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Questa pagina raccoglie le recensioni di romanzi, libri di racconti, volumi di poesia e di altro genere letterario (libri di saggi, viaggi, teatro, ecc.), film. ![]() |
21/12/2012
Tu vipera gentile
Introduzione di Geno Pampaloni
Arnoldo Mondadori Editore S.p.a.
La storia narrata Per
coloro che amano la storia e i romanzi storici Maria Bellonci
rappresenta un faro di incredibile originalità, a cui rivolgersi per
conoscere meglio e in modo piacevole le vicende di alcune famiglie
nobili italiane in quell’aureo periodo che fu il Rinascimento. Se
nel romanzo storico la creatività dell’autore poggia solide basi su
fatti realmente accaduti, lasciando però ampio spazio alla fantasia,
magari con l’invenzione di personaggi funzionali alle vicende, nella
storia narrata da Maria Bellonci l’unica licenza è lasciata alle
considerazioni, all’interpretazione dei fatti, agli approfondimenti
della psicologia dei protagonisti. Ne esce così una narrazione
storica di grande valore, impreziosita dallo stile dell’autrice, mai
greve, ma incisivo e per niente logorroico. Delle volte, nel leggere
le pagine affascinanti dei suoi libri, mi viene da fantasticare e
dato che ho avuto l’occasione di conoscerla tanti anni fa (era
spesso a Mantova per laboriose ricerche d’archivio), ho quasi
l’impressione di averla seduta davanti a me accanto alle fiamme
danzanti di un camino, lei che racconta e io che sto ad ascoltare e
nelle vampe di quel fuoco che illumina a sciabolate di luce la
camera vedo i volti dei personaggi che di volta in volta chiama in
causa; sembrano lì, scesi dalla cappa, pure loro a udire le loro
gesta. Questo per dirvi quanto fosse brava Maria Bellonci, una
ricercatrice minuziosa, certosina, attenta, che sulla base
dell’aridità di numeri, di date, di nomi e di fatti riusciva a
trasformare questo coacervo di elementi in una prosa scorrevole,
avvincente, ma legata in modo ferreo alle esigenze dello storico, a
quella ricerca di verità a cui naturalmente si tende, pur nella
consapevolezza di non riuscire mai a pervenire a un risultato
assoluto e incontrovertibile, ma con l’aspirazione di avvicinarvisi
il più possibile.
Maria Bellonci, di origini
piemontesi, nacque a Roma nel 1902 ed esordì nel 1939 con
Lucrezia Borgia, che vinse il premio Viareggio. Insieme al
marito Goffredo diede vita nel 1947 al premio Strega. Tra i suoi
libri: Segreti dei Gonzaga, Pubblici segreti, Tu
vipera gentile, Marco Polo. Rinascimento privato
esce nel 1985, l'anno precedente la morte dell'autrice.
18/12/2012
Pioggia nera
Traduzione di Carmen Tomeo
Adelphi Edizioni
Gli occhi di un bambino
Scritto nel 1939 e pubblicato nel 1941,
Pioggia nera, il cui titolo originale Il pleut,
bergère… allude a una nota filastrocca infantile, è un romanzo
breve che, tuttavia, riesce a condensare nelle sue 127 pagine, con
una trama avvincente, una vicenda di fantasia, ma che, per com’è
narrata, potrebbe essere benissimo accaduta veramente. Se il filo
conduttore dell’opera è la ricerca da parte della polizia di un
pericoloso anarchico, un’indagine non priva di tensione e
particolarmente coinvolgente, essa si fa tuttavia notare ed
apprezzare per la straordinaria capacità dell’autore di far vedere
il mondo, i fatti, le persone, l’ambiente attraverso gli occhi di un
bambino.
Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatre romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
15/12/2012 Prospettivaeditrice
Ossessioni Collana Il foglio noir 56 Formato Brossura Immagini no Zona Lombardia Ambito noir Quando la tua mente diventa il palcoscenico ideale per il teatro dell’assurdo, quando lunghi e appuntiti aghi si conficcano nel tuo già martoriato e sanguinante cervello e fuori tutti quanti non la piantano con la pentola della polenta, ciò significa che la tua anima è posseduta dal demone dell’ossessione. Fissazione, assillo, tormento, angoscia, ansia, incubo, mania, paranoia, psicosi, ossessione, ossessione. Quindici racconti. Andrea Marzola nasce il 27/06/1974 a Luino sulla sponda lombarda del lago Maggiore, dove già Piero Chiara aveva ambientato molti dei suoi romanzi e racconti. Quando è ancora in tenera età la sua famiglia si trasferisce a Baveno, sulla sponda piemontese. Non completa gli studi universitari, viaggia molto, si stabilisce anche per brevi periodi in Inghilterra e in Irlanda, per poi fare ritorno a Baveno, dove tutt’ora risiede. Da quando entra nel mondo del lavoro, cerca sempre occupazioni che gli concedano tempo ed energie per dedicarsi a ciò che ritiene essere più importante: creare e condividere, il suo modo di creare è scrivere. Prospettiva novità Prospettiva editrice via Terme di Traiano, 25 - 00053 Civitavecchia Roma Tel. e Fax 0766 23598 - www.prospettivaeditrice.it - segreteria@prospettivaeditrice.it
14/12/2012
Noi credevamo Postfazione di Enzo
Siciliano Arnoldo Mondadori
Editore
Il Risorgimento tradito “Ma io non conto, eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava; la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola. Noi credevamo… ”.
Mi piace leggere,
un po’ di tutto e, se quasi sempre preferisco andare sul sicuro, non
è infrequente che la mia scelta avvenga a caso, sotto l’effetto di
un titolo che sembra suonare bene o di una copertina che attrae.
Anna Banti
(pseudonimo di Lucia
Lopresti) nacque a Firenze il 27 giugno 1895 e morì a Ronchi di
Massa il 2 settembre 1985. Scrittrice e traduttrice, sposò nel 1924
il critico d’arte Roberto Longhi con il quale fondò la rivista
Paragone, della quale diresse a lungo la sezione letteraria.
Tra i suoi libri più noti Artemisia (1947), Le donne
muoiono (1951) Premio Viareggio e i racconti raccolti in
Campi Elisi (1963). Celebri e bellissime anche le
traduzioni dei classici inglesi e francesi tra cui Thackeray,
Colette, Fournier, Austen, Woolf e la curatela del Meridiano
dedicato a Defoe.
12/12/2012 Maigret e il
fantasma Traduzione di Valeria Fucci Adelphi Edizioni Narrativa romanzo
Un caso intricato L’ispettore Lognon,
uno sfigato, in quanto è da una vita che cerca di essere promosso al
grado superiore senza riuscirvi per mera sfortuna perché le capacità
non gli mancano, viene trovato gravemente ferito da due proiettili
davanti all’ingresso di un condominio, a poca distanza dalla sua
abitazione, dove vive con una moglie convinta di essere gravemente
ammalata, ma fisicamente in buone condizioni. Quando poi si viene a
sapere dalla portinaia che da un po’ di tempo, e solo di notte,
frequentava l’edificio recandosi nell’appartamento di una giovane e
bella ragazza nubile, scoppiano le illazioni. Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatré romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
8/12/2012 JO NESBØ LO SPETTRO
Titolo originale Gjenferd
Ed.
Einaudi
Il più grande scrittore al mondo di
crime sono io. Poi c’è
Jo Nesbø,che
mi sta alle calcagna come un pitbull
rabbioso, pronto a prendere il mio posto, appena tirerò le cuoia.
Quarta di
copertina In una Oslo torbida e in odore di droga si aggira come l’ombra di uno spettro il crimine. Un romanzo "crime" spietato e disperato. Oslo, la capitale norvegese, è lo sfondo noir e spettrale in cui lo sgualcito e tormentato detective Harry Hole vive la sua estrema lotta contro il male e il crimine. Come afferma l’autore Jo Nesbø, Lo Spettro è un libro pieno di cupezza e atrocità, c’è una forma di accanimento contro il destino di dannati e persi la cui risoluzione è causa di sofferenza e pena. Il protagonista Harry, con l’onnipresente sigaretta sulle labbra, portatore di una malinconia cronica e il fantomatico e inafferrabile antagonista, Dubai, simbolo del male assoluto, in una sorta di fiaba nera si cercano come il gatto con il topo in uno scontro senza esclusione di colpi in un crescendo di azioni mozzafiato. Tutta la narrazione procede come un film, i personaggi netti, tagliati con il coltello nei loro caratteri e nelle loro caratteristiche fisiche; gli scenari freddi senza sfumature cromatiche se non il bianco abbacinante nordico o il nero fosco della notte rischiarato dalle scintillanti luci metropolitane. Droga, mafia russa, sigarette, alcol, ambizione, cinismo e corruzione da parte di politici e poliziotti, ma anche amori tormentati o spezzati sono tutti elementi essenziali della storia . Harry Hole, trascorsi tre anni da quando ha lasciato la sua città, dopo aver abbandonato la centrale di polizia, la donna amata Rakel e Oleg il figlio di lei, ritorna da Hong Kong con la prima falange del dito medio rimpiazzata da una protesi in titanio di un grigio-azzurro opaco, una ferita che andava da una parte all’altra del mento e altre ferite interiori difficili, se non impossibili da rimarginare. Il suo passato di ex alcolizzato è nascosto dentro di sé, ma non così tanto da non travolgerlo ancora e confondere la sua mente e il suo discernimento. Ritorna perché deve saldare i conti con gli spettri del passato e scagionare Oleg, tossicodipendente, pallido fantasma del bambino che aveva cresciuto come un figlio, in carcere, accusato dell’omicidio del suo migliore amico, il bellissimo Gusto, figura ambigua, anche lui legato al mondo della droga. Si scontrerà con personaggi inquietanti, irrimediabilmente malvagi, nutriti da un odio senza scampo, malavitosi asserviti a rigidi codici d’onore e a pratiche di morte crudeli e antiche. Questo noir si differenzia in un certo senso da tanta letteratura di genere, made scandinava, che negli ultimi anni ha “invaso” l’editoria italiana, non tanto per i personaggi a tutto tondo e scavati da sentimenti divoranti, quanto per la crudezza delle immagini e la minuzia dei particolari. I pensieri ossessivi dentro la mente, i dettagli nel descrivere i quartieri dello spaccio, in particolare di una droga la violina, ancora più devastante dell’eroina, i rituali della mafia, la spietatezza senza limiti di certi delinquenti, i pusher che detengono il mercato, il valore della vita annullato dalla logica del denaro e di un distorto senso dell’affidabilità e lealtà umane…Crude e realistiche asserzioni: Il mondo è governato da due tipi di persone. Quelle che vogliono il potere e quelle che vogliono i soldi. Il primo tipo vuole la statua, il secondo il piacere. E la valuta che usano quando fanno affari tra di loro per ottenere ciò che vogliono si chiama corruzione. Il musicista Nesbø traspare quando cita le canzoni dei Nirvana, come Come as You Aire, o i Guns ‘N Roses in Welcome to the Jungle o di Van Morrison And It Stoned Me, conosce in modo straordinario le tecniche del genere, dimostra una dimestichezza straordinaria nell’incastrare la storia in una struttura i cui elementi combaciano alla perfezione; sa come usare efficacemente in uno stile essenziale, ma mai sciatto, un linguaggio che va dritto al cuore dei personaggi. Un libro senz’altro da leggere per chi ama i noir, e questo lo è ad alto livello.
Jo
Nesbø è nato
a Oslo nel 1960. Prima di diventare uno
dei più grandi autori di crime
al mondo si è cimentato in mille mestieri. Ha giocato a calcio nella
serie A del suo paese, ha lavorato come giornalista freelance, ha
fatto il broker in borsa. Cantante e compositore, si esibisce
tutt’oggi
regolarmente con la sua band norvegese dei Di
Derre. Ha scritto 15 libri tra cui
Il leopardo, un successo
mondiale, spaziando dal giallo alla letteratura per l’infanzia, con
esiti spesso geniali. Con questo romanzo, la serie con
protagonista il detective
Harry Hole
arriva al numero nove.
7/12/2012
365 Agendina letteraria 2013 Narrativa Non solo agenda
Vi
chiederete: va bene recensire, ma adesso farlo anche per un’agenda?
Autori
4/12/2012
Angel Heart
Traduzione di Anna Cascone, rivista
dalla Redazione
Tre Editori Un moderno Faust
Chi ha avuto la fortuna di vedere
Angel Heart – Ascensore per l’inferno, bellissimo film del 1987,
diretto da Alan Parker e interpretato magistralmente da Mickey
Rourke, nei panni di Harry Angel, e da Robert De Niro, nella parte
di Louis Cyphre, sarà rimasto impressionato dall’atmosfera cupa che
aleggia sempre e dal ritmo incalzante, che finisce quasi con
l’ossessionare lo spettatore. La pellicola era tratta da un romanzo
di uno scrittore statunitense,
William
Hjortsberg,
il cui titolo originale è Falling Angel.
Nato a New York nel 1941,
William
Hjortsberg
ha studiato a Yale e Stanford. Oltre ad Angel
Heart ha scritto un cult della fantascienza,
Gray Matters,
e Nevermore, un thriller che mette in
scena Conan Doyle,
Houdini e il fantasma di Edgar Allan Poe...
2/12/2012 PANTUMAS SALVATORE NIFFOI Ed. Feltrinelli 2012 Romanzo Amore e sangue si consumano nel mistero dell’esistenza L’inferno è la patria dell’irreale e di chi cerca la felicità. É un rifugio per chi rifugge dal cielo, che è la patria dei padroni della realtà, e per chi rifugge dalla terra, che è la patria degli schiavi della realtà. George Bernard Shaw da “Uomo e Superuomo” Una visione magica e mitica che Niffoi dà della sua terra, la Sardegna, in questo libro di ancestrale memoria a ritroso. In Pantumas (Fantasmi) di Salvatore Niffoi, Feltrinelli 2012, è la sua terra, la Sardegna, il luogo mitico in cui realtà e fantasia hanno un legame fatale e Chentupedes è l’avìto villaggio in cui s’intrecciano le vicende narrate. In un certo senso una saga famigliare ancestrale risalente al 1392, protagonisti i nonni, mannoi Lisandru Niala, noto Zumpeddu, e mannai Rosaria Litzen, coppia di anziani uniti da un amore che sconfina oltre la morte. Vita, sangue, amore e morte sono le coordinate entro le quali si muovono i personaggi e gli episodi del passato che si succedono e scorrono a ritroso attraverso la pellicola di un film, nel novembre del 1964 a casa Niala: La vita restituita dalle immagini sputate su una parete di calcina turchese come un fondale di cielo barbaricino. L’io narrante, il nipote Lisandreddu, ricorda i nonni e gli altri capostipiti attraverso il ritrovamento a dir poco mirabolante di una scatola contenente le bobine di pellicola arrotolate, dal vago odore di aceto guasto, recante in alto, all’esterno, una scritta in maiuscolo, Pantumas: pezzi di vita rubati a Lisandru Niala, da restituirgli solo dopo la sua resurrezione. Sotto in corsivo: Finita la visione, tutto deve ritornare dove è venuto, in compagnia di Rosaria. Chi era il regista occulto di una parte dell’esistenza di un uomo? In toni drammatici, poetici, il nonno, resuscitato dopo un anno, mentre guarda il film della sua vita, cambia pelle piano piano e si rimpicciolisce fino a tornare creatura tra le braccia di mannai, e anche lei se ne andò rinsecchita e dolce come una prugna allardata al sale: questa volta andiamo in paradiso insieme. Niffoi nella premessa riporta come le voci narranti ogni tanto si intrecceranno, si incroceranno, si fonderanno in un impasto di trinciato forte, pece, sangue, miele amaro, polvere e odore di foglie secche mischiate a polvere da sparo. L’io narrante rivive dentro di sé il trapasso del nonno come se avesse dentro la sua anima; la vita ha una sua ciclicità che ad andare e tornare, e vivere e morire siano sempre le stesse persone, solo che per uno strano scherzo del destino, non sanno di avere già vissuto, di essere già morte. Cambia il palcoscenico, ma le maschere e gli attori sono sempre gli stessi. La memoria del nonno, il beato nato e morto due volte, che sta in cielo per volontà di chi l’ha conosciuto, che a sua volta fu, rivive nel mondo arcaico e primitivo degli avi, una visione della vita fatalistica affidata all’immutabilità della natura e ad una saggezza dettata dall’esperienza, mannoi Zumpeddu, uomo pratico, istintivo, con una filosofia della specie che non distingue tra cinghiale e coniglio. Figure forti e tragiche di memoria verghiana campeggiano sullo sfondo di una natura ricca di frutti, ma spesso ingrata verso gli uomini, Dona Juditta Pessato, l’innamorata respinta che nutre vendetta, Luchia Ferathu la spigolatrice e fornicadora, Serafinu Marradu, l’operatore cinematografico… Descrizioni intense… Il sole, come una bacca d’ambra scura, bucava le nuvole, spumose che salivano verso…La luna era piena di misteri da svelare e cerchiata di rosso, di quel rosso che accende la follia e fa sentire da lontano l’odore dell’amore… Sinestesie coloristiche e trame stilistiche odorose e pregni... Odore di ginepro, formaggi, pane crasau Nostalgia di una civiltà antica, primigenia e autentica fatta di essenzialità e semplicità… Bastava una manciata di prugne acerbe rubate all’imbrunire a stemperare il fiele della vita. Tutto il racconto è permeato da un velo di tristura che aleggia sulle esistenze anche quando la vita fa intravedere lampi di fallace felicità. Non si può non dire che le pagine di questo romanzo non siano inondate di vita, sia pure riflessa e volta verso il passato, da influssi letterari di matrice latino americana alla Marquez presenti come infiltrati stilistici; l’uso della limba (lingua regionale) e la memoria a ritroso del suo piccolo mondo ricco di riti magici e credenze popolari sono peculiari della scrittura di Niffoi.
Salvatore Niffoi
(Orani, Nuoro, 1950) è stato insegnante
di scuola media fino al 2006. Ha esordito con
Collodoro,
Solinas 1997,
Adelphi 2008, sono seguiti
Il viaggio degli inganni, Il
postino di Piracherfa, 2000,
Cristolu,
2001, La sesta ora,
2003, La leggenda di Redenta
Tiria, 2005,
La vedova scalza, 2006,
premio Campiello, Ritorno a
Baraule, 2007,
Il pane di
Abele, 2009,
Il bastone dei miracoli, 2010,
Paraìnas.
Detti e parole di Barbagia,
2009, I malfatati,
2011, Il lago dei sogni,
2011.
Il giudizio della sera Bompiani editore Narrativa romanzo
Discesa all’inferno Le circostanze della vita sono strane e spesso
negative, ma altre poche volte positive, come in questo caso, dovuto
all’acume di un eccellente scrittore siciliano, Massimo Maugeri, che
sul suo seguitissimo blog
Letteratitudine nel settembre del 2009 ha pubblicato un
articolo su Il giudizio della sera, di Sebastiano
Addamo. Benché appassionato di autori siciliani, in cui identifico
un comune denominatore non solo stilistico, ma anche espressivo che
rientra ampiamente nei miei gusti, quel nome, Addamo, che sembra una
storpiatura, un errore di scrittura del più comune Adamo, mi
risultava pressoché sconosciuto, pressoché in quanto vagamente
sapevo che era stato un poeta, narratore e saggista, ma erano
notizie apprese qua e là, non erano fonte di una diretta conoscenza
di qualche sua opera. Ecco perché allora mi sono sentito in obbligo,
previo consiglio con qualche amico più competente di me in
letteratura, di leggere qualcosa di questo Addamo, senz’altro meno
noto di Sciascia e di Bonaviri, che erano pressoché suoi
contemporanei. Sebastiano Addamo (Catania, 1925 – ivi, 2000) ha collaborato a quotidiani e riviste di cui ricordiamo “Nuovi Argomenti”, “Linea d’ombra”, “Poesia”. Fra le sue opere, i romanzi Il giudizio della sera (1974); Un uomo fidato (1978); I mandarini calvi (1978); Le abitudini e l’assenza (1982); i racconti Violetta (1963); Palinsesti borghesi (1987); Non si fa mai giorno (1995); le raccolte di poesia La metafora dietro a noi (1980); Il giro della vite (1983); Le linee della mano (1990); Alternative di memoria (1995); i saggi Vittorini e la narrativa siciliana contemporanea (1962); I chierici traditi (1978); Oltre le figure (1985); Racconti di editori (1991).
Sarah Zappulla Muscarà,
ordinaria di Letteratura Italiana nell’Università di Catania e
incaricata di Letteratura Teatrale Italiana e Storia e Critica del
Cinema, si occupa di narrativa, teatro e cinema tra Otto e
Novecento, di edizioni di testi e carteggi inediti. A sua cura sono
apparsi nei Tascabili Bompiani Tutto il teatro in dialetto di
Luigi Pirandello e Tutto il teatro di Stefano Pirandello (in
collaborazione con Enzo Zappulla); Giovannino, Un
bellissimo novembre, Gli ospiti di quel castello, Roma
amara e dolce di Ercole Patti; Un posto tranquillo di
Enzo Marangolo; Silvinia e L’infinito lunare di Giuseppe
Bonaviri.
29/11/2012 Maigret e l’uomo solitario di Georges Simenon Traduzione di
Simona Mambrini
Adelphi Edizioni Narrativa romanzo
Uno strano caso Ciò che mi colpisce di più quando leggo un
libro di Simenon, sia che si tratti di un giallo con protagonista il
celebre commissario Maigret, sia che abbia a che fare con romanzi
noir, o comunque con un’atmosfera di sospetto, è lo straordinario
stile dell’autore belga. L’opera può essere più o meno riuscita, ma
è innegabile la presenza di una qualità di assoluta eccellenza con
una scrittura piana, relativamente semplice, ma diretta, tale da
riuscire sempre a coinvolgere il lettore. Non è che Simenon ami
dilungarsi nelle descrizioni dei personaggi e degli ambienti, anzi
le sue sono poche e misurate pennellate che consentono a chi legge
di vedere come se fosse là, sul luogo della scena. E’ questo il caso
anche di Maigret e l’uomo solitario, con un’insolita
vicenda che trae origine dall’omicidio di un barbone, rasato di
fresco e con le mani estremamente curate, tanto da far dire a
Maigret “Sembra un vecchio attore nel ruolo di un barbone”.
Qui non ci sono cieli con nubi gravide di pioggia, né nebbie fitte e
impenetrabili, anzi siamo in una Parigi agostana, in parte spopolata
dai suoi abitanti per la tradizionale villeggiatura, ma affollata di
turisti. Ma ritorno allo stile e rilevo, piacevolmente, che ho
l’impressione di essere in strada con il commissario a Montmartre,
alla ricerca di alberghetti e pensioni compiacenti, così come ho
netta la sensazione di vedere la birra che ogni tanto si concede nei
bistrot, insomma più avvinto di così non potrei essere. Simenon,
senza ricorrere all’eloquenza di un D’Annunzio o di un Sholokhov,
rende partecipi con un’immediatezza a dir poco strabiliante, ma non
è l’unico pregio, perché vi è anche una capacità considerevole di
sondare in profondità l’animo umano, di mettere a nudo l’intimo di
ognuno, dal maggior indiziato a una clochard testimone. E, se non
bastasse anche la trama veramente interessante, l’autore belga ha
l’innato dono di condurre per mano il lettore in modo che giunga
insieme a Maigret all’identificazione del colpevole, senza colpi di
scena improvvisi, ma con pedine mobili che poco a poco scoprono un
tassello di un intricato mosaico quale è quasi sempre un fatto
delittuoso.
Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatre romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
26/11/2012
La neve
Copertina di Elvira Pagliuca (Studio
Kaleidon)
Poesia opera vincitrice del concorso Faraexcelsior 2012
La precarietà La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista / se non nella bocca di un vulcano / nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia / che ricorda quel che non abbiamo tentato abbastanza / ma il gelo, quello sì, è dentro di noi fino alle ossa / e lo sentiamo che morde le giunture e crepa le ossa / fino al midollo. /…. (da I frammento, Napoli 2007)
Correvamo con la neve in tasca
per paura che svanisse / come un sogno appena sognato nel
soprassalto ghiacciato / di un risveglio. … (da XXII
frammento, Napoli 2007)
Francesco Filia,
vive e insegna a Napoli, dov’è nato nel 1973. È stato vincitore
della sezione inediti del premio Dario
Bellezza (edizione 2001) e finalista di altri premi, tra cui il
Città di Tortona, per l’opera prima, 2008. Sue poesie sono apparse
su varie riviste blog e riviste on-line (La
Clessidra,
Capoverso,
La Mosca di Milano,
Poesia,
Nazioneindiana,
VDBD,
Poiein, Poetrydream,
Poetry
Wave,
Sagarana,
Sinestesie,
ecc.) e, tra le altre, nelle antologie
Subway.
Poeti italiani Underground (a cura di Davide Rondoni e
con introduzione di Milo De Angelis, Net, 2006) e
Il miele del silenzio
(a cura di Giancarlo Pontiggia, Interlinea, 2009). Ha pubblicato il
poema in frammenti
Il margine di una
città, con prefazione di Raffaele Piazza e dieci
tavole di Pasquale Coppola (Il Laboratorio, 2008).
Collabora con
nellocchiodelpavone.blogspot.it
23/11/2012
Se non ora, quando? In copertina:
Emmanuilovic Grabar, Neve di marzo, olio su tela, 1904,
particolare. Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Narrativa romanzo
Mai lasciarsi sottomettere Se non ora, quando?, pubblicato
nel 1982, ebbe da subito un buon successo di pubblico, incontrando i
favori della critica e riuscendo anche ad aggiudicarsi la vittoria
in due importanti concorsi letterari (Il Viareggio e Il Campiello).
Primo Levi
(Torino 1919-1987).
21/11/2012
L’amico d’infanzia di Maigret
Adelphi Edizioni
Narrativa romanzo
L’amico bugiardo A
chi non è mai capitato di ritrovare dopo tanti anni di silenzio un
amico d’infanzia? E’ quello che accade a Maigret in un mese di
giugno dalle tiepide temperature. Se ne sta nel suo ufficio al Quai
des Orfèvres a osservare una fastidiosa mosca che indifferente si
pulisce le zampette su una pratica, quando entra Florentin, suo
compagno di liceo, il bullo e il buffone della classe, bugiardo per
natura e scansafatiche. Quello che gli racconta (si tratta di un
delitto di cui sarebbe stato involontario testimone) ha ben poche
parvenze di credibilità, ma il nostro commissario, pur consapevole,
pensa che nelle parole dell’amico ci sia un fondo di verità e che
comunque lui non sia l’assassino. Le indagini procedono un po’ a
tentoni, anche perché la vittima, benché mantenuta da più uomini,
aveva un comportamento, dal punto di vista giuridico, del tutto
adamantino. E poi c’è chi sa ed è reticente, anche per poterci
guadagnare, e questi è la portinaia dello stabile dove abitava
l’uccisa, una donna più simile a una cariatide che a un essere
femminile e che non trova di certo la simpatia di Maigret,
atteggiamento peraltro platealmente ricambiato.
Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatre romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
18/11/2012
Andrea Camilleri Sellerio editore Palermo La memoria 2012 L’affezione per i libri di Camilleri e in maggior misura per quelli con Montalbano è rinnovata ad ogni uscita editoriale, è come un immancabile appuntamento al quale tutti gli appassionati non sanno rinunciare. Il legame creatosi tra l’autore e i suoi lettori è una dipendenza ormai basata sulla reciproca fedeltà, a nulla può valere, a volte, la voce dissonante di certa critica pelosa che cova una sotterranea invidia verso chi sfugge ad ogni catalogazione ed è nel cuore dei fedelissimi, a prescindere. Fatta questa premessa è quasi pleonastico parlare della trama di Una voce di notte dove, come da codice deontologico di un giallo, in questo caso, è il furto degli incassi di un supermercato, in odore di mafia, a far scatenare dei delitti e le relative indagini del commissario Montalbano. Per inciso, questo romanzo è stato scritto, annota Camilleri, diversi anni fa. Le avvisaglie funeste dell’età che avanza in Montalbano, le sue ormai proverbiali liti con Livia, le sue reiterate ubbie…insomma il Montalbano d’annata è qui già scolpito e suggellato. Il nostro poliziotto, burbero e per certi versi teatrante, s’impantana in fantasiosi soliloqui, s’interroga sui precipizi dell’età in bilico tra come eravamo e come siamo: prenderne atto è un atto di coraggio e consapevolezza. Se la mente del commissario di Vigàta può perdersi in elucubrazioni senescenti e la sua intensa immaginazione confondersi in oniriche visioni, l’acume investigativo sorveglia le sue intuizioni e le sue mosse strategiche non sempre ortodosse. Il romanzo, tra virgolette, è l’ennesimo pretesto camilleriano per costruire una storia basata su connivenze malsane tra poteri contrapposti, politica e mafia, meno politici ci trasivano nella facenna e meglio era. Saribbiro stati capaci di vanificari tutto il travaglio fatto, ma con fini allineati. Le mistificazioni e il malaffare di chi dovrebbe far rispettate la legge, i superiori questori… che si muovono con ipocrita cautela, con i piedi di piombo per non calpestarne altri, e demandano le personali responsabilità: è l’eterno gioco perverso di chi vuole millantare una verità fasulla. Il trittico operativo del commissariato di Vigàta formato da Montalbano, Mimì e Fazio, senza dimenticare l’immarcescibile Catarella, è una riuscita e spesso acuta caratterizzazione di personaggi, le battute di rimando d’interrogatori quando mai singolari, taluni colpi ad effetto del commissario, il ritmo narrativo lento raramente scosso da scene d’azione sono alcuni tratti distintivi della narrativa noir di Camilleri. Una voce nella notte sembra nel titolo una parodia della canzone napoletana Voce ’e notte, ma allude in modo truffaldino e istrionesco ad un escamotage del commissario per far cadere nella rete il sospetto assassino iniettandogli il veleno corrosivo del ricatto. In questo romanzo le reminescenze letterarie o cinematografiche, i riferimenti ad atmosfere da thriller nel periodo del gangsterismo americano di memoria hollywoodiana intercalano il racconto. Come si sono espressi già altri lettori, i libri dello scrittore, siciliano doc, presentano un solo difetto, l’appagante lettura di ogni suo romanzo è inficiata dal pavor finis di esso, si vorrebbe ancora dilazionare le pagine per continuare questo ludico intermezzo letterario.
Autore. Andrea Camilleri (1925), è autore di
oltre 70 romanzi tra storici, civili e polizieschi, e di diverse
raccolte di racconti, tradotti in più di 30 lingue. Vincitore di
numerosi premi in Italia e all’estero, è noto al
grande pubblico anche per i romanzi dedicate alle inchieste
del commissario Montalbano, da cui è stata tratta la fortunata serie
televisiva. Tra i tanti titoli ricordiamo:
“La forma dell’acqua”, “Il cane di
terracotta”, “Il ladro di merendine”, “La voce del violino”, “La
stagione della caccia”, “Il birraio di Preston”,
“La concessione del telefono”, “La gita a
Tindari”, “Maruzza Musumeci”, “Il
casellante”, “Il campo del vasaio”, “L’età del dubbio”, “Un sabato,
con gli amici” “Il sonaglio” “ La caccia al tesoro”… “Il sorriso
di Angelica” “Il gioco degli specchi”…
Tra le storie civili e storiche, pubblicate da
Sellerio, ricordiamo: “Il
nipote del Negus”, “Gran Circo Taddei”,
“La setta degli angeli”…
La tregua Edizioni Einaudi Ritorno alla vita
Raramente é capitato di imbattermi in un
libro come questo, così avvincente e così facile da leggere,
nonostante l’intensità e la complessità del tema trattato.
Primo Levi
(Torino 1919-1987).
14/11/2012
Letteratitudine, il libro – vol. II
Historica Edizioni
Quando il blog si fa libro L’idea originale si rinnova e così dopo circa
tre anni da Letteratitudine il libro è da poco uscito
Letteratitudine il libro – vol. II, questa volta con
un editore diverso, Historica, che fa capo al giovane Francesco
Giubilei. Così che un blog possa diventare un libro è un dato ormai
assodato, soprattutto dopo il fortunato esito del primo e se poi,
forte dell’esperienza acquisita, Massimo Maugeri riesce a presentare
il meglio dei temi impostati e svolti nel periodo 2008 – 2011,
l’interesse non può che crescere.
Massimo Maugeri,
scrittore siciliano, collabora con le pagine culturali di magazine e
quotidiani. Ha pubblicato: il romanzo “Identità distorte” (Prova
d'Autore, 2005, Premio Martoglio); il volume "Letteratitudine, il
libro - vol. I - 2006-2008" (Azimut, 2008); il racconto lungo “La
coda di pesce che inseguiva l’amore” (Sampognaro & Pupi, 2010 -
Premio “Più a Sud di Tunisi”), scritto a quattro mani con Simona Lo
Iacono; il saggio/reportage “L’e-book è (è?) il futuro del libro” (Historica,
2011); la raccolta di racconti “Viaggio all’alba del millennio” (Perdisa
Pop, 2011 – Premio Internazionale Sebastiano Addamo). Ha inoltre
curato la raccolta di racconti NO PROFIT “Roma per le strade”
(Azimut, 2009), partecipando con un proprio racconto e coinvolgendo
nel progetto molti tra i principali scrittori nati o residenti a
Roma.
11/11/2012
Codice interiore
Introduzione di Mons. Antonio Riboldi
Edizioni Cantagalli La fede in versi La poesia religiosa, tipica del cristianesimo,
è un genere che ha lontane origini, tanto che si può dire con
certezza che nasca con il Cantico delle creature di Francesco
d’Assisi (1182 – 1226) e che poi tragga nuova linfa con il
Laudario di Jacopone da Todi (1233 – 1306). Altre epoche, si
potrà obiettare, ma se ha un senso ben preciso nella storia della
religione cristiana il fatto che sia esistito un monaco come San
Francesco che, predicando la povertà, intendeva richiamare la
Chiesa ai valori fondanti della stessa, successivamente chi scrive
di poesia religiosa lo fa quasi sempre non per protesta o monito,
ma per provare che la fede, quando forte e sincera, trova ampi
sbocchi nell’arte, senza con questo pervenire a discussioni
teologiche, ma unicamente volta alla gloria di Dio. E non è che il
genere escluda gli altri, tant’è che ebbero a scrivere composizioni
religiose anche poeti come Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo,
Umberto Saba, Mario Luzi e altri contemporanei di eccellente livello
che qui per brevità tralascio di elencare.
E negli incerti passi che tentiamo Le
poesie contenute in questa silloge riflettono inequivocabilmente una
fede superiore a ogni dogma; non si tratta di credere sussistendo il
dubbio, ma nel dubbio di credere, perché se non fosse così nulla
sarebbe e nulla saremmo. M. TERESA SANTALUCIA SCIBONA, è nata e vive a Siena, già Presidente Provinciale della FENALC (Federazione Nazionale Liberi Circoli),è Presidente per Siena del MOPOEITA ( Movimento per la diffusione della Poesia in Italia). La Biblioteca Universitaria senese della Facoltà di Lettere e Filosofia, ha istituito un Fondo Letterario a suo nome.(Seduta 27/4/2005). Il 15 Agosto 2000, dal Concistoro del Mangia, è stata insignita di medaglia d’oro di civica riconoscenza, per alti meriti culturali. Il 17 Ottobre 2009, è stata insignita del Premio “ Idilio Dell’Era, “alla Carriera dal Comitato Associativo “ Idilio Dell’Era”. E’ Socia effettiva del P.E.N. Club Italiano, del Sindacato Liberi Scrittori Italiani, della Fondazione Letteraria “ Luciano Bianciardi “di Grosseto, del Centro di Documentazione sulla Poesia contemporanea “ Lorenzo Montano” di Verona. Fa parte del Consiglio “Cateriniani nel Mondo” per la Letteratura, con diritto al voto. Per oltre un decennio ha curato le serate letterarie del “Salotto della Cultura e del Vino” della Enoteca Italiana di Siena. Come giornalista ha seguito per 17 anni, le sorti del “Premio Letterario Viareggio – Rèpaci” Ha pubblicato i seguenti libri di Poesia:- “ IL MIO TERRENO LIMITE” 1984 Ed. La Nuova Fortezza (Li), a cura di Miriana Bogi “ I GIORNI DEL DESIDERIO” 1988 Piovan Ed. Abano Terme, a cura di Gabriella Sobrino “ IL TEMPO SOSPESO” 1993 Edizioni del Leone (Ve), prefazione di Giorgio Luti. “ MOSE’ ” 1996 Edizioni dell’Oleandro (Roma), prefazione di Angelo Lippo. “ VARIANTI D’AMORE” Suppl.to n. 35 (gennaio-marzo 1988) Rivista “Portofranco” (Ta) “ IL VIAGGIO VERTICALE” 2001, I Quaderni della Valle N. 27 Edizioni di Emilio Coco. “ LE TEMPS SUSPENDU ET LA VIE ASSISE” 2002 Prospettiva Editrice a cura di Giorgio Luti, postfazione di Walter Nesti, traduzione di Ben Felix Pino. “ L’AMORE IMPERFETTO” 2003 Helicon Edizioni - Arezzo, a cura di Neuro Bonifazi “ LA CONTESA DEI VINI” 2005 Pascal Editrice (Siena), a cura di Vinicio Serino. “ IL SOGNO DEL CAVALLO “ 2008 Pascal Editrice (Siena) a cura di Mario Comporti e Fausto Tanzarella “ NUTRIMENTI PER L’ANIMA” 2009 Joker Editore a cura di Sandro Montalto “ VERSI E CROMIE” Solodieci Poesie 2009 Lieto Colle Editore “ L’INCONTRO DI DUE VITE EPISTOLARIO DI MARIO VERDONE” 2010 Sampognaro&Pupi Edizioni a cura di Vinicio Serino. Audio CD POESIE SCELTE (2005), disco recitato dall’attrice Paola Lambardi CD “MISCELLANEA POETICA”(2007) recitano, gli attori Walter Maesosi, Daniela Barra, al piano M°.Giovanni Monti. Edizioni Le Carrozze Records di Vanni Vincenzo- Siena Il suo testo di Lauda “ Accanto a Te Signore”, è stato musicato dal M° Gian Paolo Luppi, tradotto in tedesco e pubblicato dalle dalle Edizioni Musicali Peters di Francoforte. Alle sue opere si sono ispirati i pittori Giuseppe Amadio, Angelo Battista, Angela Carli, Ida Negrini, Paola Imposimato, Enzo Santini, Anna Sticco, gli scultori Michele Donadoni e Andrea Roggi. La recitazione del poemetto in versi “MOSE’ con gli attori Paola Lambardi, Guido Bocci, Erminio Jacona , è alla sua tredicesima replica E’ inserita in numerose Antologie di autori contemporanei come :- “ Greta Garbo e Sergio Vacchi nel Palazzo del Ridotto di Cesena” – Catalogo del Novembre 2003 - Fondazione Vacchi - Castello di Grotti – Ville di Corsano- Siena “ La Donna e gli Amori” a cura di Gabriella Sobrino e Antonietta Garzia (giugno 2001) – Introduzione di Paolo Crepet - Loggia de’ Lanzi Editori -Firenze “ C come Cuore” saggio di Gabriele La Porta ( Ottobre2003) Pratiche Editrice Mondadori “P come Passioni – Dizionario delle emozioni e dell’estasi” a cura di Gabriele La Porta (Ottobre 2005) Marco Tropea Editore – Mondadori Printing S.p.A – Milano EDIZIONI SCETTRO DEL RE - ROMA“ Appunti Critici” La poesia Italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte “- saggio a cura di Giorgio Linguaglossa - (Dicembre 2002)- “ Poeti Italiani Verso il Nuovo Millennio”- saggio a cura di Dante Mafia ( Dicembre. 2000) - E’ inclusa nel Dizionario Autori e nella Letteratura Italiana del Secondo Novecento -Edizioni Bastogi (Foggia), Helicon (Ar), Guido Miano (Mi).
Sulla sua poetica Pina Frascino
Panussis ha scritto :- “Saggi e interventi” (1995)
-Edizioni. Pisangrafica - Pisa ; “ LE OCCASIONI DEL PENSIERO
” (1997) Masso delle Fate Edizioni - Signa, con interventi critici
di Sandro Briosi, Guido. Cecchi, Gaetano Chiappini, Marcello
Fabbri, Giorgio Luti, Carmelo Mezzasalma, Walter Nesti, Vinicio
Serino, Gabriella Sobrino e testimonianze di Oreste Macrì, Giuliano.
Manacorda, Giorgio Saviane, Ferruccio Ulivi,Vittorio Vettori ed
altri noti scrittori.
10/11/2012 AMARITUDINI di SILVANO CONTI
Amarezza e inquietudine, due stati
d’animo che accompagnano l’intima, silenziosa riflessione del poeta
sulla vita e che vengono qui fusi in un efficace neologismo,
Amaritudini.
Si potrebbe credere che delle
affinità ci siano tra il Conti e il Pessoa, e basterebbe confrontare
alcune poesie per verificarlo, ma nel nostro
manca (ben opportunamente, direi) quella tragicità che fa essere
Pessoa il poeta che conosciamo.
Per tornare al confronto
esemplificativo di cui dicevo più sopra, riporto questi versi della
poesia Quel che mi duole, di Pessoa: Quel che mi
duole non è / ciò che è nel cuore / ma quelle cose
belle / che mai esisteranno… // Sono le forme senza
forma / che passano senza che il dolore / le possa
conoscere / o sognarle l’amore // Sono come se la
tristezza / fosse albero e, una a una, / cadessero le
sue foglie / tra il vestigio e la bruma.
Ora, in parallelo,
riporto i versi della poesia … Conferenze, di Conti:
In un’altra poesia del
Conti c’è invece una maggiore aderenza al vissuto pessimistico
pessoano:
Ma in questa silloge, la
“poetica contiana” è più in generale orientata verso un superamento
del pessimismo, ribaltandolo negli aspetti positivi dell’istruttività
che contiene: se ne può infatti far tesoro per essere aiutati a
comprendere quanto ci accade. Anche la compressione dei sentimenti in pochi tratti, in poesie tanto brevi da sembrare dei veri e propri aforismi, diventa un talismano (per usare un termine caro al poeta) che ci apre gli occhi di fronte alle difficoltà, insegnandoci a venirne fuori con le nostre stesse risorse e riserve psicologiche che mai possono dirsi esaurite. Trattandosi di una silloge breve, di sole 28 poesie, non sembra opportuno aggiungere altro, per non rischiare di togliere ai lettori il piacere di scoprire da sé altre caratteristiche insite nei versi del Conti. L’avvertenza è però quella di approcciarsi alla lettura di queste poesie con animo sereno, perché il rimando che se ne ottiene è comunque positivo e Pessoa può rimanere solo sullo sfondo. M. Carmen Lama
Ali di vento di Silvano Conti PREFAZIONE
Poeta ormai affermato, Silvano Conti
ha pubblicato diverse sillogi, ciascuna con una sua intrinseca
particolarità poetica. La presente raccolta, Ali di vento, è una
ulteriore conferma della sua notevole capacità espressiva in versi.
Sono presenti anche delle poesie dedicate, che mettono in risalto il valore dell’amicizia virtuale, consona ai tempi tecnologici in cui viviamo. In esse, in contrasto con la lontananza fisica tra il poeta e le sue interlocutrici è palpabile la vicinanza metafisica, ed è come se il poeta attingesse nuova linfa poetica da queste donne che insieme a lui ruotano nell’universo magico della poesia. Nelle poesie a carattere sociale, è ancora il ricordo a portare alla luce esperienze di protagonismo, di partecipazione, ma anche di speranze di miglior futuro. Ma il poeta smorza, anche in queste memorie fatte tornare alla ribalta, quella venatura malinconica che le riveste, evadendone con suo stesso stupore, come nella poesia “Sosta tecnica”, dove sostituisce la noia con la sua “lei” che ritrova “racchiusa in una perla di sudore”.
La raccolta si chiude con una poesia
straordinariamente bella, una sorta di autoanalisi, in cui il poeta
si sente come straniato, fuggitivo da se stesso, inseguito da tutti
gli angoli del vuoto, che lo obbligano ad essere come è.
Alter Ego di Silvano Conti
Nel breve intervallo dell’esistenza,
ciascuno di noi assume delle caratteristiche comportamentali proprie
trasmesse inizialmente dall’ambiente familiare, ma assorbite anche
dal contesto sociale a partire dall’infanzia e, in modi inconsci,
anche nell’età adulta, quando si crede di essere invulnerabili, di
avere delle opinioni personali o delle idee da difendere e
sostenere.
In questa interessante silloge, Alter
Ego, Silvano Conti pare proprio aver bene in mente la lezione
bergsoniana e ci presenta, ogni volta con una poesia diversa, la sua
pluri-identità, i suoi molteplici “io” che egli stesso si sorprende
di ritrovare dentro di sé.
Ed ecco allora alcune delle poesie
più interessanti perché a loro modo istruttive:
O le poesie che, ironizzando un po’,
sdrammatizzano una situazione poco piacevole per il poeta:
O ancora, le poesie un po’ scomode,
che mettono a nudo le fragilità dell’animo del poeta: Come si può bene intuire da queste brevi note esemplificative riguardanti solo alcune delle poesie della silloge, vi è una profondità di senso da far affiorare dai versi poetici del Conti, che lascia il lettore piacevolmente sorpreso. Questa è, almeno, la sensazione che ho provato io stessa nell’analizzare le singole poesie della raccolta.
Complessivamente, le poesie di questa
silloge confermano lo stile un po’ ermetico del Conti: sono dotate
di una concettualità densa e mai ridondante, di un linguaggio
poetico a volte poco comune, a volte con accostamenti di termini che
trasfigurano una realtà che parrebbe familiare e che invece, vista
con gli occhi del poeta, assume anche per chi legge una dimensione
quasi surreale, che affascina proprio per la novità con cui ci viene
mostrata.
Eoliche del pensiero di Silvano Conti (versi alcaici e strofe saffiche)
In questa nuova e
singolare raccolta di poesie di Silvano Conti confluiscono versi
alcaici e strofe saffiche: è un modo del poeta di ritornare a fruire
di strutture metriche classiche, la cui conoscenza stimola
un’ispirazione che si avvale di contenuti attuali, specchio della
vita e delle esperienze personali, ma proiettati dentro contenitori
classici.
I componimenti di
Silvano rispettano le caratteristiche che lo
contraddistinguono come poeta, nello stile, rispetto ad altri poeti
contemporanei, cioè la concisione, l’asciuttezza di
ogni verso, la concettualità pura sostenuta da un
lessico particolarmente pregnante che fa di ogni poesia quasi un
piccolo poemetto.
Ci sono poi dei
componimenti in cui l’arma privilegiata dal poeta è l’ironia,
mediante la quale riesce a far passare contenuti e concetti,
altrimenti pesanti, con leggerezza, come per far in modo che nulla
sia preso sul serio di quanto ci accade, perché è tutto molto
provvisorio; sembra quasi che il poeta voglia indicarci che nella
precarietà di questa nostra vita, peraltro sempre molto breve, sono
le piccole cose quotidiane ad acquistare maggior valore; tra queste,
alcune si trasfigurano agli occhi del poeta e acquistano forma
poetica proprio per la loro ineffabilità, per quella condizione,
cioè, di presenza rapida e improvvisa, che forse non riapparirà una
seconda volta.
Alcuni componimenti
si servono di allitterazioni che segnano una sorta di ossessione
della mente su precisi schemi consonantici, con la segreta
aspirazione di far emergere una breve storia, che è prima di tutto
una storia della mente “allitterata”: è come un legame indissolubile
della mente con suoni ossessivi che rimandano a contenuti
disturbanti, come ad esempio nella saffica del vuoto…
Ma al di là di queste
brevi note sulla silloge nel suo complesso, mi preme ora
sottolineare come lasci piacevolmente sorpresi il fatto che Silvano,
poeta contemporaneo ancora poco conosciuto, nonostante alcune sue
precedenti pubblicazioni, si distanzi da molti altri poeti che
scrivono senza conoscere le regole del comporre e in qualche modo le
subiscono, mentre egli, conoscendole, ne è padrone, le usa con
cognizione di causa e senza lasciarsene irretire.
Un’altra distinzione
di Silvano è il suo amore per i classici, il cui studio è stato ed è
così sistematico da renderlo molto consapevole come poeta e da
fargli assorbire la poeticità come una sorta di DNA, che quindi
esaspera e supera la stessa ispirazione, perché nasce da un “di
dentro” molto più profondo della sua stessa mente.
Silvano potrebbe
anche distinguersi come poeta ermetico, soprattutto in questi versi
alcaici e nelle strofe saffiche di questa silloge, ma il suo non è
tuttavia un ermetismo che lasci il lettore insoddisfatto per
mancanza di comprensione, al contrario, lo rinvia ad un
approfondimento immediato per la molteplicità di significati e sensi
percepiti. (Carmen Lama)
IKEBANA di Silvano Conti
Trasferire l’arte giapponese della
composizione floreale nell’arte poetica potrebbe sembrare ardua
quanto poco praticabile, se non impossibile, impresa, ma
sorprendentemente, è proprio quel che fa il poeta Silvano Conti con
questa breve ma apprezzabilissima silloge dal titolo
orientaleggiante. Poiché l’amore per i fiori è universale ed ogni uomo possiede la tendenza ad apprezzare la bellezza della natura, osservando le composizioni floreali questo apprezzamento potrà avvenire in modo concreto. Dunque, il fine ultimo delle composizioni floreali dell’arte giapponese dell’ikebana sarebbe quello di comunicare positività agli uomini elevando le loro coscienze e, in definitiva, anche la qualità delle loro esistenze. Ciò significa, in altri termini, che in tutto questo interesse rivolto alla natura come elemento decorativo di un ambiente umano, è sottesa una funzione importante per il benessere psicofisico delle persone. Si tratta della ricerca di un’ armonia tra materia e spirito, in opposizione alla civiltà attuale, nella quale un vuoto materialismo acquisisce sempre maggiore enfasi. Ora, quest’importante e vivo afflato verso gli elementi naturali di cui si avverte una forte necessità, un bisogno quasi fisico, a cominciare dal diletto del senso della vista, come si può trasferirlo nell’arte poetica, costituita da parole, seppure da “accostamenti particolari” di parole in versi, che nell’insieme acquistino una loro melodia ed evochino immagini? Nelle poesie-ikebana di Silvano Conti si avverte chiaramente questa trasposizione, che si serve dell’uso di più sensi, a cominciare dall’udito che capta l’armonia della composizione melodico-poetica, la cui forza espressiva fa affiorare in modo naturale anche delle sensazioni tattili e visive, al punto che ci si dimentica di stare leggendo parole e versi e ci si immagina proiettati in un mondo naturale di cui sia possibile toccare la leggerezza e la delicatezza, concetti astratti che prendono corpo nelle cose, o sfiorare il vellutato sorgere di un’alba, e contemplare i colori, vivaci o meno, i loro contrasti suggestivi, così come i giardini descritti, i tramonti e le albe e tutto quanto forma ogni “quadro poetico”, dove i soggetti sono vari e accattivanti e sembrano, come per magia, apparire agli occhi della nostra mente nella loro dimensione fisica, concreta.
Solo qualche esempio a supporto di
quanto fin qui esposto:
Ma in poesia avviene anche una sorta
di capovolgimento delle situazioni che il poeta ha in prima istanza
vissuto e che poi presenta alla visione del lettore acuendone
l’immaginazione.
Ancora qualche esempio:
Personalmente, ritengo che consista
principalmente in questa capacità linguistico-espressiva di Silvano
Conti la bellezza delle sue ikebana. In esse si coglie anche,
implicitamente, il messaggio poetico. Dunque, è anche nella finalità delle ikebane poetiche che si trova sintonia con l’arte giapponese delle composizioni floreali: in entrambe le arti, infatti, si vuole sollecitare l’espansione estatica dell’anima umana, attraverso una sempre maggiore attenzione alle bellezze naturali e ad un sempre più consapevole loro apprezzamento estetico ed estesico.
Se ancora ce ne fosse bisogno, non
resta che sottolineare la feconda intuizione del nostro poeta
riguardo alla commistione delle arti e/o al reciproco scambio di
alcuni aspetti, particolarmente adeguati a far sì che, alla fine di
un lavoro minuzioso, paziente, competente di tal genere, (come solo
un vero poeta professionista può e sa fare) ci si trovi di fronte ad
una nuova categoria artistica. M. Carmen Lama
MADRIGALI di Silvano Conti
Una raccolta di poesie particolari,
questa dei Madrigali di Silvano Conti. Per me, che amo moltissimo la
musica medievale e rinascimentale e che sono abituata ad ascoltare
brani di Claudio Monteverdi, di Salomone Rossi, leggere il titolo di
questa silloge è stata una sorpresa, anche se so che prima di essere
componimenti musicali i madrigali erano poesie popolari, con una
precisa struttura metrica e strofica. Mi sono dedicata quindi ad una lettura attenta dei 50 madrigali di cui si compone la raccolta e sono subito rimasta attratta non solo dal numero dei componimenti che è obiettivamente sostanzioso, ma anche dai titoli attribuiti alle poesie, titoli che in qualche caso costituiscono una vera e propria sintesi di quanto si svolge (sic!) dentro la poesia, senza che il termine sia ripreso all’interno della poesia stessa, come ad esempio in … scorribanda, dove il poeta si muove in un presente penoso, per passare fulmineamente ad un futuro desiderato, incontrando immediatamente difficoltà, impossibilità a realizzare un suo sogno, e per compiere quindi un tentativo di ritorno al passato, ma guardandolo con gli occhi “scaltri” dell’esperienza e così renderlo migliore e almeno un po’ desiderabile: il tutto rappresentato da immagini belle, efficaci e che sembrano rappresentazioni sceniche, a cui pare di assistere stando in prima fila.
Ho volutamente dedicato anche del
tempo a scoprire la struttura metrica utilizzata dal poeta, per
confrontarla con quella utilizzata dagli autori medioevali, in
particolare dal Petrarca che ha fatto assurgere a vera e propria
forma letteraria quel che aveva avuto origine come forma popolare di
poesia. E ho scoperto che Silvano Conti fa sul serio.
Nel magma poetico attuale in cui
molti “se-dicenti” poeti scrivono “cosiddette” poesie, senza curarsi
minimamente di conoscere la letteratura poetica classica o anche
moderna, Silvano Conti emerge per la sua attenzione al passato, alla
più nobile tradizione poetica, che egli rimodella su contenuti
nuovi. E pare strano che possano essere accolte poesie con una
struttura metrica classica e con delle rime, come questi madrigali
del Conti, quando, dopo Montale e l’ermetismo ungarettiano e luziano
e dopo la poetica di altri autori italiani che si sono serviti di
strutture che fossero libere da vincoli di qualsiasi genere, (spesso
perfino logici), ritornare al passato potrebbe sembrare un regresso
anziché un progresso nell’ambito della poesia. Il poeta che conosce il suo ambito di professionalità, (diversamente da chi lo ignora e scrive d’istinto, al più componendo semplici storielle per bambini o qualcosa di simile alle filastrocche quando si cimenta con le rime), il poeta colto e competente, dicevo, può equilibrare la sua ispirazione con le regole classiche, ma può anche consapevolmente derogarvi per sostenere un’intimità lirica dei versi e far prevalere la loro capacità di muovere emozioni e passioni profonde. Ed è proprio questo, quanto fa il Conti con i suoi madrigali. Basterebbe ora analizzare brevemente alcune composizioni di questa raccolta, per verificare quanto appena affermato e per comprendere come la consapevolezza della propria arte permetta al poeta di rendere inscindibile la forma dall’essenza stessa delle sue poesie: leggendole, non si può far altro che constatare che non potevano essere scritte altrimenti; ogni parola è al posto giusto, non ci sono dei sovrappiù che disturbino il pensiero, tutto è esattamente come doveva essere e come soltanto poteva essere.
Ne propongo solo alcune, per
indirizzare verso una lettura di senso delle stesse, con
l’avvertenza che sono da prendere come semplice esemplificazione.
Ci sono anche madrigali che ci
riportano ad un contatto, pieno di meraviglia, con la natura e i
suoi elementi.
Ci sono ancora madrigali fortemente
legati all’attualità.
Il poeta infatti vive dei sentimenti
che pulsano dentro la sua anima e che riesce a trasmettere
attraverso le sue liriche. Ché tali sono questi madrigali, la cui
lettura regala momenti di autentico piacere.
Nuances - De quolibet tactum di Silvano Conti
Nuances e De quolibet tactum, unico
titolo per questa silloge di Silvano Conti, che evidentemente
accosta qualcosa di indefinibile (le nuances) a qualcosa di
concreto, materiale, che si tocca con mano (de quolibet tactum).
Mi piace tuttavia soffermarmi in
prima istanza sulle Nuances, che mi riportano, forse non a caso,
Leggendo le poesie della raccolta e
poi ascoltando la voce del poeta, ho potuto verificare che in questa
silloge Silvano Conti ha voluto fare spazio proprio a ricordi
personali, ma anche ad altre situazioni, anche attuali, a cui ha
assistito con una intensa, a volte dolorosa, partecipazione emotiva,
tale che la pressione dell’anima sulla esplicitazione poetica del
vissuto fosse incontenibile. - Presenze, in cui appare come “stelo fragile della fantasia” il ricordo di una “piccola Katy”, di una donna con le sue “misteriose presenze”, che la distrazione della vita, del mondo, ha allontanato, ma ciononostante lei continua a portare dentro di sé queste misteriose presenze, ospitate nella mente del poeta, dove un fuoco è ancora vivo, mai sopito, caldo “sotto la cenere”. - Eluana, dove il poeta si immedesima nella sofferenza senza riuscire a darne ragioni e intona un inno alla vita, nonostante tutto. - Angela, in cui, con grande efficacia e forza espressiva notevole, il poeta fotografa l’interno di una grave malattia che produce confusione mentale e oblio perfino di se stessi, enucleando le azioni concrete nelle quali essa si esplicita, e provocando i brividi in chi legge e trasmettendo emozioni profonde. Oppure la genesi di poesie che fotografano lampi di luce di un ricordo, come ad esempio: - Guardami, accorata preghiera del poeta affinché almeno i ricordi siano illuminati dallo sguardo benevolo della Madre pia… poiché solo attraverso la rivisitazione dei ricordi belli il poeta ritrova la gioia e può ricaricarsi di energie vitali. - Nuances, dove il poeta si riappropria del silenzio, con le sue sfumature leggere, contrapponendolo alle parole talvolta dure, di pietra. - Ma non sono solo, in cui il poeta trova consolazione al suo stato d’animo oppresso, descrivendo una condizione esistenziale che accomuna tutti gli esseri umani, sempre in inquieti affanni, nonostante la consapevolezza di essere parte infinitesima dell’universo, come goccia in rapporto all’onda.
Molto interessanti, complessivamente
i contenuti di queste “nuances” che potrebbero costituire un nuovo
genere poetico, per poter legittimamente esprimere emozioni profonde
in un mondo in cui i sentimenti sembrano essere relegati a qualcosa
che non apparterrebbe più agli essere umani, soggetti ormai alla
freddezza dei mezzi tecnologici utilizzati. Un’altra nota molto positiva al riguardo di questa raccolta, oltre a quanto già messo in luce, è a mio parere la possibilità di estrapolare dai testi poetici la volontà del poeta di non subire passivamente le condizioni a volte sgradevoli che la vita presenta, ma di cercare un distanziamento e un approdo in un mondo anche fantastico, che aiuti a migliorare la percezione che si ha di se stessi e delle proprie relazioni con gli altri, oppure di rifugiarsi anche solo momentaneamente in una contemplazione estatica della natura, trasfigurando la realtà in modo da rapportarla al proprio esistere e al desiderio di continuare a far parte di questo mondo bello, con cui fondersi e con-fondersi.
Note ottimistiche, dunque,
traspaiono dai versi di questa raccolta, la cui lettura non lascia
per nulla indifferenti, perché mentre accomuna poeta e lettori in
una condivisione di esperienze e sensazioni, così anche alleggerisce
l’animo dalla “pesantezza” del vivere, con la prospettiva che sia
sempre possibile approdare su un mondo ad hoc creato dalla nostra
fantasia, per il quale sono sempre pronte le zattere dei nostri
pensieri e della nostra intimità insondabile
dall’esterno.
Sentieri di luce di Silvano Conti Poliedrica voce della creatività e della ricerca interiore, qui e ora, ma anche in prospettiva, oltre l’orizzonte visibile: così definirei - d’impatto - il poeta Silvano Conti attraverso la lettura delle poesie di questa nuova silloge. Bisogna poi entrare con cautela nei “sentieri” percorsi dal poeta, in ciascun poemetto, pur breve, perché è lì – dentro – in profondità, la luce che li illumina. Pur breve, sottolineo, perché una prima caratteristica delle poesie di Silvano Conti è proprio quella della densità concettuale concentrata con grandissima efficacia ed incisività in poche, essenziali, espressioni poetiche.
Inoltre,
vi si percepisce un ritmo, emergente dal solo senso profondo di ogni
poesia, che invita a soffermarsi in silenzio, dopo la lettura, per
sentirlo risuonare ancora nell’anima. Ed è come scuotersi da un
dormiveglia. C’è, evidente tra le righe, un movimento interiore del poeta, che passa da un’autoanalisi incentrata inizialmente su una sorta di torpore dell’anima, (“Senza di Te / consumo solo tempo…”... oppure: “E per quanto tempo la Tua voce / - a lungo inascoltata - / ho avuto dentro pei sentieri percorsi…”) a una successiva vibrazione delle sue corde più sottili e profonde, (Anelo conoscerti / insieme a me stesso / senza impedirmi ancora / di amarti al buio”) a una timida consapevolezza di una presenza discreta ma forte accanto a sé, (Mi sei rimasto accanto, / con gran fragore all’anima), a una luce “invisibile” che guida, (e più mi occorri / più mi soccorri, / prendendomi per mano), alla visione, infine, di un traguardo come sicuro ed eterno approdo (Congiungo / due punti in linea retta,/ dal vuoto all'infinito, / e Ti ritrovo).
In questa
consapevolezza, e solo in questa apertura al trascendente, il poeta
ritrova se stesso e il fine della propria esistenza mondana.
In alcune
poesie “dedicate” questo desiderio del poeta è espresso con
convinzione.
È questo,
mi pare, il percorso poetico esistenziale di Silvano Conti che si
può cogliere leggendo le poesie di questa silloge. Occorre però una
disposizione d’animo particolare, intelligente, (nel senso
etimologico di “leggere dentro”, andare in profondità), ed essere
pronti ad immedesimarsi in quest’opera di scavo interiore compiuta
dal poeta.
8/11/2012 Maigret a Vichy di Georges Simenon Traduzione di Ugo Cundari In copertina: Donna
in abito bianco (Anni Trenta) Adelphi Edizioni Narrativa romanzo
Fra un bicchiere e l’altro di acqua termale Questa volta Pardon, il medico di Maigret, è
stato tassativo: quei giramenti di testa, quella stanchezza non sono
i sintomi di qualche malattia, ma denotano la necessità di un po’ di
riposo in un uomo che di età ha superato la cinquantina. Sono quindi
necessarie alcune settimane di ferie e magari un aiutino, quali sono
le celebri acque curative di Vichy. Georges
Simenon, nato a Liegi nel 1903,
morto a Losanna nel 1989, ha lasciato centonovantatré romanzi
pubblicati sotto il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e
racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature»
e memorie. Il commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi e 28
racconti, tutti pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto
il mondo, innanzitutto per le storie di Maigret, Simenon è anche,
paradossalmente, un caso di «scrittore per scrittori». Da Henry
Miller a Jean Pauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono
infatti gli autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra
questi, André Gide: «Considero Simenon un grande romanziere, forse
il più grande e il più autentico che la letteratura francese abbia
oggi»; Walter Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»;
Louis-Ferdinand Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il
Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne
tutti i giorni».
5/11/2012
Materada
Bompiani Editore L’epica della povera gente
Dice bene Claudio Magris quando scrive, a proposito di Materada (il
primo romanzo di Fulvio Tomizza),: “Quando uscì nel 1960 “Materada”
– il primo e ancor oggi miglior romanzo dell’allora giovanissimo e
sconosciuto Fulvio Tomizza – arricchì di una nuova e forte pagina la
poesia della frontiera, delle sue lacerazioni e della sua unità;….Il
mondo da cui nasceva “Materada” - l’Istria nel momento dell’ultimo
esodo, nel 1954 – era un mondo realmente straziato dai rancori,
torti e vendette sanguinose fra italiani e slavi e Tomizza l’aveva
vissuto e patito.”.
Fulvio Tomizza (Giurizzani di
Materada, Umago, 26 gennaio 1935 – Trieste, 21 maggio 1999). Figlio
di piccoli proprietari agricoli, dediti anche a varie attività
commerciali, ottenuta la maturità classica, si trasferì
temporaneamente a Belgrado e a Lubiana, dove iniziò a lavorare
occupandosi di teatro e di cinema.
31/10/2012
La morte di Marx
Edizioni Einaudi Una visione nichilistica
Quel che più apprezzo di Sebastiano Vassalli è la straordinaria
abilità di parlare del presente raccontando del passato.
Sebastiano Vassalli
è nato a Genova e vive in provincia di Novara. Presso Einaudi, dopo
le prime prove sperimentali, ha pubblicato La notte della cometa,
Sangue e suolo, L'alcova elettrica, L'oro del mondo,
La chimera, Marco e Mattio, Il Cigno, 3012,
Cuore di pietra, Un infinito numero, Archeologia del
presente, Dux, Stella avvelenata, Amore lontano,
La morte di Marx e altri racconti, L'Italiano, Dio
il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni e
Le due chiese.
27/10/2012
La cavallina, la ragazza e il diavolo Garzanti Libri Narrativa romanzo
Una cavalcata rasserenante
Ferdinando Camon, figlio di contadini, non
ha mai coltivato la terra; eppure, questa gli è rimasta dentro,
un’atavica vocazione, trasmessa di padre in figlio, che rispunta nei
suoi romanzi appena ve ne sia la possibilità. Lui, che è stato il
cantore di una civiltà ormai scomparsa, quella contadina, fatta di
duro lavoro, di sudore, di sacrifici, di miseria e anche di
superstizione, resta indissolubilmente legato ad essa e nel
trascorrere del tempo, quando i ricordi tendono a sbiadire,
colorandosi però di rosa, guarda a quel mondo quasi con rimpianto.
Vero è che è stato quello della sua fanciullezza, forse il periodo
più bello per un uomo, troppo breve per costruire un progetto di
vita, ma non per sognare e fantasticare. E così, se con La
vita eterna Camon ha descritto il mondo contadino in tono
per nulla idilliaco, con questo romanzo breve (La cavallina,
la ragazza e il diavolo) lo fa rivivere ai giorni nostri, ma
com’era un tempo, avvolgendolo in un alone in cui l’incontro fra
reminiscenze, fantasia, sogno e desiderio si amalgamo dando vita a
un’opera che rasenta il favolistico, con tanto di morale finale. A
ben guardare lo svolgimento, la presentazione dei personaggi,
l’evolversi della trama e l’epilogo ricordano certe parabole che,
per la loro eterna validità, sono senza tempo, non in contrasto
quindi con quell’immobilità, che era propria del mondo contadino, e
che appunto in quanto tale aveva un tempo lungo fermo, praticamente
eterno.
Ferdinando Camon
è nato in provincia di Padova. In una dozzina di romanzi (tutti
pubblicati con Garzanti) ha raccontato la morte della civiltà
contadina (Il quinto stato, La vita eterna, Un
altare per la madre – Premio Strega 1978), il terrorismo (Occidente,
Storia di Sirio), la psicoanalisi (La malattia chiamata
uomo, La donna dei fili), e lo scontro di civiltà, con
l'arrivo degli extracomunitari (La Terra è di tutti). È
tradotto in 22 paesi. Il suo ultimo romanzo è La mia stirpe
(2011).
24/10/2012 Nina per caso di Michèle Lesbre
Titolo originale
Nina par
hasard “E dell’anima ferita si spandeva il silenzio”. Gaston Chaissac (Titolo di un dipinto di tela, 1946) Nina per caso di Michèle Lesbre è il ritratto dell’eroina della voce narrante Nina, apprendista parrucchiera da soli due mesi, fanciulla diciottenne alle prese con i turbamenti della sua età: contraddizioni e illusioni sono le tappe obbligate di passaggio dall’adolescenza alla giovinezza. Una ragazza in erba, ingenua e ricca di ideali che non collimano con la realtà spesso dura e arida, animata soprattutto da figuri avidi e rapaci, come il padrone e il caporeparto della fabbrica di merletti di una provincia francese dove lavora la madre Suzy (capelli rossi, occhi verdi, non molta alta, piuttosto sexy, forse un po’ ingrassata dopo l’ultima delusione d’amore) non ancora disillusa nonostante viva la sindrome dell’abbandono degli uomini che transitano la sua vita dopo aver lasciato il marito con cui viveva a Parigi. Le compagne operaie di Suzy sono donne fiere e battagliere che lottano come eroine ottocentesche per migliorare le proprie condizioni di lavoro. Arnold, l’amico degli uccelli, rappresenta il maschile in positivo, quello a cui si rivolge Nina e da cui si rifugia quando ha bisogno del suo aiuto, mentre il padre lontano appare un personaggio scolorito e sfocato nel ricordo (mi pare che fosse alto, con i capelli neri e ondulati, gli occhi chiari e ridenti, la voce profonda). Come l’altra Nina, quella del Gabbiano di Cechov, la nostra protagonista (il racconto si dispiega in prima persona) sogna qualcosa di diverso, di lontano, qualcosa che possa dare un senso alla sua vita; un incontro fugace con uno sconosciuto che alloggia nell’hotel Splendid di fronte casa sua e che sta per imbarcarsi assume un significato arcano, ma quasi necessario, vitale. E’ come varcare l’oceano della sua vita e approdare in un paese sconosciuto, freddo, buio, come un gabbiano che risale il corso del fiume per scoprire qualcosa d diverso, ma rivelatore di una nuova consapevolezza e maturità. Tutto il fatto, come una rappresentazione teatrale, si svolge nell’arco di 3/4 giorni, dal venerdì al lunedì successivo e in questo breve lasso di tempo Nina diventerà donna, una donna con un segreto nascosto tra le pieghe del suo animo che, forse, condividerà con la madre e nonostante tutto davanti a sé il futuro si apre come un’immensa spiaggia dove il vento solleva la sabbia e spinge i gabbiani indolenti. Tutta la storia è al femminile e focalizzata sul rapporto esclusivo e complice con la madre, che quasi vede come una da proteggere e amare con indulgenza, e sulla raffigurazione delle amiche operaie della madre vittime del sistema economico che le avvita in una spirale senza apparente via d’uscita sebbene in un’epoca ormai iper industrializzata e tecnologica dove ancora le rivendicazioni sociali si pagano anche al prezzo della vita. Ogni volta sorprende come uno scrittore riesca a mettere in forma le dinamiche psicologiche oltre che con gli strumenti tecnici del mestiere anche con le vibrazioni del sentimento che anima la parola letteraria. Pubblicato da Sellerio nel 2010, Nina per caso è un bel libro profondo e sensibile.
Michèle
Lesbre vive a
Parigi. Ha esordito con alcuni gialli e nel 2005 ha pubblicato Una
ragazza tutta sola. Con questa casa editrice ha pubblicato
Il canapé
rosso ( 2009), finalista al Premio
Goncourt, che nel 2007 ha vinto il Premio
Mac
Orlan
23/10/2012
I fantasmi del cappellaio Appendice con
avvertenza Edizioni Adelphi Dentro la psiche del serial killer
È del tutto particolare la genesi di
questo romanzo, tanto che vale la pena di raccontarla. Nel 1947
Simenon, nel periodo in cui soggiornò negli Stati Uniti, scrisse il
racconto Il piccolo sarto e i cappellaio, da cui trasse una
versione sostanzialmente analoga, ma con un diverso finale, che
intitolò Benedetti gli umili, e che, tradotta in inglese,
vinse il premio per il miglior racconto poliziesco al concorso
annuale indetto dall’”Ellery Queen’s Mystery Magazine”. Il
piccolo sarto e il cappellaio assomiglia molto a I fantasmi
del cappellaio, anche se il punto di vista della narrazione è
dato dal piccolo sarto Kachoudas, con i suoi tormenti e che, quando
scopre che il vicino di casa è l’assassino ricercato dalla polizia,
esita a lungo, incerto fra la paura e il desiderio di riscuotere la
taglia. Invece il romanzo in epigrafe ha come centralità il
cappellaio Labbé, il serial killer, mentre il piccolo sarto armeno,
pur non passando in secondo piano, finisce con il diventare la
naturale complementarietà dell’altro, perché entrambi finiscono con
il diventare complici, in quanto condividono un orribile segreto. La
riscrittura effettuata da Simenon rende più corposa l’opera,
analizza in modo incisivo la complessa psiche di un assassino
seriale, conducendo il lettore dentro un mondo di ombre indistinte,
popolato di incubi, di cui il cappellaio Labbé è al contempo
artefice e vittima. E’ un gioco di rara finezza, condotto sull’esile
filo del rasoio (è sempre possibile uno scivolone che tolga la
tensione, ma Simenon lo evita magistralmente). Ambientato a La
Rochelle, in un autunno grigio, freddo e piovoso, la narrazione
procede nella realtà di una comunità di modeste dimensioni, in una
vita tutto sommato ripetitiva e monotona, fatta di ore e ore
trascorse al bar per la ormai irrinunciabile partita di bridge, a
cui la borghesia non può mancare, perché ormai è diventato un suo
rito, un momento di contatto fra chi conta e si conosce da tempo
immemorabile.
Georges
Simenon, nato a Liegi nel 1903,
morto a Losanna nel 1989, ha lasciato centonovantatré romanzi
pubblicati sotto il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e
racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature»
e memorie. Il commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi e 28
racconti, tutti pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto
il mondo, innanzitutto per le storie di Maigret, Simenon è anche,
paradossalmente, un caso di «scrittore per scrittori». Da Henry
Miller a Jean Pauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono
infatti gli autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra
questi, André Gide: «Considero Simenon un grande romanziere, forse
il più grande e il più autentico che la letteratura francese abbia
oggi»; Walter Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»;
Louis-Ferdinand Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il
Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne
tutti i giorni».
18/10/2012
L’altra faccia dell’unità d’Italia di Pietro Zerella Copertina di Wenzel Franz
Marco Del Bucchia
Editore
Narrativa romanzo storico Controstoria
E’
un’epoca la nostra in cui è in corso un generale revisionismo dei
fatti storici, anche recenti, come accade per il fenomeno della
Resistenza, da cui è nata la nostra repubblica. Non sempre questa
rivisitazione è disinteressata e tesa alla ricerca della verità, ma
spesso sottende motivi di carattere politico che spesso sono alla
base di una diversa visione soprattutto per fatti abbastanza
prossimi. Maggiore sincerità, invece, si riscontra quando lo storico
torna indietro parecchio nel tempo; le passioni e le tensioni sono
sopite e allora si cerca esclusivamente di raggiungere la verità, o
comunque di avvicinarla. Così accade per quel lungo processo che nel
XIX secolo ha portato all’unità d’italia, descritto a scuola con
toni trionfalistici e comunque secondo le esigenze di quello che
allora fu il potere egemone. I Savoia tenevano a dimostrare che
vollero recepire il grido di dolore degli italiani, soggiogati dallo
straniero, per unirsi in un unico stato che poi si sarebbe chiamato
Regno d’Italia. Non fu proprio così, anzi mai come in quella
occasione fu costruita una storia di comodo, e non è solo
un’opinione mia, ma è suffragata da tanti studi, come questo di
Pietro Zerella dall’emblematico titolo L’altra faccia
dell’unità d’Italia. In questo libro, che l’autore
definisce romanzo storico perché ricorre allo stratagemma di far
raccontare i fatti dal fantasma del bisnonno, viene esaminata la
famosa spedizione dei Mille e i primi tre anni (1860 – 1862) dell’ex
Regno delle Due Sicilie, inglobato nel nuovo Regno d’Italia. Pietro
Zerella è meridionale e non è certo un nostalgico dei borboni, ma
riesce a essere piuttosto imparziale in questa revisione, dando
spazio anche a chi la contesta.
Nato a Beltiglio
di Ceppaloni,
Pietro Zerella
vive a San Leucio del
Sannio. Laureatosi in scienze politiche
e sociali, è stato ispettore capo della polizia di stato. Oggi in
pensione, svolge attività di promozione culturale. Vincitore di
premi letterari, negli ultimi anni si è dedicato con particolare
passione alla ricerca storica.
10/10/2012
Saluti notturni dal Passo della Cisa A cura di Mauro
Novelli Arnoldo Mondadori
Editore Collana Oscar scrittori moderni
Le molte verità
Correva
l’anno 1986 allorché Piero Chiara, malato senza speranza di
guarigione, scrisse questo romanzo, un po’ insolito, soprattutto per
la collocazione geografica, per niente lacustre, protesa com’è da
Bergamo a Lerici, ma con nel centro del mirino Langhirano, terra di
prosciutti e che richiama un vago sentore godereccio, da sempre
irresistibile per lo scrittore luinese. Non si pensi tuttavia di
leggere di avventure che richiamano al riso, come nel riuscitissimo
Il piatto piange, ma al più ci si può concedere qualche
sorriso, come giusto del resto per un autore che si appresta a
lasciare un mondo che ha sempre amato, descrivendolo con sottile
ironia, portando alla luce vizi e difetti non certo per scopi
moralistici, ma per ridere di noi stessi, ben lungi dall’essere
perfetti e consapevoli che la vita è troppo breve per non essere
vissuta.
Piero Chiara
nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i
più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto
tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
4/10/2012
La pazza di Maigret
Traduzione di Valeria Fucci
Adelphi Edizioni
Narrativa romanzo L’umanità di Maigret
C’è una vecchina, minuta come uno
scricciolo, che si aggira intorno al Quai des Orfèvres; guarda,
sembra che abbia paura a entrare, ma poi si decide e chiede al
piantone del Commissario Maigret. Dice che ha una comunicazione
della massima importanza. La prendono per una un po’ giù di testa,
per un mitomane e non acconsentono alla sua richiesta. Tuttavia, un
giorno, Maigret, che era stato informato di questa strana
visitatrice, s’imbatte in lei all’uscita del lavoro e questa, calma
e decisa, gli comunica che da un po’ di tempo, quando ritorna a
casa, trova degli oggetti spostati. E abita sola, e non ha né cane
né gatto. Il commissario è indeciso, è ancora in buona parte
convinto di avere di fronte una mitomane, ma gli occhi grigi e dolci
contrastano con questa ipotesi. Sì, passerà a fare una visita, le
dice, passerà domani.
Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatré romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
1/10/2012
Angeli caduti Cicorivolta
Edizioni Narrativa raccolta
di racconti Un’energia creativa travolgente Giuseppe Iannozzi non
è di certo uno sconosciuto, almeno sul web, dove sono presenti
alcuni suoi blog in cui pubblica un po’ di tutto, sia di suo che di
altri, in un campo che spazia dalla poesia all’editoriale, ma
soprattutto caratterizzato da numerose recensioni. Al riguardo di
queste ultime, non sono infrequenti le stroncature, specialmente di
lavori letterari di alcuni nomi nei confronti dei quali manifesta
una spiccata avversione.
Giuseppe Iannozzi,
classe 1972, torinese di adozione, giornalista e critico
letterario, nell'ormai lontano 2000 d.C. è stato il fondatore di uno
dei primi lit-blog culturali su piattaforma Splinder, King Lear
Officina Avanguardie, che nel 2007 è diventato Jujol Cultura e
Spettacolo a cura di Iannozzi Giuseppe (jujoliannozzigiuseppe.wordpress.com).
28/9/2012
Maigret ha paura
Traduzione di Rossella Daverio
Edizioni Adelphi Follia singola e follia collettiva
Quarantaduesimo romanzo con il celebre commissario, Maigret ha
paura fu scritto in soli 7 giorni durante il soggiorno negli
Stati Uniti dell’autore.
Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatré romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
27/9/2012 MADREFERRO Laura Liberale Ed. Perdisapop Romanzo L’idea pregnante di questo libro è un motivo topico della letteratura: la catabasi, un rivisitazione di essa in chiave postmoderna, ma con il substrato della tradizione mitica La trasfigurazione dei luoghi natali in letteratura è sempre un rischio per l’incauto scrittore, è come calpestare quel terreno di buoni sentimenti e di slogan logori e sentimental-nostalgici: la propria terra sacra e intoccabile, foscolaniamente parlando: la madre terra! E’ in questo abbrivo fatale che s’innesta il libro Madreferro della Liberale, una sorta di catabasi nelle segrete e profonde radici di sè. La mitizzata Fabrica è sentita e vissuta dall’autrice come un essere vivente che succhia l’anima di chi ne respira la sua essenza più profonda, fauci animalesche che smembrano carne e visceri. I mostri dell’infanzia e adolescenza si mostrano alla piccola Laura nelle fattezze faunesche delle zie arpie, in un intrico di incubi allucinatori degni d un quadro di Daumier. Il ritorno al passato è un corpo dissezionato dall’autrice che procede come un emopatologo che fruga, esamina, pesa e soppesa, è come l’immersione nel magma incandescente di paure ancestrali, di demoni mai dormienti che fagocitano l’anima e quel sangue menorroico che scandisce i 28 giorni del racconto, come le fasi lunari e femminile, marca la terra e la intride in rivoli di pensieri incessanti. Il femminile domina e predomina sui personaggi maschili che sono in controluce, sfocati; la figura della madre scomparsa : “Il mio tempo con te è finito per sempre” ritorna in immagini icastiche, quelle delle zie, sia pure nefaste, suggellano, comunque, il suo io. E quel metallo, il ferro la cui polvere si mescola alla terra e che ricorre come ricostituente organico all’anemia. Un album da disegno che si apre su un nome e una data. Georgina de Martignac, Fabrica, 1 febbraio 1851, segna la mappa del suo itinerario nei luoghi dalla sua prima fanciullezza: il passato è una discesa sempre più luciferina dentro le ombre dense di fatti e misfatti mormorati, sussurrati e mai comprovati. L’espressività densa e nel contempo essenziale della Liberale aderisce come una seconda pelle alla narrazione degli eventi, trascolorati dal tempo in un serpeggiare di emozioni e tonalità stratificate che permeano tutto il percorso narrativo. Il libro si trasforma in una favola politically uncorrect, il corollario di miti e leggende, rituali magici rimandano agli archetipi della narrazione orale, i personaggi negativi ( orchi e streghe) sono gli oltraggiatori dell’innocenza. E’ un non rispettare le regole del gioco, andare controcorrente, seguire la propria ed irrinunciabile natura affrancandosi da etichette e codificazioni. Il tutto non intenzionalmente premeditato, ma sofferto, perché rimanda adesione e pathos nel lettore. Questo breve romanzo o racconto lungo, che dir si voglia, è simile a quei romanzi che danno la chiave d’accesso all’interiorità altrui, all’anima, ai pensieri e non è poco.
Laura Liberale
è nata Torino il 15.05.69, si è laureata
in Filosofia con una tesi di Religioni e Filosofie dell’India e
dell’Estremo Oriente. Dopo la laurea ha conseguito il titolo di
Dottore di ricerca in Studi Indologici.
Dal 2006 tiene corsi e seminari di Scrittura Creativa (per adulti e
per studenti di elementari e medie).
Autrice di saggi indologici, insegnante
e bassista, ha ottenuto riconoscimenti
in svariati premi di poesia e narrativa. Nel 2009 ha pubblicato il
suo primo romanzo,
Tanatoparty
(Meridiano Zero, Padova) e la silloge poetica
Sari - poesie per la figlia
(d'If, Napoli). Nel 2011 è uscita la
raccolta di poesie Ballabile
terreo (d'If). Il suo secondo
romanzo è Madreferro.
25/9/2012 La sorella di Mozart di Rita Charbonnier In copertina: Franz
Xaver Wagenschoen, Edizioni Piemme Narrativa romanzo
storico Il talento represso
Maria Anna Walburga Ignatia Mozart
(Salisburgo, 30 Luglio 1751 – Salisburgo, 29 Ottobre 1829), meglio
conosciuta come Nannerl, è stata la sorella maggiore di Wolgang
Amadeus Mozart. Come capita sempre in questi casi, la luce del genio
pone totalmente in ombra gli altri membri della famiglia, anche se
nel caso specifico lei aveva un grandissimo talento non dissimile da
quello del fratello, vocazione musicale soffocata sul nascere in
funzione esclusiva della maggior gloria di Wolfgang.
Rita Charbonnier,nata
a Vicenza, ha vissuto a Matera, Mantova, Genova, Trieste, per poi
stabilirsi a Roma. Ha fatto studi musicali e ha frequentato la
Scuola di Teatro dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di
Siracusa. È stata attrice e cantante in teatro, recitando al fianco
di celebri artisti. In seguito si è dedicata alla scrittura e, dopo
aver collaborato come giornalista con riviste di spettacolo, ha
iniziato a scrivere sceneggiature e infine romanzi, La sorella di
Mozart, La strana giornata di Alexandre Dumas e Le due
vite di Elsa, tutti molto apprezzati dai lettori.
16/9/2012
Il vangelo secondo Gesù Cristo Traduzione di Rita Desti Feltrinelli Editore Narrativa romanzo
Un uomo di nome Gesù È stata questa una
lettura sofferta, trascinata nel tempo, con il libro chiuso e più
volte riaperto, nell’ipotesi che nel romanzo di questo autore ateo
potesse celarsi una spiritualità addirittura superiore a quella di
un credente. José
Saramago è nato nel 1922 ad
Azinhaga, in Portogallo. Due anni dopo la sua nascita, la famiglia
dello scrittore si trasferisce a Lisbona dove il padre lavora come
poliziotto. Le difficoltà economiche in cui la famiglia versa, lo
costringono ad abbandonare gli studi e a intraprendere diversi
lavori. Fa così il fabbro, il disegnatore, il correttore di bozze,
il traduttore, il giornalista, e il direttore letterario e di
produzione in una Casa editrice.
10/9/2012
Quaderno di un tempo felice Introduzione di
Andrea Paganini Nino Aragno Editore Narrativa I primi scritti Piero Chiara raggiunse
il successo letterario quando era prossimo alla cinquantina (è del
1962 Il piatto piange, il suo primo romanzo di grande
notorietà); quindi, un po’ tardi si direbbe per uno scrittore del
suo livello, e pensare che aveva esordito nel 1945 con una silloge
poetica, Incantavi, tutta soffusa di sentimenti malinconici,
in una sorta di tempo sospeso, meglio ancora trasognato.
Piero Chiara
nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i
più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto
tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
3/9/2012
Il sentiero dell’onore Edizioni Piemme L’arduo sentiero dell’onore Marco Salvador mi ha
abituato troppo bene, perché quando ho voglia di leggere un libro
che possa essere sicuramente avvincente non ho da far altro che
acquistare uno dei suoi romanzi storici, veri e propri affreschi di
certe epoche, che non solo risultano estremamente piacevoli, ma che
hanno anche il pregio di evidenziare chiaramente quelle che
dovrebbero essere le caratteristiche nobilitanti di ogni essere
umano: la coerenza con i propri principi, il ripudio di ogni vanità
nell’interesse di un’idea che elevi sé e gli altri, la
consapevolezza dei propri limiti e perciò l’umiltà, un’umiltà che è
grandezza, superiore a ogni effimero successo basato solo sul
tornaconto personale e sulla brama di potere.
Marco Salvador
è nato a San Lorenzo, in provincia di Pordenone, nella casa in cui
vive tutt’oggi. Ricercatore storico, per professione e per passione,
con un interesse particolare per il Medioevo, ha pubblicato numerosi
saggi sulle comunità rurali nel medioevo
e sulle giurisdizioni feudali minori. Inoltre ha scritto sei
romanzi: Il longobardo (Piemme, 1^ Edizione 2004, 2^ Edizione
2008), La vendetta del longobardo
(Piemme, 2005), L’ultimo longobardo (Piemme, 2006), La
casa del quarto comandamento (Fernandel, 2004), Il maestro di
giustizia (Fernandel, 2007), La palude degli eroi
(Piemme, 2009) e L’Erede degli Dei (Piemme, 2010).
28/8/2012 Il caso Saint-Fiacre di Georges Simenon Traduzione di
Giorgio Pinotti Adelphi Edizioni Un’indagine sul filo dei ricordi Georges Simenon, scrittore belga di lingua
francese, è stato autore di una produzione copiosissima, con
centinaia di romanzi e di racconti, di diversi generi, ma con una
spiccata preferenza per il giallo e in quest’ambito a lui si deve la
creazione di uno dei personaggi più amati in letteratura, cioè il
commissario Jules Maigret. Sono numerose le trame (ben 75 romanzi e
28 racconti) che vedono protagonista il riflessivo poliziotto
parigino, un investigatore a cui piace immergersi nell’atmosfera
propria dei luogo in cui è stato commesso il crimine, seguendo il
suo istinto, il suo fiuto di segugio, che non viene meno anche in
presenza del fumo della sua immancabile pipa.
Georges Simenon,
nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato
centonovantatré romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero
imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre
a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è
protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il
1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le
storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di
«scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da
Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che
hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide:
«Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il
più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter
Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand
Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei
Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».
28/7/2012
Armance
Introduzione di Piergiorgio Bellocchio
In copertina David Johnston di Pierre Paul Proud’hon (1808),
Garzanti Editore Il primo romanzo “Armance era una nipote molto povera delle signore de Bonnivet e de Malivert, quasi della stessa età di Octave, e poiché si erano reciprocamente indifferenti, i due si parlavano con assoluta franchezza. Dopo tre quarti d’ora trascorsi col cuore gonfio d’amarezza, Octave fu colpito da questa idea: Armance non mi fa moine, è la sola qui ad essere estranea a questo raddoppiamento d’interesse che devo a un poco di denaro, lei sola, qui dentro, ha una qualche nobiltà d’aqnimo. E l’unico motivo di consolazione fu di guardare Armance.” Di
certo Stendhal è conosciuto di più per Il Rosso e il Nero
e per La Certosa di Parma, due romanzi che mantengono
inalterato ancor oggi il loro grande valore letterario, due
autentici classici che non risentono delle scorrere del tempo,
indifferenti alle mode letterarie, sempre capaci di avvincere il
lettore con la loro straordinaria attualità.
Stendhal, pseudonimo di
Marie-Henry Beyle nacque a Grenoble il 23 gennaio 1783 e morì a
Parigi il 23 marzo 1842.
26/7/2012 Vorrei essere un cartone animato! (…ritorno a Fantasyland) di Giuseppe Gambini Presentazione di Maddalena De Leo Ilmiolibro.it Narrativa Una favola per tutti Ho
conosciuto Giuseppe Gambini nel corso di una premiazione del
Concorso Letterario L’Arcobaleno della vita, di cui era uno dei
giurati. Gentile, disponibile, ho poi avuto modo di leggere la sua
produzione letteraria (una delle sue passioni, insieme con il
teatro), costituita soprattutto da poesie introspettive o di impegno
civile, che evidenziano una sensibilità innata, oltre a sentimenti
espressi con naturalezza, perché non costruiti, ma propri
dell’autore. Giuseppe Gambini nasce a
Torre del Greco (NA) nel 1948 e attualmente risiede a Garbagnate
Milanese. 5/7/2012 Sellerio editore Palermo Titolo originale: Donde nadie te encuentre L’autrice spagnola Alicia Giménez Bartlett famosa per i noir che hanno per protagonista la famosa ispettrice Petra Delicado, in questo inquietante romanzo tratta la storia di un personaggio ”La Pastora” realmente esistito e diventato un mito della leggenda popolare. Al centro della vicenda c’è Teresa Pla Meseguez, nata nel 1917, intesa “La Pastora”, analfabeta e dall’infanzia rubata, partigiana anti-franchista; nel momento in cui entra a far parte di un gruppo di compagni comunisti, è costretta a cambiare nome e viene identificata col nome maschile di Florencio, anche perché a causa del suo aspetto mascolino non si distingueva se fosse donna oppure uomo, diventa un bandito dandosi alla macchia tra le montagne: a lungo sarà braccata dalla Guardia Civil del generalissimo. La solitudine e lo scenario naturale dominano la sua miserrima esistenza (le montagne a sud dell’Ebro, tra la Catalogna e l’Aragona, per lungo tempo, dopo la fine della guerra civile, furono rifugio disperato degli ultimi resistenti). È la provincia spagnola sordida e desolata della dittatura che vi si staglia, dove si consumano gesti nefandi; dove più profonda è la solitudine e più tenace la rassegnata miseria materiale. La Pastora non è una donna, ma un uomo con una malformazione genitale che i genitori hanno allevato come una femmina per evitarne il servizio militare. La storia si svolge intorno agli anni ’50 (del secolo scorso) durante la dittatura di Francisco Franco in Spagna. Sulle tracce di Teresa si avventura uno psichiatra francese, interessato allo studio di personalità violente e criminali, Lucien Nourissier, il quale contatta un giornalista squattrinato di Barcellona, Carlos Infante, già autore di un servizio sulla Pastora, per aiutarlo, in cambio di denaro, a scoprire il covo dove si nasconde la donna-uomo e conoscere le motivazioni di fondo che la spingono a compiere imprese di inaudita ferocia. Per il medico francese e il giornalista barcellonese inizia un viaggio se così si può definire di iniziazione, attraversano pericoli e paesaggi di una Spagna selvaggia e povera in cui regna un senso di paura e terrore, in cui passioni contrapposte agitano gli animi degli abitanti, chi assoggettato al franchismo e lo asservisce con bieca obbedienza e chi non lo accetta e agisce con azioni di guerriglia e di resistenza anche a costo della propria vita. La loro ricerca è insieme indagine aleatoria, in cui rischi e delazioni si annidano nel voler frugare nei segreti delle comunità diffidenti dei villaggi e percorso interiore di meraviglia delle complessità della natura umana come un ritrovare una primigenia innocenza mistificata dagli orrori della storia. La conclusione del libro è inattesa e forse anche consolatoria e catartica… Tutto il libro dalla trama ai personaggi si regge su ambivalenze. Da una parte c’è il monologo di Teresa, ispirato alla sua vera testimonianza e dall’altra una storia inventata (Lucien e Carlos, i due, si fa per dire, investigatori), il doppio che convive nella Pastora, donna tormentata e uomo represso o viceversa, lo studioso francese e il lestofante spagnolo sono due personalità agli antipodi, il primo retto ed idealista l’altro cialtrone e qualunquista. É quasi una contrapposizione manichea e dualistica della natura degli esseri umani nella continua lotta tra il bene e il male, e già forse è tanto distinguerli e rendersene consapevoli. Mi ha sempre affascinato il modo in cui uno scrittore o scrittrice riesca a creare una psicologia del personaggio attraverso i suoi pensieri e le sue azioni, e di ciò ne rendo merito alla Bartlett, ma, a mio parere, non ne rende l’anima nel senso che il libro non suscita emozioni e non rende compartecipe il lettore.
Alicia
Giménez-Bartlett (Almansa,
1951) è la creatrice dei polizieschi con Petra
Delicado. I romanzi della serie sono
stati tutti pubblicati nella collana «La
memoria» e poi riuniti nella collana «Galleria». Ha anche
scritto numerose opere di narrativa non di genere, tra cui:
Una stanza tutta per gli
altri (2003, 2009, Premio Ostia Mare Roma 2004),
Vita sentimentale di un camionista
(2004, 2010),
Segreta Penelope (2006), Giorni
d’amore e inganno (2008, 2011) e
Dove nessuno di troverà
(2011). Nel 2006 ha vinto il Premio Piemonte
Grinzane Noir e il
Premio La Baccante nato nell’ambito del
Women’s Fiction Festival di Matera. Nel 2008 il
Raymond Chandler
Award del Courmayeur
Noir in Festival.
3/7/2012 RICHIAMI DI METALLURGIA NELLA LETTERATURA
G. Casarini-Binasco (MI) RIASSUNTO
“ Fragile è il ferro allor
ché non resiste/di fucina mortal tempra terrena/
“Ecco Rinaldo con la spada
adosso/a Sacripante tutto s'abbandona;/
La scoperta dei metalli, delle leghe metalliche e il loro uso,
dall’età del ferro all’era moderna, quella degli acciai inossidabili
e delle superleghe, hanno accompagnato ed accompagnano l’evoluzione
e la storia dell’umanità nonché il suo modo di vivere. Nella pratica
quotidiana, per limitarci al loro impiego in casa, in ufficio e nei
mezzi di trasporto, i metalli, sotto forma di oggetti e di
manufatti, i più disparati, ci sfiorano e ci sono a portata di mano
anche tale continua familiarità lo fa spesso dimenticare e porta
alla ingrata indifferenza. Tuttavia non solo nella praticità e nel
campo della scienza e del mondo industriale ma anche nel campo
delle arti i metalli hanno dato e danno direttamente un
significativo contributo all’appagamento di altri bisogni e
necessità dell’uomo, quelle dell’estetica e del bello: basti
pensare alle statue bronzee della antichità classica ed alle moderne
sculture in acciaio inossidabile. Indirettamente, e questo è il tema
di questo excursus,
vedremo come sempre nel campo degli appagamenti culturali e dello
spirito i metalli abbiano offerto ed offrano immenso materiale nel
campo della letteratura. Spaziando in questo campo, dall’antichità
ai tempi nostri è facile riscontrare, punto di riferimento la
Divina Commedia, nella quale sono state evidenziate e commentate a
suo tempo le innumerevoli terzine con riferimento ai metalli, come
gli stessi metalli non siano sfuggiti alla penna di storici,
pensatori e poeti per evocare immagini, suggestioni, riflessioni
degne della nostra attenzione. Nella presente memoria, data la
vastità dell’esplorazione, il campo di indagine è stato confinato
alla classicità greco-romana. Vedremo come questa, attraverso i
versi di Esiodo, Omero, Ovidio, Lucrezio,Virgilio e Tibullo, offra
un immenso tesoro di riferimenti alla metallurgia ed alla
lavorazione dei metalli: metalli come simbolismo tra dei, miti e
leggende, suggestivi versi sull’origine della metallurgia,
sull’impiego e l’uso dei metalli, le loro proprietà, l’usura, la
corrosione, il riciclaggio, nonché sfolgoranti descrizioni e una
profusione di oggetti metallici.Ai poemi cavallereschi della
letteratura italiana, se ci sarà, il prossimo appuntamento a
cominciare dal Tasso e dall’Ariosto. PAROLE CHIAVE
Esiodo, Opere e Giorni, Omero, Iliade, Odissea, Ovidio, Metamorfosi,
Tibullo, Virgilio, Eneide, Bucoliche, Lucrezio, De Rerum Natura.
INTRODUZIONE Fluit aes rivis aurique metallum, vulnificusque chalybs vasta fornace liquescit ( Scorrono a ruscelli il bronzo e l’oro, l’acciaio atto a ferire si liquefa nel vasto forno): questo frammento di un famoso distico tratto dall’Eneide virgiliana , risulta impresso, quale motto, sulla moneta etrusca raffigurante Vulcano, il dio dei metalli, adottata come stemma dall’Associazione degli Industriali Metallurgici, primo atto di quella che sarà in seguito l’Associazione Italiana di Metallurgia ed è apparso per la prima volta nel numero di settembre del 1917 della nostra rivista La Metallurgia Italiana a testimonianza del connubio che sempre dovrebbe ricercarsi tra scienza ed arte. A partire da tale frammento, già citato a suo tempo nelle ricerche su Dante, i suoi mentori e la Divina Commedia (1-3) cercheremo di scoprire, con riferimento alla classicità greco-latina, le immagini, le suggestioni e le riflessioni che i metalli hanno evocato e prodotto nei versi dei poeti di quel tempo antico. Tale breve ricerca, oltre che sprone per i giovani cultori della metallurgia ad una più approfondita ricerca in questo campo, vuole rendere un modesto omaggio a tutti quegli studiosi che in passato non hanno disgiunto l’amore della scienza con quello della letteratura, primo fra tutti l’Ing. Giuseppe Cozzo e poi: E. Crivelli, A. Uccelli, G. Somigli e I. Guareschi (4-7)
I METALLI COME SIMBOLISMO: TRA DEI, MITO E LEGGENDA L’antropologia moderna analizzando la preistoria e la protostoria dell’umanità, classifica la sua evoluzione attraverso le seguenti età: età della pietra ( paleolitico, mesolitico, neolitico), età del bronzo e età del ferro in funzione della natura dei primi utensili impiegati dall’uomo e dalla cronologia della scoperta e dell’uso dei metalli. Anche nell’antichità seppure strettamente legata a superstizioni, suggestioni di interventi divini tra miti e leggende varie, l’importanza dei metalli, come fattori di progresso, era già stata fortemente sentita e percepita nonché tradotta anche in componimenti epici o liriche nostalgiche ed accorate. Inizialmente, sia nel mondo greco e poi in quello latino, al pari della visione biblica dell’Eden o Paradiso terrestre, la prima fase della storia dell’umanità veniva confinata nell’età dell’oro, età ove regnano pace e serenità, seguita poi, come punizione divina, a periodi di guerre e di discordie: metalli sottratti all’aratura dei campi e trasformati in armi letali.
Classicità GrecaPer primo, Esiodo, epico greco della fine dell’VIII sec. A.C., nelle “Opere ed i giorni” (8) enumera cinque età del mondo, fondate proprio sull’uso dei metalli, ed nelle quali si sarebbero avvicendate altrettante “specie umane”, o in altre parole, altrettanti stadi della civiltà. La prima detta “età dell’oro” in cui vecchiaia, preoccupazioni ed affanni della vita erano stati risparmiati agli uomini e dove il suolo fertilissimo avrebbe offerto spontaneamente erbe e frutta in abbondanza. A questa sarebbe seguita la stirpe “ dell’età dell’argento” distrutta da Zeus per la pochezza della sua intelligenza e per il disprezzo verso gli Dei; terza “l’età del bronzo”, vigorosa ed indomabile e dal cuore duro conclusasi tra lotte tremende e crudeli.Ad esse seguiranno una quarta, come fase di transizione, per poi ultima “l’età del ferro”, quella in cui visse il poeta, piena di sofferenze, di miserie, di delitti e di empietà.“Prima una stirpe aurea di uomini mortali/ fecero gli immortali che hanno le olimpie dimore...come dèi vivevano, senza affanni nel cuore,.. il suo frutto dava la fertile terra../Come seconda una stirpe peggiore assai della prima,/argentea, fecero gli abitatori delle olimpie dimore,..vivevano ancora per poco, soffrendo dolori../né gli immortali venerare volevano,/ né sacrificare ai beati sui sacri altari,../ Zeus padre una terza stirpe di gente mortale/fece, di bronzo, in nulla simile a quella d'argento,..di bronzo eran le armi e di bronzo le case,/col bronzo lavoravano perché il nero ferro non c'era…di nuovo una quarta, sopra la terra feconda,/fece Zeus Cronide, più giusta e migliore,/di eroi, stirpe divina, che sono detti semidei, …/combattendo per le greggi di Edipo,…./là il destino di morte li avvolse;/ma poi lontano dagli uomini dando loro vitto e dimora/il padre Zeus Cronide della terra li pose ai confini./…Zeus, poi, pose un'altra stirpe di uomini mortali/dei quali, quelli che ora vivono.../perché ora la stirpe è di ferro; né mai di giorno/cesseranno da fatiche e affanni, né mai di notte,/affranti; e aspre pene manderanno a loro gli dèi.”
Classicità Latina A quella medesima e felice età dell’oro ricordata da Esiodo si richiameranno più tardi anche i poeti elegiaci latini. In particolare, Ovidio ( 43 A.C.-18 D.C.) nel Libro I delle Metamorfosi sembra ripercorre, descrivendo le varie età dell’evolversi dell’umanità , gli stessi versi e le stesse evocazioni dell’epico greco: “Per prima fiorì l'età dell'oro, che senza giustizieri/o leggi, spontaneamente onorava lealtà e rettitudine./………non v'erano trombe dritte, corni curvi di bronzo,né elmi o spade: senza bisogno di eserciti,la gente viveva tranquilla in braccio all'ozio/Quando Saturno fu cacciato nelle tenebre del Tartaro/e cadde sotto Giove il mondo, subentrò l'età d'argento,/peggiore dell'aurea, ma più preziosa di quella fulva del bronzo./…….Terza a questa seguì l'età del bronzo: d'indole/più crudele e più proclive all'orrore delle armi/,ma non scellerata. L'ultima fu quella ingrata del ferro./E subito, in quest'epoca di natura peggiore, irruppe/ogni empietà; si persero lealtà, sincerità e pudore,/e al posto loro prevalsero frodi e inganni,/”. (9) Tibullo ( 55-18 A.C.) nel suo accorato carme” In terre sconosciute” mette anch’egli a confronto il suo periodo e lo spensierato periodo di un tempo antico: l’umanità viveva in un mondo idilliaco, senza pericoli, animali e piante elargivano doni in abbondanza ed il metallo non era stato ancora forgiato sotto forma di armi dedite alla morte.“Com'era felice la vita sotto il regno di Saturno,/…nessuna casa aveva porte e/…Stillavano miele le querce/e spontaneamente le agnelle/gonfie di latte offrivano le poppe/…Non c'era esercito, né rabbia, guerre/o un fabbro disumano/che con arte crudele foggiasse le spade.” ( 10 ). Anche Virgilio (70-19 A.C.), nell’Eneide (LibroVIII), ricorda come Saturno e la sua età dell’oro abbiano influenzato la nascita della civiltà nel Lazio, civiltà poi degradatasi progressivamente:”Saturno il primo fu che in queste parti/ venne, dal ciel cacciato, e vi s'ascose/ E quelle rozze genti, che disperse/ eran per questi monti, insieme accolse/ e diè lor leggi: onde il paese poi /da le latèbre sue Lazio nomossi. Dicon che sotto il suo placido impero/ con giustizia, con pace e con amore si visse un secol d'oro, in fin che poscia/ l'età, degenerando, a poco a poco/ si fe' d'altro colore e d'altra lega. ( 11) Tema dell’età dell’oro ripreso poi dallo stesso Virgilio in una sorta di profezia messianica, anche nelle Bucoliche ( IV Ecloga) :”O Muse sicule, cantiamo poesie più elevate: non a tutti piacciono gli arbusti e le basse tamerici;/se cantiamo i boschi, siano boschi degni di un console. /E' giunta l'ultima età / di nuovo nasce un grande ciclo di secoli e già torna la Vergine, tornano i regni di Saturno, già una nuova generazione viene fatta scendere dall'alto cielo./Tu, casta Lucina, sii propizia al bambino che sta per nascere / al tempo del quale inizierà a scomparire la generazione del ferro/ e in tutto il mondo sorgerà quella dell'oro; il tuo Apollo regna già./”(12).
LA METALLURGIA NEI GRANDI POEMI DELL’ANTICHITA’ La nascita della metallurgia : la lavorazione dei metalli e l’uso dei metalliIl poeta latino Tito Lucrezio Caro ( 98-54 A.C.) nel suo De Rerum Natuta (13), fedele al pensiero di Epicureo e partendo dall’analisi delle particelle minime ed indivisibili, gli atomi, ed analizzando i processi della conoscenza umana ed i meccanismi che presiedono ai fenomeni naturali, ci introduce, poeticamente nel Libro V alla nascita della metallurgia ed alla lavorazione dei metalli.:”Comunque sia, quale che fosse la causa per cui l'ardore/delle fiamme aveva divorato con orrendo fragore le selve/dalle profonde radici e aveva cotto a fondo col fuoco la terra,/colavano dalle vene bollenti confluendo nelle cavità della terra/rivoli d'argento e d'oro e anche di rame e di piombo./E quando gli uomini li vedevano poi rappresi/risplendere sul suolo di lucido colore,/li raccoglievano, avvinti dalla nitida e levigata bellezza,/e vedevano che erano foggiati in forma simile a quella/che aveva l'impronta dell'incavo di ognuno./Allora in essi entrava il pensiero che questi, liquefatti al calore,/potessero colando plasmarsi in qualsiasi forma e aspetto di oggetti,/e che martellandoli si potesse forgiarli in punte di pugnali/quanto mai si volesse acute e sottili,/sì da procurarsi armi e poter tagliare selve/ed asciare il legname e piallare e levigare travi/ed anche trapanare e trafiggere e perforare/.
Le proprietà dei metalliDi seguito e sempre nel Libro V, Lucrezio mette in evidenza come, dopo la scoperta della metallurgia, gli uomini abbiano imparato a conoscerne subito le caratteristiche e l’utilità:” E dapprima s'apprestavano a far queste cose con l'argento e l'oro/non meno che con la forza violenta del possente rame,/ma invano, poiché la tempra di quelli vinta cedeva,/né potevano sopportare ugualmente il duro sforzo./Difatti ‹il rame› era più pregiato e l'oro era trascurato/per l'inutilità, perché si smussava con la punta rintuzzata./” ma, come mette in evidenza Lucrezio i tempi cambiano :”/Ora è trascurato il rame, l'oro è asceso al più alto onore./Così il volgere del tempo tramuta le stagioni delle cose:/ciò che era in pregio, diventa alfine di nessun valore;/”…
Usura e corrosione dei metalli L’osservazione di Lucrezio sui metalli e sul loro decadimento con specifico riferimento alla concezione atomistica delle cose, si fa ancora e più profonda ( Libro I) : qualsiasi sia la natura del metallo o della lega: oro, ferro, bronzo, al pari delle pietre, tutto ciò, con l’impiego e nel tempo, si usura e si corrode senza che noi ne possiamo conoscerne il perché :“Per di più, nel corso di molti anni solari l'anello,/a forza d'essere portato, si assottiglia dalla parte che tocca il dito;/lo stillicidio, cadendo sulla pietra, la incava; il ferreo vomere/adunco dell'aratro occultamente si logora nei campi;/e le strade lastricate con pietre, le vediamo consunte/dai piedi della folla; e poi, presso le porte, le statue/di bronzo mostrano che le loro mani destre si assottigliano/al tocco di quelli che spesso salutano e passano oltre./Che queste cose dunque diminuiscano, noi lo vediamo,/perché son consunte. Ma quali particelle si stacchino in ogni/momento, l'invidiosa natura della vista ci precluse di vederlo./ “
Riciclaggio Virgilio, nel Libro VII dell’Eneide, ci offre un saggio poetico sui riciclaggi del ferro e dell’acciaio: il nemico incombe e bisogna difendersi : attrezzi agricoli e mezzi per dissodare il terreno vengono rifusi e trasformati sotto forma di armi e di corazze: “ Cinque grosse città con mille incudi/ a fabbricare, a risarcir si dànno/ d'ogni sorte armi: la possente Atina,/ Ardea l'antica, Tivoli il superbo,/ e Crustumerio, e la torrita Antenna./ Qui si vede cavar elmi e celate;/ là torcere e covrir targhe e pavesi:/per tutto riforbire, aüzzar ferri,/ annestar maglie, rinterzar corazze,/ e per fregiar piú nobili armature,/ tirar lame d'acciar, fila d'argento./ Ogni bosco fa lance, ogni fucina/ disfà vomeri e marre, e spiedi e spade/ si forman dai bidenti e da le falci.”/
Sfolgoranti descrizioni Omero (IX sec. A.C.), nell’Iliade come nell’Odissea e parimenti Virgilio, nell’Eneide, quasi gareggiando tra di loro, ci offrono a profusione, “forgiando” indimenticabili versi, una sfolgorante descrizione di metalli in varie forme e dalle fogge e decorazioni le più diverse:armi, scudi, cocchi divini, vasellame, suppellettili, abitazioni, strumenti musicali; per brevità ci si dovrà limitare solo ad alcuni rimandi: al lettore diligente la voglia ed il compito di dar seguito a personali approfondimenti.
Gli scudi di Achille e di Enea Di seguito sono riportati i versi che descrivono il lavoro di Efesto-Vulcano nell’atto di forgiare, su richiesta di Teti, la madre di Achille, il nuovo scudo del Pelide dopo che quello indossato in sua vece da Patroclo era stato preda di Ettore a seguito dell’uccisione del fraterno amico.”Eran venti che dentro la fornace/per venti bocche ne venìan soffiando,/e al fiato, che mettean dal cavo seno,/or gagliardo or leggier, come il bisogno/chiedea dell'opra e di Vulcano il senno,/sibilando prendea spirto la fiamma./In un commisti allor gittò nel fuoco/argento ed auro prezïoso e stagno/ed indomito rame. Indi sul toppo/locò la dura risonante incude,/di pesante martello armò la dritta,/di tanaglie la manca; e primamente/un saldo ei fece smisurato scudo/di dèdalo rilievo, e d'auro intorno/tre ben fulgidi cerchi vi condusse,/poi d'argento al di fuor mise la soga./Cinque dell'ampio scudo eran le zone,/ (14 ) Non da meno è l’abilità poetica di Virgilio, nell’VIII libro dell’Eneide, nel descrivere il lavoro dei Ciclopi, intenti nelle nere fucine etnee del dio Vulcano, a forgiare , su richiesta di Pallade-Atena, le armi di Enea: “Tosto che giunse: «Via, - disse a' Ciclopi -/ sgombratevi davanti ogni lavoro,/ e qui meco guarnir d'arme attendete/ un gran campione. E s'unqua fu mestiero/ d'arte, di sperïenza e di prestezza,/ è questa volta. Or v'accingete a l'opra/ senz'altro indugio». E fu ciò detto a pena,/ che, divise le veci e i magisteri,/ a fondere, a bollire, a martellare/ chi qua chi là si diede. Il bronzo e l'oro /corrono a rivi; s'ammassiccia il ferro,/ si raffina l'acciaio; e tempre e leghe/ in piú guise si fan d'ogni metallo./ Di sette falde in sette doppi unite,/ ricotte al foco e ribattute e salde,/ si forma un saldo e smisurato scudo,/ da poter solo incontro a l'armi tutte/ star de' Latini. Il fremito del vento /che spira da' gran mantici, e le strida/ che ne' laghi attuffati, e ne l'incudi/ battuti, fanno i ferri, in un sol tuono/ ne l'antro uniti, di tenore in guisa /corrispondono a' colpi de' Ciclopi,/ ch'al moto de le braccia or alte or basse/ con le tenaglie e co' martelli a tempo fan concerto, armonia, numero e metro/”
Una profusione di oggetti metallici Poi in un crescendo di citazioni, sia in Omero che in Virgilio, appaiono magnifiche descrizioni di: cocchi divini, vasellame, suppellettili, abitazioni, strumenti musicali:
IliadeNel bel mezzo della battaglia tra Achei e Troiani, ecco intervenire in aiuto dei due schieramenti, alcune divinità armate di tutto punto ( Iliade-Libro V):“Immantinente al cocchio Ebe le curve/ruote innesta. Un ventaglio apre ciascuna/d'otto raggi di bronzo, e si rivolve/sovra l'asse di ferro. Il giro è tutto/d'incorruttibil oro, ma di bronzo/le salde lame de' lor cerchi estremi./Maraviglia a veder! Son puro argento/i rotondi lor mozzi, e vergolate/d'argento e d'ôr del cocchio anco le cinghie/con ambedue dell'orbe i semicerchi,/a cui sospese consegnar le guide./Si dispicca da questo e scorre avanti/pur d'argento il timone, in cima a cui/Ebe attacca il bel giogo e le leggiadre/pettiere; e queste parimenti e quello/d'auro sono contesti. Desïosa/Giuno di zuffe e del rumor di guerra,/gli alipedi veloci al giogo adduce./Né Minerva s'indugia. Ella diffuso/il suo peplo immortal sul pavimento/delle sale paterne, effigïato/peplo, stupendo di sua man lavoro,/e vestita di Giove la corazza/di tutto punto al lagrimoso ballo/armasi. Intorno agli omeri divini/pon la ricca di fiocchi Egida orrenda,/che il Terror d'ogn'intorno incoronava/”
OdisseaOro, argento, rame: questa l’offerta, segno dell’opulenza delle case di Ilio, di un prigioniero troiano onde aver salva la vita come descritto nel libro VII: “L'aggiungono anelanti i due guerrieri,/l'afferrano alle mani, ed ei piangendo/grida: Salvate questa vita, ed io/riscatterolla. Ho gran ricchezza in casa/d'oro, di rame e lavorato ferro./Di questi il padre mio, se nelle navi/vivo mi sappia degli Achei, faravvi/per la mia libertà dono infinito.” Sempre nello stesso libro:“Palagio chiara, qual di sole o luna,/Mandava luce. Dalla prima soglia Sino al fondo correan due di massiccio/Rame pareti risplendenti, e un fregioDi ceruleo metal girava intorno./Porte d'ôr tutte la inconcussa casaChiudean: s'ergean dal limitar di bronzo/Saldi stìpiti argentei, ed un argenteo Sosteneano architrave, e anello d'oro/Le porte ornava; d'ambo i lati a cui,Stavan d'argento e d'ôr vigili cani:/Fattura di Vulcan, che in lor ripose” … “Canto arricchillo. Il banditor nel mezzo/Sedia d'argento borchiettata a lui/Pose, e l'affisse ad una gran colonna:/Poi la cetra vocale a un aureo chiodo/Gli appese sovra il capo, ed insegnagli/,Come a staccar con mano indi l'avesse.” Ecco, nel libro X dello stesso poema, la munificenza di oro, argento, bronzo, che arreda le maritali stanze della maga Circe dove Ulisse riprende le vigorose forze:“Bei tappeti di porpora, cui sotto/Bei tappeti mettea di bianco lino:/L'altra mense d'argento innanzi ai seggi/Spiegava, e d'oro v'imponea canestri:/Mescea la terza nell'argentee brocche/Soavissimi vini, e d'auree tazze/Coprìa le mense: ma la quarta il fresco/Fonte recava, e raccendea gran fuoco/Sotto il vasto treppié, che l'onda cape./Già fervea questa nel cavato bronzo,/E me la ninfa guidò al bagno, e l'onda/Pel capo mollemente e per le spalle/Spargermi non cessò, ch'io mi sentii/Di vigor nuovo rifiorir le membra./Lavato ed unto di licor d'oliva,/E di tunica e clamide coverto,/Sovra un distinto d'argentini chiovi/Seggio a grand'arte fatto, e vago assai,/Mi pose: lo sgabello i piè reggea/.E un'altra ninfa da bel vaso d'oro/Purissim'acqua nel bacil d'argento/ “ EneideE non da meno, come descrizioni di opulenza e di splendori metallici, risultano questi vrsi tratti dal libro II dell’Eneide:Poscia che ciò come profeta disse,/ comandò come amico ch'a le navi/ gli portassero i doni, opre e lavori/ ch'avea d'oro e d'avorio apparecchiati/, e gran masse d'argento e gran vaselli /di dodonèo metallo: una lorica/ di forbite azzimine; e rinterrate/ maglie, dentro d'acciaro e 'ntorno d'oro/, una targa, un cimiero, una celata,/ ond'era a pompa ed a difesa armato/ Nëottòlemo altero”.
CONCLUSIONI La letteratura della classicità greco-latina, come messo in evidenza, offre un immenso tesoro di riferimenti alla metallurgia ed alla lavorazione dei metalli: metalli come simbolismo tra dei, miti e leggende, suggestivi versi sull’origine della metallurgia, sull’impiego e l’uso dei metalli, le loro proprietà, l’usura, la corrosione, il riciclaggio, nonché sfolgoranti descrizioni e una profusione di oggetti metallici.Ai poemi cavallereschi della letteratura italiana, se ci sarà, il prossimo appuntamento a cominciare dal Tasso e dall’Ariosto.
BIBLIOGRAFIA
1)
1) G. Casarini :” Riferimenti ad arti e mestieri alchemici
metallurgici nella Divina Commedia: Fabbri e Ferraioli”-28° Convegno
Nazionale A.I.M.-Milano Novembre 2000-Atti-Vol.2-pagg 635-541
11/6/2012 Andrea Camilleri Una lama di luce Sellerio editore Palermo Il 19° libro su Montalbano ricalca tutti gli altri romanzi imperniati sulle inchieste del commissario letterario più amato dagli Italiani. L’incipit che preannuncia una mattinata volubile e crapicciosa epperciò per contagio, macari il comportamento di Salvo sarebbe stato instabili. L’artificio onirico come presago di fatti imminenti che confondono il lettore e il protagonista stesso tra realtà e sogno. L’intrecciarsi di due storie parallele che poi si biforcano in due tronconi e alla fine si riuniscono come naturale epilogo della vicenda. In realtà la combinazione ha tre diramazioni: un commercio illegale di quadri, esportazione di opere d’arte rubate, un traffico d’armi di tre tunisini che rifugiati politici preparano un piano d’attacco nella loro patria dove è in corso la lotta di liberazione e una rapina con bacio rubato quanto mai singolare e misteriosa con conseguente morto ammazzato, direbbe Catarella. Venire a capo dell’intricata vicenda diventa un punto d’onore per Montalbano, colpi di genio, intuizioni, piste più o meno ortodosse contrassegnano la tattica investigativa. La conclusione delle indagini rimette tutto secondo un ordine prestabilito, ma un’amara e sofferente sorpresa si presenta a Salvo: la lama di luci che l’aviva pigliato nell’occhi…e prifiriva che l’urtimo contatto ristassi quella lama di luci che per una frazioni di secunno l’aviva ligati ‘nzemmula. E questo uno dei tanti momenti del romanzo in cui l’animo di Montalbano è sviscerato da Camilleri e le pieghe del dolore e del rimpianto scavano rivoli di lacrime segrete. Secondo un copione ben costruito il nostro autore sa miscelare toni umoristici, (grande Catarella quando storpia nomi, parole e suscita l’ilarità di chi legge) e toni anche melodrammatici, quando quel senso greve della solitudine assuglia il commissario, spesso, questo stato d’animo inquieto e pernicioso aleggia intorno alla sua persona e investe anche quelli che gli stanno attorno. Montalbano non è solo indagini poliziesche, anzi quelle si muovono con calma, senza ritmi di action movie, è anche e soprattutto riflessioni esistenziali, come quelle che rivolge al granchio di mare che lo aspetta al molo nei suoi quotidiani soliloqui, come quel male di vivere che crea tensione ed adesione al personaggio montalbaniano, c’è un senso riflesso del male del mondo che non si traduce in nichilismo, ma muove verso un umanismo pietoso o verso una giustizia umanitaria, mai vendicativa. Le figure femminili illuminano la scena come altrettante lame di luce: la sofisticata e pur carnale gallerista Marian, che offusca i sensi di Salvo, salvo poi alla fine respingerne gli assalti erotici: Livia è sempre al bivio che da sola voce telefonica, epperò impera nella mente di Montalbano e forse sradicarsi da lei è vana follia. (Noi sadicamente ci avevamo sperato, ma Camilleri questo sazio non ce lo concede). In questo frangente Livia è in preda ad un’angoscia opprimente, oscura, un peso insopportabile la cui causa lo avvincerà e lo terrà legato a lei. Loredana bellezza fresca e turbativa, Valeria gran fimmina, dotata di sangue freddo eccezionale, femme fatal che, come un pesce nella rete, cade nella trappola tesale dal commissario. Il linguaggio simbolico e cifrato con cui la mafia comunica e con cui Montalbano ricambia sono tutti segni del barcamenarsi entro strettoie convenzionali e codificate che rispecchiano equilibri malcelati e di cui spesso ci si serve, vedi Pasquale, il pregiudicato figlio di Adelina, per scopi necessari. Il fine giustifica i mezzi, qualche volta con una certa disinvoltura Montalbano bypassa le rette direzionali della giustizia perché le vie della verità non sono mai unilaterali. Il Montalbano di Una lama di luce è goffo, impacciato in campo sentimentale, stenta a discernere l’attrazione dal sentimento amoroso, con le donne, tutto il contrario di Mimì, non ha tattiche né strategie, a volte, è disarmante e disarmato e si lascia cogliere alla sprovvista; nei sentimenti è fragile e quasi spaventato. Quanto invece il suo civireddro funziona nel mettere in campo fini stratagemmi e nel concatenare i fatti che si presentano! In questo libro, c’è tutto il Montalbano che ci piace con le sue ubbie, le sue contraddizioni, gli inafferrabili umori così neri e protervi. Un misantropo dal cuore d’oro, un personaggio di carta, certo, ma così ormai familiare da sentirlo vivere tra le pagine. Incommensurabile Camilleri, con quale padronanza linguistica e misurata ironia il suo estro narrativo ci convince e ci avvince.
Autore.
Andrea Camilleri (1925), è autore di oltre 60 romanzi tra
storici, civili e polizieschi, e di diverse raccolte di racconti,
tradotti in più di 30 lingue. Vincitore di numerosi premi in Italia
e all’estero, è noto al grande pubblico
anche per i romanzi dedicate alle inchieste del commissario
Montalbano, da cui è stata tratta la fortunata serie televisiva. Tra
i tanti titoli ricordiamo: “La
forma dell’acqua”, “Il cane di terracotta”, “Il ladro di merendine”,
“La voce del violino”, “La stagione della caccia”, “Il birraio di
Preston”, “La concessione del telefono”,
“La gita a Tindari”, “Maruzza
Musumeci”, “Il casellante”, “Il campo
del vasaio”, “L’età del dubbio”, “Un sabato, con gli amici” “Il
sonaglio” “ La caccia al tesoro”… “Il sorriso di
Angelica” “Il gioco degli specchi” Tra le
ultime storie civili e storiche, pubblicate da
Sellerio, ricordiamo: “Il
nipote del Negus”, “Gran Circo Taddei”,
“La setta degli angeli”.
4/6/2012
Il Pellegrino Spagnolo
Edizioni Solfanelli
Narrativa
romanzo Un sogno di eternità “E’ labile, il confine tra i sogni e i ricordi. L’immaginazione è come una grossa pianta di edera che si arrampica lungo i muri di una casa e giorno dopo giorno, in tenace, silenzioso lavorio, si propaga sino a trasformare l’edificio in qualcosa di completamente diverso. Quella casa è la nostra memoria, destinata a una modificazione perenne, così lenta da risultare impercettibile e così inarrestabile da risultare fatale. Ogni volta che rievochiamo il passato, involontariamente concimiamo l’edera vorace: anziché portare alla superficie i ricordi, rinvigoriamo il parassita che sbocconcella, insieme agli intonaci, la verità.”
Montefalco è anche oggi un piccolo paese, famoso soprattutto per la
sua splendida vista sulla pianura del Topino e del Clitunno, al
punto che si è meritato l’appellativo di ringhiera dell’Umbria.
Fiorella Borin
è nata a Venezia nel 1955. Laureata in psicologia, dopo un breve
periodo dedicato all’insegnamento negli istituti superiori, ha
iniziato a collaborare con riviste letterarie e periodici a
diffusione nazionale, pubblicando più di trecento novelle e una
dozzina di brevi romanzi storici ambientati nel XVI secolo. Con le
Edizioni Tabula Fati ha
pubblicato "Il bosco
dell’unicorno" (2004), "Il pittore merdazzèr"
(2007), "La strega e il robivecchi"
(2010), "La firma del diavolo" (2010) e "Christe
eleison" (2011).
25/5/2012
Colazione con i Modena City Ramblers Historica Edizioni Narrativa raccolta
di racconti Sensibilità e delicatezza “La
canzone cessò, lasciando echi di una dolcezza struggente. I
racconti non hanno un grande successo di vendite nel nostro paese ed
è un vero peccato, perché per loro natura (sono notoriamente più
brevi di un romanzo) si possono leggere velocemente, anche nella
pausa lavoro, e hanno il notevole pregio di portare una storia
compiuta, cioè che nasce, si sviluppa e finisce, il tutto in poche
pagine. Come per la narrativa più lunga se ne trovano di buoni e
meno buoni, e fra i primi metterei quelli di questa nuova raccolta
di Milvia Comastri. Bolognese,
Milvia
Comastri
è autrice di “Donne, ricette, ritorni e abbandoni” (Pendragon),
una raccolta di racconti che hanno vinto diversi concorsi letterari.
Questo è il suo secondo libro.
21/5/2012
Nuvole rosse sotto il mare
Edizioni Solfanelli
Narrativa romanzo Destini incrociati
“…David trovò riparo a ridosso dei carri.
Ansimando, alzò lo sguardo sulle nubi che si muovevano minacciose
verso la costa. La luce scarlatta del sole le illuminava,
avvolgendole in una strana quiete.
Ortona, piccola città in provincia di
Chieti, è anche conosciuta come La Stalingrado d’Italia,
perché, nel corso del secondo conflitto mondiale, essendo sita
all’inizio della linea difensiva Gustav, fu ripetutamente
bombardata, rasa quasi al suolo e divenne il teatro di una battaglia
fra le truppe naziste e quelle alleate.
Antonio Tenisci,
classe 1968, vive a Ortona, in Abruzzo, dopo anni di lavoro tra Roma
e Napoli.
20/5/2012
Marco
Malvaldi Sellerio editore Palermo La memoria Questo delizioso ed intrigante romanzo di Malvaldi si tinge di noir nel senso classico del termine, c’è un delitto con tanto di cadavere, indagini, indizi e colpevole. La pista investigativa si avvale di un rappresentante della legge che segue i canoni consueti del caso: interrogatori, intuizioni folgoranti e concatenazioni di deduzioni progressive fino all’esito finale. L’epicentro della storia si svolge nella Maremma toscana e precisamente nel castello del barone di Roccapendente, un borioso nobile arroccato nei suoi privilegi di casta che sembra non avvertire l’aria di cambiamento che investe l’Italia post unitaria, siamo nel 1895. Non a caso, spiega l’autore, i fatti narrati si collocano nel 1895, in quell’anno Guglielmo Marconi riesce ad inviare il primo segnale radio, i fratelli Lumière proiettano il primo cortometraggio della storia del cinema, Maria Montessori è la prima donna ad essere ammessa nella società Lancisiana ( riunisce i medici e i professori di medicina della capitale) e Pellegrini Artusi dà alla stampe (2° edizione) il suo libro di ricette La scienza e l’arte di mangiar bene. Una data che segna grandi innovazioni non solo scientifici e culturali, ma avvia il nostro paese, sia pure, in modo molto lento verso quel processo civile e sociale sognato dalle correnti progressiste. Geniale la metafora di Artusi sulle difficoltà del governo italiano dell’epoca di lavorare per l’unità del Paese, non bastano leggi comuni in tempi brevi ad unire due tronconi estranei l’uno all’altro da tempo immemorabile, gli alberi non crescono tirandoli dall’alto: ci vuole tempo, concime e criterio. Fa l’esempio della maionese, cimentandosi nel suo campo quello di esperto dell’arte culinaria, non si possono mettere insieme subito tutti gli ingredienti, ma bisogna procedere con calma e metodo fino ad amalgamare due liquidi diversi come acqua e olio in origine refrattari a mescolarsi. L’arrivo dei due ospiti al castello, il fotografo Ciceri e Pellegrino Artusi, la cui fama di gastronomo lo procede, mette in moto e dà l’avvio alle danze dell’allegra combriccola, si fa per dire. La famiglia aristocratica è composta oltre che dal barone Romualdo in testa, dall’anziana madre Speranza con la di lei badante la tapina Barbarici, dai due figli maschi, Gaddo, un nullafacente e millantatore poeta che insegue il sogno di incontrare il vate Giosuè Carducci e Lapo sciupa femmine da strapazzo e dal cervello vacuo. La figlia Cecilia, è una giovane fanciulla la cui intelligenza mal si adatta alla grettezza intellettuale dei suoi parenti e infine, e non potevano mancare, le due zie zitelle petulanti ed inutili. Tra i famigli spiccano l’esperta cuoca la Parisina, esempio di saggezza popolare, il giovane ed aitante maggiordomo Teodoro e la bella cameriera Agatina. Questa brigata di personaggi bislacchi e per certi versi peculiari viene scossa dalla morte misteriosa del povero e sfortunato maggiordomo Teodoro e da questo fatto e momento come un gioco degli scacchi si muovono le pedine con scarti sbagliati e mosse azzeccate. Si mettono in rilevo, caratteri, tipicizzazioni tra il grottesco, il triviale e l’ironico. Su tutti emerge la personalità di Pellegrino Artusi che con i suoi baffoni come un gatto sornione subodora odori ed umori, come un cane da caccia individua la preda, da un osservatorio speciale dato dai suoi studi e dal suo intuito intuisce i comportamenti e gli atteggiamenti che si celano oltre le parole. Sembra uno studioso entomologo oltre che un perito dell’arte gastronomica, un precursore del mangiare bene al pari di una guida gastronomica antelitteram. Certamente una figura indimenticabile Artusi che annota, su un diario, con dovizia di particolari, gli accadimenti che si susseguono e che malgrado lui lo coinvolgono e le impressioni che ne ricava. Un libro ricco di sottigliezze e raffinatezze letterarie ed intellettuali, i riferimenti all’attualità sono sottesi, ma percettibili nella loro arguzia, insomma un libro godibile dalla prima all’ultima pagina, mai banale o superficiale, trasmette certi significati del pensiero di tutti i tempi, ma la cifra sta nel tono e nello stile lievi e leggiadri.
Autore. Marco Malvaldi
(Pisa,1974) ha pubblicato con
questa casa editrice i tre romanzi della serie dei vecchietti del
Barlume: La briscola in cinque
(2007), Il gioco delle tre carte
(2008), e Il re dei
giochi
( 2010).
14/5/2012
La notte della cometa
In copertina Gianni Segantini, graffito su cartone,
Giulio Einaudi editore La Poesia
Dino Campana nacque a Marradi il 20 agosto 1885 e morì a Scandicci
il 1° marzo 1932.
Sebastiano Vassalli
è nato a Genova e vive in provincia di Novara. Presso Einaudi, dopo
le prime prove sperimentali, ha pubblicato La notte della cometa,
Sangue e suolo, L'alcova elettrica, L'oro del mondo,
La chimera, Marco e Mattio, Il Cigno, 3012,
Cuore di pietra, Un infinito numero, Archeologia del
presente, Dux, Stella avvelenata, Amore lontano,
La morte di Marx e altri racconti, L'Italiano, Dio
il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni e
Le due chiese.
8/5/2012 Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters
Contributi di Cesare Pavese e Guido Davico
Bonino
Giulio Einaudi editore Attraverso i defunti la comprensione della vita.
«Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e
Charley,
Masters, di professione avvocato, nel
tempo libero era assillato dal desiderio di scrivere qualche cosa
del suo villaggio, una storia che racchiudesse in sé personaggi che
riflettessero le principali caratteristiche umane, vale a dire i
(molti) difetti e i (pochi) pregi.
Edgar Lee Masters
(Garnett, Kansas, 1869 - Melrose Park, Pennsylvania, 1950), visse a
Chicago svolgendo l'attività di avvocato, ma desiderando dedicarsi
alla poesia. Nel 1915 pubblicò L'antologia di Spoon River che
ebbe subito un successo clamoroso. Nel 1924 tentò di dare un seguito
alla raccolta con La Nuova Spoon River, che non fu
altrettanto apprezzata. Il seguente L'uomo Lincoln(1931),
molto discusso, le biografie di Lindsay, di Whitman, di Mark Twain
non equipararono più la fama ottenuta con il primo libro. 22/4/2012
Ricordi d’egotismo
Prefazione di Raffaele La Capria La confessione
Corre l’anno 1832 allorché Stendhal si trova a
Civitavecchia nella sua qualità di console. In quella che allora non
era neppure una città, ma un paese scarsamente abitato (la maggior
parte della popolazione era costituita da galeotti e guardie
carcerarie), una landa quasi desolata, lontana mille miglia dai
salotti parigini e milanesi, la vita era del tutto noiosa e priva di
attrattive, tanto che il ripetersi monotono delle giornate induceva
a richiudersi in se stessi, pensando al miglior tempo andato.
Stendhal, pseudonimo di
Marie-Henry Beyle nacque a Grenoble il 23 gennaio 1783 e morì a
Parigi il 23 marzo 1842.
21/4/2012
Robinson Crusoe
Feltrinelli Editore Ritorno a un mondo primitivo
A questo scrittore inglese,
intraprendente, profetico e irrequieto va ascritto il merito di aver
ideato il romanzo moderno, ovvero una prosa in cui al centro di una
vicenda vi è un determinato protagonista o al più un gruppo di
protagonisti, secondo un canone di stretta coerenza e di apparente
realtà. Detto così, da noi che ormai siamo abituati a queste
caratteristiche, sembrerebbe poca cosa, ma per l’epoca (a cavallo
fra il XVII e il XVIII secolo) era, a dir poco, un’idea
rivoluzionaria.
Daniel Defoe
(Londra, 3 aprile 1660 – Moorfields, 21 aprile 1731).
12/4/2012 Massimo Gramellini Fai bei sogni Longanesi 2012
Un giornalista può essere anche uno scrittore, come lo è
Gramellini o come lo dimostra in questo
romanzo Fai bei sogni.
Nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto scrivere un saggio
su come uscire dall’abulia e dalla rassegnazione con cui le persone
sembrano affrontare questo momento storico e per corroborare la tesi
aveva pensato di far precedere il saggio da una pagina
autobiografica in cui avrebbe raccontato la rimozione della morte
della madre (morta quando lui aveva 9 anni). Ma la pagina prende la
forma di una narrazione vera e
propria intessuta di fatti realmente
accaduti. Dopo la
presentazione di questo libro da parte di
Gramellini nella trasmissione di Fabio Fazio, come una
grancassa di risonanza le vendite sono salite vertiginosamente,
decretando un successo clamoroso.
Autore. Massimo
Gramellini nasce a Torino nel 1960, è giornalista
e scrittore. Scrive sul quotidiano
La Stampa di cui è uno
dei vicedirettori. È ospite fisso della trasmissione di
Raitre
Che tempo fa. Con
Longanesi ha pubblicato i saggi
Ci salveranno gli ingenui
( 2007), Cuori allo specchio
( 2008) e il romanzo L’ultima
righe delle favole ( 2010).
12/4/2012
Un infinito numero Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo Lo scopo della scrittura “La scrittura: è lei la protagonista della storia che sto raccontando. Il popolo dei Rasna, che io ho conosciuto prima che i suoi sacerdoti piantassero l’ultimo chiodo nel muro di Northia, credeva che gli uomini dovessero esistere nel tempo come gli insetti esistono nella notte, inebriandosi della loro vita finché gli è possibile, e poi tornando a scomparire nel buio. Aveva scoperto, in alternativa alla scrittura, un modo di rivivere il passato, e forse anche di anticipare il futuro, muovendosi lungo la catena di eventi che costituiscono la storia del mondo, come sui gradini di una scalinata infinita, in un senso e nell’altro; ma quel modo non aggiunge e non toglie niente ai singoli uomini, e non modifica le loro storie. La scrittura, invece, può durare (e di solito effettivamente dura) ben più di chi se ne serve; e ci può dare quell’illusione di immortalità che più di ogni altra illusione passata o presente ha abbagliato gli uomini della mia epoca. Virgilio, Orazio, Properzio, Agrippa, Mecenate e lo stesso Augusto, si sono riscaldati alla luce di quell’illusione, e hanno creduto di poter vivere oltre la morte fino a diventare immortali, rispecchiandosi nella loro scrittura o in quella degli altri…”
Ogni volta che leggo un romanzo di Sebastiano Vassalli mi stupisco
perché riesce a non essere ripetitivo, pur rientrando sempre
nell’ambito storico, che invece delinea una ripetitività di fatti e
di comportamenti che induce a pensare che l’uomo sia rimasto
sostanzialmente immutato nel tempo, con le sue passioni, le sue
pulsioni, con una natura congenita che si ritrova sia in epoca
romana che in quella attuale. Le tematiche sono le più svariate, ma
imperniate su un attento lavoro di ricerca che di fatto riporta alla
luce un’epoca attraverso una creatività che nulla toglie e nulla
aggiunge a quella che era, oppure è, la realtà.
Sebastiano Vassalli
è nato a Genova e vive in provincia di Novara. Presso Einaudi, dopo
le prime prove sperimentali, ha pubblicato La notte della cometa,
Sangue e suolo, L'alcova elettrica, L'oro del mondo,
La chimera, Marco e Mattio, Il Cigno, 3012,
Cuore di pietra, Un infinito numero, Archeologia del
presente, Dux, Stella avvelenata, Amore lontano,
La morte di Marx e altri racconti, L'Italiano, Dio
il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni e
Le due chiese.
10/4/2012 Andrea Camilleri La Regina di Pomerania e altre storie di Vigàta Sellerio editore Palermo 2012 Otto nuove storie vigàtesi ambientate tra il 1893 e il 1950: otto sceneggiate in salsa camilleriana.
Siamo al secondo capitolo della
saga di storie vigatesi, è come se
si continuasse a seguire le vicende quotidiane di questa gente
senza soluzione di continuità. E che scrivere di Le scarpe nuove, a dire il vero, è l’unico racconto in cui l’unica beffa la fa il destino e non c’è da sghignazzare sui questi poveri cristi, che consumano la vita come le scarpe che portano per tutta una vita. Una serie di concause sovvertono il corso delle cose e quel paio di scarpe nuove, tenute gelosamente e con grande cura, saranno, solo, pronte al momento giusto. Questo racconto si adombra di un velo di tristezza e nei paesaggi attorno e negli animi dei protagonisti e in tutta la vicenda che si concatena. I duellanti Due, si fa per dire, duellanti si sfidano a suon di gelati, non a chi le spara più grosse, ma a chi ha più alzate d’ingegno per vincere la gara, la loro è una concorrenza di commercio, colpo su colpo, una guerra tra poveri che ha il suo epilogo con la dipartita di uno dei due. Romeo e Giulietta una storia d’amore finita prima ancora di consumarsi, dell’altra storia omonima e più famosa ha solo in comune la brevità. Ma folgorante nelle soluzioni che vi si aggirano attorno alla serata danzante in maschera in cui la musica fa da colonna sonora.
A libro concluso il clangore
delle sciarratine,
dei colpi di scena e della baraonda umana percuote il sistema
uditivo del lettore, come quando si esce dal teatro e le risate
e il piacere della serata ci fanno allegri e soddisfatti,
insomma ci si è divertiti: e questo non è poco.
7/4/2012 Elia Belculfinè – PRIMI SINTOMI DI UNA GRAVIDANZA – Aletti Editore 2012 PREFAZIONE
Chi è “Poeta”? Non è
semplice rispondere a una simile domanda, specialmente oggi che
molti scrivono o tentano di scrivere poesie con lo scopo principale
di esprimere le proprie emozioni, ma che poi, auto-compiacendosene,
pubblicano nella speranza di avere qualche visibilità.
Con la pubblicazione
di questa sua prima silloge, tra l’altro, viene a confermare un
importante “pensiero” leopardiano dello Zibaldone, in cui press’a
poco così (sinteticamente) si legge: “La poesia, diversamente da
altre arti, non può rinnovarsi nell’armonia e nella melodia dei
versi, se non contravvenendo alle regole canoniche,
tradizionalmente condivise attraverso una lunga e comune
assuefazione.”
La poesia del giovane
Elia non trova posto in alcuna delle categorie concettuali che si
pongono come possibili “classificazioni” in una qualche corrente
poetica, né tradizionale né contemporanea, perché la sua modernità è
unica, ha quel tanto di prettamente originale e personale che non
permette di incanalarla sotto alcuna etichetta già esistente.
In Elia Belculfinè,
la poesia è il luogo dell’anima. Impossibile dunque cercare confini,
delimitarla, perché quanto più si tende a fissarla nei suoi
significanti e significati, una volta per tutte, tanto più si
espande, si dilata, i significati si sovrappongono su più livelli,
ne esplodono di nuovi ad ogni nuova lettura e il piacere che si
prova ad entrare nello stesso luogo da “accessi” diversi è simile a
quello che si prova alla vista di una fantasmagoria di colori in un
caleidoscopio in movimento. Provando a seguire l’evoluzione del pensiero del poeta attraverso le poesie di questa raccolta, si può giungere perfino ad uno stato di incantamento, (dovuto verosimilmente a combinazioni alchemiche che sprigionano strani effluvi dai versi poetici), stato dal quale si può solo “osservare” cosa accade di là, in quegli stessi versi, proponendosi di visitare questo “locus exotopico” in cui alcune poesie sono poste, con il rispetto dovuto a chi offra un punto di vista sul mondo e sulle cose, e perfino sui sentimenti e sulle emozioni, diverso dal proprio, ma che tuttavia conserva e rivendica un suo forte diritto di legittimità. È un po’ un esercizio di “ascolto attivo” delle parole del poeta, come suggerisce Marianella Sclavi nel libro “L’arte di ascoltare e mondi possibili” (ed. Mondadori, 2000); è, cioè, una attenta e consapevole apertura verso altri orizzonti, che faciliti la comprensione di matrici percettivo-valutative diverse dalle nostre, ed una vera e propria esplorazione di altri mondi possibili; è, insomma, un uscire dalla propria abituale cornice interpretativa ed essere disponibili ad un’apertura mentale che permetta di fare posto ad un mondo poetico nuovo.
Si potrebbe perfino
accostare l’arte del poeta Belculfinè, per quel che riguarda il
senso, all’arte di Luis
Buñuel,
in particolare a quel che traspare dal film Il fantasma della
libertà, dove la realtà viene rivisitata al preciso scopo di
darle una diversa dimensione dall’abituale, scontata e fin troppo
familiare, in modo da esercitare il pensiero in accostamenti
tipicamente onirici, ma che sotto il velo apparente dello stacco tra
una scena e l’altra, rimanda ad una simbologia psicoanalitica che
permette all’anima di ritrovarsi integra, dopo aver oltrepassato i
confini della logica ed essersi inabissata in esperienze percettive
profonde e inaccessibili, sublimate poi nell’arte cinematografica. E
in Elia, ovviamente, nell’arte poetica.
Entrando ora più
nello specifico, per poter presentare in modo abbastanza esauriente
una silloge poetica come questa, importante e molto originale,
ritengo opportuno anche evidenziare alcune espressioni poetiche che
fanno dell’assoluta liricità un vessillo per la poesia che le
contiene.
E ancora un’altra
bellissima poesia d’amore, Cara:
In altro tema importante, il tempo, la dimensione poetica raggiunta
da Elia Belculfinè è veramente notevole. Così, possiamo leggere
nella poesia L’orologio di Laura:
Non è un dono,
infine, è una poesia che ritengo una sorta di “manifesto poetico”,
in cui il poeta spiega quanto sia difficile raggiungere alti livelli
in questa espressione artistica, e invita ad un esercizio fine,
delicato, di cesellatura delle parole per raggiungere quell’effetto
estetico, estatico ed estesico che rigenera non solo lo stesso poeta
ma anche chi di quest’arte è solo fruitore, lettore. E infatti nella poesia che conclude la silloge, Il Poeta, Elia svela finalmente “chi è il Poeta” e come egli lo vede, aiutandoci così a rispondere alla domanda iniziale: il poeta, (secondo la sua definizione poetica) “è una statua di brace nel vento”, è continuo fuoco e passione, continuo fervore e furore, trasportato nell’aria da una forza pervasiva che è al contempo qualcosa di invisibile che guida il poeta nel suo peregrinare, lo assorbe, lo trascina, lo vive. In questa originalissima visione del poeta, credo stia molto a suo agio lo stesso Elia Belculfinè, le cui poesie sono così ariose, didascaliche, appassionate, dotate di forza onirica e immaginativa inesplicabile eppure chiarissima, che sembrano discendere proprio da questo fervore della statua di brace, il cui fuoco ha la stessa inesauribilità del nostro astro, il sole.
Ed anche il titolo
della silloge, Primi sintomi di una gravidanza, è emblematico
per capire l’azione più misteriosa che occupa la vita del poeta:
egli comincia a sentire la fecondità della Musa, ne accoglie il
dono, lo vive intensamente e lo trasforma nelle parole magiche delle
poesie, ma sta sempre un passo indietro, umilmente parla di
“sintomi” di questa fecondità e della conseguente gravidanza poetica
che sembra non arrivare mai alla fine, perché è costante
generatività.
5/4/2012
L’avventura di un povero cristiano
Introduzione di Claudio Marabini La coscienza contro il potere
Scritto nel biennio 1966-1967 e pubblicato per la prima volta nel
1968 dalla Mondadori, L’avventura di un povero cristiano
è d’incerta e non facile collocazione come genere letterario, in
quanto risulta composto da due parti ben distinte: la prima è
un’introduzione alla vicenda di Papa Celestino V, ma è anche una
specie di analisi interiore con la quale l’autore evidenzia ancora
una volta la sua natura di “cristiano post-risorgimentale e
post-marxista”, non inquadrabile in un’istituzione religiosa ben
definita e in ogni caso non in quella cattolica; la seconda parte è
il testo vero e proprio del dramma, inteso come rappresentazione
teatrale, contraddistinto da dialoghi e, solo come incisi, da
periodi narrativi veri e propri, tesi però a inquadrare la scena,
come capita appunto nel caso di una commedia o di una sceneggiatura.
Non solo due parti, tuttavia, perché vi è anche un’appendice di Note
sui personaggi del dramma, redatte in base a studi ed alla
documentazione reperita.
Ignazio Silone
nasce a Pescina (Aq) il 1° Maggio 1900 e muore a in Svizzera a
Ginevra il 22 agosto del 1978.
4/4/2012
Le due vite di Elsa
Edizioni Piemme Narrativa romanzo Alla ricerca della propria identità
Dopo due biografie romanzate (La sorella di Mozart e La
strana giornata di Alexandre Dumas) che hanno riscosso notevole
successo, Rita Charbonier ha deciso di cambiare registro, una scelta
coraggiosa perché rappresenta sempre un’incognita, soprattutto per
le eventuali reazioni dei suoi lettori, abituati a storie di genere
ben diverso.
Rita Charbonnier
è nata a Vicenza, ha vissuto a Matera, Mantova, Genova, Trieste, per
poi stabilirsi a Roma. Ha fatto studi musicali e ha frequentato la
Scuola di Teatro dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di
Siracusa. È stata attrice e cantante in teatro, recitando al fianco
di celebri artisti. In seguito si è dedicata alla scrittura e, dopo
aver collaborato come giornalista con riviste di spettacolo, ha
iniziato a scrivere sceneggiature e infine romanzi, La sorella di
Mozart e La strana giornata di Alexandre Dumas, entrambi
molto apprezzati dai lettori.
26/3/2012
L’ultimo petalo Serel International Racconti e poesie Gli eroi di tutti i giorni
“La vita non è bianca o nera; la vita è un arcobaleno steso a
lenire lo sconquasso del temporale. Proprio come quell’iride, il suo
disegno non è tangibile, spesso va colto al volo” Ritengo doverosa una
premessa: in Italia le raccolte di racconti hanno sempre avuto poco
successo, fatto del tutto inspiegabile ove si consideri che questa
narrativa breve deve avere in sé le qualità del romanzo, cioè la
presenza di una storia che nasce, si sviluppa e infine si conclude,
compito di certo arduo quando si consideri che il tutto avviene in
un numero ristretto di pagine; di conseguenza il racconto non può
essere considerato una narrativa di serie B. Ancora più tragico è
normalmente l’esito delle vendite dei libri di poesia, circostanza
tanto più grave se si tiene presente che in questo campo il nostro
paese ha dato autori di grande rilievo internazionale.
Miriam Ballerini
è nata a Como il 28 ottobre 1970.
Giuseppe
Aletti – I DECADUTI – Ed.
ALETTI 2011 Recensione
Forse sono state applicate delle
ruote gigantesche a questo nostro mondo, a giudicare da come siamo
trasportati, giorno e notte, a velocità impensabili fino a solo
qualche decennio fa. Il poeta G. Aletti dà una precisa connotazione a questa sua raccolta poetica già a partire dal titolo, I decaduti, ed è al mondo dei poeti che riserva questo attributo. Con esso intende, credo, lasciar intuire più accezioni del termine, dal punto di vista concettuale. Provo ad indicarne alcune: - I poeti al giorno d’oggi sono “decaduti” perché non sono minimamente presi in considerazione e la loro è “una voce che grida nel deserto”; - sono decaduti perché in questo mondo frenetico non c’è posto per le anime “lente”, per le menti riflessive, per coloro che si ostinano non a cercare certezze, ma a cercare di carpire almeno un barlume di verità e di senso in questa nostra esistenza; - sono decaduti perché la poesia è una scienza dell’anima e non serve che a se stessi, o meglio, serve solo a quei pochi, tra i “veri” poeti, che hanno l’umiltà di sentirsi sempre inadeguati e inappagati, rispetto alla complessità dell’universo di cui non rappresentano che un’infinitesima misura e parte e che, per questo, continuano in solitudine nella loro ricerca di senso che acquieti l’ansia dell’anima almeno temporaneamente; - sono decaduti perché la loro poesia non produce e non consuma beni visibilmente materiali che rendano profitti; - e ancora, e in definitiva, lo sono proprio perché, per tutte queste ragioni, altro non sono che degli “alieni”.
Ed ecco, allora, che la “vis po_etica”
dell’autore insorge a difesa, non proprio (o non solo) dei poeti in
quanto tali, bensì dell’essenza umana degli uomini di
questo nostro tempo e di questo nostro spazio di vita. Il poeta
sente e vede e dunque “sa” che essi stanno gradualmente abdicando
alle proprie specificità e persino alle proprie peculiari esigenze
di esseri umani, lasciandosi derubare del nucleo più prezioso
dell’esistenza: l’anima, appunto. E allora, in definitiva, secondo il mio modesto parere, le poesie di questa raccolta dovrebbero essere intese: - in primo luogo, come una analisi obiettiva di una evidente situazione di disagio che accomuna poeti e non poeti, cioè una sorta di fotografia dell’esistente; - in secondo luogo, come un tentativo di scuotere gli animi e di indirizzare i lettori verso una necessità di leggere la realtà con spirito critico, per tornare ad essere capaci di pensare in proprio; - in terzo luogo, come dimostrazione che possiamo aprirci spiragli di futuro nuovo, senza lasciarci trasportare dagli eventi o irretire da usurai dell’anima, che ci danno solo false illusioni di dinamismo, mentre ci immobilizzano nel nostro procedere, senza farci avanzare di un passo nel progresso civile e morale, anzi facendoci arretrare.
In funzione di questa apertura verso
una speranza di possibile cambiamento in positivo del nostro
“vagare”, ritengo molto significativo il messaggio trasmesso dal
poeta con queste sue liriche, poiché è un messaggio a
forte valenza educativa. Dal punto di vista filosofico,
direi che sono poesie classificabili nell’ambito di una certa
“ontologia dell’esistenza umana”.
Giuseppe Aletti ha, in effetti, un
modo genuino di esprimere il suo pensiero in versi.
Nell’Introduzione, fa esplicito riferimento all’uso di parole
semplici e comuni che però, nella disposizione in versi, (nei versi
particolari di queste poesie), assumono valenze diverse
dall’ordinario sentire. Ed è vero, come ho potuto far notare in
precedenza a mo’ di esempio, a proposito del verso “Mi estinguo
nella parola”. 26.3.2012
18/3/2012 Pronto soccorso
dell’italiano Didattica C’era una volta l’italiano Da
diversi anni assistiamo a un graduale svilimento, se non addirittura
a un imbarbarimento, della nostra lingua. Lorenzo Montanari (Castelfranco Emilia 09/04/1973), laureato in Lettere ad indirizzo Filologico presso l’Università di Bologna, è docente di Lettere di ruolo nella Scuola Secondaria e dottore di ricerca in Filologia, dove ha anche ricoperto incarichi sia come professore a contratto (per le cattedre di Grammatica Latina e Didattica del Latino) sia come formatore SSIS. Ha, inoltre, tenuto incontri di aggiornamento nelle scuole. È autore di edizioni di classici latini (ha curato tutte le opere di Cesare presso l’editore Barbera e un’antologia di Quintiliano presso Cappelli) e di testi scolastici tra i quali la collana «Nero su Bianco», dedicata alle abilità di scrittura nel biennio della Secondaria di Secondo Grado. Per l’editore «La Scuola», nella collana di Varia «Orso Blu», ha pubblicato, nel 2011, «Pronto soccorso dell’Italiano. Ortografia, punteggiatura, congiuntivo». Elenco delle pubblicazioni · A. Giordano Rampioni, L. Giancarli, L. Montanari, S.P.Q.R. – Alla scoperta delle parole e della quotidianità di Roma antica, Cappelli Editore, Bologna 2006. [ISBN: 9788837925062] · Giulio Cesare, La guerra gallica, introduzione di G. Cipriani e G. M. Masselli, nuova traduzione e note di L. Montanari, Barbera Editore, Siena 2006. · L. Montanari, Poesie d’amore, Laboratorio di Poesia e di Scrittura Creativa, scheda documentata della tesi di specializzazione in: C. Bertacchini – M. R. Fontana (a cura di), L’insegnante di qualità, vol. 2, CLUEB, Bologna 2006, pp. 197-208. [ISBN: 9788849124668] · L. Giancarli, L. Montanari, Quintiliano – La scuola a Roma e il modello di oratore-cittadino, Antologia da: Institutio Oratoria, Cappelli Editore, Bologna 2007. [ISBN: 9788837911171] · autore delle pagine di vita quotidiana e cultura romana nelle riviste Audelescens e Iuvenis (Eli Editore) per l’anno scolastico 2007-2008. · Giulio Cesare, La guerra civile, introduzione di G. Cipriani e G. M. Masselli (con un saggio di Federica Introna), nuova traduzione e note di L. Montanari, Barbera Editore, Siena 2008. · L. Montanari, Esercizi di ortografia, punteggiatura e logica della frase, Cappelli Editore, Bologna 2008. [ISBN: 9788837911355] · L. Reggiani - L. Montanari, Analisi sintattica con esercizi di potenziamento lessicale, Cappelli Editore, Bologna 2008. [ISBN: 9788837911362] · P. Bollini - A. Ghiretti - A. Grillini - L. Montanari - B. Nanni - L. Reggiani - N. Paggetti, Esercizi di scrittura funzionale. Dal riassunto al saggio breve, Cappelli Editore, Bologna 2008. [ISBN: 9788837911379] · autore delle sezioni dedicate a Sallustio e a Tacito nell’antologia scolastica: Anna Giordano Rampioni, Canone in versi e in prosa, Cappelli Editore, Bologna 2008. [ISBN: 9788837911386] · articolo: L. Montanari, Un’occasione (forse) perduta. Una proposta per la Secondaria di primo grado, in Anna Giordano Rampioni, Manuale per l’insegnamento del latino, Pàtron Editore, Bologna 2010. [ISBN: 9788855530873] · L. Montanari, Ortopunzione, Cappelli Editore / La Scuola, Brescia 2011. [ISBN: 9788837912093] · L. Montanari, Pronto soccorso dell’italiano, La Scuola, Brescia 2011. [ISBN: 9788835026839] · Giulio Cesare, La guerra gallica, traduzione e note di L. Montanari, Rusconi, Rimini 2011. [ISBN: 9788818027488] · Giulio Cesare, La guerra civile, traduzione e note di L. Montanari, Rusconi, Rimini 2011. [ISBN: 9788818027938]
·
L. Azzoni, B. Nanni, L. Montanari, G. Carbone,
Ratio. Un metodo per il latino (volumi 1 e 2), Laterza,
Roma-Bari 2012. [ISBN: 9788842110170 e 9788842110385]
12/3/2012
Magari in un’ora del pomeriggio Fara Editore
Poesia silloge Adagio malinconico “Magari in un’ora del pomeriggio / anche nel luogo dove sei adesso / sopra le pietre più esposte si posa / un annuncio della fine del giorno: / …..”
Sono i primi versi della poesia che dà il
titolo all’intera silloge, strutturata in tre capitoli (La
convalida del tuo sguardo, I laconici giorni /
Stagioni irripetibili) in un unico tema che ripercorre l’andare
del tempo, misura e sensazione dell’esistenza.
Davide Valecchi è nato a Firenze
nel 1974. È un grande appassionato e cultore di poesia italiana del
Novecento e contemporanea. Ha una laurea in Letteratura Italiana con
tesi su Maria Luisa Spaziani. Sue poesie sono apparse in riviste
(cartacee e online) e in vari blog letterari. Nell’aprile 2011 una
sua poesia, accompagnata da un video, ha vinto il premio Poesia in
Video presso il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di
Bologna. Polistrumentista, è attivo come musicista fin
dall’adolescenza: ha fatto parte di numerose band spaziando in
generi musicali diversi: rock, metal, new wave, sperimentazione,
elettronica. Attualmente è impegnato con due formazioni: Video Diva
(new wave, rock, elettronica) e Downward Design Research
(elettronica, ambient, industrial). Con lo pseudonimo di aal (almost
automatic landscapes), a partire dal 2001, ha intrapreso un percorso
di ricerca sonora in campo elettro-acustico, concreto, elettronico e
ambient, pubblicando lavori per varie etichette italiane ed
internazionali.
5/3/2012 Il prete giusto Edizioni Einaudi Un prete giusto e perciò scomodo “ Era l’estate del 1982 quando don Raimondo Viale, il prete ribelle di Borgo San Dalmazzo, manifestò all’amico Mario Cestella il desiderio d’incontrarmi il più presto possibile. Quale il motivo di tanta urgenza? Aveva appreso che intendevo dedicarmi a una indagine sul clero della campagna povera, e voleva inserirsi nel discorso, ma subito, come se temesse di perdere l’ultima occasione di *consegnarmi* la sua storia di vita.” Don
Raimondo Viale (1907 – 1984) è stato un sacerdote piemontese della
zona di Cuneo. Partigiano durante la seconda guerra mondiale, è
stato insignito dell’onorificenza di Giusto d’Israele per aver
soccorso e assistito dopo l’8 settembre 1943 centinaia di ebrei.
Nuto Revelli
(Cuneo, 1919-2004), ufficiale
degli alpini in Russia e protagonista della Resistenza nel cuneese,
si è battuto per anni per dare voce ai dimenticati di sempre: i
soldati, i reduci, i contadini delle campagne piú povere. Tra i suoi
libri, tutti editi da Einaudi, La guerra dei poveri (1962),
La strada del davai (1966 e 2010), Mai tardi (1967 e
2008) , L'ultimo fronte (1971 e 2009) , Il mondo dei vinti
(1977), L'anello forte (1985) Il disperso di Marburg (1994 e
2008), Il prete giusto (1998 e 2008), Le due guerre
(2003 e 2005).
24/2/2012 Tra i solstizi Aletti Editore Poesia Chi sono, da dove vengo, dove vado? Non è un caso il titolo, perché il periodo
intercorrente fra il solstizio d’estate e quello invernale è un
lasso di tempo del tutto particolare, nel corso del quale la natura
prorompe al suo massimo splendore, per poi declinare
progressivamente e spegnersi coi rigori del dicembre.
Franca Canapini
è nata a Chianciano Terme (Siena). Vive, con la sua famiglia, ad
Arezzo ed insegna Lettere in una scuola media della città. Alcune
sue poesie sono state pubblicate nel 2004 nell’antologia di poesia
contemporanea Fermenti - Libroitaliano World. Nel 2010, essendo
risultata vincitrice del Premio Internazionale di Poesia Jacques
Prévert 2009, le è stata pubblicata dalla casa editrice Montedit la
raccolta Stagioni sovrapposte e confuse, che ha ottenuto il terzo
premio ex-aequo Tagete 2010. Suoi lavori si trovano in alcune
antologie (Il Giardino dei Poeti, 2008; Il Club dei Poeti, 2009; Il
giro d’Italia delle Poesie in cornice, 2009; Città di Melegnano,
2010; Premio Casentino, 2011; Verrà il mattino ed avrà un tuo verso
- Aletti, 2011) e riviste di poesia (Poeti e poesia-Pagine, n.21,
2010), in vari siti e blog culturali (Poetare.it, Arteinsieme.net,
Achilleion.com, Il giardino dei poeti.iobloggo.com) e nel suo blog
personale: cheneps.iobloggo.com
21/2/2012 Il verde della
tua veste a cura di Federico Roncoroni Editore Se Srl Chiara inconsueto Nell’ambito di una più approfondita conoscenza
dello scrittore Piero Chiara vado cercando ogni suo libro e così mi
sono imbattuto in questo volumetto, edito dalla Se, in cui sono
confluiti 22 racconti del tutto inediti. In verità, a voler essere
precisi, senza necessariamente essere pignoli, più che di racconti
si tratta di articoli di varia tematica apparsi su quotidiani e
periodici di vario genere in un arco di tempo che va dal 1948 al
1997, e quindi con alcuni postumi, essendo venuto a mancare l’autore
il 31 dicembre 1986.
Piero Chiara
nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i
più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto
tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
18/2/2012 Il disperso di
Marburg Note critiche di Rossana Rossanda, Edizioni Einaudi C’era una volta un cavaliere biondo su un cavallo bianco Nel cuneese circolava una leggenda, quella di
un tedesco “buono”, che durante la guerra usciva a cavallo dalla
caserma di San Rocco, scambiava qualche parola con i bimbi, donava
un sigaro a un contadino e ogni giorno, alla medesima ora, ritornava
in caserma. La sua pareva un’innocente passeggiata, in parte lungo
la sponda del fiume locale, quasi un tentativo di avere, sia pur per
poco tempo, un sogno di normalità nell’atroce tedio della guerra. Ma
era imprudente, perché la zona pullulava di partigiani e accadde
così che un giorno alla caserma ritornò solo il cavallo e di lui non
si seppe più niente, tranne poche parole mormorate a voce bassa
dalla popolazione locale che raccontava di come, catturato da
patrioti, o da sbandati, oppure da colpisti (tanto per intenderci,
quelli di vado, l’ammazzo e torno), fosse stato ucciso su un
isolotto del corso d’acqua e di come il suo corpo fosse rimasto a
lungo nascosto nella bassa boscaglia, fino a quando una piena del
fiume l’aveva portato via, lasciando solo un lembo di stoffa bianca
impigliato in un ramo.
Nuto Revelli
(Cuneo, 1919-2004), ufficiale
degli alpini in Russia e protagonista della Resistenza nel cuneese,
si è battuto per anni per dare voce ai dimenticati di sempre: i
soldati, i reduci, i contadini delle campagne piú povere. Tra i suoi
libri, tutti editi da Einaudi, La guerra dei poveri (1962),
La strada del davai (1966 e 2010), Mai tardi (1967 e
2008) , L'ultimo fronte (1971 e 2009) , Il mondo dei vinti
(1977), L'anello forte (1985) Il disperso di Marburg (1994 e
2008), Il prete giusto (1998 e 2008), Le due guerre
(2003 e 2005).
15/2/2012 Piove di Gabriele Oselini Prefazione di Fabrizio Azzali Poesia silloge Inspiratio natura Nella sua prefazione a questa silloge, Fabrizio
Azzali cita il riferimento ad alcuni dipinti del grande pittore
romantico inglese John Constable, con quegli orizzonti che
sfumano in cieli solo lievemente corrucciati, una pittura
naturalistica che ha i tratti sfumati, tenui e pur così coinvolgenti
propri dell’acquarello. Nato a Viadana in
Provincia di Mantova il 19 settembre 1953 ed ivi residente,
Gabriele Oselini si è laureato
in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Parma. Negli anni
’70 ha conosciuto Daniele Ponchiroli, viadanese, capo redattore
della casa editrice Einaudi, dal quale ha avuto stimoli importanti e
utili alla propria formazione culturale e umana e col quale ha
intessuto un rapporto di profonda amicizia. È insegnante di Italiano
nella Scuola Media dell’Istituto Comprensivo di Sabbioneta. Sposato
con due figlie, impegnato in politica, ha ricoperto per anni
l’incarico di Assessore alla Cultura, Pubblica Istruzione e
Politiche giovanili del suo Comune. È appassionato di letteratura e
di poesia, con particolare attenzione per quella latinoamericana del
Novecento. Ha partecipato a diversi concorsi locali e nazionali: è
stato segnalato alla III edizione del concorso Pubblica con
noi di Fara Editore, con cui ha pubblicato nel 2005 una
selezione di poesie all’interno di Antologia Pubblica
e, successivamente, le sillogi Specchio (2006), e
Finito (2008).
11/2/2012 La spartizione Arnoldo Mondadori Editore Uno per tutte, tutte per uno “Da dove era venuto con quella faccia severa,
con quell’aspetto composto e a prima vista distinto? Da qualche
importante città, da una famiglia di rango, da una lunga abitudine
alla riservatezza?
Piero Chiara
nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i
più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto
tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
2/2/2012 Tenebre su tenebre
Quando Dio si vergogna degli uomini e gli di Ferdinando Camon Garzanti Libri Un’analisi impietosa Nel
2006 Ferdinando Camon ha riunito in un volume (Tenebre su
tenebre) una serie di pensieri, ragionamenti, meditazioni,
ricordi, scritti nel corso di circa tre lustri in concomitanza con i
fatti più eclatanti della storia e della cronaca, come guerre,
encicliche, omicidi, suicidi, fenomeni sociali di vario genere,
tutti eventi che, senza che magari che ne accorgiamo, incidono in
modo determinante sulla nostra vita.
Ferdinando Camon
è nato in provincia di Padova. In una dozzina di romanzi (tutti
pubblicati con Garzanti) ha raccontato la morte della civiltà
contadina (Il quinto stato, La vita eterna, Un
altare per la madre – Premio Strega 1978), il terrorismo (Occidente,
Storia di Sirio), la psicoanalisi (La malattia chiamata
uomo, La donna dei fili), e lo scontro di civiltà, con
l'arrivo degli extracomunitari (La Terra è di tutti). È
tradotto in 22 paesi. Il suo ultimo romanzo è La mia stirpe
(2011).
29/1/2012 Il balordo di Piero Chiara A cura e
introduzione di Mauro Novelli Arnoldo Mondadori
Editore Un personaggio straordinario “Anselmo Bordigoni pesava centoquaranta chili e la sua altezza era di metri uno e novantotto. La vita sedentaria aveva favorito la crescita del suo ventre, il cui asse antero-posteriore era di settanta centimetri, in rapporto proporzionale col peso…. Scalinate di carne, sacche di grasso d’incalcolabile consistenza, cordonate di lardo e spessore incredibile di cotiche, materializzavano in lui una forma che troppo facilmente poteva definirsi mostruosa, e aveva invece una sua armonia di rapporti tra misura e misura, e come si è visto, tra misura e peso. Nel luogo dove capitò a vivere egli era, positivamente, il più grande e grosso uomo che si fosse mai visto.”
Questa è una parte della descrizione che Piero Chiara fa del
protagonista di Il balordo, il suo terzo romanzo dopo
Il piatto piange e La spartizione. E’
indubbiamente un personaggio eccezionale e non solo per la sua mole,
perché, additato di volta in volta come omosessuale, antifascista,
debole di mente, musicofilo e concertista di grande fama, è invece
un uomo che più che vivere, si lascia vivere, senza apparenti
desideri, senza memoria del passato, completamente soddisfatto della
sua innata passione per la musica, alternata con lunghe sedute in
riva al lago o ai fiumi, cercando di far abboccare qualche
pesciolino.
Piero Chiara
nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i
più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto
tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
23/1/2012 Leonardo Sciascia – La Sicilia come metafora – ed. Mondadori Recensione di M. Carmen Lama
Un libro atipico questo di Leonardo Sciascia, dal titolo La Sicilia come metafora, costituito da una interessante intervista sottoposta allo scrittore siciliano dalla giornalista francese, Marcelle Padovani, nel 1979. Si potrebbe già pensare che sia inutile leggere un libro così datato e che non è nemmeno uno degli importanti romanzi-denuncia di Sciascia, salvo rendersi conto che la sua vena critica, emergente con lucidità e severa obiettività in questa intervista, possa ancora rivelarsi attuale. E in effetti, il libro è di un’attualità sconvolgente, quasi una premonizione, anche perché basato su un filo rosso storico dal quale si evince che nel mondo politico e sociale non ci sono delle novità positive, almeno dal tempo dei Romani! E la condizione politica e sociale dei nostri giorni, purtroppo, ne risulta candidamente rispecchiata, come se Leonardo Sciascia stesse parlando del nostro tempo e non del suo. E non è una sorta di pessimismo insanabile dello scrittore questa sua visione delle cose, in caduta, ma semplicemente il risultato sia di esperienze vissute in prima persona, sia di una osservazione disincantata della realtà: quella a lui prossima negli anni dell’intervista e quella a cui egli risale, con una memoria storica nient’affatto corta e men che meno indulgente verso ciò che non va assolutamente, specie in una società che vuole dirsi democratica e civilmente evoluta. Insomma, semplicemente (sic!) una presa d’atto di una realtà che, nel suo inevitabile divenire temporale, è di una staticità mortifera e mortificante, nel senso più deleterio di questi ultimi due aggettivi, perché si tratta di una tragica involuzione, di un ritorno continuo ad esperienze politico-sociali e quindi anche storico-individuali, che non permettono di prendere respiro, che non fanno avanzare di un passo la cultura in senso lato e quella democratica in particolare, e che non liberano l’uomo dalle pastoie burocratico-legislative, economico-finanziarie, in cui ve l’avviluppa lo strato sociale che detiene il potere e che, chissà perché, è costituito sempre da chi possiede di più in termini materiali, patrimoniali, e di buona dose d’arroganza e di presunzione di legittimità delle sue funzioni, come un’investitura a vita e/o simil-ereditaria. Per non parlare delle pastoie religiose e di quelle che avvolgono persino i comportamenti più privati e il modo stesso di pensare (v. tutte le forme di manipolazione del pensiero attraverso messaggi pubblicitari subliminali e attraverso la distorsione di verità per interessi di parti politiche, partitiche o idelologiche, ecc… che già facevano pesantemente sentire la loro presa al tempo di questa intervista e del rispettivo libro di Sciascia).
Il titolo di questo libro, oltrettutto, è emblematico, perché ci invita immediatamente a chiederci: la Sicilia è metafora di cosa? Se il titolo vuole condensare tutto il percorso della conversazione sostenuta nel libro, è da chiarire subito che cosa intende comunicare. Sciascia afferma: «La realtà tende a diventare ovunque “mafiosa”. La “linea della palma” risale dall’Africa verso l’Europa di 50 centimetri l’anno. Guai alle conseguenze!». Sembra proprio una profezia, almeno a giudicare da quel che vediamo compiersi giorno per giorno sotto i nostri occhi. Per questo, ritengo che l’attualità di questo libro non si riferisca solo al nostro tempo, che ripercorre, ampliandoli e distorcendoli, gli stessi modelli politico-sociali degli anni ’70, ma molto probabilmente si riferisca anche a un tempo futuro, nel quale le conseguenze non potranno essere che un ulteriore ampliamento dei problemi e deterioramento del sistema-Italia. A meno che non ci sia un soprassalto di orgoglio nazionale che facendoci intravedere un baratro non ci imponga un cambiamento culturale e mentale e una virata decisa verso un’auspicata quanto necessaria moralità che partendo dal basso e dal privato individuale, coinvolga in una spirale virtuosa il sociale e soprattutto, e in tempi brevi, il mondo politico.
Per confermare ed analizzare in tutte le possibili accezioni l’assunto del titolo di questo libro, l’intervista si snoda su diversi temi: - inizia dall’identità dello stesso Sciascia, siciliano che ha vissuto dentro il mondo del dramma pirandelliano, dove identità e relatività costituivano (costituiscono!) elementi di un “pirandellismo in natura”, ma che per superare la solitudine in cui un tale mondo lo poneva, ha voluto aggrapparsi alla ragione, cioè all’altra faccia delle cose e a un modo diverso di “ragionarle” - passa poi a parlare della “mafia” dandone una rappresentazione quanto mai rivelatrice del potenziale distruttivo e disgregante che contiene e facendo indignare nel leggere una sorta di “elogio funebre di un mafioso”, dove dopo un distico in corsivo che dice: “In Lui gli uomini ritrovarono / una scintilla dell’eterno rubata ai cieli”, dà alcune informazioni sulla vita di quest’individuo e termina con queste parole: “… dimostrò, con le parole e con le opere, che la mafia sua non fu delinquenza, ma rispetto alla legge dell’onore, difesa di ogni diritto, grandezza d’animo: fu amore” - prosegue con il punto di vista dello scrittore su “come si può essere siciliani” - e con il sostenere una “verità dello scrittore”, il quale, grazie ad una sua esperienza diretta in politica, riesce ad essere molto critico anche con il partito da lui appoggiato - e si conclude, infine, con una disamina molto ben articolata del potere - soprattutto se è comunista. Questa, in breve, la successione dei capitoli del libro.
La lungimiranza di Leonardo Sciascia, basata -come ho già scritto- su una lettura diacronica della vita politica in Italia (con cenni su qualche altra nazione europea) e sull’osservazione dei dati di fatto del periodo storico a ridosso del cosiddetto “affare Moro”, è veramente sorprendente e, mentre invita a non perdere di vista il passato per non ripetere gli errori commessi, dà una fotografia quanto più nitida possibile del presente, purtroppo minato da troppi compromessi e corruzione e mafiosità dilagante, e nello stesso tempo mette in guardia su un futuro che potrebbe non distinguersi poi tanto dal presente e da quello stesso passato che sempre si fatica a lasciarsi definitivamente alle spalle, giungendo però a dare anche prospettive di speranza in un cambiamento possibile in positivo, se si acquisisse la consapevolezza delle zavorre (politiche, morali, sociali, culturali, economiche, commerciali… ecc… ecc..) che continuano a pesarci addosso e della necessità-urgenza di abbatterle, alleggerendo e rimodernando il nostro Paese, in modo che si abbia a buon diritto la certezza di vivere in uno Stato veramente democratico e veramente civile.
È un libro che una siciliana come me, trapiantata da alcuni decenni al Nord d’Italia, non poteva non leggere con la convinzione che si può essere buoni italiani, ma solo a patto che ci si riesca a liberare dalla marginalità in cui siamo continuamente spinti (lo vediamo ancora in quale considerazione è tenuta l’Italia dai partners europei!), rigettando una volta per tutte quella brutta etichetta di mafiosità che infanga la Sicilia in primo luogo e ormai anche il resto d’Italia dove la malavita organizzata ha prolungato i suoi tentacoli. Pur nel pessimismo di fondo che si possa rivoltare una condizione ormai secolare, non ci resta comunque che il dovere di sperare nel cambiamento e negli uomini e nelle donne che hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni e dell’Italia. M. Carmen Lama 3 dicembre 2011
19/1/2012 Le corna del
diavolo di Piero Chiara a cura di Mauro Novelli introduzione di Giansiro Ferrara Arnoldo Mondadori Editore Narrativa raccolta di racconti Collana Oscar scrittori moderni Non è solo una questione di corna Nel
1976 a Piero Chiara venne l’idea di riunire in un unico volume dei
racconti brevi scritti anni prima, alcuni dei quali già noti in
quanto pubblicati sul Corriere della Sera.
Piero Chiara
nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i
più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto
tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e
proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
15/1/2012
Andrea Camilleri Quarta di copertina
Un caso.
Qualcosa d’incredibile, d’irreale. Una proba- 33 luciferini racconti, certamente per più di 33 altrettanti luciferini lettori… L’inesausta creatività letteraria di Andrea Camilleri ha concepito questo ultimo libro “Il diavolo, certamente”, in cui ha dato ampio respiro alla sua feconda immaginazione. 33 racconti di 3 pagine l’uno, secondo un disegno o una numerologia simbolica rovesciata: non 666, ma 333 perché - citazione di Camilleri - è meglio avere a che fare con mezzo diavolo che con uno intero. Nella nota alla fine dei racconti, l’Autore dice di sapere benissimo che esiste un film di Robert Bresson che in Italia è stato intitolato Il diavolo probabilmente … e che non ha nessuna remora a confessare d’essersene impadronito perché è stato proprio quel titolo a fargli venire l’idea di scrivere queste brevi 33 narrazioni. Diavolo di un Camilleri! Quasi in combutta con la Bestia ci propina questi scritti diabolici, luciferini, lo zampino del diavolo…del caso…dell’imprevisto sono sempre pronti a cogliere di sorpresa la vita, a scompigliare le carte degli eventi. Nulla è prevedibile, la sorte gioca a rimpiattino con le umane vicende e non sempre quello che desideriamo avviene per vie consuete. Mettersi nei panni di questa variegata umanità è un’impresa improba, si rischia di sprofondare nel buio dell’imperscrutabile. I racconti sono congegnati all’interno di un meccanismo pressoché perfetto, i personaggi manovrati con arte e maestria sbalorditive: una rappresentazione sinistra di tutto ciò che alberga negli animi …passioni, vizi, desideri, vendette, perfidie, ma anche slanci, generosità e altro. Fanno da cornice a tutta la raccolta, il primo e l’ultimo racconto, entrambi sono due riflessioni filosofiche che diventano l’anello di congiunzione di tutta la trama narrativa; nel primo il ricorso all’iperbole, ai paragoni supremi, ai complimenti stratosferici verso un avversario, non sostenuti da un’efficace ironia, fanno prendere per autentico il contenuto e quindi invece di una stroncatura risulta un elogio sperticato. Nell’ultimo una discussione filosofica tra due amici si trasforma in un duello argomentativo all’ultimo spasimo sulla discussa dimostrazione della verità (άλήθεια). Ed ecco aprirsi il sipario e su un fondale grigio recita un’umanità invereconda in cui si disvelano abissi interiori: un prefetto perfetto e di cristallina onestà sente riaccendersi una giovanile passione amorosa, un partigiano, tradito dall’irrompere di memorie e sentimenti, tradirà dei suoi compagni. Un ladro d’appartamenti diventa ladro gentiluomo, un bambino dodicenne ordisce freddamente una vendetta famigliare, il monsignor, venerato come un sant’uomo dai fedeli, a causa di un refuso tipografico la sua integrità morale viene deturpata per sempre, il tacco spezzato di una scarpa segna la fine di una relazione, ma è galeotto di una nuova…Tante donne concupiscenti, mogli tradite e che tradiscono a loro volta, amanti di troppo, segretarie che custodiscono segreti…insomma molteplici sfaccettature di personalità e situazioni, a volte paradossali o assurdamente verosimili, sono sinonimi di una realtà che spesso sta davanti ai nostri occhi e non vogliamo decifrarla nella sua crudezza. Il male è spesso motore dell’agire umano, si annida e si manifesta nelle forme più subdole; è un demone che s’insinua nelle menti dei personaggi e come un tarlo scava e corrode i loro pensieri, Camilleri è stato in un certo senso demoniaco a cercare le combinazioni più bislacche, a far incrociare destini, ad architettare incontri: il caso, qualcosa d’incredibile, d’irreale. E se era accaduto doveva ben significare qualcosa. L’attualità nella sua drammaticità è uno dei temi presenti, con la crisi economica, le difficoltà aziendali, lo spauracchio della rovina, i licenziamenti, l’impossibilità di trovare lavoro...Ho letto da qualche parte che l’inferno riesce meglio del paradiso; queste fulminanti e nere e amare storie in cui la verità si colora di menzogna e viceversa si avvalgono dello stile ineguagliato di Camilleri, così netto e deciso, con sottesa ironia, come scriverebbe lui, profusa a tinchitè ( a iosa), mai pesante e tedioso, sempre insita quella speciale leggerezza di linguaggio che lo contraddistingue. Un’altra piacevolissima occasione di lettura.
Andrea
Camilleri
(1925), è autore di oltre 60 romanzi tra
storici, civili e polizieschi, e di diverse raccolte di racconti,
tradotti in più di 30 lingue. Vincitore di numerosi premi in
Italia e all’estero, è noto al
grande pubblico anche per i
romanzi dedicati alle inchieste del commissario Montalbano, della
casa editrice Sellerio,
da cui è stata tratta la fortunata serie televisiva. Tra i tanti
titoli ricordiamo: “La forma
dell’acqua”, “Il cane di terracotta”, “Il ladro di merendine”, “La
voce del violino”, “La stagione della caccia”, “Il birraio di
Preston”,
“La concessione del telefono”, “La gita a
Tindari”, “Maruzza
Musumeci”,
“Il casellante”, “Il campo del vasaio”, “L’età del dubbio”, “Un
sabato, con gli amici” “Il sonaglio” “ La caccia al tesoro” “Il
sorriso di
Angelica”, “ Gran Circo Taddei” “Il
gioco degli specchi””La setta degli angeli”.
14/1/2012 La fabula bella Una lettura sociologica dei Promessi Sposi
di
Presentazione di Enrico Ghidetti Edizioni Solfanelli Saggistica Collana Micromegas
Fu vera gloria?
“Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai. “ Questo dice in tono perentorio uno dei bravi di don Rodrigo al pavido Don Abbondio. La frase è arcinota, tanto che non è stato difficile farla riemergere dal labirinto della mia memoria, anche perché, quando fu letta e commentata a scuola dall’insegnante, mi venne il sospetto che, per quanto il Manzoni fosse andato a risciacquare i panni in Arno, avesse finito per delineare come autentica lingua italiana, e quindi da essere da tutti utilizzata, quel parlare proprio dei toscani che, nel caso specifico, si estrinseca nell’elisione della i davanti alla h del verbo. In questo senso le comuni riletture de I promessi sposi sono effettuate o con lo scopo di evidenziare l’aspetto linguistico, oppure di privilegiare quello storico, e, meno frequentemente, con accorta equidistanza, entrambi. Resta il fatto che mai romanzo italiano ebbe una diffusione come questo e che, per quanto non possa essere considerato popolare, chi più chi meno ne ha avuto sentore, se non altro per il fatto della sua obbligatorietà come testo scolastico.
Però, questa vicenda di un amore
ostacolato nella sua realizzazione formale, di questo matrimonio
tanto desiderato, ma che per qualcuno non si ha da fare, può
essere letta anche in chiave sociologica ed è quel che ha fatto
Quel che è particolare è rappresentato dall’occasione che ha indotto l’autore a porre mano a questo lavoro, vale a dire la riduzione televisiva del 1990 del regista Salvatore Nocita, frutto quindi di un mezzo, quello televisivo, capace di porgersi con fini didattici, ma che indubbiamente nasconde, per le potenzialità insite nello stesso, i pericoli di un assoggettamento dello spettatore, di un condizionamento della mente che di per sé finisce con il costituire l’oggetto di altre analisi sociologiche. Di per sé l’opera è stata esaminata prescindendo dalla qualità intrinseca e considerandola alla stregua di un normale romanzo di consumo e astraendo così dal suo rilevante valore, nonché ignorando la corposa documentazione critica che seguì la sua uscita e che continua ancor oggi. Il risultato di queste scelte, di quest’occhio attento più alle implicazioni sociologiche che al contesto letterario, è sbalorditivo, perché appare un romanzo totalmente nuovo, senza che con questo il giudizio sulla sua valenza venga sminuito, anche se, a ben guardare, risulta, sia pur di poco, ridimensionato. Quella di Bordoni è una rilettura, insomma, fuori dai canoni e che evidenzia la trascurabile personalità dei due protagonisti principali, Lucia ligia al senso del suo onore femminile, abbastanza scialba, e Renzo, quasi un sempliciotto pronto a inalberarsi di fronte a un ostacolo, ma lesto a rimettere il capo sotto le ali. Assume invece un rilievo particolare la figura di Gertrude, la monaca di Monza, esistita veramente e non quindi frutto di fantasia, la cui presenza nell’opera manzoniana può sembrare eccessiva in funzione della struttura e della trama della narrazione. Anche in questo caso avevo colto da studente l’anomalia, in un romanzo quasi matematico dall’apparire alla lunga freddo. Che il Manzoni avesse avuto pietà della triste vicenda di questa donna costretta per volere paterno in convento dove si risvegliò poi una passione, normale in altri luoghi, invereconda fra le mura di una casa di Dio? Molto probabilmente non fu così, perché l’autore, nel dare risalto agli aspetti negativi di una donna che in pratica cercò di ribellarsi alla sua condizione, intese invece in tal modo, e in contrapposizione, esaltare la fermezza di propositi di Lucia Mondella, però secondo un concetto di donna vista nei ristretti limiti di una mentalità che la considerava una costola dell’uomo. Personalmente riconosco meriti al romanzo che tuttavia presenta luci e ombre, e non sempre le prime sono tali da far dimenticare le seconde, ma d’altra parte l’aria paternalistica di cui il testo è impregnato risente della posizione sociale dell’autore, un conservatore pio, pietoso anche, ma non di certo disposto a cambiare l’ordine gerarchico dell’umanità. Ecco, il Manzoni cattolico, ligio alla conservazione, emerge in modo chiaro e non è difficile ipotizzare che l’uso del testo nelle scuole non fosse solo finalizzato allo studio della lingua italiana, ma costituisse un esempio-monito di ciò che le classi meno privilegiate dell’epoca dovessero aspettarsi, in una invariabilità dello status quo a tutto beneficio di chi deteneva il potere. Bordoni riesce a cogliere nei personaggi le sfumature generalmente ignorate nella didattica e li rende meno astratti e più veritieri, così come anche alcuni opportuni rilievi circa l’inquadramento del periodo storico nell’opera manzoniana riportano il romanzo a una maggiore aderenza a realtà prima un po’ offuscate dalla fantasia. Insomma, senza che per questo I promessi sposi diventino un’opera da gettare – e credo che non pochi studenti lo desidererebbero – quel che esce da La fabula bella è una più razionale valutazione di un romanzo dalle indubitabili qualità, ma non il capolavoro assoluto, giudizio che in epoca scolastica ci è stato surrettiziamente imposto.
Il libro di Bordoni è quindi
senz’altro da leggere, magari con accanto un’edizione dei
Promessi sposi.
8/1/2012
Vladimir Nabokov – La difesa di Lužin – B. Adelphi
Recensione di M. Carmen Lama
È possibile difendersi dalla vita? Nabokov, con il suo romanzo “La
difesa di Lužin”, ha provato a dimostrare che sì, si può trovare
almeno un modo per difendersi dalla iterazione degli eventi della
vita, attuando qualche mossa completamente a sorpresa, un po’ come
avviene nel gioco degli scacchi quando si fronteggiano dei veri
esperti in tornei internazionali, dove ha sempre la meglio il
giocatore che previene l’avversario, a volte con mosse del tutto
imprevedibili perché assurde, ma che proprio per questo lasciano
interdetto l’altro giocatore che non poteva aver previsto una
mossa talmente semplice quanto inconcepibile.
Il gioco degli scacchi, quindi, come metafora della vita, in
questo romanzo.
Il gioco degli scacchi che, una volta imparato cominciando a
prendere gusto nell’immaginare le mosse più audaci (che ne
anticipano, nella mente del giocatore veramente bravo, molte più
di una, cioè molte più di quella che potrebbe essere la successiva
dell’avversario), diventa inizialmente un passatempo intelligente,
per trasformarsi man mano in un desiderio di provare a giocare con
sempre nuovi interlocutori a loro volta esperti, con cui ci si può
reciprocamente sfidare imparando anche nuove strategie e muovendo
i personaggi del gioco in modi sempre diversi, finché non diventa
una vera e propria passione, quasi una mania, un’ossessione e una
sorta di malattia psichica, come una “coazione a ripetere”.
Lužin, il protagonista del romanzo, comincia a sviluppare una
passione irrefrenabile per gli scacchi sin da quando era bambino.
Era un bambino molto intelligente che però a scuola non voleva
mettersi in vista, anzi mostrava già una tendenza ad isolarsi dai
compagni con i quali non condivideva gli stessi interessi e dai
quali non era ben accolto; da essi, al contrario, veniva spesso
deriso e turbato nell’animo con brutti scherzi ai quali non sapeva
o forse non voleva reagire.
Era questa una modalità di rapporti tra coetanei in cui
s’inserivano i rapporti familiari e soprattutto la figura paterna
di Lužin, la cui attività di scrittore era divenuta un’occasione,
per i compagni di Lužin figlio, per prenderlo di mira canzonandolo
e offendendone il padre. Molte occasioni di umiliazioni per il
piccolo Lužin ne avevano segnato la psiche al punto di aver voluto
rinunciare a frequentare la scuola, con disappunto dei genitori,
ma con quella rassegnazione che giunge quando le decisioni
riguardano altri e ogni insistenza si rivela non soltanto inutile,
ma addirittura del tutto controproducente.
La salvezza per il piccolo Lužin arriva inaspettata da una zia, la
cui presenza in casa è controversa, ma che riesce a indirizzare il
bambino almeno verso un interesse, quello del gioco degli scacchi,
appunto.
All’insaputa del padre, il bambino trascorre molto del suo tempo a
“studiare” tutte le possibili combinazioni di mosse scacchistiche
in riviste specializzate che trova nella biblioteca di famiglia.
Il padre conosceva questo gioco e aveva provato a dilettarsene in
precedenti anni della sua vita, nelle occasioni dei ricevimenti
che avevano luogo periodicamente in casa sua.
A cose fatte, quando il figlio svela le sue grandi capacità, il
suo talento nel gioco, vincendo anche con vecchi amici del padre
ritenuti dei veri e propri campioni, il padre non può far altro
che assecondarlo e iscriverlo a tornei, nei quali prima il ragazzo
e poi il giovane Lužin riesce sempre vittorioso.
Col tempo, viene introdotto nei circoli scacchistici più
importanti da un amico del padre, Valentinov, il quale prende a
cuore il suo ruolo di sostenitore (anche finanziario) del giovane,
finché questi diventa un vero e proprio campione imbattibile,
arrivando a giocare più partite contemporaneamente senza subire
mai alcuna sconfitta, alcuno “scacco”. Il ruolo di Valentinov
diventa decisivo verso la fine del romanzo.
Col passare del tempo, si comincia ad intravedere in Lužin un
inizio di cedimento, di cui si accorge per prima una ragazza che
lo conosce per caso. Da questo momento, l’interessamento reciproco
dei due porta ad una svolta nella vita di Lužin, fino ad un brutto
esaurimento psichico che lo costringe a interrompere la sua
carriera nel mondo degli scacchi.
Ma ormai la sua psiche è segnata per sempre. La vita stessa di
Lužin assume le sembianze del gioco, ingannandolo, certo, ma
facendogli provare ancora il brivido della scoperta della mossa
giusta per non soccombere di fronte al nuovo avversario.
L’epilogo non si può svelare qui, ma è sintomatico e quasi
scontato. Bisogna però arrivare alla fine del romanzo per averne
la certezza. A mio parere, poteva ben essere un altro, nel quale
ho sperato ardentemente. Ma i presupposti hanno avuto il loro
senso.
L’amore, come il gioco condotto con il coinvolgimento delle fibre
più profonde dell’anima, come la stessa vita amata con passione e
nello stesso tempo temuta come se fosse un avversario che vuole
metterci alla prova, può avere talvolta degli esiti simili a
quello del romanzo.
La difesa di Lužin è un libro la cui lettura si potrebbe ritenere
obbligata per chi ama gli scacchi, ma anche per chi desidererebbe
amarli, perché si ha a che fare con il funzionamento straordinario
della mente di un giocatore geniale e, soprattutto, con la forza
di astrazione di questo gioco.
Personalmente, però, mi accontento di saper giocare per
estraniarmi solo momentaneamente dal resto e per rilassarmi. Dopo
la lettura di questo libro, il gioco degli scacchi continuerà ad
appassionarmi al livello amatoriale e per puro diletto della
mente.
Non mi propongo però di studiare una mossa vincente per difendermi
dalla vita, perché mi piace subirla anche se con l’apparenza di
guidarla a modo mio.
5
dicembre 2011
5/1/2012
Il
capostazione di Casalino
e altri 15
racconti
di Piero Chiara
a cura di Mauro Novelli
introduzione di Giovanni Tesio
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Narrativa raccolta di racconti
Collana Oscar scrittori moderni
Per non dimenticare
Con il Capostazione di Casalino
Chiara scrive gli ultimi racconti, mentre combatte con la malattia
che lo porterà alla morte.
Si tratta di sedici prose, sedici
memorie di fatti e accadimenti di quel mondo della provincia di
cui l’autore luinese rimarrà il magnifico cantore.
Per quanto l’ironia sia sempre
arguta, in sottofondo è presente la malinconia di chi sa che sono
le ultime occasioni per far rivivere personaggi, spesso oscuri, e
che pure, nel loro piccolo, hanno contribuito alla storia del
mondo.
Dalla vicenda quasi kafkiana del
signor Pettoruto alla figura rassegnata, e pur illusa, dell’amico
Trenk, passando per il ferroviere svizzero Camillo e, soprattutto,
per il personaggio di
Siamo lontani dai clamori e dalle
risate di Il piatto piange, no qui al più si strappa
un sorriso, ma protagonisti e vicende sono di quelli che più
restano dentro perché lontani dalle caricature, più umani, per non
definirli più simili a tanti che non conosciamo e che incontriamo
per la strada; ognuno, per quanto ignoto, ha la sua storia e tutti
insieme concorriamo, senza saperlo e magari senza lasciar traccia
indelebile del nostro passaggio, alla grande storia dell’umanità.
In un racconto (I fratelli Mascherpa)
l’autore giustamente scrive “ Vite sprecate, gettate al vento,
si potrebbe dire. Martiri di nessuna fede, ombre che sono passate
senza lasciare un segno.” Conclude, però, con quattro righe in
cui c’è tutto il pensiero di Chiara “ Ma sulla tomba del
Tonchino, un loculo in fondo al portico di un cimitero, è scritto
sopra una piccola lapide il suo nome e cognome: Mino Mascherpa.
Sotto, a caratteri più piccoli, si legge: “Armida Perego non lo
dimenticherà mai.”.
Ecco, con queste ultime prose anche
Piero Chiara ha posto una lapide sul loculo di un mondo che c’era
e che è ormai scomparso, ha dato voce e luce a ombre che
altrimenti si sarebbero perse nel buio, ai tanti del piccolo, del
paese, di quelle comunità che ora sono più numeri statistici che
esseri umani connessi in un unico destino, tanto che è come se in
calce, ma non in caratteri minuscoli, bensì a chiare lettere
avesse scritto: Piero Chiara non vi ha dimenticato.
E sono così belli questi racconti,
completi, storie che hanno un inizio, una fine, uno svolgimento
talmente esauriente da non far rimpiangere un loro eventuale
ampliamento in romanzo, per quanto breve, il che, come riporta
Giovanni Tesio nell’introduzione, dimostra un particolare
attaccamento dell’autore per la prosa breve, ribadito anche nella
risposta che diede a una domanda sul “perché” del racconto: “Bisognerebbe
chiederci perché il romanzo”.
Il capostazione di Casalino
è un canto del cigno, ma è un canto stupendo e, forse, è il
capolavoro di Piero Chiara.
Piero
Chiara nacque a Luino nel
1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i più amati e
popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto tardi,
quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo
coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una
delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il
piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero
e proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale
prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.
E’ stato
autore particolarmente fecondo e fra le sue numerose pubblicazioni
figurano Il piatto piange (1962), La spartizione
(1964), Il balordo (1967), L’uovo al cianuro e altre
storie (1969), I giovedì della signora Giulia (1970),
Il pretore di Cuvio (1973), La stanza del Vescovo
(1976), Il vero Casanova (1977), Il cappotto di Astrakan
(1978), Una spina nel cuore (1979), Vedò Singapore?
(1981), Il capostazione di Casalino e altri 15 racconti
(1986). |
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