a quella vita agra che dà il titolo al libro.
Sono pagine intense, anche di profonda commozione e che riescono a
dare la misura del disagio esistenziale. Al riguardo mi permetto di
citare due righe, non di più, ma ampiamente sufficienti per
comprendere l'agro della vita: "Non è un mestiere avventuroso; le
sue gioie e i suoi dolori dall'esterno si vedono assai poco.".
E' la disgregazione di un ideale, è una rassegnazione che si spegne
dentro, con un finale profondamente triste: l'anarchico, in origine
saldo, determinato, pieno di ardore, è stato avvinto dai tentacoli
di quel sistema che lui voleva scardinare.
La sua è stata solo una missione impossibile.
Luciano Bianciardi (Grosseto, 14
dicembre 1922 - Milano, 14 novembre 1971). E' stato giornalista,
saggista e scrittore.
Le opere: I minatori della Maremma, 1956 (in collaborazione con
Carlo Cassola); Il lavoro culturale, 1957; L'integrazione, 1960; Da
Quarto a Torino, 1960; La vita agra, 1962; La battaglia soda, 1964;
Aprire il fuoco, 1969; Daghela avanti un passo!, 1969; Viaggio in
Barberia, 1969; Garibaldi, 1972; Il Peripatetico e altre storie,
1972; La solita zuppa, 1994; Ai miei cari compagni, 2007; Le cinque
giornate. Bisognerebbe anche occupare le banche, 2008.
Renzo Montagnoli
Una storia a
Castelvecchio di Valentino
Rocchi Società Editrice Il Ponte Vecchio
Presentazione di Alberto Berardi
E' l'opera prima, d'esordio, di Valentino Rocchi, autore di cui ho
letto praticamente tutto, compreso il suo ultimo e splendido 1504
- Notte all'Hostaria La Guercia.
Dico subito che con questo scrittore sono andato a ritroso, partendo
dagli ultimi romanzi e pervenendo a questo oggetto della presente,
edito nel 1997 e, a quanto mi risulterebbe, non più in catalogo.
Il mondo rurale fra le due guerre, le colline preappenniniche
(questa volta romagnole e non pesaresi), un personaggio principale
dotato di un indubbio carisma e una vicenda d'amore sono elementi
che poi si ritrovano nelle opere successive, segno inequivocabile
che, tranne che per il romanzo storico 1504 - Notte all'Hostaria
La Guercia, per l'autore sono punti fermi, radicati nel suo
animo e che vengono utilizzati con trame diverse per esporci un
mondo di proletariato che prende poco a poco coscienza della
necessità di rialzare il capo.
La vicenda è segnata peraltro dall'irrequietezza giovanile nella
scoperta del sesso, a cui sono dedicate non poche pagine che, forse,
sono le più riuscite del romanzo, con fini ritratti psicologici, mai
urtanti la sensibilità del lettore, pur nella delicatezza
dell'argomento.
E che questa parte rivesta un'importanza fondamentale nel testo è
provato anche dal fatto che a due dei tre protagonisti, e cioè Gino
e Lisa, è riservata un'attenzione particolare, tanto da occupare
circa la metà dell'intera narrazione. Poi Gino sparisce e continua
la storia con Lisa e con un nuovo personaggio, Bruno, in ombra però
rispetto alla figura femminile che pagina dopo pagina assurge al
ruolo di vero fil rouge dell'opera.
E' la storia di un'emancipazione, in un'Italia maschilista quale era
quella del ventennio fascista, ed è anche un riuscito ritratto, pur
in un microcosmo quale un paese collinare, di un regime che, sotto
l'apparenza di un'unità d'intenti, si sbreccia in tante realtà in
lotta fra loro.
Lisa saprà approfittare di questo, sarà influente senza essere
fascista, sarà donna attraente e desiderabile senza essere puttana.
E' un difficile equilibrio, questo, ma già si può notare la mano
accorta del narratore che magari tende a esagerare con lunghe
descrizioni del paesaggio, indubbiamente di pregevole fattura, ma
che finiscono con il rallentare il ritmo. In seguito, con le altre
opere, sarà capace di farci vedere colline, case, strade, boschi con
poche e incisive parole, quasi un ornamento della trama.
Non mancano peraltro diversi personaggi minori, ma utili alla
storia, disegnati con un'abilità che ritengo innata, e anche in
questo caso non ci sono caricature, non c'è mai un eccesso, anzi
l'autore appare più che rispettoso della loro dignità, chiunque essi
siano, dal federale Montanari al principe, dal ciabattino errante
padre di Bruno al Dr. Mario Zamagni, un mite praticamente confinato
lì per le sue idee politiche.
Se con alcuni c'è tenerezza, con altri, essendo questa del tutto
impossibile, c'è invece la pietà e così il fanatico fascista Figini
diventa poco a poco l'emblema di una forza senza intelligenza, di
una brutalità senza coscienza, di una miseria morale che se non lo
scusa almeno lo fa apparire meno pericoloso dell'intelligente ed
arrivista Montanari.
Ma su tutti svetta lei, Lisa, donna che ha preso coscienza di essere
donna e non solo femmina.
Valentino Rocchi, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone.Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e di trame avvincenti, dopo una vita di intenso
lavoro. Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Società
editrice Il Ponte Vecchio - Cesena); "L'Eredità di Venanzio" (Guaraldi
- Rimini) Vincitore del Premio letterario "Il Pungitopo" 2001."Notte
all'Hostaria La Guercia" (Argalìa Editore);"Gli uomini di Bluma" (Giraldi
Editore) II Classificato al Premio "Palazzo al Bosco", 2002;"La
saggezza di Toni" (Giraldi Editore); esce nell'anno del V centenario
della morte di Pandolfo Collenuccio, uomo di corte e di legge, dalla
vita straordinariamente avventurosa: "Notte all'Hostaria La
Guercia", Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Giraldi
Editore) ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è profondo
studioso e conoscitore. L'ultima pubblicazione, prima della
presente, è il bellissimo "La Magia del fuoco". (Agemina)
Renzo Montagnoli
Il bosco degli
urogalli di Mario Rigoni Stern
Edizioni Einaudi
Narrativa raccolta di racconti
Lo ammetto, non amo la caccia, non amo uccidere degli animali
indifesi, anzi tendo a rispettarli nella loro specificità, e quindi
non vedo mai con simpatia un cacciatore.
Tuttavia, nonostante questa mia avversione, la lettura di questo
libro mi è risultata estremamente appagante, forse perché Rigoni
Stern è riuscito a dare una visione di questa "specie" di sport del
tutto particolare.
La lunga marcia sulla neve per avvicinarsi alle prede, il silenzio
dei monti nel freddo dell'alba, i boschi in cui si svolge la contesa
donano un tocco di magia grazie a una vera e propria prosa poetica e
danno l'idea di un ritorno dell'uomo alle origini, quando era in
armonia con la natura.
In questa atmosfera, quasi ieratica, la caccia diventa un rito, in
cui l'uomo e l'animale sono personaggi che si affrontano sullo
stesso piano, ognuno con i mezzi di cui dispone, e non è sempre chi
ha il fucile che ne esce vincitore.
E poi non ci sono solo racconti di caccia agli animali, ma altri in
cui ricorre la metafora dell'uomo che è in competizione con suoi
simili, come nello stupendo Esame di concorso, la ricerca
spasmodica di un povero travet di una posizione migliore, la sua
caparbietà in un mondo di miseria, i suoi sogni, le speranze,
puntualmente deluse, quasi che l'autore volesse dirci che in questo
mondo di cacciatori le prede non sono sempre lepri o volpi.
E a proposito di volpi Oltre i prati, tra la neve è un brano
in cui uomo e canide fanno a gara in astuzia, in una serie di mosse
e contromosse di grande effetto, al punto che viene spontaneo
dividere i propri favori fra l'uno e l'altro.
Poi ci sono racconti in cui la caccia è solo un pretesto per parlare
d'altro, come Vecchia America, oppure lo straziante Dentro
il bosco o il commovente Alba e Franco, un omaggio a due
cani del tutto particolari.
Non posso però tralasciare Chiusura di caccia, l'ultimo, che
si conclude con alcuni spari nel vuoto, una sorta di sfogo della
tensione di cui c'è un antecedente nel Sergente nella neve,
quando Rigoni Stern, ultimo ad abbandonare la postazione in Russia
all'inizio della ritirata, spara raffiche a casaccio; anche là è una
liberazione, ma soprattutto è il grido di dolore di un uomo che si
sente tradito da chi ha avviato quella guerra.
Sono due atteggiamenti uguali, ma provocati da diversi stati
d'animo, e in ogni caso sono la reazione di un uomo al suo destino.
Il bosco degli urogalli è un altro libro di Mario Rigoni
Stern che è senz'altro meritevole di essere letto.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Il volo della martora
di Mauro Corona CDA & VIVALDA
Narrativa raccolta di racconti
E' il libro di esordio, nel 1997, di Mauro Corona, una raccolta di
racconti dove l'io narrante è sempre e unicamente l'autore stesso,
in un omaggio alle genti della sua zona nel riepilogo di fatti e
vicende che emergono dalla memoria.
Ci sono ricordi dell'infanzia, ma anche di epoca più recente che
sembrano percorrere una strada, secondo un filo logico che li
concatena, fino al tragico evento del 9 ottobre 1963 che, oltre a
mietere migliaia di vittime, provoca di fatto una frattura
insanabile, con la perdita di una realtà fatta da anni di vita
legati alla terra, alle tradizioni e al paese, e rende i superstiti
orfani della loro storia.
La frana gigantesca del monte Toc, causata indirettamente da chi
progettò la diga sul Vajont, rappresenta una scure che divide
nettamente due epoche e che proietta nel futuro i superstiti, con un
domani tuttavia incerto, per non dire inconcludente, proprio per
quello sradicamento dal proprio passato.
Sono racconti che trovano nella semplicità dell'esposizione una
freschezza che consente di assaporare i rapporti che esistevano fra
i valligiani, le relazioni con la natura, mai vista ostile, in un
lungo viaggio che porta il lettore alla consapevolezza che quel
mondo che non tornerà più era, pur nelle difficoltà della vita, un
microcosmo di comuni sentimenti e modi di agire che connotava una
comunità a suo modo strutturata perfettamente.
Ora, senza voler rifarsi al detto che si stava meglio quando si
stava peggio, appare comunque evidente una vena di nostalgia nella
scrittura di Corona, a tratti anche un rimpianto per un mondo più
vero, dove esistevano valori perpetuati nel tempo, dove l'amicizia
era un bene supremo e dove il rispetto era reciproco.
Ritorno sullo stile dell'autore, semplice, ma non scarno, e con un
notevole senso della misura, soprattutto quando si lascia andare a
riflessioni, sempre apprezzabili, senza mai diventare greve.
E' quasi un modo innato, come l'arte di scolpire il legno di cui lui
è maestro indiscusso, una capacità di coinvolgimento che con il
tempo e l'esperienza si è via via perfezionata, raggiungendo accenti
di notevole efficacia, anche attraverso periodi di prose poetiche,
come è possibile verificare nel più recente I fantasmi di pietra.
Del resto, anche il prefatore (nientemeno che Claudio Magris!) è
rimasto colpito da questo stile e pur non sbilanciandosi, cioè non
gridando ai quattro venti che questa raccolta è un capolavoro, ha
tuttavia evidenziato la sua ottima valenza, anche con un certo
stupore, trattandosi di opera prima.
Da allora Mauro Corona ha fatto molta strada, ma non ha perso, anzi
ha affinato le sue caratteristiche, già riscontrabili in modo chiaro
e inequivocabile in questo volume di cui raccomando vivamente la
lettura.
Mauro
Corona
(Pinè, 9
agosto 1950
nasce sul carretto dei genitori friulani Domenico Corona e Lucia
Filippin, venditori ambulanti, sulla strada che da
Pinè
porta a
Trento.
Dopo i primi anni dell'infanzia passati in
Trentino
ritorna con la famiglia a Erto, il paese d'origine.
Lì vive in prima persona la
tragedia del
Vajont. Ha ereditato dal nonno
scultore
la passione per il
legno e
dal padre
cacciatore
la passione per le
cime.
Corona è uno dei più apprezzati scultori lignei contemporanei, noto
a livello europeo. Inoltre si dedica all'arrampicata
(ha aperto numerosi percorsi sulle
Dolomiti)
e alla
scrittura.
Molti suoi romanzi sono stati tradotti in diverse lingue fra cui il
cinese.
Ha scritto:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998
&
2008),
vincitore del Grinzane Cavour 2008
Finché il cuculo canta (1999)
Gocce di resina (2001)
La montagna (2002)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
Storie del bosco antico (2005)
L'ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005
&
2007)
Vajont: quelli del dopo (2006)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi(e un corvo) (2007)
vincitore del premio Itas “Cardo d’argento 2008”
Storia di neve (2008)
Renzo Montagnoli
Opera Narrativa Noir
di AA. VV. Edizioni
Tabula Fati
Presentazione di Andrea Franco e Luca Di
Gialleonardo
Copertina di Giovanni Buzi
Narrativa Antologia di racconti noir
Partecipanti al Concorso Opera Narrativa
Questa antologia è il frutto della prima
edizione del Premio Letterario Opera Narrativa indetto dal portale
Opera Narrativa e relativo a racconti di genere noir.
In particolare ricomprende i primi due classificati ex aequo
Dentro lo scarico, di Gennaro Chierchia, e Romanzo criminale
2007, di Luca Ducceschi, il terzo classificato Il Pupillo,
di Afredo Mogavero, nonché altri tre finalisti che la commissione
editoriale ha ritenuto meritevoli di pubblicazione (Il libro
perduto, di Biancamaria Massaro, Una domanda, cento risposte,
di Fabio Giannelli e L’assassino è la cicala, di Enrico
Luceri).
Nel complesso la qualità è mediamente discreta e in ogni caso si
tratta di opere gradevoli e leggibili anche velocemente.
I primi due, quelli classificati ex aequo, sono a mio avviso i più
riusciti, sia per l’originalità della storia, che per come è stata
realizzata. Entrambi, poi, per quanto le trame siano del tutto
differenti, sono imperniati sul problema della pazzia, nella
fattispecie quella criminale; più ossessivo e anche assillante è il
racconto di Ducceschi, mentre più leggero, a tratti ironico, mi è
sembrato quello di Chierchia.
Degli altri 4 quello che secondo me si eleva su tutti è
L’assassino è la cicala, con cui Luceri è riuscito a rendere
credibili sia la vicenda che i personaggi. Il racconto della Massaro
è connotato dalla consueta diligenza espositiva dell’autrice romana,
mentre Il pupillo e Una domanda, cento risposte, mi
sono sembrati un po’ artificiosi, pur restando leggibili.
Gli Autori
Gennaro Chierchia, Gragnano
(NA). È presente nelle seguenti antologie: Un mondo di parole
(FreePress, Caivano 2003), Premio di Narrativa Formiche Rosse
2003-2004 (Betti Editrice, Siena 2004), Faximile. 49
riscritture di opere letterarie (Fratelli Frilli Editori, Genova
2004), Vedi Napoli e poi scrivi (Kairós Edizioni, Napoli
2005), Le parole per te (Giulio Perrone Editore, Gorgonzola
2006), Nulla è per sempre. 59 ultimi respiri (Giulio Perrone
Editore, Gorgonzola 2006), Partenope Pandemonium (Larcher
Editore, Città di Castello 2007), Corrispondenze di sensi (Albus
Edizioni, Caivano 2007), Dalla bocca del Vesuvio. Parole e versi
(Giulio Perrone Editore, Gorgonzola 2007), Scooter… con le ali ai
piedi (Albus Edizioni, Caivano 2007). È inoltre presente sul
numero 31 della rivista letteraria “Prospektiva”. Ha curato la
raccolta di racconti San Gennoir (Kairós Edizioni, Napoli
2006) e pubblicato il romanzo Filming Carmelo. Una vita senza
copione (Albus Edizioni, Caivano 2007).
Alfredo Mogavero è nato Salerno
nel 1979, dove attualmente vive. Si dedica da circa sei anni alla
scrittura di racconti horror, noir e fantastici, alcuni dei quali
sono stati pubblicati su antologie e riviste o hanno vinto concorsi
indetti sulla Rete. Attualmente lavora a una raccolta di racconti
tematici e a un romanzo.
Luca Ducceschi è nato a Sesto
San Giovanni (MI) nel 1977. Premiato e segnalato in vari premi
letterari, è presente nelle seguenti antologie: Samhain
(Ferrara, Torino 2004), Il Molinello 2007 (Premio il
Molinello), Fleurs du mal/Ghiaccio nero (Nicola Pesce, Roma
2008). Altre pubblicazioni sono in corso di stampa.
Biancamaria Massaro, Roma. È
presente in molte antologie, tra le quali: Bambini Cattivi (Melquiades,
Milano 2005), N.O.I.R, quindici passi nel buio (Traccediverse,
Torino 2006), Triora... terra di streghe (De Ferrari, Genova
2005), L’ora del Giallo (Esperienze, Fossano 2002),
Soprattutto Giallo! (Esperienze, Fossano 2004), Tributo a
Lovecraft (Chimera, Napoli), Stregonesque (Chimera,
Napoli), 666 passi nel delirio (Larcher, Milano 2006), Ore
contate (Ibis, Como 2007), Brividi a Roma (Alcione, Roma
2007) e la raccolta di racconti brevi di fantascienza allegata al
DVD “I Figli degli Uomini” (edizione speciale, 2007). Con Tabula
fati ha già pubblicato il fantasy La quercia dai rami d’oro
(Chieti 2005) e il giallo Senza corpo non c’è reato (Chieti
2007).
Fabio Giannelli, ha trentadue
anni vive a Ravenna dove lavora come consulente informatico. Ama i
libri di Stephen King e la letteratura fantastica in generale. È
stato finalista e segnalato in diversi concorsi nazionali. Un suo
racconto appare nell’e-book del concorso Il Sentiero dei Draghi 2007
con tema “La Follia”.
Enrico Luceri è autore di tre
romanzi, una cinquantina di racconti e una decina fra soggetti e
sceneggiature cinematografiche, tutti di genere giallo thrilling. Fa
parte dell’associazione RomaGialloFactory con i principali scrittori
di mistery di Roma e dintorni.
Ha pubblicato la raccolta di racconti Ma delitto è un sostantivo
maschile? (Il Calamaio, Roma 2001), Profondo come un pozzo
(Il Melograno, Milano 2006), Vita segreta di uno scrittore di
gialli (Magnetica, Milano 2006), Le colpe vecchie fanno le
ombre lunghe (Prospettiva, Civitavecchia 2008).
Suoi racconti appaiono nelle raccolte: 13 in noir (Effedue,
Piacenza 2003); Una notte di terrore (PhantomPress, 2004);
Bambini cattivi (Melquiades, Milano 2005); N.O.I.R. Quindici
passi nel buio (Traccediverse, Torino 2005); Dal tramonto
all’alba (Melquiades, Milano 2005); 666 passi nel delirio
(Larcher, Milano 2006), San Gennoir (Kairòs, Napoli 2006),
Criminalcivico 2 (Osiride, Rovereto 2007), GialloScacchi
racconti di sangue e di mistero (Ediscere, Verona 2008).
Racconti e saggi sono stati pubblicati sulle riviste: “Gemellae” (nn.
35-40-41/2004/5); “Prospektiva” (n. 34/2006); “Sherlock Magazine” (nn.
9-10-11/2007/8).
I curatori
Andrea Franco, Roma. È presente
nelle seguenti antologie: Bambini cattivi (Melquiades, Milano
2005), N.O.I.R. Quindici passi nel buio (Traccediverse,
Torino 2006), 666 passi nel delirio (Larcher, Milano 2006),
San Gennoir (Kairós Edizioni, Napoli 2005), <I<
dietro>(Magnetica, Napoli 2007), La Spranga (Pontegobbo,
Piacenza 2007). Ha pubblicato un’antologia personale, Tre
semplici sconosciuti (Traccediverse, Torino 2005) e il romanzo
Nella bolla (Giraldi, Bologna 2008).
Luca Di Gialleonardo, Anagni (FR). È
presente nelle seguenti antologie: N.O.I.R. Quindici passi nel
buio (Traccediverse, Torino 2006), 666 passi nel delirio
(Larcher, Milano 2006). Ha inoltre pubblicato sulla rivista
letteraria “Writers Magazine Italia”.
Renzo Montagnoli
La miglior vita
di Fulvio Tomizza Arnoldo
Mondadori Editore S.p.a.
Narrativa romanzo
Fulvio Tomizza è riuscito con questo libro a dare una visione
completa di un popolo spurio, che solo alla fine della prima guerra
mondiale si è accorto di essere italiano o slavo, non per scelta
individuale, ma in quanto questa suddivisione divenne forzata.
Questa gente, costituita per lo più da poveri contadini e che
parlava un dialetto a metà fra l'italiano e il croato, non appena le
terre su cui vivevano passarono all'Italia, si trovò
improvvisamente, e non autonomamente, italiana. E così la nostra
lingua divenne quella unica e ufficiale a tutti gli effetti, tanto
che durante le messe al celebrante fu imposto di usarla, al posto
del latino; a quelli che italiani non erano fu rivolto un deciso
invito ad emigrare, ad andare nel neonato stato jugoslavo.
In forza di ciò quelle popolazioni decisero di essere italiane o
croate, con fratture insanabili anche all'interno della stessa
famiglia, e fu in quella circostanza che non pochi, magari
aggiungendo solo una vocale, italianizzarono il loro nome.
E sarà un'altra guerra a rimescolare le carte, a far perdere
definitivamente la propria identità a quella popolazione contadina,
a quel mondo arcaico che in seno all'impero asburgico conviveva
senza problemi, consapevole solo di essere una comunità.
Di questa tragedia, perché di tragedia si tratta, Fulvio Tomizza
parla in La miglior vita, romanzo certamente non facile, da
leggere con attenzione per poter comprendere attraverso il racconto
di un sagrestano, Martin Crusich, non solo la realtà di questo
microcosmo, ma anche, allargandone la visione, gli aspetti cruciali
di un secolo.
Così ci narra di due grandi guerre, di cambiamenti di nazionalità,
di esodi volontari oppure forzati, di una grande epidemia di vaiolo,
di un terremoto, di una rivoluzione socialista, e questo partendo
dal particolare, da quel piccolo paese di Radovani in cui Martin
Crusich è ombra fidata dei ben sette parroci che si succedono, dalla
figura solenne e ieratica di Don Stepe al personaggio tormentato di
Don Miro, vittima di una passione, di cui si punirà
autodistruggendosi con il vizio del bere e nulla facendo per curarsi
dal cancro che lo ha colpito. Dopo di lui, stante il regime
socialista, la parrocchia non avrà più il suo prete e
nell'abitazione riservata ai sacerdoti si ritirerà Martin, testimone
di un'epoca e custode ultimo della memoria.
Scritto così può sembrare poca cosa, ma questo romanzo, non solo è
unico nel suo genere che potremmo definire epico di frontiera, ma è
anche una storia di uomini complessi e semplici al tempo stesso, di
sentimenti, di gioie e di dolori. Al riguardo, le pagine in cui
viene descritto il trasporto a casa su un carretto trainato da un
asino e alla cui guida c'è Martin del cadavere dell'unico figlio
Antonio, partigiano morto combattendo, sono di una bellezza
indescrivibile; non c'è il ricorso alla facile commozione, anzi
questo viaggio, che è forse una metafora di un popolo così smembrato
e che può ritornare alle sue case solo quando non è più in vita, è
descritto con uno stile asciutto, senza indulgere a pietismi, ma
proprio per questo tocca livelli di alta drammaticità che segnano
profondamente l'animo del lettore, apparendo del tutto naturali.
Il romanzo termina con l'ultima annotazione di Martin Crusich, che
avverte che la sua ora sta per arrivare, e che scrive: " Scende
sulla terra il vuoto dei cieli o su di noi si spalanca la miglior
vita? Questo non sapevo, che il mondo muore a ogni morte di un
uomo." E' un per chi suona la campana che conclude in modo superbo
un romanzo di rara bellezza.
Fulvio Tomizza (Giurizzani di
Materada, Umago, 26 gennaio 1935 - Trieste, 21 maggio 1999). Figlio
di piccoli proprietari agricoli, dediti anche a varie attività
commerciali, ottenuta la maturità classica, si trasferì
temporaneamente a Belgrado e a Lubiana, dove iniziò a lavorare
occupandosi di teatro e di cinema.
Ma nel 1955, quando l'Istria passò sotto l'amministrazione
jugoslava, Tomizza, benché legato visceralmente alla sua terra, si
trasferì a Trieste, dove rimase fino alla morte, tranne che negli
ultimi anni trascorsi nella natia Materada.
Scrittore di frontiera, riscosse ampi consensi di pubblico e di
critica (al riguardo basti pensare ai numerosi premi vinti: nel 1965
Selezione Campiello per La quinta stagione, nel 1969 il Viareggio
per L'albero dei sogni, nel 1974, nel 1986 e nel 1992 ancora
Selezione Campiello rispettivamente per Dove tornare, per Gli sposi
di via Rossetti e per I rapporti colpevoli, nel 1977 e nel 1979 lo
Strega e quello del Governo Austriaco per la letteratura Europea per
La miglior vita).
Ha pubblicato: Materada (1960), La ragazza di Petrovia (1963), La
quinta stagione (1965), Il bosco di acacie (1966), L'albero dei
sogni (1969), La torre capovolta (1971), La città di Miriam (1972),
Dove tornare (1974), Trick, storia di un cane (1975), La miglior
vita (1977), L'amicizia (1980), La finzione di Maria (1981), Il male
viene dal Nord (1984), Ieri, un secolo fa (1985), Gli sposi di via
Rossetti (1986), Quando Dio uscì di chiesa (1987), Poi venne
Cernobyl (1989), L'ereditiera veneziana (1989), Fughe incrociate
(1990), I rapporti colpevoli (1993), L'abate Roys e il fatto
innominabile (1994), Alle spalle di Trieste (1995), Dal luogo del
sequestro (1996), Franziska (1997), Nel chiaro della notte (1999).
Per ulteriori approfondimenti consiglio
Fulvio Tomizza, un saggio molo bello e interessante
scritto da
Grazia Giordani.
Renzo Montagnoli
Sentieri di luce
di Silvano Conti
Prefazione
La poetica di - Silvano Conti -
La silloge presente, non casualmente denominata -"sentieri di luce"-
è un percorso, frutto della sensibilità di Silvano Conti, che sembra
voler essere una specie di autobiografia interiore: un itinerario
che il poeta vuole delineare per mostrarlo al lettore, una
autobiografia resa per immagini e sensazioni di un tratto di cammino
interiore della sua vita nella quale designa a compagni di viaggio,
i suoi amici, i suoi lettori. Tuttavia, se è vero che la mente e le
parole possono delineare un'immagine, un sentimento o, perché no,
una sensazione; è però il cuore che dipinge a colori il mondo,
circondario o universo che sia: i colori di un "Luca dei robots" ad
esempio, che appare nella raccolta di Silvano. Sì, perché ciò che il
poeta propone non è semplicemente una raccolta di composizioni, non
un trito e scontato arrovellarsi nel buio di chissà quali dubbi, o
il descrivere il turbamento di un' anima alla ricerca di qualcosa o
che abbia scovato entità estranee alla sua scoperta e che cerchi di
inseguirlo: no! E' un cammino nella luce per scoprirne la fonte,
mentre tutto intorno è colorato, vivo, semplice, vero, così
evidente.
È un cammino dove " Zetti " - affettuoso appellativo di Franco
Caldari suo datore di lavoro - trova un interlocutore che è molto di
più di un subalterno e che non perde la ragione; un interlocutore,
il poeta, che nella realtà descrittiva del suo poetare, afferma
chiaramente, colmo di speranza, che non vi è nessun male che non
abbia in sé qualcosa di buono, e lo dice con quella semplicità
disarmante, asciutta, che diventa vera efficacia espressiva.
Leggendo le poesie di " Sentieri di luce", ci si accorge di
converso, quasi inconsapevolmente, di come la fede del poeta ci
proponga una "Bellezza" assoluta che è l'eternità, che è Dio stesso:
una bellezza che si contempla in uno specchio, quello dell'anima, e
noi siamo l'eternità, noi siamo lo specchio... " Avrò cura di me,
per compiacermi, per compiacerti, nella Tua gloria "
Si scopre gradualmente, in queste poesie, anche una dimensione
dell'amicizia incontenibile, che straripa anche verso il lettore.
Dimensione che non è solo e semplicemente comunione di interessi e
di sentimenti... è qualcosa che va oltre, che trascende e
trasfigura. Silvano ci dice che si ha bisogno dell'amico perché si
ha bisogno di un volto che ci accompagni per la strada della nostra
vita e che, assieme a noi, la condivida. Al centro della sua poetica
c'è pertanto un messaggio preciso, un segnale schietto di amicizia
verso il lettore, verso il mondo; un messaggio franco, onesto,
personale, che incuriosisce e conquista, avvince, provoca. Nei suoi
componimenti si rinviene un momento di verità... talvolta anche di
dolore che però mira esclusivamente a voler cambiare la creatura che
è in noi, a plasmarla, a darle occhi limpidi e a spogliarla di tutte
le maschere con cui, noi tutti, ci proteggiamo; a liberarci dalla
nostra grande impotenza, dalla debolezza, dai nostri limiti.
Tuttavia Conti ci dice con chiarezza che quel volto che abbiamo
accanto ( e che ci pensa ) non può non ricordarci che anche la
sofferenza incontrata per la via ha un senso, e che la salvezza è
possibile... che c'è "luce", insomma, attorno a noi e sentieri
luminosi da percorrere. Vuole concedersi, Silvano, offrirci il suo
sentire ed impossessarsi del nostro: vuole essere "amico". Ed è,
amico, un termine abusato purtroppo, ma il poeta, senza mai citare
la parola, ne propone la sostanza nell'accezione più autentica e
trasfonde il valore del termine in un ambito che trascende da quello
della semplice relazione interpersonale: egli diviene "amico
assoluto" del cosmo che lo circonda, amico del lettore. Amico anche
quando uno "sciopero generale", vorrebbe isolarti da tutto e da
tutti, ma lui ti pensa; quando una "carta millimetrata" non ha
parole né più limiti, ma lui è vicino a te; quando gli "orizzonti"
potrebbero sembrare non aprirsi alla speranza, ma lui prega per te!
In " Sentieri di luce " questo senso di amicizia con la realtà e con
il lettore è sigillato, firmato e affermato costantemente da un
presenza, da un sorriso, da un qualcuno che nobilita fino
all'assoluto questo senso del "sentirsi insieme". E' la presenza di
Colui che ha saputo "dare la vita per i suoi amici" aprendo un vero
sentiero di luce, incancellabile, nella storia umana.
Le poesie di Silvano Conti si imbevono dunque di una luce che
designa una sensibilità grandissima di immaginazione, di "coilluminazione"
con l'altro, di un'affettività amicale che si trasforma in
trasmissione telepatica delle emozioni che egli ci offre, con la
sincerità e la semplicità del compagno di cammino. L'alta statura e
grado della sua personalità e sensibilità ci offrono un linguaggio
aperto e penetrabile e le sue composizioni, in magistrale sintesi,
in rapidi tratti di immagini, non perdono mai il senso ordinato
della misura e della coerenza. Le sue composizioni, ormai scevre da
superati condizionamenti ermetici e post-ermetici, ne rigettano quel
linguaggio chiuso e impenetrabile e, anche quando, con vasto uso di
analogie e metafore, con frequenti ricorsi alla disintegrazione
apparente di legami logici, con ricorrenti usi di rapide allusioni e
fulminei susseguirsi di immagini si fa più introspettiva e
pensierosa, non perde mai di vista quella luce... equilibrata via,
che è recupero della poesia tradizionale ma anche nuovo percorso,
spirituale, inclassificabile.... ed è un risultato notevole sul
piano poetico che permette alla sua opera di conservare efficaci
attualità, spessori e verità.
Grazie Silvano, è stato davvero un bel regalo, per conoscerti ancora
di più, per non sentirci soli, per sentirti amico.
Don Pietro Vispi
Sentieri di luce
di Silvano Conti
Postfazione - Nota dell'autore
Della poetica e della prosa poetica dei sentieri di caccia, d'aria,
di luce...
I miei sentieri poetici, di caccia d'aria di luce, sono già di per
sé un appellativo implicativo che apre e indirizza il pensiero verso
la ricerca e la conoscenza, che sia luce o ignoto o intima
trascendenza. In questa situazione di attesa "si sta", di
ungarettiana memoria, sospesi nella precarietà esistenziale e al
tempo stesso dinamici; frastornati pur lucidamente protesi
all'esperienza. Ma, contemporaneamente, si va oltre: la si
attraversa di slancio, quella supposta staticità, scavalcandone i
termini iconici legati alla contingenza attraverso l'affidamento e
la spiritualità. È un donarsi cieco e fiducioso. È riconquista di
nuova etica che li trasfigura ribaltando l'amnio novecentesco e i
suoi stupori, i suoi chiaroscuri, le sue ansie magmatiche e le
angosce, a favore di nuove entità e densità poetiche ( quelle del
nuovo millennio ) e ancorchè, di nuova scalzante osata e motivata
modernità interpretativa di pensiero, di ispirazione, di
aspirazione. Sono ribaltamenti, a guardare bene, tutt'altro che
crepuscolari o tardo decadenti, nient'affatto remissivi o
rinunciatari, ma sorretti e ben argomentati, tenuti tesi e vivi da
scandagli analitici e profondi, da simultaneità e dualismi
prospettici, spesso polivalenti. Musiche e masse insomma, costruite
attorno alle ragioni di un dettaglio, di uno stato d'animo, d'una
sensazione, di una segreta speranza. Non sono concessi lassismi di
tono, cedimenti, indulgenze; non deve esserci resa alcuna nella
poesia dei miei sentieri ... casomai qualcosa che somigli al "sapore
della morte", al pari del Mozart degli ultimi anni, quale retrogusto
amaro assunto a volto e dimora dall'insondabile, volto verso il
sovra razionale ed il trascendente. Non vi è traccia alcuna di
passività - almeno è mia intenzione non lasciarla - né di flusso di
decadenza. Sono sentieri che debbono emanare polivalenze sensitive
policrome, allusive, volte all'ignoto ed alla sua esplorazione.
Vengono preclusi, nei miei intendimenti, tutti gli orpelli, le
ridondanze. La poetica dei sentieri ama le raggiere del caso
attribuite alla decodificazione del verso, della stessa parola, del
suono; non deve essere statica ma sempre sinuosa, semanticamente
turgida, cromatizzata dalla luce della coscienza emozionale e da
ricerche noumenologiche condotte nel segreto; resa universale dai
suoi sommovimenti interiori. A tratti ( si veda : - streap tease in
"Sentieri di luce" - o - magazzino spedizioni in "Sentieri d'aria"
Ed. Nuova Prhomos 1995- o nel racconto breve - alla ricerca del filo
conduttore in "Aspettando l'attesa" ed. Prhomos 1988) non disdegna
la pura meditazione, confessiva, metafisica ed autoreferente , dove
il verso può dilatarsi in esplosioni o implosioni di parole o in
prosa ( poetica ), che pure deve essere sempre supporto a un profilo
di lirismo, magari mutato a scabro frammento di vita o in una
scheggia di consapevole esistenza aperto alla poesia, al poema;
financo alla farsa o al romanzo, ma sempre colmo di variegate e
dense sensazioni... In questo caso la prosa-poesia dei sentieri è
prossima a farsi provocatrice, elemento di disturbo scatenante, nel
contesto di un libro ordinato; scompiglio, generale pazzia. Così la
prosa poetica, ma sempre corredata da temi conduttori e da rimandi
allusivi indipendenti e indivisibili tra loro, supporto - sine qua
non - al suo attecchimento, alla sua affermazione, e tutto ciò,
naturalmente in necessaria assolutezza di scrittura. Citando Mario
Luzi, penso anch'io che, solo quando si tocchi lo zenit o il nadir
del significato, il significante, l'involucro che avvolge la parola,
il componimento come esso appare, riluca nella poesia e divenga
luce, non disabitata trasparenza....
Silvano Conti 25.11.2007
www.poetare.it
Se stasera siamo qui
di Catherine Dunne Autrice di La
metà di niente
Titolo originale At a Time Like This
Ed. Guanda Narratori della Fenice
“Ricordo come fosse ieri il giorno in cui ci siamo conosciute. Il
giorno che ha cambiato tutto”.
Questo è l’incipit del romanzo incentrato sull’amicizia al
femminile. Quattro amiche dai tempi dell’università, Georgie,
Claire, Maggie e Nora, nella Dublino degli anni ’70, dove si svolge
la storia, festeggiano 25 anni di frequentazione. L’incontro si
rivelerà un auting per ciascuna di esse, sarà assente Georgie che ha
dato una virata alla sua vita lasciando tutti e andando a vivere in
Toscana. La vicenda si dipana a quattro voci, le protagoniste dal
loro punto di vista scardinano le loro esistenze e il legame che
unisce l’una all’altra. Tra confessioni, tradimenti, amori,
complicità, le amiche superano anni di, a volte, contrastanti
sentimenti, condividono chiacchiere, pettegolezzi e, un pizzico di
snobismo, tuttavia, non scalfendo la saldezza della loro amicizia
nonostante tutto.
Certamente questa storia non è un capolavoro, l’autrice è una
gradevole scrittrice, ma i personaggi hanno un che di stereotipato
alla “Sex and city”, diciamo che è una promessa di evasione o, per
alcuni, forse, una perdita di tempo, può darsi! C’è il campionario
della sfigata in amori tutti sbagliati, la perfettina e perbene, ma
con scheletri nell’armadio, la sofisticata snob, in apparenza, tutta
carriera e aplomb, ma che scopre la vera passione e, per non farci
mancare niente, la donna dal matrimonio infelice, alla fine si
riscatta, ritagliandosi un angolo di libertà. La scrittura risulta
opaca e, convenzionale, in cui i sentimenti e gli stati d’animo
delle protagoniste rimangono sommerse senza riuscire, nemmeno a
galleggiare vicino a noi lettori. Eppure sta riscuotendo successo di
pubblico, misteri dell’editoria e delle fortune di un libro.
L’autrice: Catherine Dunne è
nata nel 1954 a Dublino, dove vive. Ha studiato letteratura inglese
e spagnolo al Trinità College e ha lavorato come insegnante. Guanda
ha pubblicato i romanzi La metà di niente, La moglie che dorme,
Il viaggio verso casa, Una vita diversa, L’amore o quasi. Sempre
presso Guanda nel 2007 è uscito Un mondo ignorato,
sull’emigrazione irlandese degli anni Cinquanta.
Arcangela Cammalleri
I piccoli maestri
di Luigi Meneghello
RCS Libi S.p.a.
Introduzione di Maria Corti
Narrativa romanzo
Da Libera nos a Malo a I piccoli maestri c'è una
frattura che si stenta a comprendere. L'autobiografia di Meneghello
prosegue infatti con il periodo bellico e in particolare con quello
della Resistenza, sulla quale è imperniato pressoché totalmente il
libro.
Non è che ci si trovi davanti a qualche cosa di scritto
grossolanamente, tipo il diario di un partigiano di modesta cultura,
ma è il punto di vista che dovrebbe subire una svolta che però non
si verifica.
Certo, l'aver messo mano a quest'opera a distanza di tempo ha
smussato tensioni, ha spuntato acuti, ma francamente, se il ricorso
a una certa ironia appare sovente misurato, in alcuni punti
travalica i confini della logica, trasformando fatti in avventure
quasi picaresche.
La guerra partigiana, affrontata da giovani inesperti come un gioco,
non riesce a trasmettere le sensazioni di inevitabili amarezze che
la realtà provocherà nell'autore e nei suoi amici.
Il tono volutamente leggero, a tratti goliardico, non permette
infatti di comprendere appieno la maturazione di questo gruppo di
studenti, a loro modo indipendenti e autonomi in un contesto di un
conflitto aspro, sanguinoso, proprio di una guerra civile.
E se è possibile capire la ratio che impone il ricorso ad azioni
nell'ottica di limitare le quasi certe conseguenze sulla popolazione
amica, tuttavia appare poco comprensibile il discorso della crescita
umana e civile di questi combattenti.
Pur restando una testimonianza preziosa della guerra per bande nel
vicentino, mi sembra che questa volta qualche cosa non abbia
funzionato nell'ingegno narrativo dell'autore e che quel volere
smussare a tutti i costi i contorni dei fatti abbia finito con il
renderli, anziché più reali e veritieri, come doveva essere nelle
intenzioni, degli eventi il cui livello di credibilità viene più
volte messo in discussione.
Non è che manchino pagine e descrizioni di accadimenti che di per sé
sono notoriamente tragici, ma il raccontarli, alleggerendo troppo la
tensione, finisce con lo sminuirli e può dare un'errata visione di
quello che fu la resistenza.
I piccoli maestri è senz'altro un romanzo minore di
Meneghello, anche dal punto di vista stilistico, con una certa
inclinazione all'estetismo quasi fine a se stesso.
Ciò non toglie che meriti di essere letto, ma certo non ci si può
attendere l'esemplare prova di equilibrio di Libera nos a Malo.
Luigi Meneghello (Malo, 16
febbraio 1922 - Thiene, 26 giugno 2007).
Laureato in filosofia all'Università di Padova, si trasferì nel 1947
in Inghilterra, dove qualche anno più tardi fondò la cattedra di
letteratura italiana presso l'Università di Reading, dirigendola
praticamente fino al 2000, anno in cui ritornò definitivamente in
Italia.
Ha scritto, fra l'altro, Libera nos a Malo (Mondadori, 1963),
senz'altro la sua opera più conosciuta, I piccoli maestri
(Mondadori, 1964), Pomo Pero (Mondadori, 1974), Fiori italiani
(Mondadori, 1976), Maredè, Maredè (Rizzoli, 1991), Il dispatrio
(Rizzoli, 1993).
Renzo Montagnoli
Il mio cuore umano
di Nada Malanima Fazi Editore
pag. 141
Romanzo-narrativa
La quarta di copertina è l’incipit della narrazione ... “Era la fine
di febbraio, esattamente il periodo di carnevale, da tutte la parti
si festeggiava. Quella sera mio padre e mia madre erano andati a
ballare in un paese vicino, mia madre ballò così tanto che le si
consumarono i tacchi”.
Nella Toscana degli anni ’50, attraverso gli occhi che “sanno
guardare distante” e i sentimenti di una bambina, Nada, l’io
narrante, si dispiegano i ricordi della prima fanciullezza segnati
da una sensibilità affinata dagli eventi famigliari. Per chi ha
vissuto quegli anni a cavallo tra i ’50 e i ’60, ritrova il profumo
lontano, ma, ancora, forte di un tempo irripetibile di
trasformazioni economiche e sociali di grande impatto emotivo. La
televisione, “La scatola parlante”, al circolo dell’Arci si andava a
vedere il sabato il varietà, vissuta come rito collettivo, le vespe
sostituite dalle automobili, i servizi igienici in casa… Da una
società arcaica, contadina, ritmata dai cambiamenti della natura ad
una società industriale che pulsa al ritmo della invenzioni e delle
modernità. C’è incanto e stupore di altri tempi ormai mitizzati
perché legati a stagioni della vita in cui la scoperta del mondo
famigliare e circostante è preludio alla ricerca di se stessi e al
perché della propria esistenza. La protagonista vive gli umori, gli
amori, le sofferenze e anche le bizzarrie dei suoi famigliari con
estrema sensibilità e tanto bisogno d’affetto materno non sempre
elargito semplicemente. All’ombra della madre bella, ma sofferente
di nervi, di un padre poco incline al dialogo, della sorella tanto
amata, della nonna Mora, ruvida di modi, ma ricca di genuina
saggezza contadina, Nada, bambina magra e fragile attraversa
l’infanzia solitaria, piena di incubi e scuri pensieri che nessuno
conosceva per approdare all’adolescenza in cui il suo cuore, un
normale “Cuore umano” moltiplica sensazioni e stati d’animo. E’ un
racconto che fluisce limpido come un ruscello di montagna che a
tratti, ma solo, a tratti, s’intorbida, non s’avverte nostalgia,
piuttosto traluce la semplicità quotidiana del mondo reale: i più
intimi e semplici legami tra le persone, un mondo dietro cui si
nascondono altri mondi possibili. Uno sguardo il suo che con
sofferta acutezza amplia l’orizzonte conoscitivo ( si rifugia nella
scrittura poetica, nei libri) riflettendo sul senso dell’esistere,
della morte. Sorprende la scrittura piana, lieve, scevra da
infarciture retoriche, essenziale senza indulgere in paradigmi
stilistici complessi e spesso, segni di meri esercizi letterari.
L’autrice: Nada Malanima,
conosciuta solamente come Nada, è una tra le artiste più originali
della scena musicale italiana. E’ nata a Gabbro (Livorno) nel 1953.
Interprete e cantautrice, compositrice di versi e prose di note
dalla decadenza ambrata, poeta veggente di mondi arcani in cui si
specchia, disconnessa e spudorata, una realtà fatta di passione,
d’istinti primordiali e bisogni intensi ed intimi, dell’intimità
violata dall’incanto. Per Fazi Editore ha già pubblicato la raccolta
di poesie e racconti Le mie madri. Il mio cuore umano
è il suo primo romanzo.
Arcangela Cammalleri
“Tocchi di pennello” autrice
Maristella Angeli – Casa Editrice
MEF - L’Autore Libri Firenze
Collana Biblioteca 80 –Poeti
Raccolta di poesie
Prefazione di Sandro Orlandi
Versi di copertina
Soave il giorno che si apre al futuro
senza paure nel domani
.
Lo slendore è negli occhi di chi ti ama
nelle carezze di bambagia
che accompagnano le notti.
Biografia dell'autrice
Maristella Angeli è nata a
Foligno e vive a Macerata. Ha pubblicato l'opera alla ricerca del
proprio corpo: animazione e ricerca gestuale nell'Educazione Fisica,
Lo Faro Edizioni Roma, la raccolta poetica Gocce di vita Casa
Editrice Il Filo - Roma. E' vincitrice del primo Premio
Internazionale Una Terra di Leggende - Castelli Romani (RM), per la
poesia inedita ed è finalista del Premio Letterario Nazionale e
Internazionale Accademia G. Belli, Roma.
ha partecipato a varie iniziative letterarie e al VII edizione del
Festival Internazionale della Letteratura Aggiornata svoltosi a
Macerata (MC). Il suo libro "Gocce di vita" è stato positivamente
recensito da critici letterari: Cristina Contilli www.literary.it e
da "VibrArte", Coordinamento Artisti Salentini
www.vibrarte.ilcannocchiale.it .
Suoi componimenti sono inseriti in numerose antologie, blog e siti
letterari.
Prefazione
Rincorrere le nuvole con lo sguardo, perdersi in un cielo stellato,
inebriarsi del profumo della primavera, ascoltare la voce del mare,
nutrirsi del silenzio delle montagne. In una goccia di pioggia, come
in una lacrima, è racchiuso il segreto della vita, una vita piena di
insidie, forse anche di sofferenze, ma pur sempre una vita degna di
essere vissuta fino in fondo, cogliendo il più possibile ciò che di
magico e meraviglioso sa donarci. E’ questo il segreto delle poesie
di Maristella Angeli. Una lirica, a tratti semplice, ma che tocca
profondamente ognuno di noi, perché semplici sono le cose più
importanti che rendono straordinaria l’avventura del vivere. E’
questo il senso di “Gocce di Vita” la raccolta poetica di Maristella
Angeli, cioè l’espressione del sentimento con genuinità e candore,
l’inno all’amore sincero e vero, quello che non ammette compromessi
o ipocrisie, l’amore verso gli altri e verso la natura, verso la
vita e verso se stessi e infine verso la persona che sa comprendere
ed apprezzare.
Speranza contro il dolore, entusiasmo contro il grigiore, gioia
contro la tristezza; perché la vita per Maristella Angeli, è troppo
importante e supera qualunque impedimento, qualunque disperato
tentativo di distruggerla.
Solo l’amore può, solo l’amore combatte e vince l’annichilimento
interiore. Troppo spesso lo dimentichiamo, lo contestiamo o
cerchiamo di confonderlo. Questa silloge ce lo ricorda con forza e
semplicità.
Tra due guerre e altre
storie di Mario Rigoni Stern
Edizioni Einaudi
Narrativa raccolta di racconti
Sono cinquantotto le storie che compongono questa raccolta di
racconti apparsi, in parte, nell'arco di oltre vent'anni sulle
pagine del quotidiano La stampa.
I temi affrontati sono quelli cari all'autore asiaghese e cioè la
guerra, la montagna e la natura, ma c'è anche la ricerca di qualche
cosa di nuovo, onde evitare, inevitabilmente, di ripetersi.
Si passa così dalle Storie della prima guerra mondiale, in cui alla
fantasia creativa è lasciato poco spazio per dare invece una visione
dei fatti sulla base di documenti o della memoria di chi vi
partecipò, per affrontare poi in modo più partecipe quelle della
seconda guerra mondiale.
La differenza fra le prime e le seconde è data dal fatto che Stern è
nato nel 1921, quindi a conflitto già concluso, mentre quelle della
seconda guerra mondiale sono frutto della sua testimonianza diretta
di fatti ed eventi, ripescati dallo scrigno della memoria, con
l'aggiunta di interessanti riflessioni. Al riguardo, esemplare è
Nel cuore la rabbia del Don, sugli eventi dell'8 settembre 1943,
dove l'esperienza diretta (l'autore fu fatto prigioniero dai
tedeschi e deportato in un lager) si fonde con razionalità con
l'aspetto puramente storico, riuscendo così a fornire un quadro
esauriente dello stato di incertezza prima e di rabbia dopo dei
nostri soldati, abbandonati dal re e da Badoglio alla mercé dell'ex
alleato.
Ci sono però anche Le storie dell'est, resoconti di viaggi di
Stern ritornato nell'Unione Sovietica sui luoghi teatro del suo
celeberrimo Il sergente nella neve. In questi ho rilevato che
al sentimento di ammirazione per il popolo russo, di cui non si
sentì mai nemico, si aggiunge un certo compiacimento per quella
realtà post bellica comunista che tuttavia non ritengo frutto di una
scelta politica, bensì di un ampliamento della base di ammirazione
di cui ho appena accennato. Così ci sono visite ai luoghi di
battaglie, commoventi ritorni dove tanto si è sofferto, emozione che
l'autore riesce a trasmettere tangibilmente al lettore, ma anche la
visita a un colcos, con tanto di festeggiamenti e di pranzo
speciale, oppure disamine tecniche di quell'economia i cui risultati
sembrerebbero soddisfarlo pienamente.
Troviamo, però, anche nuovi orizzonti letterari, che vanno oltre le
pur belle Storie dell'Altipiano (stupendo è il ricordo del
giorno dei Morti di quando lui era fanciullo), e che sembrano
inaugurare un nuovo filone che comunque in seguito non sarà
sviluppato.
Ed è un peccato, perché i racconti delle Storie dall'Europa,
pur svolti con quell'indole volta a privilegiare le radici di un
popolo e la natura in cui vive, assumono una veste nuova, una specie
di desiderio recondito di andare oltre i confini della propria
esperienza diretta per abbracciare realtà diverse, viste con
l'occhio e la creatività di un osservatore esterno.
Però, Rigoni Stern è uomo che scrive soprattutto della sua vita, con
una mano felicissima, con un'indole poetica naturale che fanno
assumere alla narrazione un carattere autonomo e del tutto unico, in
un giusto equilibrio fra fatti e inventiva.
Proprio per questo qualcuno ha lamentato il ripetersi dei suoi
argomenti, il riprendere un evento già raccontato per riproporlo in
una prospettiva e in una stesura diversa, fermo restando
l'immutabilità della storia. Qualche cosa del genere c'è anche in
Tra due guerre, ma, pur sovvenendomi di aver già letto di un certo
fatto, ho potuto apprezzare la diversa visuale, l'esposizione in
altri termini, ritraendone, anziché un fastidio, un ulteriore motivo
di compiacimento per la indubbia capacità artistica di questo
autore.
Tra due guerre è un libro senz'altro da leggere.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Recensione Esprit
libre
di Daniele D'Agostino
"Esprit libre", il primo romanzo del giovane autore Daniele
D'Agostino, é un cocktail esplosivo fatto di amori, amicizie,
incomprensioni, eccessi, problemi esistenziali. È il mondo di
Marcello Sardina alias Marcy e degli adolescenti in genere e in
particolare di un gruppo di amici assaliti dal desiderio di voler
essere e soprattutto apparire indipendenti, inseriti a fatica nel
contesto scuola dove i primi amori e le prime delusioni li
proiettano ferocemente nel mondo degli adulti e delle prime vere
responsabilità. Un mondo che fanno fatica a capire e accettare, dove
spesso il destino o semplicemente la piega degli aventi, ci mette il
suo per complicare la loro esistenza.
Un romanzo divertente, agile, dove vengono utilizzate con destrezza
e ironia espressioni e sigle tratti direttamente dal gergo
giovanile, ambientato in una caotica città del sud Italia ricca di
contraddizioni come Palermo.
Un urlo generazionale di un gruppo di ragazzi in perenne bilico tra
ribellioni e responsabilità, delusioni e passioni intense, dove a
volte si commette qualche scorrettezza comportamentale a discapito
delle amicizie più salde e inossidabili. Ma è anche un messaggio
rivolto al distaccato mondo degli adulti, alla scuola che non deve
essere vista solo come un'istituzione severa a seria, ma come un
luogo di approccio alla vita da adulto."
I fantasmi di pietra
di Mauro Corona Edizioni
Mondadori
Narrativa romanzo
Di questo suo libro
l’autore ha detto “Ho scritto la Spoon River del mio paese
perduto” e Mario Rigoni Stern, lo scrittore a cui Corona viene
spesso accostato per le tematiche, ritenne che questo fosse il
miglior lavoro dell’artista friulano, perché il racconto va con le
stagioni e subito viene il desiderio di andare avanti nella lettura
con ingordigia.
In queste due opinioni mi ritrovo anch’io, come si potrà meglio
comprendere nella prosecuzione di questa mia.
Erto, da quando si staccò il 9 ottobre 1963 un’immensa frana dal
monte Toc, precipitando nell’invaso del Vaiont e sollevando un’onda
altissima che sconvolse gli abitati vicini e rase al suolo in
pianura il paese di Longarone, è un agglomerato di case abbandonate,
in cui la natura avanza riprendendo possesso di quello che le era
stato tolto.
Le visite di Mauro Corona in questo paese ormai morto, effettuate
durante le stagioni dell’anno, sono un pellegrinaggio della memoria,
alla riscoperta di un passato nemmeno tanto lontano, ma che, in
quelle vie ormai spopolate e in quelle case dove rigogliose crescono
le ortiche, sembra infinito, come se il tempo si fosse fermato in
quella notte e avesse vetrificato i giorni.
Ogni casa è come una lapide di Spoon River, senza epigrafi, se non
quelle che emergono prepotenti dalla memoria dell’autore.
E così conosciamo chi erano gli abitanti, le loro storie, a volte
addirittura risalenti, per effetto della trasmissione orale, a
epoche assai precedenti.
Per certi aspetti il racconto diventa un poema, un canto intimo che
l’autore avverte in sé mano a mano che procede per le vie deserte.
Nulla sfugge al ricordo, emergono dalle nebbie dell’oblio figure che
non potranno che restarvi in mente, personaggi all’apparenza
insignificanti, ma che nella narrazione, senza enfasi peraltro,
acquistano una luce propria di straordinaria intensità.
C’è l’infanzia, povera, di Mauro Corona, ci sono perfino leggende
popolari che riacquistano nerbo, come la maledizione delle streghe
che prevedeva, anche se in termini generici, il disastro del Vajont.
Quelle mura vuote, quei tetti sfondati rivivono grazie alla memoria
e alla straordinaria magia della scrittura che fa rinascere una
realtà che non c’è più.
Sovente sembra di essere accanto all’autore in questa sua
deambulazione, scoprendo con lui piazze, osterie, officine di
fabbri, ma non è solo una serie di ritratti che ci viene proposta,
perché non sono figure statiche quelle degli abitanti, ma riusciamo
a coglierli nella loro attività, nella vita di ogni giorno, nelle
bevute all’osteria, nel lavoro dei campi, nella cruda desinenza
delle morti.
Grazie a Mauro Corona il paese defunto torna in vita e lo vediamo
com’era in un periodo di riferimento tipico, quell’anno solare in
cui le quattro stagioni ci portano il profumo della primavera, il
calore dell’estate, i tappeti di foglie dell’autunno e la fiamma nel
camino dell’inverno.
E’ una narrazione commovente, a volte anche struggente, è il più
bell’omaggio che l’autore potesse fare al suo paese morto,
rendendolo immortale con questo stupendo libro.
Mauro
Corona
(Pinè, 9
agosto 1950
nasce sul carretto dei genitori friulani Domenico Corona e Lucia
Filippin, venditori ambulanti, sulla strada che da
Pinè
porta a
Trento.
Dopo i primi anni dell'infanzia passati in
Trentino
ritorna con la famiglia a Erto, il paese d'origine.
Lì vive in prima persona la
tragedia del
Vajont. Ha ereditato dal nonno
scultore
la passione per il
legno e
dal padre
cacciatore
la passione per le
cime.
Corona è uno dei più apprezzati scultori lignei contemporanei, noto
a livello europeo. Inoltre si dedica all'arrampicata
(ha aperto numerosi percorsi sulle
Dolomiti)
e alla
scrittura.
Molti suoi romanzi sono stati tradotti in diverse lingue fra cui il
cinese.
Ha scritto:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998
&
2008),
vincitore del Grinzane Cavour 2008
Finché il cuculo canta (1999)
Gocce di resina (2001)
La montagna (2002)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
Storie del bosco antico (2005)
L'ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005
&
2007)
Vajont: quelli del dopo (2006)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi(e un corvo) (2007)
vincitore del premio Itas “Cardo d’argento 2008”
Storia di neve (2008)
Renzo Montagnoli
S. Lodato, R. Scarpinato -
IL RITORNO DEL PRINCIPE - Ed.
Chiarelettere
Recensione a cura di Carmen Lama
Un'analisi storico-politica lucidissima, obiettiva, dettagliata e
documentata, testimonianza di un Magistrato in prima linea, sulla
"criminalità dei potenti (sic!) in Italia": è un libro per capire i
giochi politici nell'intreccio con la criminalità organizzata, con
il mondo imprenditoriale, finanziario ecc…, un libro che svela i
retroscena del potere, quello che non si vede e non è mai stato
detto, né raccontato, "ma che decide, fa politica e piega le leggi
ai propri interessi. Ci avviamo verso una democrazia mafiosa?" Verso
un declino anziché verso lo sviluppo dell'Italia? "Gli italiani
possono reagire, è già successo", sostiene Scarpinato, con un
pizzico di ottimismo che si vorrebbe non fosse clamorosamente ancora
smentito dai fatti. Il Principe è una rievocazione dell'opera
omonima del Machiavelli, che viene utilizzato in questo testo, come
metafora del potere che si serve di qualsiasi mezzo, spesso violento
o comunque di sopraffazione, per raggiungere i "propri" fini, legati
ad interessi delle classi dirigenti e dell'alta borghesia affarista.
È un libro da leggere per capire che non possiamo farci illusioni,
ma che non dobbiamo neppure farci continuare a sfruttare e a
depredare, dal basso, dall'alto e in crescendo. È un libro da
leggere per capire che dobbiamo tenere gli occhi aperti e pretendere
che al primo posto nell'agenda politica dei partiti e dei governi ci
sia il rispetto della legalità e la sconfitta definitiva dei poteri
mafiosi e criminali.
Una frase di Scarpinato, nella prima pagina della sua Premessa al
testo è subito illuminante: " Qui pensare non è un lusso, ma una
necessità per evitare che ciò che non hai compreso in tempo ti
piombi addosso all'improvviso, come in un agguato, cogliendoti
inerme". Vale per Palermo, sede in cui egli opera, ma vale anche per
il resto d'Italia. E un'altra frase: ".. questo è un libro di storie
"oscene" che nel loro intrecciarsi sui terreni della mafia, della
corruzione e dello stragismo possono offrire una chiave per
comprendere pagine importanti del passato e per decifrare il
presente e il futuro… o forse la mancanza di futuro del Paese". (Il
termine 'oscene' è da intendersi nel suo senso etimologico, dal
latino ob scenum, ciò che opera nel fuori scena). È un libro da
leggere perché aiuta a pensare e a capire, perché apre uno sguardo
più accorto sul senso della quotidiana messinscena dei politici, nei
luoghi istituzionali e attraverso i luoghi mediatici, delle
rappresentazioni per il pubblico. Abbiamo a che fare con
un'oligarchia travestita da democrazia, ma ciò esula dalla parte
politica di volta in volta al governo: fa parte del sistema di
potere che non è ancora riuscito a passare nella modernità e nella
postmodernità come in altri paesi occidentali. Per questo motivo, il
nostro Paese sembra destinato a scontare un'arretratezza che si
perpetua dai tempi del Principe (di machiavelliana memoria), senza
riuscire a raggiungere il livello di civiltà dei partner europei ed
occidentali in senso lato. Perché il Principe "è ancora in una forma
smagliante" nonostante secoli di vita!!! Il libro si chiude con un
cauto ottimismo che sa più di pessimismo per il nostro futuro.
Leggere per capire e per credere. Il costo è di appena Euro 15.60
(comunque ben spesi).
Saverio Lodato è giornalista e
scrittore, lavora per "L'Unità".
Roberto Scarpinato è Procuratore
aggiunto presso la Procura antimafia di Palermo, dove dirige il
dipartimento mafia-economia. Ha lavorato con Falcone e Borsellino e
si è occupatori alcuni dei più importanti processi di mafia degli
ultimi anni. È stato uno dei PM nel processo Andreotti.
Carmen Lama
1504 - Notte all'Hostaria "La Guercia"
Pandolfo Collenuccio uomo di corte del XV
secolo
di Valentino Rocchi
Edizioni Agemina
Prefazione di Renzo Montagnoli
Narrativa romanzo storico
Già ho scritto qualche tempo fa di questo bellissimo romanzo
storico, allorché risultava edito da Argalia e con il titolo di
Notte all'Hostaria La Guercia.
Mi risulta quindi difficile riparlarne in altri termini, per quanto
in questa seconda edizione non sia cambiato solo il titolo, ora più
indovinato ed esplicativo, ma anche perché opportunamente l'autore
ha colto l'occasione per apportare piccole modifiche, per la verità
nulla di importante, ma che hanno finito per perfezionare un'opera
già originariamente di elevato livello.
A suo tempo avevo scritto che era un capolavoro e anche ora il mio
giudizio resta invariato, perché l'impronta, la struttura mantengono
le stesse caratteristiche che così tanto mi avevano impressionato.
Quella notte trascorsa in una cameretta dell'Hostaria La Guercia è
lunga un'intera vita, costituisce l'occasione per l'uomo Collenuccio
di ripensare al lungo percorso che l'ha portato fin lì. E se il
personaggio storicamente si presenta di notevole interesse, quello
che permea di grazia tutta l'opera è la sua essenza, è quello
spogliarlo dei panni di protagonista famoso di un'epoca per metterlo
a nudo, per ricondurlo al suo stato di uomo fra gli uomini.
È solo così, infatti, che ci è consentito di avvicinarlo, di vivere
con lui, di essere parte dei suoi sentimenti.
Se fosse rimasto un personaggio idealizzato, ben staccato nelle sue
caratteristiche da quelle di tutti i mortali, non avremmo potuto
apprezzare le bellissime pagine della sua iniziazione alla vita
sessuale, né avremmo potuto comprendere i suoi tormenti, né essere
partecipi delle sue pene d'amore.
Così, in una notte dal futuro molto incerto, anzi dalla sensazione
che non ci sarà un futuro, Pandolfo Collenuccio, nel raccontare di
se stesso, finisce con il dialogare con noi, proponendoci episodi in
cui non è difficile che ci possiamo riconoscere, ma il tutto con una
delicatezza che dona al ricordo la dimensione della sacralità, lo fa
diventare una testimonianza indelebile di una vita vissuta.
Quel rievocare il tempo andato alla luce dei dubbi e dei patemi
d'animo del presente impregna tutto il romanzo di una velata
malinconia, umanizza il personaggio e in tal modo lo fa sentire
parte di noi.
Così la sua emozione del primo rapporto con Maria, chiamata
affettuosamente 'susina acerba' per le sue qualità estetiche,
diventa anche la nostra emozione, la sua nostalgia per questo primo
amore finisce con l'essere anche la nostra e, sebbene per un
naturale senso di conservazione non moriamo con lui (una pagina,
questa, di altissima letteratura), però siamo lì presenti e diventa
veramente difficile riuscire a trattenere le lacrime.
Ma anche l'aspetto storico è tutt'altro che secondario, con la
descrizione di un'epoca e con un corollario di personaggi anche
famosi che non finiscono lì a caso o che vengono citati solo per
convenienza, ma perché c'è una precisa ragione logica che li colloca
nella trama, rispondendo di fatto a quello che avvenne veramente.
Si riesce così a tornare indietro nel tempo, quasi ci si cala nel
mondo del quindicesimo secolo, in compagnia di questo protagonista
che in effetti fu un grande cortigiano e diplomatico.
Incontreremo così Poliziano, Pico della Mirandola, i Borgia e così
via, in un affresco storico che nulla lascia alla fantasia, ma che
interpretato in chiave romanzesca risulta particolarmente
avvincente.
È strana, comunque, la vita. Io non sapevo nulla di questo Pandolfo
Collenuccio, ma da quando ho letto questo libro mi sembra che sia
diventato un vecchio amico, il cui ricordo ormai mi accompagna.
I personaggi storici normalmente si ricordano per ciò che hanno
fatto di straordinario, nel bene o nel male, ma dell'uomo, cioè
della sua essenza, distaccata dall'incarico ricoperto o dall'impresa
svolta, sappiamo ben poco, perché ciò che conta sono le azioni che
ne decretano la memoria.
L'abilità di Valentino Rocchi è l'averci rivelato anche un Pandolfo
Collenuccio privato, di averlo svestito dei panni ufficiali della
storia per mostrarci l'uomo, con le sue debolezze, i suoi patemi
d'animo, le sue piccole gioie.
Questa umanizzazione del personaggio, anziché sminuirlo, tende ad
avvicinarlo a noi, a ricondurlo a quella natura che è propria di
tutti, così che è anche possibile comprendere il comportamento e le
azioni che lo hanno reso celebre.
La caducità, invece di svilirlo, ha finito con il donargli uno
spessore del tutto particolare, che non potrà non restare impresso
nella memoria del lettore, conferendogli così quell'immortalità
dell'uomo salito all'olimpo degli dei.
VALENTINO ROCCHI, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone.Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e di trame avvincenti, dopo una vita di intenso
lavoro. Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Società
editrice Il Ponte Vecchio - Cesena); "L'Eredità di Venanzio" (Guaraldi
- Rimini) Vincitore del Premio letterario "Il Pungitopo" 2001."Notte
all'Hotel La Guercia" (Argalìa Editore);"Gli uomini di Bluma" (Giraldi
Editore) II Classificato al Premio "Palazzo al Bosco", 2002;"La
saggezza di Toni" (Giraldi Editore);Esce nell'anno del V centenario
della morte di Pandolfo Collenuccio, uomo di corte e di legge, dalla
vita straordinariamente avventurosa: "Notte all'Hostaria La
Guercia", Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Giraldi
Editore) ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è profondo
studioso e conoscitore. L'ultima pubblicazione, prima della
presente, è il bellissimo "La Magia del fuoco". (Agemina)
Renzo Montagnoli
L’età del dubbio di
Andrea Camilleri ed. Sellerio
Palermo pag.261
Siamo al 14° libro con protagonista il commissario Montalbano!
L’incipit di ben 12 romanzi è simile, Salvo s’arrisbiglia malamente,
dopo nuttate fituse, sudatizzo…tutto un ramazzarsi, un votari e
rivotari…Camilleri, di Montalbano in Montalbano, scava sempre più in
profondità nelle visceri dell’animo del nostro eroe e le notti e i
sogni diventano i segni premonitori del tempo che inevitabilmente
sopravanza. I 58 anni si dispiegano tutti davanti al commissario e
incombono su di lui come tanti macigni che lo travolgono, i
soliloqui s’infittiscono e, in questa ultima opera letteraria, per
non moriri affocato nel mare della vecchiaia si trova come in una
timpesta tra Scilla e Cariddi: l’attrazione improvvisa per un’altra
donna, nuova linfa, pura adrenalina che gli fa scorrere il sangue
veloce e limpido come l’acqua di un ruscello alpino, ma lo getta in
una gran confusioni ‘n testa. Ma era giusto, era onesto essiri saggi
davanti alla ricchezza dell’amuri?
Attraverso i 14 capitoli della saga di Montalbano abbiamo, noi
lettori, conosciuto progressivamente tutte le sfaccettature del suo
carattere che in nuce nei primi romanzi via via si sono acuite
accentuandone la solitudine insita nel personaggio e la sua
propensione a rinchiudersi sempre più in se stesso. L’abbrivio è un
sogno di stampo machbetiano, grottesco e allucinatorio, ma il
meccanismo delle indagini poliziesche ripete l’usuale cliché, il
rinvenimento di un cadavere che metterà in moto tutta la vicenda,
arricchita, questa volta, da un coup de foudre, dal sapore, quasi,
adolescenziale, dove fremiti e palpiti ‘mparpagliano il nostro
commissario. Lo scrittore si diverte dietro le quinte ad esasperare,
anche, a livello caricaturale, tic, vezzi, caratteristiche
comportamentali dei suoi personaggi alla stregua di macchiette o
maschere teatrali; i cognomi sono uno dei suoi divertissements, come
Catarella li stroppìa, il nostro puparo ci gioca, fa allusioni,
metafore: Lattes, Augello (ingentilito letterariamente), “Laura” di
memoria petrarchesca, riecheggia l’amor gentile che ratto e
rattamente rapisce il cor di Salvo, ”Belladonna”, è donna bella e
onesta e… atropina per i suoi sensi. Qua e là affiorano citazioni
letterarie, un verso di Saba, il titolo di un romanzo di Simenon e,
Tetrarca. In questa ennesima storia montalbiana tutto è più
esasperato e al contempo estenuato, insita una sfinitezza di fondo
che aleggia nella trama sia pure di ampio respiro internazionale,
(bella la frase tratta dia un libro di Vittorini traslata per gli
extra comunitari:“ erano i dolori del mondo offeso che emanavano
quell’odore che feriva”); se l’impasto linguistico è il tratto
distintivo di Camilleri e uno dei motivi di affezione a questo
autore e al suo personaggio, l’alone di uggia e scoramento che
adugge Montalbano è forse segno di un latente e annunciato epilogo?
L’età del dubbio è di Montalbano o di Camilleri?
L’autore: Andrea Camilleri è
nato a Porto Empedocle nel 1925. Ha esordito come romanziere nel
1978 con “Il corso delle cose”. Della sua ricchissima produzione
letteraria tutti i romanzi con protagonista il commissario
Montalbano sono pubblicati dalla casa editrice Sellerio e altri, tra
questi ricordiamo: “La forma dell’acqua”, “Il cane di terracotta”,
“Il ladro di merendine”, “La voce del violino”, “La stagione della
caccia”, “Il birraio di Preston”, “La concessione del telefono”, “La
gita a Tindari”, “Maruzza Musumeci”, “Il casellante”, “Il campo del
vasaio”.
Arcangela Cammalleri
IL DIO IGNOTO NELLA POESIA DI RENATO
FILIPPELLI
L’OPERA POETICA “DAI FATTI ALLE PAROLE” SVETTA COME MINARETI NEL
DESERTO
DI CARMEN MOSCARIELLO
Se un cristiano si sofferma sulla passione di Cristo non può che
piangere per i tormenti che gli inflissero.
Il percorso al Golgota fu lento e doloroso.
Leggere quest’ultima preziosa raccolta del Poeta Renato Filippelli è
stato come la cerva del salmo/fiutando sorgenti lontane mi ha
stretto il cuore in una morsa di dolore purificante, strenuo Cche mi
diede conferma ,come dissi in una conferenza a Minturno, che per me
la poesia di Filippelli è come il vangelo di Luca.
A ragion veduta, poiché mai come in questi versi si ha la
constatazione di una grande estenuante ricerca dell’uomo nella sua
crisi più distruttiva, nella sua luce più fiammeggiante; pur essendo
stato Egli sempre sostenitore della Poesia come anima, anche quando
il gioco del verseggiare e l’alchimia della parola approdava ad un
prato brinato, Egli sempre dilaniato,cantava i gemiti della gente
del Sud (la sua gente protetta dal manto della Poesia che denunzia).
Ma, qui a guidarci è l’esperienza di Dio , imponderabile soffio,
estenuante sussurro, rabbioso urlo: diviene ora un mezzo per dare
alla parola un senso divino che mentre approccia al nulla, tra le
nebbie del mare si innalza come croce del firmamento a sottolineare
che l’essenza dell’uomo è solo in Dio nel suo splendido annientante
desiderio di vivere e morire.
Morire per attraversare il dolore, per lasciarsi indietro
quell’esperienza di “figlio” che è del Poeta che affronta l’ oceano
sulla fragile foglia, baciata dalla rugiada della carità,
dall’urgenza del bene che nella Poesia e nella vita di Filippelli si
è tradotta nella sua grande opera di educatore, di guida ed aiuto
agli artisti gemmanti, di sdegnoso giudizio contro la corruzione e
la malvagità . Egli ha donato alla nostra terra e al mondo un flusso
di civiltà, di mansuetudini, di rispetto per ogni creatura
dell’universo, non a caso nella sua poesia anche il suo cane ha una
centralità catartica di struggente solitudine e di amore.
Il Dio di Filippelli non più creatore, ma soglia agognata,
liberazione , preghiera, abbandono, approdo di un uomo non
acquietato, ciò che Egli contiene esplode come lance conficcate nel
costato e al padre non implora, ma urla, protesta.
L’altare del dio ignoto non ha fiori da offrire al divino , ma le
infinite tribolazioni di noi sofferenti, dubbiosi, smarriti.
Il vincolo vita-morte diviene così approdo a un ampio e delicato
dibattito che si muove in versi modulati al canto della vita, alla
disperazione dei giorni , al candido scoprirsi implume come
pettirosso appena nato , ma il canto è della buona novella, di un
uomo che non si arrende e ricerca e costruisce ciò che rende l’uomo
simile a Dio.
Sulla mia strada di Damasco
mancò la segnaletica
verso Gerusalemme.Quando
cadevo all’urto
dei Tuoi cavalli un altro si torceva
in me, Ti domandava
aspro e gemente: “Perché mi perseguiti?”
Figli che mi portate sulle spalle
come pietoso Enea portò suo padre,
se voi non foste il filo che ricuce
brandelli alla speranza della vita,
mi getterei nel vuoto della valle
come un fantasma in fuga dalla luce
Il trapianto dell’anima e
altri racconti
– di
Aguzzi Luciano
[Manni (collana Occasioni) ; 2005, 135 p.
brossura].
L’ho letto tutto d’un fiato, ché si lascia leggere tutto d’un…con
interesse, curiosità e piacere. Nove racconti godibilissimi che […]
attraversando lo spazio vitale e mentale dove il pensiero del reale,
sollecitato dalla fantasia, si trasforma in proiezione e progetto di
un futuro deformato, fra sogno e incubo, fra ironia e critica
sociale […] (dalla quarta di copertina) e che coinvolge il lettore
aggiungo, penso sia la migliore sintesi possibile che, dunque, mi
permetto di fare mia. Della raccolta ho apprezzato, particolarmente
e parecchio, il racconto intitolato « La Madonnina di lapisluzzuli »
ché lo ritengo – opinione personale – un vero e proprio inno alla
Speranza (articolo raro oggigiorno a trovarsi a prezzo conveniente).
Un po’ meno « Il giustiziere » - decisamente breve : lascia una
sensazione di, come dire, non compiuto – e « Dio è morto » : proprio
non ne afferro il senso. Interessante « Il caso Bonvecchio » (l’Autore
va giù pesante, mi pare, su una certa politica italiana degli anni
Ottanta e Novanta) : le posizioni ed affermazioni del professor
Ermenegildo Lovecchio coincidono con quelle dell’Autore ? Se così
fosse - l’intuizione non è di quelle che cambieranno il corso della
Storia insomma…- mi lasciano interdetto . Quella […] svolta liberal/anarchica
[…], proprio non la condivido. Desta inquietudine in un meridionale
come me che crede ancora – poveraccio ! – alla storiella
dell’Unità (non federale, sicuro !) dell’Italia ; da Bolzano a
Palermo, da Aosta a Lecce, da Como a Crotone, da Cagliari ad Ancona
(passando per Roma). Punto. Suvvia sono
soltanto dei racconti e come tali li recepisco – da lettore
interessato che ha apprezzato -, un libro che mi è piaciuto, da
leggere e commentare…evviva videoPlanet ops…Internet!...Sottolineo:
trattasi di opioni e saluto.
L’Autore (dall’ultima di
copertina – ndr -): Luciano Aguzzi è nato nel 1944 a Piagge
(Pesaro). Dal 1969 vive e lavora a Milano.
Docente di Storia e filosofia e poi preside nei licei, ha insegnato
Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di
Milano. Si è occupato di storia dell’America Latina, di pedagogia e
politiche scolastiche, di storia del pensiero politico italiano. Ha
pubblicato saggi in volume e su riviste specializzate. Questo è il
suo primo libro di narrativa.
Giuliano da Rocca del Santo
Il
codice svelato
– di
Marco Fasol
[Fede & Cultura* ; 96 p. 2006, brossura]
Chiaro, asciutto, conciso e politicamente scorretto – q.b.–.
Chiaramente di parte e, in questo senso, utile e necessario: non
sono convinto del tutto che il thriller di D.Brown sia
soltanto un romanzo (da troppo tempo, a mio avviso, si respira aria
di campagna denigratoria “organizzata” contro la Chiesa Cattolica
Romana, in particolare, e il Cristianesimo, in generale)…Mi sono
tuffato a pesce nella lettura – avvenuta tutta d’un fiato – e
alla fine della medesima mi è piaciuto moltissimo. Tuttavia nutro
qualche perplessità – o meglio: curiosità da profano, da lettore –
circa I criteri storici di selezione delle fonti (p.58 e ss)
in particolare sui punti A – L’antichità della fonte storica
e C – Il criterio di molteplice attestazione.
Mi spiego: se, per assurdo, un “potere forte”
organizzasse una campagna di avversione sistematica e costante
sdradicalizzazione e distruzione dell’opera di Brown, diciamo nei
prossimi due o trecento anni, cosa ne resterebbe de “Il Codice da
Vinci” tra dieci, quindici o venti secoli (nonostante le
quaranta e passa milioni di copie vendute)?!...Comunque sia « Il
codice svelato » di Marco Fasol lo ritengo un libro Amico
e di riferimento poiché pratico e maneggevole rispetto magari ad
altre opere (penso a « I segreti del Codice » di – a cura –
Dan Burstein). Note sull’Autore (dall’ultima di copertina – ndr –):
Marco Fasol, laureato in filosofia all’Università Cattolica
di Milano e diplomato in scienze religiose presso l’Istituto “San
Pietro Martire” di Verona, è docente di filosofia e storia nei
Licei classico e scientifico dell’Istituto Alle Stimate di
Verona. Ha partecipato alla pubblicazione
del testo Duemila anni di Cristianesimo, (Ed.
Stimmatine) con i capitoli su la civiltà
cristiana nel Medio evo: la regola benedettina e il francescanesimo.
La dottrina sociale della Chiesa.
*Fede & Cultura è un marchio di : Edizioni Soc.Coop.di Lavoro e
Solidarietà Sociale Cercate a r.l; Via Bramante, 15 – 37138
Verona -.
Giuliano da Rocca del Santo
Io mi ricordo di
Paolo Ferro Edizioni Tabula Fati
Presentazione di Emilia Longheu
Narrativa romanzo
Già il titolo dice molto, perché quel " Io mi ricordo" è una
riscoperta nei meandri della memoria di un tempo passato, quello
dell'infanzia dell'autore.
Ma questa narrazione autobiografica è molto di più di un semplice
ripasso di fatti ed eventi accaduti tempo fa, perché è un'opera
volta a rispondere a tante domande sulla vita e sul suo mistero,
soprattutto con una graduale percezione del proprio "io".
Oserei dire che è una scrittura dell'anima, della componente
nascosta in noi e che opportunamente stimolata si rivela in tutta la
sua grandezza e in tutta la sua capacità di colloquiare oltre il
tangibile, avvicinandoci inconsciamente all'Assoluto.
Diviso in capitoletti che presentano la piacevole caratteristica
della consecutività, grazie al fatto che ognuno termina con un
concetto che poi viene ripreso all'inizio del successivo, questo
libretto di 128 pagine ha il pregio non trascurabile di avvincere
con gradualità, perché è come se l'autore, sempre presente, fosse lì
davanti a noi, con i suoi ragionamenti, con le sue riflessioni che
partono dal ricordo analizzato con la coscienza del presente.
Questa tecnica poteva costituire un motivo di appesantimento, che
tuttavia è stata abilmente evitata grazie a un'innata vena poetica
che dona leggerezza ai periodi, pur nella profondità dei concetti
espressi.
" Sopra quei monti ho imparato a guardare oltre il dono, la mano.
E' salendo che ho toccato il cielo. Salendo, che mi sono calato
dentro.
Si sale per contemplare e per scendere migliorati, pronti a portare
il meglio fino a valle, fino al punto più basso, per donargli un
pezzetto del cielo lontano e farlo fiorire."
Ecco, in una visione mistica, sembra che sia l'anima a parlare, con
soave lievità, e non è l'unico periodo che presenta tali
caratteristiche, che sono invece proprie dell'intera opera.
Si ripropongono così gli insegnamenti dei vecchi in una logica che
permette di sapere chi siamo solo se non ignoriamo ciò che siamo
stati e chi è stato prima di noi.
"- Il lampo si vede ma non si sente, il tuono si sente ma non si
vede" sussurrai a mia nonna che si era approssimata al letto per
coricarsi."
Semplice e logico, vero? Anzi, la frase considerata avulsa dal
discorso può anche far pensare a un bambino incolto.
E invece, proseguendo con la risposta della nonna, si può benissimo
capire il vero significato di questo periodo, che quindi non è così
scontato come sembra. " - E' semplice, - mi rispose, - ma come
tutte le cose semplici, che sono le più belle, spesso passano
inosservate e si finisce per non comprenderle. Ecco perché è
importante imparare ad ascoltare e osservare: per non restare al
buio nella vita."
Pagina dopo pagina cominceremo a riflettere anche noi, a cercare di
rispondere alle domande di un bambino ripescate dalla memoria con
l'esperienza di un adulto.
Ci accorgeremo così che sono quesiti che inconsciamente ci poniamo e
a cui o diamo risposte scontate o non le diamo affatto.
Condotti per mano con intuizioni poetiche ci lasceremo affascinare
da questo dialogo della memoria e riscopriremo anche la nostra, ci
sentiremo uniti con l'autore, testimoni di un percorso da svelare
insieme.
Nell'apprendere o nel ricordare di come si faceva il pane in casa,
oppure di come si giocava, ritornerà un pezzo della nostra vita, con
la consapevolezza che ora siamo così perché allora eravamo così.
Io mi ricordo, di Paolo Ferro, è un autentico gioiello, da
leggere e da meditare, e che ha il pregio di infondere tanta
serenità.
Paolo Ferro è nato ad Avezzano (Aq)
nel 1965. Scrittore esordiente, laureato in Economia e Commercio,
sta ultimando gli studi di Scienze motorie e di chitarra classica
presso il Conservatorio musicale di Pescara. Ha lavorato come
speaker radiofonico in varie emittenti. Come pittore ha partecipato
a esposizioni individuali e collettive. Impegnato nel sociale, la
sua attuale professione è quella di allenatore di calcio.
Renzo Montagnoli
L'ultima partita a carte di
Mario Rigoni Stern Edizioni
Einaudi
Narrativa romanzo
"Quando arrivai al Discorso della Montagna tutto mi apparve
chiaro, mi sembrava di capire senza alcuna ombra. Era la fame che mi
aveva portato na questa chiarezza di pensiero? Capii che gli uomini
liberi non erano quelli che ci custodivano, tanto meno quelli che
combattevano per la Germania di Hitler. Che noi lì rinchiusi eravamo
uomini liberi."
Questo piccolo volume (sono 107 pagine) ha una sua precisa valenza,
non solo nell'ambito della produzione letteraria di Mario Rigoni
Stern, ma anche per comprendere che cosa effettivamente avvenne
nella seconda guerra mondiale, quale doloroso e infinito calvario
dovettero compiere gli italiani per le follie di un regime già
morente ancor prima dello scoppio del conflitto.
E' la storia vista e scritta da chi l'ha vissuta, una testimonianza
che nella narrazione prende corpo, partendo da singoli episodi, per
giungere, grazie alle riflessioni equilibrate effettuate a distanza
di tempo, a una visione globale di rara efficacia.
E' il lavoro di un umile, di un protagonista suo malgrado che cerca
di capire, che vuole che non si dimentichi.
Ci sono dei passi illuminanti, metafore migliori di qualsiasi
trattato o saggio storico, come questo, un breve discorsetto durante
il commiato dallo zio di Torino:
"zio,-gli dissi,- vedrai che finirà presto. Quando noi arriveremo
in Russia sarà già tutto finito. Mi guardò in silenzio. Sussurrò: -
ragazzo, tu parti perché sei un soldato. Ti auguro solo di tornare.
Queste ultime parole scesero pesanti e riprendemmo la partita. Loro,
quelli cui andavo a combattere, avevano il settebello, gli ori, gli
assi, noi le scartine. Le nostre figure erano già giocate."
Dai preparativi, con la vile aggressione alla Francia, alla campagna
di Albania, a quella di Russia, alla dura prigionia nei lager
tedeschi, è un susseguirsi di passi dolorosi, di un progressivo
sordo rancore che s'impossessa dello scrittore, che comprende quanto
il ventennio fosse stato solo un palcoscenico di menzogne, di false
verità, e come l'onore e la patria, così frequenti nei discorsi
fascisti, fossero parole buttate lì, tanto per riempire le orecchie
di ignari cittadini, ora vittime di un inutile sacrificio.
Da leggere, per riflettere, per diffidare di chi parla di grandezze,
di chi si ciba di retorica, di chi ambisce a essere un uomo della
provvidenza.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Il muro dell'apparenza di
Sabrina Campolongo Edizioni
Historica - Il Foglio Letterario
Narrativa romanzo giallo
Giulia Campi è un commissario di polizia che vuole chiudere con il
passato, amareggiata, delusa per il tradimento del suo uomo, al
punto di farsi trasferire da Milano a Sparàgi, in Sicilia.
Qui troverà collaboratori prevenuti, come del resto lo è lei stessa,
e avrà il difficile compito di giungere alla soluzione di un
efferato delitto, scontrandosi con due realtà: ciò che appare e ciò
che veramente è.
Sulla trama, trattandosi di un giallo, non dirò altro, limitandomi
solo a segnalare che la vicenda è veramente avvincente.
Sabrina Campolongo ha avuto il grande pregio di mantenere un
perfetto equilibrio fra le dinamiche tipiche del genere (scoperta
del reato, indagini e chiusura delle stesse con l'identificazione
del colpevole) e un'analisi dell'ambiente, dell'atmosfera e dei
personaggi veramente encomiabile.
Del resto questa sua capacità di scavare dentro, di penetrare sotto
la pelle per giungere alle parti più recondite dei protagonisti
l'avevo già riscontrata nel suo bel romanzo Il cerchio imperfetto.
In questo giallo ha saputo unire tensione e approfondimento in modo
tale da far pervenire il lettore alla conclusione appagato e anche
consapevole di avere fra le mani un prodotto non fine a se stesso,
ma anche una lezione di vita, una ripresa di quei valori morali che
la nostra società va scordando ogni giorno.
Se non sapessi che Sabrina ha ben altri programmi, le proporrei di
dare un seguito a questo lavoro, perché personaggi così ben
disegnati come Giulia Campi e il suo assistente Alfano meritano di
essere protagonisti di altre vicende, formando un'accoppiata
perfetta come Montalbano e Fazio, o come Ricciardi e Maione.
Nel caso specifico, trattandosi di uomo e donna, inoltre ci sarebbe
la possibilità di ulteriori svolgimenti, a cui tuttavia l'autrice
sembra aver posto ostacolo nelle ultime pagine annunciando
l'imminente matrimonio di Alfano.
E' una lettura che, se anche richiede un po' d'attenzione per
seguire la logica coerente dell'intreccio e per assimilare quegli
approfondimenti dei personaggi sempre proposti al momento giusto,
risulta assai gradevole e facile, tanto che le pagine scorrono senza
intoppi, senza affaticamenti, al punto che è possibile pensare di
raggiungere la fine in poche ore.
Quel che più conta, però, è che, chiuso il libro, ci si accorge che
non è stato puro svago, ma che dentro di noi è rimasto qualche cosa
e che figure come il commissario e Alfano rientreranno in quelle
immagini che crea la nostra fantasia e che conserviamo come se si
trattasse di persone che abbiamo conosciuto veramente, individui
che, nonostante pregi e difetti, rappresenteranno per noi un caro
indelebile ricordo.
Per quanto ovvio, raccomando vivamente la lettura di questo bel
romanzo.
Sabrina Campolongo, nata nel
1974 a Monza, ha esordito nel 2007 con la raccolta di racconti
"Balene Bianche" (Michele Di Salvo editore) e ha pubblicato nel 2008
il romanzo "Il cerchio imperfetto" per la collana Declinato al
femminile, diretta da Francesca Mazzucato, di Edizioni creativa.
Finalista al premio Alberto Tedeschi (giallo Mondadori) nel 2000,
collabora con varie riviste e siti internet, oltre che per la
rivista "Historica-Il Foglio letterario".
Cura il blog:
http://balenebianche.splinder.com
Renzo Montagnoli
Eugenio Corti : "
Processo e morte di Stalin " , Ares
, Milano , 1999 .
L' azione di quest' opera teatrale , rappresentata per la prima
volta a Roma nel 1961 , si svolge nel 1953 , anno della morte del
dittatore sovietico . Lo Stalin che ci viene presentato é un uomo
prigioniero di se stesso e del sistema da lui stesso creato .
Sottoposto ad un serrato interrogatorio da parte dei suoi più
stretti collaboratori , ora congiurati contro di lui ( Beria ,
Molotov , Malencov , Crusciov... ), si difende fino all' ultimo
dall' accusa di avere ordinato le deportazioni e le esecuzioni di un
numero incalcolabile di persone , fra le quali anche parenti ed
amici , sostenendo di non avere fatto altro che applicare fedelmente
le teorie di Lenin , riconosciuto come capo carismatico dai suoi
stessi accusatori .
La struttura dell' opera é ricalcata magistralmente sul modello
della Tragedia Greca Classica , con l' intervento del " coro " ,
rappresentato , tra un episodio e l' altro , ora dai familiari delle
vittime di Stalin , ora dai congiurati . Il dittatore é ormai privo
dell' " aureola "di difensore dei popoli oppressi ; e non può più
nascondere non solo il vero scopo della sua vita , quello di
incutere terrore su un popolo da lui spregiato ; ma anche la vera
natura del Comunismo , un sistema destinato al fallimento perpetuo
perchè fondato sulla presunzione di costruire l'" Uomo Nuovo "
partendo da una concezione materialistica della Storia . Verso la
fine della Tragedia é lo stesso Stalin che presagisce questa
evoluzione del Comunismo quando getta in faccia ai congiurati la
profezia che faranno anche loro la stessa sua fine .
" Processo e morte di Stalin " é il frutto del lungo studio sul
fenomeno comunista cui si é impegnato l' Autore , reduce della
Campagna di Russia , nel Dopoguerra . Testimonianza di questo studio
sono le abbondanti note esplicative a piè pagina , ricche di
citazioni bibliografiche e di richiami alla storia dell' U.R.S.S.
Gianfranco Stivaletti
Carlos Ruiz Zafón “L’ombra
del vento” ( La sombra del viento) ed. Mondatori
Romanzo-Narrativa
Un espediente letterario è il fulcro della storia: siamo nella meta-
letteratura, la finzione nella finzione, la scoperta di un libro e
l’autore dello stesso libro Julian Carax trasporteranno il giovane
protagonista del romanzo, Daniel, in caleidoscopici intrighi fatti
di misteri e svelamenti a scatola cinese. La trama in breve: siamo a
Barcellona nel 1945, un libraio di un negozio specializzato in
edizioni per collezionisti e libri usati conduce il figlioletto
Daniel, di 11 anni, in un luogo misterioso, conosciuto solo da pochi
eletti:”Il cimitero dei Libri Dimenticati”, in cui libri dimenticati
si trovano preservati in questo labirinto di scaffali e corridoi.
Daniel scoverà quel libro, come una predestinazione: “ L’ombra del
vento” l’aveva atteso per anni, e sembrava che aspettasse proprio
lui. Ha trovato il libro che avrebbe adottato, o meglio, il libro
che avrebbe adottato lui. Rilegato in pelle color vino, col titolo
impresso sul dorso a caratteri dorati. Leggere il libro ed esserne
rapito è per Daniel essere trascinato in un turbine di emozioni
sconosciute, in un mondo popolato da personaggi non meno reali
dell’aria che respirava. Già sfogliandolo con cautela, le sue pagine
palpitano come le ali di una farfalla a cui viene restituita la
libertà, sprigionando una nuvola di polvere dorata. Un uomo cercava
il suo vero padre di cui aveva appreso l’esistenza solo grazie alle
parole della madre pronunciate in punto di morte. Questa ricerca si
trasformerà in un’odissea fantasmagorica: il protagonista lottava
per ritrovare l’infanzia e la gioventù perdute; poi emergeva l’ombra
di un amore maledetto destinata a perseguitarlo fino alla fine. La
struttura del romanzo al protagonista gli fa ricordare una di quelle
bambole russe che racchiudono innumerevoli miniature di se stesse;
la narrazione si frammentava in mille storie, come in una galleria
di specchi e in tanti riflessi scisso, pur mantenendo la sua unità.
E’ uno di quei casi in cui è l’autore stesso a fornire la chiave di
lettura di una sua opera, a rilevare le tecniche molteplici a cui ha
attinto, la capacità descrittiva di toccare il cuore del lettore. Il
protagonista “Reale” a forza del libro vivrà inquietanti paralleli
con la propria vita. “L’ombra del vento”, dal titolo stesso,
poetico, fa presagire un ritmo ed un linguaggio retrò da romanzo
ottocentesco, di grande respiro e vigore narrativo: il susseguirsi
delle situazioni, il vivere emozioni contrastanti, passioni ed
amori, segreti custoditi dal tempo e svelati a poco a poco, ambienti
lividi tra calles, ramblas e personaggi a tutto tondo, in cui emerge
Fermìn Romero de Torres, uomo dai mille volti, caricaturale nelle
sue fulminanti battute e rocamboleschi escamotages per sfuggire al
suo paradossale destino.
Gli elementi costitutivi del romanzo sono lo stile alto ed armonioso
della scrittura, la trama ad incastro, i luoghi reali, ma come
trasfigurati in una sorta di magia, l’età storia che assume
dimensioni atemporali e una celebrazione del libro per eccellenza
che dà una specifica connotazione a tutta la storia. “Ogni libro,
ogni volume, possiede un’anima, l’anima di chi l’ha scritto e
l’anima di coloro che l’hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha
sognato, grazie ad esso. Ogni volta che un libro cambia
proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine,
il suo spirito acquista forza. Dietro ogni copertina si cela un
universo infinito da esplorare”.
“L’ombra del vento”è un romanzo tradizionale di grande tensione che
si legge tutto di un fiato, anche se prevedibile nel suo epilogo,
che irretisce il pubblico intrappolandolo in questo intricato e
complesso tessuto narrativo.
L’autore: nato a Barcellona il
25-9-1964, è autore di libri per ragazzi (Il principe della nebbia),
esordisce nella narrativa per adulti con il suo quinto romanzo,
“L’ombra del vento”(2001). Uscito in sordina in Spagna, ha
conquistato con il passaparola il vertice delle classifiche
letterarie europee, diventando un vero e proprio fenomeno
letterario. Vive a Los Angeles dal 1993, dove è impegnato
nell'attività di sceneggiatore. Collabora regolarmente con le pagine
culturali di "El Pais" e "La Vanguardia". “L'ombra del vento” è
stato un successo, con più di 8 milioni di copie vendute nel mondo,
acclamato come una delle grandi rivelazioni letterarie degli ultimi
anni. È stato tradotto in più di 36 lingue e ha ottenuto numerosi
premi internazionali. Il 17 aprile 2008 è uscito per Planeta il
secondo romanzo "El Juego del Ángel" ( Il gioco dell’angelo). La
tiratura iniziale di questo libro è la più alta mai tirata per una
prima edizione in Spagna.
Arcangela Cammalleri
Avana Killing di
Gordiano Lupi Edizioni Sered
Collana Thriller e avventure
Fiction n. 3
Narrativa romanzo
In vendita in edicola, ma per chi desiderasse riceverlo a casa
(le spese di spedizione sono incluse nel prezzo di copertina) chiami
il numero verde 800.98.52.86.
Fra le opere, pur eccellenti, di un autore c'è sempre quella che
emerge per particolari qualità e questo è il caso di Avana
Killing, l'ultimo romanzo di Gordiano Lupi.
Sono sempre stato convinto che i suoi lavori non siano di genere, ma
che abbiano caratteristiche tali che vanno oltre una normale
classificazione.
E in effetti, anche in Avana Killing, troviamo il giallo, con
qualche accenno di horror, ma soprattutto si può rilevare come
l'impronta del thriller costituisca solo un'ossatura, un fil rouge,
intorno al quale l'autore costruisce storie di assai più ampia
portata.
Ho iniziato a leggere in sordina, attento a seguire più che la
vicenda, di per sé avvincente, tutti i contorni e gli aspetti che
nobilitano questa scrittura e che, giunti al termine, appagano assai
di più della naturale curiosità di sapere il nome del serial killer.
Lupi è riuscito a dare una visione della realtà cubana senza enfasi
e con pochi appropriati particolari, quasi delle icone che portano
il lettore a vedere, magari a suo modo, un mondo che prima gli era
anche sconosciuto; in ogni caso, l'impressione che si ricava di una
nazione in cui la speranza di cambiamento è da tempo sopita penso
sia inequivocabile per tutti.
Si è soffermato, brevemente, e senza indulgere all'estetismo, su
aspetti apparentemente di scarso significato, ma che nel loro
insieme si ricollegano in modo da formare un quadro esauriente.
Tanto per fare un esempio, il riferimento al mezzo di locomozione
pubblico, la Guagua, una sorta di invenzione autarchica, affollata
di lavoratori, satura di odori corporali, terreno ideale per gli
amanti delle toccate a parti del corpo femminile, è realizzato in
modo sobrio e non tanto per stupire, ma per far capire.
In questo libro, più che il risentimento di Lupi per un regime
dispotico che affama anche il popolo, c'è tutto l'affetto per i
cubani, costretti, loro malgrado, a vivere senza libertà e di
espedienti, non ultimo la vendita del proprio corpo, vista come
l'ultima tappa di un degrado morale di cui gli opulenti turisti
stranieri sembrano non accorgersene, anzi ambiscono approfittare.
L'atmosfera, quindi, viene sapientemente ricreata, così che si ha
l'impressione di essere già stati a Cuba, di aver visto la vita di
quel paese con occhi attenti e con le conseguenti riflessioni.
In questo contesto girano diversi personaggi, ritratti pregevoli di
un'umanità mai forzatamente inserita nella trama, ma in perfetta
sintonia con la stessa.
E se la figura di Isabel non potrà che esservi simpatica con la
partecipazione alle disavventure di una donna seria e onesta,
l'ispettore di polizia Gerardo Abril, inesperto alle prese con una
serie di omicidi di difficilissima soluzione, sarà un'autentica
scoperta.
In questo microcosmo di vite quasi alla deriva non ci sono mai il
tutto buono e il tutto cattivo, proprio come nella realtà, e nemmeno
il serial killer muove il lettore all'odio o al desiderio di
vendetta, perché Lupi lo ha misurato con la pietà, una virtù della
massima importanza e purtroppo in estinzione.
Altro aspetto del romanzo è che Lupi propone, non impone, e così
anche per la parte horror, con i riti della santeria, la religione
pagana dei locali, si è liberi di credervi, oppure no. Al riguardo
l'autore sembra dire " lascia forse il tempo che trova, ma c'è, è
una pratica diffusa, e forse esprime il tentativo di un popolo
sofferente di trovare sollievo sulla terra, senza rinunciare al
credo cristiano che lo promette da morti".
Il romanzo si apprezza anche per il particolare equilibrio sotto
tutti gli aspetti, sia della trama che dello stile, e proprio per
questo mi sento di ribadire che Avana Killing non solo è il
miglior romanzo di Gordiano Lupi, ma è addirittura un'opera di
elevatissimo livello.
Gordiano Lupi (Piombino, 1960)
Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz:
Machi di carta (Stampa Alternativa, 2003), La Marina del mio
passato (Nonsoloparole, 2003), Vita da jinetera (Il
Foglio, 2005), Cuba particolar - Sesso all'Avana (Stampa
Alternativa, 2007) e Adios Fidel (A.Car., 2008).
I suoi lavori più recenti di argomento cubano sono: Nero
Tropicale (Terzo Millennio, 2003), Cuba Magica -
conversazioni con un santero (Mursia, 2003), Un'isola a passo
di son - viaggio nel mondo della musica cubana (Bastogi, 2004),
Orrori tropicali - storie di vudu, santeria e palo mayombe
(Il Foglio, 2006), Almeno il pane, Fidel - Cuba quotidiana
(Stampa Alternativa, 2006), Mi Cuba (Mediane, 2008).
Traduce i post e cura la versione italiana del blog Generacion Y
della scrittrice cubana Yoani Sanchez.
Extra Cuba ha pubblicato (tra gli altri): Serial killer italiani
(Olimpia, 2005), Coppie diaboliche (Olimpia, 2007) e molti
saggi sul cinema italiano degli anni Settanta - Ottanta (Le dive
nude, Sexy made in Italy, …).
Pagine web: www.infol.it/lupi
E.mail per contatti: lupi@infol.it
Renzo Montagnoli
Nero, l'inchiostro che tu chiami parole
di Fabio Barcellandi
Edizioni Montag
Prefazione di Beppe Costa
Collana Solaris
Poesia silloge
Penso che l'evento più saliente della vita, quello che volutamente
ci scordiamo, sia la sua fine, cioè la morte.
Ora parlare di un tema così delicato, al punto che la mente umana lo
accantona per poi riprenderlo in occasione di decessi altrui o in
prossimità del proprio, non è certo cosa facile, quasi da scongiuri
verrebbe da dire se si volesse ironizzare volando bassi.
Invece l'argomento ha la sua dignità e la sua logica, tanto che in
altri autori, scrittori o poeti, assurge a protagonista.
Fabio Barcellandi, in questa sua seconda silloge, si propone come
antagonista in un dialogo con la signora dal nero mantello, a
diversi livelli di discussione, ma penso con un'unica finalità,
quella di esorcizzarla.
Il tema ricorre anche quando apparentemente il percorso è diverso
(io sono/un fiore/d'esser colto/in attesa di/ morir/fra le tue
mani); si potrebbe pensare a versi rivolti a un'amata fanciulla, ma
non è così, perché invece è un abbandono totale all'ultimo passo,
quasi un invito alla dolcezza dell'atto stesso con cui finisce la
vita terrena.
A scanso d'equivoci, c'è addirittura una lirica dedicata alla morte
(Morte), curiosamente contraddistinta da versi costituiti da una
sola parola, quasi un sillabare devoto a chi è più forte di noi.
Per non parlare poi di La Morte, assai riuscita nella sua completa
essenzialità (canto/d'amore/per la vita/ché tutta per sé la vuole).
L'antitesi è fra il positivo (la vita) e il polo opposto che è la
morte, una belva sempre vincente nella tenzone.
Ma poi ricompare il pessimismo che comporta inevitabilmente il
parlare di qualcosa di certo e definitivo come una dipartita e
allora i versi si tingono di malinconia, di una rassegnazione pacata
propria di chi sa che a nulla serve opporsi (Ho paura / So già che
morirò / il giorno in cui accetterò di voler vivere /…per sempre! /
E ciononostante ho paura.)
Si scopre, però, l'arcano di questa consapevolezza meditata nei
versi che si susseguono, volti a lenire il fato, e nella speranza
che esista un dopo. Del resto, in tutte le religioni la finalità è
di provvedere a una vita, se pur diversa, dopo che quella che ci
siamo portati appresso per tanti anni se n'è andata (da Resurrezione
- …./ non la fine dunque ma l'inizio / sì).
Eppure, il tema della rassegnazione è come un refrain, e lo troviamo
anche nella bella I vecchi. Forse di fronte all'unica certezza che a
un certo punto la vita finisce, il timore che poi ci sia solo il
vuoto si riflette nella consapevolezza della nostra caducità, in
questa impossibile lotta da cui già sappiamo che usciremo sconfitti.
La malinconia non è tristezza, non è dolore, ma è il trovarsi
bambini separati dalla mamma senza possibilità di ritrovarla, è il
riconoscersi deboli quando spesso ci siamo atteggiati a forti senza
esserlo.
E la conclusione, l'ultima poesia è dedicata all'antitesi, alla vita
(un grido / fino a perder / la voce / a diventare assordante / …così
/ assoluto silenzio), ma finisce con l'essere l'ennesimo tributo
alla morte, in questa esistenza che per sempre si spegne.
Da leggere, senza lasciarsi impressionare, ma riflettendo affinché
ci si renda conto di quanto ogni vita meriti, sempre, di essere
vissuta.
Fabio Barcellandi (Brescia,
1968) non è un nome nuovo nel panorama editoriale e poetico
italiano. Ha già pubblicato un corpus di nove poesie nell'antologia
"Il Mercante d'Inchiostro" edita da Farnedi Edizioni; un ulteriore
corpus di sette poesie nell'antologia "Florilegio" edita da Lisi
Editore e la silloge "Parole Alate", poesie ispirate dall'omonima
canzone di Meg, edita da Cicorivolta Edizioni. Attivo anche nella
narrativa, suoi racconti sono stati pubblicati sulle riviste
Macworld e Writers Magazine Italia, con la quale collabora. Coopera
con il sito di scrittura creativa Opposto.net, che si occupa di
creatività, narrativa, racconti e poesia, e con
http://www.tellusfolio.it/,
il giornale telematico dedicato ad argomenti di attualità e cultura.
Vincitore del premio Solaris edizione 2008 delle Edizioni Montag,
presenta ora la silloge Nero, l'inchiostro - che tu chiami parole.
Renzo Montagnoli
Amore di confine di
Mario Rigoni Stern Edizioni Einaudi
Narrativa raccolta di racconti
Quarantaquattro racconti, divisi in quattro capitoli, costituiscono
questo libro, che di fatto è una vera e propria autobiografia. Del
resto in tutte le sue opere c'è la presenza attiva dell'io che non è
solo narrante, ma che ripercorre le tappe del suo passato a
beneficio del lettore. Sono esperienze maturate o fatti dei quali,
se pur non presente, ha avuto dettagliata notizia, insomma sono il
ricordo di Mario Rigoni Stern. Spesso si tratta di racconti brevi,
quasi di piccole annotazioni, ma che hanno il pregio di aprire uno
squarcio su un mondo che ormai non c'è più; in tutti è sempre
presente una grande pacatezza, una capacità di comunicare
dolcemente, tanto che si ha l'impressione di avere l'autore dinanzi
a noi, seduto comodamente e intento a raccontarci.
Troviamo così il breve periodo di vita militare prima dello scoppio
della seconda guerra mondiale (semplicemente stupendo In una
valle felice), i duri mesi della prigionia nei lager tedeschi,
il dopoguerra con l'impiego al catasto e infine il progressivo
avvicinamento all'epoca attuale, forse il più interessante, anche
per gli aspetti etnologici. Infatti qui rivivono le tradizioni del
popolo cimbro dell'altopiano, con feste, processioni, ed è sempre
presente l'avvicendarsi delle stagioni, con quel periodo ricorrente
del disgelo che dà chiaramente l'idea del rinnovarsi della vita. In
quest'ultimo quarto capitolo forse ci sono i racconti migliori, come
Marte, cane libero dai segreti amori, quasi una metafora
dello spirito di libertà dell'autore, oppure le vicende commoventi
del Capriolo alla guerra e degli Amici, le fughe
dell'asina Giorgia.
Si comprende benissimo quanto Rigoni Stern abbia amato il suo paese
e la sua gente, quanto radicato sia stato in lui il concetto di
patria rappresentato da quell'altopiano a cui i suoi avi sono giunti
molti secoli fa. Fra i boschi innevati che gocciolano al primo
tepore della primavera e i voli degli uccelli che festeggiano
l'avvento della bella stagione l'autore ritrova tutto il significato
della vita, in una perfetta armonia con la natura che gli infonde
una sensazione di serenità talmente profonda da riuscire a
trasmetterla al lettore.
In Rigoni Stern è sempre presente il piacere di vivere, quel
desiderio di percorrere la strada della propria esistenza senza
spintonare, ma sapendo cogliere a ogni passo quanto di buono ci
viene offerto.
L'ultimo racconto, L'aratro dell'Angelo, è un commosso
ricordo di quattro amici che sono scomparsi, che sono arrivati alla
fine di quell'ultima stagione calpestando gli ultimi metri del
percorso che ci accomuna e che lui, il nostro Mario, ha concluso nel
giugno del corrente anno.
Amore di confine è un libro bellissimo.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Libera nos a Malo di
Luigi Meneghello Edizioni R.C.S.
Libri
con un saggio di Cesare Segre
Narrativa romanzo
Nel corso della lettura mi sono chiesto più volte se questo libro
può essere effettivamente classificato come romanzo (così lo
definiva tuttavia l'autore), perché per alcuni aspetti è
un'autobiografia, ma per altri è un saggio sociologico, oppure anche
un trattato linguistico.
Ora Libera nos a Malo è tutti questi generi, senza essere
totalmente uno di essi e questo forse costituisce una certa
difficoltà per chi si appresta a leggerlo e che abituato al romanzo,
con una trama ben definita, resta all'inizio un po' disorientato, ma
poi, entrato nello spirito dell'opera, permeata da una sottile
autoironia, finisce inevitabilmente con l'apprezzare, per
comprendere il vero scopo di questo lavoro. Meneghello, in buona
sostanza, non ha fatto altro che raffrontare due epoche, dalle
differenze profonde, vissute in un microcosmo costituito dal paese;
e questo senza cercare di dimostrare che l'una è meglio dell'altra,
ma unicamente per far emergere il contrasto fra una visione del
mondo di quando era bambino e quella ampiamente disincantata
dell'adulto, in un ricordo, a tratti anche commosso, altre volte
esilarante, che finisce con il rappresentare la coscienza storica
della propria esistenza.
Il filo conduttore è la vita dello scrittore vicentino in un piccolo
paese, Malo, con tutti gli aspetti dei rapporti sociali
intercorrenti fra i suoi abitanti alla luce degli istituti e dei
comportamenti di una comunità. Così troviamo l'aulica retorica del
fascismo, con tanto fumo e niente arrosto, la storia della famiglia
Meneghello, il mondo scolastico, i giochi dell'epoca, i primi
turbamenti sessuali, amorazzi vari, corna a profusione, e, tipica
del Veneto, quella dipendenza dalla religione così come espressa
dalla Chiesa più che da una spiritualità uniformata all'insegnamento
cristiano.
Ho scritto sopra dell'ironia presente nella scrittura di Meneghello,
ironia che troviamo subito nel titolo, un gioco con le parole finali
del Padre Nostro in latino e con il nome del suo paese.
Ma Libera nos a Malo è per certi aspetti anche un trattato
linguistico, perché il dialetto locale ritrova una sua dignità, con
tanto di dissertazione in cui gli si attribuisce il concetto di
prima e vera lingua - in quanto parlata dalla nascita - rispetto a
quella ufficiale, a quell'italiano frutto di costruzioni che non
possono avere la spontaneità del volgare.
Non posso che dargli ragione, soprattutto quando ricorre al dialetto
non con intere frasi, ma con una, massimo due parole che esprimono
in modo assolutamente diretto il concetto.
Insomma, accanto a una cultura ufficiale fatta di testi ponderati,
c'è quella grande tradizione di una cultura popolare basata su
storie o dissertazioni pressoché totalmente orali.
E' la riscoperta della valenza della tradizione, di quel perpetuarsi
della storia grazie al quale è possibile sapere chi siamo poiché
conosciamo da dove siamo venuti.
Quindi, Libera nos a Malo ha più di un pregio, mantenendo a
distanza di anni (è stato pubblicato per la prima volta nel 1963)
un'attualità che sorprende, ma non più di tanto, qualora si abbia a
mente che lo scopo principale è stato senz'altro la conservazione
della memoria, quel sottile filo logico che lega due epoche anche
così differenti, ma che permette di comprendere i motivi di questa
diversità, consentendo perfino di guardare in avanti, verso il
futuro, consapevoli di ciò che siamo.
Mi pare ovvio che la lettura sia più che raccomandata.
Luigi Meneghello (Malo, 16
febbraio 1922 - Thiene, 26 giugno 2007).
Laureato in filosofia all'Università di Padova, si trasferì nel 1947
in Inghilterra, dove qualche anno più tardi fondò la cattedra di
letteratura italiana presso l'Università di Reading, dirigendola
praticamente fino al 2000, anno in cui ritornò definitivamente in
Italia.
Ha scritto, fra l'altro, Libera nos a Malo (Mondadori, 1963),
senz'altro la sua opera più conosciuta, I piccoli maestri
(Mondadori, 1964), Pomo Pero (Mondadori, 1974), Fiori
italiani (Mondadori, 1976), Maredè, Maredè (Rizzoli,
1991), Il dispatrio (Rizzoli, 1993).
Renzo Montagnoli
Dacia Maraini
Il treno dell’ultima notte ed.
Rizzoli
“Ogni treno in fondo passa verso
il regno dei trapassati”
Romanzo-narrativa
Questo è in ordine cronologico l’ultimo libro della scrittrice,
sulla copertina è riportato il dipinto“The
Disasters of War”di Gottfried
Helnwein e, infatti, lo sfondo della
storia, in periodo di guerra fredda ( la guerra è finita da 11
anni), è il dramma degli Ebrei patito nei campi di sterminio.
All’inizio del libro sono trascritte alcune righe del romanzo
“Cuore di tenebra” di Joseph
Conrad “Mi chiesi
cosa ci stessi a fare là, con un senso di panico nel cuore…mi sembrò
di sentire quel grido sussurrato: Che orrore!
Che orrore”!
Dacia Maraini ambienta la sua storia nel
1956, tra Firenze,Vienna,
Auschwitz e a Budapest mentre scoppia la
rivolta contro i sovietici e dove le rovine e gli orrori della
guerra bruciano ancora, la fame e le aspirazioni di libertà sono in
fieri. E’un romanzo in cui l’indicibile, le atrocità, ancora una
volta ci travolgono come quando noi lettori ascoltiamo insieme
ad Amara, la giovane protagonista, il
racconto di Emanuele sopravvissuto ad ogni abiezione: morto più
volte e risorto, ma rovinato nel fisico e nella psiche dalla inumana
esperienza vissuta La trama, in breve: Amara ed Emanuele, vivono a
Firenze, sono due ragazzini avvinti da un legame forte che la
deportazione di Emanuele, di famiglia ricca ebrea, spezzerà per
sempre. Amara andrà alla ricerca di lui,
custodendo, con ossessiva cura, le sue lettere che ad un certo
punto si interrompono e di cui non saprà più nulla e scoprirà la
sua nuova identità; del ragazzo della sua fanciullezza non è rimasta
nessuna rassomiglianza, ma un morto tra i vivi guastato in maniera
indelebile dalle nefandezze viste e vissute.
Emanuele, diventato Peter, è corrotto e degradato nel fisico e
nell’animo, così erano resi gli Ebrei dai loro aguzzini nazisti,
come loro, per togliergli la stima di loro stessi; dei sopravvissuti
svuotati di sentimenti…di pensieri…dentro; l’orrore diventa il loro
giudice implacabile che li annienta e li distrugge inesorabilmente:
l’annichilimento totale. Il treno che dà il titolo al
romanzo è quello su cui viaggia Amara
attraverso l’Europa dell’est, ancora in faticosa fase di
ricostruzione e in misere condizioni, alla ricerca del suo amico
d’infanzia, simile al treno che trasportava gli Ebrei ignari verso
il loro fatale destino e metaforicamente è quello che traghetta noi
tutti verso l’ignoto, come suggerisce il libro, nella quarta di
copertina. La spietatezza della guerra, le nefandezze dei nazisti,
l’ottusità pervicace dei sovietici danno
il senso della follia umana e dell’insensatezza di chi governa e
manipola le folle. Dacia Maraini,
attraverso l’odissea di Amara, ci
trasporta in un periodo storico non del tutto
disvelato, dove ancora ipocrisie e menzogne formano un
sottile strato di opacità. I carri armati russi che invadono
Budapest in rivolta e sventrano le case e sparano uccidendo migliaia
e migliaia di Ungheresi; dopo il rapporto
Kruscev del xx
Congresso sembrava che i Russi non avrebbero fatto un’opera di
repressione, un’iniziativa dispotica verso un altro paese
socialista, dove tutto il popolo magiaro era sceso in piazza, con
tutti gli operai che loro veneravano tanto, in testa. Dacia
Maraini riesuma scheletri dall’armadio
dell’ex partito comunista italiano in cui
Togliatti, capo del partito, stette dalla parte del PCUS. Il
comunismo, il partito unico, la dittatura del proletariato, il gran
leader …il potere corrompe, ma il potere
assoluto corrompe assolutamente. Tutti sogni infranti, la
Grande Illusione catalizzatrice di milioni di persone, un Grande
Inganno! Il romanzo si chiude con una sorta di speranza. La vita,
pensa Amara, è un perverso correre verso un ignoto giocoso e
irreale, nel viaggio di ritorno in Italia, in treno, dopo i fatti di
Budapest, il ritrovamento di Emanuele, la
sua deriva, il futuro si apre davanti a lei come un fiore precoce
che ha sentito il primo raggio di sole, ma potrebbe rimanere
congelato sul ramo. Perché la primavera non è
ancora arrivata e quel raggio di sole l’ha ingannata. E’ uno
di quei libri che dà l’opportunità al
lettore di poter fare una pausa di riflessione “amara” come il nome
della protagonista, ma di realizzare ancora una volta che
l’esperienza dovrebbe insegnare a non ripetere gli stessi errori:
non sempre il passato è nostalgico.
L’autrice: Dacia
Maraini è nata a Fiesole nel 1936, ha
scritto romanzi, opere teatrali, poesie, narrazioni autobiografiche
e saggi, editi da Rizzoli e tradotti in
20 paesi. Nel 1990 ha vinto il Premio Campiello
con “La lunga vita di Marianna
Ucria” e nel 1999 il Premio
Strega con “Buio”.
Scrive sul “Corriere della Sera” .
Nel 2006 è uscito nei tascabili Firme Oro il volume dei
Romanzi che comprende
Memorie di una
ladra (1973),
Isolina,(1985),
Bagheria
(1993), Voci(1994),
Dolce per sé (1997) e
Colomba (2004).
Arcangela Cammalleri
Le variazioni Reinach
di Filippo Tuena
Edizioni Rizzoli
Narrativa romanzo
Questo è un libro sulla memoria, ma non quella dell'autore, poiché
per età e assenza di motivi di contatto non avrebbe potuto esserci.
E' un libro in cui il ricordo deriva da oggetti, immagini che
suscitano l'interesse di chi osserva e che lo inducono a cercare
cosa vi sia dietro di essi, chi siano i personaggi delle fotografie,
in che occasione le stesse siano state scattate, perché questa
famiglia di israeliti può rappresentare un importante ritratto
storico di un'epoca passata, in un susseguirsi di eventi ricostruiti
con certosine ricerche, quasi un'opera archeologica.
Non è pero solo questo, che pure è già molto. E' anche il ricordo di
una tragedia maturata nel corso della seconda guerra mondiale.
L'autore, al riguardo, si deve essere posto le due domande che
seguono e che le cui risposte fanno di questo libro un vero e
proprio caso letterario.
Si può scrivere del dramma dell'Olocausto narrando la vita di una
famiglia che lo ha subito? Certamente sì. E' possibile descrivere la
genesi di questa tragedia seguendo la storia familiare di alcune
vittime? Indubbiamente, ed è quello che ha fatto Filippo Tuena con
Le variazioni Reinach, un libro singolare, una commistione di
romanzo storico, di saggio, di esperienza autobiografica, da cui
emerge la caducità degli uomini, la dolorosa sensazione che nulla
sia dovuto al caso, ma che negli imperscrutabili fogli del destino
ci sia già scritta tutta la vicenda, fatti, eventi a cui sembra
impossibile opporsi.
E' così quasi casualmente che l'autore approda al Musée Nissim de
Camondo a Parigi, dove dimorarono Leon Reinach e Béatrice de Comondo,
e che si appassiona alla storia di queste famiglie, di spicco negli
anni che vanno dalla fine del XIX secolo all'occupazione nazista.
Non è che Filippo Tuena scriva in prima persona, anzi è sempre in
terza persona che si esprime la voce narrante, quasi a voler evitare
un coinvolgimento indiretto che potrebbe togliere quel senso di
progressivo disfacimento che poco a poco permea il testo.
Ma chi è Leon Reinach?
E' uno dei membri di una nobile e ricca famiglia ebrea che, sposando
Béatrice de Camondo, altra agiata ereditiera, ha concretizzato due
fortune alle quali sembra indifferente, avvertendo in sé invece la
passione per la musica, quella classica, forse anche componendo,
anzi di sicuro una composizione c'è stata, queste variazioni di cui
Tuena, nella continua ricerca di documentazione, ha trovato lo
spartito in un'università americana, un brano forse di non eccelso
livello, ma che rappresenta il messaggio di un uomo segnato dal
passaggio del tempo, da quell'involuzione che accompagna la storia
di una famiglia. Ho avuto il piacere di ascoltare questa
composizione, poiché l'autore mi ha fatto avere la copia di
un'esecuzione; senza addentrarmi in aspetti tecnici, in cui Tuena è
senz'altro più competente di me, ho avvertito in quelle note,
apparentemente capricciose, una malinconia profonda, come un urlo
soffocato di un animo che in quel mondo che cambia non si ritrova
più e che presagisce una tragedia.
Per certi versi questo libro mi pare possa costituire un antesignano
di Ultimo parallelo, un autentico capolavoro costruito sulla base di
esperienze che hanno provveduto a limare, a migliorare tutte quelle
caratteristiche di novità introdotte proprio con Le variazioni
Reinach.
Come tutti gli esperimenti presenta ovviamente elementi riusciti ed
altri meno convincenti, ma ciò non toglie che questo libro, senza
raggiungere l'elevato livello di Ultimo parallelo, sia un'opera di
eccellenza, scandita con un ritmo volutamente lento e anche
distaccato, una narrazione che è frutto di una continua scoperta.
Pur se la vicenda non è in grado di offrire il pathos della
drammatica spedizione di Scott al Polo Sud, ha tuttavia il pregio di
acquisire l'attenzione con misurata lentezza, facendo rivivere
un'epoca, fra annotazioni del presente e ritorni al passato, con
accenti tipicamente proustiani.
Le variazioni Reinach è un libro da leggere, da meditare,
perché più non ci siano olocausti, perché con i tempi che corrono e
in cui il passato rischia di essere oscurato, se non travisato, la
memoria sia sempre presente a ricordare che Leon Reinach era un uomo
come noi, ma fu travolto dalla follia di altri uomini, una follia
che richiama la bestialità sempre presente e che quindi potrebbe di
nuovo tornare a emergere.
In conclusione è un testo che conferma le qualità di Filippo Tuena,
capace di analizzare personaggi, di comprendere e di assimilare le
loro esistenze, trasferendo il tutto su carta per il piacere dei
lettori che, in ogni caso, avranno la certezza di un arricchimento
del proprio livello culturale.
Filippo Tuena è nato a Roma nel
1953 e vive a Milano. E' laureato in Storia dell'arte.
Ha pubblicato:
Il tesoro dei Medici (Giunti Art & Dossier, 1987); Lo sguardo della
paura (Leonardo, 1991), Premio Bagutta Opera Prima; Il tesoro dei
Medici (De Agostani, 1992), in collaborazione con Anna Maria
Massinelli; Il volo dell'occasione (Longanesi, 1994); Il diavolo a
Milano (Ikonos, 1996); Cacciatori di notte (Longanesi, 1997); Tutti
i sognatori (Fazi, 1999), Premio Super Grinzane-Cavour; La grande
ombra (Fazi, 2001); La passione dell'error mio. Il carteggio di
Michelangelo (Fazi, 2002); Quattro notturni (Aletti, 2003); Il volo
dell'occasione (Fazi, 2004), nuova edizione; Le variazioni Reinach
(Rizzoli, 2005), Premio Bagutta; Il diavolo a Milano - nuova
edizione e Fantasmi di Schumann a Manhattan (Carte Scoperte, 2005);
Michelangelo. Gli ultimi anni (Giunti Art & Dossier, 2006); Ultimo
Parallelo (Rizzoli, 2007), Premio Viareggio.
Sito web:
http://digilander.libero.it/filippotuena/
Renzo Montagnoli
I racconti di guerra
di Mario Rigoni Stern Edizioni
Einaudi
Introduzione di Folco Portinari
Narrativa raccolta di racconti
In questo libro di ben 616 pagine sono ricompresi tutti i racconti
che Mario Rigoni Stern ha dedicato al tema della guerra nei suoi
precedenti lavori, oltre ad alcuni articoli apparsi su giornali e
riviste.
Si tratta quindi di un'opera tematica "omnia" ordinata
cronologicamente dall'autore e infatti ci sono quattro grandi
capitoli dedicati, rispettivamente, alla prima guerra mondiale, a
quella immediatamente successiva, cioè la seconda, alla prigionia e
alla resistenza.
Perché Stern abbia voluto riunire in un unico volume tutte queste
prose penso sia abbastanza evidente; in lui, uomo in completa
sintonia con l'ambiente spontaneo della natura e fratello per indole
di tutti gli altri uomini, il ricordo di ciò che di orrendo, di
tragico e di incivile è rappresentato dalla guerra deve essere
perpetuato, affinché chi non ha subito, chi non ha sofferto sappia
quanto altri, prima, hanno patito. L'intento è pertanto chiaramente
pacifista e non è un caso se l'opera è uscita nel 2006, dopo la
prima e la seconda guerra dell'Iraq, dopo il conflitto in
Afganistan. Posso solo immaginare l'angoscia di un povero vecchio,
scampato alle campagne d'Albania e di Russia e alla prigionia nei
lager tedeschi, nel constatare che oggi regna una sostanziale
indifferenza verso conflitti che non ci toccano direttamente; e
allora solo chi sa, solo chi ha provato sulla propria pelle che cosa
significhi una guerra, si deve sentire in dovere di mettere
sull'avviso, ricordando anni di dolore, vittime che il tempo ha
affossato nell'oblio.
Peraltro, se c'è un autore che può scrivere di queste cose, per
averle sperimentate direttamente, è proprio Stern, di cui non
possiamo dimenticare quel capolavoro che è Il sergente nella neve,
un diario di una campagna militare tragica, pervaso, però, da un
grande senso di pietà, quella pietà che nello scrittore vicentino
troviamo sempre presente, perché radicata in lui.
E se i racconti della prima guerra mondiale sono il risultato di
narrazioni dei reduci al giovane Mario e quelli della resistenza
invece sono frutto di notizie orali attinte in loco, cioè
sull'altopiano, nell'immediato dopoguerra, quelli invece del secondo
conflitto e della prigionia sono incisi nell'animo perché esperienze
realmente e personalmente provate.
In particolare, il periodo di detenzione nei lager tedeschi ha
portato alla creazione di pagine di grande bellezza, perché l'autore
è riuscito a tradurre in parola scritta la prostrazione per fame, il
senso sempre presente di una miseria materiale e morale che ho
potuto constatare solo in un altro testo: Se questo è un uomo,
di Primo Levi.
Tuttavia, se c'è paura, se esiste uno stato latente di scoramento,
negli scritti di Mario Rigoni Stern non c'è mai odio, perché, lo
ripeto, è sempre presente la pietà, una virtù sempre più rara, ma
d'importanza fondamentale per non far precipitare l'uomo al rango di
essere puramente bestiale.
Da leggere senz'altro, ma soprattutto da far leggere nelle scuole,
perché i ragazzi sappiano, perché le voci mute dei tanti caduti
possano rappresentare veramente un monito.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Appunti della Storia
di Gaspare Armato Edizioni
Autorinediti
Ideazione copertina di Maria Catalina Alvarez
La passione per la storia di Gaspare Armato è inequivocabile, tanto
che è il dominus di un blog dove si parla esclusivamente di
questa materia, a scuola troppo spesso trascurata e comunque non
considerata, erroneamente, prioritaria.
Peraltro il metodo di approccio dell'autore toscano è quanto mai
ampio, non comprendendo solo i fatti salienti che si sono
verificati, ma estendendo la visione alle caratteristiche di
determinati periodi, con la descrizione di usi, di costumi, perfino
dell'alimentazione. In questo modo il risultato è rappresentativo in
misura abbastanza attendibile dei personaggi ignoti della storia,
cioè della quasi totalità degli esseri umani di un'epoca, ombre
sconosciute che pure hanno collaborato in modo determinante al
concretizzarsi di eventi che non possono trovare spiegazione solo
nell'iniziativa dei singoli, ma inquadrandoli nel contesto generale.
E' quindi una visione a tutto campo, con particolari spesso
trascurati, ma essenziali per cercare di comprendere e potersi
avvicinare alla verità.
In questo senso Appunti della Storia, ultima fatica di
Armato, si presenta come una sequenza di interviste impossibili, ma
utili per capire contesti specifici.
Sono diversi i personaggi che interloquiscono con l'autore e anche
di periodi differenti, giusto per contribuire a fornire un quadro
dello sviluppo nel tempo.
Si parte da Giuseppe da Settignano, un umile muratore del XIII
secolo, una di quelle ombre che prima citavo e posta in luce per
parlare del costo della vita nella Firenze di quel periodo.
Il personaggio successivo è invece un professore, scomparso da poco,
che viene indotto a parlare di Federico da Montefeltro, grande
condottiero e duca di Urbino fino alla sua morte, avvenuta nel 1482.
Si va avanti così, e sempre piacevolmente, perché la scrittura è
lieve e per nulla affaticante, passando da Carlo V a Elisabetta I
d'Inghilterra, da Federico II Il Grande per arrivare all'ultimo,
senz'altro il più longevo, quel Francesco Giuseppe che anche il più
somaro degli scolari conosce per l'essere stato l'avversario dei
Savoia nelle guerre d'indipendenza.
Su quest'ultimo intervistato mi soffermo un po' di più, visto
l'interesse storico del personaggio, in parte artefice della fine
delle grandi monarchie continentali, scomparse con la prima guerra
mondiale.
Si tratteggia la sua infanzia, fatta di ore e ore di studi e di
pochi svaghi, una regola ferrea per chi doveva reggere l'immenso
territorio imperiale, che andava dall'Austria alla Galizia.
L'ho sempre considerato l'emblema dello stato centralizzato, l'uomo
che teneva in pugno terreni e popoli diversi. Eppure, in questa
conversazione, il sapere della sua infanzia non da bimbo, ma già da
uomo mi ha portato a considerare il personaggio come la prima
vittima di un sistema anelastico, all'apparenza solido, ma pieno di
contraddizioni al punto tale che lo fecero implodere.
Sono solo 108 pagine, dico solo perché avrei gradito anche altre
interviste, di personaggi magari più recenti, ma non è detto che
Gaspare Armato non ci riprovi, anzi gli consiglio di farlo, come a
voi consiglio di leggere questo piacevole libro.
Gaspare Armato
Pistoia, Italia
babilonia61@alice.it
www.babilonia61.com
Gaspare Armato vive e risiede a Pistoia.
HA PUBBLICATO
" Epistemi, poesie, Albatros Editrice, 1983
" 41 mesi di guerra, saggio storico, Mazzotta editore, 1983
" Ex novo epistemi, poesie, Lalli editore, 1983
" Piante mediterranee per giardini, saggio, Edagricole, 1986
" Giardini al mare, saggio, Edagricole, 1990
" Charlette, itinerario di un amore, poesie, Mazzotta editore, 1990,
1ª edizione
" Charlette, itinerario di un amore, poesie, Lulu.com, 2007, 2ª
edizione
" Piante esotiche per climi miti , saggio, Zanfi editore, 1991
" Passeggiando per la storia, dal 1200 al 1800, Lulu.com, 2007
ALCUNI DEI PREMI LETTERARI VINTI:
" Premio Martin Luther King per la poesia, 1983
" Premio Giuseppe Ungaretti per la poesia, 1983
" Premio Cesare Pavese per la poesia, 1983
" Premio Rebecca-Francavilla M. per la saggistica, 1984
" Premio Jacopone da Todi per la poesia, 1984
" Premio International Award-Malta per la poesia, 1984
" Premio Città di Alanno per la saggistica, 1984
" Premio Città di Pomezia per la poesia, 1985
" Premio Histonium per la poesia, 1990
Renzo Montagnoli
Al Diavul
di Alessandro Bertante Marsilio
Editori
Narrativa romanzo
Questo romanzo, di ambientazione storica, è costituito da due parti.
Nella prima ci sono gli anni dell'infanzia e della giovinezza del
protagonista Errico Nebbiascura, figlio di Ruggero, fabbro di un
paese della provincia di Alessandria e anarchico convinto. Siamo nei
primi anni del XX secolo e l'atmosfera viene resa da Bertante in
modo stupendo, con il progressivo avvicinarsi all'ideologia
anarchica di questo ragazzo, nato con un occhio viola, segno di
presagio e di sventura, e che poi verrà soprannominato al Diavul.
Il periodo storico, con la prima guerra mondiale e l'avvento del
fascismo, è delineato con precisione e con approfondimenti che
inducono a riflessioni sul perché degli eventi. In ciò, pertanto,
sta anche il pregio di questa prima parte, dove ben poco, per non
dire nulla, è lasciato a luoghi comuni e tantomeno alla retorica,
lasciando invece intravvedere, nelle pieghe della vicenda, aspetti
che poi si proiettano anche nell'oggi.
Ci sono pagine di straordinaria bellezza, quali, per esempio, la
fuga all'estero del protagonista, onde uscire dal torpore imposto da
un regime ormai consolidato. Il passaggio della frontiera
italo-francese è uno di quei brani che, giustamente, possono essere
considerati di alta letteratura, con le sensazioni, i timori, ma
anche le speranze che Errico avverte e che il lettore poco a poco fa
proprie.
La seconda parte inizia con il protagonista inserito negli ambienti
anarchici di Barcellona nei mesi immediatamente antecedenti l'inizio
della guerra civile. Anche qui troviamo pagine in cui la maturazione
della coscienza critica di Errico sboccia lentamente, così che si è
accompagnati con gradualità al grande sogno della rivoluzione
proletaria. Quando questa ha inizio, però, la scrittura cambia
passo, diventa più chiassosa, assumendo aspetti stereotipati di un
evento e di un'epoca che meriterebbero invece maggiori
approfondimenti e riflessioni.
Così il crollo del sogno avviene in modo poco omogeneo, mescolando
risentimento e spirito di vendetta, che nulla possono apportare a
una conoscenza dei motivi della sconfitta repubblicana. Ci sono
certo accenni alla doppiezza dei comunisti, si scalfisce, si
abbozza, ma non si va oltre, finendo con l'assumere rilievo
preponderante la vicenda personale del protagonista. Diminuisce così
lo spessore dell'opera, senza che peraltro sia dato il risalto che
merita al travaglio interiore del deluso Errico, che addirittura
viene fatto finire in manicomio, una soluzione sbrigativa che resta
solo un abbozzo del dramma del protagonista.
Su questa scia arriva anche la fine, purtroppo assai convenzionale,
ove fa di nuovo capolino una retorica di cui certo un anarchico
convinto non sarebbe stato contento.
Peccato, dunque, perché è stata un'occasione persa per delineare il
quadro di un'ideologia nel periodo in cui ebbe maggiori proseliti.
Comunque, alla luce dell'attuale produzione letteraria nazionale,
asfittica e priva di idee, il romanzo di Bertante ha il merito di
aver cercato di dire qualche cosa di nuovo, magari riuscendovi solo
in parte, ma è già un po' di luce nell'oscurità dell'odierna
narrativa italiana.
Alessandro Bertante è nato ad
Alessandria nel 1969. Scrittore e critico letterario, vive e lavora
a Milano.
Collabora con "La Repubblica", "Liberazione", "Satisfiction" e
"Pulp", ed è condirettore artistico del festival letterario Officina
Italia.
Ha pubblicato: Malavida (romanzo, Leoncavallo Libri, 2000); Re Nudo
(saggio, NDA Press, 2005), Contro il '68 (saggio, Agenzia x, 2007).
Renzo Montagnoli
Le stagioni di Giacomo
di Mario Rigoni Stern Edizioni
Einaudi
Narrativa romanzo
Le stagioni di Giacomo è un romanzo struggente su una
gioventù che non poté conoscere le gioie della vita tipiche della
sua età, su un mondo di miseria e di fame in cui tuttavia fiorivano
la solidarietà e il mutuo soccorso, su un fascismo retorico e
tronfio che non solo non permise a tanti, a troppi di vivere
dignitosamente, ma che sacrificò inutilmente in una guerra non
sentita proprio quei figli che avrebbero dovuto rappresentare
l'avvenire.
Giacomo, l'amico di Mario Rigoni Stern, non può essere bambino, ma
si deve adattare a qualsiasi lavoro pur di sopravvivere. Così segue
le orme del padre diventando un recuperante, cioè raccogliendo
quanto di bellico è rimasto sull'altopiano. E' un lavoro duro,
pericoloso e anche poco remunerato, ma è l'unico possibile, perché
il regime, nonostante le promesse, non è in grado di creare nuove
occasioni di occupazione, se non per periodi limitati e sempre
legati al suo mondo irreale dove conta solo l'apparenza.
Giacomo è la tipica figura del ragazzo diventato troppo presto uomo,
ma che, nonostante le avversità, riesce a cogliere i valori della
vita, con quel senso di umiltà che è proprio di chi è povero di beni
materiali, ma ricco d'animo.
Conoscerà anche l'amore, un sentimento delicato delineato in modo
magistrale, una storia che non potrà aver seguito, perché la
tempesta della guerra non restituirà il protagonista al suo
altopiano.
Questo è un romanzo che dovrebbe entrare di diritto nei programmi
scolastici, affinché i giovani di oggi abbiano quella memoria di un
passato ancor recente che a loro è stata preclusa da un insensato
sistema che promette un inarrivabile benessere di tipo solo
materiale.
Come al solito stupisce lo stile di Mario Rigoni Stern, quella
capacità di narrare come se fosse davanti al lettore e con pacatezza
gli raccontasse la vita di questo suo grande amico.
Le stagioni di Giacomo, che si concludono con il gelido
inverno della campagna di Russia, è un'opera di elevatissimo
livello.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Il cerchio infinito
di Renzo Montagnoli Edizioni Il
Foglio
Introduzione dell'autore
Prefazione di Fabrizio Manini
In copertina "Galassia M 104"
fotografata dal telescopio spaziale Sptitzer della NASA
Elaborazione grafica di Elena Migliorini
Ho letto le poesie di Renzo Montagnoli in un'atmosfera evocata dai
suoi intensi versi soffusi di malinconia, eppure anche aperti alla
speranza.
Credo che l'Autore abbia espresso al meglio lo stupore dell'uomo di
fronte al mistero della vita, il suo sentirsi a volte travolto dagli
eventi, il suo doversi rassegnare alle perdite e agli abbandoni, il
suo cercare senso e significato dove c'è invece solo il
silenzio...mai una risposta.
"E' già il buio e poi sarà la luce
fra atomi erranti
in un tempo senza fine,
in una catena di indissolubili destini,
dove resta la polvere di anime spoglie,
soffi di vita ritornati nell'eternità."
Questi versi da "Il cerchio infinito", la poesia che apre
questa splendida raccolta, sono tra i più pregnanti e significativi
della sua poetica.
Si è poi trasportati da una visione aperta alla bellezza della
natura, alla sua continua offerta all'uomo.
Anche l'amore risalta come insondabile ma necessaria espressione, si
avverte intensamente nelle felici espressioni dell'Autore che in
esso viene riposta la maggior parte delle sue certezze e delle sue
umane speranze.
L'amore vissuto come estatico momento ma anche come certezza del
cuore.
C'è come un abbandono alla dolcezza dei sentimenti e dei sensi, come
se il poeta volesse, attraverso le parole, conservarne i profumi, le
emozioni, e, quando remote, lasciarle sedimentare in un quieto
esistere.
Una grande prova di maturità poetica, in tutto e per tutto.
"La vita, nel suo mistero, il tempo, nella sua incertezza, la
distanza, nella sua imperfezione, sono il tema di questa silloge.
E' un tema unico, perché nell'universo tutto è infinito e nulla è
lasciato al caso: il tempo, lo spazio, e, lasciatemelo credere,
anche la vita.
Se esiste l'anima, scintilla che fa scoccare l'esistenza, questa non
può finire con il corpo e quindi è eterna."
Questa la spiegazione che lo stesso Renzo Montagnoli ci dà,
facendoci conoscere ancora di più la profondità del suo pensiero, lo
spessore da cui sono scaturite queste poesie che pervadono l'anima
di chi legge.
Da "Una lacrima" : il sole sbatteva sugli occhi
nebbia di calore ondeggiava
un orizzonte stanco."…
e questi altri versi con la commossa chiusa:
"…ho sentito
il silenzio delle cicale
ammutolite.
Certo era solo un sogno.
Ma dentro me
ho sentito scorrere
una lacrima,
una stilla di pietà. "
E ancora, "La stazione" in cui il Tempo è percepito come inesorabile
sottrazione della vita:
"…le lancette dell'orologio si fermano
uno s'alza, un'ultima occhiata,
poi lentamente s'incammina
verso un'opaca porta."
Si entra così nel vivo delle tematiche di questo poeta che ci
sorprende con le sue pacate descrizioni, sempre in equilibrio tra il
sogno e la realtà, in sospensione quasi, ma sempre sfumate in una
residua consapevolezza che il mistero in cui lo stesso pensiero si
manifesta sia di per se stesso bastante alla speranza
In "Onda" la cui suggestiva chiusa è indicativa di tutto il pensiero
malinconico del poeta, questi versi assumono un significato
speciale: "…All'ultima meta - infine ha portato - la sua vita di
sale."
Infine la maestosità che avvolge pur ostacolando, che fa volare
l'anelito dell'anima al di là della vetta ma ne segna anche la
fragilità, profondamente umana "La montagna sacra". Questi versi ne
sono fortemente rivelatori:
"…ostacoli
che intralciano
canti di sirene
tentazioni continue
la terra che m'avvinghia…"
Concludo con una riflessione, scaturita dalla lettura di questa
seconda raccolta di un poeta che già conoscevo per il suo valore,
una constatazione che la parola, quando è filtrata dal cuore,
diventa poesia.
Cristina Bove
Presenze e Assenze
di Davide Vaccino Edizioni Il
Foglio
Prefazioni di Thomas Lowe e Arnaldo Colombo
In copertina immagine tratta dal free site
http://www.windoweb.it:80/desktop_temi/foto_belle/foto_belle_326.jpg
rielaborata dall'autore.
Elaborazione grafica e assemblamento di Elena Migliorini
Presenze e Assenze è l'ultima opera poetica di Davide
Vaccino, autore dai toni pessimistici, dai versi velati di una
tristezza che sembra emergere dall'oceano dell'animo come una nebbia
che impregna i versi e poco a poco avvolge il lettore. Ma forse non
è tristezza, almeno come normalmente l'intendiamo, bensì un'intensa
angoscia che riverbera nelle parole, nel fluttuare del discorso,
un'esplosione che solo all'apparenza è liberatoria, ma che poi
rifluisce implacabile donde è venuta.
Ma che cosa s'intende per Presenze e per Assenze? Ho girato la
domanda all'autore nel corso di un'intervista e lui è stato
ampiamente chiarificatore, intendendo per presenze quei punti fermi
su cui si può contare, come le convinzioni, gli ideali sociali e
politici, l'amore per chi è a noi vicino. Le assenze sono invece ciò
che si è perso, i rimpianti, le persone che sono scomparse per
sempre dalla nostra vita.
Così, frutto di un gravoso meditato lavoro, le poesie di questa
silloge si snodano lungo questo percorso tematico, impervie vette
della creatività che s'affacciano al mondo, trasognate immagini di
una realtà interiore che vogliono dialogare con il lettore.
In questo gioco, se così si può chiamarlo, di presenze e di assenze
il poeta è testimone di un dipanarsi di grovigli che si linearizzano
nel verso, mantenendo l'originaria curvatura, gomitoli di pensiero
che s'infrangono sullo scoglio del tempo schiumando dimensioni
cerebrali di una spinta interiore.
ANIMA
Anima,
fin che tu puoi,
resta.
Le parole
non contano:
passano.
Le idee
non bastano:
cambiano.
Le illusioni
non servono:
ingannano.
Anima,
fin che tu puoi,
resta.
Come il profumo
dei fiori.
L'anima, una presenza silente, una compagna fedele che dona all'uomo
la capacità di sentirsi vivo, di sublimare concetti trascendendo la
pura materialità dell'esistenza, accogliendo in sé le nostre
sensazioni, le emozioni, trasformandole in un patrimonio
inalienabile.
In queste liriche l'aspetto figurativo ha la funzione non tanto di
stupire, ma di esteriorizzare il concetto, di trasformare lo spirito
in materia fruibile.
LE FARFALLE
Palpiti di Vita
in lembi di cielo,
simili a fiori
che sanno volare.
Come i sogni,
le farfalle,
sono i sospiri
dell'Infinito.
Ma in queste presenze e assenze non c'è solo l'intelletto creativo
di Davide Vaccino.
Comunque si leggano queste poesie si ritrova un po' del mondo di
ognuno di noi, perché universali sono questi punti fermi, come ciò
che abbiamo perso, e in questo sta il grande pregio della silloge,
nel richiamare alla nostra attenzione ciò che abbiamo e ciò che non
teniamo più, elementi che nella frenetica corsa del mondo troppo
presto dimentichiamo.
Davide Vaccino sembra invitarci a soffermarci, a riflettere, per
accorgerci che, nonostante tutto, il nostro percorso è lastricato da
presenze ed assenze, un patrimonio solo nostro e che ci dà la misura
di vivere.
Se il poeta è permeato di pessimismo lascia tuttavia aperta la porta
a una speranza, a una consapevolezza di esistenza che sta solo a noi
cogliere affinché il tempo non trascorra invano.
Da leggere, rileggere, da riflettere, da guardare in noi, una
silloge che è una luce nel buio di coscienze sopite, di anime
inascoltate.
Davide Vaccino è nato a Vercelli
nel 1970 e attualmente risiede ad Albano Vercellese. Ha iniziato a
scrivere i primi versi intorno agli anni '80, ma la sua carriera
artistica si è concretizzata professionalmente soltanto a metà degli
anni '90. Nel 1996 Davide Vaccino ha pubblicato il romanzo gotico
"Frammenti di Pazzia" (2 ristampe), vincitore del Premio
Internazionale "A. Manzoni" e del "Trofeo delle Nazioni". Tornato al
suo primo amore, la poesia, Davide Vaccino si è classificato nel
1997 al primo posto al Premio Artistico "Città di Cava" e ha vinto
nel 1998 il Premio "Cultura Europea". Nel 1999, il suo secondo
libro: "Benvenuti nel Crepuscolo" (poesie, 3 ristampe) si è
aggiudicato il Premio "Regioni Duemila"; mentre il suo terzo lavoro,
"Passaggi" (versi e racconti, edizione limitata) è stato insignito
del Premio Internazionale "Alba del Terzo Millennio". Vaccino ha
ricevuto finora oltre 60 premi e riconoscimenti in Italia e
all'estero e appare inoltre su una quarantina di Antologie
regolarmente presentate al Salone del Libro di Torino.
Renzo Montagnoli
Il respiro della luna
di Cristina Bove Edizioni Il
Foglio
Prefazione di Renzo Montagnoli
Immagine di copertina di Cristina Bove
Elaborazione grafica di Elena Migliorini
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio Manini
Poesia silloge
Come una fonte antica che disseta con le sue fresche acque il
viandante accaldato dal lungo viaggio, da Cristina Bove sgorgano
versi limpidi a placare l'arsura dell'affanno della vita quotidiana.
Questa raccolta di poesie è un compendio dell'attività artistica di
una donna che già ci aveva stupito con Fiori e fulmini
(Edizioni Il Foglio, 2007), confermando la sua innata capacità a
trasfondere in equilibrate e armoniose parole sentimenti ed emozioni
che irrefrenabili traboccano dall'animo.
I temi affrontati, sviscerati, approfonditi sono i più diversi, ma
in ogni caso ciò che ne scaturisce è in un delicato equilibrio fra
la potenza della folgore e il lieve soffio della brezza della sera;
sono parole che fluiscono incessanti, che entrano dentro con
leggerezza, ma che incidono, lasciano traccia tale da ritornare
prepotenti nel corso delle giornate, quando meno te l'aspetti. Come
ricordi emergono all'improvviso, un verso, anche solo l'inizio di un
verso, e allora ti metti a pensare, a riflettere sulla caducità
della vita, su questo nostro correre vano verso il nulla, ma anche
sulla bellezza della natura, sulla purezza dei sentimenti più
semplici e spontanei.
Ma tu che ne sai / delle lune traverse / dei tronchi contorti dei
meli / Che ne sai delle maschere nere / delle strade di notte? / …
In tanta abbondanza c'è spazio per ogni cosa, per ogni elemento
della vita a cui spesso non facciamo caso, come l'emozione di
ritrovarsi a una nuova stagione:
….. / splendo di nuovo a maggio / ancora vivo / in questa
sorprendente primavera.
Oppure l'omaggio, del tutto personale, alle donne, non le inutili e
retoriche parole con cui si celebra l'8 marzo:
Ed io non ho mimose / né le vorrei portare ai vostri spenti /
amari giorni e trascurate notti / donne della mia vita / donne per
cui l'istante di un sorriso / varrebbe tutto l'anno di mimose / …
Oppure ancora la natura, pur se pretesto per una riflessione sul
trascorrere del nostro tempo:
… / il croco è già sfiorito / or che la neve / liquefacendo sta
scendendo a valle / e stormi di migranti / a fare il nido /
garriscono dai tetti / …
Né mancano visioni quasi oniriche, trasposizioni poetiche di
leggende che assumono una valenza del tutto particolare se viste con
gli occhi della storia, del perpetuarsi di comportamenti a cui
l'uomo sembra non voler rinunciare, come in Nàvar e Isabeau:
… / Al sorgere del sole / io sono falco / e rivesto Isabeau delle
mie piume /…
Tutta una vita, tutta la vita, trova spazio nella fertile vena
poetica di Cristina, come in Teatro:
…/ Adesso è l'ora dei pittori d'ombre /…
Verso felicissimo che con un tocco di genialità ci riporta a una
realtà, attuale, che meglio non si sarebbe potuta descrivere.
Cristina riesce a superare anche le più radicate convinzioni e in
lei che, dotata di grande spiritualità, religiosa tuttavia non è,
capovolge l'immagine dell'angelo vendicatore, conferendogli il
simbolo dell'eterna disillusione, del disincanto che prorompe forte
dal suo petto con L'angelo di Mezzanotte:
…./ e poi / senz'ali / riscenderei per piangere con loro.
Una poesia, questa, di forte impatto emotivo, ma anche di dirompente
catarsi, con un angelo che sembra un Cristo definitivamente votato
alla causa dell'umanità.
Ma tutto il pensiero di Cristina Bove trova la perfetta sintesi in
Siamo angeli, in quei tre versi di una semplicità disarmante, ma di
una profondità assoluta, la rivelazione di ciò che è anche in noi,
ma che o ignoriamo, o volutamente soffochiamo:
… la parola che sola è la salvezza: / AMORE, parola che contiene
l'infinito / ed è mare ed è valle. / …
Penso che siano superflue ulteriori parole perché è solo leggendo
che potrete acquietare la vostra ansia quotidiana, è solo
lasciandovi accarezzare dall'armonia di questi versi che avrete la
possibilità di conoscere il significato della parola serenità, è
solamente soffermandovi di tanto in tanto sui concetti espressi che
comprenderete il senso della vita.
Cristina Bove
E' nata a Napoli il 16 settembre 1942, vive nelle vicinanze di Roma
dal '63, anno in cui si è sposata. Da quando si ricorda ha sempre
dipinto, scolpito, letto molto e qualche volta scritto, famiglia
permettendo, poiché la sua stata alquanto numerosa e la sua vita
intensa, ricca di eventi meravigliosi come la nascita dei suoi
quattro figli, la creatività, gli amici, il miracolo di esserci
ancora, sopravvissuta non sa quante volte.
Presente in diversi siti Internet con le sue poesie, ha pubblicato
nel 2007 la silloge Fiori e fulmini (Edizioni Il Foglio).
Blog: Cristina Bove;
Giardino dei poeti;
Cristelia.
Renzo Montagnoli
La chimera di Sebastiano Vassalli
Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo storico
Per cercare le chiavi del presente, e per
capirlo,
bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte,
o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra
e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il «macigno bianco» che
oggi non si vede. Nel villaggio fantasma
di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto.
(dalla Premessa)
Sebastiano Vassalli è un autore che scrive del passato, grazie a un
meticoloso lavoro di ricerca storica, ma che ha lo sguardo sempre
rivolto al presente.
Un chiaro esempio è dato da La chimera, libro di notevole
valore, forse il suo più riuscito.
E’ una storia ambientata nel ‘600, in un paese, Zardino, che non
esiste più (Dalle finestre di questa casa si vede il nulla).
Un fatto realmente accaduto, il processo a una presunta strega che
si conclude con la sua condanna al rogo, sono solo il pretesto per
un esame più approfondito di una società tanto lontana nel tempo da
apparire quasi irreale, ma purtroppo vera, una composita umanità
schiava dei potenti e della Chiesa, ma prima ancora prigioniera di
se stessa, delle sue paure, delle sue insicurezze.
E’ un ritorno al passato per svelare caratteristiche che ritroviamo
purtroppo nel presente (dal Congedo: Continuarono tutti a vivere
nella gran confusione e nel frastuono di quel loro presente che a
noi oggi appare così silenzioso, così morto, e che rispetto al
nostro presente fu soltanto un po’ meno attrezzato per produrre
rumore, e un po’ più esplicito in spietatezze…Infine, uno dopo
l’altro, morirono: il tempo si chiuse su di loro, il nulla li
riprese; e questa, sfrondata d’ogni romanzo, ed in gran sintesi, è
la storia del mondo).
La vicenda, di per sé non rara e nemmeno eclatante, assume così una
veste profetica che proietta sul mondo attuale una visione di un
presente desolante, privo di valori, senza speranze, in una visione
nichilista, però non tanto da scivolare nel cinismo.
Il romanzo, pur fra tante, ma necessarie, divagazioni è scritto in
modo esemplare, in un italiano di rara bellezza, con descrizioni
soffuse a volte di una appena accennata vena poetica, finendo con il
far emergere dal nulla, dalla nebbia caliginosa dell’oblio un mondo
che ignoravamo.
Resta il perché del titolo. Come mai questo richiamo all’essere
mostruoso e inesistente della mitologia greca?
Le ultime righe del Congedo sono al riguardo esaustive:
“Colui che conosce il prima e il dopo e le ragioni del tutto e
però purtroppo non può dircele per quest’unico motivo, così futile!:
che non esiste.”
Ovviamente tutto è opinabile nei confronti con la fede, che supera
ogni razionalità, ma in questo concetto, in questa visione atea
rientra anche l’analisi di una Chiesa che, almeno in quell’epoca e
relativamente alla vicenda raccontata, sembra composta da pochi
fanatici veramente credenti e da molti invece tesi più a
privilegiare la vita terrena, compiendo anche abusi e nefandezze. In
questo contesto le figure del vescovo Bascapè, religioso fervido che
vorrebbe tutti dediti anima e corpo alla fede, ma il cui credo
comincia a vacillare, e il giovane don Teresio, fanatico oltre ogni
misura, ma legatissimo ai beni terreni, tanto da vessare i suoi
parrocchiani con continue richieste di regalie, finiscono con il
diventare le due facce di una stessa medaglia: la Chiesa.
L’impressione che si ritrae è che gli uomini in abito talare
finiscano con connotare in eccesso i difetti di tutti gli altri, una
sorta di insoddisfazione che li divora, rendendoli al tempo stesso
carnefici e vittime di se stessi.
Stranamente gli unici due personaggi che nella loro apparente
semplicità emergono positivamente sono il camparo Maffiolo,
dignitoso vecchio soldato che riesce perfino, senza averne
conseguenza, a dire la sua all’Inquisizione, e il boia Sasso, la
cui pietà impedirà alla strega di morire fra atroci dolori.
Ne consiglio vivamente la lettura.
Sebastiano Vassalli
è nato a Genova nel 1941 e vive in provincia di Novara. Ha scritto:
Disfaso (1968), Tempo di màssacro. Romanzo di
centramento e sterminio (1970) , L'arrivo della lozione
(1976) , Abitare il vento (1980); nuova edizione con una
postfazione del'autore, Calypso, Milano, 2008, Mareblù
(1982), Ombre e destini (1983), Narcisso (1983),
La notte della cometa (1984), L'alcova elettrica 1913: il
futurismo italiano processato per oltraggio al pudore (1985),
Sangue e suolo (1985), L'oro del mondo (1987),
La chimera
(1990),
Premio Strega
e
Campiello,
Marco e Mattio (1992), Il cigno (1993),
3012 (1995),
Cuore di pietra
(1996), La notte del lupo (1998), Gli italiani sono
gli altri (1998),
Un infinito numero
(1999), Archeologia del presente (2001),
Dux
(2002), Il mio Piemonte, Novara (2002),
Stella avvelenata
(2003), Amore lontano (2005), Terra d'acque (2005),
Dino Campana
- Un po' del mio sangue (2005), La morte di Marx e altri
racconti (2006), L'Italiano (2007) .
Renzo Montagnoli
Storia di Tönle
L'anno della vittoria di Mario
Rigoni Stern Edizioni Einaudi
Giustamente la casa editrice Einaudi ha riunito in un unico volume
questi due romanzi brevi che narrano di un periodo storico che va
dalla fine del 1800 all'inverno del 1919 e che sono anche accomunati
dall'essere straordinariamente pacifisti, in una visione umana e
spirituale del mondo che raggiunge, a tratti, dei vertici sublimi.
Rigoni Stern racconta della sua gente, di questa popolazione
cimbrica, e quindi di origine celtica, che nel tempo è rimasta
ancorata ai sani principi della mutualità, del rispetto delle
persone e della natura, e che, pur conducendo a quell'epoca una vita
grama, è ricca di una forza interiore che, nonostante le difficoltà,
la diaspora dovute alla guerra, ritorna, si ricompatta in quella che
è la loro autentica patria: l'altopiano dei Sette Comuni e le
proprie famiglie.
E così Tönle Bintarn è un contadino, un pastore, un contrabbandiere
per necessità che per sfuggire a una condanna vaga per tutta
l'Europa austro-ungarica, adattandosi a fare a qualsiasi lavoro, ma
sempre con la speranza di tornare, l'unica vera forza che lo
sostiene nonostante le fatiche e le privazioni. Questo piccolo
grande uomo è legato inscindibilmente alla sua terra, all'alternarsi
delle stagioni sia della natura che della vita. Non c'è evento che
possa fermarlo, non c'è nulla che possa dissuaderlo, perché lui è ed
esiste solo in funzione di quella piccola patria fra i monti.
Ritornerà, subirà i contraccolpi della Grande Guerra e della
Strafenspedition, di cui sarà vittima senza che ci siano carnefici.
La violenza di un conflitto non lo ferma, sempre va, sempre resiste,
per poter tornare a quei luoghi a lui indissolubilmente legati e che
sarà costretto a vedere distrutti, profanati dalla malvagità degli
uomini.
In lui non c'è odio, ma solo tristezza e come in una storia dove c'è
sempre un inizio e una fine, Tönle Bintarn sa quando tirarsi da
parte e comprendere che per lui è arrivata l'ultima stagione.
L'anno della vittoria racconta invece del ritorno della comunità ai
loro luoghi natii, dopo essere stati costretti a lasciare
l'altopiano ed Asiago a seguito dell'attacco austriaco.
Sono pagine di intensa commozione, con donne, vecchi e bambini, che,
a guerra finita, s'incamminano per raggiungere le loro vecchie case,
che troveranno distrutte in uno sconvolgimento che interessa anche i
prati, i boschi, le sommità dei loro monti, al punto da faticare a
riconoscerli. E poi ci sono trincee, proiettili inesplosi e tanti,
tanti, troppi morti insepolti.
I giorni sono difficili, senza più un tetto, senza forse un futuro,
ma la comunità viene prima di tutto e poco a poco si ricompattano,
si aiutano, si danno da fare, riacquistano quella dignità di uomini
liberi e di popolo che la diaspora sembrava aver soffocato.
E' gente mite, laboriosa, il cui contatto continuo con la natura è
un'inderogabile necessità; non saranno molti quelli istruiti, ma
tanto hanno da insegnare a tutti, noi compresi, come il simpatico
vecchietto Tana che, durante un'escursione con due compaesani, si
imbatte nei resti di un accampamento austriaco, al centro del quale
troneggia una forca.
La sua osservazione al riguardo è di una logica ferrea ed
estremamente umana: " Da noi li fucilavano, qui li impiccavano. E
invece la loro colpa era di aver avuto paura e di voler vivere.".
E' un pacifismo che viene dall'animo, senza retorica, come molte
altre pagine di questo stupendo libro.
La storia di Tönle è un romanzo sull'uomo, sul suo innato
sentimento per la terra dove è nato e vissuto, sulla nostalgia che
prevale su ogni evento e che fa della battaglia per il ritorno a
casa un inno al concetto di patria come luogo dei propri affetti.
L'anno della vittoria è invece un'opera corale, dove uomini
come Tönle, riuniti, esaltano il concetto di comunità, di identiche
radici, indissolubili, inalienabili, tali da superare ogni
difficoltà purché sempre solidali, in un'unica grande famiglia per
cui vale la pena di vivere e di lottare.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a veri e propri gioielli
della letteratura italiana.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Il partigiano Johnny
di Beppe Fenoglio
Edizioni Einaudi
Edizione critica
a cura di Dante Isella
Narrativa romanzo
Ritengo indispensabile una doverosa premessa: questo romanzo è stato
pubblicato postumo (Fenoglio era deceduto senza completare l'opera)
in una versione che mescolava, in modo del tutto arbitrario, due
diverse stesure, con tutte le inevitabili lacune e contraddizioni.
Peraltro l'edizione di Einaudi ha fatto propria delle due la
seconda, quella che viene più universalmente accettata come la più
coerente con lo spirito dell'autore.
In ogni caso la mancanza di un imprimatur ufficiale da parte dello
scrittore finisce con il lasciare un po' l'amaro in bocca, perché si
avverte anche in questa versione l'incompiutezza che si riflette poi
in una conclusione che si intuisce, ma non si legge.
Ciò premesso mi sembra di aver ritratto dalla lettura più di
un'impressione non legata solo all'aspetto storico della resistenza,
ma anche a una sua proiezione negli anni a venire.
Johnny è un partigiano che partecipa alla guerra di liberazione con
una visione del tutto individuale delle problematiche e con uno
spirito quasi da novello Robin Hood che gli dona immediatamente una
naturale simpatia.
Peraltro, se l'aspetto storico è di grande rilievo, non bisogna
dimenticare che Fenoglio è riuscito a imprimere alla narrazione una
notevole forza immaginifica, in certi momenti addirittura da
pellicola cinematografica; inoltre il tema è stato svolto in modo
tale da conferire all'opera significati di carattere universale, con
la guerra di liberazione che finisce con l'essere il pretesto per
ricercare il fine stesso dell'esistenza.
Da molti è stato definito il più riuscito romanzo sulla resistenza,
ma in tutta sincerità mi sembra inferiore a La messa dell'uomo
disarmato, di Luisito Bianchi, che pure affronta significati
universali, ma in modo più chiaro e convincente.
Con ciò non intendo dire che Il partigiano Johhny sia
un'opera non riuscita, ma che è solo di eccellente livello, senza
raggiungere i vertici propri di un capolavoro.
Se poi aggiungiamo il linguaggio usato (al riguardo il volume di
Einaudi riporta un interessante saggio di Dante Isella) accetto
termini nuovi coniati dall'autore, pur con riserve per qualcuno, ma
non sopporto che ci siano periodi parte in italiano e parte in
inglese, quando il ricorso a questa lingua non trova nessuna
giustificazione. E' un sistema che indispettisce e che tende ad
astrarre dalla lettura di un'opera che, pur con tutti i limiti sopra
accennati, è meritevole della massima attenzione.
Beppe Fenoglio (Alba 1922 -
Torino 1963). Einaudi ha pubblicato tutte le sue opere: I
ventitré giorni della città di Alba, La malora, Primavera di
bellezza, Un giorno di fuoco, Una questione privata, Il partigiano
Johnny, La paga del sabato, Appunti partigiani 1944-1945 a cura di
L. Mondo Einaudi, L'affare dell'anima e altri racconti, Einaudi, La
sposa bambina, tratto dalla raccolta "Un giorno di fuoco",
L'imboscata, Lettere 1940-1962, a cura di Luca Bufano, in
collaborazione con la Fondazione Ferrero di Alba, Una crociera agli
antipodi e altri racconti fantastici, Epigrammi, a cura di Gabriele
Pedullà.
Renzo Montagnoli
“Le ribelli”
di Nando dalla Chiesa ed.
Melampo
Storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore
Narrativa-civile
Nando dalla Chiesa, sullo sfondo della lotta alla mafia, racconta le
storie drammatiche e dolenti di sei figure femminili, madri, sorelle
e mogli ribelli per amore, diventate, malgrado loro, protagoniste di
una tragedia greca. Come si legge nella prefazione del libro, queste
donne con coraggio, dignità e fierezza si ribellano all’ideologia
dominante, infrangendo costumi e convenzioni, la loro richiesta di
giustizia è un urlo universale in cui confluisce tutto l’amore
ferito a morte. Sei storie esemplari che ne rappresentano tante
altre, scelte per privilegiare il punto di vista della
donna-vittima, della donna siciliana considerata per decenni simbolo
di sottomissione e silenzio che, attraverso la forza rivoluzionaria
dei sentimenti, si ribella all’ingiustizia, alla politica mafiosa
contribuendo alla crescita di una piena coscienza civile.
Sei le donne di cui si narra la loro vicenda umana intrisa di
dolore, rabbia e ingiustizie. Francesca Serio, madre del
sindacalista contadino Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia di
Sciara, in provincia di Palermo, nel 1955, ultimo di una serie di
uccisioni dei dirigenti più combattivi del movimento contadino
siciliano. Felicia Impastato, madre di Peppino, fatto saltare in
aria con il tritolo a Cinisi, diventato protagonista del film “Cento
passi”. Saveria Antiochia, la madre del poliziotto Roberto, ucciso
insieme al commissario Ninni Cassarà. Michela Buscemi, due fratelli
vittime di Cosa Nostra, uno vicino agli ambienti del clan, eppure
coraggiosa parte civile al maxiprocesso di Palermo. Rita Atria,
diciassettenne sorella di Nicola, giovane boss dello spaccio,
collaboratrice di Borsellino e suicida disperata dopo la strage di
via D’Amelio. Infine, Rita Borsellino, sorella dello stesso giudice,
diventata simbolo più alto di questa ribellione. Queste donne
indomite hanno aperto per tutte le donne la strada della denuncia,
della domanda di giustizia che non si arrende; sono donne che
sembrano tratte dalle pagine di Eschilo, Dostoevskij, tragiche
eroine, ferite nei sentimenti, ma pronte a sfidare l’omertà e a
lottare per l’antimafia e per la legalità.
“Le ribelli” è una lettura che colpisce perché pur trattando un tema
usato e sfruttato ( spesso, male) in letteratura, l’autore fornisce
una chiara chiave di lettura, usa toni calibrati, ma di grande forza
espressiva senza dimenticare la misura e l’equilibrio dello studioso
dei fatti storici.
In conclusione trascrivo i versi di una poesia di Antonio Machado,
riportata nell’ultima pagina del libro, che esprime il cammino di
lotta e di verità perseguito dalle protagoniste. “ Caminante, son
tus/ huellas/ el camino, nada màs;/ caminante, no hay/ camino,/ se
hace camino al andar…/ Caminante, no hay/ camino,/ sino estelas en
la mar”. Tu che cammini, la strada sono le tue orme, null’altro. Tu
che cammini, la strada non c’è, la strada si fa camminando…Tu che
cammini, non c’è una strada, ma scie nel mare.
L’autore: Nando dalla Chiesa, professore di Sociologia economica
all’Università degli studi di Milano, è stato parlamentare della
Repubblica ed è attualmente sottosegretario all’Università e alla
Ricerca. Scrittore, editorialista e narratore civile. Tra i suoi
scritti più noti: “Delitto imperfetto”, “Il giudice ragazzino”, ( Da
cui è stato tratto l’omonimo film), “ La fantastica storia di Silvio
Berlusconi”, “ Vota Silviolo!” etc…
Arcangela Cammalleri
Pregiudizi della
libertà
Libro di sarcasmi e di malinconiche
superstizioni di Roberto Morpurgo
Joker Edizioni
Prefazione di Sandro Montalto
Poesia aforismi
Già ho scritto una recensione di un libro di aforismi (Frecce e
pugnali, di Nicola Vacca) e in un certo qual senso mi stupisce,
senza sorprendermi però, che anche Roberto Morpurgo abbia avuto
l'idea di mettere a disposizione dei lettori le tante riflessioni
che caratterizzano la vita di un poeta che ama osservare il mondo,
nelle sue linearità, ma anche nei sempre più emergenti controsensi.
Secondo me, per far questo occorre soprattutto una buona dose di
ironia, perché temperare quelle che sono le nostre più marcate
reazioni di fronte ai comportamenti umani ci consente di vivere
sorridendo sulle nostre miserie.
Amo definire l'aforisma una perla di saggezza, perché in effetti è
una riflessione che invita gli altri a fare altrettanto e se è
facile leggere una raccolta, perché in fin dei conti ogni pensiero è
di poche righe, più complesso è invece considerare l'enunciazione in
tutte le sue sfaccettature, perché inevitabilmente potremmo
ritrovare qualcosa di noi stessi. Potrebbe essere un dramma,
potrebbe essere una sconvolgente verità, ma non lo sarà mai, perché
grazie all'ironia ci accetteremo così come siamo, anzi sarà un
motivo in più per compiacerci dei nostri difetti, nella presunzione,
non infondata, che siano di tutti.
Ci sono aforismi che possono apparire neutri, in quanto semplici
constatazioni di fatti evidenti, ma che normalmente non sappiamo
cogliere ( Se c'è un esibizionista involontario, è lui il genio,
oppure Gli altri ci consegnano a un destino che potremmo anche
accettare, se solo parlasse con il nostro accento, o ancora Lo
scultore elimina il marmo superfluo, lo scrittore un vuoto
eccessivo: il primo crea per sottrazione, il secondo per
sovrimpressione); ma c'è anche il sarcasmo nemmeno velato (
Morire è il solo atto di fede che ogni uomo compia con tutto il suo
essere. Perciò è così penoso non potervi assistere: è come se ci
convertissimo in contumacia, oppure Con quale coraggio uccidi un tuo
simile!?"Con il suo", o addirittura C'è chi parla come mangia e chi
come cucina. Io preferisco il secondo genere di oratore, dato che
quando posso mi faccio invitare a cena. )
Insomma, un libro di verità svelate, di ciò che sempre è, ma che non
riusciamo normalmente a vedere.
Divertente, ma a volte anche punzecchiante, per certi versi è
dissacratore del normale comportamento umano, tanto radicato da
essere spontaneo.
Di facile lettura, è la candid camera della nostra esistenza e ci
rivela quello che come inconsapevoli attori recitiamo ogni giorno.
Per quanto ovvio, è un libro che vi consiglio vivamente.
Roberto Morpurgo (Milano, 1959)
è laureato in filosofia e scrive poesie, aforismi, racconti, saggi,
oltre a coltivare interessi per la psicologia psicoanalitica, il
cinema e anche il teatro. In campo cinematografico ha collaborato
fra gli altri con la Provincia di Milano, l'Arci Cinema e l'Obraz
Cinestudio. In campo teatrale ha lavorato fra gli altri con il
Teatro Universitario di Richard Gordon e collabora come autore
drammatico con la RSI (Radio Svizzera Italiana). In campo musicale
ha scritto canzoni (musiche e testi) e lavorato per la Ricordi. In
campo editoriale ha collaborato fra l'altro con editori ed
enciclopedie.
Svolge la professione di consulente aziendale.
Renzo Montagnoli
La condanna del sangue
La primavera del commissario Ricciardi
di Maurizio de Giovanni
Fandango Libri
Narrativa romanzo
La primavera
arrivò a Napoli il quattordici aprile millenovecentotrentuno, poco
dopo le due del mattino.
Arrivò in ritardo e come al solito, con un colpo di vento nuovo dal
sud, dopo un acquazzone.
Dopo l’inverno del
Senso del dolore arriva per il commissario Ricciardi la
primavera de La condanna del sangue, una stagione di
risvegli, di nuovi amori che sbocciano, ma anche di delitti, fra i
quali quello, particolarmente efferato, che vede come vittima una
cartomante e usuraia.
Come per il precedente la vicenda gialla, pur se apprezzabile,
costituisce solo l’ossatura intorno alla quale è costruito il
romanzo vero e proprio e qui de Giovanni mostra l’indubbia capacità
di non ripetersi, creando nuovi personaggi di contorno e colorando
più intensamente, scendendo ancor di più dentro l’anima, quelli che
già si conoscono: il tormentato e malinconico commissario Ricciardi,
il pratico, ma umano, brigadiere Maione, il Dr. Modo, medico legale
pragmatico e antifascista, e lei, Enrica, la dirimpettaia, un amore
silenzioso e mai dichiarato.
Il romanzo procede a ritmo costante con lo svolgimento razionale
della trama principale, accompagnata da altre solo in apparenza
minori e che si ricollegano come in un mosaico a dar vita
all’immagine di un’umanità dolente, in cui la passione, la gelosia,
i sentimenti e perfino il delitto sono l’espressione di un’esistenza
in cui la felicità è solo una chimera.
Così accanto al feroce delitto della cartomante ci sono le vicende
di Filomena, la più bella di Napoli, e perciò desiderata dagli
uomini e odiata dalle donne, oppure quella di un sogno infranto di
un povero pizzaiolo che si era illuso di poter guadagnare di più.
Su tutte, però, domina il sempre presente senso del dolore di
Ricciardi, quell’intima pietà che in un mondo di fame e di morte
riesce ad aver ragione del più gretto materialismo, conferendo
dignità non solo alle vittime, ma anche ai colpevoli.
In questo contesto di grande effetto, dove l’ambientazione e
l’atmosfera sono resi in modo veramente pregevole, di tanto in tanto
c’è lo spazio anche per osservazioni illuminanti, come questa:
L’usura è vile, pensava Ricciardi: tra i delitti più tristi,
perché prende la fiducia e la rivolta contro chi la dà. E succhia
lavoro, speranze, aspettative, succhia via il futuro.
Non mancano, inoltre, tutte le menzogne di un regime (il romanzo
è ambientato in epoca fascista) dove tutto deve essere bello e
ordinato, dove la gente deve essere ricca, parole vuote che stridono
con l’opprimente realtà.
Scritto in punta di piedi, con un lessico semplice, ma assai
efficace, La condanna del sangue mi ha avvinto già
dall’inizio e, quando alla fine Ricciardi scorge nuovamente
attraverso i vetri della finestra la dirimpettaia che ricama
pensando a lui, mi sono messo a piangere, perché quel ritrovato
timido silenzioso amore è la conclusione logica di un romanzo
stupendo, che è maturato dentro di me pagina dopo pagina, mettendo
radici profonde.
E poi mi vengono le lacrime solo quando arrivo all’ultima pagina di
un capolavoro.
Maurizio de Giovanni
è nato nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Con il Senso del
dolore (Fandango Libri, 2007) di prossima pubblicazione in Francia e
in Germania dà inizio alle stagioni del commissario Ricciardi. Dopo
La condanna del sangue sono previsti altri due titoli.
Renzo Montagnoli
Arboreto salvatico
di Mario Rigoni Stern Edizioni
Einaudi
Narrativa romanzo
Ogni volta che leggo un libro di Mario Rigoni Stern provo un'intensa
emozione già dalle prime pagine, perché la struttura dell'io
narrante, unita a uno stile semplice, ma di grande immediatezza, fa
sì che mi sembri di stare ad ascoltare le parole del grande
scrittore vicentino e ora che non è più fra i vivi quell'emozione
diventa anche commozione.
Arboreto salvatico è un'opera a sé, forse minore, ma riassume
tutte quelle caratteristiche che hanno reso giustamente famoso
l'autore.
Così troviamo quella perfetta unione dell'uomo con la natura che di
per se stessa è un messaggio di fondamentale importanza per
l'umanità che sembra non accorgersi di essere parte di un ecosistema
perfetto, ma anche fragile, al punto che qualsiasi offesa gli venga
resa finisce con il ritorcersi notevolmente amplificata su chi
gliela ha arrecata.
E' un libro semplice, con interessanti e piacevoli annotazioni
botaniche, accompagnate da richiami al significato delle piante
nell'antichità e impreziosita da brani di romanzi o da versi poetici
di autori che cantarono la bellezza di determinati alberi.
Non mancano annotazioni, sempre correlate a questi vegetali, di
fatti o eventi di cui Stern fu protagonista nel corso della sua
vita, ma non si tratta di meri espedienti per allungare o
vivacizzare la narrazione, bensì sono incisi funzionali a dimostrare
che l'uomo deve convivere con la natura, nel pieno rispetto di
questa, traendone benefici che le attuali generazioni ignorano
completamente.
Con Mario Rigoni Stern la natura diventa la vera protagonista della
narrativa e l'autore è sempre presente, perché umile parte di essa.
Particolarmente commoventi sono le ultime pagine dedicate al
ciliegio, con la visione di una vecchia casa contadina, vuota e
abbandonata, ora posta in vendita per costruire un condominio per i
villeggianti, così che il vecchio ciliegio che nei pressi vi dimora
da tantissimi anni e che porta le ferite della prima guerra mondiale
sarà inesorabilmente abbattuto.
Nell'autore c'è l'autentico sincero dolore di Ljubov Andreevna
quando è costretta a vendere i suoi amati alberi nel Giardino dei
ciliegi di Cechov.
"Mio caro, dolce, meraviglioso giardino…Vita mia, giovinezza mia,
felicità mia. Addio!...Addio."
Con il ciliegio di Asiago che verrà abbattuto se ne va un amico, un
testimone e protagonista di gioventù, se ne vanno ricordi, emozioni
passate, se ne va un pezzo dell'autore.
Leggere i libri di Mario Rigoni Stern non è solo un accrescimento
culturale, ma è anche vivere dalla prima all'ultima pagina accanto a
questo grande uomo e scrittore.
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921
- 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli urogalli
(1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di
Tönle (1978) (Premio Campiello e premio Bagutta), Uomini, boschi e
api (1980), L'anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986),
Il libro degli animali (1990), Arboreto salvatico (1991), Le
stagioni di Giacomo (1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto
la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L'ultima partita a carte (2002), Aspettando l'alba e
altri racconti (2004), I racconti di guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
L’eleganza del riccio
di Muriel Barbery ed.e/o
Romanzo-narrativa
Siamo a Parigi, in età contemporanea, in un elegante palazzo al
numero 7 di rue de Grenelle, abitato da famiglie dell’alta
borghesia. Un romanzo a due voci, da un osservatorio privilegiato,
la guardiola della portineria, Renée vede passare la sua vita e
quella dei lussuosi condomini e Paloma, una dodicenne ricca abitante
dello stesso palazzo.
Renée, vedova 55enne, dall’aspetto sciatto e trasandato nasconde
un’anima raffinata e colta, dalle letture filosofiche, di
letteratura, d’arte, un tradimento costante del suo archetipo perchè
nessuno degli abitanti del condominio sospetta. Dagli altri è vista
come un complemento della guardiola alla quale vengono richieste le
sue mansioni di portinaia, senza prestare alcunché di attenzione
come persona. Solo la sua unica, amica, portoghese, Manuela
comprende la bellezza del suo animo e la delicatezza dei
comportamenti. Paloma, dotata di una acuta intelligenza, finge di
essere una ragazzina dalla sottocultura comune a tanti, cercando di
ridurre le sue prestazioni a scuola, giudica un disastro la vita
degli adulti, come mosche sbattono sempre contro lo stesso vetro, si
agitano, soffrono, si deprimono e stanca di vivere, ha programmato
la sua fine. Queste due anime sensibili e accomunate da uno stesso
sentire, incroceranno per un attimo le loro esistenze, condividendo
medesime impressioni e sentimenti: trait d’union, il ricco e colto
giapponese, Ozu che ne ha avvertito le loro vere essenze, senza
lasciarsi ingannare dalle false apparenze. Una storia originale e
ben orchestrata, in uno stile colto e distillato da considerazioni
filosofiche e da una prosa caleidoscopica che trasmette suoni,
colori ed emozioni. Il finale lascia amarezza e rimpianto per una
vita spesa ai margini della società in cui la ricchezza d’animo e
l’amore per la bellezza sono stati oscurati da un fato capriccioso e
avverso. Il caso è prodigo per alcuni e per altri ignora i meriti e
inibisce animi altamente nobili.
L’autrice è nata nel 1969 a Bayeux. Docente di filosofia, insegna
all’IUFM di Saint-Lô. L’eleganza del riccio è il suo secondo
romanzo. Pubblicato in Francia da Gallimard, in poco tempo ha
scalato le classifiche, arrivando al primo posto e vincendo numerosi
premi tra cui il Prix Georges Brassens 2006, il Prix Rotary
International 2007 e il Prix des Libraires 2007.
Arcangela Cammalleri
Poesie d'amore
di Nazim Hikmet Arnoldo
Mondadori Editore
Traduzione e nota di Joyce Lussu
Poesia raccolta
Poeta e rivoluzionario Nazim Hikmet fu a suo modo un caso unico
nella storia della letteratura, osteggiato in patria e osannato
all'estero. Del suo impegno politico, della sua idea marxista ci
sono ampi resoconti e anche pubblicazioni di opere specifiche,
peraltro nemmeno in catalogo nel nostro paese, ma ciò che lo ha reso
famoso e conosciuto in tutto il mondo sono le poesie d'amore,
raccolte ora in un volume degli Oscar Mondadori nella traduzione
originaria di Joyce Lussu.
Quest'opera è frutto di un lavoro assai lungo, tanto che raccoglie i
testi scritti fra il 1933 e il maggio del 1963, comprendendo anche
Il mio funerale, veramente splendido, con cui l'autore immagina la
cerimonia a seguito della sua morte che avverrà di lì a pochissimo,
il 3 giugno 1963.
Il mio funerale
Maggio 1963
……..
La finestra della nostra cucina mi seguirà con lo sguardo
il nostro balcone mi accompagnerà col bucato steso.
Sono stato felice in questo cortile, pienamente felice.
Vicini miei del cortile, vi auguro lunga vita, a tutti.
Una poesia in cui il commiato è più del morto che dei superstiti,
forse un espediente scaramantico per chi già aveva un cuore
malandato, ma anche una sintesi della vita dell'autore, con quelle
fede nella libertà che mai gli verrà a mancare anche nei lunghi anni
di prigionia in Turchia, durante i quali, guarda caso, ha scritto
gran parte delle sue celebri poesie d'amore.
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
Certamente questa poesia, che fa parte di Lettere dal carcere a
Munevvèr, è d'amore, è una comunicazione di sentimenti all'adorata
moglie, ma è anche un canto di libertà, giacché l'amore non può
essere imprigionato se non dagli innamorati e quel riferimento al
mare non ancora navigato è l'anelito a potersi nuovamente ritrovare
liberi di scegliere la propria vita.
Il messaggio si sublima tuttavia in questi versi che per me
sono fra i più riusciti e in cui la passione, il desiderio e la
speranza si fondono in un'ode all'amore.
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Ma se il carcere consente alla mente di fuggire grazie al ricordo
dell'amore, anche il successivo esilio, senza l'adorata moglie,
impone un'astrazione della mente per idealizzare un ricongiungimento
con la persona amata.
Prima che Bruci Parigi
Parigi, 1958
Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora temp0, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
………
La raccolta comprende, oltre a Poesie d'amore, anche liriche di
altro genere, fra cui dei poemetti e le altrettanto celebri Poesie
sulla morte, un compendio quindi assai completo e la cui lettura è
vivamente raccomandata per conoscere l'arte di Nazim Hikmet.
Nazim Hikmet (Salonicco, 1901 -
Mosca, 1963). E' stato uno dei primi poeti turchi a usare il verso
libero, ma la sua vita è stata un atto costante di fede politica
(nel caso specifico nel marxismo), il che gli ha comportato una
lunga detenzione nelle prigioni turche e poi l'esilio. Come poeta,
ha avuto subito una larga notorietà in occidente, fama di cui gode
ancor oggi.
Renzo Montagnoli
Eugenio Corti
: " IL CAVALLO ROSSO " Tre volumi : 1° IL CAVALLO ROSSO ; 2° IL
CAVALLO LIVIDO ; 3° L' ALBERO DELLA VITA - Edizioni Paoline - Milano
- 2008 .
Attraverso le storie di un gruppo di giovani della Brianza del 1940
, coetanei dell' Autore e tra i quali si riconosce l' Autore stesso
, Corti descrive in modo avvincente le speranze e le disillusioni
della sua generazione , che dalla serenità e la spensieratezza degli
anni trascorsi nella provincia lombarda si vide come " catapultata "
nella guerra . I giovani protagonisti seguono ognuno un proprio
percorso nei vari fronti in cui venne coinvolto il nostro Paese .
Vivi e nitidi ci appaiono così i caratteri di Michele ed Ambrogio ,
ambedue destinati al Fronte Russo ( il primo conoscerà il gelo e la
fame dei " Gulag " ; il secondo , ferito durante la ritirata dalla
Linea del Don , sarà ricoverato prima a Leopoli e poi in un ospedale
italiano ) ; di Manno , , reduce da El Alamein , che riesce a
tornare in Italia in barca insieme ad altri commilitoni scampati
alla prigionia e si troverà poi a combattere sul fronte di Cassino
contro i Tedeschi con il Corpo Italiano di Liberazione ; di Pino ,
che sceglierà la lotta partigiana aggregandosi alle formazioni "
azzurre " tra la Lombardia e il Piemonte ...
La ricostruzione delle vicende storiche che fanno da sfondo ai
protagonisti é scrupolosa ; e questo spiega la lunga " gestazione "
della Trilogia , pubblicata per la prima volta dalla Casa Editrice
Ares di Milano nell' estate del 1983 .
Particolare rilievo hanno le figure femminili di Alma , Colomba ,
Fanny : la descrizione dei sentimenti che per esse provano i giovani
del Romanzo rispecchia una concezione pura e " cavalleresca " dell'
Amore che molti oggi considerano superata , ma che certamente non é
banale ed é interessante " riscoprire " .
La precisione descrittiva del Corti si rivela anche nel modo in cui
riporta le varie espressioni dialettali regionali che si trovano nel
Romanzo .
Eugenio Corti nasce a Besana ,
in Brianza , il 21 gennaio 1921 , primo di dieci figli , da genitori
profondamente religiosi . Il padre Mario é un industriale tessile
che concepisce il proprio lavoro come una missione per l' elevazione
materiale e morale dei propri operai .
Frequenta il Liceo Classico al Collegio San Carlo di Milano .
Nel 1941 , nominato sottotenente di Artiglieria ,chiede di essere
inviato in Russia per conoscere di persona la realtà del Comunismo ,
" gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo completamente
svincolato da Dio , anzi , contro Dio ... "
Rimane in Russia fino al gennaio 1943 , quando ebbe inizio la grande
ritirata dalla Linea del Don .
Dopo l'8 settembre 1943 raggiunge il Corpo Italiano di Liberazione a
Brindisi , sede del governo provvisorio dell' Italia liberata .
Questa esperienza sarà narrata nel libro autobiografico " Gli ultimi
soldati del Re " ( 1994 ) .
Si laurea nel 1947 a Milano in Giurisprudenza .
Nel 1951 comincia a lavorare nell' industria paterna . Nel frattempo
, si dedica ad un minuzioso studio , teorico e storico , del
Comunismo , che culminerà nella pubblicazione dell' opera teatrale "
Processo e morte di Stalin " , rappresentata nel 1962 .
Nel 1972 lascia l' attività imprenditoriale per dedicarsi alla
Narrativa . Per ben tredici anni é impegnato nella stesura de " Il
cavallo Rosso " .
Ultima sua fatica letteraria é il romanzo storico " Catone l' antico
" .
( Notizie tratte dal sito web dell' Associazione Culturale Eugenio
Corti : www.aciec.org )
Gianfranco Stivaletti
Il tesoro della
Grancia e altre storie lucane di
Donato Altomare Besa Editrice
Narrativa raccolta di racconti
Le leggende popolari hanno un'importanza fondamentale nella storia
umana, perché consentono di tramandare, di volta in volta, il
passato al presente,
radicando così nelle popolazioni la comune origine e in pratica
contribuendo a creare un'identità culturale.
Spesso sono storie in cui vengono riflesse caratteristiche
autoctone, unitamente ad ancestrali paure o a più contingenti
desideri che sono propri di ogni essere umano.
Donato Altomare, eclettico narratore, con una naturale indole per la
fantascienza (ha vinto per ben due volte il prestigioso Premio
Urania), ha dalla sua un indubbio talento creativo che gli ha
consentito di rielaborare in modo convincente antiche leggende della
Lucania, arrivando a costituire una raccolta dalla gradevolissima
lettura.
Le tematiche sono le più svariate, ma in ogni caso prevale
l'elemento soprannaturale, la ricerca di simboli di innate paure,
tanto più radicate in popolazioni semplici, la cui vita è legata
soprattutto alla coltivazione della terra.
Si innestano così le descrizioni di boschi intricati, quasi
inaccessibili tanto da assumere una veste magica, ma non mancano
storie legate al brigantaggio meridionale, laddove a suo tempo
coloro che ebbero il coraggio di ribellarsi alla dura dominazione
sabauda furono bollati con l'appellativo di banditi, quando invece
prevalentemente si trattava di autentici patrioti.
Le loro gesta, le loro figure assursero così nel popolo a veri e
propri miti, ingigantendo imprese e velando di mistero la loro
scomparsa.
Uno di questi ribelli è il protagonista del racconto Il tesoro
della Grancia da cui è tratto il titolo dell'opera, ma ad essi è
dedicata un'altra leggenda, ancora più coinvolgente (Ninco Nanco).
Il merito dell'autore è quello anche di vivificare queste saghe con
presenze contemporanee di personaggi del passato, di modo che appare
forte il legame fra ciò che è stato, ciò che è ora e, si spera, quel
che sarà nel tempo a venire.
In tutto sono 11 racconti, con caratteristiche autonome, e che
riescono a dare una rappresentazione assai interessante dello
spirito di una popolazione. Si va così dal ricordo di "briganti" ai
lupi mannari, dalla vendetta, postuma, di un povero marito morente a
cui la moglie nega anche l'ultimo desiderio, fino a quello che per
me è il migliore in tutti i sensi, percorso com'è da una vena
poetica in alcuni momenti di tutto rilievo. Mi riferisco a
L'organetto e la morte bella, una vera e propria chicca, dove
l'esorcizzazione della "signora in nero" passa attraverso le melodie
sublimi che escono dall'organetto del vecchio Rocco.
La lettura, assai agevole, è quindi sicuramente consigliata.
Donato Altomare nasce a Molfetta
nel 1951 e vi risiede. È laureato in Ingegneria Civile presso
l'Università di Bari ed esercita la libera professione.
Ha vinto due Premi Italia a San Marino e Courmayeur, il Premio
Urania 2000 col romanzo inedito Mater Maxima, il Premio
Urania 2007 con Il dono di Svet e nel 2005 il Premio Le Ali
della Fantasia per l'inedito col romanzo Surgeforas.
Tra le varie pubblicazioni da ricordare i volumi Cuore di
ghiaccio (La Vallisa, Bari 1989), La risata di Dio (Solfanelli,
Chieti 1993), L'albero delle conchiglie (Milella, Bari 1994),
Prodigia (Tabula fati, Chieti 2001), Mater Maxima
(Mondadori, Milano 2001), Uno spettro, probabilmente (Mondo
Ignoto, Roma 2004), E la padella disse… (Delos Books, Milano
2004), Il fuoco e il silenzio (Perseo Libri, Bologna 2005),
Il tesoro della Grancia (BESA, Nardò 2005), Surgeforas
(Tabula fati, Chieti 2006). Sono stati pubblicati all'estero: Cas
je spiràla (tit. orig. Dolcissima Roberta, romanzo breve, Svet
Fantastiky n. 1, Praga 1990); Il popolo del cielo (testo in
cirillico, Gradina, Belgrado 1993); La casa degli scheletri
(testo in cirillico, Gradina, Belgrado 1996).
Renzo Montagnoli
La virtù di Checchina
di Matilde Serao
Albus Edizioni
Introduzione di Aldo Putignano
Copertina di Paolo Cancello Tortora
Narrativa romanzo breve
Nel panorama letterario italiano di fine '800 - inizi '900, Matilde
Serao trova la sua giusta collocazione quale scrittrice della
piccola borghesia e del popolino. A queste due classi sociali ha
dedicato la parte migliore della sua produzione, con accenti di
particolare intensità per la povera gente, una sorta di verismo, ma
con una particolarità: mentre il realismo è destinato agli oppressi,
ai paria, ai nobili e ai ricchi riservava figurazioni irrealistiche,
frutto non di un'esperienza diretta, ma di una visione di fantasia.
Sì, perché Matilde Serao si sentiva parte di quella piccola
borghesia in cui era in effetti nata e non è un caso quindi se
riesce a descriverla così bene, come anche in questo romanzo breve,
intitolato La virtù di Checchina.
Assai apprezzata da Giosuè Carducci e da Benedetto Croce per le sue
indubbie qualità di narratrice attenta a ricreare perfettamente le
ambientazioni, sondando anche finemente la psicologia dei
personaggi, questo testo breve, quasi un racconto lungo, ha
caratteristiche tali da poterlo considerare un piccolo capolavoro,
tanto più ove si tenga conto del fatto che la protagonista, per
carattere, ma anche per aspetto fisico, è tutto il contrario di
Matilde Serao, che invece era grossa, un po' tozza, chiassosa, ma
anche sempre controcorrente (basti pensare che la sua opposizione
alla prima guerra mondiale la rese invisa al fascismo e pregiudicò
la possibilità di essere candidata al Nobel, che poi fu assegnato a
Grazia Deledda).
La virtù di Checchina ha un tema che richiama tanto la
produzione di Flaubert e verte sul contrasto fra lo squallore della
vita borghese e il sogno di un'esistenza ben al di sopra delle
proprie possibilità.
Non c'è la miseria dello splendido reportage Il ventre di Napoli,
ma c'è tutta quella rassegnazione di una classe sociale di poco
sopra l'indigenza, ma assai lontana dal mondo aristocratico, a cui
mai potrà arrivare.
La figura di Checchina è disegnata con una maestria veramente
eccezionale, frutto anche della delicata e profonda sensibilità
dell'autrice, e il suo tentennamento fra il tradire il marito con un
nobile o lasciare cadere le profferte amorose è così ben descritto
al punto dal far nascere una naturale simpatia per una protagonista
dall'apparenza tutto sommato anonima.
In effetti, quel desiderio di salire in cima alla scala per godere
dei benefici di casta, altri non è che la verifica della propria
condizione sociale, dell'impossibilità di permettersi abbigliamenti
costosi per essere presentabile davanti a questo nobile. Nascono
così una serie di idee, si sviluppano dei processi volti a ottenere
almeno qualche cosa del tanto che le manca, ma quello che non sorge
è l'amore, anzi Checchina è innamorata solo del mondo del Marchese
di Aragona, il cui appuntamento galante rappresenta per lei solo la
possibilità di concretizzare un desiderio.
Riuscirà l'incontro nell'alcova del patrizio? Non ve lo dico, per
non togliervi il piacere di una gran bella lettura.
Matilde Serao (Patrasso, 7 marzo
1856 - Napoli, 25 luglio 1927).
Giornalista di valore, fondatrice con il primo marito Eduardo
Scarfoglio de Il Corriere di Napoli e de Il Mattino,
e, successivamente, con il compagno Giuseppe Natale de Il Giorno,
ha una vasta produzione letteraria, da cui tuttavia emergono per
qualità solo quattro opere: Il ventre di Napoli, Il paese di
cuccagna, Suor Giovanna della Croce e, soprattutto, La virtù
di Checchina.
Renzo Montagnoli
La vendetta del longobardo di Marco
Salvador Edizioni Piemme
Narrativa romanzo storico
Alcuni giorni fa ero
in libreria a cercare un titolo che mi interessava e, guardando
negli scaffali, ho trovato all’improvviso questo volumetto. Premetto
che ho letto già i romanzi di Salvador non di genere storico (La
casa del quarto comandamento e Il maestro di giustizia),
ma mi era sempre rimasta la curiosità di poter conoscere almeno uno
dei tre libri ambientati in epoca longobarda.
Per farla breve, ho smesso di cercare e ho acquistato unicamente
La vendetta del longobardo.
Il romanzo, con le sue 427 pagine, risulta piuttosto corposo, ma la
lettura è senz’altro agevole, oltre che veramente piacevole.
Il periodo affrontato dall’autore sono gli ultimi anni del regno
longobardo (VIII secolo d.C.) e, fra l’altro, riporta la decadenza
di un popolo che riuscì, abbastanza a lungo, a regnare sull’Italia.
Ritroviamo così i re Astolfo e Desiderio, figure importanti nella
storia, dotate anche di notevoli capacità, ma che nulla poterono per
contrastare un declino naturale. Ci sono pure i grandi avversari,
come Pipino e suo figlio Carlo e la politica assai terrena di una
Chiesa romana sempre più votata al potere temporale.
In queste vicende, fra guerre, intrighi di corte, paci traballanti,
emerge la figura del franco-longobardo Evaldo, la cui vita è
improntata alla vendetta da compiersi contro il crudele Pipino. Se
tutti gli altri personaggi sono esistiti veramente, questo penso sia
il parto della fertile fantasia di Salvador. Tuttavia, è degna di
nota la capacità di far assumere a questo protagonista una
veridicità quale potrebbe esserci solo nel caso che fosse
effettivamente vissuto, inserendolo in modo preciso nella vicenda e
rendendolo di fatto il narratore della stessa.
Salvador non si è limitato a raccontarci la fine del regno
longobardo, ma ha anche saputo ricreare le atmosfere, delineare,
facendoli rivivere, personaggi di cui serbiamo memoria dai banchi di
scuola, in un quadro d’insieme che ha il pregio non da poco di
educare divertendo.
E così, pagina dopo pagina, comprendiamo che cosa accadde tanti
secoli fa e anche il perché, un lavoro di ricerca che appaga lo
storico e il lettore.
Quindi, La vendetta del longobardo mi è talmente piaciuto
che, oltre a raccomandarne vivamente la lettura, mi impegna a
reperire anche gli altri due testi (Il longobardo e
L’ultimo longobardo), che potranno così accrescere la mia
conoscenza di un popolo che francamente conoscevo in modo
approssimativo.
Marco Salvador
nasce il 10 novembre 1948 a San
Lorenzo di Arzene (PN), dove tuttora
vive. Ha pubblicato numerosi saggi sulle comunità rurali nel
medioevo e sulle giurisdizioni feudali
minori. Inoltre ha scritto cinque romanzi: Il longobardo (Piemme,
2004), La vendetta del longobardo (Piemme,
2005), L’ultimo longobardo (Piemme,
2006), La casa del quarto comandamento (Fernandel,
2004) e appunto Il maestro di giustizia (Fernandel,
2007).
Renzo Montagnoli
Giovanni Codovini -
Urlo e geometria - Antonio
Pellicani editore
Recensione a cura di Carmen Lama
Urlo e geometria è un libro interessantissimo e molto ben scritto.
Il titolo così particolare è quello che desta la prima curiosità.
Voglio lasciar scoprire il significato di questi due termini
associati a chi avrà la possibilità di leggere questo libro e quindi
non ne parlerò in questa breve recensione.
Il libro mi ha coinvolto molto e l'ho letto a ritmo serrato, per non
perdere il filo del discorso. È densissimo di concetti e pieno di
molta cultura. Mi è piaciuto molto perché mi ha dato occasione di
vedere da un punto di vista meno problematico e più positivo, per
esempio il pensiero di Nietzsche, pur restando di questo filosofo la
difforme e deforme interpretazione che ne ha avuto, con le
conseguenze forse implicite più nel tempo di allora che nel suo
pensiero…
Ci sono moltissime citazioni e il libro spazia dalla filosofia,
all'arte, alla poesia, alla storia, ovviamente, e il filo
conduttore, che riporta in ogni capitolo e paragrafo alla tesi
dell'autore (la nozione del tragico dell'età contemporanea) è sempre
a fior di pagina. Potrebbe sembrare pessimistica ma non lo è, la
tesi che informa tutto il libro: il tragico dell'età contemporanea,
detta età dell'ansia, è infatti considerato in una accezione
particolare, quella secondo cui solo dal negativo, dal dolore, dalla
sofferenza, dalla disperazione (dal tragico, appunto) si possa
passare al positivo, alla speranza.
L'autore, a supporto della sua tesi, analizza moltissimi testi
filosofici, testi di letteratura ebraica e testi critici del
pensiero di filosofi importanti, e sempre vi trova ampie
giustificazioni per dipanare il significato che accompagna ogni
gesto, ogni azione, ogni comportamento che ha luogo nel nostro
tempo. È un modo per capire l'età in cui viviamo. Importantissimo è
il riferimento di fondo alla catastrofe di Auschwitz e al silenzio
potente che ne consegue. È un silenzio -deve essere un silenzio- che
dice tutta la drammaticità di quell'evento ma, come silenzio
assoluto, non avrà l'esito di lasciar morire il ricordo, piuttosto
ne evocherà costantemente la tragicità. Solo nel silenzio, infatti,
potranno emergere le parole, i significati. Nel caso specifico di
Auschwitz però, nessun significato può essere rintracciato, e il
silenzio dirà, urlandolo, tutto il dolore delle vittime e dei
sopravvissuti e tutta la colpevolezza di cui si è macchiato tutto il
genere umano. Il silenzio, dopo Auschwitz dirà l'indicibile, perché
come con quell'evento si è prodotta una frattura insanabile nella
storia, così si è prodotta una frattura nel linguaggio, che non avrà
più alcuna possibilità di dire ciò che non è possibile tradurre in
parole. Il capitolo del silenzio è davvero molto toccante. È
filosofia teoretica, e filosofia del linguaggio che, dopo Auschwit,
registra la sua sconfitta assoluta. Molto interessante è anche tutta
l'analisi sul concetto di Dio. Con Auschwitz si registra non la
morte di Dio, ma la sua impotenza e il suo essere nel mondo molto
più presente di prima, nella sofferenza delle vittime di quei
tragici fatti, ma anche nel silenzio degli ebrei e dei non-ebrei. Il
Dio sofferente, "è quel bambino appeso alla forca" ed anche tutti
quei volti muti, tragicamente silenziosi. Il nichilismo in cui s'è
inabissato il pensiero contemporaneo proviene da questo evento
innominabile, inesprimibile, ma diviene, nella tesi di Codovini, il
punto di partenza per ricreare un mondo, il mondo in cui gli esseri
umani portano su di sé tutta la responsabilità di quel che avviene.
Responsabilità e libertà che provengono dall'abdicazione di Dio, dal
fatto che Dio si è fatto da parte per far posto all'uomo, ma senza
abbandonarlo, anzi standogli accanto e soffrendo con lui. Insomma,
questo libro è essenziale per capire quel che accade nel nostro
mondo. Ci sono anche molti riferimenti biblici, la cui
interpretazione sostiene quanto l'autore vuole dimostrare.
Molto interessante anche il capitolo finale sul Pensiero della
complessità e le relative teorizzazioni, in particolare il
riferimento al testo di Edgar Morin, Introduzione al pensiero
complesso. Quest'ultima parte conferma, ma su un piano più vasto,
quanto Codovini ha sostenuto in tutto il suo libro: vengono,
infatti, individuati nell'epistemologia e nella scienza
contemporanea i temi di fondo affrontati, in quanto essi consentono
di interpretare l'età contemporanea come età del tragico,
dell'incertezza e dell'ansia. "Però, di un'ansia riscattante",
sottolinea Codovini. In tal modo conferendo al suo libro un
carattere positivo, in quanto rivela, con un'analisi critica
rigorosa, le caratteristiche che identificano il nostro tempo e da
esse, pur a partire dalla loro negatività, fa discendere come
possibile conseguenza il riscatto, appunto, la speranza, il
positivo, la consapevolezza.
Emerge dal testo una vasta cultura dell'autore, Giovanni Codovini e
la sua capacità di trarre una tesi così coerente ed anche piena di
speranza per il nostro futuro, da moltissimi testi consultati/letti.
La sua bravura è anche nel modo di scrivere, che è molto
coinvolgente. Ogni frase è un piccolo trattato a sé. L'utilizzo di
termini addirittura poetici in molti casi fa di questo libro una
bella ed importantissima "guida al sapere".
Unico rammarico è però il fatto che il libro non sia più in
commercio.
Carmen Lama
Rivoli di donna di
Gloria Venturini
Prefazione di Paolo Santato
Edizioni Nuovi Poeti
di Gianpiero Grasso
Mi vestirò
Vestita di sole,
camminerò tra verdi giardini,
vestita di luna,
andrò tra i sentieri dei sogni.
Inizia così Rivoli di donna, pochi versi che delineano la
personalità dell'autrice, che di giorno, pur essendo occupata dal
lavoro e dalla famiglia, riesce a osservare ciò che la circonda con
la sensibilità propria del poeta, a cui lascia ampi spazi nel
silenzio della notte, quando il soffuso chiarore della luna imperla
le idee e le emozioni trasformandole in versi.
Non ci troviamo di fronte a una silloge tematica, ma a una raccolta
di alcuni testi, con argomenti quindi anche assai diversi fra di
loro.
L'introspezione, quello scavare dentro se stessi, trova una felice
trasposizione in Nulla echeggia (Grido senza suono / assediata /
dall'impotenza / schiacciata / dal peso asfissiante / della realtà.
/ Un grido senza voce / oscura questo cielo, già nero / rincorre
impazzito / un'eco lontana, / dispersa nel tempo, / nella memoria. /
…), oppure in Una goccia di mercurio ( E' una goccia
di mercurio / la personalità, / ad ogni caduta / si stacca in mille
frammenti. /…).
Mi sembra opportuno evidenziare che, accanto alla ricerca di quanto
di più nascosto e recondito alberga nel suo animo, frutto di
metabolismi intellettuali, voci udite e sepolte per tempi migliori,
assai felice è il ricorso a immagini esaustive non fini a se stesse,
che tendono a dare corpo al verso, creando un'atmosfera surreale
propria di quell'andare tra i sentieri dei sogni.
Nel rapportarsi con l'esistenza, con il ciclo della vita il ricorso
alla metafora si estrinseca in immagini per nulla ridondanti, ma che
confluiscono nel concetto con particolare leggiadria, come in
Rosa d'autunno (Fragile e stanca / rosa d'autunno / affidi i
tuoi petali / al tenero abbraccio / vellutato del vento, / un
leggero volteggio, / un'ultima danza. / …).
Né poteva mancare una tematica d'obbligo come l'amore e qui Gloria
Venturini, più che traboccare di passione, di traslare poeticamente
una carnale attrazione, stempera il sentimento con una soffusa
malinconia, ci rende partecipi di un anelito sospeso fra sogno e
realtà, un'immagine che si fissa nell'animo più che negli occhi (da
Speranze d'amore:
Prenderò gocce di rugiada / e le sostituirò alle lacrime amare / che
imperlano i tuoi occhi. /…).
Un altro tipo d'amore, per quanto analogo, è rivolto ai figli, con
la genitrice che permea del suo sentimento i versi con una
intuizione creativa di rara bellezza ( da Voi siete in me:
…./ Io sono in voi, / un cerchio di vita / abbraccia l'infinito, /
il mio spirito dimora / nel vostro cuore. /…).
Come potrete comprendere non si potrebbe descrivere meglio Gloria
Venturini di quanto non abbia fatto lei con i versi di Mi vestirò,
un essere umano in eterno contrasto fra la realtà in cui cerca di
scorgere le poche luci e la poetessa che nel buio della notte riesce
a vedere se stessa.
Rivoli di donna, sentimenti, emozioni, riflessioni e ricerca
di dialogo, una silloge assolutamente da leggere.
Gloria Venturini ha ideato e
organizzato la prima e seconda edizione del Concorso Internazionale
di Poesia e Prosa, "L'arcobaleno della vita" della Città di
Lendinara, giunto alla quinta edizione, del quale è anche il
Presidente della giuria. Collabora con il Centro Studio di Torino,
come giurata nei concorsi letterari. Le sue opere sono state
pubblicate in molte antologie, su siti internet, dove ha ottenuto
l'interesse dei lettori.
Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie nel febbraio 2003:
Camminando tra i giardini dell'anima, seguita già nel giugno
dello stesso anno dalla seconda edizione della predetta silloge
poetica e da un volume antologico di racconti intitolato
L'arcobaleno della vita.
Ha inoltre ottenuto numerosi premi e riconoscimenti in concorsi
nazionali di poesia, fra i quali ricordiamo, omettendo per brevità
gli altri pur significativi risultati, solo i primi posti:
Premio del Triveneto Città di Lonigo con la poesia Coriandoli di
ricordi;
Concorso Internazionale I Colori delle Donne di Ascoli Piceno con la
poesia Tra le mani stringevi ancora cotone;
3° Edizione del concorso i Fiori 2003 - Edizioni I Fiori di Campo
(PV) con il racconto Ai bordi della vita;
Don Lelio Podestà di Chiavari (GE) sezione narrativa;
Concorso del triveneto Città di Lonigo 2004 con la poesia Come una
quercia;
Premio Internazionale Valeria di Cittaducale 2005 di Rieti con la
poesia Il cancello dell'infinito.
Renzo Montagnoli
L ' A r c a D i N o è
di Claudio Manduchi
Edizioni Agèmina
Collana: Paesi, fatti, personaggi (Il viaggio)
Fra i tanti fatti riportati dall'Antico Testamento c'è anche il
diluvio universale, da cui si sarebbe salvato solo Noè con la sua
famiglia e con numerosissime specie di animali, tutti insieme
imbarcati su un vascello chiamato appunto l'arca di Noè.
E' logico chiedersi se non si tratta di una leggenda, ma di un fatto
realmente accaduto e per far questo l'unica possibilità è quella di
andare a cercare i resti di questo bastimento.
E' quello che fa Claudio Manduchi in questo volume non solo di
viaggio, ma anche didattico.
Partito dal Santuario di San Romedio in Val di Non, il professore di
fisica generale dell'Università di Padova si reca in compagnia di
altri studiosi in Medio Oriente, nei luoghi sacri alla Bibbia.
Così, dal Monastero di Santa Caterina al Monte Ararat di svolge un
viaggio avventuroso, con bellissime descrizioni dei posti e con una
non indifferente capacità di ricreare l'atmosfera di luoghi dai nomi
già noti, ma che magari non abbiamo mai avuto l'occasione di
visitare: Petra, il Mar Morto, Hebron, Gerusalemme, solo per citarne
alcuni.
Nello scorrere le pagine della Bibbia troviamo così descritti eventi
spesso incomprensibili di cui l'autore cerca di trovare una
spiegazione scientifica.
Sembrerebbe, pertanto, a un primo superficiale esame che Manduchi
tenda a contestare la mano divina all'origine dei fatti, ma non è
così, perché molto opportunamente - e in ciò concordo - tiene
separato l'aspetto religioso, alla cui base c'è solo la fede, da
quello scientifico, frutto delle conoscenze maturate dall'uomo nel
tempo.
Così troviamo spiegazioni logiche di eventi che sembrano miracolosi,
pur restando tali, in quanto l'ordine generale dell'universo è
comunque presieduto da un'Entità Suprema; ciò che è frutto di
conoscenze scientifiche può essere considerato esso stesso un
miracolo, perché risponde a leggi fisiche e/o chimiche che
presiedono l'universo.
Anche se un giorno arrivassimo a comprendere il perché di ogni cosa
nulla scalfirebbe il miracolo di un sistema troppo grande per essere
compreso.
Penso che sia naturale la curiosità di sapere se i nostri
viaggiatori hanno poi trovato l'arca di Noè, se Manduchi, nei panni
di Indiana Jones, combattendo fra feroci beduini e mille pericoli è
riuscito a calcare i ponti del vascello biblico.
Al riguardo non dirò nulla, perché l'avventura è veramente
avvincente e anticipare la conclusione sarebbe un cattivo servizio
per il lettore.
Concludo dicendo che consiglio vivamente questo libro, perché non è
frequente la possibilità di imparare divertendosi.
Claudio Manduchi, nato a Trento
il 10 maggio 1924, già Ufficiale di Marina nell'ultimo conflitto, ha
seguito la carriera accademica presso la Cattedra di Fisica
dell'Università di Padova fino a raggiungere l'ordinariato, quale
Professore di Fisica Generale.
L'attività scientifica concerne essenzialmente la Fisica Nucleare,
dallo studio dei Raggi Cosmici alle ricerche sulle reazioni di
particelle nucleari accelerate. Recentemente si dedica a indagini
sulla Fusione Nucleare Fredda.
Molteplici le pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali.
Per l'Agèmina ha pubblicato due libri di successo: Antimateria
(2006), e La Tavola Smeraldina (2007).
Renzo Montagnoli
Il Meridiano di
Maribruna Toni
Opera poetica
a cura di Gordiano Lupi
L'immagine di copertina è
di Elena Migliorini
Casa Editrice Il Foglio Letterario
Collana Autori Contemporanei Poesia
Direttore Fabrizio Manini
Maribruna Toni, il piacere della scoperta
Circa un mese fa, o poco più, nel corso di una conversazione con
l'amico Gordiano Lupi, noto scrittore e dominus della casa editrice
Il Foglio Letterario, a un certo punto è emerso qualche cosa
che teneva dentro e che aveva necessità di parteciparmi. Mi ha
detto: - A metà luglio sono 10 anni che è morta Maribruna Toni e per
ricordarla e per far conoscere agli altri quanto era brava ho deciso
di pubblicare un Meridiano, sì come quelli della Mondadori, un'opera
omnia di tutta la sua produzione. Che ne pensi?
Ho risposto che mi sembrava un'ottima idea, nascondendo che in
verità nulla sapevo di Maribruna Toni. Ho provveduto, però, subito a
colmare la lacuna, facendomi mandare due sue sillogi e un'anteprima
del Meridiano.
Il tempo tiranno mi ha impedito di porvi mano appena ricevute, ma
quando alcuni giorni fa ho cominciato a sfogliarle è accaduto un
fatto strano. Verso dopo verso le pareti del mio studio si sono
lentamente aperte per svelarmi squarci di mare e di monti (Rimpianto
d'onde, di sale e di tempeste / e invece ha solo un mare di foreste.
/ Del vento di bufere e di bonacce: ora ha solamente picchi e rocce…).
E' stato tutto un susseguirsi di immagini, di sensazioni, che
dapprima mi hanno travolto per poi lentamente coinvolgermi mentre la
lettura procedeva. L'impressione era di essere presente sulla scena,
di udire il rumore del mare, di sentire la brezza che lentamente mi
avvolgeva (Dondolavano le barche / lasciate illanguidire / nel
borbottio del mare, / ascoltando lo sciacquio / della risacca.)
Questa capacità di rendere in parole l'immagine, ma più ancora
l'emozione provocata dalla stessa è indubbiamente rara e di grande
effetto, ma non sarebbe di impatto emotivo se non fosse accompagnata
dall'equilibrio armonico dei versi, invece sempre presente nelle
poesie di Maribruna Toni, con una sua regola di metrica che le
consente perfino di non rendere leziosa una lirica di 34 versi
caratterizzata dalle rime baciate (Eran rimasti stracci scomposti
/ poveri resti di mondi nascosti / sotto le coltri di una speranza /
che ammuffiva in squallida stanza.)
Questo rincorrersi di paesaggi con una trasposizione onirica ha un
suo preciso significato, vale a dire l'autrice si avvale della
metafora per rapportarsi con il mondo che la circonda e con la vita
(Ho spezzato i cordami dell'ormeggio, / recisa la catena
d'ancoraggio), in una serie di esperienze che sono di fatto vere
e proprie fini e rinascite, come se il percorso dell'esistenza non
fosse una linea retta, o una parabola, ma una serie ondulatoria che
richiama le onde di quel mare tanto amato.
C'è però anche a volte una malinconia diffusa, un senso di
isolamento, tipico dei poeti, che trova felici espressioni di rara
bellezza (Il silenzio / congela in un cartoccio / di ghiaccio /
il cuore.).
E in queste occasioni la mente corre a misurare la propria
dimensione con quella dell'infinito, a riflettere sull'esiguità del
tempo della vita rispetto all'eternità (Ma se guardi / quello che
sta sotto / le creste dei cavalloni, / trovi l'oceano / con il suo
mistero / oceano eterno / sempre in moto, / senza tempo.)
E' sempre quel mare che accompagna il poeta e che rappresenta il
fluire del tempo, incessante e infinito, un mistero che affascina e
sgomenta, ma che anche consente di sognare, di superare le barriere
degli uomini e della natura, di vivere in un'altra dimensione in un
continuo rincorrersi di domande e di risposte, per ascendere, o
almeno tentare, all'assoluto. Maribruna infatti ha una sua intensa
religiosità, una sintonia perfetta con il creato, una fusione di
algida bellezza ( E' assurdo che vi sia ancora colore! / Il
colore è l'essenza della vita…/).
La vita, cosi amata l'ha lasciata la notte del 15 luglio 1998, ma
già in una sua poesia è presente una vaga sensazione di questo
abbandono, peraltro del tutto naturale, ma nel caso specifico quasi
profetica ( Ho sognato una notte / che morivo alla vita. / Ho
sognato nel buio / che con un solo / batter di palpebre / avevo
detto basta. /…).
Chissà quanti altri bei versi avrebbe potuto scrivere, chissà quante
risposte avrebbe fornito ancora il suo mare (Dentro a un vaso /
ho rinchiuso la tristezza. / Ho messo dentro a un sacco / la
dolcezza. / Dentro a uno scrigno questo mio candore. / Chiusa in
un'urna / insieme alle mie ceneri / ho imprigionato la speranza /
d'ieri, d'oggi, domani. / E ho buttato tutto a mare: / Scrigno,
ceneri, urna, / vaso, il sacco / sono rimasti lenti a galleggiare. /
Tristezza, poi dolcezza, / questo mio candore / e la speranza / son
troppo lievi/ troppo poca cosa / per affondare.).
Del resto era in grado di affrontare diverse tipologie di tematiche,
molte delle quali potrebbero essere definite esistenziali e nel suo
caso erano una vera e propria ricerca di risposte a perché che
esulano dalla contemporaneità, ma sono sempre quegli irrisolti su
cui l'uomo, dalle sue origini, tende a cimentarsi; ebbene,
dimostrando una notevole arguzia e, soprattutto un'invidiabile
autoironia, riesce da dare plausibilità là dove c'è incertezza (Un
infinito. / Un punto. / L'universo. / E l'uomo. / Homo Sapiens. / Ma
Sapiens in che senso?.).
Questo Meridiano, pertanto, non ha il valore di una semplice
commemorazione, ma ridona vita al talento di Maribruna Toni.
Nello stesso sono ricomprese quattro sillogi già edite, cioè Le
vele, i voli, i veli (Libroitaliano, 1997), unica antologia
pubblicata in vita , L'urlo si fa silenzio (Traccedizioni,
1999), Un sogno smarrito (Il Foglio Letterario, 2001) e
Rimpianto d'onde, di sale e di tempeste (Il Foglio Letterario,
2003).
Inoltre in appendice riporta una raccolta di Poesie ritrovate
e si chiude con L'occhio incantato, una lirica che riassume
in pratica tutto il pensiero filosofico-religioso dell'autrice. Non
mancano, peraltro, anche due recensioni di Gordiano Lupi a Le
vele, i voli, i veli e a L'Urlo si fa silenzio e una
stupenda poesia scritta dallo stesso Gordiano Lupi il 20 marzo 2000
e dedicata alla poetessa scomparsa.
Devo dire che per me la poesia di Maribruna Toni è stata una vera e
propria scoperta, un piacere nella lettura che saliva dalle pagine
che non profumavano più di carta, ma di salmastro, di resina, di
maestrale.
E' incredibile quanto possano fare dei versi e supera ogni
immaginazione l'idea che grazie ad essi altri uomini avvertiranno le
emozioni provate a suo tempo da una persona ormai scomparsa.
Questa è la vera magia della poesia, perché fa rivivere in noi chi
non c'è più.
Renzo Montagnoli
La Morte fra la Piazza e la Stazione
Storia e cultura politica del terrorismo
in Italia negli anni '70
di Domenico Guzzo
Edizioni Agemina
Saggio storico
Nella storia del nostro paese c'è stato un periodo, che va dal 12
dicembre 1969 al 2 agosto 1980, in cui la vita era diventata un
optional. Uscivi per andare al lavoro nel timore di non fare poi
ritorno a casa, la nazione viveva poi in una specie di stato
d'assedio, con frequenti attentati, esecuzioni mirate in pieno
giorno, insomma una sorta di incubo che accompagnava le giornate.
Già allora si parlava di eversione nera e di eversione rossa, di un
terrorismo che sembrava perfino protetto in alto loco. Tutto è
iniziato quel 12 dicembre 1969 con l'attentato alla Banca Nazionale
dell'Agricoltura di Milano ed è finito a Bologna il 2 agosto 1980
con un'autentica strage nella stazione ferroviaria.
Ci sono immagini che non potrò mai dimenticare, macerie avvolte in
una nube di polvere, le urla dei feriti, lo strazio dei morenti,
cittadini semplici come noi, in attesa di partire per le vacanze o
dell'arrivo di congiunti in quel caldo agosto del 1980.
Ebbene, al di là di quanto accaduto in quel tragico periodo, senza
voler nemmeno pensare all'orrore, ciò che sgomenta di più è che
nessun colpevole è in galera, finendo con l'avvalorare le ipotesi
che allora la gente comune formulava e cioè di una strategia della
tensione, in cui un unico burattinaio muoveva a suo piacimento sia i
terroristi neri che quelli rossi.
Sono passati quasi ventotto anni da quel 2 agosto 1980, dalla fine
di quella scia di delitti e oggi ancora sappiamo ben poco.
Per fortuna che è uscito questo bel libro di Domenico Guzzo,
un'opera per certi versi straordinaria e indispensabile per
ricordare affinché certe cose non accadano più e per approfondire il
discorso, le ricerche, per fare un po' più luce in una buia verità.
L'autore è riuscito a scrivere un saggio di notevole completezza e
ben strutturato organicamente.
Infatti nulla è stato trascurato e il quadro che ne risulta delinea
una situazione sotto tutti gli aspetti possibili, dalla politica di
quegli anni dell'egemone americano, alle culture politiche di destra
e di sinistra, alla storia dei gruppi armati, agli studi di caso,
alle conclusioni e perfino a due illuminanti interviste ad
altrettanti magistrati.
Ne risulta un testo di grandissima qualità, indispensabile sia per
conoscere quel periodo sia per mettere mano ad altri studi sullo
stesso.
Non manca proprio nulla, nemmeno pagine dedicate al fallito golpe di
Junio Valerio Borghese oppure a una trattazione incisiva ed
esauriente del sequestro di Aldo Moro.
Alla fine della lettura non c'è da attendersi la notizia clamorosa,
tanto per intenderci quella che fa il nome o i nomi delle menti di
questa folle strategia, perché questo è tuttora impossibile, per
quanto, soffermandoci sui vari punti, qualche idea abbastanza
plausibile può essere fatta, anche se si tratta ancora di ipotesi
non verificabili, anzi temo che mai si potrà sapere con certezza
nemmeno fra un secolo.
Tuttavia, per chi ha vissuto quel periodo e per chi invece non era
ancora nato, questo libro rappresenta una provvidenziale fonte di
conoscenza.
E proprio per questi motivi non solo è opportuno, ma è addirittura
indispensabile leggerlo.
Domenico Guzzo nasce a Losanna
(Svizzera) nel 1982 da una famiglia di emigrati meridionali, e
cresce in un piccolo villaggio del basso Cilento. Trasferitosi a
Forli', diviene direttore di una piccola pubblicazione a diffusione
intrastudentesca e Curatore di un fortunato cineforum universitario.
Laureatosi in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso
l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Sede di Forli', si
occupa dapprima di politiche migratorie comunitarie a Bruxelles, per
poi passare alla sezione eventi cinematografici e culturali
dell'Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia.
"La morte fra la Piazza e la Stazione" è il suo primo libro.
Renzo Montagnoli
I miei amici.
Diari (1968 – 1970)
di
Luisito Bianchi Sironi Editore
Collana indicativo presente
Narrativa diaristica
La messa
dell’uomo disarmato, il bellissimo romanzo di Luisito Bianchi,
non avrebbe potuto esistere se non ci fosse stato un periodo di
esperienza, non tanto a contatto con il mondo, ma essendo parte
integrante di esso.
L’umile sacerdote cremonese realizza questa sua discesa nei problemi
concreti di ogni giorno diventando operaio, per sostentarsi, ma,
soprattutto, per comprendere.
Questo suo apparente ritorno alla laicità è il mezzo per rispondere
ai dubbi della fede, ma è anche la concretizzazione di quel grande
valore cristiano che è la gratuità.
Sono più di 800 pagine quelle de I miei amici. Diari (1968 –
1970) e chi si aspetta di leggere un romanzo con tanto di trama
se lo scordi subito.
Giorno per giorno Luisito Bianchi ha annotato sul diario le
impressioni della sua esperienza di prete operaio e talvolta queste
si ripetono, anche con sfumature diverse, perché l’avvicinamento
all’assoluto di un’anima avviene necessariamente per gradi.
Il rapporto fra fede e chiesa, fra uomo di fede e uomo parte della
comunità degli altri uomini, anzi di una categoria sempre disagiata
quale quella operaia, sono i temi che vengono alla luce e donano
corposità e valenza all’opera, perché sono del tutto veritieri e
reali.
I problemi di ogni giorno, materiali per gli operai, soprattutto
spirituali per Luisito, scorrono in queste pagine come rivoli,
torrentelli che poi vengono a confluire nel grande lago della
rivelazione di un servo di Cristo che del suo verbo ha fatto l’unico
modo di vita, povero fra i poveri, oppresso fra gli oppressi, paria
fra i paria.
Ne emerge un quadro personale di grande spiritualità, ma anche una
visione del mondo operaio di quegli anni, non sfiorato dal ’68, come
mai era stata realizzata.
Senza indulgere ad atteggiamenti politici Don Luisito porta la sua
parola fra i lavoratori, una parola fatta di esempio, di amicizia,
di condivisione, e a sua volta riporta a noi le parole spesso mute
di un’umanità sofferente, ma dignitosa, uno scambio di lealtà che
sancisce quell’eguaglianza di uomini che solo l’egoismo di pochi ha
soffocato.
Da leggere senz’altro e da far leggere, perché è un’opera unica di
grande valore storico e spirituale.
Luisito Bianchi è
nato a Vescovato nel 1927 ed è sacerdote dal 1950. È stato
insegnante e traduttore ma anche operaio, benzinaio e inserviente
d’ospedale. Ora svolge funzione di cappellano presso il monastero di
Viboldone (Milano). Ha pubblicato: Salariati (1968),
Gratuità tra cronaca e storia (1982), Dittico vescovatino
(2001), Simon mago (2002), Dialogo sulla gratuità
(2004) e Monologo partigiano (2004). Sironi ha pubblicato
Come un atomo
sulla bilancia e
La messa
dell’uomo disarmato, il suo grande romanzo
sulla Resistenza, elogiato da critica e pubblico.
Renzo Montagnoli
Zcome Amore di
Aa. Vv. Albus Edizioni
Prefazione di Irene Caliendo
Collana Le parole per te
Antologia di poesie d'amore
La Albus Edizioni ha nella sua linea editoriale la pubblicazione di
antologie di racconti e di poesie scritti da diversi autori. Si
potrà obiettare che questa scelta è dettata da motivi di vendita,
perché i singoli artisti tendono ad acquistare una o più copie dei
volumi in cui sono presenti i loro lavori. Rispondo che non c'è
nulla di strano, perché l'editore deve pur vivere, e non solo il
metodo è ben diverso da quello delle pubblicazioni a pagamento, ma
consente di porre all'attenzione dei lettori autori altrimenti
sconosciuti e invece meritevoli di attenzione.
E' il caso di questa antologia di poesie d'amore, in cui è presente
anche una mia lirica (Solo le labbra) e, infatti, per ovvi motivi
deontologici non la citerò più.
Preferisco invece evidenziare il fatto che la curatrice Irende
Caliendo ha saputo scegliere testi di buona levatura e fra questi
alcuni meritevoli, a mio giudizio, di particolare attenzione.
Mi riferisco alla veritiera e amara "Ricordo" di Avrionova Nadejda,
alla riflessiva "Fuoco Fatuo" di Loredana Cappellazzo, alla
religiosa "Sabato Santo" di Domenico De Ferraro, alla concreta, e
pur soave, "Mare" di Michael Liam Gibbs, alla figurativa "Si
inseguono le onde" di Francesco Satanassi, alla malinconica "Ci sono
giorni così" di Gino Zanette, all'intrepida "Dentro te" di Giuseppe
Bianco.
C'è poi un'altra poesia che, sempre secondo la mia opinione, è forse
la migliore di una raccolta già di per sé assai valida ed è "A
quest'ora" di Paolo Sangiovanni.
Pensate che l'autore non è certamente giovane, essendo nato nel
1930, ma i suoi versi sono di una quieta freschezza veramente
invidiabile.
In questa poesia, non a caso sottotitolata "Gli innamorati
sessantenni", la passione sfuma nell'affetto e l'amore è un
reciproco scambio di sogni.
Insomma, è proprio una bella antologia, di piacevole lettura, e poi
l'amore non ha tempo, è sempre di moda, perché è vita.
Renzo Montagnoli
Frecce e pugnali
di Nicola Vacca
Edizioni Il Foglio
Introduzione di
Giordano Bruno Guerri
In copertina
“Spaziale” di Lucio Fontana
Collana Autori Contemporanei Poesia
Diretta da Fabrizio
Manini
Poesia Aforismi
L’aforisma (o
aforismo) è una frase breve che, tuttavia, riesce a concentrare un
sapere di carattere filosofico o morale.
Per quanto creati
anche in passato, la loro diffusione si è incrementata in modo
notevole a partire dalla seconda metà del XX secolo, con numerose
pubblicazioni di raccolte di aforismi di autori diversi, insomma
delle vere e proprie antologie.
Più raro è il caso
di libri costituiti da queste massime a opera di un solo autore e
fra questi rientra Frecce e pugnali di Nicola Vacca, già
conosciuto come poeta e come critico letterario.
Come precisa
giustamente l’autore, nel corso dell’intervista che gli ho fatto in
concomitanza con l’uscita di quest’opera, l’aforisma è un modo
efficace per essere ironici e divertenti, ma è anche, nel caso
specifico, un mezzo per scuotere e far pensare una società che
sembra vivere in una sorta di limbo, avulsa da una concreta realtà,
prigioniera di un’illusione propinatale e che ha recepito
volentieri: vivere senza esistere.
E così Vacca ci
trascina in un vortice di punzecchiature mentali sulle quali pare
impossibile non sentire la necessità di riflettere, mettendo in
discussione le nostre convinzioni, frutto di anni di martellanti
lobotomie tese al nostro annullamento, volte a toglierci quella
innata capacità di raziocinio.
Perché vi
ostinate a pregare un Dio che non porge mai l’altra guancia quando
deve diffondere nel mondo il bene? Che è poi il motivo
fondamentale per cui l’essere umano gli è ciecamente devoto.
Oppure
In ognuno di noi
c’è un ribelle. Abbiamo talmente paura di credere nelle nostre
potenzialità, che amiamo contaminarci con il mito
dell’uguaglianza.
Oppure ancora una
stilettata come questa:
L’imbecillità incontra sempre il favore
degli dei. Dio incontra il favore degli imbecilli.
Non c’è che dire,
perché ci troviamo di fronte a delle vere e proprie perle di
saggezza e quel che è più interessante è che scavano dentro,
incidono fino in fondo, pongono immediatamente dei quesiti che fanno
vacillare teoremi che crediamo innati, ma che ci sono stati
subdolamente imposti.
L’ avvento di un
dio è un luogo comune che impedisce di pensare.
Ce n’è poi una che
mi trova concorde al 100% perché è da tanto tempo che vado ripetendo
certe cose, tanto da metterle anche in poesia, ed è questa:
Il ventesimo
secolo è morto sotto i colpi dell’Utopia. Il ventunesimo lo sta
assassinando una decadenza che non ha eguali nella Storia.
Bruciante, nella sua
verità, è poi la seguente:
Nella società
della comunicazione l’unico dialogo fecondo è quello con la nostra
solitudine.
Diviso in una sorta
di capitoli, o meglio ancora di oggetti (Alfabeto della crudeltà, La
perfezione del male, Allegria del terrore, Dio e lo scettico) questo
libro è tutto da meditare e se anche solo dovesse farvi sorridere
sarebbe la prova che ha comunque raggiunto il suo scopo.
Nicola Vacca è
nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza vive a
Roma . È scrittore, opinionista , critico letterario, collabora
alle pagine culturali di quotidiani e riviste. Dirige le pagine
culturali del mensile www.confronto.it. Svolge, inoltre, un’intensa
attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed
eventi legati al mondo della poesia contemporanea. Ha pubblicato i
seguenti libri di poesia: Nel bene e nel male(1994),
Frutto della passione (Manni, 2000), La grazia di un
pensiero(Prefazione di Paolo Ruffilli, Pellicani, 2002),
Serena musica segreta(Manni, 2003), Civiltà delle anime(Book
editore, 2004), Incursioni nell’apparenza (Prefazione
di Sergio Zavoli, Manni, 2006), Ti ho dato tutte le stagioni(prefazione
di Antonio Debenedetti, Manni, 2007)
Renzo Montagnoli
Lungo
la strada di
Aa. Vv. Historica – Edizioni Il
Foglio
A cura di Francesco Giubilei
Narrativa antologia di racconti
Fortemente voluta da
Francesco Giubilei per ricordare il primo anno del magazine
“Historica” e la riuscita unione con la rivista “Il Foglio
Letterario” (ma anche e soprattutto, come precisa lui stesso
nell’introduzione, per celebrare tutti i collaboratori che con
passione hanno sempre inviato i loro lavori, consentendo la
realizzazione della rivista), Lungo la strada è un’antologia
di racconti di diversi scrittori, quanto mai variegata nelle
tematiche e negli stili, così da costituire un insieme che non potrà
deludere il lettore, avendo sempre la possibilità di trovare, fra i
lavori, quelli di maggiore gradimento. Il merito è anche del
curatore, Francesco Giulibei, presente peraltro con un brano che dà
il titolo all’opera.
Poiché si tratta di un’antologia mi limiterò a evidenziare le
caratteristiche di ogni racconto, così che chi legge possa avere
un’idea di questo interessante volume.
Notti
d’agosto, di Elisa Ramazzina
Sul filo dei ricordi, con la memoria di un congiunto che non
c’è più se non nel cuore di chi è rimasto.
Nabo e
Polidoro, di Pacifico Bartolomeo Paolo
Un sogno, o meglio una serie di sogni, con l’evanescenza
tipica di tutto ciò che è onirico.
Il segreto di
Caterina Carmon, di Renzo Montagnoli
Una vocazione imposta per necessità, i giorni uguali fra le
fredde mura di un convento di clausura, una pulsione naturale che si
trasforma in un erotismo spirituale.
Il più vile
tra i vili, di Luciano Cacciavillani
Il compito degli assistenti sociali e la forza delle idee
insita nella letteratura.
Il pozzo, di
Marco Mazzanti
Una metafora delle nostre paure inconsce.
Bazar di
colori, di Selena e Arianna Mannella
Un viaggio in India fra anime inquiete in cerca di pace.
Breve istante
di emozione in un albergo del centro, di MariaGiovanna Luini
Un incontro, forse anche un po’ di vero amore, ma fugace,
breve come un sospiro.
Torre di
guardia, di Francesco Jonus
In un’atmosfera tenebrosa alla caccia di un mostro
misterioso.
Le perle di
resina, di Fiorenza Aste
Nella valle dell’Adige, fra Teroldego e Tebro, in una
cantina.
Lo spazzino,
di Massimo Burioni
Il destino è dietro l’angolo: basta non voltare e tutto
andrà bene.
Marguerite, di
Marco Marchese
Racconto di finissima introspezione, un’analisi che rifugge
dai luoghi comuni per restituirci un’immagine di eccelsa purezza.
Palline da
flipper, di Francesco Dell’Olio
Una festa a dir poco movimentata, un sogno, o meglio due
sogni a lungo coltivati e in un attimo infranti, ma con il risvolto
positivo di un cambiamento radicale.
Un giorno ti
alzi, di Barbara Gozzi
Il vero senso della vita quando questa (nel caso specifico
quella di una persona che conosci) è minacciata da una grave
malattia; una riflessione acuta e veritiera.
Lungo la
strada, di Francesco Giubilei
Un grande amore descritto con mano leggera, ma sicura, e con
un folgorante finale che fornisce più di una possibile
interpretazione.
Personalmente, ma è
una questione di gusto, quelli che mi sono piaciuti maggiormente
sono stati Notti d’agosto, Marguerite, Un giorno ti alzi e Lungo
la strada, racconti che, se pur diversi, sono tutti accomunati
da un apprezzabile equilibrio fra originalità, contenuto e stile.
Comunque anche gli altri sono più che meritevoli di lettura e
pertanto non posso che caldamente consigliarvi questa bella
antologia.
Renzo Montagnoli
L'amore negato
Violazione dell'amore di
Dunja Torroni Edizioni Il
Foglio Letterario
Prefazione di Guido Pedrojetta
In copertina "Gouligou"
di Malu Barben
Collana Autori Contemporanei Poesia
diretta da Fabrizio Manini
Poesia silloge
Gran Premio Speciale della giuria, sezione Libro Edito, della città
La Spezia.
I poeti celebri che con le loro penne
hanno dato vita all'opera sublime e solenne,
non voglio né posso contrastare.
In tutta umiltà, vorrei semplicemente narrare
la pena immane e le passioni vane
di chi geme e soffre le tribolazioni della vita.
Con questi versi inizia la bellissima silloge di Dunja Torroni,
un'opera dedicata al mal d'amore, un corrosivo sentimento che si
traduce in intima, intensa angoscia di vivere.
Ci sono versi in cui l'amore riesce a predominare, con una visione
apodittica di questo sentimento, altri in cui invece traspare il
tentativo di comprendere il suo significato e altri ancora dove
invece si riduce a un fenomeno fisico istintivo.
Comunque, pur in presenza di diverse sfaccettature, manca la gioia,
ma è sempre presente un'angosciante disperazione.
Sussulta ancora il vecchio, / che per le carezze ancora palpita.
/ Sussurra amore sibillina / la morte vicina. / Sussulta e scalpita,
/ cercando un ultimo bacio: / un ultimo soffio / che colpisce il
cuore.
Altre volte c'è una visione disincantata, una ricerca dell'amore
inteso come stato di giovinezza ( Vorrei abbracciarti e baciarti
/ prima che il mio pene penda definitivamente. / Vorrei penetrarti
ed amarti / prima che si afflosci inesorabilmente.).
Oppure l'istintivo desiderio di ricominciare il tutto (Fare un
semplice click e / cancellare il passato. /…).
Non mancano amare constatazioni, dove la metafora coglie il senso in
modo assai suadente:
E' così breve il dono dell'amore,
la vita di una rosa,
che sboccia al mattino
e si spegne la sera.
Triste destino,
per colui che coglie la rosa:
spoglia alla sera
muore al mattino.
Oppure il tormento di una cupa rassegnazione:
Amori riciclati
amori clonati,
rifatti chirurgicamente
per vivere eternamente.
Rifatti con i soldi,
con i programmi per PC,
per ripeter l'illusione
di vivere in eterno e mai morire.
E poi l'ultima, splendida metafora, compendio di tutta l'opera:
Corrono:
i fili della corrente elettrica
Si inseguono, abbracciano
e abbandonano…
Intrecciano le loro vite
I fili dell'alta tensione
Portano
un sorriso, un presagio,
forse un po' di luce.
E' una poesia giovane, nel senso che traspare nei versi un
linguaggio più corrente, ma non per questo meno efficace, né mancano
tuttavia esempi di apprezzabile armonia e di ricercatezza formale,
frutto di una ecletticità che riesce a variegare l'opera, avvincendo
il lettore.
Da non perdere.
Dunja Torroni è nata a Locarno (CH)
nel 1974. E' laureata in letteratura italiana, filologia romanza,
lingua e letteratura russa presso l'Università di Friburgo. Vive nel
Canton Ticino.
Renzo Montagnoli
Se questo è un uomo di
Primo Levi Einaudi
Postfazione di Cesare Segre
Copertina di Fabrizio Farina
Narrativa romanzo
Ancor oggi, anzi ora più che in passato, ci sono non pochi che
dubitano che vi sia stato effettivamente l'olocausto. Accanto a
quelli che per ideologia lo negano ci sono molti scettici e,
purtroppo, tanti, troppi agnostici che si disinteressano
completamente del problema.
I giovani, poi, nati molti anni dopo la fine della seconda guerra
mondiale, ne hanno una vaga conoscenza, spesso maturata visionando
pellicole sull'argomento, con il risultato che un'immane tragedia
sta per venire sepolta dalla polvere del tempo e dell'indifferenza
degli uomini.
I campi di sterminio, i famigerati lager non sono purtroppo una
leggenda, ma una realtà che non deve essere dimenticata.
In questo senso la lettura di libri come Se questo è un uomo
di Primo Levi non solo è opportuna, ma indispensabile e dovrebbe
essere oggetto degli studi scolastici, per sapere, per capire, per
evitare che un giorno ci siano nuovi olocausti.
Ogni volta che lo apro, che ne scorro le pagine soffermandomi su un
punto o sull'altro, ritrovo l'emozione provata nel corso della prima
lettura, perché il pregio della narrativa di Levi è di essere non
romanzata, ma la descrizione della pura e semplice verità. L'autore,
che racconta in prima persona essendo stato rinchiuso ad Auschwitz,
non ricorre all'enfasi, né va alla ricerca della facile commozione,
ma, con tono quasi distaccato, parla della sua esperienza e, pur
descrivendo sofferenze e patimenti, ha il pregio di effettuare
riflessioni che donano all'opera una valenza generale, non
limitandola a una dolorosa esperienza personale.
In lui c'è pacatezza, desiderio di comprendere per rendere partecipe
il lettore di una grande tragedia che supera ogni umana
immaginazione.
Le lunghe giornate invernali, coperti da abiti che non riparano dal
freddo, l'alimentazione insufficiente, i carichi di lavoro
eccessivi, la spersonalizzazione dell'individuo che perde il suo
nome, sostituito da un numero tatuato sul polso, portano in
pochissimo tempo a un generale abbrutimento, in uno stato quasi
vegetativo, dove ciò che conta è solo il presente, essendo il futuro
anche prossimo del tutto inimmaginabile. E' in queste condizioni che
all'eccesso emergono le caratteristiche degli individui.
I deboli si lasciano andare, sono le vittime designate delle
prossime selezioni fra chi ancora potrà vivere e chi invece sarà
avviato alle camere a gas.
I raziocinanti rafforzano il loro spirito di conservazione e operano
per sopravvivere giorno per giorno, per lavorare meno, per mangiare
un po' di più, arrivando perfino al punto di collaborare con
l'aguzzino. E se fra questi la quasi totalità cerca di instaurare un
rapporto con il carnefice che gli consenta di tirare ancora un po'
avanti, ce ne sono altri che, per attitudini, diventano simili alle
crudeli SS e questi sono i Kapò, indispensabili peraltro nella
gestione del campo di concentramento, vigilato da un ristretto
numero di militari nazisti.
Levi ci descrive così una varia umanità, per lo più cenciosa,
spettri che si agitano nelle tormente di neve, che s'impantanano nel
fango primaverile, che boccheggiano nell'arsura estiva, tutti
figuranti di una danza macabra che porterà all'annientamento della
dignità umana e alla distruzione del Terzo Reich.
Ci sono pagine che non si possono dimenticare, sopra tutte le
ultime, con i russi ormai alle porte e con i nazisti che eliminano
gli ultimi prigionieri rimasti, fatta eccezione, per un motivo che
non si saprà mai, per i ricoverati nell'ospedale da campo, forse
perché ritenuti insanabili. Fra questi c'è l'autore che, questa
volta con una commozione che passa dalla pagina all'animo del
lettore, ci racconta delle giornate di ritrovata libertà nell'attesa
dell'arrivo dell'Armata Rossa. E' forse l'unico momento in cui,
ipotizzando un futuro, l'uomo non è più così pragmatico e l'essere
consapevole di esistere ancora, nonostante tutto, lo porta a
scrivere della penosa fine di alcuni suoi ultimi compagni di
sventura. Riaffiora così, se pur frenata, la pietà "Somogyi si
accaniva a confermare alla morte la sua dedizione."
Se questo è un uomo è un capolavoro?
Lo è, per lo stile narrativo, per il modo di affrontare il tema
trattato, per la capacità dell'autore di raccontarci la pura e
semplice verità, pur essendo parte della vicenda.
Primo Levi (1919 - 1987). Ha scritto anche La chiave a stella, I
sommersi e i salvati, Se non ora, quando?, Il sistema periodico, I
racconti, L'altrui mestiere, La ricerca delle radici, La tregua,
L'ultimo Natale di guerra e Dialogo (con Tullio Regge).
Renzo Montagnoli
“Il casellante” di
Andrea Camilleri ed. Sellerio
Palermo
Romanzo -narrativa
Dopo “ Maruzza Musumeci” metamorfosi donna-sirena, siamo alla
trasformazione donna-albero (arbolo): le mutazioni di Camilleri si
replicano! Eh già, nell’era della fanta-politica, della
fanta-scienza, della fanta-stampa, non poteva mancare la
fanta-letteratura. Chi poteva inaugurarla riveduta e corretta? Ma lo
scrittore “ Cult” per una larghissima fascia di pubblico che ad ogni
uscita di un suo romanzo l’appuntamento in libreria diventa
irrinunciabile, quasi, un punto d’onore. Certo che la fantasia di
Camilleri è una fonte energetica inesauribile e va “oltre i confini
della realtà”e a noi poveri lettori ci fa strabuzzare tanto d’occhi
e raggiungere sempre alti gradi di piacevolezza. Si ha l’impressione
che i libri “Camilleriani”, senza Montalbano, stiano subendo una
virata in senso fiabesco, senza, tuttavia, perdere gli agganci con
la realtà in una commistione tra passato e presente in cui i fatti
sono trasfigurati e i personaggi esacerbati nei loro caratteri, le
donne si trasmutano come se volessero attingere a nuove forme per
affrontare sfide sempre più esaltanti. Questo substrato di materia
narrativa, paradossale e, sempre divertita, e spesso, divertente, è
impastata da una lingua così strettamente imparentata con il
dialetto che anch’essa in trasmutazione, diviene tale. Siamo a
Vigata, nel 1942, durante la 2° guerra mondiale, le leggi
fascistissime, ridicole nella loro iperbolica radicalizzazione, i
bombardamenti aerei, gli immancabili uomini d’onore fanno da sfondo
al teatro umano fatto di bassi istinti, primigenia barbarie,
violenza ferina e ottundimento delle menti; i due protagonisti,
Minica e il marito casellante Nino Zarcuto, si trovano, vittime
inconsapevoli, in balia di eventi più grandi di loro. Il tema della
metamorfosi, in questo caso, non riuscito (di classica e non
memoria), s’innesta nella mente di Minica quando la sua essenza di
donna, non in grado di procreare, la porta a voler diventare un
tutt’uno con la natura per riappropriarsi del ciclo vitale di essa a
lei che quel ciclo le era stato estirpato con la forza bruta. Questa
figura di donna attaccata alle sue radici della vita, cerca di
trovarle nella terra, in una sorta di rivendicazione di essere
soggetto mutante quando la ferocia bestiale dell’aggressore l’aveva
ridotta in mero oggetto consumante. Minica semplice ed illetterata,
ma caparbia e determinata nelle sue azioni e sentimenti, forte del
suo istinto materno, persegue un disegno impossibile che solo suo
marito per amore e solo per amore riesce a condividere. Ed ecco che
la tenacia e l’ostinazione di Minica alla fine darà i suoi frutti:
dalle macerie della guerra un bambino sortirà ad illuminare i toni
foschi e drammatici degli eventi in atto. Lo sguardo pietoso di
Camilleri vigila al fine di non precipitare nella tragedia. In
un’immagine da dipinto sacro di madre con il “Suo” bambino si chiude
“Il casellante” a cristallizzare il momento di assoluta felicità
raggiunta da Minica. Un bel romanzo nello stile di Camilleri dove si
fondono armoniosamente tutti i topos peculiari delle sue storie.
L’autore: Andrea Camilleri è
nato a Porto Empedocle nel 1925, vive a Roma. Ha esordito come
romanziere, nel 1978 con l’opera Il corso delle cose. Ha pubblicato
con la casa editrice Sellerio tutti i romanzi con protagonista
Montalbano e anche tra gli altri La strage dimenticata, La
stagione della caccia, il birraio di Presto, La concessione del
telefono, Il re di Girgenti, Le pecore e il pastore, Maruzza
Musumeci.
Arcangela Cammalleri
“La
solitudine dei numeri primi” di
Paolo Giordano ed. Mondadori
Romanzo-narrativa
Questo notevole romanzo, dell’esordiente Paolo Giordano, scava nel
labirinto dell’animo umano con grande vigore espressivo ed emotivo.
I due personaggi centrali della storia, Alice e Mattia, sono stati
segnati, nell’infanzia, da un’esperienza lacerante che ha devastato
e come compresso i loro destini che si incroceranno, ma come i
numeri primi gemelli, saranno vicini, ma mai così tanto da toccarsi.
Il tracciato narrativo si snoda intersecando due vite parallele,
crepuscolari, che scorrono secondo scansioni e ritmi emotivi
straordinariamente simili.
Il loro microcosmo sentimentale è stato contratto da questi due
traumi infantili che come una patina impalpabile di inadeguatezze,
paure e ritrosie ha narcotizzato le pulsioni emozionali impedendo
loro di aprire un canale di percezione con gli altri.
Alice e Mattia seguono traiettorie divergenti, le loro vite,
sospese, fluttuano in attesa di una catarsi delle loro intime ed
inconfessabili sofferenze, come barriere ostacolano una naturale ed
immediata espressività avviluppata in un groviglio insoluto.
Giordano, questo giovane autore, sembra attingere la sua perizia
narrativa da remoti luoghi dell’anima, in una sorta di profonda
immersione psicologica degna di grandi scrittori. La solitudine, la
sperdizione esistenziale, l’anoressia, uno dei tanti segnali sottesi
di angosce individuali sono alcuni dei temi che intessono tutto il
filo narrativo. Alla trama interessante che scorre su binari di
lettura scorrevole e riflessiva, si condensa una certa energia
stilistica ed una capacità descrittiva analitica e dura della
realtà, soffusa da intermittenti lampi di trattenuta tenerezza.
L’autore: Paolo Giordano è nato
a Torino nel 1982. E’ laureato in fisica teorica e lavora presso
l’Università con una borsa di dottorato. Ha frequentato la scuola
“Holden” di scrittura creativa, a Torino, diretta dallo scrittore
Alessandro Baricco. Questo è il suo primo romanzo.
Arcangela Cammalleri
Tra le pagine della fantasia
di Gloria Venturini
Edizioni EdiGio’
Copertina di Gloria
Venturini
Narrativa fiabe
Siamo abituati a
considerare le fiabe narrativa per bambini, perché abbiamo memoria
di quelle che i genitori ci raccontavamo quando eravamo piccini. Il
gatto con gli stivali, o Biancaneve e i sette nani, che ai miei
tempi mi impressionarono, mi fecero volare con la fantasia. Oggi,
purtroppo, non è più così, perché i bimbi non conoscono le fiabe e
questo per colpa dei genitori che le hanno dimenticate, che
demandano l’educazione letteraria prescolastica a insulsi cartoni
animati. Il rapporto magico fra madre e figlio, cementato attraverso
le parole sussurrate di una favola, non esiste più.
In questo senso fa
notizia un libro di fiabe, scritto da una mamma per Luce, la sua
piccolina, ma che presenta caratteristiche di valenza anche per gli
adulti.
Tra le pagine
della fantasia di Gloria Venturini è infatti una raccolta
rivolta sì ai piccini, ma con tematiche che sono di interesse anche
per gli adulti, e ha un illustre predecessore ne Il principe felice
di Oscar Wilde.
Sono racconti
semplici, ma adatti ai nostri tempi, e sopra a tutti il bellissimo e
surreale Il calore di un cuore, con un’umanità disperata per
le risorse energetiche in via di esaurimento.
Il dramma è velato
opportunamente dalla fantasia dell’autrice che pone come
protagonisti una caldaietta murale, uno scaldabagno, alcuni antichi
caminetti, ecc.
Suadente nei
discorsi, con toni anche moderatamente umoristici, ha come tutte le
fiabe la sua morale e un’ultima frase che è un inno all’amore.
Un’altra ha
un’impronta di notevole fantasia (Il libero arbitrio), poi ce n’è
una addirittura di fantascienza (Il pianeta dei sogni); non che le
altre siano inferiori, perché su tutte aleggia un velo di speranza,
con quella positività che è propria delle favole.
Non sto a parlarne
di tutte, anche se sono belle, perché invece preferisco rilevare
nuovamente come in un mondo di arida scienza come il nostro la
fantasia rappresenti più che in passato il ritorno, se pure
temporaneo, a una dimensione umana, una valvola di sfogo più per gli
adulti che per i piccini, ai quali tuttavia non dispiacerà di certo
ascoltare dalla bocca dei genitori Un gatto in braccio alla luna,
oppure Rosso segreto, tanto per citare altre due fiabe di
questa bella raccolta.
Gloria
Venturini
ha ideato e organizzato la prima e seconda edizione del Concorso
Internazionale di Poesia e Prosa, “L’arcobaleno della vita” della
Città di Lendinara, giunto alla quinta
edizione, del quale è anche il Presidente della giuria. Collabora
con il Centro Studio di Torino, come giurata nei concorsi letterari.
Le sue opere sono state pubblicate in molte antologie, su siti
internet, dove ha ottenuto l’interesse dei lettori.
Ha pubblicato la sua prima raccolta di
poesie nel febbraio 2003: Camminando tra i giardini dell’anima,
seguita già nel giugno dello stesso anno
dalla seconda edizione della predetta silloge poetica e da un
volume antologico di racconti intitolato L’arcobaleno
della vita.
Ha inoltre ottenuto numerosi premi e
riconoscimenti in concorsi nazionali di
poesia, fra i quali ricordiamo, omettendo per brevità gli altri pur
significativi risultati, solo i primi posti:
Premio del Triveneto Città di
Lonigo con la poesia Coriandoli di ricordi;
Concorso
Internazionale I Colori delle Donne di Ascoli Piceno
con la poesia Tra le mani stringevi ancora cotone;
3° Edizione del
concorso i Fiori 2003 – Edizioni I Fiori di Campo (PV) con il
racconto Ai bordi della vita;
Don Lelio Podestà
di Chiavari (GE) sezione narrativa;
Concorso del triveneto Città di Lonigo 2004 con la poesia Come
una quercia;
Premio Internazionale Valeria di Cittaducale 2005 di Rieti con la
poesia Il cancello dell’infinito.
Renzo Montagnoli
Cronache degli artisti
e dei commedianti di Giorgia
Tribuiani
Ventidue racconti. Un viaggio tra il surreale e il fantastico, tra
invenzioni oniriche e suggestioni visionarie. La mancanza di
certezze e i conflitti umani vengono raccontati sottoforma di
parabole letterarie: ci imbattiamo in Venere che, scesa dalla Torre
d'Avorio, finisce per prostituirsi nella grande metropoli; veniamo
trasportati nel grande palazzo del Carnevale, nel quale è necessario
creare una maschera di cartapesta identica a quella di tutti gli
altri per poter sopravvivere; giungiamo su Rerat, dove gli uomini -
nati con una gamba sola - partecipano a una grande pesca di
beneficenza che donerà loro un'altra, raccapricciante gamba;
facciamo la conoscenza di un giovane convinto di essere il creatore
di tutto ciò che lo circonda e di un altro che vede sparire a poco a
poco le persone e le cose che compongono il suo mondo. Vita e arte
tessono tra queste pagine una tela in grado di intrappolare storie
in apparenza dissimili tra loro; artisti e commedianti, intanto,
intrecciano le loro storie fino a lacerare irreparabilmente il
confine che li separa.
Luana Salomè
Cosa Cerchi? di Francesco Carraro
Poesie (1990 -2006)
Opera stampata in proprio
Poesia - raccolta
Prima ancora di
aprire questo volume, caratterizzato dalla copertina bianca, candore
interrotto solo dal titolo, dal nome dell’autore e da tre cerchi di
diverso diametro e dalla circonferenza blu, mi sono chiesto quale è
stata la molla che ha indotto un poeta ancora giovane a sostenere i
costi della stampa in proprio, ben sapendo l’impossibilità poi di
una normale distribuzione.
Le risposte sono
state tante e nemmeno una soddisfacente, ma quella che reputo
convincente è emersa solo in corso di lettura, come si evincerà
dalle righe seguenti.
Cosa Cerchi?
è una silloge costituita da raccolte di poesie che Francesco Carraro
ha scritto dal 1990 al 2006. Considerato il periodo è indubbio che
finisca con il rappresentare l’opera omnia dell’autore, una sorta di
diario esistenziale che ha inteso raccogliere in un’unica struttura
come memoria, prima per sé che per gli altri.
Ali di Carta
costituisce la prima raccolta ed è relativa agli anni dal 1990 al
1994. Carraro all’epoca frequentava ancora l’università e pur nella
sua giovinezza accompagna i versi con una nota malinconica, lieve,
ma sempre presente, come in Sera
(Sera / mi riporti
l’eco / spenta / delle strida / di uccelli selvatici…/…..Anche / nel
mio intimo / rifugio / è sera.).
Mi si potrà dire che
è il frutto di turbamenti dell’età, di quel connubio di entusiasmi e
di insicurezze che tutti abbiamo sperimentato, ma lui li ha ritenuti
determinanti tali da fissarli sulla carta, come in Giovinezza
(…./ Momenti urlati nel vuoto / e riflesse a ondate negli occhi / le
voglie roventi /del sole di maggio. /Momenti vissuti /con incauto
trasporto / incoscienti / dell’immensa voluttà / dell’esistere.)
Adesso anche a me,
come a voi, tornerà in mente questo periodo di inconsapevole
felicità, in cui tutto ci sembrava o troppo solare, o troppo scuro,
in cui si viveva come in una sorta di limbo.
Stazione di posta
è la seconda raccolta ed è relativa agli anni dal 1995 al 1997; in
essa mi sembra più evidente uno sconforto esistenziale, quasi come
se dalla vita ci si potessero attendere solo consapevoli illusioni,
come, per esempio, in Ascensioni, (…/ Per non ridurre il
vivere / a una landa brulla, / a un tessuto brucato / dalle voraci,
/ infaticabili larve / del nulla….). Qui troviamo anche quella che
giudico una delle migliori poesie di questo volume e mi riferisco a
In memoria di Fabio Casartelli, versi per nulla scontati e
che conferiscono al ricordo la dignità di un grande sentimento
espresso con serena struggente pacatezza.
Più avanti, e già
sono gli anni 1998 e 1999, c’è la strana raccolta intitolata
Quaderni di quando ho capito. Di colpo l’autore sembra aver
trovato le risposte a tanti perché (…Le ho detto: / sei la verità /
e ti conosco…), (…E null’altro / che conti / tranne / che esistere.
/ Sapendolo.). Tuttavia, le possibilità interpretative aumentano,
nel senso che si avvia una certa tendenza a un linguaggio
introverso, quasi come se si temesse di aprire agli altri soluzioni
considerate proprie e forse per questo fallaci.
Nel 2000 scrive
Sincronie Tantriche (coincidenze d’amore). Appare evidente che
c’è qualche cosa di nuovo, con la nascita e l’incontro di un
sentimento, e la mano del poeta sa cogliere momenti e stati
particolari, con una grazia misurata e pudica e con risultati più
facilmente comprensibili ( Rivelarmi / è stato semplice./ Molto /
più difficile / scoprirmi / disvelato. / Sapermi amato / amando / mi
pungeva / quanto un infinito dolore / mai espresso. / Solo / che era
/ grazia.).
E’ stato un momento
di certezze corrisposte, una sorta di osmosi che ha beatificato il
poeta, testimone attore che ci rende partecipi di questo pathos.
L’ultima raccolta,
del 2006, si intitola Ritratti in carboncino, denominazione
indovinatissima, perché si tratta di veri e propri schizzi
letterari. Questi ritratti sono di figure reali, persone che sono
entrate, ognuna con il suo peso, nella vita dell’autore e la
capacità di descriverne il carattere, la personalità è veramente di
tutto rilievo. Troviamo così il Padre ( Quello / che non ti dissi /
non sarà detto / quello / che non ti scrissi / non sarà scritto. …),
una poesia lunga in cui si esprime con sobrietà la riconoscenza per
chi ha allevato un figlio, oppure la Madre ( Hai un sorriso/ in
bilico / cui m’aggrappo…), una serie di versi di affettuosa e lieve
tenerezza. L’ultimo ritratto, a conclusione del volume, è dedicato
alla Moglie, forse meno originale di altri, più conformista e
incline a riecheggiare, ma fortemente sentito, perché questa figura
è il presente e sarà anche il futuro.
Considerato il lungo
periodo abbracciato da questa silloge e le molteplici tematiche è
naturale che si finisca con il valutare più l’autore che l’opera e
in questo senso ritengo che il ricorso al verso libero di Carraro,
fatto di poche parole, di frequente addirittura di una sola,
costituisca nell’insieme tuttavia una composizione equilibrata e
dotata anche di una propria armonia su cadenze sempre piuttosto
lente, come se la carta venisse accarezzata dalla penna.
L’impressione che ho
ritratto è di un poetare frutto di una preventiva costruzione
interiore, e quindi mai istintivo, anzi assai riflessivo, ma ciò non
toglie che il sapiente ricorso a metafore, a unioni concettuali e
anche a sospensioni finisce con il consentire una fluidità propria,
come se il tutto fosse esclusivamente frutto della spontaneità, e
ciò rende assai piacevole la lettura.
Francesco Carraro
è nato nel 1970 a Padova, dove vive.
Si è laureato in Giurisprudenza ed è avvocato.
Renzo Montagnoli
Il sergente nella neve
di Mario Rigoni Stern
Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo
“ Sergentmagiù
ghe rivarem a baita?” ripete spesso l’alpino Giuanin,
rivolgendosi al sergente maggiore Mario Rigoni Stern.
In terra di Russia andarono in molti e ben pochi tornarono, e fra
questi superstiti c’è stato anche Mario Rigoni Stern, che in questo
suo romanzo d’esordio ha voluto raccontare che cosa realmente
accadde.
Non crediate però che si tratti di un racconto memorialistico,
perché va ben oltre il pur riuscito intento di spiegarci la famosa e
tragica ritirata dell’ARMIR.
Le grandi qualità di scrittore di Mario Rigoni Stern sono già
evidenti in questo suo primo libro, le stesse che, in occasione
della recensione del suo ultimo lavoro (Stagioni) mi hanno indotto
scrivere che ci trovavamo di fronte a un capolavoro, e lo è anche
questo.
Quando a distanza di anni, non pochi, anzi molti, si rilegge un
romanzo e si provano le stesse emozioni d’un tempo è perché quel
testo ha mantenuto immutata la sua bellezza e ciò avviene solo
quando si tratta di un’opera di elevatissimo valore.
L’autore ha saputo ricreare l’atmosfera in modo tale che il
coinvolgimento è totale; si legge, e poco a poco si è presenti al
caposaldo, ci si trova intorno al tagliere con la polenta di segale,
si vivono le pericolose ore dello sganciamento, e infine si cammina,
si combatte, si patisce la fame, si soffre il freddo, si prova
l’angoscia della lunga ritirata.
Già questo è molto, ma Il sergente nella neve è assai di più,
è un’opera dove è sempre presente la natura, ammirata anche quando è
inclemente e con pagine in cui si respirano lo sgomento e
l’attrazione per la grandezza nell’universo, ed è inoltre un’ode
sommessa a una virtù ormai purtroppo desueta, la pietà.
Così, fra un combattimento e l’altro, descritti magistralmente, c’è
il tempo per le riflessioni di fatti appena accaduti e che nel
trascorrere del tempo (l’opera verrà ultimata qualche anno dopo
quel tragico 1943) si sfumano per scoprirne gli aspetti più
reconditi. E’ il caso del pasto consumato in un’isba insieme a dei
soldati russi, in una pausa della battaglia di Nikolajewka. Al
riguardo la riflessione di Stern è quanto semplice ed efficace: “In
quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i
bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto
di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per
l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli
uomini a saper restare uomini.”
C’è tutto il senso della pietà, prima per se stessi e poi per
gli altri, c’è quella comprensione della propria e dell’altrui
debolezza, c’è una ritrovata umanità che supera ogni barriera e
confine.
E’ un grandissimo messaggio di pace di un uomo che, partito
volontario per la guerra, ne ritornerà maturato, ma soprattutto
consapevole dell’autentica dignità di ogni essere umano.
Quello che poi sorprende in questo primo romanzo è la capacità di
prosa poetica che ha l’autore, con quelle descrizioni brevi, ma
ispirate, del firmamento, del Don, della pianura ghiacciata. Sono
stacchi che non sono avulsi dalla narrazione, ma che si innestano
nella stessa in modo preciso e solo quando serve, a riprova di
un’esperienza professionale innata.
Al riguardo Rigoni Stern si supera nelle ultime pagine con quella
ritrovata serenità nel caldo di un’isba e con le ragazze russe che
filano la canapa cantando le loro canzoni popolari.
Mi raccomando di leggere le sei righe finali, perché anche in voi
entrerà dolcemente questa serenità.
Giuanin e tanti altri non sono tornati, ma hanno trovato la loro
baita nella steppa russa.
Mario Rigoni Stern, che ha avuto la fortuna di uscirne vivo, non ha
voluto dimenticare, anzi ha voluto ricordare soprattutto a noi
l’insensatezza della guerra.
E’ un libro che non si può non leggere e che rientra, giustamente,
fra i grandi romanzi pacifisti, con pari dignità del più famoso
Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Erich Maria Remarque.
Mario
Rigoni Stern (Asiago, 1921 - 2008).
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli
urogalli (1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don
(1973),
Storia di Tönle
(1978) (Premio Campiello e premio Bagutta),
Uomini, boschi e api (1980), L’anno della vittoria
(1985), Amore di confine (1986), Il libro degli animali
(1990), Arboreto selvatico (1991), Le stagioni di Giacomo
(1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto la neve
(1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L’ultima partita a carte (2002),
Aspettando l’alba e altri racconti (2004), I racconti di
guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Fiorenzo Briccola
"Poesie Meditative sull’esistenza"
Casa editrice Nuovi Autori
"Dedico questo libro al mondo perché possa avere il coraggio di
compiere il gesto di tornare al mondo".
Con questa premessa chiarificatrice e nel contempo coraggiosa,
l’autore si presenta ai lettori che potrebbero , soprattutto se
partecipi di quelle che sono attualmente le problematiche legate
alla poesia contemporanea , giudicare ingenua e poco in linea con le
tendenze del nuovo millennio una tale certezza programmatica. Si
potrebbe anche da subito, al fine di evitare equivoci, collocare la
poetica del giovane Briccola al di fuori di quelli che sono i
parametri di riferimento della poesia del terzo millennio che
prevedono, anche nei casi in cui risultino evidenti aneliti
metafisici, la frequentazione con una realtà molto più terrena.
I poeti oggi infatti, talvolta eccedendo, rivelano l’aperta
propensione a vivere una quotidianità minimale, frantumata,
contingente, transitoria e contrassegnata da una vocazione al dubbio
e alla complessità quali stigmate mai sanabili in quanto elementi
essenziali all’ispirazione poetica che, in caso contrario, ossia con
un eventuale ed ipotetico raggiungimento delle certezze e della
verità, perderebbe la sua caratteristica precipua ed identificatoria.
Occorre aggiungere, per converso, che è anche particolarità
distintiva dei nostri tempi postmoderni e multietnici accettare la
molteplicità delle forme espressive per cui, non potendo e non
volendo commettere l’errore di rinserrarci in canoni formali e
perimetri contenutistici troppo rigidi ed elitari, risulta
operazione non solo metodologicamente corretta, ma oltremodo
arricchente, avvicinarsi a poetiche influenzate da culture e
modalità di pensiero estranee alla pragmaticità del nostro vivere
quotidiano e soprattutto alle mode letterarie correnti.
Ci pare che Briccola, e ciò va a sua lode, non si curi dei canoni
imposti dall’establishment letterario ma, mosso da un’ispirazione
naturale, dia corso al fluire dei suoi pensieri guidato da istanze
spirituali che, ad una lettura a posteriori, si rivelano portatrici
di atmosfere, sensazioni, visioni ed esperienze altamente poetiche
anche se non rintracciabili attraverso le regole e le astuzie che
caratterizzano la pratica compositiva contemporanea. Risulta
bastante la lettura delle prime poesie della silloge per rendersi
conto che Briccola è tutt’altro che ingenuo e che il suo
atteggiamento disarmante è voluto, serve infatti a disporci ad una
ricezione possibile ma solo se si entra in una dimensione nuova e
poco conforme al nostro vivere pragmatico e disincantato. "Chissà se
qualcuno saprà ascoltare ciò che il mio cuore sa…vorrei tanto che
coloro che non vedono ascoltassero il mio racconto". Il messaggio
dell’autore è oltremodo sincero e spinge all’empatia anche chi non
ne condivide la complessa ed avvincente visione cosmologica.
I suoi versi si rifanno alla poesia orientale che, a differenza
della nostra, esprime i sentimenti d’amore con modalità molto più
complesse ed onnicomprensive. Si prevede un percorso che porta
dall’uomo ad un graduale distacco da tutto ciò che sa di materiale
per raggiungere l’illuminazione, e Briccola ci esorta:"…la gente
cerca qualcosa che non riesce a toccare, forse non vuole guardare
veramente" e non teme di affrontare il discorso della verità, una
voce filosofico-religiosa oggi molto dibattuta e contrastata.
In sintesi Briccola ci avverte che l’uomo è pervaso da immagini
provenienti dall’esterno, icone di ordine politico, sociale,
religioso che ingombrano la nostra mente rendendoci schiavi di una
quotidianità che ci fa stranieri gli uni agli altri; occorre invece
saper guardare con occhi nuovi ed amare la vita in modo diverso.
L’uomo ha in sé la facoltà di giungere a conoscere l’unità
intrinseca dell’essere: "La verità è qualcosa che nasce
dentro"…"Confusione di un vivere fasullo e pieno di incertezze"..
"Nella ricerca dell’essere trovo la mia essenza". Non sappiamo né
siamo in grado di affrontare in così breve spazio la poetica
dell’autore ma, indipendentemente dal credo religioso o dalle
filosofie di vita dei lettori, riteniamo che la lettura di "Poesie
meditative sull’esistenza", unitamente alla validità estetica, possa
avere sui nostri spiriti una funzione vivificante e rasserenante.
-Recensione su DIALOGO < bimensile di attualità di frontiera e
cultura senza confini n:13/2007 di Olgiate Comasco (CO)> di Manrico
Zoli-
Manrico Zoli
Età di paura al freddo
di William Navarrete
Edizioni Il Foglio
Traduzione di Ilaria Gesi
Copertina di Elena Migliorini
Collana Letteratura Cubana Contemporanea
diretta da Gordiano Lupi
Poesia raccolta
In queste poesie di William Navarrete c'è l'anima malinconica di un
esule che cerca in ogni luogo fuori dalla sua patria un legame,
anche solo spirituale, con la terra che ha dovuto abbandonare e che
resta indissolubilmente legata al suo peregrinare, una sorta di
Itaca a cui, novello Ulisse, desidera fortemente ritornare, ma che
pur così vicina assume, per colpa degli uomini, le caratteristiche
di un vascello che sempre più si allontana.
La sua è una fatica di Sisifo, è uno strazio del cuore che nei versi
trova l'indispensabile sfogo.
Bucintoro
Violasti il segreto del tuo mare, città perduta
vaghi nella densità della nebbia
che sparge i suoi presagi questa notte
in cui nessuna stella ti darà il benvenuto
………..
In questa immagine di una Venezia decadente, crepuscolare, è forte
il richiamo all'Avana, altra città che sembra perdersi nelle dense
nubi dei Caraibi.
Il poeta le unisce in un unico destino, in conflitto fra lo
splendore di un tempo e la spettralità attuale.
Mercurio alato
Pendi, Mercurio alato,
su volti che ignorano la tua agonia,
in fragile equilibrio,
capriccio di artista perfido,
egoista, forse senza amori.
………..
Nella sua ars poetica appare anche notevole l'influenza del mondo
classico, in particolare quello ellenico, evidentemente considerato
un'epoca felice, di uomini liberi con dei a loro immagine e
somiglianza.
Ingannevole profezia
Vita,
quanto ho aspettato per sapere
che in te non c'è altro che un canto!
…..
Benché si tratti di una raccolta non tematica di poesie resta sempre
presente quella malinconia di cui prima accennavo, una sorta di
dolore compassato, un rimpianto che non cessa mai.
Sorprende poi l'abilità di passare dal verso libero al sonetto con
cui è realizzata una specie di mini silloge intitolata Divertimenti
famosi. Questa intestazione non deve però trarre in inganno. Sì,
William Navarrete è probabilmente uomo che sa anche ridere, ma
l'amarezza di fondo lo porta a stemperare la vena umoristica che
finisce con l'essere appena accennata, in una profusione di versi da
cui emerge un'ironia sottile, quasi un gioco fra sé e sé per
dimostrare che alla malinconia comunque non si sfugge e tutto ciò
che è in contrasto a essa finisce con l'essere un semplice
surrogato.
Quindi una raccolta quanto mai varia da cui è possibile avere
un'idea abbastanza completa delle qualità di questo grande poeta, i
cui testi non sono per niente incomprensibili, pur se sovente
sospesi in una dimensione irreale che dona loro un tocco di arcana
magia, come, per esempio, in Maree di San Michele:
Marea della rupe, incastro della luna
sei o onda che cavalca su una sella
di vongole, capesante, ostriche.
Sposa del pescatore, Excalibur del mare,
tu che lambisci i piedi dell'arcangelo
lambisci i miei, stanchi di aspettare.
…….
Apprezzabile, peraltro, è il fatto che a fronte ci sia la versione
in lingua originale, il che rende possibile cogliere l'armonia e
l'equilibrio dei versi.
Età di paura al freddo è una raccolta di gradevolissima lettura, ma
anche di contenuti di tutto rilievo, pregi che mi inducono a
raccomandarvelo caldamente.
William Navarrete (Cuba, 1968).
Scrittore, saggista e critico d'arte.
Resiede a Parigi dal 1991. Autore dei saggi La chanson cubaine,
Cuba:la musique en exil, Insulsa al pairo e Centenario de
la República Cubana. Fondatore e presidente della Asociación por
la Tercera República Cubana. Ha organizzato molteplici conferenze ed
esposizioni di arte in Francia, collabora per diverse riviste e
periodici in Europa e in America. La sua raccolta di poesie Edad
de miedo al frío (Cádiz, 2005), che presentiamo per la prima
volta in traduzione italiana, ha vinto il primo premio di poesia
Eugenio Florit organizzato dal Circolo di Cultura Panamericano di
New York.
Renzo Montagnoli
Fiori di serra
di Miriam Ballerini Serel
International - EEditrice.com
Prefazione dell'autore
In copertina immagine di Aldo Colnago
Narrativa romanzo
La vita carceraria, ma anche le finalità della reclusione sono un
tema che è sempre stato oggetto di ampi dibattiti. In buona sostanza
ci si domanda se una pena detentiva sia finalizzata al recupero del
reo, oppure se si tratti di una semplice vendetta della società nei
confronti di chi non ne accetti le regole, oppure ancora, nella
migliore delle ipotesi, se si intenda perseguire l'una e l'altra
strada.
Resta comunque un fatto: quello che succede al di là del muro,
dietro le inferriate, quale sia la vita che là si conduce è quasi
sempre ignoto ai più, proprio perché la reclusione rappresenta una
parentesi di isolamento dal mondo esterno, una sorta di "altro
mondo" di cui sappiamo l'esistenza, ma che confiniamo in una zona di
disinteresse mentale.
Miriam Ballerini si deve essere posta questo problema se al riguardo
ha deciso di scrivere addirittura un libro che ha intitolato assai
bene Fiori di serra, perché al pari dei fiori che possono
nascere liberamente o possono essere coltivati sotto strutture
artificiali (e sempre fiori restano), ci sono uomini che vivono
liberamente e altri invece che sono detenuti nelle carceri. Anche in
questo caso sempre uomini restano, con la loro personalità, i loro
affetti, le angosce e le gioie che si portano dentro.
Ecco, mi sembra che con questo libro l'autrice comasca abbia inteso
sollevare quel velo di ipocrisia che sommerge la pietà, una virtù
ormai rara, quasi dimenticata, ma che consente di comprendere anche
chi sbaglia e, fermo restando che le leggi devono essere rispettate,
questo non toglie tuttavia che chi ha commesso un reato debba
conservare la sua dignità anche durante l'espiazione della colpa.
Quello che più mi ha colpito in questo lavoro è stata la struttura
dello stesso, perché Miriam Ballerini aveva di fronte a sé due
strade: quella del romanzo di ambientazione carceraria e quella
dell'indagine giornalistica.
Ha fatto, però, una scelta che mi ha stupito e che, secondo me, si è
rivelata molto oculata, perché riesce ad avvincere il lettore.
In pratica ha percorso sia l'una che l'altra strada e così troviamo
un romanzo certamente di fantasia e anche un'inchiesta
giornalistica, ma non mescolate, bensì presenti su due piani
sovrapposti, di cui il primo discendente e il secondo invece
progressivamente emergente, con il risultato che alla fine vengono a
fondersi.
L'aspetto di indagine, frutto di un'esperienza diretta che l'ha
portata a ottenere di visitare la Casa Circondariale "Il Bassone" di
Como, integra così e approfondisce le problematiche che vanno
emergendo nella narrazione di fantasia.
In tal modo si vengono a creare dei momenti di riflessione a cui il
lettore viene naturalmente condotto, una tecnica molto proficua e
che mantiene viva l'attenzione dalla prima all'ultima pagina, a cui
si giunge più consapevoli di quel che accade al di là del muro, con
il risultato che riscopriamo anche noi che i reclusi non sono ombre,
ma semplicemente esseri umani che stanno espiando le colpe per cui
sono stati giudicati.
Miriam Ballerini ha maturato un'esperienza per certi versi
sconvolgente quando è stata a tu per tu con la realtà carceraria, ma
è riuscita a trasfonderla in modo assai convincente in questo libro,
al punto che chi legge riesce ad avvertire le stesse sensazioni e i
medesimi timori.
Onde evitare equivoci, l'ho detto prima e lo ripeto, perché è
importante: con Fiori di serra l'autrice non si pone il
problema della detenzione, cioè se sia una pena più o meno giusta,
ma intende ridare a chi ha sbagliato la dignità di essere umano e
questo mi sembra veramente importante.
Sono sicuro che, chiuso il libro, vedrete in modo diverso, ma
soprattutto non superficiale, quei nostri simili che se ne stanno
dietro le sbarre.
E' superfluo che dica che ne raccomando vivamente la lettura.
Miriam Ballerini è nata a Como
il 28 ottobre 1970.
Ha pubblicato i romanzi Il giardino dei maggiolini (EEditrice.com
- Serel International, 2002), Dietro il sorriso del clown (EEditrice.com
- Serel International, 2003), La casa degli specchi (Otma
Edizioni, 2004), vincitore del premio internazionale Michelangelo, e
la raccolta di racconti e poesie Bassa Marea (EEditrice.com -
Serel International, 2005).
Ha ottenuto ottimi risultati in diversi concorsi letterari nazionali
e internazionali, collabora con riviste culturali e siti Internet.
Sito Internet personale:
http://www.webalice.it/miriamballerini/
Renzo Montagnoli
"Le api di Paulette"
autore Sandro Orlandi - Casa
Editrice "Il Filo”, Roma
Collana Nuove Voci – Confini
Raccolta di racconti
Prefazione di Giuliana Angeli
Un nuovo autore che scrive da sempre, ma che è alla sua prima
pubblicazione. Una raccolta di cinque racconti avvincenti, profondi
che fanno riflettere.
Dalla prefazione: “La sua parola giusta, spontanea nel fluire dei
vari accadimenti, fa risaltare i personaggi e li rende reali, umani,
appassionati”. "Cinque racconti sospesi tra passato e presente,
realtà e fantasia.....Amore, giustizia tolleranza, solitudine,
ricordi: questi i temi tratteggiati nei racconti; temi che
s'intrecciano l'uno nell'altro dando vita a un caleidoscopio di voci
e di umori".
Uno splendido inizio letterario per Sandro Orlandi che vive a Roma,
è medico ospedaliero e si dedica con passione alla letteratura
seguendo il terzo anno della Scuola di scrittura "Omero".
I libri sono ordinabili on line sul sito www.ilfilonline.it/autori e
sono in catalogo in tutte le librerie.
Sandro Orlandi nasce il 2/1/1951
a Roma, dove vive e lavora. E’ medico ospedaliero e ama dedicare
buona parte del suo tempo libero alla scrittura, sia di brani
musicali (testi e musica) sia di poesie, sia di racconti. Ciò che
più di tutto lo spinge a scrivere è l’indispensabile bisogno di
esprimersi, di tentare di interpretare la vita nelle sue
innumerevoli sfaccettature. La persona, l’essere umano a tutto
tondo, è sempre al centro delle sue storie, che, a volte, sono
tratte dalla realtà. Ha vinto il primo premio per la poesia e per la
canzone a San Donà di Piave con i brani “Ho Sognato” e “ Ciao Luna”.
Ha pubblicato su antologie quali “Duecento lettere d’amore” della
Keltia editrice di Aosta dic.99 (Un ultima lettera, un ultimo
bacio); “Prosa e Versi” della 4Elle di Genova Vol VII mar.99 (Un
mondo tutto bianco); “I Porti Sepolti” della Aletti editore di Roma
Giu.02 (Fortunata). Ha vinto il primo premio ex aequo per il
concorso a tema sulla resistenza indetto dal comune di Roma, ott.04
con il brano “Il Carro”. Ha conseguito il primo premio con
pubblicazione nella rassegna per cantautori per la Multiart
Communication di Milano con il brano “Raffaella”, che gli è valso
anche il diploma di merito al Festival della canzone Italiana di
Reggio Emilia nel nov.03. Sempre nel 99 e con la 4Elle di Genova ha
pubblicato il brano musicale “Un lunedì mattina”. E’ in lavorazione
attualmente la pubblicazione del suo primo romanzo. Ha pubblicato ad
aprile ‘08 la raccolta di racconti “Le Api di Paulette” per la casa
editrice Il Filo di Roma.
Maristella Angeli
L'azzurro del mare
di Roberto Morpurgo
Edizioni Joker
Prefazione di Sandro Montalto
Poesia - raccolta
Chiudo il libro e mi dispiace, perché il fluire dei versi di questa
silloge ha la stessa carezza lieve di una brezza di primavera; già
la luce fuori si fa fioca e il giorno è passato assaporando le
armonie di una penna felice, un susseguirsi di immagini e di
emozioni, mai forti, ma sommesse e quasi pudiche, in un lento adagio
che avvolge e coinvolge trasmettendo, senza che me ne accorga, una
grande serenità.
Questa è la poesia di Roberto Morpurgo, un verbo sussurrato con
soavità.
La silloge in verità è costituita da quattro raccolte tematiche (Il
dolore e paesaggi, L'azzurro del mare, Viaggiare l'Italia, Pianura e
anima), quattro riflessioni di ampio respiro che s'intrecciano a
formare un'unica opera composita, come i tempi di una sinfonia.
L'azzurro del mare è anche il titolo di una poesia…
C'è a Itaca un trono
sepolto nelle acque
chiare dello Ionio.
Il richiamo al mitico eroe omerico, al lungo pellegrinaggio per il
ritorno alla terra natia cela il percorso del poeta alla continua
ricerca di una verità che sembra quasi di toccar con mano, ma che
poi si disperde come nebbia al sole.
Il ricorso alla metafora è precipuo in questa raccolta, ma è fatto
con misura e con grazia; così nella raccolta Il dolore e i
paesaggi appare sfumato (Cammino perché scricchi / la ghiaia),
oppure, come ne L'azzurro del mare, l'aspetto figurativo è
simbolo di un'espressione non didascalica, ma incisiva (…/ E' come
un istmo il mare. / …). Non manca anche l'aspetto figurativo che
introduce al sogno (Autunno / ti illude Roma / alla sua luce /
aurora / che azzurra ulcera / i cieli / come nevi…) e nemmeno
l'impatto tagliente, quasi brutale, per quanto soffuso ( Tango /
ballato da enormi tacchi / sul fango / di un lucido / acquazzone…).
Mi sembra indubbio che Roberto Morpurgo riesca a far sentire la sua
voce senza gridare, senza sovrastare quella d'altri, e ciò in forza
di un forte personalità poetica che permea tutta la sua produzione
in cui l'apparente semplicità della costruzione è frutto invece di
un'attenta, e probabilmente anche minuziosa, continua ricerca
dell'armonia. Il suo è un verso libero, ma procede in un flusso
ininterrotto, senza asprezze e acuti, bensì con una levità sonora
tale da sembrare soggetta a regole metriche, per quanto diverse
dalle classiche. E in questo scorrere di parole viene a crearsi una
composizione di esemplare equilibrio formale e fonetico che
arricchisce ulteriormente la lettura, con il risultato che al
termine l'appagamento è tale che dispiace che non vi siano altre
pagine e altre poesie.
Roberto Morpurgo (Milano, 1959)
è laureato in filosofia e scrive poesie, aforismi, racconti, saggi,
oltre a coltivare interessi per la psicologia psicoanalitica, il
cinema e anche il teatro. In campo cinematografico ha collaborato
fra gli altri con la Provincia di Milano, l'Arci Cinema e l'Obraz
Cinestudio. In campo teatrale ha lavorato fra gli altri con il
Teatro Universitario di Richard Gordon e collabora come autore
drammatico con la RSI (Radio Svizzera Italiana). In campo musicale
ha scritto canzoni (musiche e testi) e lavorato per la Ricordi. In
campo editoriale ha collaborato fra l'altro con editori ed
enciclopedie.
Svolge la professione di consulente aziendale.
Renzo Montagnoli
Recensione su "Pensieri
di inchiostro" di Giorgia Spurio.
Ho letto il libro Pensieri di inchiostro di Giorgia Spurio. è
strabiliante come una ragazzina adolescente possa scrivere le sue
emozioni e trasmetterle a tutti noi. Nella poesia di Giorgia Spurio
possiamo scorgere quel mondo che appartiene ai ragazzi, quel mondo
fatto non di alcool o di discoteca, ma quel mondo che è fatto ancora
di fantasia e di bisogno di vivere e credere nelle fiabe. Il fatto
che una ragazza abbia iniziato a scrivere a 11 anni è sicuramente
strano e ci fa essere attoniti, però tra le sue parole possiamo
sentire la tristezza profonda di un'adolesceanza disorientata e
impaurita che non sa cosa può accaderle in futuro. Le sue poesie
sono la descrizione di un attimo di vita che segna la fine
dell'infanzia e che dà inizio alla maturità. La semplicità delle
immagini e del linguaggio ci avvicinano con affetto a quel cuore
ancora puerile che ha paura di crescere. Ma il suo linguaggio
icastico ci trasferisce nella mente paesaggi, persone, emozioni come
se fossero dei dipinti e il nostro unico scopo è esser travolti dai
colori.
Luca De Angelis
Dal mensile di vita e cultura "Cupra e la val
menocchia" la recensione di Settimio Virgili sul libro "Pensieri
di inchiostro" di Giorgia Spurio:
"Ho appena terminato di leggere 'Pensieri di inchiostro', una
recente pubblicazione di Giorgia Spurio, edita dall'Autore Libri
Firenze. Un libro di poesie di una studentessa di archeologia che è
nata e vive ad Ascoli Piceno. Ha iniziato a scrivere in versi
all'età di undici anni. La raccolta comprende poesie scritte quando
l'autrice era ancora una ragazza e prosegue fino all'adolescenza. Da
esse emerge uno spaccato dei sogni, delle ansie, delle paure e delle
speranze di chi percorre i primi passi lungo l'irto cammino della
vita: 'Sul letto a pensare/o forse a sognare/ sospirando respirando/
Perchè la vita?' Quella di Giorgia Spurio è una poesia autentica,
dove modernità ed epoca classica si compenetrano fino a realizzare
un unicum perfettamente integrato, dove semplici immagini di
immediata comprensione prefigurano e raffigurano realtà complesse,
dove le ovvie riflessioni sono tali solo all'apparenza poichè
presentano interrogativi inquietanti sull'eterno destino dell'Uomo:
'Venire dal nulla, operare nel nulla, per tornare nel nulla?' Tutto
è poesia nella raccolta della giovane autrice . è poesia il titolo,
è poesia la dedica scritta ad una sua giovane amica: 'dalla finestra
della mente/ arrivano i profumi dei prati/ e l'odore del vento/ che
il mare crea.../ ...dal cuore della mente/ arrivano i profumi degli
sguardi/ e il sorriso meraviglioso/ come un fiore fatto di stelle/ e
gli occhi verdi/ che il cielo ha all'aurora di ogni giorno.../'
Scriveva un noto pensatore: 'Quando manca la poesia, non c'è bisogno
di poeti; c'è bisogno di poesia'."
Diana Florenzi
La rilegatrice dei
libri proibiti di Belinda
Starling ed. Neri Pozza
Romanzo - narrativa
Un’altra sorprendente figura femminile, emblema di libertà
dell’anima e della mente
Londra 1859 può una passione diventare ossessione?
Questo romanzo per la tensione intrinseca e ossessiva che si respira
e traspare non può che ricordare “Profumo” di Süskind, simili i
bassifondi e i luoghi d’ambientazione e di Parigi e di Londra
dell’epoca, simili i personaggi animati da insane passioni. La
protagonista Dora Damage è la moglie di Peter Damage dell’omonima
legatoria, colpito dall’artrite reumatica che gli deforma le mani e
non può rilegare i libri, lei prende il posto del marito e diviene
una raffinata ed originale rilegatrice. Dora trasgredisce alle leggi
della corporazione dei legatori che vietavano alle donne questo tipo
di lavoro. Le sue bizzarre e fuori dagli schemi rilegature trovano
degli estimatori nei “ Sauvage Nobles” una congrega di dissoluti
uomini di alto livello sociale che collezionano libri proibiti dai
puritani dell’epoca e uno di questi sir Jocelyn Knightley le
commissiona delle opere scandalose, appunto libri proibiti come
rimanda il titolo. Ma per Dora questa, insolita, ma necessaria
attività diventerà lo strumento per prendere coscienza di sé come
persona in quanto tale, rivendicherà libertà sessuale e infrangerà
le regole e i tabù del tempo. Si troverà a lottare contro sordidi e
loschi figuri, ma la sua intelligenza, la sua cultura l’aiuteranno a
superare ostacoli e pastoie sociali fino ad assurgere a eroina e ad
esempio di altre donne come lei desiderose di acquisire dignità
sociale. E’ un grande romanzo di ampio respiro storico, attraverso
la vita di Dora il lettore ripercorre e vive i conflitti di sesso,
razza e classe dell’età vittoriana, la scrittrice ci restituisce
un’atmosfera ammaliante, quasi palpabile con luoghi e personaggi
nella loro concretezza. Dora è uno dei personaggi letterari che da
subito si amano, ammirandone la risolutezza del carattere, la forza
dei sentimenti e la solidità di cultura affinata da una sensibilità
squisitamente femminile. La dovizia con la quale l’autrice descrive
le tecniche di un mestiere difficile e preciso ci trascina in un
mondo affascinante dove il libro come oggetto materiale ed estetico
acquista la stessa importanza del contenuto. Ci addentriamo in
questa preziosa e quasi religiosa arte, rilegature dalle pelli
pregiate, dai tessuti più rari, dalle incisioni in polvere d’oro,
dai disegni, i ricami, gli arabeschi di pregevoli fatture; un lavoro
di fine artigianato dove si legge di stendere il foglio di
marocchino, tracciare sopra le sagome per le copertine, passare la
colla sul dorso, tagliare le fettucce, indorsare, scanalare e
rinforzare il volume…tutto è così arcano e d’altri tempi… E’ un
libro visivo perchè procede per immagini ( quelli osceni dei libri
pornografici e non solo), per descrizioni minuziose, un libro
olfattivo perché i miasmi della città avvolgono come un sudario le
persone, il Grande Fetore, il fiume fetido, limaccioso, un libro
sonoro perché si sente il vento impetuoso, la pioggia insistente
satura di fuliggine che picchiettava sulle tegole e il fruscio dei
carri sul selciato fangoso.…E’ un libro dove la prosa diventa
poesia…la stanza scivolò nell’oscurità e parve restringersi fra le
ombre tremolanti create dalla luce del camino. Il libro è la storia
di una donna, il suo percorso verso la libertà e l’emancipazione
quando finalmente il passato con tutti i suoi demoni erano
scomparsi, sepolti per sempre. In questo primo ed unico romanzo la
scrittrice prematuramente scomparsa dà prova di una grande forza
espressiva e di una sagace ricostruzione storica ben documentata e
ricca di particolari.
L’autrice: Belinda Starling
viveva a Wivenhoe, nell’Essex, con il marito e i figli. E’ scomparsa
nell’agosto del 2006, all’età di 34 anni, per delle complicazioni
sorte dopo un intervento chirurgico. Aveva appena completato il
manoscritto della Rilegatrice dei libri proibiti, il suo primo
romanzo.
Arcangela Cammalleri
Il senso del dolore
L'inverno del commissario Ricciardi
di Maurizio de Giovanni Fandango
Libri
Narrativa romanzo giallo
Ci sono romanzi gialli e romanzi gialli e in particolare ce n'è uno
che, prendendo a pretesto una trama che prevede un delitto e la
classica ricerca del colpevole, si rivela opera di elevato livello,
con una descrizione memorabile dell'atmosfera dominante nel
ventennio.
Maurizio de Giovanni ci presenta una Napoli crepuscolare, quasi
tenebrosa, con una immediatezza tale da far pensare che lui sia
vissuto in quel periodo e invece all'epoca era ben lungi dal
nascere.
Più che la vicenda, contano le caratterizzazioni dei personaggi, le
descrizioni dei luoghi, gli istinti amorosi, traboccanti, oppure
pudici, quasi timorosi.
La rappresentazione al Teatro San Carlo, per esempio, è raccontata
nello stato emotivo di uno che l'ha vissuta, come se quella
Cavalleria rusticana fosse stata rappresentata il giorno prima, con
l'autore seduto in uno dei primi posti e al tempo stesso assente
quel tanto da far avvertire solo una discreta presenza.
E' un gioco di equilibri, dove de Giovanni è il funambolo che si
esibisce su una corda con straordinaria abilità: un'accentuazione
della caratteristica del commissario Ricciardi nel vedere i morti
nel loro ultimo atto di vita, avvertendone il dolore del distacco, e
tutto il romanzo potrebbe precipitare in un banale horror, o,
addirittura, franare fra le risate dei lettori.
E invece no, questo proprio non accade, perché l'autore nel
commissario identifica un'umanità tradita, un essere che riassume in
sé tutti i dolori del mondo, sotto un apparente distacco che cela
invece un uomo che, senza pretendere di giudicare, colloca la
giustizia in una sfera asettica, non dimenticando tuttavia che ci
sono vittime e vittime, e colpevoli e colpevoli.
E' quasi un automa Ricciardi e si muove fra gli ostacoli
dell'indagine puntando sempre e solo sulla ricerca della verità, ma
il Ricciardi uomo, in un mondo di prede e predatori, incappucciato
nel cielo di piombo di un regime dispotico, riesce anche a sperare,
grazie a un rapporto d'amore muto, mai dichiarato, ma intenso, due
finestre una davanti all'altra e due cuori che battono e che
sognano, separati solo da una via e da quel dolore che lui si porta
dentro e che non può rendere partecipe ad altri.
Vento gelido, imposte che sbattono, carta che svolazza, bambini a
piedi nudi che si rincorrono, cadaveri agli angoli di strade che
ripetono le loro ultime parole a un commissario che, stringendo i
denti, lotta ogni giorno, ogni ora per cercare una verità che non è
solo quella del crimine, ma è anche lo stato di abulia, di abbandono
e, al tempo stesso, di opprimente torpore di un regime che si avvia
allo sfacelo.
E' un romanzo molto bello, che fa riflettere e che ti resta dentro.
Maurizio de Giovanni è nato nel
1958 a Napoli, dove vive e lavora. Nel 2005, con il racconto "I vivi
e i morti", protagonista il commissario Ricciardi, vince il premio
nazionale Tiro Rapido per giallisti esordienti. Il senso
del dolore è il suo primo romanzo, pubblicato nel 2006 con il
titolo Le lacrime del pagliaccio, ora rivisto e aggiornato
per Fandango Libri. È anche il primo di una serie dedicata alle
stagioni del commissario Ricciardi, di cui Fandango Libri
pubblicherà i prossimi tre titoli.
Renzo Montagnoli
Amor di ninfa
di Fabrizio Corselli per
Lulù.com
Poesia mitologica
Non mi stancherò di dirlo, né di ripeterlo, ma leggere i versi di
Fabrizio Corselli è come tornare indietro nel tempo di almeno 2.500
anni, giacché i miti che propone sono quelli di un mondo
configurabile nell'antica Grecia e a cui peraltro le civiltà
successive, soprattutto quella romana, si ispirarono in un senso
tacito di continuità della cultura del bello, di quella ricerca
costante di arrivare a una perfezione estetica che solo in epoca più
recente si è rarefatta.
Certo non sono le poesie che noi siamo abituati a leggere al giorno
d'oggi ed in cui prevalentemente c'è un'analisi riflessa
dell'insoddisfazione della nostra società, quindi tutto il contrario
del bello, con versi in prevalenza disarticolati da un'armonia,
composti senza il ricorso alla metrica classica o comunque a regole
di stesura che tendano a distinguere la poesia dalla narrativa.
Si potrà dire che in un'altra epoca, in cui tutto è frenesia, non
c'è né il tempo né la voglia di traslare sentimenti ed emozioni se
non attraverso il linguaggio corrente, in uno spezzettamento del
ritmo che necessariamente fa passare in secondo piano la forma per
dedicare la sola attenzione al contenuto.
Eros
Dorme, alato e stanco su quella coltre
d'ombroso disio, con viso adorno, Eros,
mentre io, docile, finanche mi struggo
ai suoi piedi come una serva mortale.
……
Oppure
Inno a Seiphoros
Di Seiphoros,
signore di tutti i cavalli
ratto, s'infuoca il vello
d'eburnea tinta,
come del promaco Ares
s'incendia la propria ira furente.
……
E' appena il caso di sottolineare che sono versi che si prestano a
essere declamati, più che a essere semplicemente letti, perché solo
in questo modo è possibile avvertire la fluidità, lo scorrimento
senza intralci delle parole, a formare una musicalità che è il nerbo
principale di queste opere, che pure hanno il pregio di far volare
la mente, di oltrepassare il limite apparentemente invalicabile fra
realtà e irrealtà, trasportandoci nell'etereo mondo di divinità solo
credute scomparse e invece solo dimenticate.
Regna un'aria di bucolico mistero, quasi un'evanescente visione di
quelle che sono le aspirazioni degli uomini e che nelle divinità
trovano sbocco, creando così una fusione perfetta fra l'aspetto
onirico della vita e la concretezza materiale di ogni giorno.
Riproporre i miti, quindi, non è un puro esercizio velleitario, ma
rappresenta uno sbocco all'insostenibilità che molti provano per
l'aridità della loro vita.
In questo senso, il lavoro continuo di Corselli ha una sua nobiltà
che esula da quella di fornirci solo una visione del bello, ma è
molto più pregnante, essendo di fatto un indirizzo, un segnale, una
via da percorrere per ritrovare quella pace interiore troppo
compromessa dal materialismo dilagante.
Penso che per chi si accosta per la prima volta a questa forma di
poesia Amor di Ninfa possa rappresentare l'inizio più appropriato,
ma se s'innamorerà di questo stile, di questa forma sarà gioco forza
il suo passaggio ai poemi epici, che sono il vero e autentico punto
di forza dell'autore, opere nelle quali si esprime a livelli
veramente elevati.
Per cominciare, quindi, questo libro rappresenta l'optimum, la
chiave d'ingresso in un mondo che si rivelerà in tutta la sua
bellezza.
Fabrizio Corselli, scrittore di
poesia epico-mitologica e saggista classe '73, nato a Palermo.
Ha pubblicato nel 2001 il libro di poesie sui miti greci I Giardini
di Orfeo, Edizioni Laboratorio Giovanile.
Diverse le pubblicazioni di poesie e critica letteraria su riviste
del settore, e collaborazioni con il Salone Internazionale di Parigi
e con il Museo Beleyevo di Mosca.
Si occupa da tempo d'iniziative volte a promuovere il mondo della
poesia attraverso corsi mirati (Il Sogno di Dafne, Eidyllion), con
un occhio di riguardo nei confronti della cultura classica greca
(nella fattispecie, promozione della cultura olimpica classica e
dell'attività sportiva moderna attraverso la poesia). Considerato
tuttora uno dei maggiori esponenti del mitomodernismo italiano.
Presidente di Giuria del prestigioso premio Laire Lorala, di poesia
a tema tolkieniano e mitologico, dal 2004.
Segnalato sul sito della Treccani dal Prof. Roberto Carnero per la
positiva riscrittura dei classici greci in relazione all'epica
sportiva antica di cui si occupa con assiduità e dedizione dal '96,
con l'inedito non integrale Olimpica - Il respiro dell'eternità,
recensito da Lorenzo Flabbi.
Tra le sue pubblicazioni: il saggio sull'Eros e Poesia dal titolo
Sublimis, Apologia dell'Estasi presso la nota rivista cartacea
Atelier; il ciclo mitografico a puntate, dal titolo Eos - Il
risveglio del Mito, sulla rilevazione delle diverse tipologie
dell'Eros nei miti greci presso il settimanale palermitano Città Mia
News; il saggio di Estetica Il Silenzio di Laocoonte - ovvero del
dolore come dimensione oggettiva dell'atto compositivo.
Ha pubblicato presso il portale di cultura ellenica Mondogreco 1) il
poema di rievocazione mitologica della Battaglia delle Termopili dal
titolo All'Ombra di una Guerra; la prefazione è stata curata dal
Prof. Matteo Veronesi. 2) il Satyros - viaggio arcadico di un satiro
danzante (opera epico-mitologica in due libri, versione E-Book),
presentato dalla Prof.ssa Cettina Messina.
Pubblicazione nel 2008 del libro Amor di Ninfa, Nympholeptos, opera
tematica sul delirio ninfale.
Blog: Endymion
Renzo Montagnoli
L'esistenza di dio
di Raul Montanari Baldini
Castoldi Dalai
Collana I tascabili
Narrativa romanzo noir
In una Milano primaverile Adriano esce dal carcere dopo una
reclusione di cinque anni per avere ucciso la moglie. Si riaffaccia
alla vita grazie soprattutto all'amicizia con Carlo, un suo vecchio
compagno, ma il destino riserva sempre sorprese e così, in un
alternarsi di improvvise memorie e di tempo presente, si snoda una
vicenda che vede coinvolto il protagonista, suo malgrado, in un
dramma che nelle pagine finali raggiunge l'apice della tragedia.
Ma sarebbe riduttivo limitarsi a questi scarni dati se non
aggiungessi che nell'intreccio entra anche un particolare
personaggio, Bruno, figlio di un boss, conosciuto in carcere e che
Adriano ha salvato da una violenza sessuale.
Si snodano così due amicizie apparentemente solo simili, in quanto
appartenenti a mondi diversi, perché con Carlo è un rapporto di
reciproca riconoscenza, mentre con Bruno obbedisce alle ataviche
regole dalla malavita, a un codice d'onore in cui ogni aiuto
disinteressato finisce con il creare l'obbligo di ripagarlo.
In questi due mondi antitetici si muove, suo malgrado, Adriano,
cercando sempre di restare in quello originario, ma costretto poi a
piombare nell'altro nel momento in cui Carlo, mosso dal bisogno,
commetterà un'imperdonabile sciocchezza.
Narrata così la storia può sembrare poca cosa, ma data la natura
noir del romanzo volutamente non aggiungo altro per non togliere al
lettore il piacere della scoperta.
Quindi mi limiterò ad alcune annotazioni di ciò che mi ha
particolarmente colpito e che poco ha a che fare con il genere noir,
per quanto la scrittura di Raul Montanari mi sia apparsa sicura,
lineare, senza sbavature, riuscendo a tenere saldo il ritmo della
vicenda che, come ho scritto prima, raggiunge la tragedia nel
finale, secondo un copione che un po' mi ricorda Carlito's Whay,
il bellissimo film di Brian De Palma.
Ci sono alcune righe di introduzione dove si fa un distinguo fra
illusioni e speranze, due concetti che si assomigliano, ma non sono
uguali. Le prime fanno parte del passato, mentre le speranze
guardano al futuro, e i contrari sono rispettivamente le delusioni e
le disperazioni, in cui le prime finiscono per essere esperienze
amare, ma salutari, mentre le seconde sono la resa totale, o meglio
ancora, come dice l'autore, sono l'unico peccato per il quale non
c'è perdono, né in terra né in cielo.
Ecco, in questa disquisizione c'è tutto il nocciolo dell'opera e si
arriva anche a comprendere il perché dello strano titolo: chi vive
di illusioni finisce per le sue disgrazie con il prendersela con Dio
(Dio perché mi hai fatto questo?). Ma con le illusioni non si
cresce, perché non hanno futuro, a differenza delle speranze, e il
gesto finale di Adriano è una speranza, in un mondo migliore, dove
tutti i suoi affetti possano vivere, magari anche nel suo ricordo.
La forza del romanzo sta soprattutto negli inevitabili contrasti fra
i sentimenti, nella difficile scelta fra ciò che è bene e male, nel
desiderio di espiare effettivamente sublimando i concetti di
amicizia e di amore con il sacrificio, una tendenza all'assoluto, di
fatto un una ricerca dell'esistenza di Dio.
Ma ci sono anche curiosità, parentesi che di fatto sono riflessioni
volte a stemperare in alcuni momenti la tensione della trama come
per esempio la dissertazione su ciò che sono effettivamente gli
psicanalisti, questa fra l'altro per certi versi spassosa.
Nel complesso, L'esistenza di dio finisce con il travalicare
i canoni del noir classico, affrontando tematiche che quasi
sommergono la trama, ma che riescono a dare al romanzo un'impronta
che lo nobilita
e che con convinzione mi induce a raccomandarne vivamente la
lettura.
Raul Montanari è nato a Bergamo
nel 1959 e si avvicina al mondo letterario inizialmente come
traduttore sia dall'inglese che dal greco e dal latino. Nel 1991
pubblica il suo primo romanzo (Il buio divora la strada, edito da
Leonardo) e successivamente La perfezione (Feltrinelli, 1994, 1996,
2006), Sei tu l'assassino (Marcos y Marcos, 1997), Dio ti sta
sognando (Marcos y Marcos 1998), e, per Baldini Castoldi Dalai, Che
cosa hai fatto (2001, 2004), Il buio divora la strada (2002), Chiudi
gli occhi (2004, 2005), La verità bugiarda (2005), L'esistenza di
dio (2006, 2008), La prima notte (2008); inoltre le raccolte di
racconti Un bacio al mondo (Rizzoli, 1998) e E' di moda la morte (Perrone,
2007).
Molti suoi racconti, articoli e saggi sono usciti in antologie, e
sui maggiori quotidiani e periodici italiani.
Con Aldo Nove e Tiziano Scarpa ha scritto la fortunata raccolta di
poesie Nelle galassie oggi come oggi. Covers (Einaudi, 2001).
Ha curato le antologie Il '68 di chi non c'era (ancora) (Rizzoli,
1998), Onda lunga (Archivi del '900, 2002) e Incubi. Nuovo horror
italiano (Baldini Castoldi Dalai, 2007).
Ha tradotto per le scene Doppio Sogno di Schnitzler (Teatro Stabile
di Firenze, 2000) e il Macbeth di Shakespeare (Teatro Stabile di
Torino, 2007), e scritto l'atto unico Incubi e Amore per la rassegna
Maratona di Milano (2000 e 2001).
Collabora con i principali editori italiani e ha pubblicato numerose
traduzioni dalle lingue classiche e moderne (Sofocle, Seneca, Poe,
Wilde, Borges, Styron, Greene, P. Roth, Brink, C. McCarthy fra gli
altri).
Ha sceneggiato il film Tartarughe dal becco d'ascia di Antonio Syxty
(Out Off, 2000). Per il progetto radiofonico Ricuore ha riscritto La
piccola vedetta lombarda (Radiorai3, 2001).
Vive a Milano, dove tiene dal '99 un corso di scrittura creativa
strutturato su più livelli. Gira l'Italia tenendo conferenze e
reading. Interviene in televisione principalmente sulla Rai, La7 e
SkyTv.
Sito web:
http://www.raulmontanari.it/
Renzo Montagnoli
Occhi di zagara
di Paola Sarcià Edizioni Il
Foglio Letterario
Prefazione di Patrizia Garofalo
Copertina originale
di Don Franco Patruno
Elaborazione grafica
di Elena Migliorini
Collana Autori Contemporanei Poesia
diretta da Fabrizio Manini
Poesia silloge
Il poeta traduce in versi le sue emozioni, siano esse liete oppure
tristi, ma il percorso che più esalta questa ricerca in se stessi è
di frequente motivato dalla sofferenza, un dolore spesso muto, che
non traspare, ma che alligna nell'animo, corrosivo, a volte
quiescente, ma sempre pronto a colpire. E allora, quando più si
avverte, è indispensabile lenirlo con uno sfogo che fa nascere versi
spesso struggenti, per quanto temperati da un naturale pudore.
In Paola Sarcià, in questa sua opera prima Occhi di zagara,
il dolore si fa verbo, si fa parola, fluisce dall'animo fino al
foglio, che imprime e scava, una sorta di specchio liberatorio in
cui confrontarsi, svelenire l'animo, mantenere traccia di una
sofferenza che va, viene, scompare, ma che tenderebbe sempre a
ritornare se non fosse intervenuto il potere salvifico della poesia,
un'ancora di salvezza in cui farlo confluire.
Sono rimasta
aggrappata
con unghie
insanguinate
allo scoglio
di un amore.
Oppure
Ho gridato
contro
un cielo
di stelle svanite
contro
una luna
sparsa su una pelle
di dolore.
Ho pianto
su una sedia
al centro
di una stanza
le gambe
rannicchiate
il volto
stuprato
dalle tue menzogne
C'è un motivo di fondo che si ripete, un senso di sfiducia,
accompagnato da un intenso desiderio d'amore, un'insoddisfazione con
radici antiche che reclama di essere placata.
Tuttavia non manca la possibilità di un rifugio nel sogno,
un'astrazione della mente che serve a stemperare, se non a far
cessare il dolore.
Densa
cala la notte
involucro
scuro
sulla pelle
oltre le nubi
danzo
tra le stelle
Infatti il poeta ha la possibilità di evadere la realtà con
un'irrealtà che costituisce però solo l'uscita di emergenza da una
situazione di disagio interiore quando la stessa diventa
insostenibile.
Ma tutto è inutile, quando domina l'indifferenza, quando siamo solo
ombre in una moltitudine di gente inconsapevole della propria
esistenza.
Silenzi
di solitudini
di anime
ad un crocevia
vicine
distanti
nel loro immenso
vuoto
Come dice giustamente Patrizia Garofalo nella sua bella prefazione,
la poetessa marchia a fuoco se stessa senza pietà, in una sorta di
accettazione del proprio stato, senza odio, senza timore, una
condizione indispensabile per continuare.
Quanto ho scritto lascerebbe presupporre una difficoltà di lettura,
dovuta alla naturale ritrosia di ognuno di noi ad accettare la
sofferenza degli altri, ma non è così, perché quello che per
l'autore è dolore per noi che leggiamo diventa malinconia, grazie a
quel pudore che ha stemperato lo sfogo espresso in versi.
Paola Sarcià, nata il 18 ottobre
1962 a Bologna, dove ha vissuto fino a ventitré anni, risiede a
Ferrara dal 1986; è docentedi inglese presso il Liceo Classico
Sperimentale Ludovico Ariosto di Ferrara. Scrive poesie dal 2003 e
ha partecipato al Premio nazionale Valeria di Rieti 2004 con la
poesia "Silenzi" giunta all'ottavo posto.
Ha partecipato al Premio Letterario Città di Monza 2005 con la
poesia "Di un silenzio…" che è stata pubblicata sull'Antologia del
Premio letterario Città di Monza 2005. La stessa poesia "Di un
silenzio…" è stata anche selezionata per l'Antologia del Premio
Marguerite Yourcenar 2006 ed è stata premiata con il Premio d'Onore
alla IV edizione del Premio Letterario Internazionale Archè "Anguillara
Sabazia Città d'Arte" 2006. La poesia "S'infrange il viaggio" è
stata selezionataper l'Antologia del Premio Marguerite Yourcenar
2007, e la poesia "Notte" è stata selezionata per l'Antologia del
Premio Città di Monza 2007.
L'autrice è voce recitante in presentazione di libri e spettacoli di
teatro.
Renzo Montagnoli
La neve era sporca
di Georges Simenon ed. Adelphi
Titolo originale” La neige était sale”
Narrativa: Romanzo
In questo romanzo, scritto a Tucson ( Arizona) nel marzo 1948 e
apparso in Francia quello stesso anno, Simenon entra nella mente del
giovane protagonista Frank Friedmaier diciannovenne e ne dipana i
pensieri e le azioni: è un dramma psicologico, la trama segue i
meandri di una mente perversa e amorale dove il crimine e
l’obiezione segnano la sua breve esistenza. La vicenda si svolge
durante la seconda guerra mondiale in un paese occupato dal nemico.
Ma quel paese è la Francia? il Belgio? Simenon ha sempre cercato di
depistare critici e lettori, ha dichiarato che l’esercito di
occupazione non deve essere riconoscibile per dare all’opera un
carattere universale; nella sua intenzione l’azione si svolge
nell’Europa centrale, durante l’occupazione russa. Ambienti e nomi
sono di una città austriaca o ceca le cui connotazioni sociali e
politiche rimandano ad un regime dittatoriale ( nazista?) in cui la
vita delle persone è controllata dalla polizia in un clima
opprimente di tradimenti, delazioni, miserie materiali e morali.
Frank figlio di Lotte, seducente tenutaria di una casa di
appuntamenti, trascorre i suoi giorni con loschi figuri tra sbornie,
furti ed omicidi, mezzi per lui d’iniziazione all’età adulta. Frank
vuole misurarsi con l’omicidio per un bisogno di provare a se stesso
di poter compiere un atto a freddo per non sentirsi inferiore nei
confronti di chi aveva compiuto omicidi o crimini. L’assenza di
sentimenti, la freddezza che s’impone ne fanno un eroe negativo
solitario e distante chiuso nella sua malsana identità caratteriale.
Ma la sua psiche come tutti i personaggi che nascono dalla penna di
grandi scrittori non è monolitica, via via che si susseguono i
fatti, Frank sente sgretolare l’io apparentemente granitico e paure
e dubbi s’insinuano nel suo animo scalfendone la ruvidità e
facendone affiorare barlumi di umanità e sentimento (l’amore per
Sissy). Va incontro al suo destino consapevole di meritarne il
tragico epilogo e affrontandone le conseguenze: ha trascorso la
maggior parte della sua vita ad odiare il destino, di un odio quasi
personale, al punto di inseguirlo per sfidarlo e azzuffarsi con lui.
La neve sporca del titolo rimanda a tutta una sordida umanità che
gravita intorno al protagonista che in periodi di oppressione e
soggezione totalitari fa emergere tutto il pantano di fondo che è
insito negli uomini, i personaggi sono percorsi da aberrazioni che
li rendono odiosi ai nostri occhi di lettori perché Simenon sa
rendere quel clima grave e cupo dell’annientamento dell’uomo privato
della sua libertà e ridotto ad una mera espressione del regime in
atto. La prosa essenziale e cruda traduce con estremo realismo
atmosfere fredde, livide ( il cielo basso, i colori si fanno duri e
maligni, il bruno e il giallo sporco delle case, quel bianco ha
qualcosa di minaccioso, di definitivo). Il romanzo diventa un’ amara
riflessione di tutti i totalitarismi e delle coscienze addomesticate
ed asservite al potere. La lettura di esso lascia “L’amaro in bocca”
per il senso d’inquietudine, estraniamento e smarrimento che
trasmette in chi legge.
Autore: Georges Simenon
(1903-1989) ha scritto moltissimi romanzi, cosiddetti, oggi, noir,
che hanno come protagonista il commissario Maigret: “ Maigret e il
caso Saint-Fiacre” ….e altri come “ “Il porto delle nebbie”, “ Tre
camere a Manhattan”, “ L’uomo che guardava passare i treni”.
Arcangela Cammalleri
La collina dei fuochi
fatui di Emiliano D'Alessandro
Edizioni Solfanelli
Copertina di Tanino Liberatore
Narrativa romanzo
La tragedia dell'eccidio della Divisione Acqui avvenuto a Cefalonia
nel settembre del 1943 è una vicenda tristemente nota, oggetto di
diversi studi storici che, pur nella loro completezza, non sono
riusciti forse a cogliere l'autentico dramma di chi, considerato dai
tedeschi traditore, fu lui stesso tradito dagli artefici di
quell'armistizio che rappresenta una delle pagine più vergognose
nella storia del nostro paese.
Si può parlare in tanti modi di un evento, anche attraverso un
romanzo, ed è quello che ha fatto Emiliano D'Alessandro con
quest'opera necessaria non solo per ricordare, ma anche per
riconfermare quali sono gli autentici valori della vita.
Forse il paragone con le grandi opere di narrativa aventi come tema
la guerra può apparire un po' azzardato, ma sta di fatto che dopo la
lettura di queste pagine si ha una visione, emotivamente
coinvolgente, degli orrori presenti in ogni conflitto, resa tanto
più pregnante dal sentimento di pietà del protagonista nei confronti
dei nemici. Infatti in lui non c'è odio, ma solo indignazione per
l'istinto bestiale degli uomini.
Fra l'altro, il personaggio principale, Salvatore Di Rado, è stato
veramente coinvolto nella strage di Cefalonia e nell'occasione
riuscì a sopravvivere alla fucilazione, che occupa le prime pagine
del libro, un'esperienza agghiacciante raccontata con grande abilità
e che riesce a renderci presenti di fronte al plotone di esecuzione.
Il romanzo, poi, si evolve in una lunga intervista di un giornalista
(Emiliano D'Alessandro) appunto al superstite, una continua serie di
passaggi fra quel lontano passato mai dimenticato e il presente, il
tutto in una notte.
Ciò che stupisce maggiormente però in questa narrazione sobria,
asciutta, mai incline alla retorica, sono le osservazioni, le
riflessioni del protagonista sulla vita che condusse, fino alla
liberazione, con gli abitanti di uno sperduto paese di Cefalonia, ex
nemici che non esitano ad aiutarlo, con quella semplicità e con quel
senso della carità che sono proprie di comunità immuni dalla civiltà
occidentale votata al denaro.
Troviamo così uno spaccato di esistenza dove l'uomo è parte
paritaria con la natura e dove i valori fondamentali di ogni società
non hanno avuto modifiche, proprio perché lì il progresso del XX
secolo non è arrivato.
Si può dire che questo contatto con una realtà diversa, con una
dimensione più umana, fa rinascere un'altra volta Salvatore Di Rado.
Stupito da una vita in cui i rapporti con i propri simili sono
prioritari e improntati a uno spirito di mutuo soccorso, il
protagonista si integra con entusiasmo nella comunità e a malincuore
la lascia quando finisce la guerra. Porterà, però, sempre con sé il
ricordo di un'isola che se ha visto la barbarie, gli ha però anche
consentito di ritrovare la fiducia nel genere umano. Quella piccola
comunità è diventata ormai un suo patrimonio e ciò che ha appreso si
è radicato talmente in lui dall'aver sempre condotto successivamente
l'esistenza con lo stesso spirito.
La collina dei fuochi fatui è un romanzo di eccellente
livello, piacevolissimo da leggere, tanto che ne raccomando
vivamente la lettura.
Emiliano D'Alessandro (1973),
giornalista e scrittore. Vive in Abruzzo, a metà tra il mare
Adriatico e la maestosa Maiella. Collabora con riviste e quotidiani
ove ha pubblicato centinaia di articoli di denuncia e insegna Lingua
e Cultura Italiana agli stranieri.
In una sorta di discontinua routine, condivide i suoi spazi con pile
di libri distribuite alla rinfusa, foto di scrittori appese alle
pareti e cani rigorosamente meticci che raccoglie dalla strada.
Predilige la cinematografia neorealista, gli anni Settanta, la
letteratura italiana e quella del periodo beat, il jazz, le sue
clark beige, il pianoforte che suona con gli amici musicisti e
colleziona penne stilografiche.
Renzo Montagnoli
Testamento Breve
di Pasquale Mesolella Pentalinea
Editore
(poesie)
Prefazione di Armando Saveriano
Poesia - raccolta
Testamento Breve è una silloge di due raccolte: Il dolore
di sempre (1968-2000) e Ed è subito giorno (2001-2007).
Di conseguenza il periodo di tempo in cui sono state create queste
poesie è piuttosto ampio (quasi otto lustri) e, se da un lato
consente di verificare un progressivo e costante affinamento dello
stile, dall'altro comporta che le opere più lontane restino un po'
sotto tono rispetto alle più recenti.
La mia non vuol essere un'osservazione negativa, anzi tende a
chiarire i motivi per cui si possono rilevare difformità evidenti,
per esempio, fra la pur valida Le mie amiche sconosciute e la
più compiuta Autunno.
Al di là di questa breve, ma necessaria premessa, tesa a
giustificare un'assenza di uniformità fra le opere esposte, l'esame
della silloge si presta a molte considerazioni.
Mi sembra evidente una semplicità stilistica che, anche per i temi
trattati, non costituisce un limite, ma anzi finisce con il
diventare un elemento caratteristico che accompagna sempre, con
piacevolezza, la lettura.
Molto spazio è dedicato alla memoria, a quel tratto di vita vissuta
che è sempre elemento caro ai poeti che in questo modo possono
avvalersi di esperienze smussate, quasi sfumate dal tempo.
Così le emozioni, anche dolorose, giungono ovattate e si prestano a
essere meglio veicolate sulla carta, dove si riflettono in toni più
blandi, propri di una sofferenza ormai metabolizzata, come ne Il
dolore di sempre, oppure nella tenera Se dovessi morire
stanotte.
Il linguaggio appare nella prima raccolta più dimesso e
l'impressione è che la spontaneità dell'estro creativo abbia
costituito la caratteristica privilegiata.
La seconda, invece, assai più recente, ha anche maggiori pretese,
tanto che prende il titolo da una delle poesie (Ed è subito
giorno), parafrasando, in parte, quello della più conosciuta
Ed è subito sera, di Salvatore Quasimodo.
Del resto il ricorso a spunti da opere di autori noti non manca,
come nel caso di A mia figlia, che richiama po' Alla mia
bambina di Umberto Saba; nulla che possa lasciar supporre un
influsso determinante, ma certo è che le ultime poesie risentono
maggiormente delle letture fatte dall'autore.
Peraltro, la costruzione più articolata del verso non è a discapito
di quella parvenza di spontaneità che offre alla poesia quella
freschezza tale da renderla senza età, e questo è un merito non da
poco, perché in un autore in cui la ricercatezza formale non è
determinante, resta proprio quella semplicità a imprimere una
caratteristica dominante che ne connota, positivamente, tutta la
produzione.
Quindi i sentimenti e le emozioni sono esposte con il rigore della
semplicità, un risultato di tutto rispetto, come anche testimoniato
dalla assai riuscita Testamento Breve, che dà il titolo
all'intera silloge.
Testamento breve (a mio figlio) ( Di me/ ti lascio nulla /
che ti possa / liberamente vendere / all'effimero mercato / delle
vanità./ Nulla ti lascio / che ti faccia inorgoglire / di essere
unico / grande / diverso. / Solo / ti lascio / un barlume / di
speranza / che t'illumini / la mente, / una segreta traccia / di
sofferenza / che ti faccia ricordare / ogni tanto / di essere uomo.)
Pasquale Mesolella è nato a
Teano il 18 gennaio 1949. Dopo aver frequentato le scuole medie e
superiori in alcuni istituti religiosi della Campania, ha seguito i
corsi di diritto presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università
degli Studi di Napoli. Ha lavorato per alcuni anni a Milano e poi a
Prato in un Ente pubblico dove esercita l'attività di funzionario.
Vive, con la moglie e i due figli, a Prato, in Toscana. Con le
raccolte di poesie inedite "Parole al vento ", "Canti d'amore",
"Frammenti", "Electa", ha partecipato a diversi concorsi,
segnalandosi per il suo vivo e intenso sentimento poetico. Il suo
primo esordio editoriale è del 2004 con un carme dal titolo "Carme
alla mia terra", a ricordo della sua città natale, Teano, in
provincia di Caserta. Con la casa Editrice Bastogi, ha pubblicato
nel 2005 la raccolta di poesie dal titolo "Tornerò a riprendermi il
sole", e nel 2006 un'interessante raccolta di detti e racconti
popolari dal titolo "Cose della mia terra".
Renzo Montagnoli
Eco
di
Caredda Ezia [
Libroitaliano E.L.I. ; 2005, 64 p.Brochure.]
Viva ! La
definisco così questa raccolta di testi. Leggendola mi sono
ri-trovato immerso nell’Immenso...gioioso...profondo.
Indipendentemente dalla forma esteriore – lo scritto e il
detto, resi con un linguaggio “semplice”, non deve trarre in
inganno: non sono testi “usa e getta”! –, la raccolta non si lascia
leggere tutto d’un fiato, bensì dolcemente intuire e meditare.
Lo sottolineano alcune parole in grassetto; come tessere,
affioranti in superficie, di un mosaico di significati – densi,
profondi – immerso nel Mare-Cielo dello Spirito.
Chiare le atmosfere New-Age con riferimenti impliciti
conseguenziali (leggasi: “India”…) e qualcuno nostrano: Battiato –
mi pare –: (…) Volano!/ Come uccelli…gli Angeli…/ Volano! (…)
– da Lux, pag. 46 –. I contenuti, comunque, così sono
recepiti dal sottoscritto, non esposti in termini di fondamentalismo
ideologico e religioso, predispongono naturalmente il lettore al
Dialogo e alla Riflessione ché appaiono come frutti maturati lungo
un sentiero di ricerca – sincera! – religiosa di sé. Ricerca che
apprezzo particolarmente.
In questa prospettiva vanno collocati, forse, testi e
affermazioni contenuti nella raccolta, in particolare: Est-Ovest,
pag.22; da il Volo, pag.41: (…) Mi avevano sempre detto/
che in Paradiso eri volato (…) E che solo il Gran Giorno/
tu,/ saresti tornato. E ancora: (…)Ma come è possibile se non
si crede nell’Eterno Ritorno? – da Grande Meditazione,
pag.43.
Sentiero, a mio avviso, costruttivamente approdato al (…)
Noi siamo fatti,/ di dolore immenso…/ di essenze, di spezie e di
fiori/ di tuffi e voli/ di spruzzi e…/ “disturbi esteriori”/ di
Ritorni, di Risvegli/ e…/ Di Eterni Amori – da Risveglio,
pag.59 –.
Chiara e densa matura sintesi e positivo invito a volgere lo
guardo verso la Luce del Sacro.
Per quanto mi riguarda – e per quanto possa valere la seguente mia
affermazione – indubbiamente un libro Amico.Grazie.
Giuliano da
Rocca del Santo
Notte all'Hostaria La
Guercia di Valentino Rocchi
Argalìa Editore
Narrativa - romanzo storico
Quando accade di ultimare la lettura di un'opera di grande bellezza,
e questo avviene poche volte, si resta come attoniti e l'unica idea
che viene alla mente si sintetizza nella parola capolavoro. Anzi,
questo termine si ripete, due e più volte, quasi a voler dar
conferma in tal modo a quella sensazione di profondo appagamento che
ti pervade, che ti fa sentire fra lo stupito e l'esultante e che non
poche volte porta a lacrime di autentica commozione.
Non capita solo a me, visto che anche Gian Paolo Serino su
Satisfiction non è riuscito a scrivere altro a proposito di
Ultimo parallelo, lo stupendo romanzo di Filippo Tuena.
Ho provato questa sensazione proprio al termine della lettura di
Notte all'Hostaria La Guercia, titolo forse non particolarmente
invitante, ma, come in certe confezioni non roboanti che dentro
presentano tanta sostanza, questo romanzo è un'autentica sorpresa.
Pur se l'autore mi ha abituato a opere di eccellenza, mai e poi mai
avrei potuto sospettare che un suo romanzo, peraltro storico,
potesse avere così tante qualità, amalgamate con maestria al punto
tale da far esclamare "E' un capolavoro!".
Certo il giudizio dipende anche dal gusto, ma ci sono elementi che
non sono così soggettivi che mi confortano nell'entusiasmo con cui
scrivo di quest'opera.
Sì, perché penso sia naturale dopo la sintesi di valutazione cercare
di comprendere come sono pervenuto a un giudizio raro e così
elevato.
Ora, senza provvedere a un elenco dei meriti che finirebbe con lo
stancare il lettore nella freddezza dell'enunciazione, sono
dell'idea che si potranno meglio comprendere parlando del romanzo,
ovviamente con le opportune puntualizzazioni.
Il titolo ha una sua precisa ragione, perché Rocchi, invece di
narrarci la storia di questo famoso personaggio del XV secolo,
partendo dalla nascita e sviluppandola fino alla morte, ha preferito
mostrarcelo in questa notte trascorsa, vegliando, in una vecchia
osteria nei pressi di Pesaro, la sua città a cui, non senza timori,
si appresta a ritornare.
Nelle ore del buio, trascorse senza dormire, l'uomo, perché prima di
tutto è un uomo con tutte le sue paure e le sue incertezze, rievoca
il suo passato con le considerazioni del presente.
E' un'idea che dà un tocco di malinconia a tutta l'opera e che la
rende viva, perché avvicina il protagonista al lettore.
Qui chi racconta parla della sua esperienza, fa rivivere a se
stesso, e così anche agli altri, emozioni trascorse, fa sentire
continua la sua presenza sia in vicende passate che in quelle ore
della notte in cui gli sovvengono i ricordi, facendo emergere non
pochi rimpianti, soprattutto alla luce dell'estrema incertezza
dell'avvenire.
Ritengo doveroso anche un cenno, strettamente storico, sul
personaggio principale. Si tratta di Pandolfo Collenuccio, nato nel
1444 e che dopo aver compiuto gli studi di diritto all'università di
Padova riuscì a inserirsi nella corte sforzesca di Pesaro. Avviò
così una lunga carriera di diplomatico e di cortigiano che lo mise
anche al servizio di Lorenzo de' Medici e dei Gonzaga. Caduto in
disgrazia per un presunto tradimento e fatto rientrare a Pesaro con
un inganno, lì vi fu giustiziato nel 1504.
Ora nel romanzo, il più possibile fedele ai fatti storici, sono
presenti anche personaggi famosi dell'epoca, quali Poliziano, Pico
della Mirandola e perfino i Borgia, all'origine della rovina di
Pandolfo.
Rocchi riesce a farli emergere non come sporadiche comparse, ma in
un disegno narrativo ove ognuno trova il suo giusto risalto,
soprattutto in relazione ai rapporti instaurati con il protagonista.
Insomma, pur avendo ben presente che l'opera deve parlare di
Pandolfo Collenuccio, gli altri personaggi lasciano traccia e
assumono quella vitale autenticità che riesce a fornirci un'immagine
veritiera di un'epoca.
Altri invece sono probabilmente frutto della creatività, come Maria,
il primo amore, definita susina acerba per le sue qualità estetiche,
un soprannome che non manca di tenerezza come solo può averla chi ne
ha ancora il rimpianto. Al riguardo, la notte d'amore con lei è un
autentico gioiello con un Pandolfo inesperto, che combatte fra
desiderio e timore, ma alla fine si lascerà andare e in balia dei
sensi raggiungerà un'estasi mai dimenticata. Per quanto immaginati,
questi personaggi, compreso il capo lancia che bracca Pandolfo,
emergono dalle pagine con naturalezza e sono uomini di quel tempo,
perfettamente inseriti in una struttura narrativa che non presenta
il minimo squilibrio.
In una notte si fa il bilancio di una vita e come sempre non quadra,
ma egualmente l'uomo si appiglia a questi ricordi, perché sono le
uniche certezze. Il personaggio storico, che i libri ci raccontano
nelle sue gesta, riacquisisce così quelle caratteristiche umane,
quei pregi, ma anche quelle debolezze, che lo vivificano, un rientro
nella normalità che però lo fa sentire più vicino. In questo
accostamento, o se vogliamo in questo ridimensionamento, il nome
diventa persona, le sue gesta non vengono sminuite, ma facendolo
sentire simile a noi è inevitabile una naturale simpatia, un
desiderio di soccorrerlo, di partecipare alle sue pene, a tal punto
che resta indelebile il suo ricordo e così gli si dona
l'immortalità.
Scritto in modo estremamente scorrevole, senza la minima sbavatura,
questo romanzo presenta alcune parti che sono veramente eccezionali.
Ho già citato la notte d'amore con susina acerba, ma non posso
tralasciare il suo commiato da lei e, soprattutto, la morte di
Pandolfo, quattro righe in cui la cessazione della vita passa in
secondo piano rispetto all'ultimo rimpianto dell'uomo consapevole
della sua fine.
Sì, per questo e anche per altro, Notte all'Hostaria La Guercia
è per me un capolavoro, ma, come sempre capita in questi casi, sono
sicuro che, leggendo e rileggendo, troverò ancora altri motivi a
supporto del mio giudizio.
Valentino Rocchi, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone. Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e trame avvincenti, dopo una vita di intenso lavoro.
Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Ed. Il Ponte Vecchio);
"L'Eredità di Venanzio" vincitore del Premio letterario "Il
Pungitopo" 2002 (Ed. Guaraldi);"Gli uomini di Bluma" II classificato
Premio Letterario "Palazzo al Bosco", 2002 (Ed. Giraldi);"La
saggezza di Toni" (Ed. Giraldi);"Notte all'Hostaria La Guercia -
Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Ed. Argalia),
pubblicato nell'anno del V centenario della morte di questo
personaggio dalla vita straordinariamente avventurosa. Il romanzo è
ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è studioso e
conoscitore. L'ultima pubblicazione in ordine di tempo è "La Magìa
del fuoco". (Agemina).
Renzo Montagnoli
La settima invitata
di Stefania Lusetti Edizioni
Creativa
Prefazione di Maria Giovanna Luini
Narrativa - romanzo
Collana Declinato al femminile
diretta da Francesca Mazzucato
Una rimpatriata fra vecchi compagni di scuola, che non si vedono da
molti anni, costituisce la trama di questo romanzo breve, libro
d'esordio di Stefania Lusetti.
Questo tema è stato oggetto di innumerevoli opere letterarie, alcune
(poche) riuscite, e altre (molte) cadute nell'oblio.
E' stata quindi del tutto naturale la mia curiosità di vedere se
l'autrice fosse stata in grado di costruire qualche cosa di
originale, senza cadere in uno sconfortante deja vu.
Devo dire che Lusetti era consapevole di questo rischio e ha cercato
in tutti i modi di non concretizzarlo, e in buona parte c'è
riuscita, ammantando la vicenda di un'atmosfera di tensione, quasi
da romanzo giallo, anche se di assassini perseguibili per legge non
ce ne sono. E' stato un artificio indubbiamente valido che ha
consentito di costruire un'opera dotata di autonomia, facilitando e
rendendo anche più gradevole la lettura.
Eventualmente qualche lacuna emerge nella caratterizzazione dei
personaggi, stereotipi di vicende del genere e che a mio avviso,
però, potevano essere disegnati meglio, di modo da non farli
assomigliare a tanti altri che già si conoscono.
Lo stile è nel complesso lineare e scorrevole e la prosa è piuttosto
fluida, così che si arriva piacevolmente alle ultime pagine, dove
finalmente scopriamo l'autore morale della tragica fine, avvenuta
molti anni prima, della sorella del padrone di casa (svenatasi nel
bagno), e la cui presenza aleggia sempre, tanto da considerarla una
settima invitata.
Il romanzo poteva finire lì, ma l'autrice ha voluto a tutti i costi
un lieto fine, poco confacente alla storia, ed è un peccato che ne
abbia trovato uno assai improbabile, quasi stridente con la
linearità della logica fin lì tenuta.
Comunque sono dell'idea che l'esordio sia nel complesso confortante
e che un giudizio più compiuto si possa avere con la prossima opera,
di cui auspico di tutto cuore la realizzazione.
Stefania Lusetti è nata a Busto
Arsizio (VA) il 30 settembre 1967 e vive a Buscate (MI) con il
marito e con il figlio.
Ha vinto il primo premio del Concorso Letterario San Mauro di
Buscate nel 2003 con il racconto "Villa Fiorita".
Renzo Montagnoli
Il Vangelo secondo
Gesù Cristo di Josè Saramago
ed. ET Einaudi
Titolo originale: “O Evangelho segundo Jesus Cristo” 1997
Un’appassionata, folgorante rivisitazione del Vangelo
Quod scripsi, scripsi. Pilato
Una sentenza! Ineluttabile, storica sentenza!
La copertina di questo libro di Einaudi riproduce “Crocifissione”
un’incisione di Albrecht Dürer 1497-98 e racchiude la parabola
conclusiva della storia di Cristo.
L’autore si misura con una figura trascendentale, immane al di là di
ogni portata, al di là dei confini dei pensieri e delle menti umane.
L’assunto intorno al quale ruota la storia del Salvatore dei
Cristiani, è l’umanità di cui è pregna la figura di Gesù, visto
nella sua dimensione umana, dolente e gravata da un destino
sacrificale anche per lui imperscrutabile ed intelligibile. Questo
libro bello e sofferto ha scatenato le ira e le critiche più feroci
del clero ortodosso sia portoghese sia italiano; definito blasfemo e
sacrilego per aver infranto il divino. Quando si affrontano temi che
toccano la sfera religiosa si è facili bersaglio di accuse forti
perché non si percorrono confini già tracciati, ma si scelgono
libere interpretazioni, mal interpretate. Questa interpretazione
personale del Vangelo è semplicemente umana e, quindi, fa sentire il
lettore più vicino spiritualmente a Cristo che nasce come un comune
mortale, soffre per le ingiustizie e i dolori terreni, ama e lotta
nel nostro mondo in bilico, però, con il mondo del soprannaturale,
del Padre, di cui non riesce a capirne i disegni, come a tutti gli
altri uomini, sconosciuti. Non comprende la promessa del Padre che
gli avrebbe consegnato dopo la morte potere e gloria, quella morte
non voluta, ma che lo fa vittima sacrificata a un Dio implacabile ed
indifferente. Questa è la tesi di Saramago che ha voluto raccontare
la vita di Gesù per accostarlo di più al nostro amore e non per
allontanarlo, per condividerne la sorte e rendergli onore, perché è
stata la sua morte destinata fin da principio come un agnello al
sacrificio.
Gesù è nato a Betlemme, in Giudea, ma conosciuto come Gesù di
Nazareth perché vissuto a Nazareth in Galilea, figlio di Maria,
sposa del falegname Giuseppe, figlio di Eli d’Arimatea. Un angelo
sotto le spoglie di un mendicante annuncia l’arrivo del figlio a
Maria. Durante il censimento, i due sposi si recano a Betlemme dove
verrà alla luce il primogenito e in seguito alla strage degli
innocenti, di cui Giuseppe si sentirà colpevole, ritornano in
Galilea. Giuseppe dirà: “questo figlio tanto amato è il mio dolore”.
A cinque anni, Gesù andrà a scuola fino a 10 anni, allevato nella
Torah come il bue nel recinto. Seguiranno altri 7 figli, e 2 femmine
( Lisia e Lidia) e la crocifissione di Giuseppe da parte dei Romani
sotto l’accusa di sedizione. Gesù lascia la famiglia e percorre un
cammino che lo porterà al Tempio di Gerusalemme dove gli anziani e
gli scribi dissertavano sulla Legge e di maieutica analitica.
Arriva, poi, a Betlemme, il luogo della sua nascita, conosce il
Pastore, gli apparirà il Padre sotto forma di nuvola simile ad una
colonna di fumo lentamente vorticante su stessa. Dio gli dirà che un
giorno vorrà tutto da lui, la Vita e lo incontrerà di nuovo quando
sarà pronto. Gesù l’eroe di questo Vangelo, narra lo scrittore,
compie miracoli che daranno da mangiare, altri che restituiranno la
salute, uno che sconfiggerà la morte. Versato per la religione ed
esperto di patriarchi e profeti dovrà scendere e salire molti monti,
mungere tante capre, aiutare a fare il formaggio, andare a barattare
quei prodotti nei paesi. Incontrerà Maria di Magdala e insieme
vivranno. Quando si sparge la voce dell’arrivo del Messia per
redimere il popolo, che Gesù è il figlio di Dio, compie miracoli, i
discepoli sono i suoi seguaci, è ricercato da Erode. Gesù, il figlio
di Dio dovrà morire sulla croce perché si compia la volontà del
Padre. Sotto l’accusa di essersi proclamato re dei Giudei e di aver
sollevato il popolo per detronizzare Erode e cacciare i Romani dal
paese per impadronirsi dei domini al potere di Cesare, Gesù sarà
arrestato e condannato alla crocifissione sul Golgota. Gesù quando
la vita comincia ad abbandonarlo, all’improvviso, il cielo sopra il
suo capo si spalanca e appare Dio: “ Tu sei il mio diletto figlio,
in te ho riposto la mia gratificazione”, allora, Gesù capisce di
essere stato portato all’inganno come si conduce un agnello al
sacrificio e pensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe
nato spargendosi per tutta la terra, esclama rivolto al cielo, dove
Dio sorrideva:” Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha
fatto”. Un paradossale rovesciamento delle parti, una grande
inventiva dello scrittore, quando l’arte supera e non arretra
davanti a nessun dogma o imposizione scesa dall’alto.
L’autore: Josè Saramago (Azinhaga
1922), il più importante scrittore portoghese contemporaneo, Premio
Nobel per la letteratura nel 1998. Tra le sue opere pubblicate da
Einaudi: “L’anno della morte di Ricardo Reis”, “La zattera di
pietra”, “Cecità”, “Oggetto quasi”, “Tutti i nomi”, “La caverna”…
Arcangela Cammalleri
Dio non ha la barba
di Gianluca Ferrara
Edizioni Creativa
In copertina disegno
di Oscar Celestini
Saggistica
Il titolo può far
sorridere, ma questo saggio di Gianluca Ferrara non ne ha
assolutamente l’intenzione, anzi è un’opera in cui la serietà deriva
dalla presa di coscienza sul perché dell’esistenza.
Preceduto da una bellissima introduzione di Padre Alex Zanotelli,
che consiglio di leggere per apprezzare le pagine successive, è un
libro indirizzato ai credenti di qualsiasi confessione, ai non
credenti, agli atei e perfino agli agnostici.
Al riguardo, basti pensare che non c’è bisogno di essere un fervente
cattolico per condividere quanto Ferrara espone con una scrittura
semplice, ma efficace.
Diviso in brevi capitoli, affronta tutti i temi dell’esistenza, il
perché siamo al mondo, il perché moriamo, tanto per citare gli
argomenti più rilevanti.
Ci sono dei passi che potranno sembrare rivoluzionari, ma sono
invece propri di chi crede nell’uomo e nel messaggio di Cristo. Mi
riferisco all’immagine di una Chiesa della semplicità e della
genuinità, che, come indicato da Padre Zanotelli, dovrebbe
rinunciare a essere religione civile e diventare invece una
coscienza critica per la società.
In questo saggio, al di là della profonda fede dell’autore, c’è una
ricerca a tutto campo della spiritualità, con quel perseguire lo
scopo di comprendere perché ci siamo e come dovrebbe essere
l’umanità.
Le idee enunciate collimano quasi del tutto con le mie e soprattutto
quel concetto di passaggio breve sulla terra dove, anziché
azzuffarci, dovremmo darci una mano, perché il vero tempo è quello
dell’eternità.
Quindi raccomando vivamente la lettura di queste pagine, non
imperative, non categoriche, ma rette da una forza che sembra
prorompere dall’anima.
E a proposito del titolo, il Dio con la barba, accigliato,
vendicativo è quello creato dagli uomini, è il dio degli eserciti,
dei potenti, dei padroni, degli affamatori, mentre quello glabro è
il Dio che ha fatto dono all’umanità di esseri celestiali come Madre
Teresa di Calcutta, Martin Luther King e Gandhi, tanto per citare i
più noti, ma la lista comprende tutti quelli che calpestano il suolo
del pianeta con l’animo puro e con la bontà del tutto
disinteressata.
Non è un testo teologico e nemmeno religioso, è un volume la cui
lettura, mano mano che procede, riesce a donare un senso di vitale e
appagante serenità.
Un’ultima annotazione, doverosa, a riprova della coerenza
dell’autore: i proventi della vendita
saranno devoluti all’Associazione Tam Tam per Korogocho per il
sostegno dei bambini della baraccopoli che, per attutire la fame,
sniffano la colla.
Gianluca Ferrara,
laureato in Scienze Politiche a pieni voti presso
l'università Federico II di Napoli, ha collaborato su Internet a
riviste letterarie e culturali su argomenti d'attualità e saggi a
sfondo sociale.
Nel 2000 ha pubblicato “Viaggio nella droga proibita” ,
presentato al Salone del Libro di Torino, e vincitore del premio
letterario internazionale “Mondolibro”, è stato inserito in
prestigiose antologie letterarie. Un saggio sulla droga, la cui
introduzione è stata effettuata dall'onorevole Ernesto Caccavale,
che ha riscosso notevole interesse tra gli addetti ai lavori. Ad
esso hanno partecipato attraverso interviste e testimonianze l'ex
commissaria europea Emma Bonino, il ministro Maurizio Gasparri, il
direttore del giornale di San Patrignano Forquet. Nel 2005 gli è
stato conferito il diploma speciale dalla giuria del Gran Premio
Letterario Europeo Penna d'Autore.
Nel 2004 ha pubblicato il romanzo “Più forte del destino”
di cui si sono occupato diversi giornali e riviste tra cui:
Famiglia Cristiana, Il Mattino, La Nazione , Il Convivio Il
Manifesto . Di recente gli è stato conferito un riconoscimento
speciale della giuria del concorso “Per non dimenticare” organizzato
dalla Tavolozza ed è risultato il più votato da una giuria di
studenti di venti scuole aderenti al premio letterario “Per non
dimenticare”.
Nel 2006 ha pubblicato due racconti esilaranti “Racconti
transgenici” che hanno riscosso un buon riconoscimento di vendite e
di critica.
Nel 2006 ha pubblicato il saggio “Dio non ha la barba” la cui
introduzione è stata curata da padre Alex Zanotelli. Del testo ne
hanno parlato radio, quotidiani e TV nazionali. Ha ricevuto ottime
recensioni ed è stato presentato in diversi luoghi anche in
occasioni di manifestazioni culturali e a sfondo sociale.
In futuro sono previste due importanti pubblicazioni.
Renzo Montagnoli
La saggezza di Toni
di Valentino Rocchi Giraldi
Editore
Narrativa - romanzo
Legato alla sua terra, alla vita delle piccole realtà
prevalentemente rurali, Valentino Rocchi riesce a costruire storie
che avvincono, che mantengono interessato il lettore dalla prima
all'ultima pagina.
E così non c'è da stupirsi se La saggezza di Toni mi ha
imposto, ossessivamente, di accelerare i tempi di lettura per
giungere al termine, soddisfatto certamente, ma anche con il
dispiacere che tutto fosse finito.
Ho allora preferito intraprendere una seconda rilettura per
soffermarmi su parti di autentico interesse letterario. Non mi
riferisco alle descrizione dei luoghi, alla caratterizzazione dei
personaggi o alla capacità di ricreare atmosfere, tutte peculiarità
dell'autore che ho già piacevolmente sperimentato negli altri suoi
testi che ho avuto il piacere di leggere (La Magìa del Fuoco,
L'eredità di Venanzio e Gli uomini di Bluma). Eppure
quest'arte di far sapientemente immaginare figure, luoghi e
situazioni non è certamente comune, tanto più che non è realizzata
in modo lezioso, ma con progressivi aggiustamenti, talvolta anche
solo con poche parole, studiate, ricercate e messe lì al momento
giusto.
In realtà mi riferisco a qualche cosa d'altro, vale a dire alla
tematica di questo romanzo, imperniato su due personaggi a dir poco
particolari.
Toni è conosciuto dalla gente del posto come uno un po' strano, un
ragazzo che è stato in manicomio e da cui è uscito con una diagnosi
di pazzia solo perché ha avuto il coraggio e la forza di reagire
alle angherie di un'insegnante, senza peraltro che gli abbia torto
un capello. In effetti è normalissimo, un po' chiuso, ma perché si è
proposto di tenere dentro di sé qualsiasi cosa, ogni offesa, senza
mai reagire. E' intelligente, mite e capace, eppure quel breve
internamento è stato sufficiente perché il paese lo consideri come
il matto. Il suo amico più fidato, Paolone, è un soggetto un po'
strambo, ma pure lui, per quanto frequentemente ricoverato
nell'ospedale psichiatrico per motivi di opportunità familiare, non
è un pazzo, anzi è una pasta d'uomo.
Allora, se le cose stanno così, com'è possibile definire il concetto
di pazzia? Non è forse perché tutto ciò che viene compiuto in
difformità delle abitudini di una comunità deve essere esecrato,
bollato con il marchio infamante della malattia mentale?
Sono le domande che si pone Valentino Rocchi, delineando due
protagonisti di naturale simpatia, prodigandosi a mostrarceli con
gli occhi di chi è al di fuori di quell'ambiente che non li
respinge, ma nemmeno li accoglie.
La sua è una fine analisi sociologica, che porta alla conclusione
che il senso comune prevale su quelle che sono le opinioni dei
singoli, una forza aberrante che ha la stessa potenza della
maldicenza.
Eppure se ci sono due uomini degni di chiamarsi tali, in un periodo
buio come gli ultimi mesi di guerra, sono proprio loro, Toni e
Paolone, che vedono, avvertono, si prodigano in silenzio per aiutare
chi ha bisogno. Quasi respinti dalla loro comunità, ne entrano a far
parte di diritto per la capacità di andare oltre i luoghi comuni,
per quella loro individualità sorda a qualsiasi chiacchiera.
La storia ha un lieto fine a metà, perché uno dei due non ce la farà
a rientrare da vivo nella piccola società del borgo, ma la sua morte
avrà un altissimo significato, tale da riabilitarlo agli occhi di
tutti.
In questo romanzo, inoltre, c'è un'ulteriore novità, costituita
dall'ingresso dell'erotismo nella tematica usuale di Rocchi. E' un
terreno pericoloso e difficile, che può portare all'ilarità e anche
al disgusto, ma è proprio in questo campo che si può vedere la
maturità e la capacità dell'autore.
Con Rocchi c'è prima di tutto l'amore e poi l'erotismo, ma con
descrizioni di rapporti fra i veli, in cui si vede e non si vede, in
cui si lascia intendere e non si dice, dove il rispetto per i
protagonisti e il lettore è attuato con pudore e non con
compiacimento. La mano è sempre leggera e così chi legge può vedere
come vuole, può intendere secondo il suo sentire, senza la minima
forzatura e, soprattutto, con dolcezza.
La saggezza di Toni è un gran bel romanzo, forse il migliore
fra quelli che ho letto di Valentino Rocchi.
Valentino Rocchi, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone. Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e trame avvincenti, dopo una vita di intenso lavoro.
Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Ed. Il Ponte Vecchio);
"L'Eredità di Venanzio" vincitore del Premio letterario "Il
Pungitopo" 2002 (Ed. Guaraldi);"Gli uomini di Bluma" II classificato
Premio Letterario "Palazzo al Bosco", 2002 (Ed. Giraldi);"La
saggezza di Toni" (Ed. Giraldi);"Notte all'Hostaria La Guercia -
Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Ed. Argalia),
pubblicato nell'anno del V centenario della morte di questo
personaggio dalla vita straordinariamente avventurosa. Il romanzo è
ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è studioso e
conoscitore. L'ultima pubblicazione in ordine di tempo è "La Magìa
del fuoco". (Agemina).
Renzo Montagnoli
I “Canti Celtici”
di Renzo Montagnoli Edizioni Il
Foglio letterario
Letti da Pina Vicario
Un tessuto sottile di smemorante ebbrezza ci
avvolge nel leggere “I Canti Celtici” di Renzo Montagnoli. I
motivi immaginifici e fiabeschi, come mito rigenerato, ci immergono
in uno scenario bucolico, dove il fiume e le sue acque - amore
primigenio del poeta - giocano un ruolo di incantamento, segnato
spesso da timori e turbamenti che ci riportano fuori dalla magia
ritmica del verso per farci sprofondare nella brutale realtà di un
quotidiano sconsolato e avvilente.
Il sogno, come tutti i sogni, si disperde nell’assurdità di un
presente precario e di un futuro neppure ipotizzabile dall’odierna
visuale ecologica così problematica.
... La mente corse invano all’acqua/increspata dalla brezza del
mattino,/ e sul fondo non vide che lo spesso strato del limo...
(La ninfa del Lago).
Dalle pagine dei “Canti Celtici” ci giunge un alitare di immagini
lievi, “il plenilunio”, “la voce grave e possente del
fiume” le “file di salici, chinati sull’acqua” i “canneti
ondeggianti nel vento” “le ninfe” che si specchiano
nell’acqua, “gli argentei riflessi dei piccoli pesci” ma
anche le riflessioni più crude e implacabili: “Ormai quelle ossa
son polvere/ impalpabili come il ricordo/ che ci illuderemo di
lasciare/ a posteri già nati senza memoria.
Il senso del colore, il narrare con tonalità fiabesche, il rimpianto
del passato, il ritmo interno del verso costituiscono una costante e
il fascino de “I Canti Celtici”.
Nelle liriche di Renzo Montagnoli c’è dunque sempre una pennellata
suggestiva, uno scatto coloristico, surreale, una visività palpabile
del paesaggio, del territorio, della sua terra, del mito stesso,
anche se a volte vengono adombrati da un pessimismo amaro e
doloroso.
La poesia, più di ogni altra forma letteraria, fa la storia
dell’uomo.
Le idee, le riflessioni, le introspezioni sono momenti irripetibili
che solo un poeta sa raccontare con la levità del sogno. Ma dentro
il sogno è racchiusa la realtà più vera e vibrante, perché la parola
del poeta è religione ed è anche veggenza oltre che consapevolezza
di vita.
Il campo del vasaio di
Andrea Camilleri ed.Sellerio
Teatro tra le quinte e teatralità a scena aperta: complimenti
Montalbano!
Romanzo: narrativa
Tra tutti i romanzi in cui è protagonista il nostro beneamato
commissario vigatese, questo è il più “maturo”( se posso permettermi
l’aggettivazione), il più compiuto e il più meditato; è come se
Camilleri avesse completato un quadro pittorico dando le ultime
pennellate ai colori e ai tratteggi consegnandoci un Montalbano di
grandissimo spessore; tra le pieghe sempre più scavate del suo animo
ora ricche di perfido sarcasmo ora di gaudente goduria culinaria ora
di amarume venefico, s’intravede un uomo meno ripiegato su se stesso
come se la vecchiaia incombente lo tradisse e, a tradimento, lo
disvelasse nelle sue intime fragilità.
I romanzi camilleriani sono come delle magnifiche uova pasquali,
sempre sorprendenti e mai scontati! In quest’ultima “Fatica”
letteraria due sono i colpi di genio, le alzate d’ingegno
architettate con sottile arguzia dall’autore: il riferimento biblico
(Il Vangelo di Matteo), l’autocitazione (Montalbano legge
Camilleri). E’ tanta la materia argomentativa, a mio parere, da
trattare e rilevare che rischio di essere sommersa “dal mare grosso
“Incaniato” che doveva essersi mangiata la spiaggia …” La storia, in
breve, è il ritrovamento di un cadavere, dentro un sacco nero della
munnizza, fatto a pezzi (30 ), dopo essere stato giustiziato con un
colpo di pistola alla nuca, nel campo del vasaio, appunto, “ U
critaru”. Sembrerebbe un delitto di matrice mafiosa, il cui modus
operandi dell’ammazzatina simbolicamente richiamerebbe il tradimento
di Giuda per trenta denari, il prezzo del sangue di Cristo. Ma,
risalendo a tutta una tradizione artistico letteraria che da
Pirandello porta a Sgalambro- Battiato: niente è come sembra, niente
è come appare, perché la realtà non sempre è quella che cade sotto i
nostri occhi, ma sta dietro le cose, dietro le persone. All’acume di
Montalbano che non si accontenta delle apparenze, il fatto si
presenta in tutto il suo groviglio inestricabile la cui verità va
ben donde.
Nemmeno Dolores “ Dolorosa” per l’immarcescibile e impareggiabile
Catarella, femmina straniera, colombiana di “perigliosa” bellezza,
pareva finta, ma era vera, (Eccome era vera!), non sufficientemente
adusa alla sottigliezza sicula di Montalbano, riuscirà a sparigliare
le carte. Montalbano è sì stravolto dallo sciauro di cannella di
questa conturbante donna, ma non al punto tale da non riuscire a
governare corpo e mente. Attraverso una messinscena teatrale, quasi
grottesca, scioglierà il “gliommero” che lo avviluppa e
rocambolescamente sottrarrà l’amico Mimì invischiato nella rete
della maliarda e a mettere a posto ogni cosa (come gli dirà con
ammirazione il buon Fazio).
Se l’ingegnosa apertura del romanzo è teatro allo stato onirico, la
scena matre è l’ autodifesa, per la calunnia sul suo conto,
interpretata platealmente e con sommo sdegno davanti al questore,
infarcendola, al pari di un attore consumato, con dei titoli di
romanzi di Dostoevskij, ma la conclusione di esso è melanconica e
dolente di opera dei pupi, metafora della vita, in cui Salvo ad ogni
rappresentazione che riusciva a portare a termine, la fatica si
faceva ogni volta cchiù grossa, cchiù pisanti. Fino a quanno avrebbe
potuto reggere?
Il tono di tutto il romanzo è percorso da una vena dolente che
macera il nostro commissario e noi partecipi lettori, cadenzata da
interludi paesaggistici dove il mare è lo sfondo permanente e dove
l’ironia sardonica raggiunge apici altissimi. Mai la vis beffarda e
graffiante di Montalbano ha toccato ed intaccato così tanto il suo
sentire e fiutare le cose, mai i suo soliloqui sono stati dei
promemoria in cui si squadernano le sue intuizioni e la loro
consequenziale soluzione.
Mai lo avevamo visto e sentito così toccato nel profondo dagli
eventi quando questi toccano persone che ama e stima, sconquassato
dalle lacrime e dalla pena interiore simile ad un eroe tragico, ma
stanco. Pronto a inscenare farse degne di un teatrante di burattini
pur di perseguire machiavellicamente intenti necessari all’uopo (
non per fini utilitaristici o personali).
Un Montalbano, quasi inedito? Lui, di persona, pirsonalmente va per
ben due volte a Boccadasse, a starsene a guardare il mare che, a
Vigata o a Boccadasse, sempre mari è. Mah! Non ce la conta giusta,
cosa sta a significare?
Non c’è che dire, la penna infallibile di Camilleri ha fatto, ancora
una volta centro, ma fino a quando… Montalbano potrà resistere ed
esistere ? L’ardua sentenza ai posteri?
L’Autore: Andrea Camilleri è
nato a Porto Empedocle nel 1925. Ha esordito come romanziere nel
1978 con “ Il corso delle cose”(ed. Sellerio). Della sua ricchissima
produzione, citiamo, tra le varie opere: “ Il ladro di merendine”, “
La forma dell’acqua”, “ Il cane di terracotta”, “La voce del
violino”, “La gita a Tindari”, i più recenti, “La pazienza del
ragno”, “ Le ali della sfinge” etc…. Pubblicati da Sellerio, questi
romanzi di successo hanno, come protagonista, il commissario
Montalbano, i cui episodi hanno ispirato una straordinaria serie TV
di altrettanta popolarità.
Arcangela Cammalleri
I confini del tempo di
Pina Vicario Edizioni Agemina
Presentazione di Luigi Tassinari
Prefazione di Vincenzo Armone
Poesia - raccolta
Ogni volta che apro un libro di poesia è necessario che dimentichi
che ne scrivo anch'io; ciò per spogliarmi di quella naturale
tentazione di fare un raffronto, dal quale inconsciamente uscirei
inevitabilmente vincitore.
Leggere le poesie di un altro autore deve prescindere dal fatto che
debba sussistere una valutazione con la propria produzione, ci si
deve spogliare della veste di poeta per accedere umilmente all'arte
altrui, consapevoli che in tal modo ci si può immergere nelle
emozioni e nei sentimenti che vengono espressi in versi.
Ciò premesso, ho per le mani una raccolta di sillogi di Pina Vicario
dal titolo I confini del tempo; conosco Pina, non
personalmente, ma come autrice, tanto che alcune - in verità poche -
poesie fanno bella mostra sul mio sito Arteinsieme. Ha un suo stile
personale che porta a un fluire dei versi quasi naturale, con la
caratteristica di una immediatezza che consente di comprendere
abbastanza facilmente il senso dell'opera.
In questa raccolta sono presenti sette sillogi tematiche oltre a
un'ottava assai piccola (tre poesie non accomunate al punto che
giustamente al contenitore è stato dato come titolo VARIA ET
FRAGMENTA).
Il mondo poetico di Pina spazia quindi fra gli argomenti più
disparati, in una sorta di impressioni che ha voluto manifestare per
sé e per gli altri.
Il volume inizia con Le metamorfosi, con largo riferimento a
quelle che avvengono in natura (semplicemente stupenda quella della
foglia), ma anche a quelle dell'animo (Metamorfosi di un'idea). Si
passa poi all'Album delle Brume, dove la natura e
l'introspettiva risultano ancora sovrane.
Più raccolta, in sé, è la terza silloge (L'Essere) in cui la
riflessione intima, pudica, si espande su temi meno terreni e più
riferibili alla filosofia.
Nella quarta, Le Oscurità della Storia, riscontro una certa
inclinazione a fatti e temi attuali, ovviamente visti poeticamente,
come Nel Golfo Persico o nella struggente Morte di un
bambino in guerra (Abbandono la mia vita/su questa terra contesa
e vilipesa/dai potenti alchimisti/del fuoco!/…), oppure c'è una
fonte di riflessione che porta a Il Tempo nella Storia (E'
confinato/nei forzieri ingannevoli/della memoria/il tempo della
storia./…).
La quinta silloge si intitola I giorni e qui domina il tempo
come in Ciclo vitale (Beffarda / l'aurora / sfuggì alla notte
/ amalgamando / il suo sfumato rosa / col chiarore del giorno. / Ma
la notte / - in agguato - / righermì / al tramonto / i suoi
colori.), dove nascita e rinascita del giorno sono dipinte con un
cromatismo soffuso e dove le parole diventano immagini che parlano.
C'è poi la poesia che dà il titolo all'intera raccolta, un testo
breve, sintetico, ma un flash improvviso che squarcia il silenzio di
una vita proprio ponendone i limiti ( La mia frontiera se / o TEMPO
sconfinato! - / Mi disserri gli spazi / e li rinchiudi / passo su
passo / respiro su respiro. ).
La sesta silloge si intitola Dediche e inizia con
un'autentica perla, Per antichi sentieri (Pianeti azzurri /
scaglie d'infinito / nuvole vaghe / in cerca di una zolla / -ruvida-
/ cui affidare il pianto / l'abituale pianto / dei sentieri antichi.
/…), ma anche le altre poesie non sono da meno e i destinatari delle
dediche o sono amici e conoscenti, oppure ignote, ma emblematiche
figure, come il disertore sconosciuto de L'ultima visione (Il
drappello arrancava / per balze, rupi / e viottoli d'ortiche. /…).
La settima fatica è un atto d'amore e d'onore ai Paesi, fra i
quali non poteva mancare Firenze, una lirica dolente sul
disfacimento di una città in un tempo non così lontano culla d'arte
e di cultura. Ma un atto d'amore è anche per un luogo meno
blasonato, ma ancora puro e intatto santuario della natura, a quella
Marina di Cecina i cui i primi due versi definiscono in modo
assoluto e completo il motivo della sua bellezza (Un lembo di
spiaggia / vuota. /…).
I confini del tempo è un libro da cui la poesia prorompe in
tutte le sue sfaccettature, è una raccolta in cui Pina Vicario ha
profuso il suo impegno poetico relazionandosi continuamente con il
suo io e i fatti, gli aspetti, le problematiche del mondo reale che
interagisce con lei.
Emerge così la figura di una poetessa sensibile agli aspetti
essenziali della vita e che senza tante perifrasi o arrampicate
sugli specchi riesce a ritrasmettere ciò che, rielaborato, è stato
fatto proprio dalla sua anima.
Non c'è freddezza in queste poesie, c'è invece tanto sentimento,
tanta passione, tanto sdegno anche; c'è una persona viva, un essere
che s'apre al mondo per dialogare, per trasmettere senza clamore la
forza del suo sentire.
Il libro mi è piaciuto molto e perciò, più che consigliarne la
lettura, la raccomando vivamente.
Pina Vicario ha pubblicato:
Pinocchio in rime - 1982 (Agemina) - Il Donatello - Firenze - Premio
speciale della Giuria;
I risvolti della memoria - poesie - 1988 (Agemina) -
Premio Il Fiorino d'Oro - Firenze-Europa;
L'albero delle lune - romanzo - sceneggiato e trasmesso in due
puntate, per il programma radiofonico regionale toscano "Freschi di
stampa". Regia di Gabriele Parenti.
Le strane avventure di mamma chioccia e Tip Tip - narrativa ragazzi,
utilizzato per i progetti di lettura nelle scuole elementari.
Ha collaborato con Paese sera, con Il Tirreno, e con varie riviste
culturali.
Attualmente dirige le Edizioni Agemina - Firenze.
Renzo Montagnoli
Erich M. Remarque -
Tempo di vivere, tempo di morire -
Mondadori
Recensione a cura di Carmen Lama
È un libro che racconta la morte e la vita. Mi ha tenuto col fiato
sospeso dall'inizio alla fine. Ogni pagina, ogni frase è una
ricerca, una visione, una domanda. La risposta è sempre implicita.
C'è il senso di realtà tragica insieme al senso di disperazione e di
speranza.
C'è la vita che spunta dalla morte, da ogni morte, da tutte le
morti. E spunta con stupore, ma con determinazione, la si costruisce
inconsapevolmente perché la si desidera fortemente. Spunta anche nel
senso dell'ironia che a volte prevale e nasconde la malvagità,
confinandola nei cuori nemici o cattivi e malvagi, non importa se
del proprio o dell'opposto fronte.
C'è lo strazio e la desolazione dell'anima di fronte a tanta
miserabile vergogna umana, disumana.
C'è lo struggimento che non si trasforma mai in pietà o
commiserazione né per se stessi né per altri, ma è consapevole,
rivolto a tutti gli affetti vecchi e nuovi, ed è un cammino
soffocato dell'anima.
C'è il senso dell'individualismo portato all'estremo, per la propria
sopravvivenza ad ogni costo. E c'è il senso dell'altruismo per
difesa o per opportunismo, ma anche per rinsaldare affetti, per
combattere la solitudine, per sperare insieme. Ed entrambi
coesistono nella stessa persona, che può essere malvagia,
oppressiva, prepotente, assassina con alcuni, e tenera appassionata
buona con altri.
Emerge un animo umano, non solo del protagonista ma anche di altri
personaggi, complesso, disorientato per la propria stessa
complessità e contraddittorietà, capace di giustificare qualsiasi
azione come "così dev'essere!", data l'eccezionalità della
situazione, dove mors tua equivale a vita mea, in ogni caso.
C'è il senso e l'arte dell'arrangiarsi e lo sviluppo accelerato di
capacità adulte che convivono in un animo ancora bambino, ancora
capace di stupore, di meraviglia, di tenerezza, ancora desideroso di
carezze materne, di affetti, di sogni.
Ci sono la paura e il terrore negli occhi, nella mente, nel cuore,
ma insieme la capacità di cancellarli, di annullarli, di relegarli
in angoli fuori portata di sé come appartenenti ad altri da sé, come
fossero proiettati nello spazio infinito indefinito, per tenere
salda la ragione e la capacità di servirsene nei momenti più
terribili e bui dell'esistenza che è condotta da altri, dal destino,
non guidata da se stessi.
Paradossalmente tanta negatività genera la capacità di apprezzare le
cose semplici della cui esistenza ed essenza in condizioni normali
neppure ci si accorge né si ha consapevolezza.
C'è anche il senso di responsabilità spinto al più alto grado, ad
esempio nel protagonista, anche quando non crede più in quello che è
obbligato a fare e tuttavia rientra al fronte al termine della
licenza. E non è dettato (o forse sì?) soltanto dalla paura di
essere sottoposto a folli punizioni o addirittura alla condanna a
morte, ma sembra anche un modo per sentirsi a posto con la propria
coscienza e, magari, un modo per esorcizzare la crudeltà del destino
che non potrà (non lo si vorrebbe) accanirsi contro chi fa il
proprio dovere(!), così come tale dovere è in quel preciso momento
storico concepito da chi ha potere di vita e di morte sui cittadini
del proprio stato e di quelli alleati e nemici.
Il finale dice molto chiaramente che non si può -non-si-deve!-
essere buoni in certe condizioni, che non si può
-non-ci-si-deve-fidare- dei nemici non solo quando si sono
esasperati con efferatezze ingiustificabili, ma forse "mai"! Il
clima di diffidenza reciproca, quando si è manifestato,
difficilmente può essere riportato alla fiducia. E la fine del
protagonista, dovuta alla sua intima bontà e al senso di giustizia,
mi è parsa assurda!
Carmen Lama
Gli uomini di Bluma di
Valentino Rocchi Giraldi Editore
Narrativa - romanzo
Questo, dopo La Magìa del Fuoco e L'eredità di Venanzio,
è il terzo romanzo che leggo di questo bravo autore pesarese.
Gli uomini di Bluma ha un'ambientazione legata sempre alla terra,
comune denominatore dei lavori di Rocchi, e l'epoca della vicenda è
quella che va dagli ultimi mesi della seconda guerra mondiale agli
anni del boom economico.
Come caratteristica dell'autore il romanzo si compone di due parti,
una prima che costituisce di fatto il nucleo principale dell'intera
storia e l'altra che è un suo sviluppo in epoca successiva.
Bluma è una giovane che cresce in un casolare, figlia di un povero
padre malato di tisi, che è una tara familiare, e di una donna quasi
misteriosa, un'armena che comprenderemo come sia capitata nel nostro
paese.
Secondo me, questa prima parte è veramente splendida, ricca di
inventiva, di colpi di scena, con una tensione anche da giallo (e
questa volta ci scappano veramente i morti ammazzati), con
personaggi disegnati con la consueta abilità che è nel dna
letterario dell'autore.
Troviamo ritmo, colpi di scena, l'amore viscerale per la terra,
insomma pagine che non solo sono piacevoli da leggere, ma che
portano anche significati di notevole spessore, in cui la figura
femminile, rappresentata da Lulugi, madre di Bluma, assurge a
simbolo della fierezza delle donne che hanno subito e subiscono i
soprusi degli uomini.
La seconda parte, che parla soprattutto di Bluma adulta, è invece
più convenzionale, dai toni drammatici spesso accesi che, senza
togliere nulla alla gradevolezza dell'opera, spengono però un po'
l'originalità dell'intera opera; soprattutto, si avverte un salto
nell'evoluzione della trama non attento e curato come nelle due
opere che ho citato sopra.
Resta comunque un romanzo di ottimo livello, piacevole da leggere e
anche avvincente.
Per quanto ovvio, lo consiglio caldamente.
Valentino Rocchi, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone. Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e trame avvincenti, dopo una vita di intenso lavoro.
Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Ed. Il Ponte Vecchio);
"L'Eredità di Venanzio" vincitore del Premio letterario "Il
Pungitopo" 2002 (Ed. Guaraldi);"Gli uomini di Bluma" II classificato
Premio Letterario "Palazzo al Bosco", 2002 (Ed. Giraldi);"La
saggezza di Toni" (Ed. Giraldi);"Notte all'Hostaria La Guercia -
Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Ed. Argalia),
pubblicato nell'anno del V centenario della morte di questo
personaggio dalla vita straordinariamente avventurosa. Il romanzo è
ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è studioso e
conoscitore. L'ultima pubblicazione in ordine di tempo è "La Magìa
del fuoco". (Agemina).
Renzo Montagnoli
Cantastorie
della rivoluzione Nâzim Hikmet - Joyce Lussu - Velso
Mucci di
Giacomo D’Angelo Edizioni
Solfanelli
Copertina di Piero Orsi
Saggistica letteraria
Nazim Hikmet è un
poeta indubbiamente conosciuto in occidente per le sue stupende
liriche d'amore, che ancor oggi mostrano una freschezza e una
vitalità veramente sorprendenti.
Quello che meno si conosce di questo grande autore turco è il suo
impegno rivoluzionario e la sua arte poetica connessa.
Ha provveduto alla bisogna Giacomo D'Angelo con un breve saggio (64
pagine) intitolato Cantastorie della rivoluzione, con il
preciso fine di denunciare il silenzio critico calato in Italia su
questo grande artista.
Ha così scritto una biografia dettagliata sulla sua vita
avventurosa, sulla sua passione politica che lo costringerà
all'esilio nella Russia sovietica, dove morirà per un attacco
cardiaco.
In questa sorta di rivisitazione viene evidenziato il carattere
politico dell'altra sua poesia, tanto per intenderci quella che da
noi è meno nota.
La vicenda storica di Hikmet viene poi collegata a quelle di altri
due poeti che ebbero rapporti con lui in qualità di traduttori e che
stranamente sembrano essere caduti nell'oblio, Joyce Lussu e Velso
Mucci.
E' una lettura agevole, anche se devo dire che D'Angelo ha calcato
un po' troppo la mano sullo spirito rivoluzionario, quasi a
sostenere la tesi che la trascuratezza dei critici e degli editori
per la poesia di Hikmet debba dipendere esclusivamente dal suo credo
marxista e dalla sua indole sovversiva, circostanza di cui
francamente dubito; infatti, non si spiegherebbe allora perché
continuino a essere pubblicate le sue splendide liriche d'amore.
D'altra parte il compito dei critici è quello di approfondire quei
lavori del passato che abbiano ancora una valenza e francamente
quelle poche poesie di impegno politico e rivoluzionario che ho
avuto l'opportunità di leggere mi sono sembrate anacronistiche,
perfino anomale come forma di protesta, del tutto superate dai tempi
e dagli eventi.
Al contrario le sue liriche d'amore restano tuttora valide, vitali,
riescono ancora a incantare e a stupire.
Nel complesso, comunque, il saggio ha il particolare pregio di
svelarci aspetti della vita e dell'arte di Hikmet senz'altro poco
noti e pertanto rappresenta un utile elemento di integrazione
cognitiva per chiunque si appresti a esaminare con spirito critico
la sua opera poetica.
Giacomo D’Angelo (Bolognano,
1939), pubblicista, vive e lavora a Pescara. Ha collaborato a
quotidiani, riviste, RAI regionale, emittenti radiotelevisive
private, con articoli letterari, scritti polemici e di costume,
rubriche di libri. Redattore per venti anni del periodico “Il
dibattito”, attualmente scrive sulla “Rivista Abruzzese”, “Oggi e
domani”, “Vario”, “Il Sale”.
Ha pubblicato in volume: Mi dichiaro estraneo (Samizdat,
Pescara 1998), Un passeggero in transito (Samizdat, Pescara
2000), “Introduzione” a Luciano Bianciardi, Un volo e una canzone
(ExCogita, Milano 2002), “Introduzione” a Orio Vergani, Quando
Gabriele s’innamorò di quella comica (Textus, L’Aquila 2005),
Raffaele Mattioli in L’Abruzzo nel Novecento (Ediars,
Pescara 2004), L’infinito di un estroso fanciullo, in Arte
e Dinastia 1895-2006 (La Cassandra, Pineto 2007), L’editoria
in La cultura in Abruzzo dal secondo dopoguerra ad oggi (Ediars,
Pescara 2006), Editoria assistita in Tipografia e editoria
in Abruzzo e Molise (Rubbettino, Soveria Mannelli 2007).
Il suo saggio L’emigrazione e gli scrittori abruzzesi dell’italoamericanità
è nel sito internet della Regione Abruzzo.
Renzo Montagnoli
Dissolvenze
di Antonio Messina Edizioni Il
Foglio Letterario
Prefazione di Patrizia Garofalo
In copertina "Ori antichi" (2005)
di Angela Betta Casale
Progetto ed elaborazione grafica
di Angela Betta Casale
Più di una volta mi sono chiesto se Antonio Messina sia più
narratore o poeta, o se sia entrambi. Mi si potrà dire che queste
capacità di verseggiare o di scrivere in prosa non sono poi così
infrequenti, perché la storia della letteratura presenta non pochi
nomi, come per esempio Gabriele D'Annunzio e Hermann Hesse.
Tuttavia, nel caso dell'autore padovano, ma di origini siciliane, la
questione è un po' diversa e più analizzo i fatti e le risultanze,
più prendo in considerazione l'ipotesi che Antonio Messina sia un
caso a sé, perché come narratore è in bilico sullo spartiacque fra
poesia e prosa, ma soprattutto è un uomo che conduce la propria vita
animato da quel sacro furore che è proprio della poesia.
Costretto suo malgrado a coesistere con un mondo a cui non
appartiene, a verificare ogni giorno le lacerazioni e i contrasti di
un'umanità che sembra implodere sempre di più, Messina si rifugia
nel suo io fatto di poesia, di sogni in cui l'essenza di ognuno di
noi, lo spirito, è il dominus della situazione, una vita
idealizzata, ma teoricamente possibile.
Non a caso ha così scritto prima La memoria dell'acqua, dove
è possente l'anelito a un'esistenza a misura di essere umano,
raggiungibile solo con la presenza, in perfetto equilibrio, di
istinto, armonia e sogno. Questo concetto non è poi avversato o
ribaltato nel successivo Le vele di Astrabat, ma semmai ha un
altro sviluppo in cui l'avversione per l'egoismo, fonte di ogni
male, traspare chiaramente fra le righe.
E ora, a rinsaldare la mia opinione, c'è questa silloge, il cui
titolo, Dissolvenze, già appare foriero del contenuto.
Ma prima di parlare dell'ultima fatica di Messina mi corre l'obbligo
di un cenno alla copertina, un'autentica opera d'arte.
Quel volto di donna in estasiata attesa, incorniciato da un
copricapo istoriato, una sorta di elmo aggraziato, benché
protettivo, mi fa sovvenire i personaggi femminili dei suoi libri di
narrativa. E' un essere non reale, una proiezione del sogno, il
simbolo della creatività di Antonio Messina.
E "Dissolvenze", una silloge di poesie d'amore, benché permeata da
una forte passionalità, non tradisce una visione fantastica con
un'idealizzazione dell'amore.
Prendimi in un volo basso,
con le mani protese,
nel giardino degli angeli,
tra foglie morte,
nell'oscillar di un vento arcano.
…..
Nell'attrazione si sviluppa forte e prevalente l'aspetto onirico,
non è una dichiarazione d'amore, ma un anelito che si sviluppa più
che dall'istinto materiale dal flusso cerebrale del sogno.
Tutto assume contorni irreali a disegnare un sentimento che va
sempre oltre la ragione.
Non è che il mondo presente in queste liriche sia irreale, ma è una
visione dello stesso da parte dell'autore che lo contempla a suo
gradimento, un riflesso della realtà all'interno del suo animo come
lui vorrebbe che fosse.
Si ripresenta quindi lo stesso filo conduttore della sua narrativa,
una visione del mondo ideale, in cui i sentimenti, le emozioni, le
commozioni hanno la più alta dignità e di fatto costituiscono i
rapporti fra gli uomini, oggi invece freddi, spesso addirittura
mancanti.
E' magia la vita,
un sorriso svelato,
la sera che arriva,
due mani protese nel vento,
…….
E' magia sì quel delineare un sentimento con immagini che sembrano
sospese nel vuoto e nel tempo, in una costruzione dove il reale (la
sera che arriva) si coniuga perfettamente con la visione di due mani
che si librano nell'aria.
In Messina c'è tuttavia la dolorosa malinconia per un mondo così
diverso dal suo, in cui l'uomo vaga come uno spettro, carnefice e
vittima di se stesso.
…….
Hanno ucciso l'azzurro,
le notti di marzo,
il canto e la poesia,
sussurri e chiarori in un campo di tenebra.
Non è un urlo, non è un monito, ma è il rimpianto per dover
esistere, per sopravvivere, in una dimensione irreale, per essere
fisicamente presente in quel mondo a cui non gli è tuttavia concesso
di partecipare con l'animo di chi crede ancora nel valore supremo
dei sentimenti.
Tuttavia, non è una vita felice per chi deve rifugiarsi in un mondo
tutto suo, perché è sempre presente il rimpianto per ciò che avrebbe
potuto essere per tutta l'umanità e invece non è stato.
Luce in agonia
Lascerò al vento l'ultimo respiro
fluttuare sospeso fra stelle pendule,
che a celarsi corrono,
nel buio dipinte.
Volerà inerme l'ultimo grido d'amore,
nebbia dissolta in uno sbuffo d'argento,
nei cieli tersi s'acquieterà,
in silenzi infiniti.
Sono stanchi ormai gli ultimi occhi del cielo,
tenebra avanza, raggira le ultime case,
alto nel cielo l'ultimo bagliore divampa,
ma è stella lontana, luce in agonia.
E' un commiato da poeta, un messaggio al presente perché abbia un
futuro, l'ultimo sommesso grido di chi ha avuto due vite parallele.
Sembra già di udirlo a chi ha orecchie per ascoltare col cuore, a
chi è disposto a operare per un mondo migliore.
Silloge indubbiamente ampia, dove le parole s'incastonano come gemme
nell'albero della creatività, Dissolvenze è molto di più di
una raccolta di poesie d'amore, è il canto dell'anima di Antonio
Messina.
Antonio Messina nasce nel 1958 a
Partanna, in provincia di Trapani. Vive a Padova. La sua prima opera
di narrativa L'assurdo respiro delle cose tremule, incontra
l'entusiasmo di molti lettori, ed anche la critica spende parole
d'elogio. L'opera viene recensita su quotidiani, riviste telematiche
e cartacee, e riesce a vendere un buon numero di copie in libreria,
senza nessun supporto pubblicitario, grazie al passaparola dei
lettori. Nel 2006 viene pubblicata la raccolta di racconti La
Memoria dell'acqua - con introduzione di Elisabetta Blasi - per
i tipi de Il Foglio Letterario, Piombino e nel 2007 appare, edito
sempre da Il Foglio Letterario e con nota introduttiva di Monica
Cito, il romanzo Le vele di Astrabat, che, come per le
precedenti opere ottiene favorevoli e positivi consensi dalla
critica e dai lettori.
Renzo Montagnoli
Aurelio Zucchi
- Viaggio in V classe - Il Filo
ed.
Recensione a cura di Carmen Lama
Sorprendente il rumore silenzioso della vita di una classe degli
anni '60 tratteggiato con toni tenui, neppure velati da trasparenze,
ma piuttosto messi sotto una lente d'ingrandimento, dall'autore
Aurelio Zucchi. Si riesce a seguire momento per momento quel che
accade, non soltanto sotto gli occhi di tutti, ma anche nell'intimo
dei vari personaggi. Lo scorrere limpido del discorso permette di
seguire la trama di quest'avventura giovanile destando anche quel
tanto di curiosità che stimola la continuazione della lettura, quasi
tutta d'un fiato, perché si vorrebbe comprendere come e quanto sia
possibile dire di interessante, a partire da fatti più che
quotidiani e quindi quasi banali, su cui normalmente non ci si
darebbe forse la pena di tornare se non col semplice ricordo
frammentato, in relazione magari a semplici episodi rimasti in mente
per qualche particolare strano, o significativo, o divertente, ecc…
In questo libro, invece, viene ripercorsa tutta la storia di una
classe fino a che sia giunta al traguardo della cosiddetta
"maturità", in un contesto socio-politico-culturale importante quale
quello del '68, che però appare soltanto sullo sfondo senza essere
neppure tanto sentito sulla pelle da questi giovanotti, i quali
amano studiare per il gusto di sapere e di apprendere, piuttosto che
per far piacere a genitori esigenti o agli stessi insegnanti portati
a misurare i loro successi e insuccessi in relazione ai risultati
raggiunti dai loro allievi.
La classe di cui tratta Aurelio, protagonista principale in quanto
anche narratore, è sui generis. Non è una classe qualunque. Oserei
dire che mi piacerebbe potesse porsi a modello di come dovrebbero
essere le classi scolastiche, non soltanto negli ultimi anni di
scuola, ma fin dagli esordi, pur tenendo conto della possibilità che
si possano stabilire legami e rapporti tra pari, sempre più stretti
e soprattutto sempre più fecondi, in relazione alle specifiche età
dei ragazzi.
Fare una recensione in piena regola di questo libro non è semplice,
per l'ovvio motivo che non si tratta di un romanzo vero e proprio,
né di una scrittura che possa essere assegnata a una qualche precisa
categoria letteraria, bensì è un'analisi - rivisitazione di una
realtà vissuta, con tutti i risvolti
familiari-comuni-semplici-normali-quotidiani che possono essere
riscontrati in qualsiasi gruppo di giovani amici, anche al di là di
un'appartenenza non scelta come è quella di una classe scolastica.
Eppure, c'è qualcosa di estremamente interessante proprio in questi
vissuti narrati, che non si riferiscono solo al protagonista-autore,
bensì anche agli altri personaggi, così come l'autore stesso li
percepisce e a sua volta li vive e li fa vivere.
Dunque, anche questo mio tentativo di recensire questo libro sarà
sui generis. Sono più facilmente portata a seguire la trama
psicologica e della classe di alunni e del gruppo docente e dei
singoli protagonisti.
Quanto alla classe, mi pare di scorgere una voglia inconsapevole di
farsi valere, di mostrare l'affinità più che la diversità e la
singolarità dei componenti, di mettere in luce il senso di
appartenenza al gruppo in quanto portatore di vantaggi a tutti e a
ciascuno, così come l'affiliazione che è venuta man mano a imporsi
da sé, in un clima che incoraggiava la "gregarietà" piuttosto che
una qualche leadership con annessa subordinazione o, peggio,
competitività. In questo gruppo-classe ha sempre prevalso la
reciprocità, l'aiuto, la solidarietà, l'incoraggiamento e persino l'inclusività
di chi proveniva da un altro gruppo per ripetenza. Sotto questo
profilo, piace pensare, in correlazione, a un gruppo docenti a sua
volta incline a mettere in campo una vera e propria "vocazione" per
l'insegnamento, inteso come "relazione educativa". Se questo fosse
(e fosse stato nello specifico di questo gruppo docenti) l'intento
educativo, si assisterebbe a una gregarietà anche degli stessi
docenti in vista di uno scopo comune che è quello della crescita
umana, sociale e culturale della classe a cui rivolgono i loro
insegnamenti disciplinari. Dove le discipline si porrebbero,
correttamente, soprattutto come mezzi per apprendere non
semplicemente nozioni e concetti, pur importanti, ma per apprendere
ad essere, a pensare, a fare, a rapportarsi da veri cittadini e
uomini consapevoli e responsabili al mondo in generale e agli altri.
Con la consapevolezza, sia per gli alunni che per i docenti, che
l'apprendimento non è solo conseguenza di un buon insegnamento ma
anche e soprattutto conseguenza di un impegno responsabile e di un
coinvolgimento personale pervasivo ed esteso a tutte le aree
disciplinari e a tutti gli aspetti della vita. Quel che si respira,
leggendo lo svolgersi degli avvenimenti scolastici in questa classe,
è proprio questa consapevolezza educativa che si sostanzia
dell'essere reciprocamente responsabili e rispettosi verso i
rispettivi e specifici ruoli, sia da parte degli alunni, sia da
parte dei docenti, per raggiungere risultati soddisfacenti sia in
termini di conoscenze (insegnate/apprese), sia di relazioni e
comportamenti. Non si scorge l'idea di un apprendere "per la vita",
cioè per dopo, bensì, con tutta evidenza si scorge un "vivere al
presente" in un contesto educativo dotato di senso, che prende a
cuore ogni emozione forte riferita al vissuto sia del gruppo classe
nel suo insieme, sia di ogni singolo alunno. C'è un reciproco
sentirsi accettati e stimati per quel che si è e per quel che si può
divenire, sia da parte dei ragazzi che dei docenti.
Quanto ai diversi protagonisti di questa avventura di crescita, ci
sarebbe da fare una sorta di caratterizzazione specifica per
ciascuno, ma sarebbe un discorso troppo lungo, e anche col rischio
che diventi ripetitivo e noioso. Mi limiterò, così, a tratteggiare
brevemente alcuni aspetti che si sono in qualche modo imposti alla
mia attenzione, ad iniziare dall'autore.
Ho percepito chiaramente in Aurelio-ragazzo una forte sensibilità
verso il valore dell'amicizia, che va oltre il senso comune, in
quanto non si limita agli incontri frequenti, alle chiacchierate
confidenziali, alla selezione in base a comuni interessi o a
sintonie e reciprocità. Il giovane Aurelio vive l'amicizia come
attenzione all'altro, specialmente se più debole, più introverso,
più timido, ma anche se troppo spavaldo. Sono descritti momenti di
"apertura" di compagni poco in luce, in quanto si sono sentiti
compresi, hanno sentito la vicinanza di Aurelio (ma anche di altri
compagni) ai loro problemi e la sua voglia di esser loro d'aiuto per
risolverli. Compagni troppo spavaldi hanno "tolto la maschera" e si
sono rivelati in tutta la loro fragilità: si sono sentiti "letti
dentro", smascherati, appunto, ma non per essere umiliati, bensì,
ancora una volta, per essere resi più autentici. E anche tutto il
gruppo classe ha avuto la sensibilità necessaria per "includere" e
far sentire parte del gruppo compagni di nuova acquisizione.
Una lettura ampia degli aspetti psicologici di alcuni ragazzi
descritti in questo libro, non può prescindere da uno sguardo su "le
prime amicizie femminili" e le prime esperienze sul piano dei
sentimenti. Si assiste, in questo caso, a un consapevole lasciare al
margine del gruppo maschile le ragazze, salvo riportare all'interno
del gruppo le confidenze sugli approcci amorosi, per essere
consolati se qualcosa non va, o per essere consigliati nel caso di
esperienze che appaiono poco gratificanti se non addirittura nocive.
In particolare, lo stesso Aurelio si dibatte tra un avvicinarsi e un
allontanarsi da una ragazza, Fabiana, avvincente ma fredda e
soprattutto "leggera". Ed è proprio grazie alla sensibilità e
all'amicizia di un compagno di fine cultura e di profondi
sentimenti, Daniele, che alla fine trova la chiave per risolvere il
dilemma del suo cuore.
Ancora, il senso e il valore dell'amicizia nel gruppo classe si
evidenzia fortemente nel momento della notizia del probabile
imminente trasferimento di Aurelio a Roma. Ci sono i timori di una
perdita, pur accompagnati dalla sensazione che l'esperienza romana
possa essere arricchente per Aurelio. E questi timori sono i
medesimi in tutti, Aurelio compreso, il quale farà di tutto per
rimandare il momento del distacco a dopo il diploma, quando la
classe perderà i suoi connotati e in modo naturale non esisterà più
in quanto tale, nel modo concreto in cui ha avuto la sua vita fino a
quel momento. Ma quell'amicizia va tanto oltre il senso comune, come
dicevo prima, che quel gruppo-classe vive ancora nel libro, grazie
ad Aurelio, ma anche e di nuovo in modo concreto, grazie a quel
legame fortissimo stipulato a suo tempo, che fa sì che ancora ogni
anno ci si incontri e ci si racconti…
Secondo l'angolo visuale da me scelto, il rumore silenzioso della
vita di questa classe, di cui all'esordio di questa analisi, è
invasivo. È rumore esterno, e quindi assordante, quando l'autore ne
descrive i fatti più significativi accaduti, impregnati di vivacità,
di dialoghi, di comunicazione circolare, ma nello stesso tempo è un
rumore interiore, perciò silenzioso, ma più potente, in quanto i
fatti sono accompagnati dai vissuti che a loro volta influenzano i
fatti successivi. È un libro da leggere. Lascia solo in chi legge il
rimpianto di non aver vissuto a suo tempo un'esperienza simile e il
rincrescimento per la sporadicità, o forse per l'eccezionalità, di
esperienze simili in altre classi del passato, o attuali, o future.
Ci sarebbero ancora molte cose da dire, ad esempio riguardo alla
sensibilità di tutti questi ragazzi nei confronti degli aspetti
naturalistici e ambientali: un'affettività rivolta al loro contesto
di vita che diventa parte integrante delle loro personalità e del
loro modo di porsi. Ma è bene lasciare ai lettori la scoperta di
questi e di molti altri particolari importanti, che non ho
menzionato per motivi di spazio, ma anche per non svelare tutto e
subito.
Carmen Lama
Spingendo la notte più
in là di Mario Calabresi
Ed. Strade blu - Mondatori
“Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”
Saggio
I versi che danno il titolo al libro sono tratti dalla raccolta “
L’intermittenza del giallo” di Tonino Milite, l’uomo che ha fatto da
padre a Paolo, Luigi e Mario Calabresi: “ Passa una vela, spingendo
la notte più in là”.
Breve nota dell’autore: il commissario Luigi Calabresi, nato a Roma
il 14 novembre 1937, si occupò, dal 1968, di eversione, partecipò
all’indagine sulla strage di piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre
1969; durante gli interrogatori per la bomba alla Banca nazionale
dell’agricoltura, morì l’anarchico Giuseppe Pinelli, cadendo dalla
finestra del suo ufficio. Calabresi divenne bersaglio di una
campagna di stampa che lo accusava di essere l’assassino di Pinelli.
Prima di veder riconosciuta la sua estraneità ai fatti, venne ucciso
con due colpi di pistola, uno alle spalle e uno alla nuca, il 17
maggio 1972, mentre usciva di casa. Leonardo Marino ex operaio Fiat
ed ex militante di Lotta Continua, accusò Adriano Sofri, Giorgio
Pietrostefani e Ovidio Bompressi come i mandanti dell’omicidio,
Bompressi di essere stato l’esecutore materiale e lui stesso Marino
l’autista dell’agguato. Gli arrestati si sono dichiarati sempre
innocenti.
La memoria del commissario Calabresi è stata riabilitata dopo due
sentenze della Magistratura che ne hanno riconosciuto l’innocenza;
il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito la
medaglia d’oro alla memoria di Luigi Calabresi il 14 maggio 2004.
Nel 2005 le Poste italiane hanno emesso un francobollo
commemorativo.
Il figlio del commissario Luigi Calabresi, Mario, giornalista di
grandi testate nazionali, dopo 36 anni dall’uccisione del padre per
mano delle Brigate Rosse, traduce sulla carta quelli che sono stati
gli avvenimenti tragici e dolorosi che hanno segnato la sua e la
vita di tutta la sua famiglia: vittime misconosciute, i famigliari,
sui quali, spesso, è calato un silenzio pesante, insopportabile.
Come dice l’autore ha sempre paragonato “ciò che ci è successo a un
naufragio, in cui si perde tutto, ci si trova sbalzati nell’acqua
scura e profonda. Si può rimanere alla deriva per anni, per tutta la
vita. Molti delle persone colpite dai terroristi non sono riuscite a
girare pagina, come se il dolore e la rabbia li avessero inchiodati
a quell’attimo”. Mario Calabresi e i suoi fratelli grazie alla
madre, che ha mantenuto sempre un’incrollabile fiducia nella
Magistratura (la cui principale preoccupazione è stata quella di non
far crescere i figli nell’odio e nel rancore), sono stati strappati
alle onde, ritrovando la forza di vivere, spingendo la notte più in
là, anche se è stato un lavoro faticoso e difficile.
Calabresi con animo ancora scosso, oggi, ma rigoroso e pacato scevro
da sentimenti accesi, rivive i fatti, il Terrorismo, i cosiddetti
“Anni di piombo”, quando l’Italia tutta sembrava aver perso il senso
delle istituzioni democratiche: 150 morti nelle stragi italiane; un
silenzio complice la storia del terrorismo rosso.
Egli dichiara che voltare pagina, si possa e si debba fare, ma ogni
pagina ha due facciate, non si deve leggerne una sola, quella dei
terroristi o degli stragisti, bisogna preoccuparsi anche dell’altra:
farsi carico delle vittime. Ma, quando ci si sente dimenticati,
messi da parte o peggio vedere gli assassini del proprio padre,
fratello, figlio, parlare in televisione, ai convegni, nelle
università: come si può pretendere serenità di giudizio? Come si può
chiedere il coraggio della clemenza?
Dopo anni di umiliazioni, ( per il nome del padre infangato),
sofferenze, Calabresi, figlio, ritiene giusto impegnarsi per andare
avanti nel rispetto della memoria del padre; portarlo con sé nel
mondo e non umiliarlo nelle polemiche e nella rabbia. Bisogna
scommettere tutto sull’amore per la vita.
E’ vero che il tempo stempera il dolore e rasserena l’animo
sconvolto dagli affetti spezzati, anche, tragicamente, ( Nessuno
riporta indietro quello che non c’è più ), ma è, anche vero, che
davanti a tanto controllo esercitato negli anni, si resta ammirati e
compartecipi.
In questo libro non si parla di vendetta, ma di giusta giustizia, di
sensibilità ed assistenza, di far luce sulla verità; non viene
negato il recupero, il legittimo reinserimento nella società dei
colpevoli di atti terroristici, ma dovrebbe essere fatto con la
massima discrezione e misura.
Ci rimane ancora un interrogativo: Perché tante vittime? Perché
uccisi?
L’autore: Mario Calabresi
(Milano, 1970) ha studiato storia e giornalismo. Ha lavorato come
cronista parlamentare all’Ansa e alla redazione romana della
“Stampa”. E’ stato caporedattore centrale della “Repubblica”, di cui
è il corrispondente da New York.
Arcangela Cammalleri
Il cerchio imperfetto
di Sabrina Campolongo Edizioni
Creativa
Prefazione di Rosella Postorino
Il cerchio imperfetto è un romanzo dolente, intriso dello
stesso intenso angosciante dolore di cui è preda la protagonista,
Francesca, pittrice di grande talento, famosa per i suoi ritratti
che riescono mostrare l'intima essenza dei soggetti.
Questa donna, ancor giovane e piacente, cerca di cancellare il
ricordo di un'infanzia infelice e, soprattutto, la disgrazia di
avere un figlio ricoverato in un istituto specializzato, perché
autistico e con sintomi schizofrenici.
La sua famiglia - quella che era riuscita a costruire con il
matrimonio - non esiste più, perché il marito, uno scienziato, non
sopportando più il carico di dolore per un figlio irrimediabilmente
perso, è andato a vivere negli Stati Uniti, pur mantenendo saltuari
contatti con la moglie.
L'intima essenza di Francesca è estremamente instabile e la donna è
soggetta ad attacchi di panico, perché per lei il cerchio della vita
è come se si fosse spezzato, senza prospettive, senza futuro, ma
anche senza presente e con un passato che vorrebbe dimenticare.
Gli unici autentici contatti con il mondo che la circonda sono
rappresentati dalle sue amiche, a cui tuttavia non ha mai confessato
il motivo del suo dolore; però, anche loro portano dentro altre
indicibili sofferenze.
Si potrebbero definire più che amiche compagne di sventura, tutte
come lei alla continua ricerca di un equilibrio che le porti ad
accettare la loro esistenza, condizione indispensabile per ricucire
lo strappo nel cerchio della vita.
Sono relazioni di tacita connivenza con la rabbia, la fragilità, la
paura, ma anche con il coraggio di individui solo all'apparenza
nella normalità, ma che hanno scavato un solco nella vita, dentro il
quale si dibattono per cercare di uscirne.
C'è una reciproca tolleranza, un rispetto fra persone consapevoli
del loro stato, memori che il dolore dell'una è anche quello
dell'altra, pur se con motivi diversi.
L'abilità di Sabrina Campolongo nel delineare l'aspetto psicologico
mi ha veramente sorpreso, perché riesce a far entrare il lettore
gradualmente nella mente dei suoi protagonisti. E' un lavoro di
cesello senza forzature e pagina dopo pagina vi sembrerà di essere
con Francesca, avrete l'impressione di scorgere nei suoi occhi il
suo muto dolore, sarete i suoi amici tanto che soffrirete con lei e
nel finale assaporerete lo squarcio di sole nel buio che fino ad
allora aveva tutto avvolto.
No, non temete: l'autrice non è caduta nell'errore di raccontarvi
una vicenda di così intensa sofferenza per poi propinarvi un lieto
finale del tipo " e tutti vissero felici e contenti". C'è una
schiarita , ma i fatti restano, quello che cambia è la
consapevolezza che esistono, è la speranza che nonostante tutto si
possa ancora avere una vita. Il cerchio resta imperfetto, ma nello
strappo che l'ha spezzato i capi si sono riavvicinati.
E così posso chiudere il libro pensando a Francesca con un sorriso,
una creatura fragile che sembrava persa e che ora si riaffaccia alla
vita.
E' un libro molto bello, che lascia una serena malinconia, e perciò
non posso che raccomandarne vivamente la lettura.
Sabrina Campolongo è nata nel
1974 e vive a Monza. E' sposata e madre di due bambini.
Ha pubblicato nel 2007 la raccolta di racconti Balene Bianche
(Michele Di Salvo editore) e un suo racconto è stato incluso
nell'antologia CONCEPT - Gusto (ed. ARPAnet); finalista del premio
Alberto Tedeschi (giallo Mondadori) nel 2000, collabora
all'e-magazine Historica.
Il suo blog
http://balenebianche.splinder.com/
Renzo Montagnoli
Stagioni
di Mario Rigoni Stern
Edizioni Einaudi
Narrativa - romanzo
Mario Rigoni Stern,
classe 1921, è un uomo che scrive da sempre quel che ha vissuto,
senza quindi inventarsi storie, ma cogliendo con rara abilità ogni
sfumatura dell’esistenza, in una simbiosi perfetta con il mondo in
cui vive.
Ne è un’ulteriore riprova questo volume, che parla di stagioni,
sempre uguali nel loro avvicendarsi e pure sempre così diverse.
Ma non si tratta solo dei periodi dell’anno, bensì anche di quelli
di una vita e in questi riemergono i ricordi dei predecessori che
già vissero quelle stagioni.
Mario Rigoni Stern ci offre un’opera di sublime bellezza, frutto di
esperienza di vita, di profondo rispetto e amore per la natura.
Le sue parole scendono sulla carta svolazzando come fiocchi di neve,
le osservazioni, le memorie si accavallano, dando luogo a una
narrazione in apparenza discontinua, ma che finisce con l’avvincere
in modo inequivocabile. Arrivato alla fine, all’ultima pagina, è
stata tanta la commozione che mi sono accorto di piangere, un gesto
liberatorio per la gioia incontenibile che mi ha preso e che ora si
è mitigata in una rilassante serenità.
Rigoni Stern comincia con l’inverno (Sono nato alle soglie
dell’inverno, in montagna, e la neve ha accompagnato la mia vita)
e la neve è lo sfondo di scenari che si avvicendano, fra il presente
del bosco e il passato della drammatica campagna di Russia, emblemi
della natura e della violenza dell’uomo.
Gli eventi del tempo trascorso sono giustamente mediati, quasi un
intermezzo del presente, invece vivo, vitale, emergente dalle pagine
con il profumo dell’aria, i richiami degli animali, lo scenario che
prende corpo e che idealmente sembra che compaia di fronte agli
occhi.
Ecco, questa capacità di trasmettere, di dare vita a immagini che
toccano tutti i sensi è semplicemente sbalorditiva e suscita
un’emozione che cresce pagina dopo pagina.
Dopo l’inverno viene la primavera ( Sensi e fantasia ti aiutano a
scoprire la primavera del bosco, che è misteriosa, segreta, viva),
con l’odore fresco dell’erba bagnata, con i trilli delle allodole,
con il risveglio di tutta la natura, ma anche con il percorso nel
bosco dello scampato al lager tedesco, l’inizio esaltante della
ritrovata libertà; i ricordi in una stagione viva sono più numerosi
e così si passa da una visita a Versailles durante il crepuscolo
alla figura del nonno adorato, che fumava i sigari Virginia e che
ora riposa con i suoi vecchi compagni “nati sotto Francesco
Giuseppe e morti sotto Vittorio Emanuele”.
L’estate ha le sue caratteristiche (L’estate in montagna è sempre
breve; anche la notte estiva è breve a rinfrescare l’aria; la luna
calante e il crepuscolo dell’alba, con le due diverse tonalità,
creano una luce sparsa sulle cime e nell’alta valle, ma dentro il
bosco la notte ancora non si dissolve.), con le femmine del
cervo che si appartano per dare alla luce i piccoli e con il taglio
rituale del bosco, ma anche con memorie più estive, come la storia
di Nello del Dosso o le vacanze nel Salento, o in Croazia.
E infine arriva l’autunno (Le foglie degli aceri montani hanno
preso la luce dall’ambra e la brezza del mattino le stacca dai rami,
adagiandole al suolo).
Il sottobosco è rigoglioso ed è la stagione buona per la caccia,
magari per una battuta a Naturno, quasi un rito di origini antiche;
ma è anche un’ultima stagione, con il toccante episodio dello zio
Arrigo che, ormai molto anziano, si trascina faticosamente
sull’altipiano a rivedere i luoghi dove ha combattuto durante la
prima guerra mondiale, a rievocare e a risentire l’incombenza della
morte, quasi il tentativo di esorcizzarla ora che per lui la vita
volge al termine.
A questa stagione si accompagna una dolce malinconia e il libro si
chiude, così com’era iniziato, con le avvisaglie di neve, un
perpetuarsi di stagioni, di nascite e di morti, un infinito ciclo
vitale.
Leggere questo libro è come scrutare dentro l’anima dell’autore,
riscoprire con lui i valori di un’esistenza semplice, in perfetta
sintonia con la natura.
Non c’è una pagina che sia inferiore all’altra e tutto è in perfetto
equilibrio, come la vita di un uomo che è in pace con tutto e con se
stesso.
E’ superfluo che aggiunga che raccomando vivamente la lettura di
questo autentico capolavoro.
Mario Rigoni Stern
è nato nel 1921 ad Asiago, dove vive tuttora.
Ha scritto Il sergente nella neve (1953), Il bosco degli
urogalli (1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don
(1973),
Storia di Tönle
(1978) (Premio Campiello e premio Bagutta),
Uomini, boschi e api (1980), L’anno della vittoria
(1985), Amore di confine (1986), Il libro degli animali
(1990), Arboreto selvatico (1991), Le stagioni di Giacomo
(1995) (Premio Grinzane Cavour), Sentieri sotto la neve
(1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre e altre
storie (2000), L’ultima partita a carte (2002),
Aspettando l’alba e altri racconti (2004), I racconti di
guerra (2006), Stagioni (2006).
Renzo Montagnoli
Cara Ada di
Fabio Musati Edizioni Tabula Fati
Copertina di Elena Pacaccio
Narrativa - racconto
Questo racconto, vincitore del Premio Tabula Fati edizione 2006, si
dipana sul filo del ricordo, con un io narrante, testimone all'epoca
dei fatti, che fa riemergere dal passato un ricordo soffuso, ancora
coperto dalla patina del tempo.
E', più che una vicenda, una sorta di diario intimo scritto a
posteriori e questo indubbiamente dà risalto a una storia abbastanza
normale, almeno per i tempi in cui è stata ambientata (dagli anni 30
fino alla fine della seconda guerra mondiale).
E' la gioventù di questo io narrante la protagonista della vicenda,
con fatti visti a suo tempo con occhi inesperti, lentamente
metabolizzati e poi restituiti alla dignità del ricordo, con un tono
di distaccata malinconia.
E così troviamo un fratello aviatore, un suo compagno d'armi, non
una, ma bensì due Ada, la guerra, due lettere erroneamente
scambiate, il triste epilogo dei protagonisti.
Se la vicenda non è particolarmente originale, la sua trasposizione
è frutto di un accurato lavoro volto a rappresentare, nella sua
semplicità, un periodo di storia familiare che riaffiora negli anni
della senilità, una sorta di testamento, prima a beneficio
dell'autore e poi dei suoi posteri.
Non si creda, però, che il significato di questo racconto sia
forzatamente limitato a una ristretta cerchia di interessati, perché
in Musati è ben presente l'importanza del ricordo, la sua lenta
assimilazione per giungere a un presente cosciente in cui, la
consapevolezza che nulla è possibile per cambiare il destino,
finisce con il costituire la base per affrontare il futuro.
E quelle immagini di un'epoca, quasi virate in seppia, non sono
altro che il patrimonio di vita che un uomo si porta appresso.
E' un racconto molto bello e quindi assolutamente da non perdere.
Fabio Musati, classe 1957, è
originario della Valsesia e vive a Milano con la moglie Valeria e il
figlio Guido. Nel giugno 2005 ha pubblicato la sua prima raccolta di
racconti dal titolo Nel corpo del tempo per i tipi di Artemis
e la seconda è in corso di pubblicazione con Prospettiva Editrice.
Nel biennio 2005-2006 ha vinto vari concorsi di narrativa breve tra
i quali la sezione G. Caporale del Premio Teramo 2006 e la quarta
edizione del Premio Tabula fati, primo assoluto con Cara Ada.
Nel 2006 è stato inoltre assistente alla drammaturgia dello
spettacolo teatrale 1989 Crolli della compagnia ATIR di
Milano.
Renzo Montagnoli
L’anima e il suo destino di
Vito Mancuso ed. Raffaello Cortina
( Scienza e idee)
Saggio
La morte fondamento della metafisica, l’anima fondamento del
Cristianesimo.
Accostarsi ad un’opera siffatta non è stato facile, non tanto per il
linguaggio, peraltro chiaro, elettivamente alto, quanto per la
materia argomentativa ( pone di fronte a dilemmi scabrosi) e per le
innumerevoli citazioni dotte di cui si avvale l’autore. L’argomento
è l’interrogativo primordiale che l’uomo si pone: esiste l’anima, e
se esiste, la vita dopo la morte…? Di fronte alla morte, anche, il
più strenuo laico e/o ateo non può rimanere indifferente! Il saggio,
pur trattando argomentazioni di squisita competenza teologica,
teorie filosofiche e scientifiche, ha innescato una serie di
dibattiti, discussioni su larga scala, tanto da diventare un
successo editoriale notevole. Ha, come dire, toccato le corde
spirituali di noi tutti (si fa per dire) assopiti e narcotizzati
dalle materiali urgenze quotidiane (Il materialismo è la più povera
delle filosofie), riacutizzando polemiche e confronti escatologici,
prerogative degli “ Addetti ai lavori”. La mia, non è una recensione
vera e propria, né tantomeno una discussione critica, non ne sarei
all’altezza, ma il libro l’ho letto con grande attenzione e ne ho
tratto momenti di riflessione.
Nella prefazione, il Cardinale Carlo Maria Martini scrive: “Mancuso
ha avuto un bel coraggio a scrivere dell’anima, la cosa più eterea,
più imprevedibile che ci sia, tanto da dubitarne l’esistenza. Però,
è la cosa più forte, come la vita, il principio ordinatore di essa”.
“ Viene a toccare Mancuso, inevitabilmente punti delicati e
contrastanti, come i cosiddetti “Novissimi”, cioè Morte, Giudizio,
Inferno, Paradiso…
L’argomento del libro è rivolto alla coscienza laica, quella parte
della coscienza presente in ognuno di noi, credente o non credente,
che cerca la verità per se stessa e non per appartenenza ad
un’ideologia o istituzione o per principio di autorità ( Ipse
dixit).
La laicità non riguarda solo la dimensione politica, ma, tocca il
rapporto dell’uomo con la verità. Perchè, come afferma il teologo,
il suo metodo è rigoroso, “Se si vuole fare davvero il teo-logo,
cioè uno che pensa Dio in modo logico, il Theos nella luce del
Logos”; il pensiero deve essere guidato dalla ragione. Mancuso
concorda con un grande filosofo della mente contemporanea John
Searle, secondo cui non esiste un mondo scientifico, non esiste che
il mondo, quello in cui viviamo, dobbiamo spiegare come esistiamo in
quanto parte di esso. Ma è qui che è insita, secondo me, la
contraddizione a priori; di quale verità si sta parlando? Quella
sofista che non esiste una verità assoluta, quella laica della
nostra coscienza a cui siamo chiamati a rispondere o quella rivelata
del Cristianesimo? Perché Mancuso, asserisce che non esiste un mondo
peculiare della religione, nel quale valgono leggi del tutto
differenti rispetto al mondo reale; si tratta, secondo lui, di
assumere la pretesa di verità che la religione cristiana contiene in
sé e di trasformarla in visione del mondo in grado di integrare gli
insegnamenti scientifici e di reggere la critica della filosofia.
Non che le affermazioni della teologia si debbano uniformare alla
scienza, ma che non devono essere incompatibili con la scienza,
perché il mondo è uno solo e lo sappiamo grazie alla scienza. Ma,
diventa una disputa teologica, se non fideistica, quando prosegue
dicendo che i problemi della scienza e il conseguente dialogo
critico con la filosofia, s’impongono a chiunque voglia fare
teologia prendendo responsabilmente sul serio la pretesa di verità
che il Cristianesimo porta in sé. Non ne veniamo a capo, cercare di
salvare ragione e fede, è, perlomeno, ambiguo, la nostra libera e
consapevole ricerca della verità, è illusoria? Paradossale?
Ma andiamo all’argomento principe del libro: la domanda riguarda la
morte e l’al di là della morte, se qualcosa ci sarà. La dimensione
religiosa nasce proprio dall’esistenza della morte: “ Primus fecit
Deos”, dice un frammento di Petronio, cioè, è stata la paura, la
paura della morte, a costruire gli Dei. La morte costituisce la
fonte di tutti i discorsi religiosi, ma, anche, la filosofia non
sarebbe mai nata senza il pensiero ossessivo di quale destino oltre
la morte. Per Schopenhauer” La morte è il vero genio ispiratore
della filosofia”. Il fatto di non sapere nulla al riguardo attesta
il fallimento della nostra religione e della nostra filosofia.
L’assenza della risposta sulla vita oltre la morte è il segno più
evidente della crisi dell’Occidente. Chi non sa cos’è la morte, non
sa cos’è la vita. Chi ha paura della morte, ha paura della vita. E
da qui, Mancuso discettando sull’esistenza dell’anima, la sua
origine, immortalità e salvezza, arriva alla conclusione: alla fine
amare la vita, mantenere in vita l’energia, la forza primigenia con
cui la natura ci ha generato. Il messaggio di questo libro, lo dice
l’autore, è che la vita non tradisce, e a chi, a sua volta, non la
tradisce, essa dà in premio se stessa. Dice la sapienza d’Israele: “
Chi pratica la giustizia si procura la vita”( Proverbi11, 19). Basta
solo essere giusti, qualcosa di molto semplice, che l’uomo vede da
sé. “Simplex sigillum veri”.
Come teologo, sia pure fuori le mura, che crede il Cristianesimo la
più alta verità che agli esseri umani sia dato attingere, non può
non chiudere con l’affermazione: “Io penso che il Cristianesimo
contenga in sé il sentiero seguendo il quale il mio essere uomo si
compie”.
Una postilla: dopo tanto disquisire di scienza, ragione e filosofia,
la fine, mi sembra scontata: la “ Questio” viene risolta con una
citazione biblica.
L’autore: Vito Mancuso è docente
di Teologia moderna e contemporanea presso la facoltà di Filosofia
dell’Università San Raffaele di Milano. Tra le sue pubblicazioni: “
Il dolore innocente”, “Per amore”, “Rifondazione della fede”. Il suo
lavoro mira alla costruzione di una “Teologia laica”, nel senso di
rigoroso discorso su Dio, tale da poter sussistere di fronte alla
scienza e alla filosofia.
Arcangela Cammalleri
L'eredità di Venanzio di
Valentino Rocchi Edizioni
Guaraldi
Narrativa - romanzo
In un mercato in cui diversi best seller risultano essere opere di
modesto valore stupisce non poco che un libro come L'eredità di
Venanzio non possa avere il giusto riconoscimento che gli
spetta.
Non ci troviamo di fronte alla storiellina facile da mordi e fuggi e
nemmeno a vicende che non hanno né capo né coda, ma a una scrittura
in grado di attrarre la quasi totalità dei lettori, accompagnata da
un' elevata indiscutibile qualità.
Ora, riuscire a conciliare l'aspetto della commerciabilità con la
presenza di un notevole merito letterario non è da tutti, anzi è di
pochi e Valentino Rocchi rientra fra questi.
Per il suo ultimo libro, La Magìa del Fuoco, avevo scritto
che non era un capolavoro, anche se vi si avvicinava molto; per
questo posso tranquillamente affermare che si tratta di un'opera di
rara bellezza, una delle migliori di questi ultimi anni.
Il romanzo è la storia di una famiglia agiata, proprietaria
terriera, il cui capostipite, Venanzio è indiretto protagonista, in
quanto già morto da tempo; inoltre vi sono il figlio Guglielmo che
lentamente va perdendo il vasto patrimonio paterno, la moglie
Cecilia, in depressione per le continue scappatelle del marito, e i
figli della coppia, Federico, studioso d'arte e innamorato di una
bellissima ragazza ebrea, e Giovanna, Suor Fedele da quando ha preso
i voti.
L'epoca è immediatamente antecedente la seconda guerra mondiale e la
campagna, descritta splendidamente, è quella intorno a Urbino.
La vicenda è piuttosto complessa e anche per non toglier nulla al
piacere del lettore ne parlerò a sprazzi, in occasione delle mie
considerazioni sull'opera.
Già nelle prime pagine la descrizione del mercato bovino di Urbino
sembra una serie di quadri di pittori realisti, anche se Rocchi non
ama indugiare eccessivamente, anzi usa pochi colpi di pennello per
definire le caratteristiche dei personaggi, lasciando poi alla
fantasia del lettore il piacere di immaginarli secondo il suo gusto.
Dunque lo stile non è mai ridondante, preciso sì, ma senza essere
pignolo, insomma una prosa scorrevole che agevola non poco la
lettura.
Ci sono pagine che senz'altro sono più belle di altre, come per
esempio la riappacificazione, durante un viaggio, dei coniugi
Guglielmo e Cecilia, un vero tocco di classe, con un riavvicinamento
che mostra le pudiche titubanze per i rispettivi torti e, se non
ritorna l'amore, l'affetto reciproco sboccia poco a poco.
Un altro pezzo indimenticabile è la visita sempre dei due coniugi al
padre della fidanzata del figlio Federico. Siamo in epoca di leggi
razziali e l'uomo è un ebreo. Il passaggio dal preconcetto iniziale
della cattolica Cecilia al rispetto per un individuo di un'altra
razza e di un'altra religione è quanto di più bello e delicato che
abbia mai avuto modo di leggere.
Del resto, avevo già accennato alla straordinaria sensibilità di
questo autore in occasione della recensione della Magìa del Fuoco,
sensibilità che gli permette di far cogliere al lettore le sottili
venature dei sentimenti, ciò che normalmente non è mostrabile con
atti concreti, ma resta nell'intimo dell'individuo.
La prima parte del libro finisce nel corso della guerra con
Guglielmo e Cecilia sfollati, mandati via dalla loro avita dimora
per necessità belliche.
In verità c'è anche un certo accenno a una vicenda di scomparsa di
un individuo, in cui entrano anche i mezzadri di Guglielmo, i
Gaglioff, soprannome che la dice lunga, ma sembra inserito quasi
come un inciso, tanto che ultimata la prima parte, già di per sé
sufficiente a qualificare l'opera, la si dimentica. Ma con la
seconda e ultima parte, ambientata alla fine dello scorso secolo,
questa misteriosa vicenda ritorna ad essere una sorta di sottofondo
a pagine che con il genere giallo non hanno a che fare;
l'espediente, tuttavia, permette di riallacciare le epoche (c'è un
salto temporale di oltre cinquant'anni), oltre a non far perdere il
filo del discorso e a mantenere viva l'attenzione del lettore.
Fino a ora non ho parlato dell'eredità di questo Venanzio, lascito
che si materializzerà nelle ultime pagine con una soluzione del
tutto imprevedibile, anche se logica, e che vede Federico, ormai
vecchio, ritornare in possesso dell'antica casa padronale che i
Gaglioff, con denaro di dubbia provenienza, avevano acquistato.
Non voglio dirvi altro, perché i colpi di scena si susseguono con
una logica incontrovertibile.
Concludo con l'invito a leggere questo romanzo, che convince ed
emoziona, e, soprattutto, radica nell'animo.
Valentino Rocchi, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone. Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e trame avvincenti, dopo una vita di intenso lavoro.
Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Ed. Il Ponte Vecchio);
"L'Eredità di Venanzio" vincitore del Premio letterario "Il
Pungitopo" 2002 (Ed. Guaraldi);"Gli uomini di Bluma" II classificato
Premio Letterario "Palazzo al Bosco", 2002 (Ed. Giraldi);"La
saggezza di Toni" (Ed. Giraldi);"Notte all'Hostaria La Guercia -
Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Ed. Argalia),
pubblicato nell'anno del V centenario della morte di questo
personaggio dalla vita straordinariamente avventurosa. Il romanzo è
ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è studioso e
conoscitore. L'ultima pubblicazione in ordine di tempo è "La Magìa
del fuoco". (Agemina).
Renzo Montagnoli
Esercizi per la felicità
di Ivan Fedeli Edizioni
Il Foglio
Posftazione di Fabrizio Bianchi
Sono dell’idea che
Ivan Fedeli abbia anche nella vita di tutti i giorni il senso di
autoironia che caratterizza questa silloge, composta in realtà da
cinque brevi raccolte, più una poesia finale.
Quel mondo che è fatto di ripetitività, di gestualità banali, quel
condurre l’esistenza secondo un canone prefissato sono il tema della
poetica di Ivan Fedeli, osservatore disincantato della realtà che ci
circonda, pronto a coglierne anche le più sottili sfumature in una
rassegnata ironia, che pur tuttavia si riflette in una profonda
malinconia, una sorta di precoce consapevolezza della nullità del
nostro normale essere (…Un mondo di indirizzi e mezzi incroci /
da scegliere per nuove prospettive, / intanto si rimbalza a senso
alterno, / e forte è l’onda opposta di chi vive. / E’ meta
poi raggiungere un inverno / sapere quanto attenti alla deriva /
rimangono quei giorni senza perno / lasciati a latitudine festiva.).
E nulla sfugge ai suoi occhi, perfino il rito obbligatorio della
vacanza (Vacanza a tutto andare se si può: / ciascuno e la sua
rimini, il suo monte, / il mare più esclusivo che si vende. /…).
Il tutto in un tono quasi scanzonato, una sorta di apodittica
commiserazione, che raggiunge anche vertici di suggestivo sarcasmo (E
quindi uscimmo a riveder le stelle / ma solo come viaggio
d’occasione / tra treni e voli charter già scontati, e tutto a mordi
e fuggi senza nome. /…).
Ma dov’è mai questa felicità e che cosa sono questi esercizi per
raggiungerla?
Secondo la mia opinione, il poeta ha da un lato inteso descrivere a
chiare lettere ciò che significa felicità per una società che si
inventa tutto, anche appunto la felicità, e dall’altro, invece, è
quanto non è conforme alle regole, nella convinzione che, in ogni
caso, la felicità sia una chimera (…/ Resisto stando a galla
finché posso / pensando a quando cambia la stagione. /…) e
comunque un’illusione (Togliamoci di dosso l’uniforme / che
bastano gli occhiali a mascherare, / qui servono altri tempi non
deformi / a vendere anche il pepe con il sale. /…).
Sono rasoiate che incidono e non è che il tono e l’armonia quasi da
canzoniere possano lenire il dolore di una verità che inconsciamente
ci è propria, ma che non vogliamo ammettere, perché l’unica
alternativa al vivere comune è rappresentato dall’appartarsi, dal
chiuderci in noi stessi, recitando consapevolmente all’esterno la
commedia di tutti i giorni, ma negandola continuamente al nostro
interno.
E’ un dualismo, quindi, che solo un poeta si può permettere, e Ivan
Fedeli è un poeta, non solo, ma anche uno di quelli sicuro valore.
Ivan Fedeli
è nato a Monza (Mi) nel 1964.
Insegna materie letterarie e si occupa di scrittura creativa.
Ha pubblicato diversi percorsi poetici: Abiti comuni (Il
Ponte Vecchio), Una religione di parole (La Fenice),
Dialoghi a distanza nel volume "Sette poeti del Premio
Montale" (Crocetti), Vie di fuga (Biblioteca di Ciminiera
- GED edizioni), Un mondo mancato (Il Foglio), Inventario
della specie Opaca (LietoColle).
Sue poesie sono apparse su alcune riviste letterarie.
Si sono occupati della sua produzione poetica Raffaele Crovi,
Alberto Bertoni, Mara Cini.
È redattore della rivista Le Voci della Luna e socio di
Milanocosa dal 2005.
Renzo Montagnoli
L’albero delle
conchiglie di
Donato Altomare Edizioni Tabula
Fati
Presentazione di Marco I. de Santis
Narrativa – romanzo
Le leggende, frutto
di secoli di trasmissioni per lo più orali, mi hanno sempre
interessato, perché, anche se spesso non hanno nemmeno un fondo di
verità, però rappresentano la cultura letteraria popolare di zone
ben determinate.
Donato Altomare, prendendo spunto da una leggenda marinara fiorita a
Molfetta sulla Scogliera delle Monacelle, ha costruito, con la
consueta abilità che gli è propria, un avvincente romanzo
fantastico.
Eppure è rimasto fedele a certi aspetti che danno una credibilità
alla vicenda, sia ambientandola in un’epoca di scorrerie saracene,
sia mantenendo fede agli elementi tipici di quel tempo, e quindi
senza incorrere in errori, sovente grossolani, che finiscono con il
disorientare il lettore.
Di questo suo minuzioso lavoro di ricerca storica Altomare ci parla,
a romanzo terminato, nelle ultime pagine, una sorta di resoconto di
ciò che è stato necessario per la stesura dell’opera.
Quindi, pur nello sviluppo fantastico, restano fermi dei punti ben
consolidati e che con la loro realtà costituiscono le fondamenta
dell’intera struttura.
Non sto a raccontarvi la storia, ben articolata, con dei personaggi
che destano una naturale simpatia, per non togliervi il piacere di
leggerla.
Alle prime pagine ho avuto l’impressione di trovarmi fra le mani una
fiaba, ma poi le caratteristiche favolistiche sono progressivamente
venute meno, per dar spazio a una fantasia che non può lasciare
indifferenti tutti i lettori, dai ragazzini a quelli meno giovani
come me.
Infatti l’abilità nel descrivere certe scene, soprattutto quelle di
battaglia, fa sì che l’intero percorso narrativo si snodi
figurativamente come in una pellicola cinematografica, con una
tensione e un mistero legati non solo al mostro (la Malombra
d’Acqua), ma anche ai protagonisti.
La fine, come si conviene, è quel che ci si aspetta, ma una volta
tanto fa piacere pensare che due giovani possano vivere felici e
contenti, nonostante le miserie e gli orrori del mondo che li
circonda.
E’ un messaggio di speranza, per loro, ma anche, soprattutto, per
noi.
Concludo raccomandandone la lettura.
Donato
Altomare nasce a Molfetta nel 1951 e vi risiede. È laureato
in Ingegneria Civile presso l’Università di Bari ed esercita la
libera professione.
Ha vinto due Premi Italia a San Marino e Courmayeur, il Premio
Urania 2000 col romanzo inedito Mater Maxima e nel 2005 il
Premio Le Ali della Fantasia per l’inedito col romanzo Surgeforas.
Tra le varie pubblicazioni da ricordare i volumi Cuore di
ghiaccio (La Vallisa, Bari 1989), La risata di Dio (Solfanelli,
Chieti 1993), L’albero delle conchiglie (Milella, Bari 1994),
Prodigia (Tabula fati, Chieti 2001), Mater Maxima
(Mondadori, Milano 2001), Uno spettro, probabilmente (Mondo
Ignoto, Roma 2004), E la padella disse… (Delos Books, Milano
2004), Il fuoco e il silenzio (Perseo Libri, Bologna 2005),
Il tesoro della Grancia (BESA, Nardò 2005), Surgeforas
(Tabula fati, Chieti 2006). Sono stati pubblicati all’estero: Cas
je spiràla (tit. orig. Dolcissima Roberta, romanzo breve, Svet
Fantastiky n. 1, Praga 1990); Il popolo del cielo (testo in
cirillico, Gradina, Belgrado 1993); La casa degli scheletri
(testo in cirillico, Gradina, Belgrado 1996).
Renzo Montagnoli
Il tailleur grigio di
Andrea Camilleri ed. mondatori
Romanzo-Narrativa
Storia di un’ enigmatica e conturbante figura femminile
Quest’ultimo libro di Camilleri sorprende e prende una strana
inquietudine in un’atmosfera da noir di tutto rispetto. Io,
camilleriana della prima ora, m’inchino al maestro e gli porgo i più
vividi ossequi, mai sua opera mi aveva colto in contropiede, pur
nella continuità del suo speciale e inimitabile linguaggio, la trama
è originale e nel contempo echeggiano echi di passaggi letterari
classici. La storia ruota intorno ad un’enigmatica figura di donna,
Adele, a cui rimanda il tipo di abbigliamento del titolo, che soleva
indossare in determinate circostanze, come una sorta di divisa e di
conformismo esteriore. Il motore che dà l’avvio alla vicenda, è il
marito, un alto dirigente di banca in pensione, anzi colto nel suo
primo giorno di congedo produttivo; strano personaggio il suo, una
vita scandita da automatismi, unico scarto fatale aver sposato in
seconde nozze una donna, molto più giovane, di stravolgente bellezza
e d’insaziabile ardore erotico. Potrebbe essere un topos peculiare
della letteratura e della vita, l’anziano uomo che sposa la giovane
e avvenente femmina! Ma, il modo, la forma com’è trattata la materia
narrativa, è la cifra, il marchio d’eccezione di Camilleri. Non è la
femme fatale, la dark lady, stereotipata di tanti gialli o film del
genere, ma un’atipica donna, sì passionale e misteriosa quanto
lucida, fredda e calcolatrice nel suo tailleur grigio, come la sua
zona d’ombra sentimentale che sfoggia per un pre lutto o lutto
avvenuto. Quasi come se quest’abito, in date circostanze sostituisse
e rappresentasse quello che lei era incapace di sentire. Adele è
descritta in tutta la sua voluttà e sensualità femminile, vogliosa e
al tempo stesso rispettosa nel salvare la forma esteriore davanti
agli occhi degli altri. Pur in questa conclamata ipocrisia,
Camilleri è indulgente con le donne in generale, e con Adele, in
particolare, la sua è un’adesione da “masculo”davanti alla bellezza
muliebre, sia pure con un malcelato accento beffardo e sornione, ma
senza accampare giudizi morali. Questo “ Inquietante” romanzo, nella
chiusa, lascia un senso di sperdizione nel lettore, ma Lui,
Camilleri arricchisce pregevolmente la sua, già, ricchissima
produzione letteraria.
L’Autore: Andrea Camilleri è
nato a Porto Empedocle nel 1925. Ha esordito come romanziere nel
1978 con “ Il corso delle cose”(ed. Sellerio). Della sua ricchissima
produzione, citiamo, tra le varie opere quelle che hanno per
protagonista il commissario Salvo Montalbano (pubblicati da
Sellerio), i cui episodi hanno ispirato una straordinaria serie TV
di altrettanta popolarità: “ Il ladro di merendine”, “ La forma
dell’acqua”, “ Il cane di terracotta”, “La voce del violino”, “La
gita a Tindari”, i più recenti, “La pazienza del ragno”, “ Le ali
della sfinge” etc….
Arcangela Cammalleri
Il pittore merdazzèr di
Fiorella Borin Edizioni Tabula
Fati
Narrativa - racconto
Secondo classificato alla quarta edizione del premio letterario
"Tabula Fati" 2006, questo racconto conferma le capacità di
narratrice di Fiorella Borin, autrice veneziana piuttosto nota e in
possesso di una tecnica per niente trascurabile.
Ciò che stupisce in questo libro è la capacità - pur a fronte di una
vicenda nel complesso non particolarmente originale - di avvincere
il lettore con un ritmo incalzante, sostenuto da un'ironia che a
tratti si trasforma in vero e proprio umorismo.
Non dirò nulla della trama per non togliere il gusto della lettura,
ma mi preme sottolineare in questa sede come l'intento della
scrittrice sia quello di mettere alla berlina certi faciloni,
peraltro non rari, che ambiscono al prestigio pur non avendone le
indispensabili capacità.
Per il resto è una piccola commedia degli equivoci ben sorretta
dalla mano esperta della Borin che la conduce fino in fondo senza
incorrere in cadute di stile o anche di dubbio gusto, considerato a
che si riferisce il merdazzèr del titolo.
E' una lettura, quindi, agevole e senz'altro divertente.
Fiorella Borin è nata a Venezia.
Laureata in psicologia, si dedica da molti anni alla narrativa,
ambientando spesso le sue storie nella Venezia del XVI secolo. Ha
pubblicato la raccolta di racconti La Signora del tempio nascosto
(Airplane, 2003) e i brevi romanzi storici Le putine del canal
Gorzone (Montedit, 2002), Mir i dobro (Montedit, 2005),
La sciarpa azzurra (Era Nuova, 2005). Con Tabula fati ha
pubblicato nel 2004 il racconto storico-fantastico Il bosco
dell'unicorno.
Renzo Montagnoli
La magia del fuoco di
Valentino Rocchi Edizioni Agemina
Narrativa - romanzo
E' da diverso tempo che non leggevo un libro così, uno di quei testi
che ti avvincono piano piano e che arrivati a un certo punto ti
impongono di non sostare, ma di continuare per arrivare fino alla
fine in un crescendo di tensione emotiva.
Non è né un noir, né un giallo, anche se c'è una certa vicenda di
incendi che conferisce una leggera atmosfera di mistero; è invece un
romanzo di sentimenti, di vita vissuta e di profonde riflessioni.
Ambientato fra le due guerre, è uno spaccato di vita contadina
descritta con finezza e rara abilità, con una famiglia patriarcale,
dove il primogenito è padre e padrone e in cui le leve del potere e
del denaro sono predominanti.
In questo contesto spicca la figura di Benvenuto (per tutti Nuto),
un bimbo nato zoppo e con uno straordinario talento naturale per la
pittura e la scultura. La libertà innata dell'artista cambierà
ataviche tradizioni e consuetudini e proietterà un mondo antico
verso il nuovo.
Ma è anche una storia di sentimenti, di iniziazione alla vita
sessuale raccontata con una mano leggera che è riuscita a nobilitare
istinti e passioni con sfumature e dolcezza. La scabrosità,
nonostante alcune situazioni, è del tutto inesistente e questa è una
grande capacità dell'autore che non scivola mai, ma che anzi ci
concede un erotismo raffinato, dove carnalità e amore si fondono in
un unico pathos.
Seguire passo passo la vicenda di Nuto è come immergersi nella magia
di un mondo quasi sconosciuto, ma reale, dove la capacità di
osservare dello scrittore si traduce in pagine di notevole bellezza,
alcune delle quali simili alla prosa poetica.
E questo accade grazie a uno stile sobrio, mai ridondante, dove
l'autore, pur presente, riesce a celarsi perfettamente dietro i suoi
personaggi, così che ne deriva una lettura agile, scorrevole e
appunto assai gradevole.
Non c'è una parola di troppo, né una di meno, in un'armonia che
rasenta la perfezione e che contribuisce non poco a infondere al
lettore un senso di grande serenità.
Aggiungo che stupisce anche la capacità di descrivere l'arte
pittorica e addirittura quella delle ceramiche, illustrata in modo
mai greve, anzi direi avvincente.
Dulcis in fundo, il romanzo termina in modo logico, anche se non del
tutto scontato, ma soprattutto come inconsciamente il lettore
desidera che avvenga.
Definire questo libro un capolavoro mi sembrerebbe forse eccessivo,
anche se vi si avvicina molto, ma comunque resta sempre un'opera di
alta eccellenza, un autentico gioiello nel panorama letterario non
solo italiano.
La lettura, quindi, non è solo consigliabile, ma veramente
raccomandabile.
Valentino Rocchi, nato a
Savignano sul Rubicone, risiede sin dall'infanzia a Pesaro. È socio
corrispondente della Rubiconia Accademia dei Filopatridi di
Savignano sul Rubicone. Si è avvicinato alla narrativa, con libri di
ampio respiro e trame avvincenti, dopo una vita di intenso lavoro.
Ha pubblicato: "Una Storia a Castelvecchio" (Ed. Il Ponte Vecchio);
"L'Eredità di Venanzio" vincitore del Premio letterario "Il
Pungitopo" 2002 (Ed. Guaraldi);"Gli uomini di Bluma" II classificato
Premio Letterario "Palazzo al Bosco", 2002 (Ed. Giraldi);"La
saggezza di Toni" (Ed. Giraldi);"Notte all'Hostaria La Guercia -
Pandolfo Collenuccio, uomo di corte del XV secolo, (Ed. Argalia),
pubblicato nell'anno del V centenario della morte di questo
personaggio dalla vita straordinariamente avventurosa. Il romanzo è
ambientato nel XV secolo, di cui è l'autore è studioso e
conoscitore. L'ultima pubblicazione in ordine di tempo è questo
bellissimo "La Magìa del fuoco". (Agemina).
Renzo Montagnoli
Il treno di
Georges Simenon ed. Adelphi
L’amore al tempo di guerra
Titolo originale “ Le train”
Romanzo-Narrativa
Georges Simenon scrive e pubblica questo romanzo solo nel 1961,
quando la guerra e i ricordi di essa erano sedimentati e bruciavano
meno l’animo. Questa storia unica e preziosa ci restituisce un
frammento folgorante, nella sua brevità, di vita umana, ma
lancinante nella sua profondità. Da questa narrazione il regista
francese Granier Deferre ne ha tratto un film con Romy Schneider e
Jean –Louis Trintignant. Siamo nel maggio del 1940, nelle Ardenne è
stato dato l’ordine d’evacuazione generale, i profughi sono
costretti a fuggire perché le truppe tedesche invadono il Belgio. Il
protagonista Marcel Féron, come si presenta lui stesso in prima
persona, vende apparecchi radio e rimette in sesto quelli vecchi, è
molto miope ( è terrorizzato dall’idea di ritrovarsi senza occhiali)
e molto cagionevole di salute; conduce una vita ordinaria, ” Non ero
un uomo infelice né tanto meno triste”, scandita dalle abitudini
quotidiane dove ogni oggetto sta al suo posto Ma gli avvenimenti
bellici incalzano e non vive più secondo un ritmo interno, invece
del suo battito, sente una sorta di battito collettivo. Quella
guerra scoppiata all’improvviso, dopo un anno di calma apparente, la
percepisce come una faccenda personale tra lui e il destino. Marcel
non è più responsabile della sua vita, non è, più, Marcel Féron,
commerciante di radio, ma un uomo fra milioni di altri uomini in
balia di forze superiori. Egli con la moglie Jeanne, incinta e la
figlia, Sophie di 4 anni, lascia la casa e tutto, ma nel trambusto
generale si ritrova separato da loro e insieme con altri come lui
nel carro bestiame di un convoglio. E’ su questo treno, su questo
vagone tra i sussulti, gli scossoni delle fermate e i flashback
della sua vita trascorsa che con una donna in nero, estranea, quasi,
a tutto quanto la circondava, diventa naturale, senza essersi detti
quasi nulla, stare sempre insieme, come per un comune accordo. E’
come un appuntamento con il destino, incontrare quella donna e non
pensare più a nient’altro, diventare come un albero al sole. E’ la
passione travolgente che li travolge e si consuma nell’atto carnale,
Anna, la ragazza ceca d’origine ebrea, lui Marcel, uomo senza
qualità, per un tempo indeterminato, vivono in un’altra dimensione,
i cui valori non hanno nulla in comune con i valori della vita
quotidiana e delle sue convenzioni, in una comunione totale di corpi
e di menti. La loro vita in comune non ha un futuro, vivono un tempo
d’attesa, fuori dello spazio, ma intenso, bruciante, dove il
desiderio sessuale, è gioia, candore, comunicazione naturale di
sensi e pensieri segreti. E’ come un capitale di felicità, che in
una situazione drammatica ed eccezionale, essi hanno avuto in dono e
cercano di goderne centellinandolo; né passato né avvenire, solo un
fragile presente da assaporare e divorare al tempo stesso. Il grande
scrittore francese si misura nell’eccezionalità di una passione
divorante e vorace come se volesse esorcizzare la precarietà della
vita appesa al destino della guerra di cui nessuno può prevederne le
conseguenze. Struggente la similitudine che Simenon fa dire a
Marcel: è felice, di una felicità che sta alla felicità d’ogni
giorno come il suono che viene fuori passando l’archetto dal lato
sbagliato del ponticello sta al suono normale di un violino. Un
suono acuto, squisito, che fa deliziosamente male. Una scrittura
mirabile, poesia dell’anima le parole che fluiscono e scorrono come
piccole gioie, delicate immagini, schegge di luce che carpiscono il
lettore.
Autore: Georges Simenon
(1903-1989) ha scritto moltissimi romanzi, cosiddetti, oggi, noir,
che hanno come protagonista il commissario Maigret: “ Maigret e il
caso Saint-Fiacre” ….e altri come “ “Il porto delle nebbie”, “ Tre
camere a Manhattan”, “ L’uomo che guardava passare i treni”.
Arcangela Cammalleri
Recensione silloge poetica “Gocce
di vita” scritta da Maristella
Angeli
É stata pubblicata la mia prima raccolta di poesie “Gocce di vita”,
Casa Editrice “ il Filo” – Roma, Collana Nuove voci, le Piume.
Presto sarà in catalogo in tutte le librerie italiane.
Riporto un commento di una lettrice e di un lettore: “Le tue poesie,
sono un essudato di forza maturata sul dolore di vivere. Si sente il
superamento e la sconfitta del male e del dolore” (Daniela
Pietropoli). “….è una poetica in bilico tra tempo, sogno e memoria e
trovo risvolti di nostalgia latente, poi il ritorno alla natura a
quel mondo dal quale proveniamo e di cui non sentiamo più il
richiamo. Lo sforzo di fare emergere una comunicazione viva risulta
chiaro e, altrettanto chiaro è il tentativo di risvegliare
sentimenti sopiti…la lettura di questi piccoli gioielli, mi hanno
dato la sensazione di avere, dentro di me, qualcosa più di prima”.
Dalla prefazione, scritta da Marina Paola Sambusseti: “…..è poesia
“incantata”(magica, misteriosa, onirica) ….in cui la parola è tutto:
luce nel buio della solitudine, essenza dell’incontro, della
condivisione.
Spero che siano tanti i lettori che potranno scoprire, pagina dopo
pagina, sensazioni profonde che, spero davvero, restino e
soggiornino in ognuno di loro.
Buona lettura!
Scheda bio-anagrafica
Maristella Angeli, nata a Foligno (PG) nel 1957, risiede a Macerata
nelle Marche.
Dopo aver frequentato l’Istituto Statale D’Arte, segue gli studi
all’ISEF di Perugia dove consegue il Diploma di Educazione Fisica.
Insegna per undici anni Ed. Fisica nelle Scuole Medie Statali e
negli Istituti Superiori della provincia in cui risiede.
Frequenta, in seguito, il Corso di Specializzazione biennale
polivalente conseguendo il diploma ed è, da diciassette anni, ins.te
di Sostegno.
Inizia a frequentare seminari di mimo clown e classico a Macerata
nel 1981 e, dal 1983 al 1987, frequenta la Scuola di Recitazione
“San Gallo” a Tolentino (MC), seguendo lezioni di recitazione,
danza, canto e numerosi seminari tenuti da noti attori, segue poi,
per due anni, il Corso di Formazione Professionale Regionale
conseguendo l’attestato di “Animatrice attrice teatrale e sociale”.
Per sei anni fa parte di un gruppo teatrale amatoriale partecipando
a numerosi spettacoli e Festival tra i quali: Festival
internazionale Cecoslovacchia, IX Festival Mondiale del Teatro
amatoriale Principato di Monaco (Montecarlo) e Festival Nazionale
“Schio Festival” 1989.
Ha tenuto corsi di recitazione per adulti, per quattro anni, a
Montecassiano (MC), allestendo i saggi finali, curandone la regia.
Ha pubblicato il libro, primo premio “T. Campanella” 1982, “Alla
Ricerca del proprio corpo: animazione e ricerca gestuale
nell’Educazione Fisica” Lo Faro editore – Roma.
Nel campo artistico ha partecipato ad alcuni concorsi ed esposizioni
pittoriche ottenendo, nel 1982, il primo premio, pittura
internazionale d’arte, “Pennello d’oro” per il surrealismo a Corno
Giovine (MI).
Suoi componimenti poetici, sono stati inseriti nei seguenti siti
letterari: www.fonopoli.net,
http://viadellebelledonne.worpress.com,
www.inpurissimoazzurro.org,
www.poetilandia.com,
www.poetare.it. Poesie
scelte, sono state inserite nelle Antologie letterarie edite dalla
Casa Editrice Giulio Perrone Editore e da Footprint “Poeti per
Nicolas”.
La sua prima raccolta di poesie “Gocce di vita”, è edita dalla Casa
Editrice “Il Filo” – Roma.
Di prossima pubblicazione la seconda silloge poetica “Tocchi di
pennello”, Maremmi Editore - Firenze.
Maristella Angeli
Le catacombe
dell’anima di
Davide Vaccino Edizioni Il Foglio
Prefazioni di Romeo Iurescia
e di Lucia Anna Ferranti
Disegno di copertina di Violet
Poesia – Silloge
Le catacombe
dell’anima è un titolo quanto mai indovinato, perché tutta la
silloge è permeata da una profonda malinconia, alimentata da un
pessimismo trasparente che riverbera dal confronto fra l’io
dell’autore e il mondo circostante.
E’ indubbio che lo scontro fra realtà esterna e aspirazione intima
finisce con l’apparire stridente in tutta una serie di sfaccettature
che Vaccino è riuscito a cogliere, per poi tradurle in versi.
C’è così l’orrore di Omicidio di stato (….Il sangue ha
dipinto / di rosso quel prato: / lo Stato s’è spinto / a perpetrare
reato; /…), la rassegnazione di Le voci dei morti (Le sento
fra gli scrosci / d’acqua piovana / sulla terra molle / dei
camposanti /…), l’indignazione per i profittatori dell’innocenza
altrui di Un biglietto per il Paradiso (Agnes aveva un
passaporto / e sulla bocca un bel sorriso: / un battello l’aspettava
nel porto, / con un biglietto per il Paradiso. /….).
Non mancano riflessioni esistenziali come nell’eccellente Il buio o
anche escursioni dialettali come in Masnà.
L’impressione che se ne ritrae è effettivamente quella di uno
sconforto profondo, una macerazione di ideali in evidente contrasto
con la realtà, insieme di elementi che condiziona e determina il
percorso poetico dell’autore piemontese. Il suo è un mondo non solo
ingiusto, ma anche senza speranza, una sorta di riflusso negativo di
cui è spettatore e vittima contemporaneamente.
Uno status, quindi, che si riflette in ogni verso che finisce con
l’apparire una confessione a se stesso, ma che attrae, pungola, per
arrivare poi a compenetrare anche il lettore.
E’ originale poi il ricorso indifferente alla metrica e al verso
libero, e addirittura al sonetto, una poliedricità che Vaccino
sfrutta abilmente a seconda delle circostanze, magari alleggerendo
lo svolgimento di più forte impatto, come in Un biglietto per il
Paradiso, oppure qualificando maggiormente riflessioni di
particolare complessità, come ne Il cieco.
Aggiungo, anche, che al di fuori di questa tematica, ma pur presente
nella silloge c’è un acrostico e le iniziali di ogni verso finiscono
con il comporre il nome e il cognome della destinataria di un sogno
notturno, una brevissima parentesi d’amore, un raro momento di
serenità.
Davide Vaccino
è nato a Vercelli nel 1970 e attualmente risiede ad Albano
Vercellese. Ha iniziato a scrivere i primi versi intorno agli anni
’80, ma la sua carriera artistica si è concretizzata
professionalmente soltanto a metà degli anni ’90. Nel 1996 Davide
Vaccino ha pubblicato il romanzo gotico “Frammenti di Pazzia” (2
ristampe), vincitore del Premio Internazionale “A. Manzoni” e del
“Trofeo delle Nazioni”. Tornato al suo primo amore, la poesia,
Davide Vaccino si è classificato nel 1997 al primo posto al Premio
Artistico “Città di Cava” e ha vinto nel 1998 il Premio “Cultura
Europea”. Nel 1999, il suo secondo libro: “Benvenuti nel Crepuscolo”
(poesie, 3 ristampe) si è aggiudicato il Premio “Regioni Duemila”;
mentre il suo terzo lavoro, “Passaggi” (versi e racconti, edizione
limitata) è stato insignito del Premio Internazionale “Alba del
Terzo Millennio”. Vaccino ha ricevuto finora oltre 60 premi e
riconoscimenti in Italia e all’estero e appare inoltre su una
quarantina di Antologie regolarmente presentate al Salone del Libro
di Torino.
Renzo Montagnoli
Ad Oriana Fallaci, una scrittrice
indimenticabile.
Non ti ho scordata, Oriana.
E come me, tanti. Al tuo nome, si riaccendono emozioni e
perplessità. Le tue convinzioni provocano tuttora discussioni senza
epilogo.
Prima che i massmedia ci subissassero con la notizia della tua
morte, non mi ero mai approcciata ai tuoi scritti. Sapevo degli
elogi ma anche delle critiche. Ho deciso di conoscerti. Mi hai
stravolta. Ti parlo da donna a donna, perché altro non ci accomuna.
Io sono meno coraggiosa, meno concreta, meno spontanea, meno
indipendente. Tu sei stata una persona fantastica, una vera femmina.
Però ti è mancata la gioia della maternità. L'hai del tutto
annullata con una profonda preoccupazione. Legittima, sicuramente
legittima. Non sei stata capace di lasciarti andare. Sebbene amassi
la vita, non ti sei affidata del tutto a lei. Hai sempre combattuto
tutto e tutti, instancabilmente in trincea. E, il vero guaio, è
imparare la lezione troppo tardi.
Assetata di vita, non sei mai arrivata a darne una definizione. "La
vita cos'è?" lo fai chiedere una bambina in "Niente e così sia". E
cercherai una risposta in ogni tuo romanzo, ogni volta da una
diversa visuale. Come sarebbe possibile darne una? Sfuggente.
Inafferrabile. Imprevedibile. A volte orrendamente spietata. A volte
accanita. A momenti dolcissima. Amarla. Goderla. Viverla, a dispetto
di ogni grammatica. Vivere la vita è tutto ciò che è possibile fare.
E dare la vita. E difendere quella già esistente. Ma quando si
presenta inaspettatamente, darla o negarla?
Vita o morte? Nulla o sofferenza? Difficoltà, paure, drammi,
fatiche, stanchezza, portano a vagheggiare di non esistere, perché
il nulla sembra un sollievo. E nell'indecisione ci si dibatte molto
più del confessabile. Lo stesso cruccio rivolto alla vita d'altri
attanaglia ancora più ferocemente.
Tu fantastichi di avere sul palmo della tua mano il feto morto.
Dolorosissima immagine di una donna che il dilemma non è stata
capace di scioglierlo. Lo ha delegato al diretto interessato. Scegli
tu. Purtroppo neanche questa soluzione è sembrata giusta, perché per
scegliere il bambino doveva sapere. Però il sapere è assolutamente
personale. Il saper vivere, il saper sopportare, il saper lottare,
il saper distinguere il giusto e l'ingiusto, il saper apprezzare la
libertà, la dignità, gli affetti. Sulla base della conoscenza
indotta il tuo bambino si suicida.
Sceglie chi ritiene di avere elementi di giudizio per farlo, senza
porsi il problema se l'antiteticità vita - morte possa veramente
risolverla un uomo. Pena di morte, aborto, eutanasia, sono decisioni
prese al posto di altri, su un sottile confine di liceità e
illiceità. Scelte personali su altre persone, o sociali su società
traballanti. Mai universalmente condivise. Anzi, la polemica è
d'obbligo e un diritto esprimersi o pronunciare un'irrevocabile
condanna. Inevitabile conseguenza che venga a sua volta stroncato
chi ha scelto. Una scelta su chi ha scelto. La mannaia massacrante
della società che indice il suo verdetto sul verdetto, per poi
essere a sua volta accusata. E la catena si dilunga all'infinito.
La maternità è un diritto. Ogni donna concorda con questo assioma,
interpretandolo sia come diritto al concepimento che come rinuncia.
In un rapporto biunivoco madre - figlio, l'originalità e
irripetibilità del legame sembra gravare esclusivamente sulla madre.
Lei, quella che dà tutta se stessa, lui, quello che riceve tutto.
Lei, responsabile di ogni cosa sulla base della contromedaglia di
ogni diritto, cioè il dovere. Tu poni in discussione se i doveri
verso un essere non ancora nato debbano prevaricare sui doveri verso
un essere già nato. Ma tutto questo legiferare sulla maternità la
depriva della sua naturalezza. Il raziocinio del singolo può solo
cadere davanti alle leggi della Natura. La maternità non la si
accetta concettualmente.
Ma tu ci metti in guardia. Il sacrosanto diritto di ogni donna,
benedetto dalla Natura, è snaturato dalla società. Non è sufficiente
che il bambino sia accettato dalla madre, è tutta la socialità che
ne determina l'esistenza. Una donna come te, padrona di se stessa,
sprezzante davanti ogni pericolo, si perde davanti ad un bambino. La
tua durezza è solo un'inconfessabile fragilità. Sei solo una donna.
E per questo paghi quanto la tua nonna, e la nonna della tua nonna.
Di questo bisogna giustificarsi anche con le persone più intime:
"ho capito subito che si stava celebrando un processo dove ero io
l'accusata, e che i sette costituivano la giuria";
"ciascuno avrebbe parlato come testimone e come giudice, quindi
avrebbe dato ad alta voce il suo voto: colpevole o non colpevole. La
maggioranza dei voti avrebbe determinato il verdetto e dopo quello,
in caso di condanna, si sarebbe scelta la pena";
"era davvero una gabbia ed era davvero un tribunale e s'era svolto
davvero un processo dove tu (il bambino) mi avevi giudicato
colpevole perché io mi giudicavo colpevole, mi avevi condannato
perché io mi condannavo. Restava solo da decidere la pena e questa
era ovvia: rifiutare la vita e tornare al nulla con te".
Un bambino è morto prima di nascere e tu donna ti senti accusata. Il
giudizio di chi ti circonda è più imperante della tua stessa
coscienza. Ti preme comprendere quanto devi pagare, quanto il tuo
dolore sarà ulteriormente gravato. Non lo saprai. Giungerà prima
l'autocondanna e l'infliggerti da sola la pena.
La felicità. Pensavi non esistesse. Ottusa nell'indiscutibile
convinzione che il dolore fosse il sale della vita. L'hai capito
troppo tardi. La felicità è nel darle la caccia. E l'amore? Un
mistero da scoprire, magari attraverso una vita che nasce.
Ma ormai è tardi. Troppo tardi.
Criticata, criticatissima, amatissima. Ho letto tanti commenti ma ne
amo uno in particolare. Michele Serra nel 1991 pubblica "44 falsi".
Uno è una parodia spassionata nel falsissimo testo "Un pulcino mai
nato". Serra ne riproduce l'esposizione cruda e brutale, nonchè
l'esaltazione per la vita estremizzata all'eccesso in
un'esagerazione vorticosa, provocandomi una sonora risata. Ed è
proprio così. La passionalità con cui esponi le tue opinioni
sommerge il lettore di emozioni, sferzandolo instancabilmente con
toni ed espressioni audaci. Il lettore può difendersi, offendersi,
ma mai far finta di non capire. E il nocciolo è sempre il tuo
caparbio tentativo di spiegare la vita, che tanto meno puoi esimerti
dal fare nel libro in cui dare la vita è un dilemma. Qualsiasi sia
l'individuale risposta, la vita è la vita. È quella che non muore
mai.
Pubblicato su "Voce del popolo", 1 dicembre 2007, anno 5 numero 22
Angela Plati
Lo scudo di Talos di
Valerio Massimo Manfredi
Una storia avvincente e coinvolgente ricca di pathos ed epos
Siamo a Sparta, la battaglia di Maratona ( 490 a.c.) si è conclusa,
quando Talos, il giovane protagonista del romanzo vede compiersi il
suo destino, il fato, al quale gli uomini si piegano impotenti nel
suo tragico evolversi senza poterne modificare la traiettoria.
Infatti, lo scrittore Manfredi, nell’incipit, cita Erodoto, il
grande storico greco: ” Il limite dell’uomo è, forse, la peggiore
delle pene umane, non riuscire a stornare, ad allontanare il volere
del dio”. Ebbene, la storia di Talos “Il lupo”/ Kleidemos “Il
dragone” si compirà attraverso molteplici vicissitudini, secondo un
percorso tracciato e al quale non soccombe, ma percorre a costo
d’inaudite sofferenze. Sullo sfondo storico-politico di Sparta,
Atene e la Persia ( nella sua spinta espansionistica verso
l’occidente), questo giovane spartano dalla doppia identità di
Spartiate-conquistatore, prima per nascita, d’Ilota – schiavo, dopo,
si rispecchia la duplicità dell’animo umano sempre in perenne lotta
tra le mille contraddizioni della società arcaica di allora e
contemporanea d’oggi. Alla ricerca di se stesso, delle proprie
radici e del senso della propria collocazione nella vita. Egli, nato
storpio, secondo il codice legislativo implacabile spartano, non è
degno di vivere, di diventare un guerriero, un “Inane” eroico e
glorioso, della famiglia dei Kleomenidi, schiatta nobile, dilaniata
dal dolore, ma ligia al dovere, che lo abbandona sul monte Taigeto.
Kretilaos, un pastore ( custode delle armi del re spartano Kleomenos,
morto in circostanze misteriose ) insieme alla figlia lo ama, lo
alleva e lo prepara all’uso dell’arco. L’incontro con il vero
fratello Brithos di cui diviene l’attendente personale nella
battaglia delle Termopili (ove partecipa, anche, il vero padre
Aristarcos), lo catapulta dal mondo bucolico, semplice, povero degli
Iloti in condizioni di schiavi che disperano una vita da liberi, al
tumulto, al fragore delle armi, al sangue e all’orrore bellico. In
nome di sentimenti quali l’onore, la gloria, il sacrificio estremo
si consumano, anche, tradimenti, invidie ed insidie. Talos/Kleidemos
lontano dalla fanciulla da lui amata, dalla madre adottiva, si
coprirà di gloria combattendo al fianco del fratello, inconsapevoli
entrambi del legame di sangue che li unisce. Perderà la famiglia
d’origine ancor prima di conoscerla, ma riscatterà la sua fittizia
servitù lottando come ufficiale del 4° battaglione dell’armata di
Tracia fino al completo svelamento del suo destino voluto dagli dei…
In questa storia sono presenti tutti gli ingredienti tipici del
romanzo storico-avventuroso, tutta la gamma dei sentimenti umani è
dosata per colpire al cuore del lettore, gli assalti bellici
incalzano e s’intrecciano con gli assalti emotivi in una sorta d’action
movie. Le descrizioni dei paesaggi ( la volta del cielo azzurra e
leggera come un velo di bisso) dolci come il miele greco e poetiche
come le sublimi poesie elleniche, le atmosfere ricche d’ammalianti
sfumature fanno rivivere un mondo lontano di primigenia
barbarie-civiltà di grande fascino ed incanto. I personaggi non
privi di tratti psicologici coinvolgono emotivamente il lettore; gli
intrighi di palazzo, i bizantinismi del potere, il senso etico degli
Spartani che cozza con il senso estetico greco e sensuale persiano
sono tutti aspetti diversi ma, complementari della vita dell’uomo.
Come non rimarcare i densi, inebrianti, speziati profumi
(caldi-penetranti) del fascinoso oriente (L’aria odorava di resina e
di pino e di salsedine i campi…) le mollezze raffinate, erotiche dei
Persiani e degli Ateniesi, il lusso, la preziosità dei palazzi,
delle vesti, delle armi e dei monili, in netto contrasto con il
senso quasi sacrale e, prettamente militare, austero degli Spartani,
addolcito dalla natura sì aspra, violenta, ma densa d’effluvi
naturali propri del mondo pastorale-contadino. Questo romanzo nel
suo genere è pienamente riuscito in quanto l’intreccio avvincente e
il ritmo narrativo scorrevole si fondono con lo stile linguistico
piano e venato di sensibilità che sono i segni peculiari
dell’autore.
L’autore: Valerio Massimo
Manfredi è nato nel 1943, vive a Piumazzo di Castelfranco Emilia (
Modena). Laureato in lettere classiche all’università di Bologna, si
è specializzato in topografia del mondo antico all’università
cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha insegnato in autorevoli
università in Italia e preso parte a spedizioni scientifiche e scavi
archeologici; ha tradotto e commentato “L’Anabasi” di Senofonte.
Collabora come antichista su “Panorama”, “Focus” e altre riviste
specializzate. Ha scritto tanti romanzi, alcuni: “L’oracolo”, “Le
paludi di Hesperia”, “La storia di inverno” ( con G. Celli e F.
Guccini).
Arcangela Cammalleri
Il cielo sotto
(viaggio insolito, obliquo e sentimentale
nelle terre verdiane)
di Andrea Villani Edizioni Il
Foglio
Introduzione di Francesca Mazzucato
Fotografie di Lorenzo Davighi
Narrativa - romanzo
Il ritorno alle origini, a dove si è nati e si è cresciuti, è sempre
una tappa indispensabile affinché attraverso il ricordo si abbia la
certezza di essere vissuti e si possano gettare nuove basi per il
futuro.
Andrea Villani, più conosciuto come autore di noir, ha un vincolo
indissolubile con la sua terra, con quella parte della provincia di
Parma che si snoda fra rilievi collinari e vera e propria pianura,
vale a dire fra Salsomaggiore e il Po, un territorio fecondo
punteggiato da piccoli borghi ognuno con la sua storia e la sua
anima.
Ecco, l'autore con questo libro strutturato a cornice riesce a farvi
sentire il respiro di una zona, lo spirito dei suoi abitanti, in una
sorta di immaginario viaggio condotto, con la fidanzata, su un
vecchio vespone.
Però, ha avuto nel prologo l'abilità di iniziare con un paesaggio
diverso, ai tropici, proprio per acuire la differenza fra ciò che è
bello solamente e ciò che ci piace perché lì sono le nostre radici.
Nel leggere queste pagine, scritte in modo semplice, immediato,
viene spontaneo pensare a un grande cantore della provincia quale è
stato Piero Chiara. Lo stile è indubbiamente diverso,
l'ambientazione pure, ma si ritrovano elementi comuni nel descrivere
luoghi e fatti con una naturalezza sconcertante, ma che avvince e
lega indissolubilmente il lettore all'opera anche quando si arriva
all'ultima pagina.
Ho parlato prima di una struttura a cornice, poiché in effetti si
tratta di racconti uniti da un filo comune (il citato viaggio con il
vespone); questa modalità di realizzazione contempla il vantaggio
che ognuno dei capitoletti si chiude, come se fosse a se stante, pur
restando nell'insieme legato agli altri.
Si può dire, senza timore di sbagliare, che ogni paese incontrato ha
il suo racconto, magari una leggenda tramandata oralmente e che ora
assurge agli onori della scrittura, oppure, in altri casi, fatti
realmente accaduti, sviluppati con l'aggiunta di un po' di fantasia.
In questo senso, sembrerebbe di conforto alla ipotesi di cui sopra
un periodo che troviamo a pagina 29, laddove la fidanzata si
dimostra un po' scettica sulla veridicità di certi episodi narrati e
lui risponde così:
"Voglio dire che qui comincia la terra dove il vero, quello più
genuino, ce lo siamo sempre inventato."
E si può in effetti credere a questa affermazione, leggendo la
vicenda di Walter Braschi, oppure la storia paurosa di Bruno Iori.
Non si riesce però a discernere dove il vero diventa fantasia, dove
l'estro creativo prevale sulla realtà in altri casi, come la
vicenda, veramente splendida, dei due vecchi partigiani che partono
da Fontanellato per andare a mangiare il culatello a Zibello, o
anche nel ricordo di un'intervista ai figli di Giovannino Guareschi,
dove l'emozione, sincera, si sovrappone ad altri eventi, si
guarnisce di aneddoti.
Non mancano inoltre indovinati incisi, come quello che descrive che
cos'è effettivamente la via Emilia, una chicca di prosa poetica
assolutamente da non perdere.
Su tutto domina la genuina ironia di un emiliano che, riscoprendo la
propria terra, vede dentro di sé, lo stesso sottile e arguto
umorismo che troviamo all'imprevedibile finale del libro, quasi a
voler confermare il pensiero di un grande della letteratura (Hermann
Hesse), secondo il quale solo la risata immortale consente di
vivere.
Per arrivare a questa conclusione, lo scrittore tedesco ha dovuto
scrivere un romanzo come Il lupo della steppa, greve, sovente
anche troppo.
Invece, Villani ce lo ha sciorinato come una canzone popolare, in un
modo scorrevole tale che il libro si legge in un fiato.
Scusate se ho fatto questo accostamento, che potrà anche sembrare
irriverente, ma altri non è che la verità. Però mi sorge un dubbio:
non è che sia frutto della mia fantasia, in preda all'atmosfera di
questo bellissimo libro?
Leggetelo e nulla vi sembrerà più vero di quello che inventerete.
Andrea Villani, classe 1960, ha
vissuto a Caracas, Londra, Parma e Costa Rica. Ha fondato il
periodico di informazione e cultura "Terre Verdiane News". Per il
teatro ha scritto e diretto "Mille e non più mille" e "Alla corte di
Sancio Panza" . Ha pubblicato per editori diversi "La sera in cui
cacciai da casa Charles Bukowski", "Colpi di stato d'animo",
"Malvasia Tropicale", "La notte ha sempre ragione", il corto
thriller "Questo sangue - l'ultima rapina di Luciano Lutring" e "Il
cielo sotto (Viaggio insolito, obliquo e sentimentale nelle Terre
Verdiane) . Ha inoltre scritto diversi racconti per quotidiani,
riviste o antologie.
www.andreavillani.it
Renzo Montagnoli
Il lupo della steppa di
Hermann Hesse Edizioni Mondadori
Introduzione di Daniela Idra
Collana Oscar
Narrativa - romanzo
Isolamento dal mondo esterno e incapacità di far parte della
società: questo è il grande tema de Il lupo della steppa,
romanzo scritto dal grande autore tedesco nel 1927.
Nulla però in natura è completamente assoluto e quindi quella sorta
di muraglia costruita a protezione dell'io interiore non è una
difesa sufficiente e non è invalicabile.
Il protagonista, un intellettuale di cinquant'anni di nome Harry
Haller, ha dei momenti in cui il mondo esterno lo attira,
incuriosendolo. Inevitabile è quindi che riemerga la lotta fra i due
"io" e che provochi uno stato di estremo disagio e incertezza tra
giusto e sbagliato, tra essere razionale ed essere bestiale,
istintivo, non ponderante.
In questa condizione Haller è assolutamente incapace di prendere
qualsiasi decisione, perfino quella del risolutorio suicidio a cui
tuttavia si approssima per ritrarsi sconvolto e incerto. Non è più
nulla, la razionalità e l'irrazionalità in contrasto finiscono
semplicemente con l'annientare il protagonista.
Ma allora perché come titolo Il lupo della steppa?
L'uomo ha una duplice natura, come anche ho scritto sopra; al suo
interno convivono l'aspetto umano che lo porta a coesistere con i
suoi simili e l'aspetto "lupino" che lo conduce a isolarsi, a
chiudersi al mondo.
Sarà solo alla fine di questo splendido romanzo che, nel teatro
magico, una sorta di rappresentazione del puro inconscio, un saggio
dell'oriente rivelerà che nell'uomo non esiste un'unica personalità,
ma ne esistono molteplici, in perenne contrasto.
E'un'opera di rilevante valore, ma non di facile lettura, perché
presuppone l'abitudine di guardare continuamente dentro di sé, in
linea con quella che può essere considerata una vocazione
all'introspezione psicologica.
Può sembrare di primo acchito un tema di estrema malinconia e per
nulla positivo, ma così non è perché Hesse, pur ammettendo
l'esistenza del problema, meditato e rimeditato nel corso di un
periodo di profondo grigiore che lo afflisse, alla fine fornisce un
antidoto, una soluzione all'apparenza illogica, ma di profonda e
concreta realtà: per superare il dolore di vivere non c'è che
l'umorismo, la risata immortale. Quindi, mai prendere troppo sul
serio se stessi e i propri sentimenti, perché dietro l'angolo
inevitabile si cela la follia di vivere.
Hermann Hesse (Calw, 2 luglio
1877 - Montagnola, 9 agosto 1962) è stato uno scrittore, poeta e
pittore tedesco.
Ha scritto i romanzi Peter Camenzind, Demian, Siddharta, Il lupo
della steppa, Narciso e Boccadoro, Il mago della pioggia, Il gioco
delle perle di vetro.
Nel 1946 gli fu conferito Il Premio Nobel per la Letteratura.
Renzo Montagnoli
Storia dell'Italia partigiana
Settembre 1943 - Maggio 1945 di
Giorgio Bocca Mondadori Editore
Storia
Ne La repubblica di Mussolini Giorgio Bocca ha esaminato con
grande spirito critico la realtà del rinnovato partito fascista dopo
l'8 settembre, non tralasciando connessioni, accadimenti ed eventi
della parte italiana antitetica all'occupante tedesco e alla
vassalla repubblica sociale.
In questo voluminoso ed esauriente testo, invece, l'autore rivolge
la sua attenzione al grande movimento partigiano non trascurando
raffronti con i suoi oppositori.
E' un'opera di grande valore, perché condotta con rigore storico e
in grado di offrire a chi non era presente un quadro di ampio
respiro e aderente in modo plausibile alla realtà.
Si potrà obiettare che Bocca è stato un partigiano, ma non si potrà
negare che l'affetto per questo grande moto popolare, pur
trasparendo fra le righe, non esime l'autore dall'effettuare
osservazioni, dall'evidenziare aspetti ed elementi negativi, dando
così la prova di una valida imparzialità che è sempre caratteristica
dominante nelle sue opere.
L'autore, infatti, riesce a fondere in modo ammirevole la passione
di ha partecipato in prima persona agli eventi con la lucidità dello
storico.
E' così che l'armistizio dell'8 settembre, la liberazione di Roma,
gli scioperi di Milano, Torino e Genova, il proclama di Alexander,
l'epilogo dell'aprile 1945 con l'esecuzione di Mussolini rivivono
nell'ampia ricostruzione di una guerra di popolo che si manifestò ai
più svariati livelli e nei diversi censi.
Quel cercare poi di comprendere le ragioni degli altri finisce con
il meglio delineare anche i motivi che indussero non pochi italiani
a preferire la dura realtà della macchia opponendosi prima
all'invasore tedesco e poi anche al suo alleato-subordinato
fascista.
Come ne La Repubblica di Mussolini la storia assume nella
trasposizione letteraria una trasformazione in narrazione di eventi,
precisi, puntuali, ma senza mai giungere a stancare il lettore, con
il risultato che si apprendono elementi caratterizzanti di uno dei
più importanti periodi della nostra storia senza nessuna fatica,
anzi con il piacere di scoprire pagina dopo pagina un nostro passato
ancor recente.
E' inutile che dica che quest'opera è assolutamente imperdibile.
Giorgio Bocca è nato a Cuneo nel
1920. Durante l'ultimo conflitto ha partecipato alla Resistenza
delle formazioni di Giustizia e Libertà e, terminata la guerra, ha
iniziato la carriera di giornalista. Redattore alla Gazzetta del
Popolo e all'Europeo, inviato del Giorno, è stato
trai fondatori di Repubblica nel 1975. Ha scritto numerosi libri di
storia e di attualità. Al riguardo si ricordano Storia
dell'Italia nella guerra fascista, Palmiro Togliatti, Storia
popolare della resistenza, Il terrorismo italiano, Storia
dell'Italia partigiana, Partigiani della montagna, Il provinciale,
Il filo nero, Il dio denaro. Ricchezza per pochi, povertà per molti,
Le mie montagne.
Renzo Montagnoli
Il costruttore di
biciclette di Maurizio Cometto Edizioni Il Foglio
Prefazione di Valerio Evangelisti
Copertina originale di Oscar Celestini
Considerato che non
amo il fantastico, genere in cui ho anche ben poca competenza,
quella che segue non deve essere intesa come una recensione, perché
non ne ha assolutamente la pretesa. A essere onesti io preferisco
che venga considerata l’impressione di lettura di un lettore
profano.
Ci si chiederà, allora, perché mi sia avventurato in un’opera
appartenente a un genere che non gradisco e la risposta che è si è
trattato di pura e semplice curiosità, avendo letto non pochi
giudizi, tutti positivi.
Dopo questa doverosa premessa, devo dire che penso che Il
costruttore di biciclette abbia dei meriti e rappresenti, con
la sua originalità, il segno che anche da noi si possa scrivere e
creare senza scimmiottare i ben più famosi autori anglosassoni.
In questo concordo con Valerio Evangelisti che ne parla nella
prefazione all’opera; in effetti riscontro pure io una novità
creativa del tutto indipendente, senza trasposizioni nazionali di
idee maturate in altri luoghi.
Se la vicenda è originale, io ho cercato di cogliere soprattutto le
atmosfere, i personaggi di un paese, per niente degli stereotipi, ma
delineati incisivamente con pochi e sicuri tratti di penna.
Magniverne è un borgo tipicamente italico, così come lo sono i suoi
abitanti, anzi amo pensare che si tratti di una località delle
Langhe, dove ancora esiste una convivenza equilibrata fra uomo e
natura, due elementi che nel romanzo sono prioritari.
Non sto a cercare di fare un sunto della trama, anche perché finirei
con il togliere il piacere della lettura, ma mi preme sottolineare
l’abilità di Cometto di presentarci fenomeni del tutto improbabili
come veritieri, quasi palpabili, con una progressione crescente
scandita da un ipotetico orologio che accelera i suoi tempi.
Si comincia con un ritmo volutamente blando, ben calibrato per
portarci all’attesa sempre più fremente del mistero di cui la
vicenda è permeata, poi avviene un’accelerazione, dapprima costante
e poi crescente, per non dire convulsa, che mi ha tenuto incollato
al libro, incapace di riporlo se non dopo essere arrivato all’ultima
parola.
Si tratta, quindi, di un’opera indubbiamente avvincente, anche se a
onor del vero non ho capito molto il percorso fantastico e di ciò mi
scuso, ma ripeto che in tema sono un profano e che ho preferito
lasciarmi andare al puro piacere della lettura, senza pormi tante
domande e senza cercare riflessioni.
Non importa, però, perché ogni tanto è bello anche evadere senza
pensare.
Maurizio Cometto
è nato a Cuneo il 29 settembre 1971. Laureato in ingegneria
meccanica, lavora a Rivoli in un industria che produce cerchi in
acciaio per autovetture. Ha pubblicato L’incrinarsi di una
persistenza e altri racconti fantastici (Il Foglio, 2004), Il
distributore di volantini (Magnetica Edizioni, 2006), Lo
scaricamento della bara (Magnetica Edizioni, 2007).
Renzo Montagnoli
Mezzanotte presto arriva di
Edio Vassalli Edizioni Ulivo -
Balerna (CH)
Disegno a china e schizzi a matita
di Edio Vassalli
Collana Il sorriso del gatto - Poesia
Poesia - Silloge
Edizione numerata e firmata
Una raccolta di poesie, accompagnata da schizzi a matita a opera
dello stesso autore, costituisce un'omnia artistica che riflette
comuni caratteristiche sia nell'immagine che nel verso.
In effetti, la stessa levità propria della poetica di Edio Vassalli
è riscontrabile anche nei suoi delicati ritratti di figure
femminili, volti mai aspri, anzi dai lineamenti dolci, abbozzati con
ricercata finezza, oppure nella leggiadra figura di fanciulla
intenta al cammino verso una meta sconosciuta e che impreziosisce in
copertina l'ultimo lavoro di questo autore elvetico.
Non mi sembra che sia un caso se questa figura, ripresa di spalle,
con incedere quasi a passo di danza, introduca all'opera vera e
propria, una sorta di compendio poetico che va dall'analisi della
natura, con espressioni di intima meraviglia, a temi sociali anche
di notevole impatto emotivo, ma trasposti con pudica commozione,
quasi un disagio per aver avvertito la necessità di parlarne, pur
nella consapevolezza di non poter far altro.
Il titolo è ripreso da un verso di una tenue filastrocca dedicata
alla figlia Sibilla e volta a esorcizzare le paure dei bimbi.
Ma la mezzanotte, orario fatidico specie in certa letteratura di
genere, sta a rappresentare quel particolare momento in cui la
riflessione dell'autore riesce a essere più incisiva, quello stato
nel quale, in assenza della vita del giorno, meglio si riesce a
coordinare sensazioni e a comprendere significati di esistenze che
hanno una loro ragion d'essere nel quadro generale del grande
ordinamento della vita.
E se aspetti del mondo che ci circonda privo della presenza
modificatrice dell'uomo destano l'attenzione di Edio Vassalli, assai
più definita appare la sua poetica quando si rivolge ai diseredati,
agli ultimi, a chi soffre per colpe di altri uomini.
Figlia della miseria
Ti ho vista in un angolo di strada
Accatastata tra i rifiuti
Eri figlia della miseria
Un angelo dimenticato da Dio
…..
Cuba
Li ho visti giocare tra le vie
raccolti come stracci
in un giorno di follia
Facce sporche di vita
dagli occhi fradici di speranza.
…..
Sono bimbi queste vittime a cui l'autore rivolge il suo pensiero,
gli esseri più indifesi, più deboli, a cui la prepotenza di alcuni
uomini toglie ogni futuro.
Sono versi sommessi, quasi un sussurro in cui trova spazio
un'amarezza, un tarlo silenzioso che giunge a segno più di parole
urlate, più di proclami che l'animo sensibile di Edio Vassalli non
può nemmeno ipotizzare.
E proprio per questo restano nell'animo del lettore, un seme che
lentamente sviluppa una presa di coscienza a cui inconsapevolmente
si finisce per arrivare.
Edio Vassalli è nato a Mendrisio
(Svizzera) il 10 novembre 1971 e risiede a Coldrerio, sempre nella
Confederazione elvetica, con la moglie e la figlia.
Ha pubblicato La stanza delle conchiglie (Montedit, 2005).
Renzo Montagnoli
Il colore del sole di
Andrea Camilleri
Romanzo-Narrativa
“La vocazione artistica all’origine del genio”.
Andrea Camilleri, in questo breve romanzo, si addentra in un fitto
ed affascinante mistero trasportando se stesso e noi lettori nel
lontano’600, un’epoca rivisitata attraverso la vita tumultuosa e
allucinata di Michelangelo Merisi: il Caravaggio. L’artificio
letterario usato dal “nostro” autore è l’assunto della narrazione,
lo scrittore, per vie impervie e traverse, ritrova il diario
autografo del grande pittore sul periodo trascorso a Malta e in
Sicilia nell’estate del 1607, la cui autenticità”era proclamata
dall’odore della carta, dell’inchiostro secolare e da certe
increspature dei fogli…” Sarà un salto nel buio della mente
torturata del genio maledetto, e, come scrive Camilleri, ha
preferito trascrivere le pagine più intime, come l’ossessione del
sole nero, (donde il titolo), squarciare il velo di tanta parte
fosca della sua vita e, in particolare, della nascita della sua
vocazione artistica. Due sono i colpi di genio di Camilleri, il
fittizio ritrovamento delle carte caravaggesche, espediente usato,
per una maggiore adesione emotiva al personaggio e la manipolazione
dell’italiano irto e spigoloso e non certo colto dell’artista;
ricondurre il gioco tra il lucor dei personaggi e la fitta oscurità
che avvolge le cose circostanti per troppa ombra ad un ipotetico
disturbo della vista del pittore che mal sopportava la luce del
sole. “Da esso nascea una luce nera che oscurava non per intero
homini e cose, ma li lasciava visibili solo in parte, come tagliati
da luce di lume o di candela… In Camilleri, ormai, è diventato un
marchio di fabbrica, “doc”, destreggiarsi in ardite e spericolate
sperimentazioni linguistiche, al pari di un giocoliere, di parole,
ricrea la parlata seicentesca in una sorta di paralinguaggio
dell’epoca. Ci restituisce intatto il fascino di un’esistenza
vissuta pericolosamente, dove il tormento e l’estasi si confondono e
in cui l’arte si configura come il paradigma che contraddistingue
il”Genio”. ( La vita si fa arte e l’arte si fa vita).
L’Autore: Andrea Camilleri è
nato a Porto Empedocle nel 1925. Ha esordito come romanziere nel
1978 con “ Il corso delle cose”(ed. Sellerio). Della sua ricchissima
produzione, citiamo, tra le varie opere: “ Il ladro di merendine”, “
La forma dell’acqua”, “ Il cane di terracotta”, “La voce del
violino”, “La gita a Tindari”, i più recenti, “La pazienza del
ragno”, “ Le ali della sfinge” etc…. Pubblicati da Sellerio, questi
romanzi di successo hanno, come protagonista, il commissario
Montalbano, i cui episodi hanno ispirato una straordinaria serie TV
di altrettanta popolarità.
Arcangela Cammalleri
Boccamurata di
Simonetta Agnello Hornby
Romanzo-Narrativa
“Tra assolati paesaggi e umbratili sentimenti, un grande affresco
siciliano”.
“ Non l’avrei immaginato, la zia innamorata”, disse Tito, e sollevò
la testa.”Eppure amò, con una potenza che mi sorprende”.
Sulla quarta di copertina, si condensa “Il segreto” che circonda e
avvolge il dramma narrativo.
Con “Boccamurata”, alias “La zia Rachele”, la scrittrice
anglo-sicula ha deciso di dare una conclusione alla trilogia
siciliana (o come preferisce definire Andrea Camilleri, un trittico)
iniziata con “La Mennulara” (2002) e continuata con “La Zia
Marchesa”(2004) e, ancora una volta, dà voce letteraria ad un’altra
figura femminile, ma diversamente dalle opere precedenti, fa da
controcanto al protagonista maschile.
Questo romanzo è un affresco di famiglia in un interno/esterno
siciliano in cui si annidano e si avviluppano sentimenti e
risentimenti non sopiti. Tito, il capo di un pastificio, è il centro
di questa “famiglia” assieme alla vecchia zia Rachele, il cui
passato si svela, come un sipario teatrale, attraverso le lettere di
lei giovane e i ricordi frammentati di lei anziana. L’intreccio si
dipana su due livelli paralleli: un alternarsi di diverse tonalità
di voci, dal racconto in terza persona all’io narrante, dal presente
con i componenti di questa saga famigliare avviliti da interessi
economici e intrighi sentimentali, al passato che si dischiude come
luce che fuga le ombre e disvela il “mistero”. Al tema della
famiglia come nido consolatorio, ma al contempo gorgo di insane
passioni, fa da contrappunto il paesaggio siciliano che l’autrice ci
fa rivedere in un’esplosione di colori vividi e penetranti “I raggi
del sole perciavano la terra” come i sentimenti che agitano i
personaggi, in una sorta di geografia del cuore evocata con
commovente naturalezza. E’ un romanzo di “Qualità assoluta”, dalla
dirompente carica emotiva, stemperata da una scrittura armoniosa,
mai scomposta. Come pennellate di colore sparse qua e là si
frappongono lessemi dialettali che restituiscono tonalità accese
all’espressività controllata della scrittrice, il cui stile elegante
e calibrato s’innesta nella materia scabrosa, elevandola.
L’autrice. Simonetta Agnello
Hornby è nata a Palermo, dal 1972, vive a Londra ed esercita la
professione di avvocato per i minori e per le comunità degli
immigrati. Ha scritto i romanzi: “ La Mennulara” nel 2002, “La zia
Marchesa”, nel 2004. Entrambi ambientati in Sicilia.
Arcangela Cammalleri
Coppie diaboliche dal delitto di Marostica
al giallo di Omegna di Gordiano
Lupi e Sabina Marchesi
Editoriale Olimpia
34 casi di "crimine a due". 1902-2006
Dopo il riuscito Serial killer italiani Gordiano Lupi torna a
scrivere di assassini, questa volta congiuntamente a Sabina
Marchesi, nota studiosa di criminologia.
Come dice il titolo, in queste 248 pagine si parla di omicidi
compiuti da coppie diaboliche e non necessariamente miste, cioè uomo
e donna, ma anche costituite da individui dello stesso sesso, in
ogni caso caratterizzati, oltre che dalla comune matrice criminale,
da vincoli di carattere sessuale.
Nell'introduzione, un vero e proprio capitolo dedicato, viene
esaurientemente spiegato perché in due si uccida meglio, perché il
risultato dell'unione non sia una semplice somma, ma assuma
rilevanze esponenziali. Sempre, comunque, c'è un individuo dominante
e un altro succube, quest'ultimo spesso indispensabile per le sue
caratteristiche psicologiche per arrivare a scatenare chiaramente
gli istinti brutali dell'altro.
Lungi dal voler fare una cronistoria di tutti i crimini commessi in
coppia il libro ha il pregio di parlarci solo di quelli più
emblematici e in fondo più significativi di questa aberrazione,
assai più diffusa di quanto non si possa immaginare.
E se la vicenda di Bonnie & Clide assume i contorni di una frontiera
crepuscolare, di una vocazione al disordine e all'autodistruzione,
molto più pragmatiche appaiono le storie di personaggi meno noti, ma
che, in misura diversa, hanno lasciato dietro di sé una scia di
sangue e di orrore.
Alcune di queste vicende hanno quasi dell'inverosimile tanto sono di
una crudeltà inaudita, come quella del "santone" Adolfo De Jesùs
Constanzo e della sua amante Sara Aldrete Villareal, dove ai riti
magici caraibici, quali la santeria, si uniscono pratiche sadiche di
rivoltante violenza, con individui smembrati, torturati e seviziati
con tecniche raccapriccianti. Come dicevo, è tale l'orrore che la
mente tende a rifiutare l'accadimento, o meglio spera sia frutto di
un'invenzione, che purtroppo non è, perché la narrazione di tutti
questi casi è basata esclusivamente sui rapporti delle indagini
dell'autorità giudiziaria e anche sui resoconti processuali.
Così ci vengono presentati tutta una serie di misfatti compiuti da
coniugi, da amanti, da omosessuali, da fratelli o addirittura da
padri e figlie, spesso all'apparenza irreprensibili, ma capaci di
compiere atrocità spesso nemmeno immaginabili.
Si viene così a comprendere meglio l'esistenza in tutti di un lato
oscuro, sovente coperto da consuetudini, da timori religiosi o
frenato da sensi etici, e che qualora abbia la possibilità di
emergere liberamente raggiunge livelli di parossismo inaccettabili.
Dal delitto di Marostica dei primi del XX secolo a Marc Dutronc, il
mostro di Marcinelle, c'è tutta una casistica di fatti che sfuggono
a ogni razionale tentativo di comprensione e che lasciano sgomenti,
ma, soprattutto, che fanno pensare molto sulla complessità dell'uomo
e sui suoi ampi controsensi.
Non mancano anche i casi italiani, come, tanto per citare i più
famosi, quelli di Giusva Fioravanti e di Francesca Mambro, oppure di
Erika Di Nardo e Mauro (Omar) Favaro, i cosiddetti fidanzatini di
Novi Ligure.
Il libro si legge bene, scritto com'è in modo leggero, senza
indulgere a giudizi morali, ma eventualmente solo cercando
motivazioni e spiegazioni di comportamenti del tutto anomali in
soggetti all'apparenza perfettamente normali.
Gordiano Lupi è nato a Piombino
nel 1960. È caporedattore del "Foglio Letterario" e direttore
editoriale delle edizioni Il Foglio. Collabora con il mensile "Mystero"
e con la casa editrice Profondo Rosso di Roma. Per
l'Editoriale Olimpia ha pubblicato Serial killer italiani.
Cento anni di casi agghiaccianti, da Vincenzo Verzeni a Donato
Bilancia (2005). Vive a Piombino.
Sabina Marchesi è nata a Roma.
Giornalista, scrittrice e studiosa di criminologia, è curatrice
della Guida GialloNoir e FantasyFantascienza del network Dada
Supereva, collabora con numerose testate, portali e riviste. Ha
pubblicato i volumi Sexy Trhiller, con Claudia Salvatori,
Il libro dello scrittore. Manuale pratico di scrittura e
consigli per scrittori esordienti, con altri autori. Suoi racconti
sono compresi nell'antologia Colpi di scena e in Dizionoir.
Noir, thriller, spy story e zone limitrofe. La più completa
guida agli autori e alle storie dell'inquietudine. Vive a Roma.
Renzo Montagnoli
La repubblica di Mussolini di
Giorgio Bocca Mondadori Editore
Storia
E' un libro di carattere esclusivamente storico che parla della
Repubblica Sociale Italiana, uno dei tanti al riguardo verrebbe
spontaneo dire, ma con caratteristiche sue che lo impreziosiscono e
ne danno una parvenza di attendibilità, sia nello svolgimento che
nel giudizio conclusivo.
Certo è stato scritto da un'antifascista, per di più da uno di
quelli che all'epoca combatté gli occupanti nazisti e i loro pseudo
alleati dell'appena nata repubblica di Salò, ma ad essere onesti vi
è da dire che Giorgio Bocca ha cercato in tutti i modi di essere
imparziale e di dare più risalto alla storia costituita dai fatti
che alle impressioni del tutto personali.
Questa impostazione, che privilegia gli accadimenti senza
necessariamente esprimere un'opinione, è accompagnata da
interessanti valutazioni su Mussolini in quanto uomo e non statista,
con il risultato che attraverso questi giudizi si hanno anche delle
plausibili risposte ai tanti perché.
Tutto comincia, come noto, nel luglio del 1943, quando il 25,
durante la seduta del Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini viene
deposto. Il duce, l'uomo roboante, onnipotente degli anni
antecedenti la guerra, è ormai l'ombra di se stesso. I rovesci
militari, la certezza che ormai tutto è perso si riflettono
sull'uomo in un'abulia, una incapacità di prendere decisioni di
importanza vitale che lo accompagnerà fino alla fine.
Nulla fa, quindi, per opporsi al disegno dei congiurati, anzi
finisce per assecondarlo accettando quella riunione, pur sapendo
quello che vi si deciderà.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre e l'avventurosa liberazione dalla
sua prigione sul Gran Sasso, Mussolini in terra tedesca, davanti a
Hitler che gli propone, per non dire impone, di essere il capo
carismatico dell'Italia non ancora in mano agli alleati
angloamericani, ha delle reazioni lente, quasi distaccate, proprie
di un uomo stanco e sfiduciato.
Forse vorrebbe chiudere la partita, forse vorrebbe anche ritirarsi,
ma finisce con l'accettare, diventando di fatto il Quinsling
italiano. Non vengono formulate da Bocca particolari ipotesi sul
perché di questa adesione ai desideri del Fuhrer, tranne quella,
peraltro di stampo fascista, di evitare in tal modo guai peggiori a
un'Italia ormai occupata dai tedeschi.
Può essere stato questo uno dei motivi, ma certamente non l'unico; è
più probabile invece che l'uomo Mussolini, ormai vagante nella
nebbia dello sconforto, abbia trovato nel dittatore tedesco colui
che l'avrebbe condotto per mano, lasciandogli quelle scelte
politiche di partito e non di governo che gli avrebbero dato la
parvenza di ritornare ai battaglieri anni di gioventù.
E' peraltro impossibile che non sia consapevole dei disegni dei
tedeschi sull'assetto da dare all'Italia dopo la vittoria in cui
ancora credono, perché l'annessione al Reich del Trentino, del
Friuli e della Dalmazia sono sotto i suoi occhi; lui se ne
lamenterà, ma blandamente, come se si trattasse di una conseguenza
inevitabile, e sa pure che anche tutta l'Italia settentrionale fino
al Po farà la stessa fine, mentre il resto del paese verrebbe
colonizzato. Forse spera di restare un giorno in Romagna, la sua
Romagna, come governatore di un'appendice della grande Germania, ben
poca cosa per uno che aveva grandi sogni di gloria.
Se vi è stata quindi una scelta, è stata solo politica, di
conservazione per restare a galla annaspando.
E' giusto dire, inoltre, che il duce è ben conscio che la neonata
Repubblica Sociale Italiana è un semplice paravento per consentire
ai tedeschi di dimostrare ai loro alleati che, nonostante il 25
luglio1943, nulla è cambiato e per avere di fatto il potere in
Italia sotto la copertura di un governo locale.
Le occasioni in cui Mussolini, con lettere indirizzate ai gerarchi
nazisti e rimaste senza risposta, manifesterà questa sua condizione
di burattino saranno molteplici, ma l'uomo non è capace di decidere,
si illude di comandare pur sapendo che non è vero e come una foglia
si lascia trasportare dal vento degli accadimenti fino al suo
definitivo annientamento, con una fuga mal preparata e verso
l'improbabile rifugio svizzero.
Se da un lato la figura di quest'uomo può anche far sorgere un senso
di pietà, quelle più fosche dei suoi ministri e gerarchi, gente che
ha colto l'occasione della repubblica sociale per riscatti politici
e per affermazioni personali, forniscono un quadro di squallore e
meschinità, concorrendo a formare un giudizio altamente negativo del
periodo fascista successivo all'8 settembre 1943.
Non dimentichiamo che l'inazione di Mussolini da una parte, le
pretese di governo dei suoi gerarchi dall'altra generarono una
guerra civile, dove la naturale contrapposizione fra partigiani e
tedeschi occupanti si dilatò al ben più tragico conflitto fra
italiani.
Nella lotta di liberazione prevalsero ideali di libertà che invece
nella reazione fascista mancarono del tutto, risultando invece
determinanti le ambizioni personali e lo spirito di rivalsa. In
questo senso non è possibile equiparare i partigiani ai
repubblichini, come un certo revisionismo tende a fare; i primi
furono combattenti per la libertà, i secondi non furono nient'altro
che mercenari, peraltro al soldo dell'occupante tedesco e benché
consapevoli di questo.
C'è da chiedersi comunque come sia potuto sopravvivere uno stato
fantoccio per circa due anni e allora si può notare che il fascismo
agonizzante si resse da un lato grazie alla compiacenza e
all'interesse della classe imprenditoriale e dall'altro in forza
dell'appoggio di molti italiani di ogni ceto, per i quali la
repubblica di Salò, nonostante la servitù, il sangue fratricida
versato, altri non era che un sogno in cui il culto mussoliniano e
le relative speranze e illusioni cercarono di protrarsi al di fuori
di ogni confronto con la realtà.
Da questo libro, veramente bello, emerge infine la figura di un
dittatore grande politico, ma del tutto incapace come statista, un
individuo che fece non poche scelte sbagliate, di cui l'ultima gli
risultò fatale.
A un personaggio simile gli italiani affidarono i loro destini con i
risultati che la storia ci ha riportato, un uomo della provvidenza
incapace perfino di dare un orientamento chiaro e coerente alla sua
vita.
E' inutile che dica che consiglio vivamente la lettura di questo
testo.
Giorgio Bocca è nato a Cuneo nel
1920. Durante l'ultimo conflitto ha partecipato alla Resistenza
delle formazioni di Giustizia e Libertà e, terminata la guerra, ha
iniziato la carriera di giornalista. Redattore alla Gazzetta del
Popolo e all'Europeo, inviato del Giorno, è stato trai fondatori di
Repubblica nel 1975. Ha scritto numerosi libri di storia e di
attualità. Al riguardo si ricordano Storia dell'Italia nella
guerra fascista, Palmiro Togliatti, Storia popolare della
resistenza, Il terrorismo italiano, Storia dell'Italia partigiana,
Partigiani della montagna, Il provinciale, Il filo nero, Il dio
denaro. Ricchezza per pochi, povertà per molti, Le mie montagne.
Renzo Montagnoli
Il romanzo “ Chesil beach” di
Ian Mc Ewan
Studio analitico e anatomico di una storia d’amore e di sentimento
Siamo in Inghilterra, nel luglio del 1962, sulla costa del Dorset
davanti alla sconfinata distesa di ciottoli di Chesil beach si
frantuma, come macerie, la luna di miele dei due giovani Florence,
promettente pianista di agiata famiglia ed Edward, modesto storico
di modesta famiglia.
Mc Ewan descrive con inusitata meticolosità, pari ad un entomologo
che studia la vita degli insetti, il microcosmo cellulare e
sensoriale, l’iniziazione sessuale dei due protagonisti ingenui e
fin troppo inesperti in un’epoca in cui si avvertono già i prodromi
che avrebbero prodotto la libertà sessuale anticamera di tutte le
libertà dell’uomo. In Florence e in misura minore in Edward
convivono i pudori vittoriani, il perbenismo borghese e la mentalità
miope e ristretta dei benpensanti che si traduce in una forte
dicotomia tra l’amore puro e l’amore sensuale. Quasi una sorta di
medioevo dei sentimenti alberga nella provincia inglese della
seconda metà del xx secolo; in una stanza d’albergo si compie il
dramma, metafora di tutte le inibizioni, i tabù sessuali e le
convenzioni sociali codificate che frustano i due novelli sposi, in
contrasto la spiaggia spazio aperto e naturale che rappresenta la
fuga ( e forse la ricerca dell’altro) da tutto ciò. Lo scrittore
quasi pedantemente e con pretese psicoanalitiche ci ammannisce e ci
fa capire quanto il sociale, spesso, sia d’ostacolo alla
comunicazione naturale dei sentimenti e dei corpi. La storia d’amore
di Florence ed Edward è vissuta avulsa dal contesto storico-
culturale in cui agiscono; gli sguardi che si perdono l’uno
nell’altro, eppure pieni di promesse ardite, gli sfioramenti
epidermici, presaghi di voluttà future e sempre procrastinate si
scontrano con il momento culminante della consumazione effettuale
hic et nunc. Edward, quasi con tenera trepidazione ha anelato
l’attimo e l’atto supremo, Florence l’ha sempre aborrito e quasi con
rassegnazione si sta immolando come vittima sacrificale in nome di
un amore assoluto; ma la finzione non regge al suo parossismo di
rabbia e vergogna, la repulsione alla costrizione svelano la sua
vera natura e la inducono in una fuga verso la spiaggia: dalla
camera nuziale-camera della tortura, alla spiaggia- libertà. Si
potrebbe affermare quanto un’educazione soffocante, quanto un
ambiente opprimente, castrante reprima gli animi sensibili e,
particolarmente inclini al conformismo. Nulla, si diceva Edward,
adesso che la chiesa aveva sanzionato la loro unione, si frapponeva
più al loro amore. Ma tutto è complicato, anomalo, frustante e
mortificante per lui, ripugnante per lei, il loro misero legame si
frange e si rompe come le stesse onde del mare sugli scogli, musica
melanconica per le loro anime sofferenti e provate: ognuno
percorrerà a distanza la propria strada. Lui custodirà Florence
com’era nei suoi ricordi, giovane, bella e seria; lei aveva pensato
che amore e pazienza li avrebbero aiutati a superare ogni cosa, se
solo non se li fosse scoperti in tempi diversi, ella, se solo la
voce di Edward l’avesse raggiunta si sarebbe voltata, ma lui era
rimasto impassibile nel suo silenzio virtuoso in quel crepuscolo
estivo, a guardarla correre via sulla spiaggia. In definitiva, un
amore in nuce, ancora all’alba delle esperienze di vita, le
etichette sociali, come marchi indelebili impressi, lo troncano e lo
falcidiano nella sua spontanea autenticità. Lo scrittore con
incredibile maestria, orchestra i moti dell’animo dei due giovani
come suoni ora dolci, soavi e suadenti, ora aspri e forti, quasi
stridenti. Egli con precisione scientifica dettaglia ogni minimo
particolare anatomico, ogni pulsione intima dei due inglesi, ogni
minimo pensiero passa allo scandaglio della sua lente narrativa
d’ingrandimento. E’ come se Mc Ewan volesse spettacolizzare il tutto
e noi come “guardoni” assistiamo alla scena ammutoliti e dispiaciuti
per gli attori in scena. La ricerca meticolosa e ossessiva dell’infinitivamente
piccolo dettaglio fisico le descrizioni naturalistiche, lo scavo
psicologico dei caratteri, la cura estetica della forma potrebbero
apparire pretestuosi, ma la profondità di queste soluzioni narrative
sono aderenti alla storia. La struttura della trama scardina la
linea orizzontale cronologica, i continui rimandi temporali al
passato mentre il presente incalza creano una sorta di sospensione e
di curiose cesure al ritmo narrativo. Alla fine, però, c’è da
chiedersi… perchè rispolverare ( Vintage sentimentale?) una storia
di antichi e buoni sentimenti sentimentali, una storia d’amore ed
inibizioni? Forse, questo non c’è dato saperlo!
L’autore: Ian Mc Ewan è nato ad
Aldeshott, in Inghilterra, nel 1948. Ha girato il mondo al seguito
del padre ufficiale di carriera, fermandosi a lungo a Singapore e a
Tripoli. Laureato in letteratura inglese presso l’Università del
Sussex, ha scritto racconti, romanzi e sceneggiature
cinematografiche, con crescente successo di critica e di pubblico.
Attualmente vive a Oxford con la moglie e quattro figli. Tra le sue
opere : “ Il giardino di cemento”, “ Bambini nel tempo”, “ L’amore
fatale”, “Espiazione”.
Arcangela Cammalleri
La svastica nelle tenebre
Nazismo Magico di
Marco Castelli Edizioni Il Foglio
Collana Esoterica
Tutti, più o meno, sappiamo che cos'è il nazismo, un movimento
politico razzista responsabile di orrendi crimini contro l'umanità.
Il nazismo, contrazione del termine Nazionalsocialismo, è una forma
mista appunto di nazionalismo e di socialismo totalitario.
Il testo base di questo movimento è il Mein Kampf scritto da Adolf
Hitler, partendo dall'osservazione della disgregazione dell'impero
austro-ungarico, attribuibile, secondo l'autore, alle diversità
etniche e linguistiche. Ecco quindi la necessità di preservare la
purezza e la cultura germanica e da qui il considerare la razza
ariana, propria dei tedeschi secondo un concetto antropologicamente
folle, quella superiore su tutte le altre.
Anzi, per evitare pericolose contaminazioni, i non ariani, trattati
alla stregua di sub uomini, devono essere emarginati o al più
servire come schiavi del grande Reich.
Alla base, però, di questa assurda ideologia c'è anche un misticismo
che trae origini da diverse fonti, non poche antecedenti al nazismo,
una sorta di sette segrete in cui l'elemento esoterico assume
connotazioni spesso di malsana fantasia.
Marco Castelli, con questo bel saggio, ci svela l'aspetto nascosto
del nazismo, le sue superstizioni miranti a trovare le
giustificazioni plausibili di una dottrina per certi versi semplice,
rozza, egoistica e violenta.
Così, senza approfondimenti particolari, ma comunque in modo
esauriente, leggiamo dell'origine della svastica, delle motivazioni
di fondo che animarono Dietrick Eckart nel creare il
nazionalsocialismo, dei protocolli dei savi di Sion, della società
di Thule e di tutta una serie di sette e di teorie sull'universo e
sull'uomo che lasciano sbalorditi per le loro evidentissime
incongruenze, ma che i potenti del terzo Reich considerarono
attendibilissime.
Ci si muove in una sorta di terza dimensione dove l'illogicità
manifesta viene a essere considerata del tutto verità, come per la
teoria della terra cava o della formazione dell'universo per
l'antitesi fra il calore e il ghiaccio, niente di più che opinioni
di individui tarati mentalmente e non certo rappresentanti di una
razza superiore.
Giustamente, a pagg. 120 l'autore sintetizza in modo perfetto queste
basi occulte, scrivendo " La magia, l'intuizione, il mito sono
elementi che acquisiscono nel nazionalsocialismo una particolare
rilevanza e sono posti sullo stesso piano della ricerca scientifica
e della razionalità."
E' un libro che è quanto mai opportuno leggere, perché riesce a
renderci l'idea di come tanta aberrazione sia stata possibile, di
come l'uomo abbia potuto far emergere in modo così violento il
peggio di se stesso.
Marco Castelli è nato a Bollate
(MI) il 13 agosto 1970.
Laureato in Scienze Politiche e iscritto all'Albo dei Giornalisti
Pubblicisti dal 1998, collabora con il Corriere di Novara ed è
impiegato nella pubblica amministrazione.
E' appassionato di scrittura (sia poesie che racconti) e ama la
Storia, la fotografia e la montagna.
Renzo Montagnoli
Autumn to autumn (Sonetti 1997-1998)
di Peter Russell Edizioni Il
Foglio
Prefazione di Enrica Salvaneschi
Il sonetto è un classico componimento della poesia, soprattutto
italiana, ed è caratterizzato dalla brevità, oltre che, almeno nella
sua forma tipica, dalla presenza di quattordici versi endecasillabi
suddivisi in due quartine a rima alternata o incrociata e in due
terzine a rima variabile.
Celebri autori di sonetti sono stati Dante Alighieri, Cecco
Angiolieri, Petrarca, Giosuè Carducci, tanto per citarne alcuni, ma
ci sono stati cultori anche all'estero.
Con il tempo si è avuta poi un'evoluzione che ha comportato una
variabile suddivisione del raggruppamento dei versi con a volte
contemporanea modifica del numero delle sillabe.
Peter Russell aveva una vera passione per il sonetto, tanto che ne
scrisse un numero rilevante (si dice più di tremila), che tuttavia
trovarono la via della pubblicazione in misura assai ridotta ed ecco
perché questo volumetto de Il Foglio intitolato Autumn to autumn
ha una sua particolare valenza raggruppando 23 liriche scritte negli
anni che vanno dal 1997 al 1998, che precedono di poco la morte
dell'autore, presago quasi dell'imminente fine.
Di rilievo, come sempre, la presenza "a fronte" del testo originale
in lingua inglese, grazie al quale è possibile apprezzare la
struttura metrica e l'armonia insita, che inevitabilmente nella
versione italiana si perdono, tanto più che la traduzione,
effettuata dall'autore stesso e da suo figlio, non è così precisa e
cristallina come quella invece di Long evening shadows.
L'opera è preceduta da una bella prefazione di Enrica Salvaneschi
che ha saputo predisporre la giusta atmosfera per avvolgerci, in
corso di lettura, nella piacevolezza di un ritmo che nulla ha da
invidiare a quelli di altri grandi del passato.
Wath message on departing can I send?
The God in time abandoned Anthony-
In time why should he not abandon me,
Before forewarned and timorous I descend
Into the Underworld that is our end.
Heaven or hell , says Christianity,
The Witnesses, a renewed earth, will be
Perfect humanity's unmerited godsend.
….
Che messaggio mandare al dipartirmi?
In fine Antonio dal Dio fu abbandonato -
Perché non dovrebbe toccare a me la stessa sorte,
Prima che scenda, avvisato e timoroso,
Nell'Ade che è la nostra fine.
Inferno o Paradiso, dice il Cristianesimo,
I Testimoni, una terra rinnovata, sarà
La manna immeritata della perfetta umanità.
….
Questo sonetto, dedicato ad Anthony Johnson, esprime bene tutte le
sensazioni che trovano sbocco nelle riflessioni di un uomo che
avverte l'approssimarsi della propria fine, quell'autunno nelle
stagioni della vita che appare il periodo necessario, se non
indispensabile, per prepararsi all'infinito inverno.
Questa tematica, svolta in altro modo, è propria anche di Long
evening shadows, opera quest'ultima a mio avviso più completa e
che peraltro beneficia di una traduzione esemplare, che nulla toglie
all'originale, e che, anzi, nella nostra lingua sembra uscita
direttamente dalla penna del poeta.
Per fortuna che esiste il testo a fronte che ci rivela una
scorrevolezza dei versi in un ritmo pacato, ma non lento, che
ritroviamo in tutti i componimenti, come in questo, di cui riporto i
primi quattro versi della sola traduzione in italiano, peraltro
abbastanza corretta.
Non mi rimane più niente se non la lettura,
Finchè non giungerà l'ora in cui i miei occhi si chiuderanno
E cesserà il mio respiro, e avrò bevuto
L'ultimo calice inebriante, e sarà troppo tardi per andarmene.
…
La passione per tutto ciò che ci circonda viene però ad accentuarsi
in questo periodo, quasi a voler cogliere sensazioni e sfumature in
modo più intenso, onde accomiatarsi aspirando a pieni polmoni il
profumo della vita.
Ed ecco allora un sonetto in cui la meraviglia per la bellezza della
natura prorompe irrefrenabile:
Today the first wild hyacinths are out
And will narcissi spot the hills with gold,
Violets, a warm deep blue, defy the cold;
…
Oggi sono sbocciati i primi giacinti
E d'oro i narcisi selvatici macchiettano i colli,
Violette, un caldo blu profondo, sfidano il freddo;
…
Non vado oltre, per non togliere il piacere di poter scoprire gli
altri testi, frutto di un'esperienza poetica e di una sensibilità
artistica che, giustamente, fa rientrare Peter Russell nel ristretto
cerchio degli eletti, cioè di quegli autori le cui opere sono
immortali.
Peter Russell (Bristol, 1921 -
Castelfranco di Sopra, 2003).
Influenzato da Yeats, ebbe modo di conoscere Pound e Eliot, che lo
aiutò anche finanziariamente. Condusse una vita molto movimentata,
con soggiorni, più o meno lunghi, in diversi paesi del mondo. Nel
1982 approdò in Italia, in Valdarno. Di fatto il nostro paese
divenne quello di elezione, a lui caro per l'ambiente naturale e per
aver dato i natali a poeti che stimava molto, fra i quali
soprattutto Petrarca.
Russell amava i ritmi semplici, l'osservazione della quotidianità, i
riferimenti mitologici, i valori e i simboli della natura. Candidato
al Nobel, è stato considerato uno dei maggiori poeti del modernismo
del novecento.
Con Il Foglio ha pubblicato, oltre a Autumn to autumn,
anche Long evening shadows.
Renzo Montagnoli
Via del Campo di
Fabio Beccacini Edizioni Il Foglio
Narrativa - romanzo noir
Genova, il suo angiporto con le viuzze strette e maleodoranti,
popolate da puttane e da bar equivoci, un cielo sempre coperto da
cui scende impietosa una pioggia pressoché costante sono il teatro
di scena di questo noir.
Si aggira in questo ambiente un feroce serial killer che ha come
prede delle giovani donne, uccise e poi tagliate in due.
Un malinconico maresciallo dei carabinieri è incaricato delle
indagini; è un uomo stanco, a cui la vita non ha più nulla da dire,
ma che si illude di arrivare alla difficile soluzione del caso.
Il suo percorso si interseca con quello di Lorenzo Zingaro, il
giornalista di cronaca nera del Corriere mercantile; anche lui vive
in un limbo di infelicità e trova rifugio nell'alcool, soprattutto
in compagnia degli amici del bar, un bel campionario di gente che
vive al confine con la legalità, quando addirittura non l'ha già
sorpassato da tempo.
Non ci sono eroi in queste pagine, non troviamo riscatti, ma solo
personaggi vinti da tempo ed è questa caratteristica che connota in
modo egregio tutta l'opera, dove in fondo i delitti e le indagini
finiscono con il diventare un corollario, quasi al servizio del
disegno psicologico dei protagonisti.
Non è, peraltro, che la vicenda sia modesta, anzi ha un suo
sviluppo, apparentemente caotico, che si sbroglia nelle pagine
finali in una soluzione logica, ma che lascia tanto amaro in bocca.
Questo battere e ribattere sul tema dei vinti lascia trapelare anche
intenzioni che vanno oltre quelle del racconto di genere e finiscono
con il costituire una specie di rappresentazione, in chiave
altamente drammatica, di una società in cui, tutti, chi più chi
meno, siamo degli sconfitti, davanti ai nostri occhi e a quelli dei
pochi vincitori, alla cui furbizia dobbiamo rassegnarci.
Lo stile è nervoso, a volte addirittura i periodi vengono sgranati
come raffiche di mitragliatrice, ma ci sono anche dei momenti
riflessivi, soste per riprendere il fiato e per meglio comprendere
la psicologia dei protagonisti.
Nell'insieme queste 95 pagine rappresentano l'occasione per una
lettura gradevole e d'evasione, ma, giunti alla fine, l'amarezza
prende gradualmente il sopravvento, incerti se identificarci con il
giornalista o con il maresciallo, ma certi di un'unica cosa: da
qualunque punto di vista si osservino questi due personaggi,
nell'uno e nell'altro ritroviamo sempre qualcosa di noi, e restiamo
delusi, non del romanzo, assai piacevole, ma di noi stessi.
Fabio Beccacini (Imperia, 1977)
Fa il ghost writer per un noto personaggio italiano. Il suo primo
romanzo noir "Via del Campo" è uscito per i tipi del Foglio nel
marzo 2003 ed è giunto in breve tempo alla seconda edizione. Ha
pubblicato sul quotidiano nazionale Il Riformista e sulle riviste il
Foglio Clandestino, Il Foglio Letterario, Container, Penna d'Autore,
Progetto Babele e altre. Ha partecipato a varie antologie tra cui
"Liguria in giallo e nero" (Fratelli Frilli Ed. 2006), "Torinoir"
(Il Foglio Ed. 2006), "Tempo Scaduto" (Eumeswil Ed. 2007), "Brividi
Neri" (Terzo Millennio Ed. 2002),"Dammi Spazio" (Il Foglio Ed.
2003), "Semi di fico d'india" (Nuova Dimensione 2005). Premiato in
numerosi concorsi letterari vive tra Imperia, Genova e Torino dove è
laureando in D.A.M.S. cinema ed è stato per due anni redattore del
Magazine ExtraNews in onda sul canale digitale terrestre
Extracampus. Un suo servizio sullo scrittore americano Bret Easton
Ellis è stato trasmesso da Sky. Il suo primo cortometraggio
(sceneggiatura e regia) "Hate & Love" è stato presentato a marzo
2005 nei club di torino e al primo festival del giallo ligure
Marenoir. In via di lavorazione un cortometraggio ispirato
all'antologia Torinoir. Attualmente è redattore del settimanale News
Liguria Magazine e sta lavorando a un thriller ambientato
nell'entroterra imperiese "Gustav non deve parlare con nessuno" e
alla raccolta di racconti senza lieto fine "Aurelia: sedici strade
che non portano a roma". Il suo romanzo giallo "Torino non esiste" è
in via di pubblicazione. Assieme all'attore Simone Gandolfo sta
sviluppando la piece teatrale "Rien a Signaler - Niente da
Segnalare". Per conto del comune di Imperia sta avviando un progetto
formativo di educazione alla cultura dell'immagine che lo porterà a
contatto con la realtà scolastica, dalle elementari all'università.
Organizza eventi e partecipa frequentemente come Disc Jockey e Art
Director a serate multimediali nelle discoteche del Nord Ovest. E'
resident Dj in alcuni club della riviera ligure.
Sito Internet:
http://www.beccacini.it/home.htm
Renzo Montagnoli
Mal di pietre di
Milena Agus ed. Nottetempo
L’immaginazione e il sogno sono le porte per una realtà di là dalla
ragione
In questo breve romanzo,”Mal di pietre”, scorre una vena narrativa
fluente ed evocativa, in cui la scrittura dell’autrice, limpida,
concreta ed essenziale, dà corpo ad una trama che, attraverso il
filo dei ricordi, “Un quadernetto nero con il bordo rosso” e una
lettera ingiallita, riverbera bagliori di luci ed ombre. La prima
pagina del racconto enuncia, come un antefatto, il fulcro della
storia: “ La Nonna conobbe il Reduce, anno 1950, da Cagliari per la
prima volta in Continente alle terme per curare il mal di pietre” (
i calcoli renali, che minavano il suo fisico sin dalla più giovane
età ).
L’io narrante, la nipote, con sguardo puro e commovente ripercorre
la vita della nonna paterna, la Nonna ( l’iperonimo che include
l’iponimo, il legame parentale forte sottrae il nome proprio, in una
sorta di sineddoche sui generis ), donna sarda dall’indole
passionale incline all’amore, “La cosa più bella per cui valga la
pena di vivere”, affetta da un male misterioso- come lamentava, lei
stessa- che faceva fuggire l’amore.
Nonna, la figura femminile intorno alla quale ruota tutta la storia,
ha i tratti prorompenti e vitali e l’animo straziato da un male
oscuro, che agli occhi degli altri appare come una forma di follia,
quando il dolore esplodeva imperioso dal suo animo e prorompeva in
gesti estremi, plateali, in quel suo grido disperante e reiterato -
mancava la cosa principale – diceva – e si rinchiudeva in quel suo
mondo della luna. Nonna si dibatte in una schizofrenia tra l’io
reale e l’io immaginario d’amore ”Essere fuori della ragione (e per
questo matta ) e dentro un sogno”. Il Reduce rappresenta l’amore
inventato e rimpianto perché irrealizzato, le cose del quotidiano, i
figli che non arrivavano sono le pietre dentro che implodevano
nell’animo di Nonna. L’inventiva, l’immaginazione ( nella lettera-
non smetta di immaginare-), la finzione letteraria diventano
l’antidoto alle sue sofferenze esistenziali.
La Nonna è l’emblema del disordine; in ogni famiglia c’è sempre
qualcuno che paga il proprio tributo perchè l’equilibrio sia
rispettato, altrimenti il mondo s’irrigidisce e si ferma.
Al contrario aveva fatto la nonna materna, Lia, rimettere ordine (
una vita di cenere dopo quell’unica scintilla), ma aveva fatto più
danno.
In fondo, forse, nell’amore, alla fine bisogna affidarsi alla magia,
perchè non c’è regola, qualcosa da seguire per far andare bene le
cose.
Sullo sfondo di questa storia interna, famigliare, scorre come un
film, la storia esterna dell’Italia dagli anni dell’armistizio, 8
settembre1943...Radio Londra…Badoglio…alla disfatta dei Tedeschi,
agli anni ’50 della ricostruzione e dell’emigrazione dei “Terun” a
Milano, agli anni ’70 del terrorismo e delle lotte tre i neri e i
rossi.
Questo è un racconto intenso, intessuto di note musicali, d’amore
cercato e… forse, non riconosciuto, di forti legami affettivi
dichiarati ( Mia nonna è stata tutto per me, quanto mio padre per la
musica e mia madre tutto per mio padre)
Scrivere di qualcuno, come ha fatto la nipote, è un regalo, così
come un regalo piccolo, ma prezioso è stato offerto a noi lettori
con sommessa delicatezza quando un libro offre la condivisione di un
minimo dell’immaginazione di chi ha scritto.
Autore: Milena Agus vive a
Cagliari dove insegna italiano e storia in un istituto
tecnico-professionale. Ha esordito con il romanzo : “ Mentre dorme
il pescecane”, casa editrice, Nottetempo.
Arcangela Cammalleri
Le intermittenze della morte di
Jose’ Saramago
L’immortalità degli uomini e la mortalità della morte, un paradosso
letterario, ma, anche, un’illusione che illude l’esistenza umana
Come ci ha abituato Saramago le sue storie hanno sempre coordinate
sfumate e indefinite: il tempo, lo spazio, i nomi propri dei
personaggi, spesso, non si rivelano, tutto ruota intorno alle
parole, ai fatti, come se le connotazioni della realtà nella quale
ci muoviamo fossero mere categorie della mente. Cosa c’è di più
sfuggente e impenetrabile del tempo? Lo spazio è quello fisico o
quello mentale? I nomi sono rivelatori d’identità o suoni privi di
significato? Saramago in queste elucubrazioni escatologiche ci
restituisce una materia narrativa dove conta scandagliare l’animo
umano nelle sue molteplici sfumature. L’autore aduso ad un
linguaggio tecnico, a volte, anche, fastidiosamente burocratico,
raffredda la tensione del lettore teso nella trama dello script e
più che a riverberargli emozioni e ad avvilupparlo in queste sue
intricate trame, lo trascina in questa sua scrittura maniacalmente
ininterrotta, dove l’uso della punteggiatura è così inusuale e del
tutto personale, dove la dovizia dei particolari è soltanto
stupefacente e regna una profusione lessicale dotta. La trattazione
critica della lingua ingegnata dallo scrittore, le sue immaginifiche
architetture terminologiche costituiscono di per sé una
fenomenologia, un trattato a parte, ma non è questo il momento
propizio perché si rischierebbe la noia e ci si allontanerebbe
dall’intento iniziale. Già il titolo dell’opera rimanda a delle
frequenze fisiche, elettriche, ma riferite non ad un fenomeno solo
meccanico, bensì ad una condizione che racchiude il mistero del
destino umano. Ironico e paradossale l’incipit, come se l’autore
volesse prendersi gioco dei suoi potenziali lettori, proprio alla
mezzanotte di un 31 dicembre, in un territorio circoscritto, la
morte come un qualsiasi lavoratore, decide di scioperare! Dall’ora
zero di questo primo gennaio di un imprecisato anno, non avvenne
nessun decesso, si creò una situazione esistenziale privilegiata,
proprio dall’assenza di morte; l’entusiasmo popolare raggiunse le
stelle, il tam tam dei mass media divenne una frenesia investigativa
per tutti. Nel comunicato ufficiale, il capo del governo ratificava
che, dall’inizio dell’anno, non si erano registrati decessi e
invitava alla moderazione nella congeria di valutazioni ed
interpretazioni che venivano elaborate dello strano fatto: una
casualità fortuita, un’alterazione cosmica …vacuità
pseudoscientifiche. Nel trambusto generale, cominciò a serpeggiare
un sotterraneo allarme: dal governo alle compagnie di assicurazione,
dalle agenzie di pompe funebri alle case di riposo e alla Chiesa che
nel gestire ciò che sta in alto, governa ciò che sta in basso; se
fosse finita la morte non ci sarebbe potuta essere resurrezione, e
che se non ci fosse stata resurrezione, allora non avrebbe avuto
senso che ci fosse la chiesa. Perché ogni attesa ha la sua fine
infelice o felice che sia, nel paese in cui non si muore, gli
infermi diventarono persone in condizione di morte sospesa: la
speranza di vivere sempre diventò il timore di non morire mai.
Mentre anche i filosofi filosofavano sul bisogno della morte “Perché
se filosofiamo è perché sappiamo che moriremo”, anche De Montaigne
aveva detto che “Filosofare è imparare a morire”, un espediente fu
utilizzato non tanto per imparare a morire, quanto ad ingannare la
morte altrui, aiutandola. Una famiglia con due parenti in stato di
morte ferma, portarono i due infermi al di là della frontiera,
laddove, la morte, ancora in vigore in quel paese, l’avrebbe
accettati. Da quella notte in poi quei macabri trasporti si
moltiplicarono, i paesi limitrofi si irritarono per la continua
invasione dei loro territori… Quando la situazione stava degenerando
, ecco che con una missiva autografata dalla morte, ella annunciò,
dopo sette mesi di sciopero, di riprendere la sua normale attività.
Con questa prova d’attrice, con questo inusitato esperimento fallito
dall’atropo ( il nome della Parca che recideva il filo che teneva in
vita) si poteva concludere la storia, ma ecco il colpo d’ala di
fantasia dell’autore; s’inventa una morte riveduta e corretta: una
morte con preavviso. Cambia il suo modus operandi: avrebbe
continuato a strappare la vita agli uomini, ma non a tradimento. Una
settimana prima dell’infausto evento, una busta color viola arrivava
al designato destinatario perché avesse il tempo di sistemare i suoi
conti con questa vita terrena. Anche così il paese viveva
nell’angoscia! Un giorno l’automatismo delle missive s’inceppò, per
ben tre volte una lettera ritornò al mittente con gran disappunto
della morte che sotto le sembianze di una giovane donna dalla
bellezza inquietante vorrà conoscere il predestinato che è sfuggito
al suo destino (senza saperlo), un violoncellista la cui vita
solitaria era rischiarata dalla musica…La morte, quando, per la
prima volta, ascoltò di soppiatto, il violoncellista suonare la
suite numero sei di Bach, in quella musica sentì una trasposizione
melodica e ritmica d’ogni vita umana anonima o straordinaria, per la
sua tragica brevità e disperata intensità, e anche per quell’accordo
finale come un punto di sospensione lasciato nell’aria, nel vago
…incompiuto. Lo sviluppo della vicenda e il suo epilogo saranno
imprevedibili…
Le chiavi di lettura di questo romanzo sono tante quante le
contraddizioni dell’animo umano, sciorinarne tutto il mazzo sarebbe
eccessivo, affermerei che l’unica certezza dell’uomo pur nella sua
incontrovertibile consapevolezza che la morte nientifica l’esistenza
è la Speranza, l’ultima dea, e mi piace chiudere, con una
similitudine di Saramago: “Le speranze fiorirono come aiuole di
giardino”.
L’autore: Josè Saramago è nato
ad Azinhaga, in Portogallo nel 1922. Presso Einaudi ha pubblicato”
L’anno della morte di Ricardo Reis” , la zattera di pietra. Gli anni
novanta lo consacrano sulla scena internazionale con “ L’assedio di
Lisbona”, “Il vangelo secondo Gesù”. Premio Nobel nel 1998. Altre
opere “Cecità”, “Tutti i nomi”, i racconti”Oggetto quasi” , un
volume con tutto il suo teatro. Vive a Lanzarote, nelle isole
Canarie.
Arcangela Cammalleri
Aspettando l'attesa di
Silvano Conti ed. Prhomos 1988
A distanza di poco più di due anni dalla sua prima pubblicazione di
poesie, Silvano Conti si ripresenta all'attenzione dei lettori con
questo volume dal titolo significativamente emblematico : "
Aspettando l'attesa ". E naturalmente le nostre reminiscenze
letterarie ci riportano in mente subito capolavori del passato, in
primis il "Godot" beckettiano. Ma Godot nell'opera di Silvano è,
dunque, la stessa attesa, moderna fenice che rinasce dalle sue
stesse ceneri, ad un tempo fine e mezzo della poesia di vivere.
La parte dell'opera che titola la raccolta, appunto: " Aspettando
l'attesa", è caratterizzata da immagini statiche aponderali, quasi
sospese, che dipingono la condizione di chi aspetta di una certa
malinconia: la maggior parte delle poesie è ambientata in chiare
penombre, paesaggi notturni o serali, dove tematicamente ricorrono
spesso immagini acquatico-dolorose ( pioggia mare nebbia pianto ).
Si avverte in queste poesie una tenace volontà di ricerca di una
spiegazione logica tra il reale e l'ideale, accompagnata da una
descrizione realistica ed asciutta del presente, amara presa di
coscienza della ripetitività di ciò che ci sta intorno: "...vedremo
ancora le stesse tenere colline" ( fra le parole ) : è, allo stesso
tempo, visione rassicurante di qualcosa già noto, e impotente
constatazione di un futuro che si aspetta e che comunque si dovrà
incontrare. " Questa vita poltrona mi stona "( 18,30 )
: Conti ci porta nell'età della disillusione, quando l'esuberanza
giovanile è svanita, e in cui non resta che prendere atto che si sta
aspettando qualcosa di non ben definito, forse, anzi sicuramente, la
stessa attesa. Si aspetta a vuoto perché si sa che tutto è statico e
immutabile, e perciò non si aspetta altro che l'attesa, e aspettando
si sogna. Il sogno diventa così il solo mezzo per violare gli
angusti confini del quotidiano, ed è così che Silvano ci accompagna
per mano " alla ricerca di un filo conduttore ", col suo bellissimo
racconto, in un'atmosfera irreale, in una "irrealtà d i l a t a t a
" ( il tempo dell'attesa ), dove ci espone in una prosa-poetica
estremamente accattivante, il tema centrale del suo lavoro.
In " dallo spiraglio " l'autore continua alcuni temi presenti nella
prima sezione attraverso il filtro approfondito della introspezione,
in particolare quello della ripetitività e inevitabilità del reale:
"plana sul giorno l'abitudine col suo paracadute e tutto sfuma " (
Plana...) , " crebbi certezze, avrò amaritudine e inconsolabile
realtà" ( Verità sola...) , dove "amaritudine" sembra voler indicare
un'amara solitudine.
Si comincia ad avvertire, netta, la ricerca di sperimentalismi
fonici, sintattici e metaforici, che esploderanno caratterizzando le
poesie dei " Migmi" , in modo ossessivo, nella terza parte.
Nella sezione " de quolibet tactum " i temi ricorrenti sono il
vissuto, il toccato con mano, le temperie, l'amore e la natura; in
particolare, l'amore è una persenza rassicurante e l'ebbrezza
d'amore fornisce un alibi al sogno per incarnarsi alla realtà, un
rifugio, anche se molto spesso sembra appartenere al passato.
A questo punto non poteva mancare una retrospettiva - anche i
ricordi appartengono al sogno - come quella fornita in " living in
the past " , in cui vediamo un Conti ben diverso da quello attuale,
dove l'illusione non si è ancora trasformata in disillusione: " mai
un nuvolo nero mi aveva sorriso " ( amore umido ) : oggi sa che,
anche se il nuvolo sorride, non cambierà niente. Ma lasciamo ora da
parte inutili parole e conosciamo direttamente quest'opera
seguendola ed assoparandola nelle sue suggestioni " innumerevoli".
Sestilio Polimanti
Non dire notte di
Arcangela Cammalleri ed. Feltrinelli
Il deserto, come luogo dell’anima, anima i confini senza limite dei
sentimenti umani.
Narrativa-Romanzo
Una cittadina israeliana Tel Kedar, di 8-9 mila abitanti, prostrata
dal vento del deserto del Negev che manda frustate di polvere, fa da
sfondo alla vicenda umana e sentimentale dei due protagonisti del
romanzo: Noa e Theo. Il loro rapporto, dopo sette anni, comincia a
mostrare segni di incomprensioni e insofferenze. Theo è un
sessantenne, architetto di fama riconosciuta, vive in uno stato di
attesa, ha ormai fatto quel che poteva fare, ora che si trova alla
fine del mondo, Noa, professoressa di lettere in un liceo, più
giovane di 15 anni, al contrario, è piena di entusiasmo e voglia di
cambiamenti. La morte di uno studente di Noa ( per droga o per
suicidio) e l’incarico di creare un centro di riabilitazione per
giovani tossicodipendenti, danno uno scossone alla loro relazione
dapprima in fase critica, ma dopo sarà una sferzata di nuova linfa
vitale e rigenerante per la loro vita a due. Attorno ruotano altri
personaggi, ciascuno con i propri disinganni e le proprie illusioni
che l’esistenza democraticamente offre ad ogni essere umano.
L’agente immobiliare Muki Peleg, un dongiovanni decadente che
sfarfalla come inesausto Sisifo, Linda Danino, divorziata, asmatica
e appassionata di arte e Ludmir, un pensionato della società
elettrica, nemico di discoteche, debordante autore di una rubrica
intitolata l’eco del deserto; tutti amici di Noa che l’aiutano in
questa inusuale crociata che dà un nuovo senso alla sua vita. La
storia si snoda attraverso il racconto dei due protagonisti, in
prima persona, lui osserva e ascolta lei, lei che guarda e giudica
lui; è un rimando di pensieri e azioni che s’incrociano e si
allontanano. Lei frenetica, rincorre il tempo, il suo daffare va
tutto a spese della solitudine e della lenta discesa dal dolore
verso la tristezza di lui. Il paesaggio desertico contorna e dà la
dimensione e la scansione del ritmo della vita degli abitanti di Tel
Kedar: il vento che alita come una falciata fredda e acuta,
l’aggressività della luce e della polvere, la calce bianca che
assorbe le sfumature del deserto, gli spazi aperti strisce di
deserto macchiettato. Si respira e s’immagina questa immensa distesa
di sabbia su cui il sole brucia con i suoi artigli di vetro
acuminato ed è, per noi lettori, come essere novelli beduini che
inseguono miraggi lontani e irraggiungibili. E’ la scrittura
mirabile di Oz che ci ammalia e ci rapisce come musica dell’anima;
lo stile lieve ed elevato solleva la mente in qualche altrove. Nel
giorno che muore, si domanda Theo cosa promette l’ultima luce, che
cosa ha in serbo; la notte, ma non il nero del buio. Come il chiaro
di luna dà luce alla notte che cala, così l’incanto della natura
bagliore ai nostri occhi illumina i momenti bui del vivere. Non dire
notte.
L’autore: Amos Oz, uno dei più
grandi scrittori israeliani, è nato a Gerusalemme e vive ad Arad
dove insegna letteratura all’università Ben Gurion nel Negev.
Opere: “ In terra di Israele”, “ Lo stesso mare”, “ Una storia di
amore e di tenebra” “ Fanatismo”, “d’un tratto nel folto del bosco”.
Arcangela Cammalleri
Vedro’ l’alba ? – Il diritto di non credere
“ di Renata D’Agostino
– PAGINE, Roma ,2007
L’ autrice , in questo suo saggio, partendo dalla sua esperienza che
l’ha portata a contatto con “ il male incurabile “ , invoca una
Medicina “ a misura d’uomo “ in cui il Medico non si chiuda nelle
sue certezze ma si dimostri aperto a tutte le possibilità
terapeutiche , anche quelle più “ eterodosse “ ; perché fare Ricerca
significa avere una certezza sola : quella che si ignora . E il
malato ha bisogno di non vedersi mai preclusa la speranza della
guarigione . Ciò non vuol dire alimentare illusioni , ma infondere
amore per la vita . Interessante è il profilo che ll’ autrice
traccia del grande clinico Augusto Murri , che nel visitare gli
ammalati era “ attento alle cose più banali,irrilevanti,dalla
temperatura all’odore che sentiva entrando nella camera del malato “
. Il ricavato della vendita di questo libro sarà destinato alla
costituzione di una società “ ONLUS “ per l’n incentivazione della
diagnosi precoce dei tumori :
Gianfranco Stivaletti (
gianfrancoski@yahoo.it )
.
Everyman di
Philip Roth ed. Einaudi
“Una riflessione livida e spettrale sull’esistenza umana”
Romanzo-narrativa
Il titolo, come esplicita la nota di copertina, rimanda ad un tema
della drammaturgia inglese del ‘400, “Everyman”, la chiamata di
tutti gli uomini alla morte.
Una grande mente, lo scrittore, in età matura, sente soccombere
davanti agli assalti della vita e incombere davanti alla suprema e,
per questo, più esorcizzata delle esperienze umane.
“Dal querulo e di giovanile impeto “Lamento di Portnoy” agli alterni
lamenti degli uomini quando la giovinezza impallidisce e muore e
dove il solo pensare è tutto un tormento…” ( Sublime la scelta dei
versi di J. Keats come incipit al romanzo).
Il protagonista del romanzo è un pubblicitario di una famosa agenzia
di New York, alle spalle ha tre matrimoni falliti, due figli maschi
che lo delegittimano come padre e l’unica figlia che lo adora. Alle
soglie dei 71 anni, vede la sua vita sgretolarsi negli affetti, nei
conoscenti e nel declino fisico. Una serie di ospedalizzazioni
minano il suo corpo e la sua anima; era campato tre quarti di secolo
ed adesso la sua vita produttiva è finita. E’ successo qualcosa di
imprevisto ed imprevedibile: si trova nella fase in cui si diventa
sempre meno, all’impotente rassegnazione, al deterioramento fisico e
alla tristezza finale, è arrivato dove non aveva mai sognato di
arrivare. E’ ora di tormentarsi per l’oblio. Il senso della propria
finitezza, soprattutto nella senescenza, domina i pensieri del
protagonista, il cui nome non compare mai, perché la sua parabola
esistenziale è quella comune a tutti gli esseri viventi: che si
nasce per vivere e invece si muore.
Un libro dal contenuto amaro e spietato, il cui stile netto e
preciso intensifica l’insopportabile e l’indefendibile del nostro
destino e della nostra nullità.
inutilità e nullità. Il merito di Roth? Dalla morte prende inizio la
sua lucida e allucinata riflessione esistenziale, perchè la
''Questione ultima'' non è una cosa che arriva alla fine, ma come
non pochi filosofi greci da Platone agli stoici, fin dall'antichità
la presenza- assenza della morte ha originato il pensiero umano ed è
stata la fonte ispiratrice di ogni conoscenza. La questione
metafisica s'innesta nella materia narrativa di Roth per diventare
pura e semplice concretezza della vita naturale.
L’autore: Philip Roth è nato a
Newark il 13/ 3/ 1933, scrittore statunitense di origine ebraica,
conosciuto soprattutto per Portnoy’s Complaint, “Il lamento di
Portnoy” e per la sua trilogia che comprende”Pastorale
americana”(1997), vincitore del premio Pulitzer, “Ho sposato un
comunista”(1998) e “La macchia umana”(2000). Nel 2007 è stato
pubblicato per Einaudi il suo”Patrimony: A memoir, tradotto in
italiano: Patrimonio-Una storia vera. Vive nel Connecticut.
Arcangela Cammalleri
Il peggiore di tutti di
Gilles Ascaride Casa Editrice
Fernandel
Narrativa - romanzo
Sull'ultima di copertina sono riportati, fra altri elementi, gli
stralci di recensioni apparse su giornali francesi, in verità tutte
azzeccate, ma forse la più riuscita è quella de La Provence
<<Ascaride riesce nell'alchimia di mescolare la risata e il pianto,
il dramma e la commedia>>.
In effetti, come noir è del tutto atipico, anzi l'aspetto saliente è
quello di un romanzo di introspezione, che alterna momenti di
ilarità con altri di profonda malinconia, ma senza che queste
apparenti contrapposizioni finiscano con lo svilirne l'intima
essenza, cioè la storia di un'autentica, sofferta espiazione. La
drammaticità è psicologica in un uomo che arrivato a un certo punto
di una vita condotta quasi nell'anonimato comincia a ricevere strani
messaggi composti da due sole parole: Pagherai, szemét!. L'ultima,
che è ungherese, tradotta significa infame.
E il nostro personaggio, di nome Bianco, si arrovella sempre di più
non riuscendo a capacitarsi come lui, sempre attento a non urtare
mai nessuno, abbia potuto compiere qualche gesto o qualche atto che
possa giustificare una simile reazione.
Procede quindi a un esame a ritroso di tutta la sua vita arrivando
alla sua pubertà e all'ambiente scolastico, da cui poco a poco
emergono i contorni di una vicenda di cui, a distanza di tempo,
prova rimorso.
Giunge a questo risultato attraverso una serie di quadri del periodo
scolare che, se da un lato possono muovere alla risata, dall'altro
rivelano squallori di intensa drammaticità.
Così troviamo alunni scalcinati, altri due prepotenti e sadici, un
ragazzo di origini ungheresi di sicura personalità e raffinatezza,
tanto da apparire nell'ambiente un pesce fuor d'acqua, e lui, il
signor Bianco, che cerca di tenersi buoni tutti, soprattutto quelli
che comandano e sottopongono gli altri ad angherie, fino al punto di
dare il colpo di grazia a una vittima sacrificale, proprio il
magiaro.
Il ripiombare, con il ricordo, nell'abiezione del proprio
comportamento ingenera il rimorso e il disperato tentativo di porre
un tardivo rimedio.
Giocato esclusivamente sul filo psicologico, ma con grande abilità e
senza mai che ci sia una caduta di ritmo, o che si verifichino passi
improvvisi che appesantiscono la narrazione, Il peggiore di tutti
è un gran bel romanzo, piacevole da leggere e che fa molto
riflettere.
Gilles Ascaride è nato a
Marsiglia nel 1947. Sociologo all'università di Provenza, in Francia
è un apprezzato autore di narrativa e di teatro. Del resto la sua è
una famiglia di artisti: la sorella Ariane è una celebre attrice e
il fratello Pierre uno stimato regista teatrale.
In Italia Gilles Ascaride ha già pubblicato la raccolta di racconti
Amori moderni (Fernandel, 2006).
Renzo Montagnoli
Eibhlin non lo sa… lascia che le cose
accadano di Laura Costantini
e Loredana Falcone Maprosti &
Lisanti Editore
Narrativa - romanzo
Chi mi conosce bene di certo non ignora che fra i vari generi
letterari il fantasy non rientra nelle mie grazie. In effetti
romanzi come il Signore degli anelli, con il loro carattere
mitologico, del tutto avulso dalla realtà, non riescono ad
avvincermi, mi fanno sembrare, nel cercare di leggerli, un pesce
fuor d'acqua.
Quando ho preso in mano Eibhlin non lo sa… ero perciò
titubante, quasi restio, in preda all'amletico dubbio se convenisse
o meno che cominciassi a leggerlo.
Poi mi sono deciso e dal prologo alla fine è stata una lettura
ininterrotta, come assai difficilmente mi capita con altri romanzi.
Sì, ho assaporato il piacere di abbandonarmi totalmente a questa
meravigliosa vicenda, perché non si tratta tanto di un fantasy, ma
di un testo in cui la ricerca di un'antica spiritualità al fine di
vivere il presente è la chiave dominante, con tutta una serie di
perle di saggezza che mi hanno letteralmente coinvolto.
Non ci sono gli elfi, non ci sono i draghi, c'è quell'intimo
contatto con la natura proprio dell'antica civiltà celtica.
Il personaggio di Eibhlin, strega per discendenza, è di accattivante
dolcezza e il corollario di protagonisti che le stanno intorno,
esseri che vivono sulla razionalità dell'uomo moderno e che poco a
poco riscoprono il piacere di una vita a misura d'uomo, in armonia
con se stessi e con l'ambiente, è veramente azzeccato, con
caratterizzazioni diverse, ma verosimili e ben riuscite.
E poi è sempre presente lo stile mai greve di queste due scrittrici,
una sorta di ruscello che scorre gorgogliando senza mai perdere di
velocità, insomma quello che serve per leggere senza stancarsi, anzi
per divorare le pagine.
Quest'opera ha un messaggio, riportato nel sottotitolo "Accadrà.
Lascia che le cose accadano.", un invito a vivere pienamente la
vita, ad avere entusiasmo nei sentimenti, ad affrontare prima che
gli altri se stessi, in una sorta di approfondimento dell'innata
spiritualità che libera l'essere umano dal concetto di tempo,
rendendolo di fatto l'immortale esempio del perfetto equilibrio
della natura.
Non aggiungo altro per un'opera la cui lettura mi ha entusiasmato e
che riverbera ancora i suoi effetti, mentre scrivo queste parole.
In un mondo in cui tutto è fiction, il meraviglioso incontro con la
realtà di una terra come l'Irlanda e la saggezza di Eibhlin
costituisce la magia per ritrovare il senso della vita in un'umanità
delusa e indifferente.
Concludo dicendo che mi piacerebbe tanto che potesse essercene una
trasposizione cinematografica, a mio avviso possibile sia per la
struttura della narrazione che per la trama stessa.
LAURA COSTANTINI, giornalista e
scrittrice è nata a Roma dove vive tutt'ora. Ha iniziato la carriera
di giornalista nel 1994, lavorando presso il Tg5 e il quotidiano
genovese <Il Secolo XIX>. Approdata poi alla stampa periodica, è
stata per otto anni una delle firme del settimanale Rcs <OGGI>,
occupandosi di cronaca e di spettacolo.
E' nel 2003 che viene chiamata nella redazione del programma di
punta del day-time di RaiUno <La vita in diretta>, presso il quale
lavora ancora oggi come inviata.
Impegni professionali che non l'hanno mai allontanata dalla sua vera
passione: scrivere.
Soprattutto romanzi che spaziano nei generi letterari i più vari, ma
sempre mantenendo un punto di vista tutto femminile, aiutata in
questo da una collaborazione ormai ventennale con la sua compagna di
penna, Loredana Falcone.
LOREDANA FALCONE è nata a Roma, a
Trastevere, cuore pulsante della città. Laureata in Lettere moderne
presso l'Università degli Studi di Roma <La Sapienza>, ha scelto di
rinunciare alla carriera nel mondo dell'insegnamento per dedicarsi
alla famiglia e ai suoi due figli. La scrittura ha sempre avuto un
posto di rilievo nella sua vita, così come lo studio della Storia
Contemporanea. Anni di collaborazione con Laura Costantini hanno
dato vita a storie appassionanti che vedono protagoniste le donne e
ad una profonda amicizia.
Hanno pubblicato:
New York 1920 - il primo attentato a Wall Street (Maprosti &
Lisanti, 2006), La guerra dei sordi (Maprosti & Lisanti, 2007), Roma
1944 Lo sposo di guerra (Maprosti & Lisanti, 2007) e appunto Eibhlin
non lo sa… (Maprosti & Lisanti, 2007).
Renzo Montagnoli |