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Lontano lontano...
Lontano lontano si fanno la guerra.
Il sangue degli altri si sparge per terra.

Io questa mattina mi sono ferito
a un gambo di rosa, pungendomi un dito.

Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.
Oh povera gente, che triste è la terra!

Non posso giovare, non posso parlare,
non posso partire per cielo o per mare.

E se anche potessi, o genti indifese,
ho l'arabo nullo! Ho scarso l'inglese!

Potrei sotto il capo dei corpi riversi
posare un mio fitto volume di versi?

Non credo. Cessiamo la mesta ironia.
Mettiamo una maglia, che il sole va via.
Franco Fortini

consigliata da poetare.it


Congedo del viaggiatore cerimonioso
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giú la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era cosí bello parlare
insieme, seduti di fronte:
cosí bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.

(Scusate. È una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
piú sciolto. Vogliate scusare).

Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su piú d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sí lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che piú forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.
Giorgio Caproni

consigliata da poetare.it


Paesaggio
Il campo
di ulivi
s'apre e si chiude
come un ventaglio.
Sull'oliveto
c'è un cielo sommerso
e una pioggia scura
di freddi astri.
Tremano giunco e penombra
sulla riva del fiume.
S'increspa il vento grigio.
Gli ulivi
sono carichi
di gridi.
Uno stormo
d'uccelli prigionieri
che agitano lunghissime
code nel buio.
Federico Garcia Lorca Traduzione di Carlo Bo

consigliata da poetare.it


Gli emigranti
Cogli occhi spenti, con le guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s'ascende il palco de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s'afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.
Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d'angoscia in lidi ignoti.
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.
Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d'oro,
Frutto segreto d'infiniti stonti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.
Pur nell'angoscia di quell'ultim'ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L'amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.
E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!
E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.
Addio, poveri vecchi! In men d'un anno
Rosi dalla miseria e dall'affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.
Poveri vecchi, addio! Forse a quest'ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire….
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.
Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.
Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell'involto suo china la faccia,
Chi versando un'amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.
E il naviglio s'affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d'urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell'onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.
Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V'allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.
Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L'imperversar de le sciagure umane.
E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.
Edmondo De Amicis

consigliata da Marino Giannuzzo


La signorina Felicita ovvero la Felicità

I.
Signorina Felicita, a quest'ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest'ora che fai? Tosti il caffè:
e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all'avvocato che non fa ritorno?
E l'avvocato è qui: che pensa a te.

Pensa i bei giorni d'un autunno addietro,
Vill'Amarena a sommo dell'ascesa
coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l'orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
sulla cinta vetusta, alla difesa...

Vill'Amarena! Dolce la tua casa
in quella grande pace settembrina!
La tua casa che veste una cortina
di granoturco fino alla cimasa:
come una dama secentista, invasa
dal Tempo, che vestì da contadina.

Bell'edificio triste inabitato!
Grate panciute, logore, contorte!
Silenzio! Fuga dalle stanze morte!
Odore d'ombra! Odore di passato!
Odore d'abbandono desolato!
Fiabe defunte delle sovrapporte!

Ercole furibondo ed il Centauro,
le gesta dell'eroe navigatore,
Fetonte e il Po, lo sventurato amore
d'Arianna, Minosse, il Minotauro,
Dafne rincorsa, trasmutata in lauro
tra le braccia del Nume ghermitore...

Penso l'arredo - che malinconia! -
penso l'arredo squallido e severo,
antico e nuovo: la pirografia
sui divani corinzi dell'Impero,
la cartolina della Bella Otero
alle specchiere... Che malinconia!

Antica suppellettile forbita!
Armadi immensi pieni di lenzuola
che tu rammendi paziente... Avita
semplicità che l'anima consola,
semplicità dove tu vivi sola
con tuo padre la tua semplice vita!

II.
Quel tuo buon padre - in fama d'usuraio -
quasi bifolco, m'accoglieva senza
inquietarsi della mia frequenza,
mi parlava dell'uve e del massaio,
mi confidava certo antico guaio
notarile, con somma deferenza.

"Senta, avvocato..." E mi traeva inqueto
nel salone, talvolta, con un atto
che leggeva lentissimo, in segreto.
Io l'ascoltavo docile, distratto
da quell'odor d'inchiostro putrefatto,
da quel disegno strano del tappeto,

da quel salone buio e troppo vasto...
"...la Marchesa fuggì... Le spese cieche..."
da quel parato a ghirlandette, a greche...
"dell'ottocento e dieci, ma il catasto..."
da quel tic-tac dell'orologio guasto...
"...l'ipotecario è morto, e l'ipoteche..."

Capiva poi che non capivo niente
e sbigottiva: "Ma l'ipotecario
è morto, è morto!!...". - "E se l'ipotecario
è morto, allora..." Fortunatamente
tu comparivi tutta sorridente:
"Ecco il nostro malato immaginario!".

III.
Sei quasi brutta, priva di lusinga
nelle tue vesti quasi campagnole,
ma la tua faccia buona e casalinga,
ma i bei capelli di color di sole,
attorti in minutissime trecciuole,
ti fanno un tipo di beltà fiamminga...

E rivedo la tua bocca vermiglia
così larga nel ridere e nel bere,
e il volto quadro, senza sopracciglia,
tutto sparso d'efelidi leggiere
e gli occhi fermi, l'iridi sincere
azzurre d'un azzurro di stoviglia...

Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi
rideva una blandizie femminina.
Tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina:
e più d'ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Ogni giorno salivo alla tua volta
pel soleggiato ripido sentiero.
Il farmacista non pensò davvero
un'amicizia così bene accolta,
quando ti presentò la prima volta
l'ignoto villeggiante forestiero.

Talora - già la mensa era imbandita -
mi trattenevi a cena. Era una cena
d'altri tempi, col gatto e la falena
e la stoviglia semplice e fiorita
e il commento dei cibi e Maddalena
decrepita, e la siesta e la partita...

Per la partita, verso ventun'ore
giungeva tutto l'inclito collegio
politico locale: il molto Regio
Notaio, il signor Sindaco, il Dottore;
ma - poiché trasognato giocatore -
quei signori m'avevano in dispregio...


M'era più dolce starmene in cucina
tra le stoviglie a vividi colori:
tu tacevi, tacevo, Signorina:
godevo quel silenzio e quegli odori
tanto tanto per me consolatori,
di basilico d'aglio di cedrina...

Maddalena con sordo brontolio
disponeva gli arredi ben detersi,
rigovernava lentamente ed io,
già smarrito nei sogni più diversi,
accordavo le sillabe dei versi
sul ritmo eguale dell'acciottolio.

Sotto l'immensa cappa del camino
(in me rivive l'anima d'un cuoco
forse...) godevo il sibilo del fuoco;
la canzone d'un grillo canterino
mi diceva parole, a poco a poco,
e vedevo Pinocchio e il mio destino...

Vedevo questa vita che m'avanza:
chiudevo gli occhi nei presagi grevi;
aprivo gli occhi: tu mi sorridevi,
ed ecco rifioriva la speranza!
Giungevano le risa, i motti brevi
dei giocatori, da quell'altra stanza.

IV.
Bellezza riposata dei solai
dove il rifiuto secolare dorme!
In quella tomba, tra le vane forme
di ciò ch'è stato e non sarà più mai,
bianca bella così che sussultai,
la Dama apparve nella tela enorme:

"é quella che lascò, per infortuni,
la casa al nonno di mio nonno... E noi
la confinammo nel solaio, poi
che porta pena... L'han veduta alcuni
lasciare il quadro; in certi noviluni
s'ode il suo passo lungo i corridoi...".

Il nostro passo diffondeva l'eco
tra quei rottami del passato vano,
e la Marchesa dal profilo greco,
altocinta, l'un piede ignudo in mano,
si riposava all'ombra d'uno speco
arcade, sotto un bel cielo pagano.

Intorno a quella che rideva illusa
nel ricco peplo, e che morì di fame,
v'era una stirpe logora e confusa:
topaie, materassi, vasellame,
lucerne, ceste, mobili: ciarpame
reietto, così caro alla mia Musa!

Tra i materassi logori e le ceste
v'erano stampe di persone egregie;
incoronato dalle frondi regie
v'era Torquato nei giardini d'Este.
"Avvocato, perché su quelle teste
buffe si vede un ramo di ciliege?"

Io risi, tanto che fermammo il passo,
e ridendo pensai questo pensiero:
Oimè! La Gloria! un corridoio basso,
tre ceste, un canterano dell'Impero,
la brutta effigie incorniciata in nero
e sotto il nome di Torquato Tasso!

Allora, quasi a voce che richiama,
esplorai la pianura autunnale
dall'abbaino secentista, ovale,
a telaietti fitti, ove la trama
del vetro deformava il panorama
come un antico smalto innaturale.

Non vero (e bello) come in uno smalto
a zone quadre, apparve il Canavese:
Ivrea turrita, i colli di Montalto,
la Serra dritta, gli alberi, le chiese;
e il mio sogno di pace si protese
da quel rifugio luminoso ed alto.

Ecco - pensavo - questa è l'Amarena,
ma laggiù, oltre i colli dilettosi,
c'è il Mondo: quella cosa tutta piena
di lotte e di commerci turbinosi,
la cosa tutta piena di quei "cosi
con due gambe" che fanno tanta pena...

L'Eguagliatrice numera le fosse,
ma quelli vanno, spinti da chimere
vane, divisi e suddivisi a schiere
opposte, intesi all'odio e alle percosse:
così come ci son formiche rosse,
così come ci son formiche nere...

Schierati al sole o all'ombra della Croce,
tutti travolge il turbine dell'oro;
o Musa - oimè! - che può giovare loro
il ritmo della mia piccola voce?
Meglio fuggire dalla guerra atroce
del piacere, dell'oro, dell'alloro...

L'alloro... Oh! Bimbo semplice che fui,
dal cuore in mano e dalla fronte alta!
Oggi l'alloro è premio di colui
che tra clangor di buccine s'esalta,
che sale cerretano alla ribalta
per far di sé favoleggiar altrui...

"Avvocato, non parla: che cos'ha?"
"Oh! Signorina! Penso ai casi miei,
a piccole miserie, alla città...
Sarebbe dolce restar qui, con Lei!..."
"Qui, nel solaio?..." - "Per l'eternità!"
"Per sempre? Accetterebbe?..." - "Accetterei!"

Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
e prigioniero. Stavasi in riposo
alla parete: il segno spaventoso
chiuso tra l'ali ripiegate a tetto.
Come lo vellicai sul corsaletto
si librò con un ronzo lamentoso.

"Che ronzo triste!" - "é la Marchesa in pianto...
La Dannata sarà che porta pena..."
Nulla s'udiva che la sfinge in pena
e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto:
O mio carino tu mi piaci tanto,
siccome piace al mar una sirena...

Un richiamo s'alzò, querulo e roco:
"é Maddalena inqueta che si tardi:
scendiamo; è l'ora della cena!". - "Guardi,
guardi il tramonto, là... Com'è di fuoco!...
Restiamo ancora un poco!" - "Andiamo, è tardi!"
"Signorina, restiamo ancora un poco!..."

Le fronti al vetro, chini sulla piana,
seguimmo i neri pippistrelli, a frotte;
giunse col vento un ritmo di campana,
disparve il sole fra le nubi rotte;
a poco a poco s'annunciò la notte
sulla serenità canavesana...

"Una stella!..." - "Tre stelle!..." - "Quattro stelle!..."
"Cinque stelle!" - "Non sembra di sognare?..."
Ma ti levasti su quasi ribelle
alla perplessità crepuscolare:
"Scendiamo! é tardi: possono pensare
che noi si faccia cose poco belle..."

V.
Ozi beati a mezzo la giornata,
nel parco dei marchesi, ove la traccia
restava appena dell'età passata!
Le Stagioni camuse e senza braccia,
fra mucchi di letame e di vinaccia,
dominavano i porri e l'insalata.

L'insalata, i legumi produttivi
deridevano il busso delle aiole;
volavano le pieridi nel sole
e le cetonie e i bombi fuggitivi...
Io ti parlavo, piano, e tu cucivi
innebriata dalle mie parole.

"Tutto mi spiace che mi piacque innanzi!
Ah! Rimanere qui, sempre, al suo fianco,
terminare la vita che m'avanzi
tra questo verde e questo lino bianco!
Se Lei sapesse come sono stanco
delle donne rifatte sui romanzi!

Vennero donne con proteso il cuore:
ognuna dileguò, senza vestigio.
Lei sola, forse, il freddo sognatore
educherebbe al tenero prodigio:
mai non comparve sul mio cielo grigio
quell'aurora che dicono: l'Amore..."

Tu mi fissavi... Nei begli occhi fissi
leggevo uno sgomento indefinito;
le mani ti cercai, sopra il cucito,
e te le strinsi lungamente, e dissi:
"Mia cara Signorina, se guarissi
ancora, mi vorrebbe per marito?".

"Perché mi fa tali discorsi vani?
Sposare, Lei, me brutta e poveretta!..."
E ti piegasti sulla tua panchetta
facendo al viso coppa delle mani,
simulando singhiozzi acuti e strani
per celia, come fa la scolaretta.

Ma, nel chinarmi su di te, m'accorsi
che sussultavi come chi singhiozza
veramente, né sa più ricomporsi:
mi parve udire la tua voce mozza
da gli ultimi singulti nella strozza:
"Non mi ten...ga mai più... tali dis...corsi!"

"Piange?" E tentai di sollevarti il viso
inutilmente. Poi, colto un fuscello,
ti vellicai l'orecchio, il collo snello...
Già tutta luminosa nel sorriso
ti sollevasti vinta d'improvviso,
trillando un trillo gaio di fringuello.

Donna: mistero senza fine bello!

VI.
Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi
luceva una blandizie femminina;
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina;
e più d'ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Unire la mia sorte alla tua sorte
per sempre, nella casa centenaria!
Ah! Con te, forse, piccola consorte
vivace, trasparente come l'aria,
rinnegherei la fede letteraria
che fa la vita simile alla morte...

Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d'essere un poeta!

Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t'han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi... E non mediti Nietzsche...
Mi piaci. Mi faresti più felice
d'un'intellettuale gemebonda...

Tu ignori questo male che s'apprende
in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
tutta beata nelle tue faccende.
Mi piace. Penso che leggendo questi
miei versi tuoi, non mi comprenderesti,
ed a me piace chi non mi comprende.

Ed io non voglio più essere io!
Non più l'esteta gelido, il sofista,
ma vivere nel tuo borgo natio,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
come tuo padre, come il farmacista...

Ed io non voglio più essere io!

VII.
Il farmacista nella farmacia
m'elogiava un farmaco sagace:
"Vedrà che dorme le sue notti in pace:
un sonnifero d'oro, in fede mia!"
Narrava, intanto, certa gelosia
con non so che loquacità mordace.

"Ma c'è il notaio pazzo di quell'oca!
Ah! quel notaio, creda: un capo ameno!
La Signorina è brutta, senza seno,
volgaruccia, Lei sa, come una cuoca...
E la dote... la dote è poca, poca:
diecimila, chi sa, forse nemmeno..."

"Ma dunque?" - "C'è il notaio furibondo
con Lei, con me che volli presentarla
a Lei; non mi saluta, non mi parla..."
"é geloso?" - "Geloso! Un finimondo!..."
"Pettegolezzi!..." - "Ma non Le nascondo
che temo, temo qualche brutta ciarla..."

"Non tema! Parto." - "Parte? E va lontana?"
"Molto lontano... Vede, cade a mezzo
ogni motivo di pettegolezzo..."
"Davvero parte? Quando?" - "In settimana..."
Ed uscii dall'odor d'ipecacuana
nel plenilunio settembrino, al rezzo.

Andai vagando nel silenzio amico,
triste perduto come un mendicante.
Mezzanotte scoccò, lenta, rombante
su quel dolce paese che non dico.
La Luna sopra il campanile antico
pareva "un punto sopra un I gigante".

In molti mesti e pochi sogni lieti,
solo pellegrinai col mio rimpianto
fra le siepi, le vigne, i castagneti
quasi d'argento fatti nell'incanto;
e al cancello sostai del camposanto
come s'usa nei libri dei poeti.

Voi che posate già sull'altra riva,
immuni dalla gioia, dallo strazio,
parlate, o morti, al pellegrino sazio!
Giova guarire? Giova che si viva?
O meglio giova l'Ospite furtiva
che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio?

A lungo meditai, senza ritrarre
la tempia dalle sbarre. Quasi a scherno
s'udiva il grido delle strigi alterno...
La Luna, prigioniera fra le sbarre,
imitava con sue luci bizzarre
gli amanti che si baciano in eterno.

Bacio lunare, fra le nubi chiare
come di moda settant'anni fa!
Ecco la Morte e la Felicità!
L'una m'incalza quando l'altra appare;
quella m'esilia in terra d'oltremare,
questa promette il bene che sarà...

VIII.
Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell'estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti da bei colchici lilla.

Forse vedendo il bel fiore malvagio
che i fiori uccide e semina le brume,
le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
accompagnarmi loro nel costume.

"Viaggio con le rondini stamane..."
"Dove andrà?" - "Dove andrò? Non so... Viaggio,
viaggio per fuggire altro viaggio...
Oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell'Atlantico selvaggio...

Signorina, s'io torni d'oltremare,
non sarà d'altri già? Sono sicuro
di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l'altare?"
E vidi la tua bocca sillabare
a poco a poco le sillabe: giuro.

Giurasti e disegnasti una ghirlanda
sul muro, di viole e di saette,
coi nomi e con la data memoranda:
trenta settembre novecentosette...
Io non sorrisi. L'animo godette
quel romantico gesto d'educanda.

Le rondini garrivano assordanti,
garrivano garrivano parole
d'addio, guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti...
Tu seguivi gli stormi lontananti
ad uno ad uno per le vie del sole...

"Un altro stormo s'alza!..." - "Ecco s'avvia!"
"Sono partite..." - "E non le salutò!..."
"Lei devo salutare, quelle no:
quelle terranno la mia stessa via:
in un palmeto della Barberia
tra pochi giorni le ritroverò..."

Giunse il distacco, amaro senza fine,
e fu il distacco d'altri tempi, quando
le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
singhiozzavano forte, salutando
diligenze che andavano al confine...

M'apparisti così come in un cantico
del Prati, lacrimante l'abbandono
per l'isole perdute nell'Atlantico;
ed io fui l'uomo d'altri tempi, un buono
sentimentale giovine romantico...

Quello che fingo d'essere e non sono!
Guido Gozzano

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Le due strade
Tra le bande verdi gialle d'innumeri ginestre
la bella strada alpestre scendeva nella valle.

Andavo con l'Amica, recando nell'ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica;

quando nel lento oblio, rapidamente in vista
apparve una ciclista a sommo del pendio.

Ci venne incontro; scese. «Signora! Sono Grazia!»
sorrise nella grazia dell'abito scozzese.

«Graziella, la bambina?» – «Mi riconosce ancora?»
«Ma certo!» E la Signora baciò la Signorina.

La piccola Graziella! Diciott'anni? Di già?
La Mamma come sta? E ti sei fatta bella!

«La piccola Graziella, così cattiva e ingorda!...»
«Signora, si ricorda quelli anni?» – «E così bella

vai senza cavalieri in bicicletta?» – «Vede...»
«Ci segui un tratto a piede?» – «Signora, volentieri...»

«Ah! ti presento, aspetta, l'Avvocato, un amico
caro di mio marito... Dagli la bicicletta.»

Sorrise e non rispose. Condussi nell'ascesa
la bicicletta accesa d'un gran mazzo di rose.

E la Signora scaltra e la bambina ardita
si mossero: la vita una allacciò dell'altra.

Adolescente l'una nelle gonnelle corte,
eppur già donna: forte bella vivace bruna

e balda nel solino dritto, nella cravatta,
la gran chioma disfatta nel tocco da fantino.

Ed io godevo senza parlare, con l'aroma
degli abeti, l'aroma di quell'adolescenza.

– O via della salute, o vergine apparita,
o via tutta fiorita di gioie non mietute,

forse la buona via saresti al mio passaggio,
un dolce beveraggio alla malinconia.

O bimba, nelle palme tu chiudi la mia sorte;
discendere alla Morte come per rive calme,

discendere al Niente pel mio sentiere umano,
ma avere te per mano, o dolce sorridente! –

Così dicevo senza parola. E l'Altra intanto
vedevo: triste accanto a quell'adolescenza!

Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
colei che vide al gioco la piccola Graziella.

Belli i belli occhi strani della bellezza ancora
d'un fiore che disfiora e non avrà domani.

Al freddo che s'annunzia piegan le rose intatte,
ma la donna combatte nell'ultima rinunzia.

O pallide leggiadre mani per voi trascorse-
ro gli anni! Gli anni, forse, gli anni di mia Madre!

Sotto l'aperto cielo, presso l'adolescente
come terribilmente m'apparve lo sfacelo!

Nulla fu più sinistro che la bocca vermiglia
troppo, le tinte ciglia e l'opera del bistro

intorno all'occhio stanco, la piega di quei labri,
l'inganno dei cinabri sul volto troppo bianco,

gli accesi dal veleno biondissimi capelli:
in altro tempo belli d'un bel biondo sereno.

Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
colei che vide al gioco la piccola Graziella.

– O mio cuore che valse la luce mattutina
raggiante sulla china tutte le strade false?

Cuore che non fioristi, è vano che t'affretti
verso miraggi schietti, in orti meno tristi.

Tu senti che non giova all'uomo soffermarsi,
gittare i sogni sparsi per una vita nuova.

Discenderai al niente pel tuo sentiere umano
e non avrai per mano la dolce sorridente,

ma l'altro beveraggio avrai fino alla morte:
il tempo è già più forte di tutto il tuo coraggio. –

Queste pensavo cose, guidando nell'ascesa
la bicicletta accesa d'un gran mazzo di rose.

Erano folti intorno gli abeti nell'assalto
dei greppi fino all'alto nevaio disadorno.

I greggi, sparsi a picco, in gran tinniti e mugli
brucavano ai cespugli di menta il latte ricco;

e prossimi e lontani univan sonnolenti
al ritmo dei torrenti un ritmo di campani.

– Lungi i pensieri foschi! Se non verrà l'amore –
che importa? Giunge al cuore il buono odor dei boschi:

di quali aromi opimo odore non si sa:
di resina? di timo? e di serenità?... –

Sostammo accanto a un prato e la Signora china
baciò la Signorina, ridendo nel commiato:

«Bada che aspetterò, che aspetteremo te;
si prende un po' di the, si maledice un po'...»

«Verrò, Signora, grazie!» Dalle mie mani in fretta
prese la bicicletta. E non mi disse grazie.

Non mi parlò. D'un balzo salì, prese l'avvio;
la macchina il fruscìo ebbe d'un piede scalzo,

d'un batter d'ali ignote, come seguita a lato
da un non so che d'alato volgente con le ruote.

Restammo alle sue spalle. La strada, come un nastro
sottile d'alabastro, scendeva nella valle.

Volò, come sospesa la bicicletta snella:
«O piccola Graziella, attenta alla discesa!».

«Signora! arrivederla!» Gridò di lungi, ai venti:
di lungi ebbero i denti un balenio di perla.

Graziella è lungi. Vola vola la bicicletta:
«Amica! E non m'ha detta una parola sola!».

«Te ne duole?» – «Chi sa!» – «Fu taciturna, amore,
per te, come il Dolore...» – «O la Felicità!»

E seguitai l'amica, recando nell'ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica.
Guido Gozzano

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


L'aquilone
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:

un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...

sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.

S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.

S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?

Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...

A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.

Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!

Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore

ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda

tua madre... adagio, per non farti male.
Giovanni Pascoli

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Davanti San Guido
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e - Ben torni omai -
Bisbigliaron vèr me co 'l capo chino -
Perché non scendi? perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh si èditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido così?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!-

- Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d'un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei -
Guardando io rispondeva - oh di che cuore!

Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
Or non è più quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.

E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù;
Non son più, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro più.

E massime a le piante. - Un mormorio
Pe' dubitanti vertici ondeggiò,
E il dì cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe' parole:
- Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se'.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare
L'umana tua tristezza e il vostro duol;
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!

E come questo occaso è pien di voli,
Com'è allegro de' passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

I rei fantasmi che da' fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l'ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l'ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co 'l lor bianco velo;

E Pan l'eterno che su l'erme alture
A quell'ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. -

Ed io - Lontano, oltre Appennin, m'aspetta
La Tittì - rispondea -; lasciatem'ire.
è la Tittì come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! -

- Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? -
E fuggìano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giù de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch'è sì sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co 'l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.

O nonna, o nonna! deh com'era bella
Quand'ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest'uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!

- Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. -

Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor! Proprio così.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano,è forse qui,

Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi più:
Forse, nonna,è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.

Ansimando fuggìa la vaporiera
Mentr'io così piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Giosuè Carducci

La poesia prende spunto da un viaggio in treno compiuto dallo stesso Carducci per tornare a Bologna.
Durante il percorso, nel cuore della Maremma toscana, il poeta ricorda i luoghi dell'infanzia,
  con i cipressi alti e superbi che da Bolgheri vanno a San Guido in doppia fila.

I momenti dell'infanzia, ricordati dalla visione dei cipressi e, per ultimo, dall'immagine di Nonna Lucia,
si contrappongono al viaggio del poeta verso Bologna, dove l'aspetta la Tittì, la sua cara bambina

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Traversando la Maremma Toscana
Dolce paese, onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo, e il cor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò. Ma di lontano

pace dicono al cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le pioggie mattutine.
Giosuè Carducci

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


A Luigia Pallavicini caduta da cavallo
I balsami beati
Per te Grazie apprestino,
Per te i lini odorati
Che a Citerea porgeano
Quando profano spino 5
Le punse il piè divino,

Quel dì che insana empiea
Il sacro Ida di gemiti,
E col crine tergea
E bagnava di lacrime 10
Il sanguinoso petto
Al Ciprio giovinetto.

Or te piangon gli amori,
Te fra le dive Liguri
Regina e diva! e fiori 15
Votivi all’ara portano
D’onde il grand’arco suona
Del figlio di Latona.

E te chiama la danza
Ove l’aure portavano 20
Insolita fragranza,
Allor che a’ nodi indocile
La chioma al roseo braccio
Ti fu gentile impaccio.

Tal nel lavacro immersa, 25
Che fior, dall’Eliconio
Clivo cadendo, versa,
Palla dall’elmo i liberi
Crin su la man che gronda
Contien fuori dell’onda. 30

Armonïosi accenti
Dal tuo labbro volavano,
E dagli occhi ridenti
Traluceano di Venere
 I disdegni e le paci, 35
La speme, il pianto e i baci.

Deh! perchè hai le gentili
Forme e l’ingegno docile
Vôlto a studi virili?
Perchè non dell’Aonie 40
Seguivi, incauta, l’arte,
Ma i ludi aspri di Marte?

Invan presaghi i venti
Il polveroso agghiacciano
 Petto e le reni ardenti 45
Dell’inquïeto alipede,
Ed irritante il morso
Accresce impeto al corso.

Ardon gli sguardi, fuma
 La bocca, agita l’ardua 50
Testa, vola la spuma,
Ed i manti volubili
Lorda, e l’incerto freno,
Ed il candido seno;

E il sudor piove, e i crini 55
Sul collo irti svolazzano,
Suonan gli antri marini
Allo incalzato scalpito
Della zampa che caccia
Polve e sassi in sua traccia. 60

Già dal lito si slancia
Sordo ai clamori e al fremito;
Già già fino alla pancia
Nuota . . . e ingorde si gonfiano
Non più memori l’acque 65
Che una Dea da lor nacque:

Se non che il Re dell’onde,
Dolente ancor d’Ippolito,
Surse per le profonde
Vie dal Tirreno talamo, 70
E respinse il furente
Col cenno onnipotente.

Quel dal flutto arretrosse
Ricalcitrando, e, orribile!
Sovra l’anche rizzosse; 75
Scuote l’arcion, te misera
Su la pietrosa riva
Strascinando mal viva.

Pera chi osò primiero
Discortese commettere 80
A infedele corsiero
L’agil fianco femineo,
E aprì con rio consiglio
Nuovo a beltà periglio!

Chè or non vedrei le rose 85
 Del tuo volto sì languide;
Non le luci amorose
Spïar ne’ guardi medici
Speranza lusinghiera
Della beltà primiera. 90

Di Cintia il cocchio aurato
Le cerve un dì traéno,
Ma al ferino ululato
Per terrore insanirono,
E dalla rupe etnea 95
Precipitâr la Dea.

Gioìan d’invido riso
Le abitatrici olimpie,
Perchè l’eterno viso,
Silenzïoso e pallido, 100
Cinto apparìa d’un velo
Ai conviti del cielo;

Ma ben piansero il giorno
Che dalle danze efesie
Lieta facea ritorno 105
Fra le devote vergini,
E al ciel salìa più bella
Di Febo la sorella.
Ugo Foscolo - Le odi I (1803)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


A Venezia
(Ode scritta alla vigilia della resa di Venezia il 19 Agosto 1849 nell'isola del Lazzaretto Vecchio,
dove l'autore si trovava di guarnigione)

È fosco l’aere
Il cielo è muto
Ed io sul tacito
Veron seduto
In solitaria
Malinconia
Ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!

Fra i rotti nugoli
Dell’occidente
Il raggio pèrdersi
Del sol morente,
E mesto sibila
Per l’aria bruna
L’ultimo gemito
Della laguna.

Passa una gondola
Della città.
Ehi dalla gondola,
Qual novità?-
Il morbo infuria,
Il pan ci manca
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!-

No, non, non splendere
Su tanti guai,
Sole d’Italia,
Non splender mai;
E sulla veneta
Spenta fortuna
Si eterni il gemito
Della laguna

Venezia! L’ultima
Ora è venuta;
Illustre martire
Tu sei perduta…
Il morbo infuria
Il pan ci manca
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!…

Ma non le ignìvome
Palle roventi,
Né i mille fulmini
Su tre stridenti,
Troncaro ai liberi
Tuoi dì lo stame…
Viva Venezia!
Muore di fame!

Sulle tue pagine
Scolpisci, o Storia,
L’altrui nequizie
E la sua gloria,
E grida ai posteri
Tre volte infame
Chi vuol Venezia
Morta di fame!

Viva Venezia!
L’ira nemica
La sua risuscita
Virtude antica.
Ma il morbo infuria
Ma il pan ci manca…
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!

Ed ora infrangasi
Qui, sulla pietra,
Finché è ancor libera
Questa mia cetra,
A te, Venezia,
L’ultimo canto,
L’ultimo bacio,
L’ultimo pianto!

Ramingo ed esule
In suol straniero,
Vivrai Venezia,
Nel mio pensiero;
Vivrai nel tempio
Qui del mio core,
Come l’immagine
Del primo amore.

Ma il vento sibila,
Ma l’onda è scura,
Ma tutta in tenebre
E’ la natura.
Le corde stridono
La voce manca…
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!
Arnaldo Fusinato, Poesie patriottiche

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


All'amica risanata
Qual dagli antri marini
L’astro più caro a Venere
Co’ rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo vïaggio
Orna col lume dell’eterno raggio.

Sorgon così tue dive
Membra dall’egro talamo,
E in te beltà rivive,
L’aurea beltate ond’ebbero
Ristoro unico a’ mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa; tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidïando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de’ farmachi,
Oggi l’indica veste,
E i monili cui gemmano
Effigïati Dei
Inclito studio di scalpelli achei.

E i candidi coturni
E gli amuleti recano
Onde a’ cori notturni
Te, Dea, mirando obbliano
I garzoni le danze,
Te principio d’affanni e di speranze.

O quando l’arpa adorni
E co’ novelli numeri
E co’ molli contorni
Delle forme che facile
 Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto.

Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l’agile
Corpo all’aure fidando,
 Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.

All’agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
 Per ambrosia recente,
Mal fide all’aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con l’alma salute April ti manda.

Così ancelle d’Amore
A te d’intorno volano
Invidiate l’Ore;
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell’eterna pace.

Mortale guidatrice
D’oceanine vergini,
La Parrasia pendice
Tenea la casta Artemide,
E fea terror di cervi
Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi.

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l’Elisio
Soglio, ed il certo têlo,
E i monti, e il carro della luna in cielo.

Are così a Bellona,
Un tempo invitta amazzone,
Die’ il vocale Elicona;
Ella il cimiero e l’egida
Or contro l’Anglia avara
E le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
 Devota il simolacro,
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari
Ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu; Citera
E Cipro ove perpetua
Odora primavera
Regnò beata, e l’isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,
Ivi era ignudo spirito
Di Faon la fanciulla,
E se il notturno zeffiro
Blando su i flutti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira.

Ond’io, pien del nativo
Aër sacro, su l’itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie,
E avrai, divina, i voti
Fra gl’inni miei delle insubri nipoti.
Ugo Foscolo Le odi, II, (1803)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Canto notturno di un pastore errante dell' Asia
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
E' la vita mortale.

Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E' funesto a chi nasce il dì natale.
Giacomo Leopardi, canto XXIII

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Marzo 1821
Soffermati sull’arida sponda
Vòlti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: non fia che quest’onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!

L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
Già le sacre parole son porte;
O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol.

Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell’Orba selvosa
Scerner l’onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella
E dell’Oglio le miste correnti,
Chi ritorgliergli i mille torrenti
Che la foce dell’Adda versò,

Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor;
Una gente che libera tutta
O fia serva tra l’Alpe ed il mare;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.

Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto
Con che stassi un mendico sofferto
Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo:
L’altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato un segreto d’altrui;
La sua parte servire e tacer.

O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de’ barbari piè?

O stranieri! sui vostri stendardi
Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
V’accompagna a l’iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
Ogni gente sia libera e pèra
Della spada l’iniqua ragion.

Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de’ vostri oppressori,
Se la faccia d’estranei signori
Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?

Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio ed il colpo guidò;
Quel che è Padre di tutte le genti,
Che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
Spiega l’ugne; l’Italia ti do.

Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio;
Dove ancor dell’umano lignaggio
Ogni speme deserta non è:
Dove già libertade è fiorita,
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un’alta sventura,
Non c’è cor che non batta per te.

Quante volte sull’alpe spïasti
L’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
Stretti intorno ai tuoi santi colori,
Forti, armati dei propri dolori,
I tuoi figli son sorti a pugnar.

Oggi, o forti, sui volti baleni
Il furor delle menti segrete:
Per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito dei popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
Sotto l’orrida verga starà.

Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d’altrui,
Come un uomo straniero, le udrà!
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: «io non c’era»;
Che la santa vittrice bandiera
Salutata quel dì non avrà.
Alessandro Manzoni

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Coro dell’atto terzo dell'Adelchi
ripristinato nella sua originaria integrità

(I versi in corsivo sono quelli che mancano all’Adelchi,
quale venne pubblicato vivente l’autore,
in obbedienza ai voleri della Censura austriaca.)

Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de’ padri la fiera virtù:
Ne’ guardi, ne’ volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d’un tempo che fu.

È il volgo gravato dal nome latino
Che un’empia vittoria conquise e tien chino
Sul suol che i trionfi degli avi portò;
Che, in torbida voce, qual gregge predato,
Dall’Erulo avaro nel Goto spietato,
Nel Vinnulo errante, dal Greco passò.

S’aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Era tema e desire, s’avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De’ crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;
E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.

E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
E sogna la fine del duro servir.

Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.

Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all’addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de’ pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell’armi le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d’amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz’orma le corse affannose,
Il rigido impero, le fami durar:
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le freccie fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
Por fine ai dolori d’un volgo stranier?
Se il petto dei forti premea simil cura,
Di tanto apparecchio, di tanta pressura,
Di tanto cammino, non era mestier.

Son donni pur essi di lurida plebe,
Inerme, pedestre, dannata alle glebe,
Densata nei chiusi di vinte città.
A frangere il giogo che i miseri aggrava,
Un motto dal labbro dei forti bastava;
Ma il labbro dei forti proferto non l’ha.

Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Stringetevi insieme l’oppresso all’oppresso,
Di vostre speranze parlate sommesso,
Dormite fra i sogni giocondi d’error.

Domani, al destarvi, tornando infelici,
Saprete che il forte sui vinti nemici
I colpi sospese, che un patto troncò.
Che regnano insieme, che sparton le prede,
Si stringon le destre, si danno la fede,
Che il donno, che il servo, che il nome restò.
Alessandro Manzoni

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

 

 

Per le nozze della sorella Paolina
Poi che del patrio nido
I silenzi lasciando, e le beate
Larve e l’antico error, celeste dono,
Ch’abbella agli occhi tuoi quest’ermo lido,
Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l’obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi
E luttuosi tempi
L’infelice famiglia all’infelice
Italia accrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L’empio fato interdice
All’umana virtude,
Nè pura in gracil petto alma si chiude.

O miseri o codardi
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell’umane cose,
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr’ogni cura,
Che di fortuna amici
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell’età futura:
Poiché (nefando stile,
Di schiatta ignava e finta)
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.

Donne, da voi non poco
La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell’umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s’inchina.
Ragion di nostra etate
Io chieggo a voi. La santa
Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe?

Ad atti egregi è sprone
Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto
Maestra è la beltà. D’amor digiuna
Siede l’alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L’olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,
O verginette, a voi
Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno
E’ della patria e che sue brame e suoi
Volgari affetti in basso loco pose,
Odio mova e disdegno;
Se nel femmineo core
D’uomini ardea, non di fanciulle, amore.

Madri d’imbelle prole
V’incresca esser nomate. I danni e il pianto
Della virtude a tollerar s’avvezzi
La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Agli avi suoi deggia la terra impari.
Qual de’ vetusti eroi
Tra le memorie e il grido
Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Finché la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome
Sul corpo esangue e nudo
Quando e’ reddia nel conservato scudo.

Virginia, a te la molle
Gota molcea con le celesti dita
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
Nella stagion ch’ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,
E all’Erebo scendesti
Volonterosa. A me disfiori e scioglia
Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti,
Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto
Del tiranno m’accoglia.
E se pur vita e lena
Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.

O generosa, ancora
Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole
Ch’oggi non fa, pur consolata e paga
E’ quella tomba cui di pianto onora
L’alma terra nativa. Ecco alla vaga
Tua spoglia intorno la romulea prole
Di nova ira sfavilla. Ecco di polve
Lorda il tiranno i crini;
E libertade avvampa
Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s’accampa
Dal buio polo ai torridi confini.
Così l’eterna Roma
In duri ozi sepolta
Femmineo fato avviva un’altra volta.
Giacomo Leopardi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

 

Ad Angelo Mai
Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de' nostri,
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t'infonde,
Italo egregio, il fato? O con l'umano
Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de' numi alto consiglio
Non è ch'ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de' padri. Ancora è pio
Dunque all'Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch'essendo questa o nessun'altra poi
L'ora da ripor mano alla virtude
Rugginosa dell'itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s'a questa età sì tarda
Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
Di noi serbate, o gloriosi, ancora
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne ledi
Nè rossor più nè invidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
Paion que' giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
Magnanimi allegràr d'Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura
La ruina d'Italia, anco sdegnosi
Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo
Più faville rapia da questo suolo.
Eran calde le tue ceneri sante,
Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l`averno che la terra amico.
L'averno: e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
L'italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n'addolora
Del tedio che n'affoga. Oh te beato,
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
Immoto siede, e su la tomba, il nulla.
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
Ligure ardita prole,
Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti
Cui strider l'onde all'attuffar del sole
Parve udir su la sera, agl'infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L'etra sonante e l'alma terra e il mare
Al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell'ignoto ricetto
D'ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto
Della giovane Aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s'apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de' nostri affanni.
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,
Cantor vago dell'arme e degli amori,
Che in età della nostra assai men trista
Empièr la vita di felici errori:
Nova speme d'Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde
La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri
Si componea l'umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo
Veder che tutto è vano altro che il duolo.
O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa
Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l'alma t'avean, ch'era sì calda,
Cinta l'odio e l'immondo
Livor privato e de' tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T'abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,
Se d'angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
E peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,
Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
Ha nome di follia;
Nè livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de' carmi, il computar s'ascolta
Ti appresterebbe il lauro un'altra volta?
Da te fino a quest'ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,
Pari all'italo nome, altro ch'un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,
Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
E questo vano campo all'ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena
Scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata
Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti
Da mediocrità: sceso il sapiente
E salita è la turba a un sol confine,
Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Segui; risveglia i morti,
Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.
Giacomo Leopardi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


L'innesto del vaiuolo
Al dottore Giammaria Bicetti De’ Buttinoni

O Genovese ove ne vai? qual raggio
Brilla di speme su le audaci antenne?
Non temi oimè le penne
Non anco esperte degli ignoti venti?
Qual ti affida coraggio 5
All’intentato piano
De lo immenso oceano?
Senti le beffe dell’Europa, senti
Come deride i tuoi sperati eventi.

Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice, 10
Che natura ponesse all’uom confine
Di vaste acque marine,
Se gli diè mente onde lor freno imporre:
E dall’alta pendice
Insegnolli a guidare 15
I gran tronchi sul mare,
E in poderoso canape raccorre
I venti, onde su l’acque ardito scorre.

Così l’eroe nocchier pensa, ed abbatte
I paventati d’Ercole pilastri; 20
Saluta novelli astri;
E di nuove tempeste ode il ruggito.
Veggon le stupefatte
Genti dell’orbe ascoso
Lo stranier portentoso. 25
Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito
All’Europa, che il beffa ancor sul lito.

Più dell’oro, bicetti, all’Uomo è cara
Questa del viver suo lunga speranza:
Più dell’oro possanza 30
Sopra gli animi umani ha la bellezza.
E pur la turba ignara
Or condanna il cimento,
Or resiste all’evento
Di chi ’l doppio tesor le reca; e sprezza 35
I novi mondi al prisco mondo avvezza.

Come biada orgogliosa in campo estivo,
Cresce di santi abbracciamenti il frutto.
Ringiovanisce tutto
Nell’aspetto de’ figli il caro padre; 40
E dentro al cor giulivo
Contemplando la speme
De le sue ore estreme,
Già cultori apparecchia artieri e squadre
A la patria d’eroi famosa madre. 45

Crescete o pargoletti: un dì sarete
Tu forte appoggio de le patrie mura,
E tu soave cura,
E lusinghevol’ esca ai casti cori.
Ma, oh dio, qual falce miete 50
De la ridente messe
Le sì dolci promesse?
O quai d’atroce grandine furori
Ne sfregiano il bel verde e i primi fiori?

Fra le tenere membra orribil siede 55
Tacito seme: e d’improvviso il desta
Una furia funesta
De la stirpe degli uomini flagello.
Urta al di dentro, e fiede
Con lièvito mortale; 60
E la macchina frale
O al tutto abbatte, o le rapisce il bello,
Quasi a statua d’eroe rival scarpello.

Tutti la furia indomita vorace
Tutti una volta assale ai più verd’anni: 65
E le strida e gli affanni
Dai tugurj conduce a’ regj tetti;
E con la man rapace
Ne le tombe condensa
Prole d’uomini immensa. 70
Sfugge taluno è vero ai guardi infetti;
Ma palpitando peggior fato aspetti.

Oh miseri! che val di medic’ arte
Nè studj oprar nè farmachi nè mani?
Tutti i sudor son vani 75
Quando il morbo nemico è su la porta;
E vigor gli comparte
De la sorpresa salma
La non perfetta calma.
Oh debil’ arte, oh mal secura scorta, 80
Che il male attendi, e no ’l previeni accorta!

Già non l’attende in orïente il folto
Popol che noi chiamiam barbaro e rude;
Ma sagace delude
Il fiero inevitabile demòne. 85
Poichè il buon punto ha colto
Onde il mostro conquida,
Coraggioso lo sfida;
E lo astrigne ad usar ne la tenzone
L’armi, che ottuse tra le man gli pone. 90

Del regnante velen spontaneo elegge
Quel ch’è men tristo; e macolar ne suole
La ben amata prole,
Che non più recidiva in salvo torna.
Però d’umano gregge 95
Va Pechino coperto;
E di femmineo merto
Tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna
Ove la Dea di Cipri orba soggiorna.

O Montegù, qual peregrina nave, 100
Barbare terre misurando e mari,
E di popoli varj
Diseppellendo antiqui regni e vasti,
E a noi tornando grave
Di strana gemma e d’auro, 105
Portò sì gran tesauro,
Che a pareggiare non che a vincer basti
Quel, che tu dall’Eussino a noi recasti?

Rise l’Anglia la Francia Italia rise
Al rammentar del favoloso Innesto: 110
E il giudizio molesto
De la falsa ragione incontro alzosse.
In van l’effetto arrise
A le imprese tentate;
Chè la falsa pietate 115
Contro al suo bene e contro al ver si mosse,
E di lamento femminile armosse.

Ben fur preste a raccor gl’infausti doni
Che, attraversando l’oceàno aprico,
Lor condusse Americo; 120
E ad ambe man li trangugiaron pronte.
De’ lacerati troni
Gli avanzi sanguinosi,
E i frutti velenosi
Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte 125
De la vita succhiar spasimi ed onte.

Tal del folle mortal tale è la sorte:
Contra ragione or di natura abusa;
Or di ragion mal usa
Contra natura che i suoi don gli porge. 130
Questa a schifar la morte
Insegnò madre amante
A un popolo ignorante;
E il popol colto, che tropp’alto scorge,
Contro ai consigli di tal madre insorge. 135

Sempre il novo, ch’è grande, appar menzogna,
Mio Bicetti, al volgar debile ingegno:
Ma imperturbato il regno
De’ saggi dietro all’utile s’ostina.
Minaccia nè vergogna 140
No ’l frena, no ’l rimove;
Prove accumula a prove;
Del popolare error l’idol rovina,
E la salute ai posteri destina.

Così l’Anglia la Francia Italia vide 145
Drappel di saggi contro al vulgo armarse.
Lor zelo indomit’ arse,
E di popolo in popolo s’accese.
Contro all’armi omicide
Non più debole e nudo; 150
Ma sotto a certo scudo
Il tenero garzon cauto discese,
E il fato inesorabile sorprese.

Tu sull’orme di quelli ardito corri
Tu pur, Bicetti; e di combatter tenta 155
La pietà violenta
Che a le Insubriche madri il core implica.
L’umanità soccorri;
Spregia l’ingiusto soglio
Ove s’arman d’orgoglio 160
La superstizïon del ver nemica,
E l’ostinata folle scola antica.

Quanta parte maggior d’almi nipoti
Coltiverà nostri felici campi!
E quanta fia che avvampi 165
D’industria in pace o di coraggio in guerra!
Quanta i soavi moti
Propagherà d’amore,
E desterà il languore
Del pigro Imene, che infecondo or erra 170
Contro all’util comun di terra in terra!

Le giovinette con le man di rosa
Idalio mirto coglieranno un giorno:
All’alta quercia intorno
I giovinetti fronde coglieranno; 175
E a la tua chioma annosa,
Cui per doppio decoro
Già circonda l’alloro,
Intrecceran ghirlande, e canteranno:
Questi a morte ne tolse o a lungo danno. 180

Tale il nobile plettro infra le dita
Mi profeteggia armonïoso e dolce,
Nobil plettro che molce
Il duro sasso dell’umana mente;
E da lunge lo invita 185
Con lusinghevol suono
Verso il ver, verso il buono;
Nè mai con laude bestemmiò nocente
O il falso in trono o la viltà potente.
Giuseppe Parini - Odi (1761)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Carlo Goldoni
O Terenzio de l’Adria, al cui pennello
Diè Italia serva i vindici colori,
Onde si parve a quanti frutti e fiori
Surga latino ingegno in suol rubello,

Vedi: pur là dove piú il retto e ’l bello
Eccitar di sé dee pubblici amori,
Ivi ebra l’arte piú di rei furori
Tra sanguinose scede or va in bordello.

Riedi; e i goti ricaccia. A questa putta
Strappa tu il culto oscen, rendi a le sparte
Chiome il tuo lauro che la fé sí bella.

Ma no; ch’oggi tu biasmo e onor la brutta
Schiera s’avrebbe. Oh per viltà novella
Quanto basso caduta italic’arte!
Giosuè Carducci, Juvenilia, XLII

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Il Giuramento di Pontida
L'han giurato li ho visti in Pontida
convenuti dal monte e dal piano.
L'han giurato e si strinser la mano
cittadini di venti città
Oh spettacol di gioia! I Lombardi
son concordi, serrati a una Lega.
Lo straniero al pennon ch'ella spiega
col suo sangue la tinta darà.
Più sul cener dell'arso abituro
la lombarda scorata non siede.
Ella è sorta. Una patria ella chiede
ai fratelli, al marito guerrier.
L'han giurato. Voi donne frugali,
rispettate, contente agli sposi,
voi che i figli non guardan dubbiosi,
voi ne' forti spiraste il voler.
Perchè ignoti che qui non han padri
qui staran come in proprio retaggio?
Una terra, un costume, un linguaggio
Dio lor anco non diede a fruir?
La sua patria a ciascun fu divisa.
E' tal dono che basta per lui.
Maledetto chi usurpa l'altrui,
chi il suo dono si lascia rapir.
Sù Lombardi! Ogni vostro Comune
ha una torre, ogni torre una squilla:
suoni a stormo. Chi ha un feudo una villa
co' suoi venga al Comun ch'ei giurò
Ora il dado è gettato. Se alcuno
di dubbiezze ancora parla prudente,
se in suo cor la vittoria non sente,
in suo cuore a tradirvi pensò.
Federigo? Egli è un uom come voi.
Come il vostro è di ferro il suo brando.
Questi scesi con esso predando,
come voi veston carne mortal.
- Ma son mille più mila - Che monta?
Forse madri qui tante non sono?
Forse il braccio onde ai figli fer dono,
quanto il braccio di questi non val?
Su! Nell'irto increscioso allemanno,
su, lombardi, puntate la spada:
fare vostra la vostra contrada
questa bella che il cel vi sortì.
Vaghe figlie del fervido amore,
chi nell'ora dei rischi è codardo,
più da voi non isperi uno sguardo,
senza nozze consumi i suoi dì.
Presto, all'armi! Chi ha un ferro l'affili;
chi un sopruso patì sel ricordi.
Via da noi questo branco d'ingordi!
Giù l'orgoglio del fulvo lor sir
Libertà non fallisce ai volenti,
ma il sentier de' perigli ell'addita;
ma promessa a chi ponvi la vita
non è premio d'inerte desir.
Giusti anch'ei la sventura, e sospiri
l'allemanno i paterni suoi fuochi;
ma sia invan che il ritorno egli invochi,
ma qui sconti dolor per dolor.
Questa terra ch'ei calca insolente,
questa terra ei morda caduto;
a lei volga l'estremo saluto,
e sia il lagno dell'uomo che muor.
Giovanni Berchet

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


CARLO GOLDONI

I.
A te, porgente su l’argenteo Sile
Le braccia a l’avo da l’opima cuna,
Ne la festante ilarità senile
Parve la vita accorrere con una

Marïonetta in mano. Al sol d’aprile
Te fuggente la logica importuna
Presago accolse il comico navile
Veleggiando la tacita laguna.

E Florindi e Lindori e Pantaloni
Fûr la famiglia tua: d’entro i suoi scialli
Rosaura ti dicea — Bon dí, putelo — .

Fumavan su la tolda i maccheroni,
Su l’albero le scimmie e i pappagalli
Garrían. Su l’Adria ridea grande il cielo.


II.
Fortuna e vita girano il lor vario
Stil. Quando Marte del suo ferreo stampo
Italia offusca e al tuon de’ bronzi e al lampo
Fa di battaglia le città scenario,

Tu, da le mani del ladron sicario
Tragedo uscendo con sereno scampo,
Conduci a mendicar di campo in campo
L’eroica cecità di Belisario.

Oh errante con la moglie entro gli oscuri
Guadi e i passi dubbiosi ed i tremanti
Perigli de la notte, ecco il mattino!

Dal mondo de la luna ecco Arlecchino
Al brigadier di Spagna, e in note e canti
Maria Teresa a gli Ussari e a’ Panduri.


III.
Ecco, e tra i palchi onde l’oligarchia
Sputa in platea, Venezia, ecco da questo
Povero allegro venturier modesto
A te la scena popolar si cria.

La commedia de l’arte si dormia
Ebra vecchiarda; ed ei con un suo gesto
Le spiccò su dal fianco disonesto
La giovinetta verità giulía.

Poi tra i Baffi accosciati ne’ bordelli
Ed i Farsetti lividi al leggio
Da le gondole trasse e da’ campielli

La sanità plebea.... Tutto vanío
Come un stormo di migranti augelli
Senza gloria né pan. Venezia, addio!


IV.
Deh come grige pesano le brume
Su Lutezia che il verno discolora,
Mentre ancor de l’ottobre al dolce lume
Ride San Marco ed il Canal s’indora!

Ed ei pur di su ’l memore volume
Al suo passato risorride ancora,
E la vita e la scena ed il costume
Di cordïal giocondità rinfiora.

Ahi, la tragedia, orribil visïone,
Al gran comico autor chiude l’etate!
Cadde: e Venezia non vide finire

Piagnucolando come donna Cate,
E di palagio, come Pantalone
Dal reo Lelio cacciato, il doge uscire.
Giosuè Carducci, Rime e ritmi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

 

 

'Na predica de mamma
L'amichi? Te spalancheno le braccia
Fin che nun hai bisogno e fin che ci hai;
Ma si, Dio scampi, te ritrovi in guai,
Te sbatteno, fio mio, la porta in faccia.

Tu sei giovene ancora, e sta vitaccia
Nu' la conoschi; ma quanno sarai
Più granne, allora te n'accorgerai
Si a sto monno c'è fonno o c'è mollaccia.

No, fio mio bello, no, nun so' scemenze
Quer che te dice mamma, sti pensieri
Tietteli scritti qui, che so' sentenze;

Che ar monno, a sta Fajola d'assassini,
Lo vòi sapé' chi so' l'amichi veri?
Lo vòi sapé' chi so'? So' li quatrini.
Cesare Pascarella

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Un consiglio di mamma
Gli amici? Ti aprono le braccia
finché fai comodo e fintanto…che "hai";
però, dovessi trovarti nei guai
figlio mio, ti sbattono la porta in faccia.

Tu sei ancora giovane, e questa vitaccia
non la conosci; ma quando sarai
più grande, finalmente capirai
se il mondo è un campo fertile, o melmaccia.

Quel che dico non sono scemenze;
quel che ti dice mamma, i suoi pensieri
tienteli bene a mente: son sentenze.

Ché a questo mondo pieno di belluini
vuoi sapere chi son gli amici veri ?
Vuoi proprio saperlo? Sono i quattrini!
Cesare Pascarella   Traduzione di Armando Bettozzi
 

 

Lu labbru
Dimmi, dimmi, apuzza nica,
unni vai cussì matinu ?
Nun c'è cima chi arrussíca
di lu munti a nui vicinu.

Trema ancora, ancora luci
la ruggiada 'ntra li prati,
dun'accura nun ti arruci
l'ali d'oru dilicati !

Li ciuriddi durmigghiusi
'ntra li virdi so' buttuni
stannu ancora stritti e chiusi
cu li testi a pinnuluni.

Ma l'aluzza s'affatíca !
Ma tu voli e fai caminu !
Dimmi, dimmi, apuzza nica,
unni vai cussì matinu ?

Cerchi meli ? E s'iddu è chissu,
chiudi l'ali e 'un ti stancari;
ti lu 'nsignu un locu fissu
unni hai sempri chi sucari:

Lu canusci lu me' amuri,
Nici mia di l'occhi beddi ?
'Ntra ddi labbra c'è un sapuri,
'na dulcizza chi mai speddi.

'Ntra lu labbru culuritu
di lu caru amatu beni,
c'è lu meli chiù squisitu ...
suca, súcalu, ca veni !
Giovanni Meli, ode VI

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Il labbro
Dimmi, dimmi piccola ape:
dove vai di buon mattino?
Non c'è cima che rosseggia
del massiccio a noi vicino;

trema ancora, ancora brilla
la rugiada in mezzo ai prati:
fai attenzione a non bagnarti
le ali d'oro delicate!

Fiorellini sonnacchiosi
dentro i verdi lor bottoni
stanno ancora stretti e chiusi
con le teste penzoloni.

Ma l'aluccia s'affatica!
Ma tu voli e fai cammino!
Dimmi, dimmi, piccola ape,
dove vai di buon mattino?

Cerchi miele? E se è per questo
chiudi le ali e non stancarti;
io t'insegno un luogo certo
dove sempre hai da succhiare:

lo conosci l'amor mio,
Nice mia dagli occhi belli?
Tra le labbra ci ha un sapore,
un piacere senza fine;

sopra il labbro colorito
del mio caro, amato bene
resta il miele più squisito:
succhia, succhialo, che viene,
Giovanni Meli, ode VI   Traduzione di Santi Cardella
 

 

Li galoppini
Jeri; a la Pulinara, un colleggiale
doppo fatta una predica in todesco,
setacciò tutt'er popolo in du' sale,
e a la ppiú mmejjo vorze dà er rifresco.

In cuella fesce entracce er cardinale
co l'amichi der Micco e ppadron Fiesco;
e nnell'antra la ggente duzzinale
che vviaggia cor caval de san Francesco.

Pe sta sala che cquì de li spedati
comincionno a ppassà li cammorieri
pieni de sottocoppe de ggelati.

Ma cche! a la sala delli cavajjeri
un cazzo ciarrivò: ché st'affamati
se sparinno inzinenta li bicchieri.

Roma, 5 febbraio 1832
Gioacchino Belli

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Gli scrocconi
Ieri, a Sant'Apollinare, un collegiale
al termine di una predica in tedesco,
divise tutte le persone in due sale,
e a quelli più altolocati volle offrire un rinfresco.

In una fece entrare il cardinale
con gli amici del Micco e padron Fieschi;
e nell'altra la gente dozzinale
che viaggia col cavallo di San Francesco.

Per questa sala in cui erano gli appiedati
cominciarono a passare i camerieri
pieni di sottocoppe di gelati.

Macché! alla sala dei cavalieri
non arrivò un bel nulla: perché questi affamati
fecero sparire persino i bicchieri.
Gioacchino Belli

 

Li surci
Un surciteddu di testa sbintata
avia pigghiatu la via di l`acitu
e facìa `na vita scialacquata
cu l`amiciuna di lu so partitu.

Lu ziu circau tirallu a bona strada,
ma zappau all`acqua pirchì era attrivitu
e di cchiù la saimi avia liccata
di taverni e di zàgati peritu.

Finarmenti Mucidda fici luca,
iddu grida: “Ziu!-Ziu!”.
Ccu dogghia interna,
sò ziu pri lu rammaricu si suca,

poi dici: “Lu to casu mi costerna,
ma ora mi cerchi? chiaccu chi t`affuca!
Scutta pi quannu isti a la taverna!”.
Giovanni Meli

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

I topolini
Un topolino di testa sventata
aveva preso la via dell’aceto
e faceva una vita disordinata
con gli amiconi del suo giro.

Lo zio cercava di riportarlo sulla retta via
ma zappava nell’acqua perché quello era reso audace
e per di più aveva leccato lo strutto,
esperto di taverne e case di piacere.

Finalmente la gatta lo beccò,
lui grida: “Zio!Zio!”.
Con interno dolore
lo zio si rode per il rammarico,

poi dice: “Il tuo caso mi costerna,
ma ora mi cerchi, pendaglio di forca!
Paga per quando andavi alla taverna”.
Giovanni Meli

 


La poesiola qui proposta è dell’abate palermitano Giovanni Meli (1740 – 1815) da tutti segnato a dito come “onnisciente” per la sua vasta erudizione, negli orientamenti di gusto classicista ed arcadico, nelle idee sostenitore di un razionalismo e di un riformismo piuttosto blandi.

Annoverato tra le cosiddette "quattro coroncine", con Carlo Porta, Carlo Goldoni, Giuseppe Gioachino Belli (da affiancare alle "tre corone" di Dante, Petrarca e Boccaccio), Giovanni Meli nacque in Sicilia nel Settecento, da Antonio di professione orefice e da Vincenza Torriquas, durante la monarchia riformista di Carlo III di Borbone. In questo periodo, il buon governo del Viceré Caracciolo favorì, grazie ad una serie di riforme, la rinascita della vita culturale e civile, specie a Palermo.

Giovanni Meli raggiunse notorietà in tutt'Italia aderendo ai modi e allo stile dell'Arcadia con una dimensione tutta sua e con l'uso della lingua siciliana. Venne educato presso le scuole dei padri Gesuiti e si appassionò giovanissimo agli studi letterari e filosofici soprattutto della corrente illuministica, che – nata in Francia – allora imperava in Europa. Il Meli non mancò di coltivare anche da autodidatta i classici italiani e latini e fra i contemporanei gli Enciclopedisti francesi da Montesquieu a Voltaire, trovando ispirazione per un poemetto giovanile rimasto incompiuto, Il Trionfo della ragione

 

Fiöla de scarpulì
Mé, fiöla de scarpulì
galavrina co’ le sò sübrine en pèl
rose a fiurilì sbüzacc
ènciodade dal sò papà.

Mé, fiöla de scarpulì
crisida a bròche e orasiù en latì,
tra tomaje en pèl e söle de cüràm,
arènt a lù che tacognàa pèse
a sgalbèr vècc
col spach empegolàt.

Lù e la sò minèla
presiuza come ‘n altar
romét de lisne, de tenaje,
de martèi e ferasì
per mia fröstà i stialì.

El sò laorà e mé
che capie a la consegna
cosa ulia dì:
disnà del dé chè è dré.

Mé, fiöla de scarpulì
adès ga do vàlur
al bé che ‘l m’ha ulit
dré a töt el so südur.
Angelo Maria Canossi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Figlia di calzolaio
Io figlia di calzolaio
mi pavoneggiavo con le ciabattine rosse in pelle
coi fiorellini traforati
inchiodate dal suo papà.

 Io, figlia di calzolaio
cresciuta a chiodi e orazioni in latino.
tra tomaie in pelle e suole di cuoio
accanto a lui che rattoppava pezze
con spago impegolato
a scarpacce vecchie.

Lui ed il suo deschetto
prezioso come un altare
custode di lisne,di tanaglie,
di martelli e di ferretti
per non consumare i tacchi agli stivali,

Il suo lavoro e io
che capivo quando consegnava il lavoro
ciò che significasse
pranzo del giorno dopo.

Io figlia di calzolaio
ora dò valore
al bene che mi ha voluto
-dietro tanto sudore.
Angelo Maria Canossi

 


Angelo Maria Canossi (Brescia, 23 marzo 1862 – Brescia, 9 ottobre 1943) è stato un poeta italiano.

Fu definito il Poeta della brescianità.

Dopo le scuole primarie ed il ginnasio, frequentò il liceo di Desenzano e successivamente si iscrisse all'Istituto Superiore di Letteratura a Firenze dove però non arrivò a conseguire la laurea.
Nel 1882 frequentò l'Università della Sorbona a Parigi e per un paio di anni viaggiò per mezza Europa scrivendo alcuni brillanti servizi giornalistici.

Nel 1884, ritornò a Brescia dove lavorò per alcuni mesi nella redazione del quotidiano La Sentinella Bresciana. In seguito fondò il Guasco, prima quindicinale umoristico e poi quotidiano di informazione, ed ancora diede vita alle importanti riviste L'Illustrazione bresciana e Brixia mantenendone per poco la direzione.

A partire dal 1914 inizia a soggiornare a Bòvegno ridente località alpina che ispirerà gran parte della sua opera, e, sempre in quell'anno, comparve la sua prima raccolta di poesie in dialetto bresciano, alla quale fecero seguito altre opere dialettali di rilevante importanza tanto da condurlo alla partecipazione nel 1925 al 1º Congresso della Poesia Dialettale svoltosi a Milano. La sua opera riscosse un notevole successo e se il suo nome non ebbe una più ampia eco lo si deve principalmente alla difficile accessibilità del dialetto bresciano.

Dopo la partecipazione al Congresso Dialettale, Angelo Canossi ricevette l'incarico dall'Ateneo di Brescia di allestire il vocabolario del dialetto bresciano, opera che però non riuscì a concludere.
 

 

A poexia dialettale
E fra i moderni lirici, pe no çittâ de quelli
Che han i rognoin ciû solidi, ö Meli, ö Porta, ö Belli,
Han forse meno merito che çerti cappilista
De nostre Mûse e apostoli da Scheua Naturalista?
E forse ö so vernacolo ö nö l’è vea poexia
Perchè ö l’è pronto e façile e sensa astrûseria?
Ma dunque nu caccemolo zu troppo, sto dialetto,
Co-a scusa che ö l’è ignobile e d’abito negletto,
Invece ammiae de rendilo ciû nobile, e pulito,
De scorie troppo rûvide, çerchae d’ingentililo,
Scegliendove i vocaboli, a forma, e l’andamento,
Secondo porta l’indole do singolo argomento,
E no fae sfoggio inûtile de termini volgari,
Cedendo a-o lenocinio de fâve popolari,
De frasi a senso doppio, scurrili accanaggiae,
Sensa raxion plauxibile, senza necessitae!
Ammiae se l’è poscibile d’ûsa di man in man,
De frasi e di vocaboli che saccian d’italian;
O nö sâ ö veo vernacolo do Cian de Sant’Andria,
Ma quello che ö se solita parla dä borghexia,
A quae, pë consuetûdini da vitta e l’istrûzion,
A l’ha, sens’ëse nobile, ûn pö d’educazion.
Nicolò Bacigalupo

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

La poesia dialettale
E fra i moderni lirici, per non citare di quelli
che hanno i testicoli più solidi, il Meli, il Porta, il Belli,
hanno forse meno merito di certi capilista
delle nostre Muse e apostoli della Scuola Naturalista?
E forse il loro vernacolo non è vera poesia
perché è pronto e facile e senza astruseria?
Ma dunque non buttiamolo troppo giù, questo dialetto,
con la scusa che è ignobile e di abito negletto,
invece guardate di renderlo più nobile, e pulito,
delle scorie troppo rudi, cercate di ingentilirlo,
scegliendovi i vocaboli, la forma e l’andamento,
secondo quanto richiede il tono del singolo argomento,
e non fate sfoggio inutile di termini volgari,
cedendo al lenocinio di rendervi popolari,
di frasi a doppio senso, scurrili accanagliate,
senza ragione plausibile, senza necessità! […]
guardate se è possibile usare di tanto in tanto,
frasi e vocaboli che sappiano di italiano;
non sarà il vero vernacolo del Piano di Sant’Andrea,
ma quello che di solito parla la borghesia,
la quale, per consuetudini di vita e l’istruzione,
ha, senza essere nobile, un po’ d’educazione.)
Nicolò Bacigalupo
 

 

Rassa nostran-a
Ai Piemontèis ch’a travajo fòra d’Italia

Dritt e sincer, còsa ch’a son, a smìo:
teste quadre, polss ferm e fidigh san:
a parlo pòch, ma a san còsa ch’a dìo:
bele ch’a marcio adasi, a van lontan.

Saraié, murador e sternighin,
mineur e campagnin, saron e fré:
s’ai pias gargarisé quaich bota ‘d vin,
j’é gnun ch’ai bagna ‘l nas për travaié.

Gent ch’a mërcanda nen temp e sudor:
– rassa nostran-a libera e testarda –
tut ël mond a conòss chi ch’a son lor
e, quand ch’a passo… tut ël mond ai goarda:

“Biond canavsan con j’euj color dël cel,
robust e fier parei dij sò castei.
Montagnard valdostan dai nerv d’assel,
mascc ëd val Susa dur come ‘d martei.

Facie dle Langhe, robie d’alegrìa,
fërlingòtt dës-ciolà dij pian verslèis,
e bielèis trafigon pien d’energìa
che për conòssje ai va set ani e ‘n meis.

Gent ëd Coni: passienta e ‘n pò dasianta
ch’a l’ha le scarpe gròsse e ‘l servel fin,
e gent monfrin-a che, parland, a canta,
ch’a mossa, a fris, a beuj… come ij sò vin.

Tut ël Piemont ch’a va cerchesse ‘l pan,
tut ël Piemont con soa parlada fiera
che ‘nt le bataje dël travaj uman
a ten auta la front… e la bandiera”.

O bionde ‘d gran, pianure dl’Argentin-a
“fazende” dël Brasil perse ‘n campagna,
i sente mai passé n’ ”aria” monfrin-a
o ‘l ritornel d’una canson ‘d montagna?

Mine dla Fransa, mine dl’Alemagna
ch’ël fum a sercia ‘n gir parei ‘d na frangia,
vojautre i peule dì s’as lo guadagna,
nòstr ovrié, col tòch ëd pan ch’a mangia.

Quaich vòta a torno e ij sòld vansà ‘d bon giust
ai rendo ‘n ciabotin o ‘n tòch ëd tèra
e ‘nlora a ‘nlevo le soe fiëtte ‘d sust
e ij fiolastron ch’a l’han vinciù la guèra.

Ma ‘l pì dle vòlte na stagion përdùa
o na frev o ‘n maleur dël sò mësté
a j’anciòda ‘nt na tomba patanua
spersa ‘nt un camposanto foresté.*
Nino Costa
Razza nostrana
Ai piemontesi che lavorano fuori dall’Italia

Dritti e sinceri, cosa sono, appaiono:
teste quadre, polso fermo e fegato sano:
parlano poco, ma sanno quel che dicono:
anche se camminano adagio, vanno lontano.

Magnani, muratori e selciatori,
minatori e contadini, carradori e fabbri:
se gli piace “gargarizzare” qualche bottiglia di vino
non c’è però nessuno che sia più bravo nel lavorare.

Gente che non risparmia tempo e sudore:
– razza nostrana libera e testarda –
tutto il mondo conosce chi essi sono
e, quando passano… tutto il mondo li guarda:

“Biondi canavesani con occhi colore del cielo,
robusti e fieri come i loro castelli.
Montanari valdostani dai nervi d’acciaio,
maschi della val Susa duri come dei martelli.

Facce delle Langhe, rubiconde di allegria,
furbacchiuoli disinvolti delle pianure vercellesi,
e biellesi trafficoni pieni d’energia
che per conoscerli ci vuol sette anni e un mese.

Gente di Cuneo: paziente e un po’ lenta
che ha le scarpe grosse e il cervello fino,
e gente monferrina che, parlando, canta,
che spumeggia, frizza, bolle… come i suoi vini”.

Tutto il Piemonte che va a cercarsi il pane
tutto il Piemonte con il suo linguaggio fiero
che nelle battaglie del lavoro umano
tiene alto la fronte… e la bandiera.

O bionde di grano pianure dell’Argentina,
“fazende” del Brasile perse nella campagna,
non sentite mai passare un’ ”aria” monferrina
o il ritornello di una canzone di montagna?

Miniere di Francia, miniere di Germania
che il fumo cinge in giro come una cortina,
voi lo potete dire se se lo guadagna,
il nostro operaio, quel tozzo di pane che mangia.

Qualche volta tornano e i soldi risparmiati onestamente
gli rendono una casettina e un po’ di terra
e allora allevano le loro figliolette assennate
e i ragazzoni che hanno vinto la guerra.

Ma il più delle volte una stagione perduta
o una febbre o una disgrazia del loro mestiere
li inchioda in una tomba ignuda
sperduta in un camposanto forestiero…
Nino Costa

*L’Autore allude al padre, come lui “biond canavsan con j’euj color dël cel”, morto oltre oceano in emigrazione.
Dalla raccolta Sal e peiver, Torino, ©Viglongo, 1998 (10° edizione). L’intera opera poetica di NINO COSTA è pubblicata da Viglongo in edizioni ricondotte agli originali, con presentazioni di A. Viglongo

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Rassa nostran-a è una delle Cento poesie di Nino Costa, pubblicate, su concessione dell’Editore Viglongo, in un volume della collana “La biblioteca di Papa Francesco, Corriere della Sera-La civiltà cattolica, 2014, con la Prefazione di Albina Malerba e Giovanni Tesio, che qui di seguito trascriviamo:
Nino Costa: come rileggere un classico alla luce di Papa Francesco venuto dalla “fine del mondo”
Nino Costa (Torino 28 giugno 1886-6 novembre 1945) si può considerare per eccellenza il poeta di Torino e del Piemonte: il più conosciuto, il più amato. Capace di affascinare tanto Luigi Einaudi (che nel 1955 scrisse un’intensa presentazione alla raccolta completa delle sue poesie per le edizioni del Cenacolo) quanto i cuori più semplici che recitano a memoria i suoi versi, entrati a far parte di un vero e proprio genius loci, quando non di un culto naturalmente profano, di cui è stato l’editore Andrea Viglongo a cogliere in primis – e non a caso – la dimensione regional-popolare.
…………………………………………….
Papa Francesco si è commosso in piazza Vittorio a Torino quando, pronunciando la sua omelia, ha citato i versi di Nino Costa, nella poesia «Rassa nostrana» che gli aveva insegnato Nonna Rosa in dialetto: Dritti e sinceri, quel che sono, appaiono: teste quadre, polso fermo e fegato sano, parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano. Gente che non risparmia tempo e sudore e che va a cercarsi il pane («Tüt el Piemunt ch’a va serchesse el pan»): nelle pianure dell’Argentina, nelle fazende brasiliane, in Francia, in Germania. Qualche volta, dice la poesia, si ritorna, e si crescono i figli. Ma più spesso accade di fermarsi nel camposanto di una terra straniera.

Una storia di quella razza nostrana libera e testarda di cui faceva parte proprio Nonna Rosa e di cui il Papa si sente parte.

 

Esàm ad quinta in campagna
L’è cùme s’avdèss
un’innuzént a e mur
ch’l’implora du boch d’sperénza.
Ach’sé, me at sint,
babìna da i oc vird e spavanté,
inciudéda in te nir
dlà lavagna
che t’soffi paròli
culòr d’uraziòn.
Leo Maltoni

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Esame di quinta in campagna
È come se vedessi
un’innocente al muro
che implora due soldi di speranza.
Così io ti sento,
bimba dagli occhi verdi e spaventati,
inchiodata nel nero
della lavagna
che soffi parole
color di preghiera.
Leo Maltoni

 

 
Cesenatico, è morto il poeta e giornalista Leo Maltoni
È deceduto ieri, all’età di 80 anni, Leo Maltoni poeta, scrittore, cultore della Romagna e di Cesenatico in particolare.
La città lo ricorda con le parole del Sindaco Matteo Gozzoli: “Nella serata di ieri si è spento Leonardo Maltoni, giornalista, scrittore, intellettuale, pensatore, insegnante, poeta e tanto altro. Mi fermo qui con i titoli perché, per quel poco che l’ho conosciuto, sono sicuro che non gradirebbe troppi giri di parole.
Non ho fatto in tempo a conoscere a fondo Leo, ho avuto l’onore di collaborare alla redazione de ‘Il Cicloturista’, l’organo ufficiale della Fausto Coppi che lui ha contribuito a far crescere. Ho avuto modo di parlare con lui questa estate durante un bel pranzo di pesce insieme al figlio Giacomo e all’amico Giorgio Grassi.
In quella occasione mi ha raccontato moltissime storie della Cesenatico che non c’è più e – nonostante la salute – aveva voglia di scrivere e di raccontare la Romagna d’altri tempi e come ha scritto nel suo ultimo racconto ‘di altri uomini'”.
Personaggi, storie e ricordi che continueranno a vivere nei suoi racconti e nei suoi versi.
Porgo le più sentite condoglianze, a nome mio e dell’Amministrazione Comunale, alla famiglia e a tutti i parenti. Ciao Leonardo, grazie!”.

Pubblicato mercoledì 23 novembre 2016 alle 11:22

 

A na fruta
Lontàn, cu la to pièl
sblanciada da li rosis,
i ti sos una rosa
ch’a vif e a no fevela.

Ma quant che drenti al sen
ti nassarà na vòus,
ti puartaràs sidina
encia tu la me cròus.

Sidina tal sulisu
dal solàr, ta li s-cialis,
ta la ciera dal ort,
tal pulvin da li stalis…

Sidina ta la ciasa
cu li peràulis strentis
tal còur romai pierdùt
par un troi di silensi.
Pier Paolo Pasolini

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

A una bambina
Lontana, con la tua pelle
sbiancata dalle rose,
tu sei una rosa
che vive e non parla.

Ma quando nel petto
ti nascerà una voce,
porterai muta
anche tu la mia croce.

Muta sul pavimento
del solaio, sulle scale,
sulla terra dell’orto,
nella polvere delle stalle.

Muta nella casa,
con le parole strette
nel cuore, ormai perduto
per un sentiero di silenzio.
(Traduzione di Pier Paolo Pasolini)

 

 

Marzo
Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiovere, schiove,
ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’’o vierno ‘e tempesta,
mo n’aria ‘e Primmavera.

N’ auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’’o tturreno nfuso
suspireno ‘e vviole.

Catarì!…Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,
e st’ auciello songo io.
Salvatore Di Giacomo

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Marzo
Marzo: un po' piove
e dopo un po' cessa di piovere:
torna a piovere, spiove,
ride il sole con l'acqua.

Ora un cielo celeste,
ora un'aria cupa e nera:
ora le tempeste dell'inverno,
ora un'aria di primavera.

Un uccello freddoloso
attende che esca il sole:
sopra il terreno bagnato
sospirano le viole...

Caterina!...Che vuoi di più?
Cerca di capirmi, cuore mio!
Marzo, lo sai, sei tu,
e quest'uccello sono io.
(Traduzione di P. P. Pasolini)

(testo da Napoli eterna musa, 1994)

 

E 'ndeveno cussì le vele al vento...
E 'ndéveno cussì le vele al vento
lassando drìo de noltri una gran ssia,
co' l'ánema in t'i vogi e 'l cuor contento
sensa pinsieri de manincunia.

Mámole e mas-ci missi zo a pagiol
co' Leto capitano a la rigola;
e 'ndéveno cantando soto 'l sol
canson, che incòra sora 'l mar le sbola.

E l'aqua bronboleva drío 'l timon
e del piasser la deventava bianca
e fin la pena la mandeva un son
fin che la bava no' la gera stanca.
Biagio Marin

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

 

E andavamo così, le vele al vento...
E andavamo così, le vele al vento
lasciando dietro di noi una gran scia,
con l’anima negli occhi e il cuor contento
senza pensieri di malinconia.

Fanciulle e ragazzi seduti giù a pagliolo
con alla barra Leto capitano;
andavamo cantando sotto il sole
canzoni, che ancora volano sul mare.

L’acqua ribolliva dietro il timone
e dal piacere diventava bianca,
persino la penna suonava:
fin che la bava non era stanca.
Biagio Marin
 
 

La nomina del cappellan
Alla Marchesa Paola Cangiasa,
vuna di primm damazz de Lombardia,
gh'era mort don Gliceri, el pret de casa,
in grazia d'ona peripneumonia
che la gh'ha faa quistà in del sforaggiass
a mennagh sul mezz dì la Lilla a spass.

L'eva la Lilla ona cagna maltesa
tutta goss, tutta pel e tutta lard,
e in cà Cangiasa, dopo la Marchesa,
l'eva la bestia de maggior riguard,
de moeud che guaja al ciel falla sguagnì,
guaja sbeffalla, guaja a dagh del tì.

El l'ha savuda el pover don Galdin,
che in de la truscia de l'elevazion
avendegh inscì in fall schisciaa el covin
gh'è toccaa lì a l'altar del pret cojon,
e el sò bon tibi, appenna in sacrestia,
de mett giò la pianeda e trottà via.

In mezz a questa appenna don Gliceri
l'ha comenzaa a giugà a l'amora el fiaa,
è cors da tutt i part on diavoleri
de reverendi di busecch schisciaa
per vede de ottegnì la bona sort
de slargaj foeura in loeugh e stat del mort.

Chè infin di fin, se in cà de donna Pavola
no gh'era per i pret on gran rispett,
almanca gh'era on fioretton de tavola
de fà sarà sù on oeucc su sto difett
minga domá a on gallupp de on cappellan,
ma a paricc di teologh de Milan.

Gh'era de gionta la soa brava messa
a trenta borr, senza manutenzion,
allogg in cà, lavandaria, soppressa,
ciccolatt, acqua sporca a colazion,
bona campagna, palpiroeu a Natal,
sicché, se corren, cazz, l'è natural!

Ma la Marchesa che no la voreva
seccass la scuffia con la furugada
l'ha faa savè a tucc quij che concorreva
che dovessen vegnì la tal giornada,
che dopo avej veduu e parlaa con tutt
l'avria poi fatt ciò che le foss piacciutt.

Ecco che riva intant la gran mattina,
ecco el palazz tutt quant in moviment,
pret in cort, pret suj scal, pret in cusina,
pienn i anticamer de l'appartament,
gh'è i pret di feud, el gh'è i Còrs, gh'è i nost,
par on vol de scorbatt che vaga a post.

El gran rembomb di vòlt, el cattabuj
de la mormorazion che ghe fan sott,
el strusament di pee, di ferr de muj
che gh'han sott ai sciavatt quij sacerdott,
fan tutt insemma on ghett, on sbragalismo,
ch'el par che coppen el Romanticismo.

Baja la Lilla, baja la Marchesa
tutt e dò dessedaa del gran baccan;
i pret che hin solit a sbraggià anca in gesa
ghe la dan dent senza rispett uman,
quand on camerleccaj dolz come on ors
el corr a strozzagh lì tucc i discors.

Semm in piazza, per Dio, o indove semm?
Sangue de dì, che discrezion l'è questa!
Alto là, citto: quij duu in fond... andemm...
ché la Marchesa la gh'ha tant de testa!
Hin mò anch grand e gross, e on poo de quella,
per Dio sacrato, el sarav temp de avella!

Dopo quell poo de citto natural
che ven de seguit d'ona intemerada,
vedend sto ambassador del temporal
che nol gh'ha intorna on'anima che fiada,
el muda vos, el morbidiss la ciera,
e el seguita el discors in sta manera.

Se poeù anch de prima de parlà con lee
di voeult gh'avessen gènni de sentì
quaa hin i obbligazion del sò mestee,
senza fà tante ciaccer, eccoj chì;
inscì chi voeur stà stà, chi no voeur stà
el ghe fà grazia a desfesciagh la cà.

Punt primm: in quant a l'obbligh de la messa
o festa o nò gh'è mai or fiss de dilla;
chi è via a servì n'occor che l'abbia pressa;
i or hin quij che lee la voeur sentilla:
se je fass stà paraa dò, trè, quattr'or,
amen, pascienza, offrighela al Signor.

La messa poeù, s'intend, puttost curtina...
on quardoretta, vint minutt al pù:
dò voeult la settimana la dottrina
per i donzell e per la servitù,
de sira semper la soa terza part,
men che al tarocch no ghe callas el quart.

Chi mò, sentend che on patt inscì essenzial
l'eva quell che savè giugà a tarocch,
ghe n'è staa cinqu o ses che han ciappaa i scal,
e tra i olter (peccaa) on certo don Rocch,
gran primerista fina de bagaj
ch'el giuga i esequi on mes prima de faj.

(E quell el tira innanz) Portà bigliett,
fà imbassad, fà provist, toeuss anca adree
di voeult on quaj fagott, on quaj pacchett,
corr dal sart, daj madamm, al perucchee,
mennà a spass la cagnetta e se l'occor
scriv on cunt, ona lettera al fattor.

Anca chì el n'è sblusciaa de on sett o vott,
vun per quella reson de la cagnetta,
on segond per reson de quij fagott,
e i olter cinqu o ses han faa spazzetta
per no infesciass coj penn, coj carimaa,
e ris'cià de sporcà i dit consacraa.

In tra sti ultem che han veduu a andà via
gh'è staa on certo don Giorg de Zuccoirin,
maester de eloquenza e poesia
del famoso sur Carlo Gherardin
e autor d'on codez de beccopulenza
stampaa da Isepp Forlan de Porta Renza.

(E quell el tira innanz) Quant al disnà
de solit el gh'è el post con la patrona,
via giust che no vegna a capità
on disnà de etichetta, o ona persona
d'alto bordo o de impegn, ché in sto cas chì
mangem tra nun, cont i donzell e mì.

In campagna poeù el cas l'è different:
vegniss el Pappa, disnen tucc con lee.
Là la se adatta anch con la bassa gent,
magara la va a brazz col cangelee;
tutt quell de pesc che là ghe possa occor
l'è quell de lassass god d'on sojador.

Del rest, rid e fà el ciall, no contraddì,
no passà la stacchetta in del rispond,
a tavola che s'è lassass servì,
no fà l'ingord, no slongà i man suj tond,
no sbatt la bocca, no desgangaralla,
né mettes a parlà denanz vojalla.

Tegnì giò i gombet, no fà pan moin,
no rugass in di dent cont i cortij,
no sugass el sudor cont el mantin,
infin nessuna affatt di porcarij
che hin tant fazil lor sciori a lassà corr,
come el mond el fudess tutt sò de lor.

Chì, vedend quell balloss d'on camarer
che quij bon religios stan lì quacc quacc
senza dà el minim segn de disparer
via de quaj reffign, de quaj modacc,
d'on salt el passa al fin de l'orazion
cont el recciocch de stà perorazion.

Quell che ghe raccomandi pù che poss
l'è quella polizia benedetta,
che se regorden che col tanf indoss
de sudor de sott sella e de soletta,
e con quij ong con l'orlo de vellù,
se quistaran del porch e nient de pù.

Certe lènden suj spall, cert collarin
che paren faa de foeudra de salamm,
certi coll de camis, de gipponin,
hin minga coss de portà innanz ai damm;
omm visaa, se soeul dì, l'è mezz difes,
hoo parlaa ciar, e m'avaran intes.

Stremii, sbattuu, inlocchii come tappon
quij pover pret s'hin miss tra lor in croeucc,
e infin, fussel mò effett de la session,
o d'on specc che gh'avessen sott i oeucc,
fatto stà che de on trenta amalappenna
el se n'è fermata lì mezza donzenna.

A sto pont ona gran scampanellada
la partezipa a tucc che Soa Eccellenza
donna Pavola infin la s'è levada
e che l'è sul prozint de dà udienza;
el camarer allora el corr, el truscia,
e i pret fan toilett con la bauscia.

La Marchesa Cangiasa, in gran scuffion
fada a la Pompadour tutta a fioritt,
coj sò duu bravi ciccolattinon
de taftà negher sora di polsitt
e duu gran barbison color tanè,
l'eva in sala a specciaj sul canapè.

Ma la Lilla, che l'eva arent a lee
quattada giò cont on sciall noeuv de Franza,
appenna che la sent quij dodes pee
la salta in terra, scovand giò per stanza
el sciall noeuv e bojand a pò no poss
con tutt e quant el fiaa di sò trii goss.

E boja e boja e rogna e mostra i dent,
don Malacchia che l'è on poo fogos,
vedendes saraa in bocca el compliment,
el perd la flemma e el ghe dà su la vos,
e menter el ghe dà de la seccada
el fa l'att de mollagh ona pesciada.

On'orsa (come disen i poetta),
che la se veda toeù da on cacciador,
o ferì on orsettin sott a la tetta,
no la van in tanta rabbia, in tant furor,
come la va Sustrissima a vedè
don Malacchia cont in aria el pè.

Per fortuna del ciel che la Lillin,
con quell intendiment che l'è tutt sò,
l'ha savuu schivà el colp in del sesin
col tira arent la cova e scrusciass giò,
del restant se no gh'era sta risorsa
vattel a pesca cossa fa quell'orsa.

Schivaa el colp, descasciaa don Malacchia,
even i coss asquasi quiettaa;
già la dondava la cappellania
su i ceregh de quij pocch cinqu candidaa,
quand on olter bordell, on olter cas
el ne manda anmò on para in santa pas.

E l'è che l'illustrissima patrona,
menter la va a cuu indree sul canapè
per met in statu quoniam la persona
stada in disordin per l'affar del pè,
in del lassas andà, cajin, cajin,
la soppressa col sedes la Lillin.

Don Tellesfor e don Spiridion,
duu gingella che riden per nient,
dan foeura tutt duu a on bott in d'on s'cioppon
de rid inscì cilàpp, inscì indecent,
che la Marchesa infin scandalizzada
la dà foeura anca lee con sta filada.

"Avria suppost che essendo sacerdott
avesser un pò più d'educazion,
o che i modi, al più pegg, le fosser nott
de trattar con i damm de condizion;
m'accorgo invece in questa circostanza
che non han garbo, modi, né creanza.

Però poi che l'Altissim el ci ha post
in questo grado, e siamm ciò che siamm,
certissimament è dover nost
il farci rispettar come dobbiam;
saria mancar a Noi, poi al Signor
passarci sopra, e specialment con lor.

Quanto a lor due, o malizios o sémpi
che sia el lor fall, basta così: che vadan!
Quanto agli altri, me giova che l'esempi
je faccia cauti e me ne persuadan.
Così è: Serva loro: adesso poi...
(Lillin? quietta!!)... veniamo a noi."

La Cagnetta che fina a quell punt là
l'eva stada ona pesta indiavolada
l'ha comenzaa a fà truscia, a trepillà,
a fà intorno la frigna e l'inviziada,
e a rampegà suj gamb a don Ventura,
on pretoccol brutt brutt che fa pagura.

Don Ventura, che l'era in tra quij trii
el pussee bisognos del benefizzi,
el stava lì drizz drizz, stremii stremii,
per pagura de fass on pregiudizzi;
el sentiva a slisass quij pocch colzett,
eppur, pascienza, el stava lì quiett.

Ma la Marchesa, che con compiacenza
la dava d'oeucc a quella simpatia,
sebben che la gh'avess a la presenza
duu pret de maggior garb e polizia,
vada todos, premura per premura,
l'ha dezis el sò vôt per don Ventura.

Appenna s'è savuu dalla famiglia
che l'eva deventaa el sò cappellan,
se sbattezzaven tucc de maraviglia,
no podend concepì come on giaván,
on bacìlla d'on pret, on goff, on ciall
l'avess trovaa el secrett de deventall.

Col temp poeù s'è savuu che el gran secret
l'eva staa nient olter, finalment,
che l'avegh avuu adoss trè o quatter fett
de salamm de basletta involtaa dent
in la Risposta de Madamm Bibin
de quell'olter salamm d'on Gherardin.
Carlo Porta

La nomina del cappellano          
Alla Marchesa Paola Cangiasi,
una delle prime damazze di Lombardia
era morto don Glicerio, il prete di casa
in grazia di una polmonite
che lei gli aveva fatto prendere nel sudare
portando, sul mezzogiorno, la Lilla a spasso.

Era la Lilla una cagna maltese
tutta gozzo, tutto pelo e tutta lardo,
e in casa Cangiasi dopo la Marchesa,
era la bestia di maggior riguardo,
di modo che guai al cielo farla guaire,
guai sbeffeggiarla, guai darle del tu.

E l'ha saputa il povero Don Galdino
che, nel fervore dell'elevazione,
avendole così in fallo schiacciato il codino,
gli è toccato lì, all'altare, del "prete coglione",
e l’ingiunzione appena in sagrestia,
da mettere giù la pianeta e trottar via.

In mezzo a questa situazione.appena don Glicerio
ha cominciato a essere sul punto di morire,
è corso da tutte le parti un diavolerio
di reverendi dalle budella schiacciate (magri)
per veder di ottenere la buona sorte
di allargarle fuori in luogo e stato del morto.

Che infin delle fini, se in casa di donna Paola
non c'era per i preti un gran rispetto,
almeno c'era un fiorettone di tavola
da far chiudere un occhio, su questo difetto,
non soltanto ad uno scalcagnato cappellano,
ma a parecchi teologi di Milano.

C'era per giunta la sua brava messa
a trenta soldi, senza manutenzione,
alloggio in casa, lavanderia, stireria
cioccolato, acqua sporca a colazione, (con essenze)
buona campagna, bustarella a Natale,
sicchè, se corrono, cazz, è naturale!

Ma la Marchesa che non voleva
seccarsi la cuffiia con il serra serra, (folla)
ha fatto sapere a tutti quelli che concorrevano
che dovessero venire il tal giorno
che dopo averli veduti e parlato con tutti
"l'avria poi fatt ciò che le foss piaciutt".

Ecco che arriva intanto la gran mattina,
ecco il palazzo tutto quanto in movimento,
preti in corte, preti sulle scale, preti in cucina,
piene le anticamere dell'appartamento,
ci sono i preti di campagna, ci sono i Corsi, ci sono i nostri,
pare un volo di corvi che vada a posarsi.

Il gran rimbombo delle volte, il rumore
del mormoreggiare, che ci fanno sotto,
lo strascicare dei piedi, dei ferri da mulo
che hanno sotto le ciabatte, quei sacerdoti,
fatto tutti insieme un ghetto, uno sbraitio
che par che accoppino il Romanticismo.

Abbaia la Lilla, abbaia la Marchesa
tutt''e due svegliate dal gran baccano;
i preti che, sono soliti a sbraitare anche in chiesa
ce la danno dentro senza rispetto umano,
quando un maggiordomo dolce come un orso
corre a strozzargli lì tutti i discorsi.

"Siamo in piazza,per Dio, o dove siamo?
Sangue di Dio, che modi sono questi!
Alto là, silenzio: quei due in fondo...andiamo...,
che la Marchesa ha già una testa così!
Sono pur anche grandi e grossi, un po' di creanza,
per Dio sacrato, sarebbe tempo di averla".

Dopo quel po' di silenzio naturale
che viene dopo una sgridata,
vedendo questo ambasciatore di tempesta
che non ha più intorno un'anima che osa fiatare,
cambia voce, fa una faccia meno dura,
e continua il discorso in questo modo:

"Se poi, anche prima di parlare con lei,
avessero per caso voglia di sentire
quali sono i doveri del loro mestiere,
senza fare tante chiacchere, eccole qui;
così chi vuole stare sta, chi non vuol stare
fa il favore di andarsene dalla casa.

Punto primo: in quanto all'obbligo della messa
sia festiva o no, non c'è mai ora fissa per dirla;
chi è via a servire non occorre che abbia fretta;
le ore sono quelle che lei la vuole sentire:
se li fa stare coi paramenti, due, tre, quattro ore,
amen, pazienza, offrite la sopportazione al Signore.

La messa poi, s'intende, piuttosto cortina...
un quarto d'oretta, venti minuti al massimo:
due volte la settimana la dottrina
per le donzelle e per la servitù,
la sera sempre un terzo di rosario,
sempre che non manchi il quarto.per i tarocchi"

Qui ora, sentendo che un patto così essenziale
era quello di saper giocare a tarocchi,
ce n'è sono stati cinque o sei che han preso le scale,
e tra gli altri (peccato) un certo Don Rocco,
gran giocatore di primiera fin da ragazzo,
che si gioca le esequie un mese prima di farle

(E quello continua...) "Portare biglietti,
fare ambasciate, fare provviste, prendersi dietro
a volte qualche fagotto, qualche pacchetto,
correre dal sarto, dalle modiste, dal parrucchiere,
portare a spasso la cagnetta e, se occorre,
scrivere un conto, una lettera al fattore..."

Anche qui se la sono svignata sette od otto,
uno per quella storia della cagnetta,
un secondo per via di quei fagotti,
e gli altri cinque o sei hanno spazzato il campo
per non invischiarsi con le penne, coi calamai,
e arrischiare di sporcare le dita consacrate

Tra questi ultimi che hanno visto andar via
c'è stato un certo don Giorgio da Zuccorino,
maestro di eloquenza e poesia
del famoso signor Carlo Gherardini
e autore di un codice di cornuteria
stampato da Giuseppe Forlani di Porta Renza

(E quello continua...)"Quanto al pranzo,
di solito c'è un posto a tavola con la padrona,
salvo che non capiti
un pranzo d'etichetta, o una persona
d'alto bordo o di riguardo, perchè in questo caso
mangiamo tra di noi, con le donzelle e con me.

In campagna poi il caso è diverso:
venisse il Papa, si pranza tutti assieme a lei.
Là lei si adatta anche con la gente del popolo
magari va a braccetto col cancelliere;
tutto quanto di peggio là possa succedere
è di lasciarsi prendere in giro da qualche spiritoso

Del resto, ridere e fare lo sciocco, non contraddire,
non passare il limite nel rispondere,
a tavola lasciarsi servire,
non essere ingordi, non allungare le mani nei piatti,
non sbattere la bocca, non sgangherarla,
nè mettersi a parlare a bocca piena.

Tener giù i gomiti, non fare zuppetta col pane
non frugarsi identi col coltello,
non asciugarsi il sudore col tovagliolo
infine, non fare nessuna di quelle porcherie
che lor signori sono così facili a lasciar correre,
come se al mondo fosse tutto suo di loro."

Qui, vedendo quel birbone di un cameriere
che quei bravi religiosi stanno lì quatti quatti
senza dare il minimo segno di contrarietà
ad eccezione di qualche storcimento di naso, di qualche smorfia,,
d’improvviso passa alla fine dell'orazione
con il rincalzo di questa perorazione

Quello che loro raccomando più che posso
è quella benedetta, pulizia
che si ricordino che, col tanfo addosso
di sudore di ascelle e di calzini,
con quelle unghie color del velluto,
si meriteranno del porco e nulla più

Certe zazzere lunghe sulle spalle, certi collari
che sembrano foderati  di pelle di salame,
certi colli di camicie, di giubboncini,
non sono cose da indossare al cospetto delle dame;
uomo avvisato, si suol dire è mezzo salvato,
ho parlato chiaro, e m'avranno inteso".

Spaventati, sbattuti, stordiiti come ciocchi
quei poveri preti si sono messi in crocchio tra loro,
e infine fosse mò effetto della riunione,
o di uno specchio che avessero sotto gli occhi,
fatto sta che da trenta a mala pena
se ne è fermata lì mezza dozzina.

A questo punto una gran scampanellata
comunica a tutti che Sua Eccellenza
donna Paola infine si è alzata
e che sta per dare udienza;
il cameriere allora corre, si affretta,
e i preti si rassettano a colpi di saliva

La Marchesa Cangiasi, con un gran cuffione
alla moda Pompadour, tutto a fiori
coi suoi bravi piastrelloni (tamponcini medicati)
di taftà nero sulle tempie
e due gran baffoni color tanè, segni del tabaccare)
stava in salone ad aspettarli sul canapè.

Ma la Lilla che era vicino a lei
coperta con uno scialle nuovo di Francia
appena sente quei dodici piedi
salta a terra, trascinando giù per la stanza
lo scialle nuovo e abbaiando a più non posso
con tutto il fiato dei suoi tre gozzi.

E abbaia e abbaia, e ringhia e mostra i denti
don Malachia che è un po' focoso,
vedendosi interrotto a metà il suo saluto reverenziale,
perde la pazienza e la sgrida,
e mentre le dà della rompiscatole
fa l'atto di darle una pedata.

Un'orsa (come dicono i poeti),
che si veda rapire da un cacciatore,
o ferire un cucciolo da sotto il suo seno,
non va in così tanta rabbia, in tanto furore,
come va sua Signoria Illustrissima" nel vedere
don Malachia con il piede.sollevato da terra.

Per fortuna del cielo che la Lillina,
con il suo istinto naturale,
ha saputo schivare il colpo nel didietro
raccogliendo la coda ed accucciandosi;
altrimenti, se non fosse andata così,
vai a sapere che cosa fa quell’orsa.

Schivato il colpo, scacciato don Malachia,
le cose si erano quasi acquietate;
già l’investitura della cappelanìa oscillava
sulle chieriche di quei pochi cinque candidati,
quando un altro trambusto, un altro caso
ne manda in santa pace ancora un paio.

E’ che l'illustrissima padrona,
mentre retrocede sul canapè
per riassestare la sua persona
che si era tutta scomposta per l'affare della pedata
nel lasciarsi andare, cain, cain,
schiaccia col sedere la Lillina.

Don Telèsforo e don Spiridione,
due stupidotti che ridono per niente,
tutti e due sbottano in uno scoppio
di risa così sciocche, così indecenti,
che la Marchesa infine scandalizzata
se ne esce anche lei con questa tirata:

"Avria suppost che essendo sacerdott
avesser un pò più d'educazion,
o che i modi, al più pegg, le fosser nott
de trattar con i damm de condizion;
m'accorgo invece in questa circostanza
che non han garbo, modi, né creanza.

Però poi che l'Altissim el ci ha post
in questo grado, e siamm ciò che siamm,
certissimament è dover nost
il farci rispettar come dobbiam;
saria mancar a Noi, poi al Signor
passarci sopra, e specialment con lor.

Quanto a lor due, o malizios o sempi
che sia el lor fall, basta così: che vadan!
Quanto agli altri, me giova che l'esempi
je faccia cauti e me ne persuadan.
Così è: Serva loro: adesso poi...
(Lillin? quietta!!)... veniamo a noi."

La cagnetta che fino a quel momento
era stata una peste indiavolata
ha cominciato a correre intorno, a saltellare,
a fare la graziosa e la viziata,
ad arrampicarsi sulle gambe di don Ventura,
un pretucolo tanto brutto da fa paura.

Don Ventura, che tra i tre rimasti, era
il più bisognoso del benefizio,
stava li dritto, timido e spaventato,
per paura di far qualcosa che potesse compromettere il suo giudizio;
sentiva sdrucirsi quelle sue uniche calzette,
eppure, pazienza, stava li quieto.

Ma la Marchesa, che con compiacenza
dava un occhio a quella simpatia,
sebbene avesse davanti
due preti di maggior garbo e pulizia,
sia quel che sia, premura per premura,
ha deciso di dare la sua preferenza a don Ventura.

Appena si è saputo dalla servitù
che era diventato il loro cappellano,
si sbattezzavano tutti dalla meraviglia,
non potendo concepire come uno sciocco,
un tanghero di un prete, un goffo, un citrullo,
avesse trovato il segreto per diventarlo.

Col tempo poi si è scoperto che il segreto
non era stato altro, alla fine,
che averci avuto addosso tre o quattro fette
di scarti di salame avvolte dentro
la "Risposta di Madamm Bibin"
di quell'altro salame di un Gherardini.
 (Traduzione di Gino Cervi)


Commento

Il quadro (in realtà un grande affresco satirico) la dice lunga su umori, usi, costumi e difetti della nobiltà e del clero dell’epoca portiana.

La fonte culturale di questo poemetto (scritto nella primavera del 1819) è sicuramente la rivoluzione socio-politica avvenuta in Europa alla fine del ‘700, con la caduta della nobiltà, il forte ridimensionamento del potere ecclesiastico (ricordiamo che solo trent’anni dividono questa composizione del Porta dalla rivoluzione francese).

L’ispirazione letteraria, secondo ogni evidenza, è nei precedenti illustri de “Il servo” e “la vergine cuccia” del Parini.

Qui il Porta mette in berlina una certa nobiltà bolsa, tronfia e, tutto sommato, ignorante, della quale il Nostro non aveva difficoltà a trovare esemplari significativi tra i suoi contemporanei. Questa marchesa, protagonista del lavoro satirico del Porta, era nata come “Cangiasa”, ma era stata trasformata prudentemente in “Travasa” in un’edizione successiva, sembrando all’Autore, non a torto, troppo facilmente riconoscibile la casata dei Cambiasi, nobiltà milanese dell’epoca. Questo, per quanto concerne la nobiltà.

Quanto al clero, quei poveri cappellani, aspiranti quanto meno al “posto fisso” (anche se a rischio continuo di licenziamento in tronco), in definitiva muovono più a pietà che al riso.

 Qui di seguito sono resi espliciti alcuni termini e alcune espressioni che si presumono di meno  facile e immediata comprensione, allo scopo di agevolare il pieno godimento di questo capolavoro della nostra letteratura.

(Pier Luigi Amietta)

Sforaggiass = scalmanarsi

Gh’è tocca… el sò Bon tibi = formula di ingiunzione latina (tibi dico): qui sta per “beccarsi il fatto suo”, “essere liquidato” (a parole e, forse, anche con un minimo pecuniario)

A trenta bôr, senza manutenzion = al prezzo di trenta soldi, senza gli attrezzi accessori necessari per officiare la messa (che dovevano restare, evidentemente, a carico del cappellano)

Acqua sporca a colezion = non è espressione irridente ma idiomatica, ad intendere “acqua arricchita con vino o estratto di cedro o simili” (secondo l’interpretazione di C. Beretta)

Furugada = parapiglia, confusione

Pret di fèud, i Côrs = provenienti dai feudi e dalla Corsica. Notazione non casuale, perché le leggi antifeudali ne avevano lasciati disoccupati parecchi e perché in Corsica le prebende ai preti erano state ridotte, mentre in Italia godevano della protezione francese.

Ferr de muj = ferri da mulo. Espressione iperbolica, a indicare i ferretti che si usavano (ancora fino a 40-50 anni or sono) per rinforzare le punte delle suole ed evitarne così l’eccessivo consumo

Camerleccaj = deriva dal tedesco-austriaco Kammerlaquais, ed è anche una spia dell’orientamento austriacante di questa, come di altre famiglie nobili, sulla moda di Vienna. Il nostro termine attuale, “lacché”, in realtà  è di provenienza franco-normanna (“laquais”)e stava ad indicare in origine l’inserviente di armi, poi, più genericamente, l’addetto alle carrozze o semplicemente il cameriere.

La soa terza part = sottinteso del rosario

Fa pan mojn = oggi diremmo fare “la scarpetta”. Si tratta, nota C. Beretta, di “una satira pepata delle abitudini di un certo basso clero

Primerista = giocatore di carte, in particolare al noto “primiera”

Fà spazzetta = mangiare velocemente (“spazzolare” lo usiamo ancora oggi) e, per estensione (come in questo caso), sgomberare rapidamente il campo

Cangelee = cancelliere; esemplificazione di uno dei notabili chge, anche in campagna, frequentavano la casa della marchesa

Lassass gòd d’on sojador = “lasciarsi prendere in giro da un buontempone”, interpreta C. Beretta, con una traduzione forse  troppo benevola ed edulcorata

Passà la stacchetta = passare il segno, diciamo ancor oggi. In realtà la “stacchetta” indicava il segno messo sul collo dei fiaschi e delle bottiglie, per “segnare” – appunto – il limite massimo di riempimento

Lenden = sono le uova dei pidocchi, che evidentemente non era raro vedere, mischiate alla forfora, evidenziati dal colore nero della veste ecclesiastica, sulle spalle  di certi preti poco curanti dell’igiene e della pulizia, definita “benedetta” dal “cammerleccaj”, non si sa con quanta ironia, visto che si rivolgeva a dei preti.

Inlocchii come tappon = (lett.)storditi come  “talponi”; qui sta per allocchi, sempliciotti

Color tanè = termine oggi del tutto disusato, adattamento dal francese “tanner” (conciare) che indicava un colore -  derivato per la concia, da una corteccia d’albero (l’ontano) – tra il rossiccio e il nero, simile al cuoio vecchio: espressione feroce quanto buffa, applicata ai baffi della marchesa

Ceregh = chieriche, la parte per il tutto; qui l’espressione diviene particolarmente comica, riferita alle tonsure, quasi fossero viste dall’alto, che oscillavano (“dondaven”), qua e là, a dire il timore e l’incertezza di quei poveri diavoli, rimasti in cinque

Cilapp = sciocco; qui anche “sguaiato”

Salamm de basletta = quei rimasugli e ritagli di salumi di vario genere, che restavano sul fondo del vassoio  (solitamente di legno, da qui il termine “basletta”), del salumiere, invendibili, ma appetibili dai poveracci.

Risposta de Madam Bibìn de quell’olter salamm d’on Gherardin = geniale chiusa, che, oltre alla comicità generata dalla caduta di valore (un parto letterario usato per avvolgere del salame), dà al Porta il destro di tirare una micidiale stoccata al classicista Carlo Gherardini che aveva “risposto” con una serie di  sestine sgangherate (la “Risposta de madama Bibin”, appunto) al poemetto del Porta sul Romanticismo.

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

 

MATRIX
Brullo ora

questo mio linguaggio

brullo
più di sempre
tanto

quanto una foresta innevata

che nessuna neve scioglie

e lo spazio s'incurva
e si sgrana
e il tempo non esiste.

Ora più di sempre
che memoria e volontà
ferro battuto

It from qubit*
matrix
il mio multiverso.

Come il tuo cantare
passero solitario

che alla campagna vai cantando

finchè non muore il giorno.


* “It from qubit”è un progetto di ricerca dei fisici, secondo i quali it è lo spazio-tempo che potrebbe essere generato dall'interazione di minuscoli elementi di informazione, detti quantum bit, analoghi ai bit informatici, ma su scala quantistica.
Roberto Soldà

(proposto da Piero Colonna Romano)
 

Tutto sfuma
Ho rivisto Zazzà. L'ho rincontrata
dopo quasi quattr'anni. È sempre bella!
Tiè sempre li capelli a madonnella,
cià sempre la medesima risata.

Ha conservato la vitina snella,
er modo de guardà, la camminata...
Insomma è eguale a come l'ho lasciata,
ma a me me pare che nun sia più quella.

Nun me pare possibbile che sia
l'istessa donna che quattr'anni fa
me faceva schiattà de gelosia.

Che pianti che ciò fatto! Iddio lo sa!
Quanti sospiri ciò buttati via!
E, invece, adesso... Povera Zazzà!
Trilussa (Carlo Alberto Salustri)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Canzone d'amore
Per dire cos' hai fatto
di me, non ho parole.
cerco solo la notte
fuggo davanti al sole.

La notte mi par d'oro
più di ogni sole al mondo,
sogno allora una bella
donna dal capo biondo.

Sogno le dolci cose,
che il tuo sguardo annunciava,
remoto paradiso
di canti risuonava.

Guarda a lungo la notte
e una nube veloce-
per dire cos' hai fatto
di me, non ho la voce.
Hermann Hesse

consigliata da Poetare


Ancora
- Dunque
un palcoscenico
è tutto il mondo?
Come se il mondo
un groviglio fosse
di minuscoli
frammenti d'informazione?-


Alt! stop!
Tu ancora
essere puoi
un easy rider.

Chiudi fuori il mondo!

Nel rumore del tuo silenzio
torna a spigolare
le spighe d'oro dell'alba

alimento prezioso
della mente tua
di primitivo
parco testardo
che tutto
ancora il fantastico nord
della Finlandia di Sibelius
nel nulla puoi ritrovare.

Ancora dinamico
ben ancorato
essere puoi
come il tuo tavolo
di laboratorio
pieno di tacche
e cicatrici

e macchie
d'inediti colori
ad olio e tempera.

Ancora
tu
puoi
come il tuo tavolo
essere il veterano
che su robuste gambe di legno
sopravvive
ai colpi
della dura battaglia.
Roberto Soldà

(proposto da Piero Colonna Romano)


Quando tu sarai vecchia
Quando tu sarai vecchia e leggerai
Questi poveri versi accanto al fuoco
Rivedrai colla mente a poco a poco,
I giorni in che t’amai.

E ti cadrà sul petto il viso smorto,
Per la memoria del tuo tempo lieto:
A me ripenserai nel tuo secreto,
A me che sarò morto.

E ti parrà d’udir la voce mia
Nel vento che di fuor suscita il verno,
E ti parrà d’udir come uno scherno,
Una bieca ironia.

E la voce dirà: Te ne rammenti,
Te ne rammenti più? Com’eran belli
I tuoi capelli d’oro, i tuoi capelli
Sul bianco sen fluenti!

Oh come il tempo t’ha mutata! Oh come
T’ha impresso in viso i suoi deformi segni!
Dove son dunque i tuoi superbi sdegni
E le tue bionde chiome?

Sola al tuo focolar siedi piangendo
La giovanil tua morta leggiadria:
Io piango solo nella tomba mia:
Vieni dunque: t’attendo!

Vieni e se in vita mi fallì la speme
Di viver teco i giorni miei sereni,
Ci sposeremo nella tomba. Vieni:
Vi marciremo insieme.
Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Meriggio estivo
Dal fresco rezzo della stanza mia
veggo laggiù brillar nitidamente
l'asciutta rena e i sassi del torrente
che un limpido fil d'acqua al fiume invia.

Rompe il verde del pian la bianca via
che s'allontana tortuosamente;
presso la siepe, al sol, dorme un pezzente
del suo magro cagnuolo in compagnia.

Più in là, da un campo biondeggiante, uguale
suona il rispetto d'una curva schiera
di mietitrici. Stridon le cicale.

E per l'aria tranquilla, in tra la nera
canapa, d'improvviso ondeggia e sale
il fumo e il fischio della vaporiera.
Enrico Panzacchi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Comare Coletta
«Saltella e balletta
comare Coletta!
Saltella e balletta!»

Smagrita, ricurva, la piccola vecchia
girando le strade saltella e balletta.
Si ferma la gente a guardarla,
di rado taluno le getta denaro;
saltella più lesta la vecchia al tintinno,
ringrazia provandosi ancora
di reggere alla piroetta.
Talvolta ella cade fra il lazzo e le risa:
nessuno le porge la mano.

«Saltella e balletta
comare Coletta!
Saltella e balletta!»

- La tua parrucchina, comare Coletta,
ti perde il capecchio!
- E il bel mazzolino, comare Coletta,
di fiori assai freschi!
- Ancora non hanno lasciato cadere
Il vivo scarlatto.
- Ricordan quei fiori, comare Coletta,
gli antichi splendori? -
- Danzavi nel mezzo ai ripalchi,
n’è vero, comare Coletta?
Danzavi vestita di luci, cosparsa di gemme,
e solo coperta di sguardi malefici, vero?
- Ricordi le luci, le gemme?
- Le vesti smaglianti?
- Ricordi gli sguardi?
- Ricordi il tuo sozzo peccato?
- Vecchiaccia d’inferno,
tu sei maledetta.

«Saltella e balletta
comare Coletta!
Saltella e balletta!»

Ricurva, sciancata,
provandosi ancora di reggere alla piroetta,
s’aggira per fame la vecchia fangosa;
trascina la logora veste pendente a brandelli,
le cade a pennacchi di capo il capecchio
fra il lazzo e le risa,
la rabbia le serra la bocca
di rughe ormai fossa bavosa.
E ancora un mazzetto
Di fiori scarlatti
Le ride sul petto.

«Saltella e balletta
comare Coletta!
Saltella e balletta!»
Aldo Palazzeschi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


La fontana malata
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch......
E' giu',
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace....
di nuovo.
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
Si tace,
non getta
piu' nulla.
Si tace,
non s'ode
rumore
di sorta
che forse...
che forse
sia morta?
Orrore
Ah! no.
Rieccola,
ancora
tossisce,
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
chchch....
La tisi
l' uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto....
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte,
mi uccide
quel suo
eterno tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari...
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...
Aldo Palazzeschi

consigliata da giuseppe gianpaolo Casarini


Maia
XIX

Certo, una inattesa bellezza
balenar talora mi parve
nella chimerosa figura
del popolo unanime intenta;
e l'ingluvie sua flatulenta
e il vociar suo forsennato
e l'enormità del suo dosso,
la caudale giuntura
delle sue mille e mille
vertebre che traversa, come
fólgore, l'insano sussulto;
e il Pànico, l'occulto
suo dio che gli schiaccia la coglia;
e la sua furia e la sua doglia
e la sua miseria infinita,
tra le inesorabili mura,
mi diedero fremiti avversi.
E talor discopersi
in alcun vólto infoscato
dalla filiggine o adusto
l'armonia del bronzo vetusto.

Ma, dopo, il Deserto di sabbia
inospite fu la mia gioia
sublime, fu il mio rapimento.
E tedio mi prese del verde
albero, e il solco del novo
grano mi fu a noia
per la memoria dell'uomo;
e ogni vestigio di piede
umano mi parve lordura.
E l'immensa aridità pura
del Deserto senza vie
e senza òasi, il suo fiore
ineffabile che illude
la sete nudrito di brace,
le sue mammelle nude
e sterili che fanno
di bassura in bassura
ombre d'inganno, il muto
tremar del suo vento focace
quasi battito di febbre,
furono il mio rapimento.

E la luce m'entrò pei pori
della pelle, m'impregnò d'oro
le vene le ossa e le midolle,
mi fece il cuore lucente
come il quarzo e lo schisto.
E ogni umor tristo
fu inaridito, riarsa
ogni sovrabbondanza molle,
ogni pesantezza alleggiata,
ogni ingombro distrutto.
E nel mio corpo asciutto
la felicità del mio spirto
fu più agile che fiamma
appresa ad arbusto di mirto.
E tutti i miei pensieri
furon come corde di cetra
aridi; e le volontà belle
sonarono in me constrette
come le aguzze asticelle
dei dardi a quattro alette
suonano nella faretra.

E la mia coscia nervosa
aderì così forte
al fianco del mio caval sauro
ch'io divenni il mostro biforme,
lo snello centauro
d'ugne senza ferro,
di levità senza orme.
E ne' miei occhi umani
sentii la bellezza dei grandi
ardenti umidi occhi inumani
del corsiere d'Arabia
che parea sangue di pardo.
Ed ebbi così nel mio sguardo
l'inconsapevolezza
della purità bestiale,
in me ebbi tutto il Deserto.
E, scendendo in corsa le dune
verso la bassura fallace
d'aereo incantamento,
correre credetti alla Nube
materna vestito di vento.

Delirio dei profeti
saziàti di locuste
e beveràti con l'acqua
lotosa dell'otre sozzo,
visione di dolore
e d'orrore innanzi alla Morte,
il mio delirio fu più forte,
la mia visione più bella.
Dov'era il dio di procella
che seccò il mare, le acque
del grande abisso? che ridusse
le profondità del mare
in un cammino di fuoco
per i dromedarii di Efa
e per i cammelli di Seba
carichi del suo incenso?
Quivi, nel fuoco immenso,
non era alcun che gridasse
per la giustizia né alcuno
che per la verità facesse
lite e contesa e digiuno.

Fin l'ossa dei dromedarii
su la sabbia eran più monde
di tal giustizia e più pure
di tal verità, sotto il Sole.
E non v'eran parole
se non quelle del vento
incorruttibile, che è il Messo
della Libertà per i prodi
e per i solitarii, quivi.
E il vento dicea: «Tu che vivi,
guarda il mio palpito incessante
d'amore su i corpi che foggio!
Il Mar glauco, il Deserto roggio
io li travaglio d'amore
indefesso e li trasfiguro
in bellezza infinita
che una pare e sempre disvaria.
O Vita! Non odi nell'aria
clangor delle mie mille trombe?
Or ora laggiù seppellita
ho la Sfinge presso le tombe».

Seppellita ho anch'io la mia Sfinge
co' suoi enigmi nodosi,
e seppelliti anco gli avelli
con la lor putredine inclusa.
Risa di fanciulli, effusa
gioia puerile, croscianti
risa d'innocenza selvaggia
furono l'inno funerale
alla covatrice di tombe,
risa volubili come
avvolgimenti d'aura, roche
di troppa allegrezza talora
come i canti delle colombe,
come i murmuri dei ruscelli.
Volontà, Vittoria senz'ale
in me ferma sempre! Nudrita
di rai, Voluttà, calda e ascosa
come sotto il pampino l'uva!
Orgoglio, uccisor dispietato!
Istinto, fratello del Fato,
dio certo nel tempio carnale!

Volontà, Voluttà,
Orgoglio, Istinto, quadriga
imperiale mi foste,
quattro falerati corsieri,
prima di trasfigurarvi
in deità operose
come le Stagioni, che fanno
le danze lor circolari
e compagne son delle Grazie
e delle Parche in ricondurre
Prosèrpina ai giorni sereni:
quadriga che con freni
difficili resse l'auriga,
con rèdini tese nei pugni
ove serpeggiava la fiamma
del sangue sagliente pei fermi
cùbiti ai bicìpiti duri:
quadriga negli Atti più puri
coniata come l'antica
nel rovescio del tetradramma,
segno di potenza ai futuri.

Con quanto ardimento
trapassammo i termini d'ogni
saggezza e corremmo su l'orlo
dei precipizii, lungh'essi
gli alti argini delle fiumane
vorticose, in vista
del duplice abisso
pel crinale aguzzo dei monti
ove la vertigine afferra
subitamente colui
che crede al pericolo, e senza
scampo lo sbatte sul sasso,
gli spezza la nuca e la schiena!
O ebrietà d'ogni vena,
occhio gelido e chiaro
nella faccia ardente!
A levante, a ponente,
per ovunque guardai
quell'adamàntina cima
del rischio,
e sempre mi chiesi:
«Ove debbo ancóra salire?».

Ma il meridiano delirio
nel Deserto l'oblìo
d'ogni cima più perigliosa
mi diede e d'ogni demenza
più lucida e d'ogni divieto
abbattuto. E l'alta quadriga
e lo sforzo dei freni
e la chiara audacia e la lunga
esperienza dei mali
e la gioia immite del rischio,
tutta l'opra d'odio e d'amore
dietro di me sparve, fu come
sabbia ventosa, fu nulla.
E l'anima mia dalla culla
dell'eternità parve alzata
in quell'ora, con l'innocenza
dell'elemento, nova
e pur compiuta da un'arte
più fiera che qualsìa nostr'arte.
E corsero a lei d'ogni parte
moltitudini di bellezze.

Ed ella taceva, profonda
del suo più profondo silenzio.
Ma parole erano dette
in lei, alla gran luce
del mezzodì, chiare parole
che non pur nel già fatto
vespero furon mormorate
mai dal timor delle labbra
né mai nel mistero notturno.
E il suo coraggio taciturno
le suggeva cupidamente
come il fanciullo vorace
che sugge gli acini gonfii
di miel solare e inghiotte
la pelle che il sol fece d'oro
e trita i fiòcini e il raspo,
ché tutto gli piace.
E quel ch'è angoscia spavento
miseria tra gli uomini, quello
le si trasmutò pel Deserto
in felicità senza nome.

Felicità, non ti cercai;
ché soltanto cercai me stesso,
me stesso e la terra lontana.
Ma nell'ora meridiana
tu venisti a me d'improvviso,
coi piedi scalzi e col viso
velato d'un velo tessuto
di quei fili che talora
brillano impalpabili all'aere
opere d'aeree fusa.
Ed ecco tu torni! E la Musa
t'ode mentre tu t'avvicini,
se bene i tuoi piedi
sien più delicati
del guaime che nasce
nei prati dopo la falce,
più tenui delle prime
foglie che spuntan nel salce,
e più lievi sieno i tuoi passi
che scorrer di talpa sotterra
o di lucertola in sassi.

Tu torni e tu tornerai,
come l'aura intermessa
che manca perché va più lungi,
forse sopra un letto di musco,
forse in una tremula stanza
di capelvenere, forse
dietro una cortina rosata
di madreselva, a vestirsi
di freschezza novella
da recare a colui che l'ama.
Il mio cor non ti chiama
né ti attende. Tu repentina
entri e mi guardi con occhi
negri d'un negrore velluto
come quel degli occhi onde occhiuto
è il fior della fava nel mese
di marzo tra pioggia e chiarìa.
E tu m'assempri l'iddia
parrasia, Carmenta dai lunghi
riccioli, che portava
ghirlande di foglie di fava.

Tu sei visibile, tu hai
la specie divina e selvaggia,
il primo odore del campo
di marzo, i denti di brina.
Ti guardo; e la prima peluria
della mandorla nova
è men dolce della tua guancia.
Ti guardo; e le tue dita chiuse
son come lo spicanardo
che chiuso è in mazzi pei forzieri
colmi di nivei lenzuoli;
e i petali dei giaggiuoli
nel piegarsi non han la grazia
de' tuoi capelli che piega
su le tue tempie il favonio;
e come il nido alcionio
che palpita a fiore del sale
col palpito lento e infinito
di tutto il mare placato,
e il tuo sen verginale
mosso dal profondo tuo fiato.

Di cose fugaci e segrete
sei fatta, di silenzii
e di murmuri, lieve
come i frutti piumosi
della viorna, come
le lane del cardo argentino,
o Felicità del cor prode.
Ed ecco tu torni a me! T'ode
la Musa; e il suo vólto divino
nel volgersi ti rassomiglia,
se non che tra le ciglia
sembra ell'abbia il fiore del lino
ma in vero è il colore marino
che rimasto è per sempre
nel suo sguardo amico dei flutti.
Che ci porti? Quali bei frutti
di paradiso insulare
per invogliarci a largare
novamente le vele
umide ancor di tempesta?
Che ascondi nella tua vesta?

Noi abbiamo un canto novello
perché tu l'oda, questo grande
Inno che edificar ci piacque
a simiglianza d'un tempio
quadrato cui demmo per ogni
lato cento argute colonne
tutto aperto ai vènti salmastri.
Ai raggi del sole e degli astri
notturni l'artefice insonne
operò con puro fervore,
quasi fosse questa l'estrema
opera di sé morituro,
il monumento al suo spirto
liberato e liberatore.
Ei le materie sonore
con ìmpari numero, oscuro
e inimitabile,
vinse.
Le sette Pleiadi ardenti
e le tre Càriti leni,
le stelle dell'Orsa e le Parche,
in rapido giro costrinse.

Tre volte sette: la strofe
qual triplicata sampogna
di canne ineguali risuona
con l'arte di Pan meriggiante.
Io tagliai le canne lungh'essi
i fiumi, sovr'esse le fonti
frigide, nel loto febbroso
delle paludi, sul ciglio
dei botri, nelle ruine
delle città venerande.
Per giugnerle insieme, la cera
separai dal nettare flavo
con la mia bocca ingorda
ma non sì che non rimanesse
nella masticata sostanza
l'odor del cefisio narcisso.
Trassi il refe da una sagena
logora per lungo esplorare
i fondi pescosi, ancor lorda
di scaglie, pregna di salso,
esperta del tacito abisso.

Il Dèmone dai mille nomi,
il vagabondo Orgiaste,
il Dio circolare, il Maestro
delle visioni, l'Amico
dei suoni, Colui che conduce
la melodìa del Tutto,
m'insegnò quest'arte nascosta.
Ebbi acuto l'orecchio
al rombo del ponto remoto,
allo sciame lene strepente,
al vado pulsare del sangue,
ai movimenti segreti
dell'anima vigile, a ogni
dimanda, a ogni risposta.
Il suono si fece acque foglie
glebe rupi nuvole marmi,
scroscio di doglienza, sorriso
di pace, grido di brama,
combattimento ordinato,
danza revoluta, solenne
coro, sicìnnide incomposta.

Ah, che mai sanno gli schiavi
faticosi intenti a mestare
con lor mestole ed assi
ne' vecchi truoghi di pietra
consunta lor polte ed imbratti,
come i ciechi servi di Scizia
posti in buon ordine ai vasi
della mungitura, or che sanno
eglino della potenza
e dello splendore dei suoni?

O parole, mitica forza
della stirpe fertile in opre
e acerrima in armi, per entro
alle fortune degli evi
fermata in sillabe eterne;
parole, corrotte da labbra
pestilenti d'ulceri tetre,
ammollite dalla balbuzie
senile, o italici segni,
rivendicarvi io seppi
nella vostra vergine gloria!

Io vi trassi con mano
casta e robusta dal gorgo
della prima origine, fresche
come le corolle del mare
contràttili che il novo lume
indicibilmente colora.
Io vi disposi nei modi
dell'arte così che la vita
vostra rivelò le segrete
radici, le innùmere fibre
che legano tutta la stirpe
alla Natura sonora.
Io feci apparire tra l'una
e l'altra sillaba i mille
vólti del Passato tremendi
come sembianze di morti
che un'anima sùbita inondi.
Io dal vostro cozzo faville

sprigionai, baleni d'amore
che illuminarono l'ombra
del Futuro pregna di mondi.

Splendete e sonate, o parole,
in questo Inno che è il vasto
preludio del mio novo canto.
Converse io v'ho novamente
in sostanza umana, in viva
polpa, in carne della mia carne,
in vene di sangue e di pianto.
Splendete come l'aurora
su l'alpe nutrice di fiumi,
onde scese al suo messaggero
Euretria la Decima Musa.
Risonate come le trombe
del vento che avea seppellito
laggiù nelle sabbie di fuoco
l'ancìpite Sfinge camusa.
Ma, prima che l'ora sia chiusa,
io voglio al Maestro sublime
alzare il saluto figliale;
poi, colcato sopra la terra
munifica, gli ultimi vóti
volgere alla Madre immortale.
Gabriele D'Annunzio - Maia (1903)

consigliata da Cesare Giuseppe Casarini
 

Consolazione
Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. È stanco di mentire.
Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancóra per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.

Ancóra qualche rose è ne' rosai,
ancóra qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancóra
sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l'oblìo afflisse.
Che proveresti tu se fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?

Tanto accadrà, ben che non sia d'aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento
sol di settembre; e ancor non vedo argento
su 'l tuo capo, e la riga è ancor sottile.

Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po' di sole,
un po' di sole su quel viso bianco.

Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose...
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l'anima tua sogna.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.

Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.
Io parlo. Di': l'anima tua m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende
quasi il fantasma d'un april defunto.

Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.

Sogniamo, poi ch'è tempo di sognare.
Sorridiamo. È la nostra primavera,
questa. A casa, più tardi, verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.

Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava,
allora, qualche corda; qualche corda
ancora manca. E l'ebano ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.

Mentre che fra le tende scolorate
vagherà qualche odore delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come un fiato
debole di viole un po' passate,

sonerò qualche vecchia aria di danza,
assai vecchia, assai nobile, anche un poco
triste; e il suono sarà velato, fioco,
quasi venisse da quell'altra stanza.

Poi per te sola io vo' comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna,
sopra un antico metro, ma con una
grazia che sia vaga e negletta alquanto.

Tutto sarà come al tempo lontano.
L'anima sarà semplice com'era;
e a te verrà, quando vorrai, leggera
come vien l'acqua al cavo de la mano.
Gabriele d’ Annunzio

consigliata da Giuseppe Gianpaolo Casarini


Il sonnellino
Guardai, di tra l'ombra, già nera,
del sonno, smarrendo qualcosa
lì dentro: nell'aria non era
che un cirro di rosa.

E il cirro dal limpido azzurro
splendeva sui grigi castelli,
levando per tutto un sussurro
d'uccelli;

che sopra le tegole rosse
del tetto e su l'acque del rio
cantavano, e non che non fosse
silenzio ed oblio:

cantavano come non sanno
cantare che i sogni nel cuore,
che cantano forte e non fanno
rumore.

E io mi rivolsi nel blando
mio sonno, in un sonno di rosa,
cercando cercando cercando
quel vecchio qualcosa;

e forse lo vidi e lo presi,
guidato da un volo d'uccelli,
non so per che ignoti paesi
più belli...

che pure ravviso, e mi volgo,
più belli, a guardarli più buono...
Ma tutto mi toglie la folgore...
O subito tuono!

ch'hai fatto succedere a un'alba
piaciuta tra il sonno, passata
nel sonno, una stridula e scialba
giornata!

da "I canti di Castelvecchio"
Giovanni Pascoli

consigliata da Santi Cardella


Tanto gentile e tanto onesta pare
(Nel giorno della donna, da antichi tempi viene)

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi si piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova
uno spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.
Dante Alighieri

(proposto da Piero Colonna Romano)


Un mestiere
Non hai che da aspettare, con la biro pronta:
i versi ti ronzano intorno, come falene bianche;
una viene alla fiamma e tu l'acchiappi.
Certo non è finito, una non basta,
ma è già molto, è l'inizio del lavoro.
Le altre atterrano lì vicino a gara,
in fila o in cerchio, in ordine o in disordine,
semplici e quete e serve al tuo comando:
il padrone sei tu, non si discute.
Se il giorno è buono tu le disponi a schiera.
E' un bel lavoro, vero? Onorato dal tempo,
vecchio sessanta secoli e sempre nuove.
Con regole precise oppure lasche,
o senza regole, come più ti piace,
ti fa sentire in buona compagnia,
non ozioso, non perso, non sempre inutile,
caligato e togato,
ammantato di bisso, laureato.
Abbi cura soltanto di non presumere.
Primo Levi

(proposta da Piero Colonna Romano)
 

Un rifugio soltanto
Natale viene sempre silenzioso
e nulla chiede, d’umiltà è avvolto.
Per la sua sposa con le doglie in volto,
solo un rifugio, domandò lo sposo.

Un rifugio soltanto! Ma non oso
oggi chiederlo a un mondo capovolto,
che ogni santità al Natale ha tolto.
Una casa d’amore è un sogno eroso.

Accese mille luci artificiali,
dispersa in anni luce è la cometa
e nel frastuono, muta è la preghiera.

Manca il rifugio, in questa lunga sera,
l’abbraccio caldo e quella giusta meta
che alla festa vitale dia i natali.
Lorena Turri
da: Leggi una donna" - Kairòs ed. 2015

consigliata da Addis Marinella


DAL SECONDO DIARIO MINIMO DI UMBERTO ECO:
"COME VA?"

1. Henry James: "Secondo i punti di vista"
2. Kafka: "Mi sento un verme"
3. Musil: "Così così"
4. Joyce: "Fine yes yes yes"
5. Nobel: "Sono in pieno boom"
6. Larousse: "In poche parole, male"
7. Curie: "Sono raggiante"
8. Dracula: "Sono in vena"
9. Croce: "Non possiamo non dirci in buone condizioni di spirito"
10. Picasso: "Va a periodi"
11. Lenin: "Cosa vuole che faccia?"
12. Hitler: "Forse ho trovato la soluzione"
13. Heisemberg: "Dipende"
14. Pirandello: "Secondo chi?"
15. Sotheby: "D'incanto"
16. Bloch: "Spero bene"
17. Freud: "Dica lei"
18. D'Annunzio: "Va che è un piacere"
19. Popper: "Provi che vado male"
20. Ungaretti: "Bene (a capo) grazie"
21. Fermi: "O la va o la spacca"
22. Camus: "Di peste"
23. Matusalemme: "Tiro a campare"
24. Lazzaro: "Mi sento rivivere"
25. Giuda: "Al bacio"
26. Ponzio Pilato: "Fate voi"
27. San Pietro: "Mi sento un cerchio alla testa"
28. Nerone: "Guardi che luce"
29. Maometto: "Male, vado in montagna"
30. Savonarola: "E' il fumo che mi fa male"
31. Orlando "Scusi, vado di furia"
32. Cyrano: "A naso, bene"
33. Volta: "Più o meno"
34. Pietro Micca: "Non ha letto che è vietato fumare"
35. Jacquard: "Faccio la spola"
36. Malthus: "Cè una ressa…"
37. Bellini: "Secondo la norma"
38. Lumiere: "Attento al treno!"
39. Gandhi: "L'appetito non manca"
40. Agatha Christie: "Indovini"
41. Einstein: "Rispetto a chi?"
42. Stakanov: "Non vedo l'ora che arrivi ferragosto…"
43. Rubbia: "Come fisico, bene"
44. Sig.ra Riello: "Sono stufa!"
45. La Palisse: "Va esattamente nella maniera in cui va"
46. Shakespeare: "Ho un problema: va bene o non va bene?"
47. Alice: "Una meraviglia"
48. Dr. Zap: "Bene, la sai l'ultima?"
49. Verga: "Di malavoglia"
50. Heidegger: "Quante chiacchiere!"
51 Grimm: "Una favola!"

proposta da Piero Colonna Romano


DAL SECONDO DIARIO MINIMO DI UMBERTO ECO:
"COME VA?"

1. Erasmo: "Bene da matti"
2. Colombo: "Si tira avanti"
3. Lucrezia Borgia: "Prima beve qualcosa?"
4. Giordano Bruno: "Infinitamente bene"
5. Lorenzo de' Medici: "Magnificamente"
6. Cartesio: "Bene, penso"
7. Berkeley: "Bene, mi sembra"
8. Hume: "Credo bene"
9. Pascal: "Sa, ho tanti pensieri…"
10. Enrico VIII: "Io bene, è mia moglie che…"
11. Galileo: "Gira bene"
12. Torricelli: "Tra alti e bassi"
13. Pontorno: "In una bella maniera"
14. Desdemona: "Dormo tra due guanciali…"
15. Newton: "Regolarmente"
16. Leibniz: "Non potrebbe andar meglio"
17. Spinoza: "In sostanza, bene"
18. Hobbes: "Tempo da lupi"
19. Vico: "Va e viene"
20. Papin: "Ho la pressione alta"
21. Montgolfier: "Ho la pressione bassa"
22. Franklin: "Mi sento elettrizzato"
23. Robespierre: "C'è da perderci la testa"
24. Marat: "Un bagno"
25. Casanova: "Vengo"
26. Goethe: "C'è poca luce"
27. Beethoven: "Non mi sento bene"
28. Shubert: "Non mi interrompa, per Dio"
29. Novalis: "Un sogno"
30. Leopardi: "Sfotte?"
31. Foscolo: "Dopo morto, meglio"
32. Manzoni: "Grazie a Dio, bene"
33. Sacher-Masoch: "Grazie a Dio, male"
34. Sade: "A me bene"
35. D'Alambert e Diderot: "Non si può dire in due parole"
36. Kant: "Situazione critica"
37. Hegel: "In sintesi, bene"
38. Schopenhauer: "La volontà non manca"
39. Cambronne: "Boccaccia mia…"
40. Marx: "Andrà meglio…"
41. Carlo Alberto: "A carte 48"
42. Paganini: "L'ho già detto"
43. Darwin: "Ci si adatta"
44. Livingstone: "Mi sento un po' perso"
45. Nievo: "Le dirò, da piccolo…"
46. Nietzsche: "Al di là del bene, grazie"
47. Mallarme': "Sono andato in bianco"
48. Proust: "Diamo tempo al tempo"

proposta da Piero Colonna Romano


DAL SECONDO "DIARIO MINIMO" DI UMBERTO ECO
Umberto Eco, intellettuale e scrittore assai prolifico, ci diletta con un piccolo divertissement. Dal secondo "Diario Minimo", ecco come risponderebbero alcuni personaggi storici o famosi alla più banale delle domande: "Come va?".

1. Icaro: "Uno schianto"
2. Proserpina: "Mi sento giù"
3. Prometeo: "Mi rode…"
4. Teseo: "Finché mi danno corda…"
5. Edipo: "La mamma è contenta"
6. Damocle: "Potrebbe andar peggio"
7. Priapo: "Cazzi miei"
8. Ulisse: "Siamo a cavallo"
9. Omero: "Me la vedo nera"
10. Eraclito: "Va, va…"
11. Parmenide: "Non va"
12. Talete: "Ho l'acqua alla gola"
13. Epimenide: "Mentirei se glielo dicessi"
14. Gorgia: "Mah!"
15. Demostene: "Difficile a dirsi"
16. Pitagora: "Tutto quadra"
17. Ippocrate: "Finché c'è la salute…"
18. Socrate: "Non so"
19. Diogene: "Da cani"
20. Platone: "Idealmente"
21. Aristotele: "Mi sento in forma"
22. Plotino: "Da Dio"
23. Catilina: "Finché dura…"
24. Epicuro: "Di traverso"
25. Muzio Scevola: "Se solo mi dessero una mano…"
26. Attilio Regolo: "Sono in una botte di ferro"
27. Fabio Massimo: "Un momento…"
28. Giulio Cesare: "Sa, si vive per i figli, e poi marzo è il mio mese preferito…"
29. Lucifero: "Come Dio comanda"
30. Giobbe: "Non mi lamento, basta aver pazienza"
31. Geremia: "Sapesse, ora le dico…"
32. Noè: "Guardi che mare…"
33. Onan: "Mi accontento"
34. Mosè: "Facendo le corna…"
35. Cheope: "A me basta un posticino al sole…"
36. Sheherazade: "In breve, ora le dico…"
37. Boezio: "Mi consolo"
38. Carlo Magno: "Francamente bene"
39. Dante: "Sono al settimo cielo"
40. Giovanna d'Arco: "Si suda"
41. San Tommaso: "Tutto sommato bene"

proposta da Piero Colonna Romano


La mia sera
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.

E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Né io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.

(Da “I Canti di Castelvecchio”. La poesia è composta da 5 strofe di 7 versi novenari e l'ultimo senario che termina con la parola sera).
Giovanni Pascoli

consigliata da Salvatore Armando Santoro
 

Che mi ami tu lo dici
Che mi ami tu lo dici, ma con una voce
più casta di quella d'una suora
che per sé sola i dolci vespri canta,
quando la campana risuona.
Su, amami davvero!
Che mi ami tu lo dici, ma con un sorriso
freddo come un'alba di penitenza,
suora crudele di San Cupido
devota ai giorni d'astinenza.
Su, amami davvero!
Che mi ami tu lo dici, ma le tue labbra
tinte di corallo insegnano meno gioia
dei coralli del mare,
mai che s'imbroncino di baci.
Su, amami davvero!
Che mi ami tu lo dici, ma la tua mano
non stringe chi teneramente la stringe;
è morta come quella d'una statua,
mentre la mia brucia di passione.
Su, amami davvero!
Su, incendiamoci di parole
e bruciandomi sorridimi, stringimi
come devono gli amanti, su, baciami
e l'urna delle mie ceneri, poi, seppelliscila nel tuo cuore.
Su, amami davvero!
John Keats

proposta da Piero Colonna Romano
 

(Quando scienza e poesia s'incontrano)

Questa poesia, dell'ottimo Roberto Soldà, è apparsa nel libro "La decima musa" di Vincenzo Schettino (edit. Firenze University Press, 2016) e nella rivista di chimica "La chimica nella scuola del 2000", in questa assieme a "Entalpia", altra notevole poesia del nostro amico.
A Roberto vivissimi, sinceri complimenti.

Cristalli di ATP
In vago barlume
di vuoto immerso,
cristalli di ATP
a flebili raggi
di luna sommistro.
Ad ottener densa
una luce che illumini
l'ombra sull'erba.
Aria di prato gelida
dopo la grandine
avanza ad ovest.
Chiudo il cancello:
stridio di gabbiani
insegue l'onda
d'un blu aratro.
Quattro radicali
liberi ho serbato
per aggredire parole
contro scagliate.
Un icosaedro appoggiato
sul retro della valenza
a discutere s'improvvisa
forsennato.
Roberto Soldà

(proposta in lettura da Piero Colonna Romano)


A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
- Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno - Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
Alfonso Gatto

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


The Burial of the Dead
April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow, feeding
A little life with dried tubers.
Summer surprised us, coming over the Starnbergersee
With a shower of rain; we stopped in the colonnade,
And went on in sunlight, into the Hofgarten,
And drank coffee, and talked for an hour.
Bin gar keineRussin, stamm’aus Litauen, echt deutsch.
And when we were children, staying at the arch-duke’s,
My cousin’s, he took me out on a sled,
And I was frightened. He said, Marie,
Marie, hold on tight. And down we went.
In the mountains, there you feel free.
I read, much of the night, and go south in the winter.
(…)

Il seppellimento dei morti
Aprile è il piú crudele dei mesi: genera
Lillà dalla morta terra, mescola
Ricordo e desiderio, stimola
Le sopite radici con la pioggia primaverile.
L’inverno ci tenne caldi, coprendo
La terra di neve obliosa, nutrendo
Grama vita con tuberi secchi.
L’estate ci sorprese, piombando sullo Starnbergersee
Con uno scroscio di pioggia; ci fermammo nel colonnato,
E avanzammo nel sole, nel Hofgarten,
E bevemmo caffè, e parlammo per un’ora.
Bin gar keine Russin, stamm’aus Litauen, echt deutsch.
E da bimbi, quando si stava dall’arciduca
Mio cugino, lui mi condusse in slitta
E io presi uno spavento. Mi disse: Marie,
Marie, tienti forte. E giú scivolammo.
Sulle montagne ci si sente liberi.
Io leggo quasi tutta la notte, e d’inverno me ne vo nel Sud.
(…)

(da La terra desolata, 1926 Trad. di Mario Praz)
Thomas Stearns Eliot

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


(Se musica è la donna amata)
Ma tu continua e perditi, mia vita,
per le rosse città dei cani afosi
convessi sopra i fiumi arsi dal vento.
Le danzatrici scuotono l'oriente
appassionato, effondono i metalli
del sole le veementi baiadere.
Un passero profondo si dispiuma
sul golfo ov'io sognai la Georgia:
dal mare (una viola trafelata
nella memoria bianca di vestigia)
un vento desolato s'appoggiava
ai tuoi vetri con una piuma grigia
e se volevi accoglierlo una bruna
solitudine offesa la tua mano
premeva nei suoi limbi odorosi
d'inattuate rose di lontano.
Mario Luzi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Goal
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
La folla- unita ebrezza - per trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
Presso la rete inviolata il portiere
- l’altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch’io son parte.
Umberto Saba (Umberto Poli)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Donna che si pettina
Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli;

e, mentre i flutti tremolanti e belli
con drittissimo solco dividea,
l’òr delle rotte fila Amor cogliea,
per formarne catene a’ suoi rubelli.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.

Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,
poich’almen fur, ne la tempesta mia,
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!
Gian Battista Marino

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Bellissima mendica
Sciolta il crin, rotta i panni e nuda il piede,
donna, cui fé lo ciel povera e bella,
con fioca voce e languida favella
mendicava per Dio poca mercede.
Fa di mill’alme, intanto, avare prede
al fulminar de l’una e l’altra stella;
e di quel biondo crin l’aurea procella
a la sua povertà togliea la fede.
“A che fa” le diss’io “sì vil richiesta
la bocca tua d’oriental lavoro,
ov’Amor sul rubin la perla inesta?
Ché se vaga sei tu d’altro tesoro,
china la ricca e preziosa testa,
che pioveran le chiome i nembi d’oro”.
Claudio Achillini

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Meriggio estivo
Dal fresco rezzo della stanza mia
veggo laggiù brillar nitidamente
l'asciutta rena e i sassi del torrente
che un limpido fil d'acqua al fiume invia.

Rompe il verde del pian la bianca via
che s'allontana tortuosamente;
presso la siepe, al sol, dorme un pezzente
del suo magro cagnuolo in compagnia.

Più in là, da un campo biondeggiante, uguale
suona il rispetto d'una curva schiera
di mietitrici. Stridon le cicale.

E per l'aria tranquilla, in tra la nera
canapa, d'improvviso ondeggia e sale
il fumo e il fischio della vaporiera.
Enrico Panzacchi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Il Canto dell'odio
Quando tu dormirai dimenticata
sotto la terra grassa
E la croce di Dio sarà piantata
ritta sulla tua cassa

Quando ti coleran marce le gote
entro i denti malfermi
E nelle occhiaie tue fetenti e vuote
brulicheranno i vermi

Per te quel sonno che per altri è pace
sarà strazio novello
E un rimorso verrà freddo, tenace,
a morderti il cervello.

Un rimorso acutissimo ed atroce
verrà nella tua fossa
A dispetto di Dio, della sua croce,
a rosicchiarti l'ossa.

Io sarò quel rimorso. Io te cercando
entro la notte cupa,
La mia che fugge il dì, verrò latrando
come latra una lupa;

Io con quest'ugne scaverò la terra
per te fatta letame
E il turpe legno schioderò che serra
la tua carogna infame.

Oh, come nel tuo core ancor vermiglio
sazierò l'odio antico,
Oh, con che gioia affonderò l'artiglio
nel tuo ventre impudico!

Sul tuo putrido ventre accoccolato
io poserò in eterno,
Spettro della vendetta e del peccato,
spavento dell'inferno:

Ed all'orecchio tuo che fu sì bello
sussurrerò implacato
Detti che bruceranno il tuo cervello
come un ferro infocato.

Quando tu mi dirai: perché mi mordi
e di velen m'imbevi?
Io ti risponderò: non ti ricordi
che bei capelli avevi?

Non ti ricordi dei capelli biondi
che ti coprian le spalle
e degli occhi nerissimi, profondi,
pieni di fiamme gialle?

E delle audacie del tuo busto e della
opulenza dell'anca?
Non ti ricordi più com'eri bella,
provocatrice e bianca?

Ma non sei dunque tu che nudo il petto
agli occhi altrui porgesti
E, spumante Liscisca, entro al tuo letto
passar la via facesti?

Ma non sei tu che agli ebbri ed ai soldati
spalancasti le braccia,
Che discendesti a baci innominati
e a me ridesti in faccia?

Ed io t'amavo, ed io ti son caduto
pregando innanzi e, vedi,
quando tu mi guardavi, avrei voluto
morir sotto a' tuoi piedi.

Perché negare - a me che pur t' amavo -
uno sguardo gentile,
quando per te mi sarei fatto schiavo,
mi sarei fatto vile?

Perché m'hai detto no quando carponi
misericordia chiesi,
e sulla strada intanto i tuoi lenoni
aspettavan gl'Inglesi?

Hai riso? Senti! Dal sepolcro cavo
questa tua rea carogna,
nuda la carne tua che tanto amavo
l'inchiodo sulla gogna,

E son la gogna i versi ov'io ti danno
al vituperio eterno,
a pene che rimpianger ti faranno
le pene dell'inferno.

Qui rimorir ti faccio, o maledetta,
piano a colpi di spillo,
e la vergogna tua, la mia vendetta
tra gli occhi ti sigillo.
Lorenzo Stecchetti - (alias Olindo Guerrini)

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


La ginestra, o Fiore del deserto

                                                         E gli uomini vollero piuttosto
                                               le tenebre che la luce.
                                              GIOVANNI, III, 19.


Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna de' mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
E' il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.

 Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E proceder il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra se. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fe palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama se nè stima
Ricco d'or nè gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma se di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir, nè gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de' mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra se confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così, qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e sulla mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto Seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.

Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel, profondo
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli,
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.

Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Sull'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontano l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch'alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino,
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Giacomo Leopardi

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Sant'Ambrogio
Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que' pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti–tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco,
a me che, girellando una mattina,
capito in Sant'Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano.

M'era compagno il figlio giovinetto
d'un di que' capi un po' pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d'un romanzetto
ove si tratta di promessi sposi...
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt'altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.

Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que' soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
difatto, se ne stavano impalati,
come sogliono in faccia a' Generali,
co' baffi di capecchio e con que' musi,
davanti a Dio diritti come fusi.

Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
di quella maramaglia, io non lo nego
d'aver provato un senso di ribrezzo,
che lei non prova in grazia dell'impiego.
Sentiva un'afa, un alito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego
in quella bella casa del Signore
fin le candele dell'altar maggiore.

Ma in quella che s'appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda,
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l'altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscìan le note
come di voce che si raccomanda,
d'una gente che gema in duri stenti
e de' perduti beni si rammenti.

Era un coro del Verdi; il coro a Dio
là de' Lombardi miseri assetati;
quello: O Signore, dal tetto natio,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Qui cominciai a non esser più io
e come se que’ còsi doventati
fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.

Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbie si buttan là.
Ma, cessato che fu, dentro, bel bello,
lo ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
da quelle bocche che parean di ghiro,

un cantico tedesco, lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne;
era preghiera, e mi parea lamento,
d’un suono grave, flebile, solenne,
tal, che sempre nell’anima lo sento:
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in que’ fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno.

Sentia, nell’inno, la dolcezza amara
de’ canti uditi da fanciullo; il core
che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete i giorni del dolore:
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e d’amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.

E, quando tacque, mi lasciò pensoso
di pensieri più forti e più soavi.
Costor, – dicea tra me, – re pauroso
degi’italici moti e degli slavi,
strappa a’ lor tetti, e qua, senza riposo
schiavi li spinge, per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.

A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quest’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’alemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.

Povera gente! lontana da’ suoi;
in un paese, qui, che le vuol male,
chi sa, che in fondo all’anima po’ poi,
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’hanno in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato lì come un piolo.
Giuseppe Giusti

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


I doni
Primavera vien danzando
vien danzando alla tua porta
Sai tu dirmi che ti porta?
Ghirlandette di farfalle,
campanelle di vilucchi,
quali azzurre, quali gialli;
e poi rose, a fasci e a mucchi.

E l'estate vien cantando,
vien cantando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Un cestel di bionde pesche
vellutate, appena tocche,
e ciliege lustre e fresche,
ben divise a mazzi e a ciocche.

Vien l'autunno sospirando,
sospirando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Qualche bacca porporina,
nidi vuoti, rame spoglie,
e tre gocciole di brina,
e un pugnel di morte foglie.

E l'inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Un fastel d'aridi ciocchi,
un fringuello irrigidito;
e poi neve neve a fiocchi
e ghiacciuoli grossi un dito.

La tua mamma vien ridendo.
vien ridendo alla tua porta,
sai tu dirmi che ti porta?
Il suo vivo e rosso cuore,
e lo colloca ai tuoi piedi,
con in mezzo ritto un fiore:
Ma tu dormi e non lo vedi
Angiolo Silvio Novaro

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


I

LEGGENDO «IL MAGO» DI SEVERINO FERRARI
Giù pei cieli diafani e tranquilli
discende il mago radïante in volto:
un vecchio rospo a un larice suffolto
gli gorgheggia: ben venga il signor Brilli.

Ed e' muggire alla campagna i grilli
ode e nitrir le rane dentro il folto
canneto: un bacherozzo, uom savio e colto,
accorre al braccio di donna Amarilli:

e i rosignoli vanno per le strade
con certi borzacchini di pantano
grattando il violin nelle contrade...

Era tutto, da presso e da lontano,
uno zillare sotto le rugiade
nell'infinita chiarità del piano.
Il mago, della mano

fatto un soave cenno a' rosignoli,
fe' un passo e: Grazie, disse, a quei figliuoli.


II

A SEVERINO FERRARI
Se' tu dunque arrivato in Broceglianda
nel caffè de li Servi, o nel divino
pian della Lena, al garrulo Alberino
dove regna, conversa in rana, Urganda?

Tra gli alberi ogni macero tramanda
un odore d'assai dolce bottino,
quasi che, per incanto o per destino,
il gracchiare in profumo si rispanda.

Nel caffè 'l mago lento al ritmo cede
de' tuoi versi: egli ha i baffi agili in arco,
cupo geme, ed il pio sigaro aspira.

A quando a quando batte arguto il piede
e fa strano del capo a' diti incarco:
poi trae di tasca una lunata lira:
chiama il servo e sospira;

ma se i tre soldi metti fuori tu
tesse una danza di caldea virtù.
Giovanni Pascoli, Sonetti eterocliti

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


La mietitura
Il sole splende come un secchio d'oro,
getta scintille e fiamme alla pianura;
a mezzogiorno tace ogni lavoro;
sotto a un'ombra si passa la calura.
Il sole, il sole batte dentro gli occhi;
giù per la faccia colano i sudori;
s'apron le spighe gialle s'ei le tocchi;
dà forza allegra al cuor dei falciatori.
Severino Ferrari
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Rondine
Son qui sulla gronda,
che canto, gioconda,
gli occasi e i mattini
di porpora e d'or;
che tesso ai piccini
la casa superba
con muschi, con erba,
con larve di fior.
Su prore ed antenne
posando le penne,
fra il marzo ed il maggio
mi reco dal mar;
e scordo il viaggio,
pensando al mio nido
se un portico fido,
se un embrice appar.
Gran Dio, se ti piacque
recarmi sull'acque, .
se l'esca segreta
trovar mi fai tu,
deh! rendimi lieta
d'un raggio di sole:
pel nido e la prole
non cerco di più.
Da raffiche alpine,
da venti e da brine
mi guardi la Santa
che in sen ti portò;
e, quando a lei canta
la turba devota,
anch'io la mia nota
salir le farò.
Giovanni Prati
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Canto Novo
Io mi affretto a le pugne. Cavaliero
ignoto in arme brunita cavalco
per la campagna scabra, ma un pensiero
superbo m’arde ne l’occhio di falco.
Guardan le turbe; e — Chi è questo altiero
fanciul che passa? — elle ghignano. Io valco
senza tema i roveti, ed un pensiero
superbo m’arde ne l’occhio di falco.
A tratti a tratti diritto in arcioni
io sto in ascolto con feroce angoscia
se rechi il vento clamor di battaglia,
ed a ’l cavallo pianto gli speroni
senza pietà giù ne’ fianchi, e a la coscia
provo la punta de la mia zagaglia.
Gabriele D’Annunzio

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Di una sola cosa ti prego mio Signore
Non ti intromettere
James Cole

consigliata da Giovanni Silvestrini
 

The Rainbow
My heart leaps up when I behold
A rainbow in the sky;
So was it when my life began,
So is it, now I am a man,
So be it when I shall grow old,
Or let me die!
The Child is Father of the Man
And I could wish my days to be
Bound each to each by natural piety.
William Wordsworth

L’arcobaleno
Il mio cuore esulta quando ammiro
un arcobaleno nel cielo:
così è stato quando la mia vita è cominciata;
così è adesso che sono un uomo;
Che sia così quando invecchierò,
o lasciatemi morire!
Il Bambino è Padre dell'Uomo:
vorrei che i miei giorni fossero
legati l'uno all'altro dall'affetto naturale.

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Dar allegranza
Dar allegranza amorosa natura
senz'esser l'omo a dover gioi compire,
inganno mi simiglia:
ch'Amor, quand'è di propïa ventura,
di sua natura adopera il morire,
così gran foco piglia;
ed eo, che son di tale amor sorpriso,
tegnom' a grave miso
e non so che natura dé compire,
se non ch'audit' ho dire
che 'n quello amare è periglioso inganno
che l'omo a far diletta e porta danno.
Guido Guinizzelli

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

Sono meno solo adesso
che sono solo con me
Che non quando ero solo
per stare solo con te
James Cole

consigliata da Giovanni Silvestrini
 

Hai dato ordine
alla massa di dubbi
Ora sono muro
che ci divide
James Cole

consigliata da Giovanni Silvestrini

Sonetto 18: Posso paragonarti a un giorno d’estate?

«Queste parole vivranno, e daranno vita a te»

Shall I compare thee to a summer’s day?
Thou art more lovely and more temperate.
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer’s lease hath all too short a date.
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed,
And every fair from fair sometime declines,
By chance or nature’s changing course untrimmed;
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou owest;
Nor shall Death brag thou wand’rest in his shade,
When in eternal lines to time thou grow’st:
So long as men can breathe or eyes can see,
So long lives this and this gives life to thee.

Posso paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei più amabile e più tranquillo.
Venti forti scuotono i teneri germogli di Maggio,
E il corso dell’estate ha fin troppo presto una fine.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo,
E spesso la sua pelle dorata s’oscura;
Ed ogni cosa bella la bellezza talora declina,
spogliata per caso o per il mutevole corso della natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi al tempo tu crescerai:
Finché uomini respireranno o occhi potran vedere,
Queste parole vivranno, e daranno vita a te.
William Shakespeare

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Madonna, il fino amor
Madonna, il fino amor ched eo vo porto
mi dona sì gran gioia ed allegranza,
ch'aver mi par d'Amore,
che d'ogni parte m'aduce conforto,
quando mi membra di voi la 'ntendanza,
a farmi di valore,
a ciò che la natura mia me mina
ad esser di voi, fina,
così distrettamente innamorato
he mai in altro lato
Amor non mi pò dar fin piagimento:
anzi d'aver m'allegra ogni tormento.
Guido Guinizzelli

consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Trattengo il fiato
quando non ci sei
Non voglio respirare altra vita
se non la tua
James Cole

consigliata da Giovanni Silvestrini
 

Allora sono proprio le mie parole
che ti hanno liberata
Proprio quelle stesse parole
che allora ti avevano catturata
James Cole

consigliata da Giovanni Silvestrini
 

Amore è uno desio
Amor è un[o] desio che ven da core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore
e lo core li dà nutricamento.

Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi à nas[ci]mento.

Che li occhi rapresenta[n] a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio,
com’è formata natural[e]mente;

e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.

- Poesie (XIII secolo)- Sonetti XIXc
Giacomo da Lentini
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Solo et pensoso i più deserti campi
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co·llui.
Francesco Petrarca
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Frecciate
Tu scrivi che il Carducci è un'ardua quercia
che i fruttiferi rami all'aria spande...
e chi tel può negare, anima lercia,
se ingrassato ti sei con le sue ghiande?

Mario Rapisarda noto come Rapisardi
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Sonetto CLXXIII (Tacito orror di solitaria selva)
Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al par di me non si ricrea
tra' i figli suoi nessuna orrida belva.

E quanto addentro più il mio piè s'inselva,
tanto più calma e gioia in me si crea;
onde membrando com'io la godea,
spesso mia mente poscia s'inselva.

Non ch'io gli uomini abborra, e che in me stesso
mende non vegga, e più che in altri assai;
nè ch'io mi al buon sentier più appresso;

ma non mi piacque il vil secol mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
sol nei deserti tacciono i miei guai.
Vittorio Alfieri
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Per un dipinto dell’Agricola
Più la contemplo, più vaneggio in quella
Mirabil tela: e il cor, che ne sospira,
Sì nell’obbietto del suo amor delira,
Che gli amplessi n’aspetta e la favella.

Ond’io già corro ad abbracciarla. Ed ella
Labbro non move, ma lo sguardo gira
Ver’ me sì lieto che mi dice: Or mira,
Diletto genitor, quanto son bella.

Figlia, io rispondo, d’un gentil sereno
Ridon tue forme; e questa imago è diva
Sì che ogni tela al paragon vien meno.

Ma un’imago di te vegg’io più viva,
E la veggo sol io; quella che in seno
Al tuo tenero padre Amor scolpiva.
Vincenzo Monti
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Lauda di Suora
Amore, amore non dammi riposo,
Amore, amore il mio seno ha corroso;
Alzar le ciglia, e guardarlo non oso
Quel Dio pietoso, che me volse amare.

O santa piaga del lato di Cristo,
Da che al tuo sangue il mio pianto s'è misto,
ii paradiso dell'anima ho visto,
Al cui conquisto mi voglio affrettare.

Con le mie mani tremanti t'attingo,
Con labbra smorte ti bacio, ti stringo,
Del tuo colore quest'anima tingo,
E più la spingo e più vuol penetrare.

Ii sapor dolce, la grata fragranza
Più sempre accende la mia desianza;
O mia dolcezza, mia sola speranza,
Mia sola amanza, in te vommi mutare.

Amore, amore, amor solo, amor santo,
Deh! Com'è dolce morirti da canto,
Com'è suave distruggersi in pianto,
E in un mar santo di luce affogare!
Mario Rapisarda noto come Rapisardi
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini
 

Elogio del sonetto
Lodati, o Padri, che per le Madonne
amate nel platonico supplizio,
edificaste il nobile edifizio
eretto su quattordici colonne!

Nulla è più dolce al vivere fittizio
di te, compenso della notte insonne,
non la capellatura delle donne,
non metri novi in gallico artifizio.

Nessuna forma dà questa che dai
al sognatore ebbrezza non dicibile
quand'egli con sagacia ti prepari!

O forma esatta più che ogni altra mai,
prodigio di parole indistruttibile,
come i vecchi gioielli ereditari!
Guido Gozzano
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


La caduta
Quando Orion dal cielo
declinando imperversa
e pioggia e nevi e gelo
sopra la terra ottenebrata versa,
me spinto ne la iniqua
stagione, infermo il piede,
tra il fango e tra l'obliqua
furia de' carri la città gir vede;
e per avverso sasso
mal fra gli altri sorgente
o per lubrìco passo
lungo il cammino stramazzar sovente.
Ride il fanciullo; e gli occhi
tosto gonfia commosso
che il cubito o i ginocchi
me scorge o il mento dal cader percosso.
Altri accorre; e: - Oh infelice
e di men crudo fato
degno vate! - mi dice;
e, seguendo il parlar, cinge il mio lato
con la pietosa mano;
e di terra mi toglie;
e il cappel lordo e il vano
baston dispersi ne la via raccoglie:
- Te ricca di comune
censo la patria loda;
te sublime, te immune
cigno da tempo che il tuo nome roda
chiama gridando intorno;
e te molesta incìta
di poner fine al Giorno
per cui cercato a lo stranier ti addita.
Ed ecco il debil fianco
per anni e per natura
vai nel suolo pur anco
fra il danno strascinando e la paura:
né il sì lodato verso
vile cocchio ti appresta
che te salvi a traverso
de' trivi dal furor de la tempesta.
Sdegnosa anima! prendi
prendi novo consiglio,
se il già canuto intendi
capo sottrarre a più fatal periglio.
Congiunti tu non hai,
non amiche, non ville
che te far possan mai
nell'urna del favor preporre a mille.
Dunque per l'erte scale
arrampica qual puoi;
e fa' gli atri e le sale
ogni giorno ulular de' pianti tuoi.
O non cessar di porte
fra lo stuol de' clienti,
abbracciando le porte
de gl'imi che comandano a i potenti;
e lor mercé penètra
ne' recessi de' grandi;
e sopra la lor tetra
noia le facezie e le novelle spandi.
O, se tu sai, più astuto
i cupi sentier trova
colà dove nel muto
aere il destin de' popoli si cova;
e fingendo nova esca
al pubblico guadagno
l'onda sommovi e pesca
insidioso nel turbato stagno.
Ma chi giammai potrìa
guarir tua mente illusa
o trar per altra via
te ostinato amator de la tua Musa?
Lasciala: O, pari a vile
mima, il pudore insulti,
dilettando scurrile
i bassi geni dietro al fasto occulti -.
Mia bile, al fin costretta
già troppo, dal profondo
petto rompendo, getta
impetuosa gli argini; e rispondo:
- Chi sei tu che sostenti
a me questo vetusto
pondo e l'animo tenti
prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.
Buon cittadino, al segno
dove natura e i primi
casi ordinar, lo ingegno
guida così che lui la patria estimi.
Quando poi d'età carco
il bisogno lo stringe,
chiede opportuno e parco
con fronte liberal che l'alma pinge.
E se i duri mortali
a lui voltano il tergo,
ei si fa, contro a i mali,
de la costanza sua scudo ed usbergo.
Né si abbassa per duolo,
né s'alza per orgoglio -.
E ciò dicendo, solo
lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.
Così, grato a i soccorsi,
ho il consiglio a dispetto;
e privo di rimorsi,
col dubitante piè torno al mio tetto.
Giuseppe Parini
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Passero
 A mezzo solco il vecchierel gia' stanco
l'aratro sospendeva mentre l'aurora
alle montagne imporporava il fianco:
levato ei s'era ch'era notte ancora.
Una riversa zolla era il suo banco;
e presso lui la giovinetta nuora
attentamente avea disteso il bianco
tovagliolin che di bucato odora.
Sussurravano i pioppi: in ciel rotata
la lodoletta coll'allegro canto
l'umile imbandigion facea piu' grata.
Il sol nasceva. Assisa sovra il corno
del bue sdraiato una passera intanto
salutava tranquilla il novo giorno.
(Da: "Aurora")
Giacomo Zanella
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Ritorno a Motta Visconti
Ella dintorno si guardò, tremando,
e riconobbe la selvaggia e strana
terra che a fiume si dirompe e frana
entro l'acque, che fuggon mormorando.
Il guado antico riconobbe e il prato
e le foreste, azzurre in lontananza
sotto il pallor dei cieli:
e il passato di lotta e di speranza,
il suo ribelle e splendido passato
ricomparve, senz'ombra e senza veli.
Piegavano gli steli
intorno, ed ella respirava il vento:
vento di libertà, di giovinezza,
soffio di primavere
sepolte, belle come messaggere
di gloria, piene d'ali e di bufere
violente e d'immemore dolcezza!...

Ora, silenzio. - Un battere di remi,
solitario, nel fiume: un lontanare
di cantilene lungo l'acque chiare,
e nel suo petto il cozzo de' supremi
rimpianti. - Oh, prega, anima che t'infrangi
a l'onda dei ricordi travolgente
come tempesta a notte:
anima stanca in vene quasi spente,
così giovane ancora, oh, piangi, piangi
con tutte le tue lacrime dirotte
qui dove i sogni a frotte
ti sorrisero un giorno!... Ora è finita. -
...E strinse fra le mani il capo bruno:
a lei da la profonda
coscienza, com'onda chiama l'onda
nel plenilunio a fior de l'alta sponda,
salivano i ricordi ad uno ad uno.

E rivide la vergine ventenne
con la fronte segnata dal destino
sfioran diritta il ripido cammino,
baldo aquilotto da le ferme penne.
La nuda stanza fulgida di larve
rivide, e il letto da le insonnie piene
di cantici irrompenti;
ed il sangue gittato da le vene
robuste, il sangue di veder le parve,
ne la febbre de l'arte sugli ardenti
ritmi a fiotti, a torrenti
gittato. - E i versi andarono pel mondo,
da la potenza del dolor sospinti;
e parvero campane
a martello; e le case senza pane
e senza fuoco e la miseria inane
dissero, e l'agonie torve dei vinti.

Ma la vinta or sei tu, che de la morte
senti, a trent'anni, il brivido ne l'ossa,
e ben altro aspettavi da la rossa
tua giovinezza così salda e forte!...
Tutto dunque fu vano?... e così fugge
oscuramente dal tuo cor la vita,
dal cerebro il fervore
dei ritmi, come sabbia fra le dita?...
Ah, niun guarisce il mal che ti distrugge!...
... Pur de le sacre tue viscere il fiore,
la bimba del tuo amore
torna dai boschi, carica di rose.
Essa che porta la divina fiamma
del sogno tuo negli occhi,
lascia cader le rose a' tuoi ginocchi,
e dice, e par che l'anima trabocchi
ne la sua voce: «Perché piangi, mamma?.

Da «Maternità» 1904, Milano, Treves
Ada Negri
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Presso una certosa
Da quel verde, mestamente pertinace tra le foglie
Gialle e rosse de l'acacia, senza vento una si toglie:
E con fremito leggero
Par che passi un'anima.
Velo argenteo par la nebbia su 'I ruscello che gorgoglia,
Tra la nebbia nel ruscello cade a perdersi la foglia.
Che sospira il cimitero,
Da' cipressi, fievole?
Improvviso rompe il sole sopra l'umido mattino,
Navigando tra le bianche nubi l'aere azzurrino :
Si rallegra il bosco austero
Già del verno prèsago.
A me, prima che l'inverno stringa pur l'anima mia
Il tuo riso, o sacra luce, o divina poesia!
Il tuo canto, o padre Omero,'
Pria che l'ombra avvolgami!
Giosuè Carducci
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.
Giovanni Pascoli
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Contrasto intimo
Dove un dolente amore si nasconde
un odio sordo quivi pur s’annida;
l’uno inasprisce di sue acerbe strida
l’altro smarrito fra mal note sponde.

L’odio superbo spesso si confonde
all’amor che s’umilia e che diffida,
poi che un’eguale passione guida
entrambi, ciechi, per sue vie profonde,

V’è in noi, forse, una martire che gode
del suo martirio, ed una prigioniera
che si rivolta e le sue corde rode.

L’una vorrebbe baciar quella mano
che contr’essa si fa sempre più fiera.
L’altra avventarle un morso disumano.
Amalia Guglielminetti (1881-1941)
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Le rovine (Ode 1816)
Ombre degli Avi per la notte tacita
al raggio estivo di cadente luna
v’odo fra sassi diroccati fremere,
che ‘l tempo aduna.
Incerte forme nella vasta ed arida
strada segnata dall’età funesta
tremante affretto; che dei prischi secoli
l’orror sol resta.
Eccomi al varco; non più altiero scuopresi
vana difesa della patria sede,
il fatal ponte, nè alle trombe armigere
alzar si vede.
Ahi vaste Sale! qui gli Eroi che furono,
stavan seduti della mensa in giro:
del Trovatore qui su cetra armonica
s’udìa sospiro.
Qui sconosciuta la trilustre vergine
ignota ai prodi sen vivea secura
e sol nei sogni palpitava l’anima
vivace e pura.
Qui al suon dell’armi, che là giù squillavano,
in aureo manto la Consorte antica
forte vestiva al forte Duce impavido
elmo e lorica.
Ancor mi sembra udir sommesso piangere
fanciul, che l’elsa stringere volea
con debol mano al ferro altrui terribile
e nol potea.
Bambin minor d’un lustro egli qual siedasi
sul duro scudo rimirar qui parmi,
mentre le fanciulline i lacci intricano,
che annodan l’armi.
Il forte scudo verginella immobile
mirando andava pien di fiori il grembo;
e lasciavasi i fiori in fervid’estasi
cadere a nembo.
Coprian lo scudo ed il Bambin, che ingenuo
ridea tra fiori e l’armi in dubbia sorte.
L’uom così ride sul sentier suo labile
fra scherzi e morte.
Salve, o sacra rovina! Ah perchè il rapido
fato tardommi ad affrettar la vita?
la Magna età ben si doveva ai palpiti
dell’alma ardita.
Nella mia destra d’Alighier la cetera
suonato avrebbe sui vetusti eventi;
ed a me sol giù dalla valle ombrifera
fan eco i venti.
Giù dalla valle, ove, chi sa? s’udirono
due fratei d’armi ragionar d’amore,
strette le palme fra curvati salici
sul primo albore.
Giù dalla valle, ove a tenzoni vindici
spinsero entrambi il corridor veloce,
l’un dell’altro scudier, e scudo ed anima,
e fama e voce.
Salve, o sacra rovina! io seguo, e schiudonsi
innanzi al lento e traviato passo
le doppie torri e meditando siedomi
sul duro sasso.
Oh! come brune l’alte cime incurvansi,
dei larghi muri, ove penètra appena
di luna un raggio, che la dubbia e pallida
luce qui mena!
Perchè ferrate le finestre altissime,
ed è merlata la superba torre?
No! non qui il prode la lorica armigera
solea deporre.
Qui forse mentre un molle riso ingenuo
la verginella in dolce sogno aprìa,
al bel raggio di luna, occulta e perfida
l’Oste venìa.
Forse da quelle alte finestre videsi
entrar talvolta del castello avverso
il reo Signor, all’empie smanie vindici
d’ira converso.
Forse qui stretto il suo pugnal, lentissimo
muoveva il passo fra tacenti squadre,
e ai fanciullini sul materno talamo
svenava il padre.
E forse, ahimè! sulla sua cetra eburnea
il Trovatore dell’età passata
lodò gl’iniqui, se con lor sedevasi
a mensa aurata.
Chi sa se in mezzo a quegli acerbi e bellici
costumi avversi in ricca treccia e bionda,
non rea Consorte d’empie fiamme ardevasi
invereconda?
Qui sparse qui le disperate lagrime
furor geloso, d’ogni cuor tiranno;
quai furo i tradimenti, i colpi, i gemiti,
que’ muri ‘l sanno.
Pensier funesto, in me chi mai ridestati?
Fuggiam, fuggiam dalle fatal rovine.
Raggio di notte, tu la via rischiarami
fra sassi e spine.
Tutte l’età di variate furono
vicende ignote spettatrici alterne;
fra stessi affetti le stess’opre sorgono
girando eterne.
Sol l’alma ardente, che d’intorno cercasi
invan la pace e le virtù soavi,
in un pensier d’amor tutte rivestene
l’ombre degli Avi.
Addio, sacre rovine: allor che polvere
di voi non resti, gli obelischi e gli archi,
opra di noi, di questa polve andrannosi
pel tempo carchi.
E forse andranno vaneggiando i posteri
sul secol nostro lezïoso e rio.
il disinganno io m’ebbi, ombre terribili,
rovine, addio!
Diodata Saluzzo di Roero
(Torino 1774–1840)
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


L'addio di Lord Byron all'Italia.
Alfin partia. Chi del crudel momento
Può narrar le memorie ed il dolore,
E ciò che disse ai monti, all'acque, al vento
Di quella terra ove lasciava il core?
Oh come quel dolcissimo lamento
Fu travolto per ira o per livore!
Qual menzognero addio sulle divine
Labbra pose un Francese, un Lamartine?

Taci! L'italo amor del mio Britanno,
Gl'itali sensi, oh male, oh mal comprendi:
Non all'Italia no; ma frutteranno
Onta infame a te stesso i vilipendi.
Italia morta? e innanzi a te non stanno
Ancor vivi, temuti, ancor tremendi
Ugo, Alfieri, Canova e presso a questi
Sì magnanimi Eroi, dinne, che resti? —

Quella terra, quel ciel che l'innamora,
Pien di mille pensier, di mille affetti,
Giorgio saluta dalla mesta prora
Coi sospiri, coll'anima, coi detti:
Chi non sogna di te? chi non t'adora,
O bella Patria d' animosi petti,
Bella Patria dell'arti! il viver mio
Tu che allegrar potesti, Italia, addio.

Italia! Italia! com'è dolce il suono
Della celeste armonica favella!
Nel ciel, nelle odorate aure, nel dono
D' ogni cosa gentil, come sei bella !
Di foco è l'alma dei gagliardi, sono
Di foco gli occhi d' ogni tua donzella;
E da quegli occhi, da quell'alme anch'io
Se il bel foco ritrassi, Italia, addio.

Ahi ! per le sette cime e per le valli
Dei famosi che avean la terra doma,
Più non s'urtan guerrieri, armi, cavalli,
Più non suona il trionfo Italia e Roma;
Nè più s'avventa ai minacciosi Galli,
Sanguinoso gli artigli, irto la chioma,
Il gran Leon di Marco, e steso e muto
Anco abborre l'Eroe che l' ha venduto.

Venduto! ahi rabbia! qual vergogna è questa,
Qual crudo patto, quale iniquo orgoglio !
L'italo sangue avrai sulla tua testa
O snaturato nell' infame scoglio.
Tu le piaghe sanar d'Italia mesta,
Tu rialzar dovevi il Campidoglio,
Tu di Cammillo erede, il brando e il senno
Vendesti ai figli che scendean di Brenno.

Fioria d'ogni virtù, d'ogni divina
Arte di pace questo suol fioria,
E il tuo brando recò fatal ruina,
E libertà peggior di tirannia.
Oh bugiardi Licurghi! oh Cisalpina,
Oh congrega di ladri, oh peste ria!
Fu per l'italo suol, fu crudo inganno
Se Marengo vincesti e l' Alemanno.

Com' aquila fra i nembi, o come lampo
Terribil passa, egli passò l'invitto;
E copre mesto, solitario campo
Il terror dell' Italia e dell' Egitto.
Io, benché tutto alla memoria avvampo
Di tanto Eroe, di sì fatal conflitto,
Io fremo, e dico: se vittoria il guida,
La comprò col delitto il parricida !

Oh perdona all' ingrato! oh alfin riposa
Dopo tanto dolor, tanto contrasto,
E a più bei studi intenta, o Generosa,
Spregia l'armi crudeli e spregia il fasto:
Teco, Madre d'Eroi, teco avrò posa
Io che a soffrir la vita, ohimè ! non basto.
Ritornerò più grande; il cener mio
Qui dormirà compianto: Italia, addio.

Deh posa, posa: troppo dolce e santo
È d'una pace desiata il raggio;
Ma pace bella d'ogni nobil vanto,
Non ozio d'infingarde alme retaggio.
Divina Italia! con che amaro pianto
Vado altrove a cercar lodi al coraggio;
Pur Grecia sogno, e mi vi chiama un Dio...
Addio, Patria mia vera, Italia addio.
Giuseppina Turrisi Colonna
Edizione di riferimento: Poesie di Giuseppina Turrisi-Colonna, a c. di F. Guardione, Firenze, Le Monnier, 1915.
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


A scuola
Tu non sai, ma gli uccellini
hanno il cuor come i bambini:
come i bimbi vanno a scuola
sopra i pini
sopra i peri.
Se non sanno la lezione
(che sarebbe una canzone
sempre nuova)
prendon certi brutti zeri
tondi tondi come l'ova.
E nell'ora della sera,
quando suonan le campane,
sopra i borghi sulle piazze,
con un dolce pigolio
dicon tutti la preghiera
che va su nel cielo a Dio:
buona, docile, leggera.
Renzo Pezzani
(Poesia consigliata e dedicata a tutti i docenti
per un buon inizio del nuovo anni scolastico da Tiziana Cocolo)
 

Psiche
Datemi l'arpa: un'armonia novella
Trema sul labbro mio...
Vivo! Dal mio dolor sorgo più bella:
Canto l'amore e Dio!

Psiche è il mio nome: in questo nome è chiusa
La storia del creato.
Dell'avvenir l’immago è in me confusa
Coi sogni del passato.

Psiche è il mio nome: ho l'ale e son fanciulla,
Madre ad un tempo e vergine son io.
Patria e gioie non ho, non ebbi culla,
Credo all'amore e a Dio!
Psiche, chi mi comprende? Il mio sembiante
Solo ai profani ascondo;
E nei misteri del mio spirto amante
Vive racchiuso un mondo.

Nei più splendidi cieli e più secreti
Sorvolo col desio:
Nata ad amar, sul labbro dei Profeti
Cantai l'amore e Dio.

Psiche è il mio nome: un volgo maledetto
Pei miracoli miei fu mosso a sdegno,
E menzognera e stolta anco m'han detto,
Mentre sui mondi io regno!

Eppur le voci d'una turba ignara
Fra i miei concenti oblìo:
Nello sprezzo dei tristi io m'ergo un'ara
E amor contemplo e Dio.

Psiche! Ogni nato colle ardenti cure
Di madre io circondai,
E il supplizio dei roghi e le torture,
Figlia del ciel, provai.

Nell'infanzia dei tempi, il gran mistero
D'ogni legge fu servo al genio mio:
Di Platone e di Socrate al pensiero
Svelai l’amore e Dio!

L'arte, le scienze, le scoperte, i lenti
Progressi dell’idea, chi all'uomo offria?
Io sui ciechi m'alzai, fra oppresse genti
Schiusi al pensier la via.

Psiche è il mio nome... il raggio della fede
Rischiara il nome mio:
E, Umanità, chi al nome mio non crede
Rinnega amore e Dio!

Ogni lingua, ogni affetto, ogni credenza
Col mio potere sublimar tentai:
Serbando illesa la divina essenza,
Forma, idioma ed essere mutai.

Or vittoriosa, or vinta, or mito, or nume,
Or sobbietto di scherno, or di desio,
Col variar di lingua e di costume,
Svelai l'amore e Dio!

Pria che fosse la terra, io le nascose
Fonti del ver mirai:
Vissi immortale fra le morte cose,
Me nel creato amai.

Eppur la terra non comprese ancora
Le mie leggi, il mio nome, il senso mio:
Conosce il mio poter... sol perché ignora
Che Psiche è amore e Dio!

Dio, Psiche, Amor! si vela in tal concetto
Il ver, la forza, l'armonia, la vita:
Son tre mistiche fiamme e un intelletto
Che un nuovo regno addita.

O Umanità! La scola del passato
Copri d'eterno oblìo,...
Quel Bene che finora hai vagheggiato
È Psiche, è Amor, è Dio!
Mariannina Coffa Caruso (1841 - 1878)
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Sfida
(dalla raccolta "Fatalità")

O grasso mondo di borghesi astuti
di calcoli nutriti e di polpette,
mondo di milionari ben pasciuti
e di bimbe civette;
o mondo di clorotiche donnine
che vanno a messa a guardar l'amante,
o mondo d'adulteri e di rapine
e di speranze infrante;
e sei tu dunque, tu, mondo bugiardo,
che vuoi velarmi il sol de gl'ideali
e sei tu dunque, tu, pigmeo codardo,
che vuoi tarparmi l'ali? …
tu menti e pungi e mordi, io ti disprezzo;
dell'estro arride a me l'aurato incanto,
tu t'affondi nel lezzo.
O grasso mondo d'oche e di serpenti,
mondo vigliacco, che tu sia dannato;
fiso lo sguardo negli astri fulgenti,
io muovo incontro al fato;
sitibonda di luce, inerme e sola,
movo. _ E più tu ristai, scettico e gretto,
più d'amor la fatidica parola
mi prorompe nel petto! ….
Va, grasso mondo, va per l'aere perso
di prostitute e di denari in treccia;
io, con la frusta del bollente verso,
ti sferzo in su la faccia.
Ada Negri
(proposta da Piero Colonna Romano)
 

Funerale senza tristezza
Questo non è esser morti,
questo è tornare
al paese, alla culla:
chiaro è il giorno
come il sorriso di una madre
che aspettava.
Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
biondi: le bimbe
vestite di bianco,
col velo color della brina,
la voce colore dell’acqua
ancora viva
fra terrose prode.
Le fiammelle dei ceri, naufragate
nello splendore del mattino,
dicono quel che sia
questo vanire
delle terrene cose
– dolce –,
questo tornare degli umani,
per aerei ponti
di cielo,
per candide creste di monti
sognati,
all’altra riva, ai prati
del sole.

3 dicembre 1934
Antonia Pozzi
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini


Fatalità
Questa notte m'apparve al capezzale
Una bieca figura.
Ne l'occhio un lampo ed al fianco un pugnale,
Mi ghignò sulla faccia.—Ebbi paura.—
Disse: «Son la Sventura.»

«Ch'io t'abbandoni, timida fanciulla,
Non avverrà giammai.
Fra sterpi e fior, sino alla morte e al nulla,
Ti seguirò costante ovunque andrai.»
—Scostati!... singhiozzai.

Ella ferma rimase a me dappresso.
Disse: «Lassù sta scritto.
Squallido fior tu sei, fior di cipresso,
Fior di neve, di tomba e di delitto.
Lassù, lassù sta scritto.»

Sorsi gridando:—Io voglio la speranza
Che ai vent'anni riluce,
Voglio d'amor la trepida esultanza,
Voglio il bacio del genio e della luce!...
T'allontana, o funesta.—

Disse: «A chi soffre e sanguinando crea,
Sola splende la gloria.
Vol sublime il dolor scioglie all'idea,
Per chi strenuo combatte è la vittoria.»
Io le risposi:—Resta.—
Ada Negri
consigliata da giuseppe gianpaolo casarini

 

La poesia che propongo alla vostra lettura ha conseguito un attestato di merito nel concorso di poesia “Il sonetto”, organizzato recentemente dalla  “Nobil Contrada del Bruco” di Siena

’U gira…suli                                               Il gira…sole

Sicilia, ’nta ’n’aricchia  t’aiu a parrari            Sicilia, in un orecchio ho da parlarti
d’un misteriu ca tegnu dinta o cori                 d’un mistero che vive nel mio cuore,
fattu ca nun mi fa  cchiù arragiunari:               fatto che non mi fa più ragionare:
dunni va ’u suli quannu scinni e mori?            dove va il sole quando scende e muore?

 S’ammuccia nicu nicu ’nta li grutti                 Si cela piccolino nelle grotte
di li vulcani sparsi sutta ’u mari,                     dei vulcani che stanno sotto il mare,
astuta a luci e nni fa fissa a tutti                      spegne la luce e prende in giro tutti
ca arristamu alluccuti a talïari?                       che restiamo stupiti ad ammirare?

Ma doppu comu fa ’stu schifïusu                    Ma dopo come fa questo folletto
a spuntari ’nto cielu sbarigghiannu                  a spuntare dal cielo sbadigliando
supra i pissiani dunni sta Maria?                     sulle persiane dove sta Maria?

e dda mi lassa stupitu e cunfusu                     e là mi lascia attonito e interdetto
quannu s’affaccia tenniru e cantannu              quando s’affaccia tenero e cantando
sutta a li cigghia di la bedda mia!                   sotto le ciglia della bella mia!

Santi Cardella

(proposta da Piero Colonna Romano)


Ciò che occorre è un uomo
Ciò che occorre è un uomo
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in spirito e verità;
non un paese, non le cose
ciò che occorre è un uomo
un passo sicuro e tanto salda
la mano che porge, che tutti
possano afferrarla, e camminare
liberi e salvarsi.

-Dal definitivo istante-
Carlo Betocchi
consigliata da Sandra Greggio
 

Una volta sognai
Una volta sognai
di essere una tartaruga gigante
con scheletro d'avorio
che trascinava bimbi e piccini e alghe
e rifiuti e fiori
e tutti si aggrappavano a me,
sulla mia scorza dura.
Ero una tartaruga che barcollava
sotto il peso dell'amore
molto lenta a capire
e svelta a benedire.
Così, figli miei,
una volta vi hanno buttato nell'acqua
e voi vi siete aggrappati al mio guscio
e io vi ho portati in salvo
perché questa testuggine marina
è la terra
che vi salva
dalla morte dell'acqua.
Alda Merini
consigliata da Sandra Greggio


Quando il Poeta si diverte
e la classe non è acqua,
possono nascere divertissement,
come quel che segue,
chiusi da una staffilata densa di sarcasmo.


Sogno o son desto?
In un meriggio torrido d’agosto
il sonno aprì la porta a un sogno strano;
parvenze di persone fuori posto
mi venivano incontro da lontano.

Vedevo Michelangelo rapito
davanti alla barbetta di Mazzini
e Ariosto accanto al Maresciallo Tito
a discuter di creme e pasticcini.

Poi mi passava accanto Pigafetta
che spiegava a Talete le equazioni,
e Romolo con Dante in bicicletta,
mentre alzavano al vento gli aquiloni.

Restai sorpreso quando Cicerone
incominciò a cantar la Marsigliese
e sbigottito quando udii Catone
mandare Robespierre a quel paese.

Sparirono al risveglio, per fortuna,
le immagini dei falsi Campi Elisi;
tutte le incongruenze ad una ad una
tornarono ai contesti ormai decisi.

Però in TV Matteo con tosco onesto
Dicea: “L’Italia è uscita dalla crisi!”
Così mi domandai: “Sogno o son desto?”
e, fatto sasso, lungamente risi.
Santi Cardella
proposta da Piero Colonna Romano


Sulla sponda del fiume
mi sono seduta e ho pianto...
(Coelho).
consigliata da Poerio Marianna


You love the Lord
Tu ami il Signore - che non puoi vedere -
Gli scrivi - ogni giorno -
Un breve biglietto - quando ti svegli -
E più avanti nel Giorno,

Un'Ampia Lettera - Quanto ti manca -
E come saresti felice di vederlo -
Ma in fondo la Sua Casa - non è che a un Passo -
E la mia - in Cielo - vedi.
Emily Dickinson
poesia consigliata da Antonia Scaligine
 

Mi piace il verbo sentire
Mi piace il verbo sentire...
sentire il rumore del mare, sentirne l'odore...
sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra, sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco...
sentire l'odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col cuore...
sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente.
Alda Merini
consigliata da Sandra Greggio


Visibilio
Tutto cancella il tempo...
non le sensazioni autentiche godute,
gli appagamenti,
le immagini che ognuno vi si è creato.
Ascoltando i silenzi
possiamo ancora udire
i gemiti di piacere vissuti,
e i sorrisi nostri
e quelli ricevuti
trasformati in suoni.
Rosario Medaglia
 (presidente della onlus Finestra Eterea di Cinisello B.)
consigliata da Piero Colonna Romano


Che cosa è la poesia
la linea (lunga che, larga che) lista
(unifica, univerte, ulcera, ustiona),
con campi e cerchi, critico e cronista:
(informa e incide e imprime, idolo e icona):

arti e artefatti articola in artista
nessi di nodi di nuda non persona,
occhi ottativi in ottimo ottimista:
avventi e apofobie, se avverbia, aziona:

normale normativa nutre nomi,
concilia congiuntivi e congiunzioni,
esprime esclamativi, elude encomi:

succhia i supini, è soma in semi e in stomi:
chiavi e chiodi conchiude in cavi coni,
indica indicativi in ipoidiomi:
Edoardo Sanguineti
(da "Il gatto lupesco",
proposta da Piero Colonna Romano,
ringraziando Claudio Badalotti
)


La pace e la guerra
La pace è un’entità meravigliosa:
la viviamo, però non ci pensiamo,
ma ci accorgiamo quanto sia preziosa
se, per disgrazia nostra, la perdiamo.
“Pace” sembra una semplice parola,
ma essa desta in noi tante emozioni;
come scrigno prezioso, essa da sola,
contiene in sé diverse situazioni;
La mamma mentre allatta il suo piccino
e l’uomo che accarezza la sua sposa,
la legna che arde allegra nel camino
e il nonno accanto fuma e si riposa.
E due ragazzi si tengono per mano
e si bacian, abbracciandosi stretti
e l’uomo che ritorna da lontano
verso la casa amica e i propri affetti.
Questa è la pace e c’è molto di più:
c’è l’amore, la gioia, la speranza,
ci sono i sogni che la gioventù
porta avanti, piena di baldanza.
La guerra che cos’è…Io l’ho provata:
è fame, freddo, è gelo, è gran dolore,
è gente cupa, triste, disperata,
è pianto, morti, astio, è crepacuore.
Sono i figli strappati alle mamme,
son le mogli divise dai mariti,
sono i morti ammazzati fra le fiamme,
i lamenti strazianti dei feriti.
E sopra tutto e tutti, c’è terrore:
prende le membra e ottenebra le menti
ti paralizza il corpo e, con orrore,
esso, da solo, smorza i sentimenti.
Se c’è guerra, non c’è più l’amore,
c’è l’egoismo, non c’è la bontà,
c’è l’odio, la paura, c’è il rancore,
sembra perfino morta la pietà.
Adesso c’è la pace: una ricchezza,
cerchiamo , tutti noi, di coltivarla,
di penetrarne tutta la bellezza
e ogni tanto ,ogni istante, assaporarla.
Maria Lourich
consigliata da Carlo Chionne


Alla deriva
La vita io l'ho castigata vivendola.
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all'alba mi riduco,
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.
Vincenzo Cardarelli
(proposta da Piero Colonna Romano)


La Roseane
Ai cjatat 'ne biele frute,
bionde sane fate ben,
cu 'la cotule curtute,
bielis spalis, un biel sen.
Cun rispiét 'i doi la man,
e 'i domandi là che stà.
Jè mi dis: "Lui lè furlan!
Ancje jò soi sù di là.
Da la Russie l'antenat
stabilìt sot il Cjanin;
il mio ben al è soldat:
'l'è di Resie, 'l è un alpin.
La belezze de valade,
cui pais pojaz sui plans:
de mé val soi 'nemorade:
soi di Resie, sin furlàns."
Arturo Zardin

La Roseana
Ho incontrato una bella ragazza,
bionda, sana, fatta ben,
con la gonna corta,
belle spalle e un bel sen.
Con rispetto le do la mano
e le chiedo dove sta.
Lei mi dice: "Lei è friulano,
anche io sono di là.
Dalla Russia un antenato
si stabilì sotto il Canin,
il mio amore è soldato,
è di Resia ed è un alpin.
La bellezza della vallata,
coi suoi paesi adagiati sul piano:
della mia valle sono innamorata,
sono di Resia, siamo friulani."

(proposta da Piero Colonna Romano)


La leggenda di Colapesce

La genti lu chiamava Colapisci
picchì stava 'nto mari comu 'npisci
dunni vinia non lu sapia nissunu
fors' era figghiu di lu Diu Nittunu.

'Ngnornu a Cola u re fici chiamari
e Cola di lu mari curri e veni.

O Cola lu me regnu ai scandagghiari
supra cchi pidamentu si susteni

Colapisci curri e và.
Vaiu e tornu maestà.

Cussì si jetta a mari Colapisci
e sutta all'unni subitu sparisci
ma dopu 'npocu, chistà novità
a lu rignanti Colapisci dà.

Maistà li terri vostri
stannu supra a tri pilastri
e lu fattu assai trimennu,
unu già si stà rumpennu.

O destinu miu infelici
chi svintura mi predici!

Chianci u re, com'haiu a fari
sulu tu mi po’ sarvari.

Su passati tanti jorna
Colapisci nun ritorna
e l'aspettunu a marina
lu rignanti e la rigina.

Poi si senti la sò vuci
di lu mari 'nsuperfici.

Maestà!  sugnu, ccà
Maestà!  sugnu ccà
'nta lu funnu di lu mari
ca non pozzu cchiù turnari
vui priati la Madonna
ca riggissi stà culonna
ca sinnò si spezzerà
e a Sicilia sparirà.

Su passati ormai tant’anni 
Colapisci è sempri ddà
Maestà! Maestà!
Sugnu ccà, sugnu ccà.

Colapisci è sempri ddà.

La gente lo chiamava Colapesce
perchè stava in mare come un pesce
da dove veniva non lo sapeva nessuno
forse era figlio del Dio Nettuno.

Un giorno a Cola il re fece chiamare
e Cola dal mare di corsa venne.

O Cola il mio regno devi scandagliare
sopra che fondamento si sostiene.

Colapesce corri e và
Vado e torno maestà.

Così si tuffa a mare Colapesce
e sotto le onde subito sparisce
ma dopo un poco, questa novità
al suo re Colapesce dà.

Maestà le terre vostre
stanno sopra a tre pilastri
e il fatto assai tremendo,
uno già si stà rompendo.

O destino mio infelice
che sventura mi predici!

Piange il re, come debbo fare
solo tu mi puoi salvare.

Sono passati tanti giorni
Colapesce non ritorna
e l'aspettano alla marina
il re e la regina.

Poi si sente la sua voce
dal mare in superfice.

Maestà! sono quà 
Maestà! sono quà
nel fondo del mare
che non posso più tornare
voi pregate la Madonna
che possa reggere questa colonna
altrimenti si spezzerà
e la Sicilia sparirà 

Sono passati oramai tanti anni
Colapesce è sempre là
Maestà! Maestà!
Sono qua, sono qua.

Colapesce è sempre là.

(leggenda del XIII° secolo trascritta e rielaborata da Italo Calvino)

(proposta da Piero Colonna Romano)


Come un guizzo di trota
E tutto qui sa sempre di bagnato:
spegnendosi le polveri del tempo
salgono su vapori di parole.

Non c’è vento, nessuno,
nell’afonia d’un pensiero che asciughi
l'umido sguardo muto del dolore.

E delle mani, le morse trattengono
le mosche bianche dei sogni soltanto.

Scurisce l’ora intanto.

I pensieri condensano
sul letto incerto di un sonno che addensa
nella dimenticanza.

E tutto qui sa sempre di bagnato,
tutto scivola via
- come un guizzo di trota -
tra le dita lasciando
solo squame iridate.
Lorena Turri
consigliata da Addis Marinella


La ninna nanna de la guerra
(1914)

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,

co le zeppe d'un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili

Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,

ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d'assassini
che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.

Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:

torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
Trilussa
consigliata da Sandra Greggio


Circuito dell'anima
(poesia metasemantica)

Viaggiammo per millenni tra gli splagi
giù giù nei criptoporni stranidiosi,
lontano fosforivano gli Arcagi
o i Mongi teloprènici e quidiosi.

Aiuto, orrore! I gastrìci, gli smèmbri,
s'aggrecciano sugli énfani druniti,
o calano bustrènici gli affrèbi
coi fòrnici viturpi ed allupiti…

Fuggiamo, via! Ammòrfido l'encatro
sbaveggia una sughèfida melissi,
ovinque drogo accàncrena lo sfatro.

Eppure -ahi meraviglia- tra gli spissi
gramosi e blastifèmi, sul bovatro
svettiscono, zirgendo, gli acrolissi.
Fosco Maraini
(proposta da Piero Colonna Romano con invito all'imitazione)


IMAGINE
(John Lennon)

Imagine there’s no heaven                                                       Immagina non esista paradiso

It’s easy if you try                                                                    è facile se provi,

No hell below us                                                                      nessun inferno sotto noi,

Above us only sky                                                                   sopra solo cielo.

Imagine all the people                                                             Immagina che tutta la gente

Living for today                                                                      viva solo per l’oggi.

 

Imagine there’s no countries                                                   Immagina non ci siano nazioni,

It isn’t hard to do                                                                     non è difficile da fare:

Nothing to kill or die for                                                         niente per cui uccidere e morire

And no religion too                                                                 nessuna religione.

Imagine all the people                                                             Immagina tutta la gente

Living life in peace                                                                 che vive in pace.

 

You may say I’m a dreamer                                                    Puoi dire che sono un sognatore,

But I’m not the only one                                                         ma non sono il solo,

I hope someday you’ll join us                                                 spero che ti unirai a noi un giorno

And the world will be as one                                                  e il mondo vivrà in armonia.

 

Imagine no possessions                                                           Immagina un mondo senza la proprietà,

I wonder if you can                                                                  mi chiedo se ci riesci,

No need for greed or hunger                                                   senza bisogno di avidità o fame,

A brotherhood of man                                                             una fratellanza fra gli uomini.

Imagine all the people                                                             Immagina tutta la gente

Sharing all the world                                                               che condivide il mondo.

 

You may say I’m a dreamer                                                    Puoi dire che sono un sognatore

But I’m not the only one                                                         ma non sono il solo,

I hope someday you’ll join us                                                 spero che ti unirai a noi un giorno

And the world will live as one                                                e il mondo vivrà in armonia.

consigliata da Piero Colonna Romano
 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese
consigliata da Salvatore Cutrupi
 

Notti dei sensi
Ti voglio far provare il bel piacere.
Pur mal mio grado? Lasciami tranquilla!
Da troppe sere e troppe primavere…
Dei superni desiri ecco la squilla.

La luna scorre su acque nere e brilla…
Oh, tu vai alto per volermi avere!
Ed io ti prenderò come un'anguilla.
Dentro da me per vie d'acqua o vie aeree…

E perché più e più in te s'interni…
Entrerai mai e mai, primavere o inverni.
Dall'alto scenderò con giri alterni…

Pensatore di donne, mio amatore…
Fin ch'io ti prenda, fin che l'incaverni…
Ad averti c'è poco per il cuore.
Patrizia Valduga
(da "Medicamenta ed altri medicamenta")
consigliata da Piero Colonna Romano


Favola
(Sound of silence)

Durante una notte blu
al chiaro di luna
l'anima d'una matita bionda
s'innamorò del blu oltremare
ed animata da viva vaghezza
iniziò a disegnare
ombre di idee informali.

Ma nella quarta dimensione
ogni ombra gialla
diventava viola astrale.

Fu così che dall'anima di grafite
nacquero il pallone del fullerene
e la rete superfine del grafene.

E il cielo blu
un campo sportivo
di calcio divenne.
E quando le campane
non suonarono più
nel campo blu
risuonò il suono del silenzio.
Roberto Soldà
(Poeta, pittore e chimico.
In ogni sua espressione sempre di vaglia.)
consigliata da Piero Colonna Romano


Un'armonia mi suona nelle vene
Un'armonia mi suona nelle vene,
allora simile a Dafne
mi trasmuto in un albero alto,
Apollo, perché tu non mi fermi.
Ma sono una Dafne
accecata dal fumo della follia,
non ho foglie nè fiori;
eppure mentre mi trasmigro
nasce profonda la luce
e nella solitudine arborea
volgo una triade di Dei
Alda merini
consigliata da Ida Guarracino


Veramente
Quando seguo i vostri passi
mi smarrisco dietro voi
scoprendo la sperdutezza.

E vedo veramente
una natura morta
là nel bicchiere di De Pisis
dove l'acqua è morta
per voi senza patria,
costretti a migrare
da un paese all'altro,
per voi
senza più lavoro
senza più radici
senza più casa
e forse anche
senza più famiglia.

Quando seguo i vostri passi
vedo veramente
una natura morta
là nell'acqua morta del bicchiere
dove voi
come le bollicine d'aria
state affannosamente
cercando d'uscire

e anch'io uno di voi
scopro la sperdutezza

e mi sento veramente

disabitato di me stesso.
Roberto Soldà
proposta da Piero Colonna Romano


Il ruscello
C'era una volta un giovane ruscello
color di perla, che alla vecchia valle
tra molli giunchi e pratoline gialle,
correva snello;

e c'era un bimbo che gli tendea le mani
dicendo: "A che tutto cotesto foco?
Posa un po' qui: si gioca un caro gioco
se tu rimani.

Se tu rimani, o movi adagio i passi,
un lago nasce e nell'argento fresco
della bell'acqua io, con le mani, pesco
gemme di sassi.

Fermati dunque, non fuggir così!
L'uccello che cinguetta ora sul ramo
ancor cinguetterà, se noi giochiamo
taciti qui".

Rise il ruscello e tremolò commosso
al cenno delle amiche mani tese;
e con un tono di voce cortese
disse: "Non posso!

Vorrei: non posso! il cuor mi vola: ho fretta.
A mezzo il piano, a leghe di cammino,
la sollecita ruota del mulino
c'è che mi aspetta;

e c'è la vispa e provvida massaia
che risciacquar la nuova tela deve
e sciorinarla sì che al sole neve
candida paia;

e v'è il gregge, che a sera porge il muso
avido a bere di quest'onda chiara,
e gode s'io lo sazio, poi ripara
contento al chiuso.

Lasciami dunque terminò il ruscello
correre dove il mio dover mi vuole".
E giù pel piano, luccicando al sole,
disparve snello.
Angiolo Silvio Novaro
consigliata da Piero Colonna Romano


La Poesia
Accadde in quell'età... La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
fra violente fiamme
o ritornando solo,
era lì senza volto
e mi toccava.

Non sapevo che dire, la mia bocca
non sapeva nominare,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa batteva nel mio cuore,
febbre o ali perdute,
e mi feci da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi la prima riga incerta,
vaga, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza
di chi non sa nulla,
e vidi all'improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
ombra ferita,
crivellata
da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente, l'universo.

Ed io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell'abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.
Pablo Neruda
consigliata da Sandra Greggio


Addio a Lugano
(il canto degli anarchici espulsi)

Addio Lugano bella
o dolce terra pia
scacciati senza colpa
gli anarchici van via
e partono cantando
con la speranza in cor.
E partono cantando
con la speranza in cor.

Ed è per voi sfruttati
per voi lavoratori
che siamo ammanettati
al par dei malfattori
eppur la nostra idea
è solo idea d'amor.
Eppur la nostra idea
è solo idea d'amor.

Anonimi compagni
amici che restate
le verità sociali
da forti propagate
è questa la vendetta
che noi vi domandiam.
E questa la vendetta
che noi vi domandiam.

Ma tu che ci discacci
con una vil menzogna
repubblica borghese
un dì ne avrai vergogna
noi oggi t'accusiamo
in faccia all'avvenir.
Noi oggi t'accusiamo
in faccia all'avvenir.

Banditi senza tregua
andrem di terra in terra
a predicar la pace
ed a bandir la guerra
la pace per gli oppressi
la guerra agli oppressor.
La pace per gli oppressi
la guerra agli oppressor.

Elvezia il tuo governo
schiavo d'altrui si rende
d'un popolo gagliardo
le tradizioni offende
e insulta la leggenda
del tuo Guglielmo Tell.
E insulta la leggenda
del tuo Guglielmo Tell.

Addio cari compagni
amici luganesi
addio bianche di neve
montagne ticinesi
i cavalieri erranti
son trascinati al nord.
E partono cantando
con la speranza in cor.
Pietro Gori (1895)
proposta da Piero Colonna Romano


Sotto il cielo d'ottobre
Passeri volano veloci
ammaliati
dalle bacche rosse e gialle
sotto il cielo luminoso,
foglie vestite d'ambra e ocra
cadono lievi
danzando dolcemente
il ballo dell'addio,
aghi di pino
d'oro ramato
riposano finalmente
su soffice tappeto.

Frulli di pensiero,
fruscii di ansie,
sospiri di pace
alitano verso la luce
dell'Immenso.
Nino Silenzi
consigliata da Antonia Scaligine


Il "Notturno" di Alcmane

εὕδουσι δʼ ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες

πρώονές τε καὶ χαράδραι

φῦλά τʼ ἑρπέτ' ὅσα τρέφει μέλαινα γαῖα

θῆρές τʼ ὀρεσκώιοι καὶ γένος μελισσᾶν

καὶ κνώδαλʼ ἐν βένθεσσι πορφυρέας ἁλός·

εὕδουσι δʼ οἰωνῶν φῦλα τανυπτερύγων.

Con traduzioni di grecisti eccelsi: (ovviamente tutto tratto da Wikipedia)

"Dormono le cime dei monti e le gole, i picchi e i dirupi, e le schiere di animali, quanti nutre la nera terra, e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api e i mostri negli abissi del mare purpureo; dormono le schiere degli uccelli dalle ali distese".
(frammenti a cura di A. Garzya, Napoli 1954)
 

Dormono de’ monti le vette e le valli

e i picchi e i burroni

e quanti esseri, che fogliano e che serpono, nutre la nera terra,

e le fiere montane e la schiatta delle api

e i mostri nei gorghi dell’iridato mare,

e dormono degli uccelli

i popoli, dall’ampio alare
(Giovanni Pascoli)

 
 

Dormono le cime de’ monti

e le vallate intorno,

i declivi e i burroni;

dormono i rettili, quanti nella specie

la nera terra alleva,

le fiere di selva, le varie forme di api,

i mostri nel fondo cupo del mare;

dormono le generazioni degli uccelli dalle lunghe ali.
(Salvatore Quasimodo)

 
Addormentate guglie, strapiombi di rocce
macigni, crepacci,
vive cose che vanno, striano la terra madre
notturna, prede intanate nei sassi, api
del miele, zanne nel buio del mare perlaceo.
E addormentati i nidi degli uccelli scatto d'ali.
(E. Savino)
 

Dormono le grandi cime

dei monti,

e i dirupi e le balze,

e i muti letti dei torrenti;

dormono quanti strisciano animali

sopra la terra nera;

e le fiere montane, e le famiglie

delle api;

dormono i mostri giù nel fondo

del buio-ceruleo mare;

dormono gli uccelli

dalle lunghe ali distese.
(Manara Valgimigli)

poesie proposte da Piero Colonna Romano


Presso il Bisenzio
La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia
e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro
non so se visti o non mai visti prima,
pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte.
Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente,
mi si fa incontro, mi dice: Tu? Non sei dei nostri.
Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta
quando divampava e ardevano nel rogo bene e male".
Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli,
e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto un'inquietudine.
Ci fu solo un tempo per redimersi qui il tremito
si torce in tic convulso o perdersi, e fu quello.
Gli altri costretti a una sosta impreveduta
dànno segni di fastidio, ma non fiatano,
muovono i piedi in cadenza contro il freddo
e masticano gomma guardando me o nessuno.
Dunque sei muto? imprecano le labbra tormentate
mentre lui si fa sotto e retrocede
frenetico, più volte, finché‚ è là
fermo, addossato a un palo, che mi guarda
tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo,
quel poco ch'è visibile, è deserto;
la nebbia stringe dappresso le persone
e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine
e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco.
E io: E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino
per me era più lungo che per voi
e passava da altre parti Quali parti?
Come io non vado avanti,
mi fissa a lungo ed aspetta. Quali parti?
I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui garetti
e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il vuoto.
E' difficile, difficile spiegarti.
C'è silenzio a lungo,
mentre tutto è fermo,
mentre l'acqua della gora fruscia.
Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza.

Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto,
si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi
mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un passo
ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo,
poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo.
O Mario dice e mi si mette al fianco
per quella strada che non è una strada
ma una traccia tortuosa che si perde nel fango
guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi
e accordi le sfere d'orologio della mente
sul moto dei pianeti per un presente eterno
che non è il nostro, che non è qui né ora,
volgiti e guarda il mondo come è divenuto,
poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,
non la profondità, né l'ardimento,
ma la ripetizione di parole,
la mimesi senza perché né come
dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine
morsa dalla tarantola della vita, e basta.
Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze,
e non senti che è troppo. Troppo, intendo,
per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni,
giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla sua mancanza umiliante.
Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si eclissano
e questa voce venire a strappi rotta da un ansito.
Rispondo: Lavoro anche per voi, per amor vostro.
Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio
del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto.
E come io non dico altro, lui di nuovo: O Mario,
com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,
né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende.
Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato dall'affanno
mentre i passi dei compagni si spengono
e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando.
E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso tempo e luogo
e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,
ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa sorte.
E lui, ora smarrito ed indignato: Tu? tu solamente?
Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue convulse
e agita il capo: O Mario, ma è terribile, è terribile tu non sia dei nostri.
E piange, e anche io piangerei
se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne ha veduti.
Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.

Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta.
Mario Luzi
consigliata da Salvatore Armando Santoro
 

Settembre
Già l’olea fragrante nei giardini
d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.
Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell’onda che rotola minuta.
Vittorio Sereni
consigliata da Addis Marinella


Dove siamo, dove andiamo ?
Sto seduto, seduto sul ciglio ,
proprio al termine dell’infinito
e nel buio più buio si perde
il guardar del mio sguardo che scruta.

Neppur’una scintilla scintilla
e mi perdo sperduto e disperso,
disperar disperando una luce
che al sperare ridoni speranza.

Fors’è nero quel buco più nero
par che rotoli e sta rotolando
verso un nulla ch’è nulla di nulla
e stravolge stravolto il pensiero.

Dubitare d’un dubbio dubbioso
che s’avvolge avvolgendosi al vuoto
non risolve né assolve domande
ma tormenta e tormenta davvero
Piero Colonna Romano
consigliata da Antonia Scaligine


Le donne di Alda Merini
Ci sono donne…
E poi ci sono le Donne Donne…
E quelle non devi provare a capirle,
perchè sarebbe una battaglia persa in partenza.
Le devi prendere e basta.
Devi prenderle e baciarle, e non devi dare loro il tempo il tempo di pensare.
Devi spazzare via con un abbraccio
che toglie il fiato, quelle paure che ti sapranno confidare una volta sola, una soltanto.
a bassa, bassissima voce. Perchè si vergognano delle proprie debolezze e, dopo
averle raccontate si tormentano - in una agonia
lenta e silenziosa - al pensiero che, scoprendo il fianco, e mostrandosi umane e fragili e
bisognose per un piccolo fottutissimo attimo,
vedranno le tue spalle voltarsi ed i tuoi passi
allontanarsi.
Perciò prendile e amale. Amale vestite, che a
spogliarsi son brave tutte.
Amale indifese e senza trucco, perchè non sai
quanto gli occhi di una donna possono trovare
scudo dietro un velo di mascara.
Amale addormentate, un po' ammaccate quando il sonno le stropiccia.
Amale sapendo che non ne hanno bisogno: sanno bastare a se stesse.
Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro.
Alda Merini
consigliata da Sandra Greggio


Agosto.
Misuro a passi il silenzio.
Nessuno qui a parlarmi la sera,
nessuno al risveglio.
Soltanto granito e pareti
e oltre nient'altro.
Quando sarà scontata l'ingiusta colpa
che tiene serrata la porta?
Quando dal tepore del legno
entrerai in veste di futuro?
Ho percorso a piedi stanchi
muti inverni di affanni
e oggi, ancora oggi,
il sole è un leone addormentato
in una foresta di stelle
che non accennano neppure un saluto.
Lorena Turri
(tratta dal suo libro "Leggi una donna")
consigliata da Marinella Addis
 

Ho pena delle stelle
Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.
Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?
Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso...
Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?
Fernando Pessoa
consigliata da Sandra Greggio


La poesia vive nella voce
"Io", dice la poesia stando alle parole
"Io sono una nuvola,
e sono il sole.

Io sono una città
E sono il mare.

Io sono un mistero
Di splendore".

Ma io, aggiunge la poesia restandosene muta
Io non potrò parlare finchè non ci sei tu
Su vieni insieme a me, vieni o mio lettore.
Eve Merriam
consigliata da Sandra Greggio


I figli sono come aquiloni
I figli sono come aquiloni,
passi la vita a cercare di farli alzare da terra.
Corri e corri con loro
fino a restare tutti e due senza fiato.
Come gli aquiloni finiscono a terra,
e tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.
Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri,
presto impareranno a volare.
Infine sono in aria: gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne
e a ogni metro di corda che sfugge dalla tua mano
il cuore ti si riempie di gioia e di tristezza insieme.
Giorno dopo giorno l'aquilone si allontana sempre di più
e tu senti che non passerà molto tempo
prima che quella bella creatura spezzi il filo
che vi unisce e si innalzi,
come é giusto che si sia, libera e sola
Allora soltanto saprai
di avere assolto il tuo compito.
Erma Bombeck
consigliata da Sandra Greggio
 

Acque lombarde
Acque serene ch'io corsi sognando
ne la dolcezza de le notti estive,
acque che vi allargate fra le rive
come un occhio stupito, a quando a quando,

o nostalgiche acque di sorgive
mormoranti nel verde un sogno blando,
acque lombarde ch'io vo' sospirando
sempre, tanto il ricordo in cor mi vive,

di voi l'anima dice acque stagnanti
ne' verdi piani de la Lombardia,
di voi fonti gioconde scintillanti

a' dolci soli del fiorito maggio
e su voi la sognante anima mia
muove per suo spiritual viaggio.

"Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lacrime da offrire al silenzio."
Sergio Corazzini
(Roma 1886/1907)
consigliata da Piero Colonna Romano


Con passo lieve
Dei tuoi silenzi e delle tue fatiche
solo mi resta una sembianza vaga.
L'amaro tuo sorriso
mi preme dentro come una ferita.
Con passo lieve mi sei stata accanto
nei giorni fortunati
le lacrime asciugato
con tenere carezze
nei giorni di dolore.
Ora che più s'abbassa il mio orizzonte
assai di rado salgo col pensiero
al piccolo recinto di montagna
dove la terra che t'accoglie sola
sussurra nella notte i suoi misteri.
Eppur talvolta e come in sogno credo
di rivederti ancora e di parlarti
di stringerti la mano
come facevo allora da bambino.
E vinco la paura
del buio che m'attende.
Bruno Castelletti
consigliata da Piero Colonna

(per riflettere, divertirsi ed imparare)

I Presocratici
Nei dì che gli Argivi
vivevan beati,
correndo giulivi
per boschi e per prati,
alcuni messeri con tono profondo
si chiesero seri:
"di che è fatto il mondo?"

Un tal di Mileto,
chiamato Talete,
con tono faceto:
"Se non lo sapete vi
mostrerò tosto
-si mise a affermare-
che il mondo è composto
con l'acqua del mare !"

Al che Anassimandro
mandatagli a dire:
" Ma con lo scafandro
si vada a vestire.
Perbacco, al postutto
mi par più compito
a base del tutto
pensar l'Infinito!"

Al che Anassimene,
per farla più varia,
con subdole mene
pensò pure all'aria.
Ma Empedocle allora,
passando, per gioco,
gridò: "Alla buon'ora!"
e aggiunse anche il fuoco.

In questo pasticcio
Pitagora stava
e acuendo il bisticcio
i numeri dava:
poiché trasmigrare
con l'alma soleva
infine girare
le sfere faceva.

A questi sapienti
così scalmanati
si unirono frementi
persin gli Eleati;
e tanto che visse,
con aria sincera,
Parmenide disse
che il mondo è una sfera,
e in questo complesso
concorrer dell'ente
l'uom vive depresso:
non muove mai niente.

In tal situazione
neppure fai breccia
-lo dice Zenone-
se lanci una freccia,
ed una tra mille
testuggini a caso
ti lascia l'Achille
con tanto di naso.

Ma, assai divertito,
"Che scemo che sei!"
-gli disse Eraclito-
"perché panta rei
chi fa un pediluvio
nel mezzo al torrente
ha sempre un profluvio
di acqua corrente!"

Ma debbo avvertire:
la storia più nera
si mise ad ordire
un tizio di Abdera,
Democrito, il quale
-non è un fatto comico-
con tratto fatale fondò il pool atomico;
e s'oggi la guerra
ha un tono antipatico,
lo deve, la Terra,
a quel presocratico.

Da "Il secondo diario minimo"
di Umberto Eco
(proposta da Piero Colonna Romano)


Sii paziente
Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e ...
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che non possono esserti date
poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta.
Rainer Maria Rilke
(proposta da Sandra Greggio)
 

Sogno mare
e il suo respir che
chiama
e odor di salso
penetra
e d'un brillar di luci
splende
e voli d'ali in lui
si sperdono.

Ed intimi ed onirici
i silenzi
e dolcemente sabbia
l'accarezza.

Ed urlan forte
l'onde
ed è di sangue
che al tramonto
avvampa.
Pietro Colonna Romano
Consigliata da Roberto Soldà


Sono fiori
Sono fiori le parole pronunciate,
segni sonori che vado ripetendo,
sono pietre lucenti, poi abbandonate.

Sono stormi confusi, che per giorni interi
mi battono sul viso, i pensieri
sono stormi battaglieri.

Quando il tramonto
con la sua coltre d'ombra
copre la pianura,
io canto la nenia della vita,
oppure vado oltre e canto
il respiro delle giornate corte.
Ermanno Niccoli
Consigliata da Roberto Soldà


Un proverbio siciliano recita: ogni lassata è pidduta.
C.A.C. Mariano Sallustri così lo racconta:

L'onestà de mi' nonna
Quanno che nonna mia pijò marito
nun fece mica come tante e tante
che doppo un po' se troveno l'amante…
Lei, in cinquantanni, nu' l'ha mai tradito!

Dice che un giorno un vecchio impreciuttito
che je voleva fa' lo spasimante
je disse: "V'arigalo 'sto brillante
se venite a pijavvelo in un sito"

Un'antra, ar posto suo, come succede
j'avrebbe detto subbito "So' pronta"
Mia nonna, ch'era onesta, nun ciagnede;

anzi je disse "Stattene lontano…"
Tanto ch'adesso, quanno l'aricconta,
ancora ce se mozzica la mano.
Trilussa
consigliata da Piero Colonna Romano


Implorazione
(da Alcyone -madrigali per l'estate-)

Estate, Estate mia, non declinare!
Fa che prima nel petto il cor mi scoppi
come pomo granato a troppo ardore.

Estate, Estate, indugia a maturare
i grappoli dei tralci su per gli oppi.
Fa che il colchico dia più tardo il fiore.

Forte comprimi sul tuo sen rubesto
il fin Settembre, che non sia sì lesto.

Sòffoca, Estate, fra le tue mammelle
il fabro di canestre e di tinelle.
Gabriele D'Annunzio
(proposta da Piero Colonna Romano)


Solo e pensoso i più deserti campi
(XXXV° sonetto del Canzoniere)

Solo e pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi e lenti,
e gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio uman l'arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger delle genti;
perché ne gli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:

sì ch'io mi credo omai che monti e piagge
e fiumi e selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.
Francesco Petrarca
consigliata da Piero Colonna Romano


(Canzone friulana contro la guerra: la canta un alpino ucciso nella prima guerra mondiale.
La dedico a tutti i poeti, friulani o meno)

Stelutis alpinis
Se tu vens cà su ta' cretis,
là che lòr mi àn sotterat,
al è un spiàz plen di stelutis
dal mio sanc l'è stàt bagnàt.

Per segnàl une crosute
jè scolpide lì tal cret
fra che' stelis 'nàs l'arbute,
sot di lòr io duar cuiet.

Ciol sù, ciol une stelute:
je'a ricuarde il nestri ben,
tu 'i daràs 'na bussadute
e po' piàtile tal sen.

Quant che a ciase tu sès sole
e di cur tu preis par mè,
il mio spirt atòr ti svole:
jo e la stele sin cun te.
Arturo Zardin

Stelle alpine
Se tu vieni quassù fra le rocce,
là dove mi hanno sotterrato,
c'è uno spiazzo di stelle alpine
bagnate del mio sangue.

Per segnale una piccola croce
è incisa in un masso;
fra quelle stelle ora cresce l'erba,
sotto loro dormo tranquillo.

Cogli, cogli una stella alpina:
ti ricorderà il nostro amore,
tu le darai un piccolo bacio
e poi nascondila nel seno.

E quando sarai sola in casa,
e pregherai di cuore per me,
il mio spirito ti aleggerà attorno:
io e la stella saremo con te.

(proposta da Piero Colonna Romano)
 

Inno all'amore
"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi l'amore,
sarei come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l'amore,
sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l'amore,
niente mi gioverebbe.
L'amore è paziente,
è benigno l'amore;
non è invidioso l'amore,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta.
L'amore non avrà mai fine.
S. Paolo
(tratto dalla prima lettera ai Corinti)
Proposta in lettura da Piero Colonna Romano


Dedicata ai poeti amanti degli scacchi:

Partita Benjafield
(o il matto di Lègal)

Scacchisti, udite! Un'immortal tenzone
in brevi tratti il verso mio dipinge:
inoltra il Re dei Bianchi il suo pedone,
quel del Re nero contra a lui si stringe.

L'assalta un Cavalier, ma gli si oppone
quel della Donna e i colpi suoi respinge.
Alla quarta d'alfier l'Alfier si pone,
la Donna il suo pedon d'un passo spinge.

L'altro Cavallo accorre: al primo è sopra
l'Alfiere e il preme. Egli il pedone uccide,
benchè al nemico acciar la Donna scopra.

Ed essa muor, ma non indarno. In fallo
cadde il Duce dei Neri: ei non previde
scacco d'Alfiere e matto di Cavallo.

Luigi Guglielmo Cambray-Digny
(ministro del regno di Piemonte-1820/1906-)
consigliata da Piero Colonna Romano

 

Sables mouvants
Démons et merveilles
vents et marées
au loin déjà la mer s'est retirée
et toi
comme une algue doucement caressée par le vent
dans les sables du lit tu remues en rêvant.

Démons et merveilles
vents et marées
au loin déjà la mer s'est retirée
mais dans tes yeux entrouverts
deux petites vagues sont restées.

Démons et merveilles
vents et marées.
Deux petites vagues pour me noyer.
Jacques Prévert
consigliata da Piero Colonna Romano
 

 

Sabbie mobili
Démoni e meraviglie
venti e maree
già al largo il mare s'è ritirato
e tu
come alga dolcemente accarezzata dal vento
nelle sabbie del letto ti agiti nelle fantasie.

Demoni e meraviglie
venti e maree
già al largo il mare s'è ritirato
ma nei tuoi occhi socchiusi
due piccole onde sono rimaste.

Démoni e meraviglie
venti e maree.
Due piccole onde per annegarmi.
 

What A Wonderful World
I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself what a wonderful world.

I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed the day, the dark sacred night
And I think to myself what a wonderful world.

The colors of the rainbow so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shaking hands saying how do you do
But they're really saying is I love you.

I hear baby's crying and I watched them grow
They'll learn much more than I'll ever know
And I think to myself what a wonderful world,
Yes I think to myself what a wonderful world..
(Bob Thiele. Resa famosa da Louis Armstrong)
consigliata da Piero Colonna Romano

 

Che mondo meraviglioso
Vedo alberi verdi, ed anche rose rosse,
li vedo fiorire per me e per voi
e penso, tra me e me, che mondo meraviglioso.

Vedo cieli blu e nuvole bianche,
la luce benedire il giorno, il sacro scuro della notte
e penso tra me e me che mondo meraviglioso.

I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo,
son anche sui visi della gente che passa,
vedo gli amici, stringersi la mano dicendo "come si fa a fare?"
ma, in realtà, dicono "ti amo".

Sento i bambini piangere e li vedo crescere,
impareranno molto di più di quanto io saprò mai
e penso tra me e me, che mondo meraviglioso,
sì penso tra me e me che mondo meraviglioso.


Le isole fortunate.
Quale voce viene sul suono delle onde
che non sia la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che se ascoltiamo tace,
proprio per esserci messi ad ascoltare.

E solo se mezzo addormentati,
udiamo senza sapere che udiamo,
essa ci parla della speranza
verso la quale, come un bambino
che dorme, dormendo sorridiamo.

Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re vive aspettando.
Ma, se vi andiamo destando
tace la voce e solo c'è il mare.
Fernando Pessoa
consigliata da Ida Guarracino
 

Mezzanotte
Bella la Luna stasera
a illuminare i tuoi occhi
mentre improvvisi rintocchi
forano l'aria a raggiera.

Magica, chiara atmosfera,
le stelle piovono a fiocchi
sui nostri cuori, marmocchi
dentro a una favola vera.

Forse conviene tacere,
restare immobili e muti
felici di appartenere

ai sogni intorno caduti
e navigare i minuti
di così intenso piacere.
Dalmazio Masini
consigliata da Addis Marinella
 

Racconto molto
Racconto molto
perchè forse non so
qual è davvero il mio compito
come la sapienza accesa dei bambini
per questa Roma senz'amore
che canta il vino spento dell'amore.
Per questa città senza più affetti
io voglio ancora narrare
che la vita è una persona da capire
e la gioia incenerisce tutte le finzioni.
Alda Merini
consigliata da Ida Guarracino
 

Se l'occhio solare del firmamento
potesse darti il gelo del mio cuore
- perché io non ti vedo
e tenebra mi sembra la luce
e ancora la luce tenebra -
se io potessi spingere il vascello della mia ira
contro il solo tormento
che sei tu mio scoglio,
e avvolgerti dentro le vele
di una grande carezza,
la mia disperazione diventerebbe fango,
il mio fango diventerebbe preghiera.
Alda Merini
consigliata da Ida Guarracino
 

Ave Maria
Quannero regazzino, mamma mia
me diceva" Ricordati, fijolo,
quanno te senti veramente solo,
tu prova a recità 'n Ave Maria.
L'anima tua da sola spicca er volo
e se solleva, come pe' maggia".
Ormai so' vecchio, er tempo s'è volato.
Da un pezzo s'è addormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l'ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna Benedetta
e l'anima mia da sola pija er volo.
Trilussa
consigliata da Antonia Scaligine


Sonetto XVII
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.

T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
Pablo Neruda
consigliata da Piero Colonna Romano
 

affitta il mio cuore
da troppo tempo abitato solo dai fantasmi
ho un locale nudo pieno di poesia
dove non dorme più alcun ricordo da anni
non c'è polvere da togliere
non ci sono mobili da spostare
né vecchie fotografie di cui temere l'impronta
solo ombre dolci come il miele lungo le pareti calde
prendi il mio animo
vieni ad abitarlo coi tuoi sogni
ci sono giardini pieni di fiori tutto l'anno
e stelle sotto le campane dei tuoi occhi
per le lune romantiche che hai in testa.

affitta il mio cuore
è un vecchio macinino capace di donare ancora
un marinaio indomito con acque immense dentro
un sorriso
una lacrima
un attimo di felicità
un ballo
prendi il mio battito
perché conosce parole mai scritte per una donna
carmi strappati alle fronde quando il vento tenta di sfiorarle.
Jacqueline Miu
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Amarezza
Inutile
questa mia esaltazione.
Il tutto
che potrei dare
è il niente
del tempo
che inesorabile
mi è nemico.
Il passato
non evolve
in sogni delusi
e il futuro
giace
in remote possibilità.
Nel mio presente
l'amarezza
di ciò che
non posso essere.
E ciò che potrei dare
si scioglie
in lacrime silenziose.
Marinella Addis
(consigliata da Piero Colonna Romano
per la forza dei versi con i quali la
poetessa riesce a rende il proprio sentire)
 

Sono un vagabondo
Non so da dove vengo e non so
a quale meta domani andrò, son vagabondo
sempre vagante sempre in cammino
nulla mi ferma, mi tiene vicino.
Non ho compagni né un focolare,
né un vero letto dove sognare
son vagabondo
ad ogni sosta colgo un amore
che non mi lascia
traccia nel cuore;
ho per confine il mondo
sono un vagabondo.

Ho nella zaino
la gioia e il pianto,
quella disperdo,
questa mi resta
son vagabondo.
Ricco di niente
mi basta un canto
perché il dolore
sembri una festa.
Che cosa cerco? Forse innocenza,
forse potere, oro esperienza?
Tutto mi attira
nulla mi appaga
patria e rifugio
per me è la strada.
Ho per confine il mondo
sono un vagabondo.

Uomini bianchi, uomini neri,
inerme gregge cieco e dolente,
son vagabondo
ed io che vago coi miei pensieri
sempre più solo
in mezzo alla gente.
Finché una sera,
forse ben presto,
fisso a una stella,
troppo lontana
(son vagabondo)
cadrò riverso dopo aver chiesto
l'ultimo sorso a una fontana.
Ho per confine il mondo,
sono un vagabondo.

E a me, vagabondo,
cui fu piccolo il mondo
solo un pugno di terra
il Signore darà
per vagabondare per l'eternità
testo e musica di Giorgio La Neve
consigliata da Piero Colonna Romano


All'ombra
Mentre me leggo er solito giornale
spaparacchiato all'ombra d'un pajaro,
vedo un porco e je dico -Addio, majale!-
vedo un ciuccio e je dico -Addio, somaro!-

Forse 'ste bestie nun me capiranno,
ma provo armeno la soddisfazzione
de potè di' le cose come stanno
senza paura de finì in priggione.
Trilussa
(Giove e le bestie -1932-)
consigliata da Piero Colonna Romano


L'amore dorme sul
petto del poeta

Tu mai potrai capire quanto ti amo
perché in me dormi e resti addormentato.
Io ti nascondo in lacrime, braccato
da una voce di penetrante acciaio.

Norma che scuote insieme carne e stella
trapassa già il mio petto addolorato
e le fosche parole hanno addentato
le ali della tua anima severa.

Gruppo di gente salta nei giardini
e attende il corpo tuo, la mia agonia
su cavalli di luce e verdi crini.

Ma continua a dormire, vita mia,
Senti il mio sangue rotto nei violini!
Attento, ché c'è ancora chi ci spia!
Federico Garcia Lorca
consigliata da Ida Guarracino


Po' darse
Po' darse che no te cati
gnanche on toco de matita
pa' segnare che 'a vita
s'ha tirà drìo 'n antro dì.
Po' darse che fuora nèvega,
come che ze stà oncora,
che se vizhina l'ora
che te durmirè anche ti.
Po' darse che te rùmeghi
cossa che ze sucesso
senza capire istesso
parché che 'a sia cussì.
Po' darse che, pensando,
'a luce vaga via
e ti te resti in veja
senza spetarla pi.
Luigi Bressan

Può darsi
Può darsi che tu non trovi
neanche un mozzicone di matita
per segnare che la vita
s'è tirata dietro un altro giorno.
Può darsi che fuori nevichi,
com'è accaduto altre volte,
che s'avvicini l'ora
che dormirai anche tu.
Può darsi che tu rimugini
che cosa sia successo
senza capire lo stesso
perché sia così.
Può darsi che, pensando,
la luce vada via
e tu resti in veglia
senza aspettarla più.

(da: Luigi Bressan, El paradiso brusà (Tutte le poesie in dialetto veneto con relativa versione in italiano)
Ed. Il Ponte del Sale, Rovigo 2014)
consigliata da Roberto Soldà
 

Ho visto quando il mare ti ha lambita
Che sapevi amica dei fiori
del mare       ( del male?)
lasciati in dono alla riva
- una notte vissuta -
alla deriva abbandonati?

E' bastato il bacio dell'alba
che sfiora tenero i petti
o il malizioso risveglio
a stornare i tuoi passi
dall'intreccio che riga la terra
al sale che l'abrade?

Guardavi forse il cielo
nel viola dei tuoi occhi
camminando tutta sola
sulla spiaggia mentre il vento
ti spogliava le ali bianche?

Uscito alle tue spalle
strisciando dalle valve
il marino amante
nelle orme ti baciava
con sospiri le dita
Luigi Bressan
(dalla silloge: Luigi Bressan, Quando sarà stato l'addio? Ed. Il Ponte del Sale, Rovigo, 2007)
consigliata da Roberto Soldà
 

La rubrica
Ho copiato su un quaderno nuovo i numeri di telefono
non tutti
quelli di chi conoscevo ma non sento da tempo
li ho buttati via

è come dimenticare a comando
come svuotare una soffitta
si tengono le cose buone
si gettano quelle consumate
ma loro sono vivi, sono persone vive

e chiedersi se i piccoli dolori che a volte
ci nascono dentro senza un motivo o un preavviso
vengono quando qualcuno
fa lo stesso con noi
Francesco Tomada
consigliata da Salvatore Cutrupi


Vieni, entra e coglimi
Vieni, entra e coglimi, saggiami provami…
comprimimi discioglimi tormentami…
infiammami programmami rinnovami.
Accelera… rallenta… disorientami.

Cuocimi bollimi addentami… covami.
Poi fondimi e confondimi… spaventami…
nuocimi, perdimi e trovami, giovami.
Scovami… ardimi bruciami arroventami.

Stringimi e allentami, calami e aumentami.
Domami, sgominami poi sgomentami…
dissociami divorami… comprovami.
Legami annegami e infine annientami.

Addormentami e ancora entra… riprovami,
incoronami. Eternami. Inargentami.
Patrizia Valduga
consigliata da Piero Colonna Romano
 

La leggenda di Teodorico
Su 'l castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno,
da la Chiusa al pian rintrona
solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico
verde il grande Adige va;
ed il re Teodorico
vecchio e triste al bagno sta.
Pensa il dí che a Tulna ei venne
di Crimilde nel conspetto
e il cozzar di mille antenne
ne la sala del banchetto,
quando il ferro d'Ildebrando
su la donna si calò
e dal funere nefando
egli solo ritornò.
Guarda il sole sfolgorante
e il chiaro Adige che corre,
guarda un falco roteante
sovra i merli de la torre;
guarda i monti da cui scese
la sua forte gioventú,
ed il bel verde paese
che da lui conquiso fu.
Il gridar d'un damigello
risonò fuor de la chiostra:
- Sire, un cervo mai sí bello
non si vide a l'età nostra.
egli ha i pié d'acciaro a smalto,
ha le corna tutte d'òr.
- Fuor de l'acque diede un salto
il vegliardo cacciator.
- I miei cani, il mio morello,
il mio spiedo - egli chiedea;
e il lenzuol quasi un mantello
a le membra si avvolgea.
I donzelli ivano. In tanto
Il bel cervo disparí,
E d'un tratto al re da canto
un corsier nero nitrí.
Nero come un corbo vecchio,
ene gli occhi avea carboni.
era pronto l'apparecchio,
ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore
e si misero a guair,
e guardarono il signore
e no 'l vollero seguir.
In quel mezzo il caval nero
spiccò via come uno strale
e lontan d'ogni sentiero
ora scende e ora sale:
via e via e via e via,
valli e monti esso varcò.
Il re scendere vorría,
ma staccar non se ne può
Il più vecchio ed il più fido
lo seguía de' suoi scudieri,
e mettea d'angoscia un grido
per gl'incogniti sentieri:
- O gentil re de gli Amali,
ti seguii ne' tuoi be' dí,
ti seguii tra lance e strali,
ma non corsi mai cosí.
Teodorico di Verona,
dove vai tanto di fretta?
Tornerem, sacra corona,
a la casa che ci aspetta? -
- Mala bestia è questa mia,
mal cavallo mi toccò:
sol la Vergine Maria
sa quand'io ritornerò. -
Altre cure su nel cielo
ha la Vergine Maria:
sotto il grande azzurro velo
ella i martiri covría,
ella i martiri accoglieva
de la patria e de la fé;
e terribile scendeva
Dio su 'l capo al goto re.
Via e via su balzi e grotte
va il cavallo al fren ribelle:
ei s'immerge ne la notte,
ei s'aderge in vèr' le stelle.
Ecco, il dorso d'Appennino
fra le tenebre scompar,
e nel pallido mattino
mughia a basso il tosco mar.
Ecco Lipari, la reggia
di Vulcano ardua che fuma
e tra i bòmbiti lampeggia
de l'ardor che la consuma:
quivi giunto il caval nero
contro il ciel forte springò
annitrendo; e il cavaliero
nel cratere inabissò.
Ma dal calabro confine
che mai sorge in vetta al monte?
Non è il sole, è un bianco crine;
non è il sole, è un'ampia fronte
del romano senator.
Giosuè Carducci
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Mettemo le sbarre ar Campidojio.
Dice er procuratore soddisfatto:
“Vedrete che je leveremo er vizzio!
Per adesso il primo passo è fatto,
e questo non è artro che l’inizio.”
Oddio, me sembra de diventà matto…
Pure Roma mo’ sta ner precipizio.
Nun se tratta de quarche mentecatto:
qui tutti, o quasi, hanno d’annà a giudizio,
e aumenteranno da matina a sera…
Sarà proprio così: ”’Ndo cojo, cojo.”
Io propongo de fa’ in questa maniera:
se l’inchiesta va liscia come l’ojo,
invece de portà tutti in galera,
convi è mette le sbarre ar Campidojio!
Gigi Proietti
consigliata da Giovanni Abbate

 

Ulysses
O Mytho é o nada que é tudo.
O mesmo sol que abre os céus
É um mytho brilhante e mudo -
O corpo morto de Deus,
Vivo e desnudo.

Este, que aqui aportou,
Foi por não ser existindo.
Sem existir nos bastou.
Por não ter vindo foi vindo
E nos criou.

Assim a lenda se escorre
A entrar na realidade.
E a fecundala decorre.
Em baixo, a vida, metade
De nada, morre.
Fernando Pessoa
consigliata da Piero Colonna Romano
Ulisse
Il mito è il nulla che è tutto
lo stesso sole che svela i cieli
è un mito lucente e muto-
il corpo morto di Dio,
vivente e nudo.

Questi, che qui approdò,
fu per non essere l'esistente.
Senza esistere ci bastò.
Venne per non essere venuto
e ci creò.

Così la leggenda si tramanda
entrando nella realtà,
ed a fecondarla decorre.
La vita, in basso, metà
del nulla, muore.
 

 
Talvolta quando al tramonto
passeggio stanco pel Corso
(ch'è vuoto), uno che incontro dice, forte,
il mio nome e fa: "buona sera!"

Allora d'un tratto, lì sul Corso ch'è vuoto,
m'imbatto stupito alle cose d'ieri
e sono pur io una cosa col nome.

Quando ti stringo la mano e tu ripigli sicuro
il discorso di ieri,
non so qual riverbero giallo di ambigua
impostura
colori di dentro l'atto di me che t'ascolto.
Fingo d'essere con te e non ho cuore a dirti
d'un tratto: "Non so chi tu sia!" Amico, in verità,
non so chi tu sia.
E come tu vuoi ch'io rinsaldi l'oggi all'ieri
labbra d'abisso,
ferita divaricata dell'infinito?

Mi fermi per via chiamandomi a nome,
col mio nome di ieri.
Ora cos'è questo spettro che torna
(l'ieri nell'oggi)
e questa immobile tomba del nome?

Tepido letto del nome, sicura casa dell'ieri!
Soffice lana dei sofferti dolori,
sosta ombrosa delle gioie lontane.
Nave sul mare.
Zattera di naufraghi.
Ma l'oggi è, via, come una cateratta aperta.
Nubi cangianti nell'abissale cavo del cielo.

Non v'è altro eterno che l'attimo.

Pietosamente mascheri alla mia
disperazione la tua felicità.

Sei chiuso nella tua gioia com'io
nel mio dolore.

Dallo scoppio della mia gioia,
come una ferita, il tuo soffrire.
Compiuto il mio desiderio, con stupefazione,
ecco il tuo pianto.

Ma ciascuno si dibatta nel suo oggi,
carcerato nella cella.

Da:Frammenti
Giovanni Boine
consigliata da Angelo Michele Cozza
 

 

Gelsomino
Navigare
tra lontane galassie
in cerca del mistero
onde l'anima mia cambiò colore,

cavalcare
i venti siderali
per ritrovare il seme
che sull'isola mia pose il tuo fiore,

dedicare
un'esistenza intera
alla ricerca folle del giardino
che porti il tuo profumo alla mia sera.
Santi Cardella
consigliata da Piero Colonna Romano
 

La porta della luna
Ruotando e roteando nella spirale m'avvolgo
e da un orbitale viola ad uno giallo
dinamico salto.

Ma tu che al crepuscolo
nell'isola del mio silenzio approdavi
stasera più non sei a portata di mano.
Vana la preghiera:
"accenditi luna, accenditi luna bella.
Portami, luna, la buona novella".

Allora la mia anima
tasta il silenzio con la parola
cercando ancora la soglia.

Apri la tua porta, spalancala
come una volta.

Lascia uscire la luce dall'orizzonte degli eventi.
Ancora scaturisca il suo fascio
a trecentomila chilometri al secondo.
Roberto Soldà
consigliata da Piero Colonna Romano
 

E’ certo, amore, il corpo è una merce che scade
il corpo parla ma non chiarisce proprio niente, e intanto la mia carne si affloscia e brucia come un’organza disordinata, perchè la decrepita giovinezza seguita a dolermi negli occhi come una vampa che mi ustiona di giorno, di notte.
L’amore è un mistero che davvero non so risolvere, mi affanno nel suo consumarmi come in una corona di spine.
Alda Merini
consigliata da Ida Guarracino
 

L'Erba ha così poco da fare -
Una Sfera di semplice Verde -
Con solo Farfalle da covare
E Api da intrattenere -
E agitarsi tutto il giorno alle amabili Melodie
Che le Brezze portano con sé -
E tenere la Luce del Sole in grembo
E inchinarsi ad ogni cosa -
E infilare Gocce di Rugiada, tutta le notte, come Perle -
E farsi così fine
Che una Duchessa sarebbe troppo comune
Per degnarla di uno sguardo -
E anche quando muore - trapassare
In Odori così divini -
Come Umili spezie, che giacciono nel sonno -
O Nardi indiani, morenti -
E poi, in Sovrani Fienili dimorare -
E sognare i Giorni lontani,
L'Erba ha così poco da fare
Che vorrei essere Fieno -
Emily Dickinson
consigliata da Ida Guarracino
 

Non si ama con il cuore,
si ama con l’anima
che si impregna di storia
Non si ama se non si soffre
e non si ama
se non si ha paura di perdere.
Ma quando ami vivi,
forse male,
forse bene,
ma vivi.
Allora muori
quando smetti di amare,
scompari quando non sei più amato.
Se l’amore ti ferisce,
cura le tue cicatrici e credici,
sei vivo.
Perché vivi
per chi ami e per chi ti ama.
Alda Merini
consiglata da Ida Guarracino
 

I vostri vecchi
Guardate gli occhi dei Vostri vecchi.
Oggi portano i colori dell'autunno
ma ieri hanno donato sguardi
vivi come bacche di agrifoglio
teneri come fiori di biancospino.

Guardate le mani dei Vostri vecchi.
Oggi contano i giorni sulle ginocchia
ma ieri hanno lottato, costruito
seminato carezze
momenti di sole...

Guardate i passi dei Vostri vecchi.
Oggi avanzano lenti, discreti come ombre
ma ieri hanno percorso pianure di speranze
sudato lungo vicoli arroganti del dolore.
Caduti si sono rialzati...

Guardateli e aspettateli i Vostri vecchi
prima che il tramonto li porti via.
Se siete qui è perché loro hanno soprattutto amato.
Giovanni Formaggio
consigliata da Ida Guarracino
 

Una sorella ho nella nostra casa
Una sorella ho nella nostra casa,
ed una siepe più in là.
Una sola è registrata,
ma entrambe mi appartengono.

Una venne per la via che feci io -
e portò la mia gonna smessa -
l'altra, come un uccello il nido,
costruì fra i nostri cuori.

Non cantava come noi -
era un motivo differente -
essa stessa a sé una musica
come un calabrone di giugno.

Oggi è lontano dall'infanzia -
ma su e giù per le colline
tenni la sua mano più stretta -
così abbreviando le miglia -

e ancora il suo canto
da un anno all'altro
inganna la farfalla;
ancora nel suo occhio
stanno le viole
appassite in tanti maggi.

Rovesciai la rugiada -
ma colsi la mattina -
scelsi quest'unica stella
fra le schiere della notte immensa -
Sue - per l'eternità!
Emily Dickinson
consigliata da Ida Guarracino
 

La poesia
I
Io sono una lampada ch'arda
soave!
la lampada, forse, che guarda,
pendendo alla fumida trave,
la veglia che fila;
e ascolta novelle e ragioni
da bocche
celate nell'ombra, ai cantoni,
là dietro le soffici rócche
che albeggiano in fila:
ragioni, novelle, e saluti
d'amore, all'orecchio, confusi:
gli assidui bisbigli perduti
nel sibilo assiduo dei fusi;
le vecchie parole sentite
da presso con palpiti nuovi,
tra il sordo rimastico mite
dei bovi:

II
la lampada, forse, che a cena
raduna;
che sboccia sul bianco, e serena
su l'ampia tovaglia sta, luna
su prato di neve;
e arride al giocondo convito;
poi cenna,
d'un tratto, ad un piccolo dito,
là, nero tuttor della penna
che corre e che beve:
ma lascia nell'ombra, alla mensa,
la madre, nel tempo ch'esplora
la figlia più grande che pensa
guardando il mio raggio d'aurora:
rapita nell'aurea mia fiamma
non sente lo sguardo tuo vano;
già fugge, è già, povera mamma,
lontano!

III
Se già non la lampada io sia,
che oscilla
davanti a una dolce Maria,
vivendo dell'umile stilla
di cento capanne:
raccolgo l'uguale tributo
d'ulivo
da tutta la villa, e il saluto
del colle sassoso e del rivo
sonante di canne:
e incende, il mio raggio, di sera,
tra l'ombra di mesta viola,
nel ciglio che prega e dispera,
la povera lagrima sola;
e muore, nei lucidi albori,
tremando, il mio pallido raggio,
tra cori di vergini e fiori
di maggio:

IV
o quella, velata, che al fianco
t'addita
la donna più bianca del bianco
lenzuolo, che in grembo, assopita,
matura il tuo seme;
o quella che irraggia una cuna
- la barca
che, alzando il fanal di fortuna,
nel mare dell'essere varca,
si dondola, e geme -;
o quella che illumina tacita
tombe profonde - con visi
scarniti di vecchi; tenaci
di vergini bionde sorrisi;
tua madre!... nell'ombra senz'ore,
per te, dal suo triste riposo,
congiunge le mani al suo cuore
già róso! -

V
Io sono la lampada ch'arde
soave!
nell'ore più sole e più tarde,
nell'ombra più mesta, più grave,
più buona, o fratello!
Ch'io penda sul capo a fanciulla
che pensa,
su madre che prega, su culla
che piange, su garrula mensa,
su tacito avello;
lontano risplende l'ardore
mio casto all'errante che trita
notturno, piangendo nel cuore,
la pallida via della vita:
s'arresta; ma vede il mio raggio,
che gli arde nell'anima blando:
riprende l'oscuro viaggio
cantando.
Giovanni Pascoli
consigliata da Piero Colonna Romano

 

io ti ho offerto il mio corpo
Io ti ho offerto il mio corpo come un moto
di gioconda tristezza
come un’acqua serena per andare:
tu mi hai creduto una rupe divina
ma non atta a ancorare la radice…
Io ti ho offerto i miei tralci, la mia voce,
la mia vite feconda
ho domandato che tu mi capissi…
Ma neppure hai cercato di baciarmi
e mi credi una venere delusa.
Alda Merini
consigliata da Ida Guarracino
 

La semplicità-Vento
La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, in forza appunto.
Io amo la semplicità che si accompagna con l'umiltà.
Mi piacciono i barboni.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l'anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c'è verità, lì c'è dolcezza, lì c'è sensibilità, lì c'è ancora amore.
Alda Merini
consigliata da Ida Guarracino
 

Figlia d'azzurro cobalto
Presso il tuo,
il tuo soltanto,
-Cosmo azzurro profumato-
corre il mio confine.
Chi figlia ti crebbe del Cosmo,
figlia d'azzurro cobalto ti volle…
il tuo amore è una colomba in volo
un sussurro
un fremito d'onda rapita al mare.
All'azzurro tuo di cobalto
nessuno, mai per sempre,
alcuna gemma potrà trafugare.
Un angelo solitario
t'insegnò come si desta il vento,
come risvegliare
la luna nella sera assente.
E stormi di rondini
ti porteranno all'alba il sole
pescato nel canale.
Roberto Soldà
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Magna Grecia e dintorni
Il Pollino imbiancato
innanzi mi compare.
Su un arido terreno,
contorti come ulivi,
quei pini loricati
profumano già l'aria.
E querce e faggi e cerri
compongon boschi eterni.

Vestigia d'un maniero,
a coronar la cresta,
sovrastano la strada.
La nebbia che m'avvolge
dissolve selve e prati.
Corro una galleria,
cerco la luce in fondo,
neve e rifugio trovo.

Poi verso sud m'appresso.
Svelta la strada scorre
tra forre e casolari
di quell'antica Sila,
prospera di foreste,
da valli lacerata.
Delle megar le timpe
comprendo il lor'arcano.

L'ampio respir del mare
un tuffo al cuor mi dona:
Falerna v'è distesa
e il nome a lei deriva
da quella dolce ambrosia
che consolò Pilato
quando emanò, perplesso,
all'unto ostil sentenza

Quell'acque basse e chiare
risplendono di raggi,
e rendon sfumature
d'ogni color turchese.
Scintilla all'orizzonte
la vela d'una barca
e gridano i gabbiani,
dal vento sostenuti.

Si snoda poi la riva
fino alla Costa Viola,
con Pizzo a quell'estremo
che domina quel lido.
Scendendo l'erta china,
ad ogni suo tornante,
precipitar mi sembra
in quel lucente mare.

E' qui che Gioacchino,
di Napoli re breve
e condottier valente,
da Ferdinando quarto
fu vinto e condannato.
Murat, borbon spregiando,
in un comando estremo
volle il ploton guidare.

Volare su quel mare,
correndo su quei ponti,
m'inebria la ragione
e di stupore colma.
Così, lontana, arriva
Scilla col suo castello.
Innanzi a lei Cariddi,
col suo proteso artiglio.

In quell'acque cobalto
Ulisse spiar volle
quelle, che un tempo ninfe,
la gelosia di Circe
in mostri trasformò.
Perciò si fè legare,
con cera nelle orecchie,
per ingannar sirene.

In Reggio alfin riposo.
Le voci di mercanti
ridestan la città.
E' come un dolce canto
"A 'stura v'arrifrisca".
Panieri giù calati,
ossequio al nuovo giorno,
colgono fichi e gelsi.

Da strade strette e scure,
tra voci concitate
e clacson impazziti,
all'improvviso appare
del duomo la gran luce.
Romanico si sposa
con gotico ispirato.
Risplende il suo candore.

Ed eccomi al museo.
Fu forse Policleto
oppure il sommo Fidia
che i bronzi un dì crearon?
Svettanti in una sala,
dal mar guerrier risorti,
benignamente guardano
folle da tutt'il mondo.

Quel lungomar ch'è sogno,
percorro un po' stordito
e nelle ville ammiro
del liberty il retaggio.
Trinacria ora mi chiama.
Il ventre d'una nave,
all'urbe, un tempo felix,
doman mi condurrà.

E lascio la Calabria
con nostalgia nel cuore,
terra dimenticata
da tutti i governanti.
Nessuno più ricorda
di Campanella il libro,
nè Repaci od Alvaro.
Da 'ndrangheta avvilita.
Piero Colonna Romano
consigliata da Ida Guarracino
 

Sempre verde d'alloro
Sempre verde d'alloro
essere dovrebbe

Dura trasparente
adamantina
insolubile
nel ranno delle interpretazioni

E mandare fiamme dovrebbe
come sodio in acqua
o bruciare come creste dei galli

Essere dovrebbe
cospicuo il salto
tra il reale e l'astratto

Essere così
dovrebbe
adamantina
la poesia.
Roberto Soldà
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Femminicidio
                                          "Ricorditi di me che son la Pia
                                           Siena mi fé, disfecemi Maremma;
                                           salsi colui che 'nnanellata pria

                                           disposando m'avea con la sua gemma".
                                                                     Dante, Purgatorio, V


Fra tetre brume cavalcano
mille cadaveri armati;
seguono il corso dell'odio,
fiume di gemme e di sangue.

Sprizzano fiamme le orecchie
dei cavalieri impazziti,
sono serpenti le chiome,
celano in bocca pugnali.

Hanno nel cuore il permesso
scritto da Satana: "uccidi,
fai tuo per sempre il rimorso
d'aver negato una vita!"

Suonano sotto gli zoccoli
vuoti di fosse e dirupi
ove coperchi di bare
saltano spinti dall'urlo.

Dentro le bare le zagare
di mille fiori spezzati
gemono invano il diritto
di profumare la terra.
Santi Cardella
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Petali al vento
Ricordi il lago e noi nel suo riflesso?
la nostra adolescenza? e la stazione?

Sui binari d'intorno
sostavan treni pieni d'illusioni
pronti a partire per destini ignoti.
Incauti e fiduciosi
non ci bastava quello ch'era nostro
e in cerca d'ampi mari e vasti fiumi
a quello specchio abbiamo dato un colpo.
L'ideale, in frantumi,
s'è dissolto nell'acqua che non torna
lasciandoci soltanto la sua forma.

Dentro il quaderno a righe,
di cui scrivemmo solo il primo foglio,
tante pagine vuote
che non ho mai il coraggio di strappare
perché so già che senza ch'io lo voglia
tornano in sogno.
E mandano un profumo che svanisce
a poco a poco quando riapro gli occhi,
petali al vento in fuga dal cortile
ove ciascuno ha costruito ignaro
la sua prigione.
Santi Cardella
consigliata da Piero Colonna Romano
 

LA CARMAGNOLE ( 1792 )
(canzone dei sanculotti, d'origine piemontese)

Madam' Véto avait promis
Madam' Véto avait promis
De faire égorger tout Paris
De faire égorger tout Paris
Mais le coup a manqué
Grâce à nos canonniers

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Monsieur Véto avait promis
Monsieur Véto avait promis
D'être fidèle à son pays
D'être fidèle à son pays
Mais il a manqué
Ne faisons plus quartier

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Antoinette avait résolu
Antoinette avait résolu
De nous faire tomber sur le cul
De nous faire tomber sur le cul
Mais son coup a manqué,
Elle a le nez cassé

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Son mari se croyant vainqueur
Son mari se croyant vainqueur
Connaissait peu notre valeur
Connaissait peu notre valeur
Va, Louis, gros paour,
Du temple dans la tour

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Les Suisses avaient promis
Les Suisses avaient promis
Qu'ils feraient feu sur nos amis
Qu'ils feraient feu sur nos amis
Mais comme ils ont sauté
Comme ils ont tous dansé

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Quand Antoinette vit la tour
Quand Antoinette vit la tour
Elle voulut faire demi-tour
Elle voulut faire demi-tour
Elle avait mal au cœur
De se voir sans honneur

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Lorsque Louis vit fossoyer
Lorsque Louis vit fossoyer
À ceux qu'il voyait travailler
À ceux qu'il voyait travailler
Il disait que pour peu
Il était dans ce lieu

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Le patriote a pour amis
Le patriote a pour amis
Toutes les bonnes gens du pays
Toutes les bonnes gens du pays
Mais ils se soutiendront
Tous au son du canon

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

L'aristocrate a pour amis
L'aristocrate a pour amis
Tous les royalistes à Paris
Tous les royalistes à Paris
Ils vous les soutiendront
Tout comme de vrais poltrons

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

La gendarmerie avait promis
La gendarmerie avait promis
Qu'elle soutiendrait la patrie
Qu'elle soutiendrait la patrie
Mais ils n'ont pas manqué
Au son du canonnier

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Amis, restons toujours unis
Amis, restons toujours unis
Ne craignons pas nos ennemis
Ne craignons pas nos ennemis
S'ils viennent nous attaquer,
Nous les ferons sauter

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Oui, je suis sans-culotte, moi
Oui, je suis sans-culotte, moi
En dépit des amis du roi
En dépit des amis du roi
Vivent les Marseillais
Les Bretons et nos lois

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !

Oui, nous nous souviendrons toujours
Oui, nous nous souviendrons toujours
Des sans-culottes des faubourg
Des sans-culottes des faubourg
À leur santé, nous buvons,
Vivent ces francs lurons

Dansons la carmagnole
Vive le son vive le son !
Dansons la carmagnole
Vive le son du canon !
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Sables mouvants
Démons et merveilles
vents et marées
au loin déjà la mer s'est retirée
et toi
comme une algue doucement caressée par le vent
dans les sables du lit tu remues en rêvant.

Démons et merveilles
vents et marées
au loin déjà la mer s'est retirée
mais dans tes yeux entrouverts
deux petites vagues sont restées.

Démons et merveilles
vents et marées.
Deux petites vagues pour me noyer.
Jacques Prévert

Sabbie mobili
Démoni e meraviglie
venti e maree
già al largo il mare s'è ritirato
e tu
come alga dolcemente accarezzata dal vento
nelle sabbie del letto ti agiti nelle fantasie.

Demoni e meraviglie
venti e maree
già al largo il mare s'è ritirato
ma nei tuoi occhi socchiusi
due piccole onde sono rimaste.

Démoni e meraviglie
venti e maree.
Due piccole onde per annegare.
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t'ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell'estate.
Cesare Pavese
consigliata da Carmen
 

" ...è l’America, si, nun c’è quistione,
ma poi, si invece fosse un antro sito? !

Ma lui li mésse co’ le spalle ar muro!
je fece, dice, Ah si? Ne dubitate?
Me dispiace, ma io ne sò sicuro.

Vor dì che, poi, si, voi, nun ce credete,
domani presto, ar primo che incontrate
annàteielo a dì, che sentirete.

Cesare Pascarella da "La Scoperta de l'America"
consigliata da Carlo Chionne
 

Vangando
Digging

di Seamus Heaney

Quatta quatta con il colpo in canna
Fra medio e pollice sta la penna.

Sotto la finestra un raspo netto all'internarsi
Della vanga nel terreno ghiaioso:
è mio padre che dissoda. Guardo in basso,

Finché sotto sforzo, a groppa curva
Sulle aiuole, torna venti anni indietro
Piegandosi a tempo per i solchi
Di patate che vangava.

A posto sul vangile lo scarpone,
Saldo fulcro del manico il ginocchio,
Cavava gambi, ficcava a fondo la lucente lama
Per spargere patate nuove che noi raccattavamo
Adorandone fresca la durezza nella mano.

Per Dio, il vecchio ci sapeva fare
Con la vanga. Come il suo vecchio.

Mio nonno in una giornata tagliava più torba
Di chiunque altro nella torbiera di Toner.
Una volta gli portai il latte in una bottiglia
Sciattamente turata con la carta.
Si raddrizzò per bere e subito riprese

Con cura a fare tacche e fette, spalandosi le zolle
Dietro le spalle, sempre più a fondo
A cercare quella buona. Scavando.

Il freddo afrore di terriccio di patate, risucchio e stacco
Da torba in guazzo, secco taglio della lama
Nelle radici vive, mi si risvegliano in testa.
Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.

Fra medio e pollice
Quatta quatta sta la penna.
Sarà la mia vanga.

             ---ooOoo---

Between my finger and my thumb
The squat pen rests; snug as a gun.

Under my window, a clean rasping sound
When the spade sinks il1to gravelly ground:
My father, digging. I look down

Till his straining rump among the flowerbeds
Bends low, comes up twenty years away
Stooping in rhythm through potato drills
Where he was digging.

The coarse boot nestled on the lug, the shaft
Against the inside knee was levered firmly.
He rooted out tall tops, buried the bright edge deep
To scatter new potatoes that we picked
Loving their cool hardness in our hands.

By God, the old man could handle a spade.
Just like his old man.

My grandfather cut more turf in a day
Than any other man on Toner's bog.
Once I carried him milk in a bottle
Corked sloppily with papero He straightened up
To drink it, then fell to right away

Nicking and slicing neatly, heaving sods
Over his shoulder, going down and down
For the good turf. Digging.

The cold smell of potato mould, the squelch and slap
Of soggy peat, the curt cuts of an edge
Through living roots awaken in my head.
But l've no spade to follow men like them.

Between my finger and my thumb
The squat pen rests.
l'll dig with it.
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

Il colore del Silenzio
Il silenzio a volte
vale più di mille parole.
Ma ci sono i silenzi bianchi
quelli dell'anima.
Ma a volte una parola
che sembra poco,
in realtà vale tanto.
Amare vuol dire essere felici
con qualcuno
ed essere così felici
da sembrare di toccare
il cielo con un dito.
Ma raggiungere la vetta di
una montagna innevata
è qualcosa di eccezionale
Dove puoi vedere il colore
del Silenzio.
Amare vuol dire provare
un'enormità di emozioni:
amare è sinonimo di, passione,
sinfonia musicale
possessione ed orgoglio
di aver raggiunto una meta.
L'amore è la linfa vitale
che genera la vita
di ogni essere umano
Quindi, non si può vivere senza,
perché senza di esso siamo tristi
e soprattutto ci sentiamo
così irrealizzati
Una vita senza amore
è come una giornata senza sole
Un cielo senza stelle!
Una notte di luna fredda
Ma la luce degli occhi
della donna amata
ci porta serenità
e gioia di continuare a vivere
Guardando quella luce
ci fa volare
nell'immensità dell'universo
in quel lembo di cielo
che scende verso l'uomo
"Il silenzio incomincia col far
chiudere le labbra
e poi penetra
fino al profondo dell'anima
dove Dio riposa con noi"
Il colore del silenzio
si trova dovunque
in ogni istante,
anche sulle onde del mare.
Bisogna saperlo cercare.
Sulla montagna,
nell'armonia delle note
nel silenzio militare
fuori ordinanza,
in lui non c'è che il presente
con i colori della vita.
Il Gabbiano- Diego Cocolo
consigliata da Tiziana Cocolo
 

Castelli in aria
Il pastorello guarda
l'immenso azzurro mare
e pensa: "se potessi
io pure navigare
verso i lidi infiorati
d'eterna primavera,
correre sopra l'onde
lottar con la bufera."
Il marinaio guarda
la collina fiorita:
pensa, "Lassù fra il verde,
com'è bella la vita!
Lungi dalle tempeste
nella casetta sola,
dove l'amor riunisce
la lieta famigliola..."
Dalla collina al mare
soffia leggero il vento,
e pensa: "Del suo stato
nessun uomo è contento."
Soffia leggero il vento
dall'onda alla pendice
e pensa: "A questo mondo
nessun uomo è felice."
Achille Tedeschi
consigliata da Salvatore Armando Santoro
 

As mãos de meu pai
As tuas mãos tem grossas veias como cordas  azuis
sobre um fundo de manchas já cor de terra
— como são belas as tuas  mãos —
pelo quanto lidaram, acariciaram ou fremiram
na nobre cólera dos  justos…

Porque há nas tuas mãos, meu velho pai,
essa beleza que se  chama simplesmente vida.
E, ao entardecer, quando elas repousam
nos braços  da tua cadeira predileta,
uma luz parece vir de dentro delas…

Virá  dessa chama que pouco a pouco, longamente,
vieste alimentando na terrível  solidão do mundo,
como quem junta uns gravetos e tenta acendê-los contra o  vento?
Ah, Como os fizeste arder, fulgir,
com o milagre das tuas  mãos.

E é, ainda, a vida
que transfigura das tuas mãos  nodosas…
essa chama de vida — que transcende a própria vida…
e que os  Anjos, um dia, chamarão de alma…

Le mani di mio padre
Le tue mani hanno grosse vene come corde azzurre
sopra un fondo di macchie già del colore della terra
– come sono belle le tue mani
per quanto hanno lavorato, accarezzato o fremuto della nobile collera dei giusti.

Perché c’è nelle tue mani, mio vecchio padre, questa bellezza che si chiama semplicemente vita.
E, all’imbrunire, quando riposano sui braccioli della tua sedia preferita
una luce sembra provenire da dentro di esse.

Nascerà da questa fiamma  che poco a poco, a lungo,  venisti alimentando nella terribile solitudine del mondo
come chi riunisce qualche ramoscello e tenta di accenderlo controvento?
Ah come lo facesti ardere, rifulgere, con il miracolo delle tue mani!
e è, ancora, la vita che trasfigura le tue mani nodose…
questa fiamma di vita – che trascende la propria vita
…e che gli angeli, un giorno, chiameranno anima.
Mario Quintana
consigliata da Michela Turchi
 

Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere "noi" in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.

Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo,
se sapremo darci l'un l'altro
senza sapere chi sarà il primo e chi l'ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perchè insieme è gioia...

Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto.
Pablo Neruda
consigliata da Sandra Greggio
 

Labirinto
– e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po' a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.
Una via dopo l'altra,
ma senza ritorno.
Accessibile soltanto
ciò che sta davanti a te,
e laggiù, a mo' di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farsi sfuggire.
Quindi di qui o di qua,
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraverso infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo
fino a molti ancora aperti,
dove c'è buio e incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c'è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell'infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d'improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c'è.
Deve pur esserci un'uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
è lei fin dall’inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua,
finché è possibile,
la tua, finché è tua,
fuga, fuga –
Wislawa Szymborska
consigliata da Michela Turchi

Liu Yung
This poet of the Sung dynasty is so miserable.
The wind sighs around the trees,
a single swan passes overhead,
and he is alone on the water in his skiff.
If only he appreciated life
in eleventh-century China as much as I do—
no loud cartoons on television,
no music from the ice cream truck,
just the calls of elated birds
and the steady flow of the water clock.


Liu Yung
Questo poeta della dinastia Sungè così infelice.
Il vento sospira tra gli alberi,
un cigno solitario passa là in alto,
e lui è solo nella sua barchetta, sull’acqua.

Se soltanto apprezzasse quanto me
la vita nella Cina dell’undicesimo secolo:
niente cartoni animati a tutto volume in tv,
niente musica dal camioncino dei gelati,

solamente il richiamo orgoglioso degli uccelli
e lo scorrere regolare di un orologio ad acqua.
Billy Collins
traduzione dall'inglese di Franco Nasi
consigliata da Michela Turchi
 

Visite a sorpresa
Non avrei voluto dirti quelle cose...
ma poi che cose t'ho detto mai...
e dai...

Cancelliamo quelle righe dal copione..
ricominciamo dal primo ciak... ti va...?

Sai com'è difficile parlare...
quando mi metti con le spalle al muro sei bestiale...
Caccia quelle mosche dal tuo cuore...
stanno volando nude... dentro le tue parole...

Visite a sorpresa...
chi si ricorda più...
era un'altra vita... mica c'eri tu...

C'è nessuno in casa...?
Is anybody home...?
per quali stanze vuote... io ti cercherò'...?
...

Non avrei voluto dirti quelle cose...
ma poi che cose t'ho detto mai... e dai...
Dici che il tuo chili ha preso un raffreddore...
e che per questo mi ammazzerai... ma dai...

Scene da un romanzo senza trama...
guardami bene in faccia, sono il mostro che ti ama...
luna, che conosci i miei pensieri...
dimmi che strada fare... dimmelo senza veli...

Visite a sorpresa...
ma chi ci pensa più
era un'altra vita... mica c'eri tu...

C'è nessuno in casa...?
Is anybody home...?
per quali stanze vuote... io ti cercherò'...?
Sergio Caputo
consigliata da Adria
 

Un giorno
Il tempo si è diviso grano a grano
a passi lunghi nel buio si è inoltrato nello sguardo
le cose rimangono cose nel giorno senza nome
il bicchiere sul tavolo, la bottiglia
la luce giallina delle sei che ne illumina la cima
stanno lì, tra la mia voce e me
come un pensiero non detto.
La vista non è più quella e sono solo.
Pierluigi Cappello
Consigliata da Roberto Soldà


Jean- Arthur
Madre mi sono generato
in te come il verbo dalla terra
come la la terra dall'idea

Alba di continenti al tuo podere
ho camminato libero nel sole

Spargo la tua innocenza e il mio peccato
Luigi Bressan
Consigliata da Roberto Soldà


Lo specchio di O
Ha per sempre lo specchio nella destra,
ovale, con il margine d'argento,
mentre si pettina con l'altra mano
le lunghe chiome bionde:è mattina
di ogni giorno, con nuvole ora lievi,
ora tristi, ora irose, ma anche immobile
l'azzurro d'improvviso, e le colombe
che accompagnano cupi corvi e piogge
grevi, la lunga brezza che trasporta
fino alla sua finestra bianchi petali
di ippocastani e acacie. Si contempla
nel fondo di cristallo del mio tempo:
nuda, indugiando sulle ciocche agili,
sulle mammelle svelte, sul leggero
brivido delle labbra sigillate.
Lo specchio è uguale, eterno. Dove sia
la sua vita (come ogni altra, allora)
chi può saperlo, se almeno non lo invento
con la parola?
Giorgio Bàrberi Squarotti
Consigliata da Roberto Soldà
 

Voglio amarti e attraversarti
vicino alla pelle l'anima
scomporti la trama dei respiri
e ricomporti come bruma
gli orli dei sorrisi sulle labbra

Salirti fino agli occhi
e discenderti nel cuore
tuffarmi nel tuo immenso
smarrirmi nei sogni e nei sussurri

Disarmarti la mente di follia
navigarti sulla pelle e ricamarti
sull'empireo seno tuo di marmo
gocce di cera calda come pioggia

Spegnere i rumori con il mare
lacrime di poesia ogni parola
é così che voglio amarti.
Bramante
suggerita da Piero Colonna Romano
 

Ma l'amor mio non muore
Tutto muore quaggiù! Muore l’insetto,
muore il cane, il cavallo, ed il cammello;
muore il rospo, la pecora e il capretto,
muore il pesce, il mammifero e l’uccello.
Muore la pianta, la radice e il fiore…
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Era di maggio e c’erano le rose
quando la vidi la prima volta.
Le dissi: T’amo! e lei non mi rispose.
Allor le sussurrai: Fermati e ascolta.
Sono quasi le sette e il giorno muore…
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Sarà lungo il tuo amore, veramente?
- lei mi chiedea, fra un bacio e una carezza -
Ed io le rispondeva dolcemente:
vedrai tu stessa, cara , che lunghezza!…
Si spegne il sole e il mar cambia colore…
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Ma appena la sposai, quell’angiolella
divenne tosto un viscido serpente!
La docile e gentile pecorella
mise le corna, inaspettatamente…
Poi le mise anche a me, senza pudore
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Dicon che ci sia stato qualche cosa
fra lei ed un dei miei migliori amici:
ma la sfacciata giura senza posa
che non c’è stata neanche la camicia!
Ah mi farà mori di crepacuore…
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Non mi fa che dispetti e sgarberie,
mi nasconde le scarpe ed i calzini,
per cui se voglio far le cose mie
le devo far senza pantaloni!
Mi tratta peggio assai d’un servitore…
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Mi bastona, mi fa patir la fame,
non ho neppure il pane a volontà!
Se le chiedo una pera, quell’infame
me l’avvicina e poi non me la dà!
Mi devo accontentare dell’odore
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!

Un amico m’ha dato un canarino;
ma lei non può soffrir neppure quello!
Per cui son sicuro che un bel mattino
mi sveglierò, purtroppo, senza uccello!
Ne proverò un terribile dolore
…ma l’amore mio, ma l’amore mio non muore!
Ettore Petrolini
Macchiette, lazzi, colmi e parodie
Consigliata da Salvatore Armando Santoro
 

Sono già solo
Troppa luce non ti piace
godi meglio a farlo al buio sottovoce
graffiando la mia pelle
e mordendomi le labbra
fino a farmi male, bene
senza farmi capire
se per te è più sesso o amore
Poi fuggi, ti vesti, mi confondi
non sai dirmi quando torni
e piangi, non rispondi, sparisci
e ogni quattro mesi torni
Sei pazza di me come io lo son di te

Resisti, non mi stanchi
mi conservi sempre dentro ai tuoi ricordi
e poi brilli, non ti spegni
ci graffiamo per non far guarire i segni
e sei pioggia fredda
sei come un temporale di emozioni che poi quando passa
Lampo, tuono,è passato così poco e son già solo

Tornerai, tornerai
altrochè se tornerai
ma stavolta non ti lascio
ti tengo stretta sul mio petto
poi ti bacio, poi ti graffio
poi ti dico che ti amo e ti proteggo
e poi ti voglio e poi ti prendo
poi ti sento che impazzisci se ti parlo
sottovoce, senza luce
perchè solo io lo so quanto ti piace
e ora dimmi che mi ami
e che stavolta no, non durerà solo fino a domani
Resta qui con me perchè son pazzo di te

Resisti, non mi stanchi
mi conservi sempre dentro ai tuoi ricordi
e poi brilli, non ti spegni
ci graffiamo per non far guarire i segni
sei pioggia fredda
sei come un temporale di emozioni che poi quando passa
Lampo, tuono,è passato così poco e son già solo

Resisti, non mi stanchi
mi conservi sempre dentro ai tuoi ricordi
e poi brilli, non ti spegni
ci graffiamo per non far guarire i segni
sei pioggia fredda
sei come un temporale di emozioni che poi quando passa
Lampo, tuono,è passato così poco e son già solo......
Modà
Consigliata da Poerio marianna
 

A un geometra
Dimmi, triangoluzzo mio squadrato,
Che al mondo se’ de gli animali rari,
Furono prima i ciuchi o i somari?
E quel tuo capo è un circolo o un quadrato?

Anco: il cervel, se fior te n’è restato,
è isoscelo o scaleno o ha lati pari?
Se’ tu l’ambasciador de’ calendari,
O un parallelogrammo battezzato?

Buona gente, i’ vi prego che pigliate
Questo bambolon mio c’ha di molt’anni
E che ’l mettete a nanna e lo cullate.

Tenetel chiuso, ch’egli è un barbagianni,
E non fa che sciupar vie lastricate,
Mangiar de ’l pane e consumar de’ panni.

E quando fuor d’affanni
Averà messo il dente del giudizio,
a te sonare a la ragion l’uffizio.

O bello sposalizio
Che vogliam fare come più non s’usa,
Accoppiandolo a monna Ipotenusa!

E’ mi dice la Musa
Che di questi rettangoli appaiati
Nasceran di be’ circoli quadrati.
(Giosuè Carducci - Juvenilia (1850) - Libro V)
Consigliata da Salvatore Armando Santoro
 

Perch'i' no spero di tornar giammai
Perch'i' no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va' tu, leggera e piana,
dritte'a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli' e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto dal lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m'abbandona;
e senti come 'l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch'i' non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l'anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.
Deh, ballatetta mia, a la tu' amistate
quest'anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu' ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se' presente:
- Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d'Amore - .

Tu, voce sbigottita e deboletta
ch'esci piangendo de lo cor dolente
coll'anima e con questa ballatetta
va' ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim', e tu l'adora
sempre, nel su'valore.
Guido Cavalcanti
(proposta da Piero Colonna Romano)
 

Ars poetica
(dicembre 20, 2011)

Una poesia dovrebbe essere tangibile e laconica
come un rotondo frutto,
muta
come antichi medaglioni sotto il pollice,
silente come pietra consumata dalle maniche
di davanzali dove è cresciuto il muschio-
Dovrebbe essere senza parole, una poesia,
come un volo d'uccelli.
*
Una poesia dovrebbe essere immota
nel tempo che la luna sale,
lasciando, come la luna cala,
gli alberi impigliati, ramo a ramo, alla notte,
lasciando, come la luna nascosta dietro foglie d'inverno,
la mente ricordo per ricordo-
Una poesia dovrebbe essere immota
nel tempo che la luna sale.
*
Una poesia dovrebbe essere uguale a:
non vero.
Per tutta la storia del dolore, essere
una foglia d'acero e una porta vuota.
Per l'amore, essere
le erbe reclinanti e due luci sul mare-
Una poesia dovrebbe non significare
ma essere.
Archibald Mc Leish
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Splendessero lanterne
Splendessero lanterne, il sacro volto,
preso in un ottagono d'insolita luce,
avvizzirebbe, e il giovane amoroso
esiterebbe, prima di perdere la grazia.
I lineamenti, nel loro buio segreto,
sono di carne, ma fate entrare il falso giorno
e dalle labbra le cadrà stinto pigmento,
la tela della mummia mostrerà un antico seno.

Mi fu detto: ragiona con il cuore;
ma il cuore, come la testa,è un'inutile guida.
Mi fu detto: ragiona con il polso;
ma, quando affretta, àltero il passo delle azioni
finché il tetto ed i campi si livellano, uguali,
così rapido fuggo, sfidando il tempo, calmo gentiluomo
che dimena la barba al vento egiziano.

Ho udito molti anni di parole, e molti anni
dovrebbero portare un mutamento.

La palla che lanciai giocando nel parco
non è ancora scesa al suolo.
Dylan Thomas
proposta da Piero Colonna Romano
 

Le nuvole
Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell'airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.
Fabrizio de André
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Alla Musa
Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando de' miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto

questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t'invoco; ohimè! soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
o Dea! tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.

Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.
Ugo Foscolo
consigliata da Piero Colonna Romano
 

Istanti 
Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.
Jorge Luis Borges    
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

Attesa
Oggi che t'aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s'annuncia e poi s' allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L'amore, sul nascere,
ha di quest' improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.

Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d'insulti.
Vincenzo Cardarelli
-consigliata da Carmen-
 

È vero
Ah, che fatica mi costa
amarti come ti amo!

Per il tuo amore mi duole l'aria,
il cuore
e il cappello.

Chi mi comprerà
questo cordone che ho
e questa tristezza di filo
bianco, per far fazzoletti?

Ah, che fatica mi costa
amarti come ti amo!
Federico García Lorca
Consigliata da Marianna Poerio
 

Canzone d’amore
Per dire cos’ hai fatto
di me, non ho parole.

cerco solo la notte
fuggo davanti al sole.

La notte mi par d’oro
più di ogni sole al mondo,
sogno allora una bella
donna dal capo biondo.

Sogno le dolci cose,
che il tuo sguardo annunciava,
remoto paradiso
di canti risuonava.

Guarda a lungo la notte
e una nube veloce
per dire cos’ hai fatto
di me, non ho la voce.
Herman Hesse
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

Alla mia destra
A letto ti voglio sempre dallo stesso lato
non perché sia quello che preferisco
del corpo o del volto ma perché
come i rami di un vegetale
pendo verso la luce da quella parte
e a vederti mi sporgo
con gli occhi della giovinezza.
Ermanno Krumm
Consigliata da Carmen
 

N. 1042
La primavera ritorna sul mondo -

Guardo l’aprile, che non ha colori
per me, finché tu venga,
come, prima del giungere dell’ape,
inerti stanno i fiori,
destati all’esistenza da un ronzio.
Emily Dickinson
Consigliata da Carmen
 

Solitudine.
Meandri di silenzio
in una luna scagliata
contro l'uomo.

Immote case.

Travaglio di un'immagine
nell'errare del ricordo.

Amica notte.

L'abato del mio tempo
consegna silenzi
all'erompere dei saperi.

Come pietra,
al vento gettata,
transito,
nei miei pensieri.

Distillano
le ore
i giorni.

(da "I Decaduti" -Aletti Editore- novembre 2011)
Giuseppe Aletti
Consigliata da Piero Colonna Romano


L'orribile sogno del poeta
Immagina un po' cosa ho sognato.
All'apparenza tutto è proprio come da noi.
La terra sotto i piedi, acqua, fuoco, aria,
verticale, orizzontale, triangolo, cerchio,
lato sinistro e destro.
Tempo passabile, paesaggi non male
e parecchie creature dotate di linguaggio.
Però quel linguaggio non è di questa Terra.

Nelle frasi domina l'incondizionale.
I nomi aderiscono strettamente alle cose.
Nulla da aggiungere, togliere, cambiare e spostare.

Il tempo è sempre quello dell'orologio.
Passato e futuro hanno un ambito ristretto.
Per i ricordi, il singolo secondo trascorso,
per le previsioni, un altro secondo
che sta appunto cominciando.

Parole quante è necessario. Mai una di troppo,
e questo vuol dire che non c'è poesia,
né filosofia, e neppure religione.
Là simili trastulli non sono previsti.


Niente che si possa anche solo pensare
o vedere a occhi chiusi.

Se si cerca,è ciò che è già lì accanto.
Se si chiede,è ciò per cui c'è una risposta.

Si stupirebbero molto,
se mai sapessero stupirsi,
che da qualche parte esistono motivi di stupore.

La parola "inquietudine", da loro considerata oscena,
non oserebbe comparire nel vocabolario.

Il mondo si presenta in modo chiaro
anche nell'oscurità profonda.
Si dà a ciascuno per un prezzo accessibile.
Nessuno esige il resto prima di lasciare la cassa.

Dei sentimenti -la soddisfazione. E nessuna parentesi.
La vita con un punto al piede. E il rombo delle galassie.

Ammetti che nulla di peggio
può capitare al poeta.
E poi nulla di meglio
che svegliarsi in fretta.
Wislawa Szymborska
Consigliata da Carmen
 

Questo amore
Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore cosí bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l'abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E' tuo
E' mio
E' stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l'estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l'ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.
Jacques Prévert
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

Intervista con Atropo
La signora Atropo?
Esatto, sono io.
Delle tre figlie della Necessità
Lei è quella con la fama peggiore.

Grossa esagerazione, poetessa mia.
Cloto tesse il filo della vita,
ma quel filo è sottile,
non è difficile tagliarlo.
Lachesi con la pertica ne fissa la lunghezza.
Non sono innocentine.

Però le forbici sono in mano Sua.
Giacché lo sono, ne faccio uso.

Vedo che anche ora, mentre conversiamo...

Sono lavorodipendente, questa è la mia natura.

Non si sente annoiata, stanca,
assonnata quantomeno di notte? No, davvero no?
Senza ferie, weekend, feste comandate
o almeno brevi pause per una sigaretta?

Ci sarebbero arretrati, e questo non mi piace.

Uno zelo inconcepibile.
Senza mai qualche riconoscimento,
premi, menzioni, coppe, medaglie?
Magari diplomi incorniciati?

Come dal barbiere? Molte grazie.

Qualcuno L'aiuta? E se sì, chi?

Un paradosso niente male - appunto voi mortali.
Svariati dittatori, numerosi fanatici.
Benché non sia io a costringerli.
Per loro conto si danno da fare.

Di sicuro anche le guerre devono rallegrarLa,
in quanto danno un bell'aiuto.

Rallegrami?è un sentimento sconosciuto.
Non sono io che invito a farle,
non sono io che ne guido il corso.
Ma lo ammetto:è grazie a loro soprattutto
che posso stare al passo.

Non le dispiace per i fili tagliati troppo corti?

Più corti, meno corti -
solo per voi fa la differenza.

E se uno più forte volesse sbarazzarsi di Lei
e provasse a mandarLa in pensione?

Non ho capito. Sii più chiara.

Riformulo la domanda: Lei ha un Superiore?

... Passiamo alla domanda successiva.

Non ne ho altre.
In tal caso, addio.
O per essere più esatti...

Lo so, lo so. Arrivederci.
Wislawa Szymborska
Consigliata da Angelo Michele Cozza
 

"Ascolta come mi batte forte il tuo cuore"
Poteva accadere.
Doveva accadere.
è accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
è accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.
(Ogni caso, Wislawa Szymborska)
Consigliata da Carmen
 

Da lontano
Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie
di silenzio,
e non c’è più posto per le parole,
e a poco a poco si raddensa una dolcezza
intorno
come una perla intorno al singolo grano
di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo
un nome amato
per comporre la sua figura; allora
la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato
un pane caldo, spezzato.
Pierluigi Cappello
Consigliata da Carmen
 

Amore non èamore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro si allontana.
Oh, no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.
Da William Shakespeare

Un messaggio puramente casuale a chi non conosce queste sensazioni
Consigliata da Ida Guarracino

Un sorriso
Un sorriso non costa nulla
e rende molto.
Arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante
ma il suo ricordo
è talora eterno.
Nessuno è così ricco
da poterne fare a meno.
Nessuno è così povero
da non poterlo dare.
Crea felicità in casa;
è sostegno negli affari;
è segno sensibile
dell'amicizia profonda.
Un sorriso
dà riposo alla stanchezza;
nello scoraggiamento
rinnova il coraggio;
nella tristezza è consolazione;
d'ogni pena
è naturale rimedio.
Ma è bene che non si può
comprare, nè prestare,
nè rubare, poichè esso
ha valore solo nell'istante
in cui si dona.
E se poi incontrerete talora
chi non vi dona
l'atteso sorriso,
siate generosi e date il vostro;
perchè nessuno ha tanto
bisogno di sorriso come chi
non sa darlo ad altri.
P. Faber
Consigliata da Piero Colonna Romano

Attaccati ad una foglia di faggio
Il tempo è come l'orlo secco
d'una foglia di faggio.
E' la splendida veste
che Dio scagliò lontano
quando, eterno abisso,
si stancò di volare
e si nascose agli anni
finché, come radici, spuntarono
in ogni cosa i suoi capelli.
Rainer Maria Rilke, Il libro d'ore
Consigliata da Sandra Greggio
 

La statistica
Sai che d'è la statistica?è na' cosa
che serve pe fà un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che spósa.

Ma pè me la statistica curiosa
è dove c'entra la percentuale,
pè via che, lì, la media è sempre eguale
puro co' la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un pollo all'anno:

e, se nun entra nelle spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perch'è c'è un antro che ne magna due.
Trilussa
Consigliata da Renato Bellin
 

Ode al primo giorno dell'anno
Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.
Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura.
Vedo l'ultimo
giorno
di questo
anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l'uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all'infinito
modello delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.
Oh conduttore di treni
sboccati
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell'anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quello di ieri, a quello di domani?
Dalle vie
e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell'alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell'anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.
La terra non lo sa: accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell'ombra.
Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell'anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.
Ti metteremo
come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo
come un liquido topazio.
Giorno dell'anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo.
Incoronaci
con acqua,
con gelsomini aperti,
con tutti gli aromi spiegati,
sì,
benché tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!
Pablo Neruda
Consigliata da Sandra Greggio
 

Natale
Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
Salvatore Quasimodo
Consigliata da Sandra Greggio
 

Una notte d’inverno
La tempesta poggia la sua bocca alla casa
e soffia per emettere un suono.
Dormo inquieto, mi giro, leggo
il testo della tempesta assopita.

Ma gli occhi del bambino sono spalancati al buio
e il temporale mugola per lui.
Entrambi amano le lampade che dondolano.
Entrambi sono a metà strada dal linguaggio.

La tempesta ha mani infantili e ali.
La carovana si lancia verso la Lapponia.
E la casa avverte la sua costellazione di chiodi
che tiene insieme le pareti.

La notte è immobile sul nostro pavimento
(dove tutti i passi attutiti
riposano come foglie affondate in uno stagno)
ma fuori infuria la notte!

Sul mondo passa una più grave tempesta.
Poggia la sua bocca alla nostra anima
e soffia per emettere un suono – temiamo
che la tempesta soffiando ci svuoti
Tomas Tranströmer
-consigliata da carmen-
 

Er terno
Ecco er fatto. Lo prese drent'al letto,
dove stava in campagna in un casino;
je sigillò la bocca còr cuscino,
e j'ammollò 'na cortellata in petto.

Dunque, ferita all'undici; ce metto
uno, er giorno; quarantatré, assassino:
vado giù da Venanzio er botteghino
ar Popolo e ce butto un pavoletto.

A l'estrazione, sabeto passato,
ce vi è' l'ambo; ma invece de ferita
m'esce settantadue mortoammazzato.

Ma guarda tante vorte er Padreterno
come dà la fortuna ne la vita!
Si l'ammazzava ce pijavo er terno.
Cesare Pascarella
Consigliata da Renato Bellin
 

Attesa
Oggi che t'aspettavo non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
S'annuncia e poi s'allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L'amore, sul nascere, ha di questi improvvisi pentimenti.
Silenziosamente ci siamo intesi.
Amore, Amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d'insulti.
Vincenzo Cardarelli
- consigliata da Carmen -
 

Chiaro di luna
La tua anima è un paesaggio fantasioso
Dove vanno figure mascherate e travestite
Suonando il liuto e danzando, quasi
tristi sotto i loro costumi ingannevoli.

E tutte cantano in tono minore
di Amor che vince tutto e del Fato propizio
Non sembrano credere alla loro felicità
E il loro canto si confonde con il chiaro di luna.

Il chiaro di luna, immobile, triste e bello
Che fa sognare gli uccelli sugli alberi
E fa guizzare in estasi le fontane -
Le grandi e svelte fontane - tra i marmi.
Paul Vérlaine, 1844 – 1896
-consigliata da Carmen-
 

Sonetto di sterpi e limiti
Sguiscio gentil che fra mezzo erbe serpi,
difficil guizzo che enigma orienta
che nulla enigma orienta, e pur spaventa
il cor che in serpi vede, mutar sterpi;

nausea, che da una debil quiete scerpi
me nel vacuo onde ogni erba qui s'imprenta,
però che in vie e vie di serpi annienta
luci ed arbusti, in sfrigolio di serpi;

e tu mia mente, o permanere, al limite
del furbo orrido incavo incastro rischio,
o tu che a rischi e a limiti ti limi:

e non posso mai far che non m'immischio,
nervi occhi orecchi al soprassalto primi
se da ombre e agguati vien di serpe il fischio.
Andrea Zanzotto
Consigliata da Ida Guarracino
 

Blues in Memoria
Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti e fra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino gli aereoplani lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui è Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano i guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed il mio Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l'amore fosse eterno: avevo torto.

Non servono più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;
perché ormai nulla può giovare.
Wystan Hugh Auden
Consigliata da Ida Guarracino
 

La montagna s’affliggeva
I
La montagna s’affliggeva (con l’amara
argilla s’affliggono i monti nell’ora del distacco),
la montagna s’affliggeva per la dolcezza
di colombi delle nostre mattine ignote.

La montagna s’affliggeva per la nostra amicizia:
delle labbra l’inconfutabile parentela!
La montagna diceva che per ciascuno
si avvererà - secondo le sue lacrime.

La montagna diceva anche che la vita è
un accampamento, e tutto il secolo bazar sui cuori!
S’affliggeva ancora la montagna: fosse Agar
congedata almeno col figlioletto!

Diceva anche che è un demone
che ci torce, che non c’è intenzione nel gioco.
La montagna parlava, noi eravamo muti.
Lasciavamo alla montagna giudicare.

II
La montagna s’affliggeva che sarebbe divenuto
solo mestizia ciò che adesso era sangue e arsura,
la montagna diceva che non ci avrebbe lasciato
andare, non ti avrebbe lasciato con un’altra.

La montagna s’affliggeva che sarebbe divenuto
solo fumo ciò che adesso era il mondo e Roma.
La montagna diceva che dovevamo stare
con gli altri (non li invidio gli altri!).

La montagna s’affliggeva per il tremendo peso
del giuramento che era tardi giurare.
La montagna diceva che è antico il nodo
gordiano - il dovere e la passione.

La montagna s’affliggeva per il nostro dolore -
domani! Non subito! Quando sulla fronte
ormai non èun memento, ma semplicemente
- un mare!
Domani, quando capiremo.


Un suono… be’, come se qualcuno semplicemente,
be’… piangesse nelle vicinanze?
La montagna s’affliggeva che scendessimo
separati, su un tale fango -

nella vita, di cui sappiamo tutti noi
marmaglia - mercato - baracca.
Diceva anche che tutti i poemi
delle montagne - si scrivono così.
Marina Ivanovna Cvetaeva
Consigliata da Carmen
 

Magnà e dormì
So' du' vizietti, me diceva nonno,
che mai nessuno te li pò levà,
perché so' necessari pe' campà
sin dar momento che venimo ar monno.
Er primo vizio provoca er seconno:
er sonno mette fame e fà magnà,
doppo magnato t'aripija sonno
poi t'arzi, magni e torni a riposà.
Insomma, la magnata e la dormita,
massimamente in una certa età,
so' l'uniche du' gioje de la vita.
La sola differenza è questa qui:
che pure si ciài sonno pòi magnà,
ma si ciài fame mica pòi dormì.
Aldo Fabrizi
Consigliata da Renato Bellin
 

Il poeta. 1.
Il poeta da lontano conduce la parola.
La parola conduce il poeta lontano.

per pianeti, segni… per fossati
di tortuose parabole… Tra il sì e il no
egli, perfino volando giù da un campanile,
troverà un gancio… Poiché il cammino delle comete

è il cammino dei poeti. Gli anelli scompigliati
della casualità - ecco il suo nesso! Disperatevi -
con la fronte in alto! Le eclissi
dei poeti non sono previste dal calendario.

Egli è colui che confonde le carte,
inganna il peso e i conti,
è colui che domanda dal banco
chi sbaraglia Kant,

chi sta nella bara pietrosa della Bastiglia
come un albero nella sua bellezza…
Colui le cui tracce sono svanite,
quel treno al quale tutti arrivano
in ritardo…
- poiché il cammino delle comete
è il cammino dei poeti: bruciando e non scaldando,
strappando e non coltivando - esplosione e scasso -
il tuo sentiero, tortuoso e chiomato,
non è previsto dal calendario!


Il poeta. 2.
Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti,
non inclusi nell'orizzonte.
(Per loro, non iscritti nei vostri prontuari,
la fossa della discarica è la casa).
Ci sono al mondo i vuoti, i presi a spinte,
quelli che tacciono: letame,
chiodo per il vostro orlo di seta!
Il fango sotto le ruote ne è nauseato!
Ci sono al mondo gli apparenti - invisibili,
(segnati dalla screziatura dei lebbrosari!)
ci sono al mondo i Giobbe, che
invidierebbero Giobbe solo che
noi siamo poeti - e rimiamo coi paria,
ma, straripando dalle rive,
noi contendiamo Dio alle dee
e la vergine agli dei!


Il poeta. 3.
Che farò, cieca e figliastra, in
un mondo, dove ciascuno è figlio e ci vede,
dove su anatemi, come su terrapieni,
s'ergono le passioni! - Dove raffreddore
è chiamato il pianto!

Che farò, io che canto di costola e di mestiere!
- Come un congedo! Abbronzatura! Siberia!
Sulle mie ossessioni - come su un ponte!
Con la loro imponderabilità
in un mondo di pesi.

Che farò, cantrice e primogenita,
nel mondo, in cui il più nero è grigio!
Dove conservano l'ispirazione come in un thermos!
Con questa smisuratezza
in un mondo di misure?!
Marina Ivanovna Cvetaeva
consigliata da Carmen
 

Nummeri
Conterò poco,è vero:
- diceva l'Uno ar Zero -
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
sia ne l'azzione come ner pensiero
rimani un coso vôto e inconcrudente.
Io, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
è questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so' li zeri che je vanno appresso.
Trilussa
Consigliata da Renato Bellin

 


Testo dell'"Inno alla Gioia" di F. Schiller

"An die Freude"

O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern lasst uns angenehmere
anstimmen und freudenvollere!

Freude, schöner Götterfunken,
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische dein Heiligtum.
Deine Zauber binden wieder,
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,
Wo dein sanfter Flügel weilt.

Wem der große Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein,
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seine Jubel ein!
Ja - wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer's nie gekonnt,
der stehle Weinend sich aus diesem Bund!

Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur,
Alle Guten, alle Bösen
Folgen ihre Rosenspur.
Küsse gab sie uns und Reben,
Einen Freund, geprüft im Tod,
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der Cherub steht vor Gott.

Froh, wie seine Sonnen fliegen
Durch das Himmels prächtigen Plan,
Laufet, Brüder, eure Bahn,
Freudig wie ein Held zum Siegen.

Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuss der ganzen Welt!
Brüder - überm Sternenzelt
Muss ein lieber Vater wohnen.

Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Such ihn überm Sternenzelt,
Über Sternen muss er wohnen.

"Inno alla Gioia"

O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.

Gioia, bella scintilla divina,
figlia degli Elisei,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.

L'uomo a cui la sorte benevola,
concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, - chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c'è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!

Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.

Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero Fratelli,
sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.

Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!

Consigliata da Piero Colonna romano

Le bestie e er crumiro
Una volta un Cavallo strucchione
c'ogni tanto cascava pe' strada  
scioperò pe' costringe er Padrone
a passaje più fieno e più biada:
ma er Padrone s'accorse der tiro
e pensò de pijasse un crumiro.

Chiamò er Mulo, ma er Mulo rispose:
- Me dispiace, ma propio nun posso:
se Dio guardi je faccio 'ste cose
li cavalli me sarteno addosso...-
Er Padrone, pe' mette un riparo,
fu costretto a ricorre ar Somaro.

- Nun pò sta' che tradisca un compagno -
dice er Ciuccio - So' amico der Mulo
e pur'io, come lui, se nun magno
tiro carci, m'impunto e rinculo...
Come vòi che nun sia solidale
si ciavemo l'istesso ideale?

Chiama l'Omo, e sta' certo che quello
fa er crumiro co' vera passione
Per un sòrdo se venne er fratello,
Pe' du' sòrdi va dietro ar padrone,
finché un giorno tradisce e rinnega
er fratello, er padrone e la Lega.
Trilussa
Consigliata da Renato Bellin
 

Vicolo
Mi chiama talvolta la tua voce
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:

una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch'erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.

Altro tempo: un telaio batteva nel cortile
e s'udiva nella notte un pianto
di cuccioli e bambini.

Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano,
e non sanno ch'è paura
di restare sole nel buio.
Salvatore Quasimodo
consigliata da Anileda Xeka

 

L'incontro de li sovrani
Bandiere e banderole,
penne e pennacchi ar vento,
un luccichìo d'argento
de bajonette ar sole,
e in mezzo a le fanfare
spara er cannone e pare
che t'arimbombi dentro.

Ched'è? chi se festeggia?
è un Re che, in mezzo ar mare,
su la fregata reggia
riceve un antro Re.
Ecco che se l'abbraccica,
ecco che lo sbaciucchia;
zitto, ché adesso parleno...
-Stai bene? - Grazzie. E te?
e la Reggina? - Allatta.
- E er Principino? - Succhia.
- E er popolo? - Se gratta.
- E er resto? - Va da sé...
- Benissimo! - Benone!
La Patria sta stranquilla;
annamo a colazzione... -

E er popolo lontano,
rimasto su la riva,
magna le nocchie e strilla:
- Evviva, evviva, evviva... -
E guarda la fregata
sur mare che sfavilla.
Trilussa
Consigliata da Fernanda Battagliese
 

Carità cristiana
Er chirichetto de 'na sacrestia
sfasciò l'ombrello sulla schina a 'n gatto,
pe castigallo d'una porcheria.

-Che fai?!- je strillò er prete ner vedello,
-Ce vò un coraccio nero com'er tuo,
pe menaje a 'sto modo, poverello!-

-Che…?- Fece er chirichetto,- er gatto è suo?-
Rispose er prete: - No. Ma è mio l'ombrello!-
Trilussa
Consigliata da Renato Bellin
 

La verità
'Na gavetta de granci giornalisti,
che rajeno carote a chi li paga;
'na voja de fregasse che s'allaga;
ingiustizie e spettacoli mai visti,

deputati magnoni e pagnottisti,
fregnacce d'agguantasse co' la draga,
ministri frammassoni e camorristi
che nun fan'altro che ingrossà la piaga.

Conocchie, preti, gente che s'addanna,
strozzini, tasse, giudici vennuti…
e in fonno er vaticano che comanna.

Er merito che more su la paja
e la grolia che ghigna a li cornuti:
ecco le condizioni de l'Itaja.
Giggi Zanazzo (30 marzo 1893)
Consigliata da Renato Bellin
 

Insinuarsi...

Forse la vita migliore
sul tempo e sulla gravità è
passare senza lasciare tracce,
passare senza lasciare un'ombra
 
sulle pareti...
                Forse prendere con
la rinuncia? Cancellarsi dagli specchi?
Così, come Lermontov nel Caucaso,
insinuarsi senza inquietare le rocce.
 
Forse il migliore diletto
è, col dito di Sebastian Bach,
non sfiorare l'eco dell'organo?
Sfaldarsi senza lasciare le ceneri
 
per l'urna...
            Forse prendere con
l'inganno? Farsi cancellare dalle latitudini?
Così, insinuarsi nel Tempo come
nell'oceano, senza inquietare le acque...
(Marina Ivanovna Cvetaeva)
 consigliata da Carmen


 

Il Giuramento di Pontida
L'han giurato li ho visti in Pontida
convenuti dal monte e dal piano.
L'han giurato e si strinser la mano
cittadini di venti città
Oh spettacol di gioia! I Lombardi
son concordi, serrati a una Lega.
Lo straniero al pennon ch'ella spiega
col suo sangue la tinta darà.
Più sul cener dell'arso abituro
la lombarda scorata non siede.
Ella è sorta. Una patria ella chiede
ai fratelli, al marito guerrier.
L'han giurato. Voi donne frugali,
rispettate, contente agli sposi,
voi che i figli non guardan dubbiosi,
voi ne' forti spiraste il voler.
Perchè ignoti che qui non han padri
qui staran come in proprio retaggio?
Una terra, un costume, un linguaggio
Dio lor anco non diede a fruir?
La sua patria a ciascun fu divisa.
E' tal dono che basta per lui.
Maledetto chi usurpa l'altrui,
chi il suo dono si lascia rapir.
Sù Lombardi! Ogni vostro Comune
ha una torre, ogni torre una squilla:
suoni a stormo. Chi ha un feudo una villa
co' suoi venga al Comun ch'ei giurò
Ora il dado è gettato. Se alcuno
di dubbiezze ancora parla prudente,
se in suo cor la vittoria non sente,
in suo cuore a tradirvi pensò.
Federigo? Egli è un uom come voi.
Come il vostro è di ferro il suo brando.
Questi scesi con esso predando,
come voi veston carne mortal.
- Ma son mille più mila - Che monta?
Forse madri qui tante non sono?
Forse il braccio onde ai figli fer dono,
quanto il braccio di questi non val?
Su! Nell'irto increscioso allemanno,
su, lombardi, puntate la spada:
fare vostra la vostra contrada
questa bella che il cel vi sortì.
Vaghe figlie del fervido amore,
chi nell'ora dei rischi è codardo,
più da voi non isperi uno sguardo,
senza nozze consumi i suoi dì.
Presto, all'armi! Chi ha un ferro l'affili;
chi un sopruso patì sel ricordi.
Via da noi questo branco d'ingordi!
Giù l'orgoglio del fulvo lor sir
Libertà non fallisce ai volenti,
ma il sentier de' perigli ell'addita;
ma promessa a chi ponvi la vita
non èpremio d'inerte desir.
Giusti anch'ei la sventura, e sospiri
l'allemanno i paterni suoi fuochi;
ma sia invan che il ritorno egli invochi,
ma qui sconti dolor per dolor.
Questa terra ch'ei calca insolente,
questa terra ei morda caduto;
a lei volga l'estremo saluto,
e sia il lagno dell'uomo che muor.
Giovanni Berchet
Consigliata da Salvatore Armando Santoro

 

[Quando il mio caro fratello]

 Quando il mio caro fratello

passava l’ultimo olmo (degli addii,

disposti in filari), le lacrime

erano più grandi degli occhi.

 

Quando il mio caro amico

doppiava l’ultimo promontorio

(dei sospiri della mente: ritorna!),

gli addii erano più grandi delle mani.

 

Quasi le braccia lasciassero le spalle

e le labbra restassero indietro a supplicare!

La favella aveva perso i suoni,

il metacarpo aveva perso le dita.

 

Quando il mio caro ospite…

- Signore, guardaci! -

le lacrime erano più grandi

degli occhi umani e delle stelle

atlantiche…

(Marina Ivanovna Cvetaeva, 26 marzo 1923)

Consigliata da Carmen -
 

Cyrano
Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto!
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perché con questa spada
vi uccido quando voglio.
Venite pure avanti poeti sgangherati,
inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza
avrete soldi e gloria ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finché dura
ché il pubblico è ammaestrato
e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco.
Facciamola finita, venite tutti avanti
nuovi protagonisti, politici rampanti;
venite portaborse, ruffiani e mezze calze,
feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto
del qualunquismo un arte;
coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto assurdo bel paese.
Non me ne frega niente
se anch'io sono sbagliato,
spiacere è il mio piacere,
io amo essere odiato;
coi furbi e i prepotenti
da sempre mi balocco
e al fin della licenza
io non perdono e tocco.
Ma quando sono solo
con questo naso al piede
che almeno di mezz'ora
da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia
e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d'essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo ma sono triste
perché Rossana è bella, siamo così diversi;
a parlarle non riesco, le parlerò coi versi.
Venite gente vuota, facciamola finita:
voi preti che vendete a tutti un'altra vita;
se c'è come voi dite un Dio nell'infinito
guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso
che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali,
tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti,
per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco.
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada
ma in questa vita oggi non trovo più la strada,
non voglio rassegnarmi ad essere cattivo
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo;
dev'esserci, lo sento, in terra in cielo o un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole;
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perché ormai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo Cirano...
Francesco Guccini.
Consigliata da Sandra Greggio
 

Sables mouvants
Démons et merveilles
Vents et marées
Au loin déjà la mer s'est retirée
Et toi
Comme une algue doucement caressée par le vent
Dans les sables du lit tu remues en rêvant
Démons et merveilles
Vents et marées
Au loin déjà la mer s'est retirée
Mais dans tes yeux entrouverts
Deux petites vagues sont restées
Démons et merveilles
Vents et marées
Deux petites vagues pour me noyer.
Jacques Prévert

Sabbie mobili
Démoni e meraviglie
venti e maree
già al largo il mare si ritirò
e tu
come alga dolcemente accarezzata dal vento
nelle sabbie del letto ti agiti fantasticando.
Démoni e meraviglie
venti e maree
già al largo il mare si ritirò
ma nei tuoi occhi socchiusi
due piccole onde sono rimaste.
Démoni e meraviglie
venti e mare.
Due piccole onde per annegare.
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

Giochi ogni giorno
Giochi ogni giorno con la luce dell'universo.
Sottile visitatrice, giungi nel fiore e nell'acqua.
Sei più di questa bianca testina che stringo
come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.
A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra ghirlande gialle.
Chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ti ricordi com'eri allora, quando ancora non esistevi.
Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire tutti i venti, tutti.
La pioggia si denuda.
Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s'ancorarono al cielo.
Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all'ultimo grido.
Raggomìtolati al mio fianco come se avessi paura
Tuttavia qualche volta corse un'ombra strana nei tuoi occhi.
Ora, anche ora, piccola, mi rechi caprifogli,
ed hai persino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle
io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Abbiamo visto ardere tante volte l'astro baciandoci gli occhi
e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.
Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo persino padrona dell'universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri,copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi
Pablo Neruda
Consigliata da Sandra Greggio
 

Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
E' il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
E' la vostra mensa e il vostro focolare.
Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.



Quando l'amico vi confida il suo pensiero,
non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.
E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore:
Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa
nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.
Quando vi separate dall'amico non rattristatevi:
La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate,
come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura.
E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito.
Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero
non èamore,
ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.



E il meglio di voi sia per l'amico vostro.
Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea,
fate che ne conosca anche la piena.
Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia.
Poiché nella rugiada delle piccole cose
il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.

Kahlil Gibran (Tratto da "Il Profeta" )

A ricordo di una giornata speciale con degli amici speciali a cui dedico questi pensieri.
Sandra

Consigliata da Sandra Greggio

 

L’amore dei vecchi
In una gloria di sole occidentale
vaneggi, mente stanca:
inseguito prodigio non s’adempie
nell’aldiquà del fiore che s’imbianca

Ma tu, distanza, torna a ricolmarti
tu a farti terra in questa ferma fuga
mare di nuda promessa
ai nostri balbettanti passi tardi

E tu, voce, rimani
persuàdici – un poco, un poco ancora
nostro non più domani,
usignolo dell’aurora
Giovanni Giudici
Consigliata da Carmen

 

Il verme conquistatore
Guardate!è una serata di gala
in questi ultimi anni desolati!
Uno stuolo d'angeli alati!
Tra i veli e sommersi dal pianto,
a teatro siede a vedere
un dramma di speranze e timori,
l'orchestra emette a tratti in sordina
la musica delle sfere.

Parodiando Iddio nel cielo, i mimi,
sottovoce borbottano, sussurrano
e si gettano qua e là. Marionette
soltanto che vengono e vanno
al cenno di cose immense informi
e spostano gli scenari avanti e indietro
scuotendo dalle loro ali di Condor
l'invisibile Affanno!

Un dramma così variegato, non temete,
non sarà scordato!
Col suo Fantasma per sempre inseguito
da una folla che mai non l'afferra,
in un cerchio che sempre ritorna
nello stesso identico punto,
e molta Pazzia, e ancor più Peccato,
e Orrore animano la trama.

Ma guardate, tra la ridda dei mimi,
s'insinua una forma strisciante!
Una cosa rosso sangue si snoda
sbucando dalla scena deserta!
Si snoda! Si annoda! Tra spasmi mortali
suo cibo diventano i mimi,
singhiozzano i serafini ai denti del mostro
di sangue rappreso imbevuti.

Spente, spente le luci, tutte spente!
E sopra ogni forma fremente,
funebre sudario il sipario
vien giù con fragor di tempesta,
e gli angeli pallidi esangui,
levandosi, svelandosi, dicono
che quella è la tragedia
"L'Uomo",
è il Verme Conquistatore, l'eroe.
Edgar Allan Poe
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

 

Se mi ami non piangere
Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
Sant’Agostino
Consigliata da Carmen
 

 

Tre fiammiferi accesi

Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia.

Jacques Prévert

Consigliata da Carmen
 

Sulla riva
I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all'oscuro di te e dei tuoi cari.

La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? ti spero in qualche porto...
L'uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l'aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.

Mario Luzi
 Consigliata da Carmen
 

'A livella
Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fa' chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con i fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza

St'anno m'è capitata 'n'avventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio
(Madonna), si ce penzo, che paura!
ma po' facette un'anema 'e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d' 'a chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"QUI DORME IN PACE IL NOBILE MARCHESE
SIGNORE DI ROVIGO E DI BELLUNO
ARDIMENTOSO EROE DI MILLE IMPRESE
MORTO L'11 MAGGIO DEL '31."

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce steva n'ata tomba piccerella
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, solamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena si liggeva:
"ESPOSITO GENNARO NETTURBINO".
Guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pure all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i' rummanette 'chiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje; stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato ... dormo, o è fantasia?

Ate che' fantasia; era 'o Marchese:
c' 'o tubbo, 'a caramella e c' 'o pastrano;
chill'ato appriesso' a isso un brutto arnese:
tutto fetente e cu 'na scopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'o muorto puveriello... 'o scupatore.
'Int' a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se retireno a chest'ora?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quando 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e, tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono un blasonato?!

La casta e casta e va, si, rispettata,
ma voi perdeste il senso e la misura;
la vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la vostra vicinanza puzzolente.
Fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente".

"Signor Marchese, nunè colpa mia,
i' nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie b stata a ffa' sta fessaria,
i' che putevo fa' si ero muorto'?

Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse,
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa."

"E cosa aspetti, oh turpe macreato,
che 1'ira mia raggiunga 1'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei gih dato piglio alla violenza!"

"Famne vedé... piglia sta violenza...
'A verità, Marché', mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so' mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuò capì, ca simmo eguale?...
... Morto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'n'ato è tale e qquale."

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?"

"Tu qua' Natale ... Pasca e Ppifania!!
f T' 'o vvuo' mettere 'ncapo... 'int' 'a cervella
che staje malato ancora 'e fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched'e".... e una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt' 'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme
tu nun t'he fatto ancora chistu cunto?

Percio, stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo â morte!"
Antonio De Curtis -Totò-
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

Indizi
Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.

Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto

Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.

Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.

Riconosco l’amore dal boato
- dal trillo beato -
lungo tutto il corpo!
Marina Ivanovna Cvetaeva
Consigliata da Carmen
 

Kimi de ite buji de ite – Sii te stesso
“Rimani te stesso, rimani al sicuro
Preoccupato, il mondo è preoccupato per te
Alla ricerca del tuo nome
Con te, il mondo intero è con te
Prossimo a conoscere la tua vita
Il tuo cuore e il tuo corpo intatti
Finché non ti potremo abbracciare e vederti
Rimani te stesso, rimani al sicuro”
Yoko Kanno

14 marzo 2011
Per le vittime del disastro in Giappone, la cantante Yoko Kanno ha inciso questa canzone,
della sola durata di tre minuti, ma sufficienti per lanciare un appello accorato,
che vuole essere un invito al coraggio e alla solidarietà di tutto il mondo. Lo speriamo.
Consigliata da Sandra Greggio
 

Italia
da L'Allegria - Il porto sepolto
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Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni

Sono un frutto
d'innumerevoli contrasti d'innesti
maturato in una serra

Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia

E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre

Locvizza, l'1 ottobre 1916
Giuseppe Ungaretti
Consigliata da Sandra Greggio
 

Uomo sii attento!
Che dice la mezzanotte profonda?
Io dormivo, dormivo-,
da un sonno profondo mi sono risvegliata:-
profondo è il mondo,
E più profondo che nei pensieri del giorno.
Profondo è il suo dolore-,
Piacere -più profondo ancora di sofferenza:
Dice il dolore:perisci!
Ma ogni piacere vuole eternità-,
-vuole profonda profonda eternità”.
F.Nietzsche, Cosi parlò Zarathustra
Consigliata da Arcangela Cammalleri
 

(da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo,
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso smorto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese 22 marzo 1950
Consigliata da Piero Colonna Romano
 

La notte nell'isola
Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua.
Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.
Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.
Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.
Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.
Pablo Neruda
Consigliata da Piero Colonna Romano


Le sue Rimas furono una svolta nella poesia spagnola. Poeti che ne hanno seguito quello stile sono Alberti, Lorca, Machado, Unamuno, Jmenez, Cernuda ed altri. Gustiamo la dolcezza di questi versi.

Qué es poesía?
¿Qué es poesía?, dices mientras clavas
en mi pupila tu pupila azul.
¡Que es poesía!, Y tú me lo preguntas?
Poesía... eres tú.
Che cos'è la poesia?
"Che cos'è la poesia?", dici mentre fissi
la mia pupilla con la tua pupilla blu.
"Che cos'è la poesia? E tu me lo domandi?
Poesia... sei tu!"

Los suspiros
Los suspiros son aire y van al aire.
Las lágrimas son agua y van al mar.
Dime, mujer, cuando el amor se olvida,
¿sabes tù adónde va?

I sospiri
I sospiri sono aria, e vanno verso l'aria.
Le lacrime son acqua, e vanno al mare.
Dimmi donna: quando l'amore si dimentica
sai tu dove va?

Gustavo Adolfo Bécquer
(Gustavo Adolfo Domínguez Bastida - Siviglia 1836 - Madrid 1870)
Consigliata da da Piero Colonna Romano
 

Come d'amore si parlava
circa 2500 anni fa


Io sono la sposa:
Baciami con i baci della tua bocca
inebriandola con le carezze
del tuo vino.
E' bello penetrare
nel profumo del tuo nome
respirando l'unguento
che rende sacre le vergini
di te innamorate.
………………………….
Il forte desiderio
della mia pelle scura
evapora su tende beduine,
irrompe con delizia
nei padiglioni sauditi.
…………………………
Ardo per te, anima della mia anima
ardo per i luoghi
dove tu pascoli e riposi,
ardo per il mio errare velata
dietro greggi preclusi
al tuo splendore.


Io sono lo sposo:
……………………………..
O bellissima tra le donne,
tu sarai la mia compagna,
sarai per me
come la morbida puledra
di un cocchio faraonico
lanciata in quel galoppo
che voglio assecondare.
Corro con te
sul filo delle tue perle,
trascoloro sulle tue guance
tessendo riccioli d'oro
con bisbigli d'argento.


Io sono la sposa:
Banchetta tra i miei seni
il mio amato,
sembra un contenitore di mirra
chiamato a pernottare:
il fiore ombelicato di Engaddi
è cresciuto nel recinto
come grappolo di vigna
turgido del mio diletto.


Io sono lo sposo:
Preso e smarrito
nell'incanto del loto
che schiude i tuoi occhi
al volo delle colombe.


Io sono la sposa:
Che reca calore al nostro letto,
prato d'erba eretto a dimora
su fondali di cedro e di pini.
Ecco io sono la sposa:
per me lui è stelo di giglio
espanso a sanguigno virgulto
di vene.


Io sono lo sposo:
Ecco io sono lo sposo:
per me lei è rosa di carne
che danza sul ventre
degli asfodeli.


Io sono la sposa:
Io sono la sposa immacolata
e lui per me è come
melo edenico
tra rudi alberi
di boscaglia,
per me che sono spoglia
della sua ombra animica
al sussulto del piacere
in giacitura.
E lui che violento
fiore d'alcova
si rende dolce alla mia bocca
come frutto d'amore
frutto per cui mi trovo
a languire
e così che invoco
di essere rinvigorita
con uva mandorlata
incorniciata in un cesto
gonfio di mele.

Avvinghiata nel corpo
dalla sua destra rapace
mentre perdutamente mi abbandono
aspetto che la mia anima
sia stretta dalla tua sinistra
là dove il capo orante
estasiato si posa.


Io sono lo sposo:
……………………
lasciate che l'anima goda
finchè c'è mistico delirio.


Io sono la sposa:
una voce cui è delirio
la voce dell'amato.
Eccolo, lo sento:
eccolo che viene
saltellando tra i monti
e caracollando sulle colline.
Simile a una gazzella
e a un cucciolo di cervo
erompe dritto appresso al muro,
preme sulla grata
modulando un canto
a squarci d'inferriata
e poi scoppia
in un ditirambo di parole.


Io sono lo sposo:
……………………………
Alzati e vieni via,
mia incantevole amica!
Tu che sei colomba dei dirupi,
verità e vita
di un mito segreto
nidificato nella roccia,
fammi eco con la tua voce
fammi grazia del tuo viso.
………………………………..


Io sono la sposa:
il mio viso non è più velato,
e come se fosse reso nudo
al mistero di un giglio
che bruca le rose.
Al cader delle ombre
e al morir del giorno
egli, il mio sposo, sarà lassù
sui monti profumati:
cervo e gazzella
del mio paradiso.
……………………………
……………………………


Io sono lo sposo:
Quanto sei bella
mia oasi sprangata,
tappeto di preghiera
per la carne in erezione!
Un nastro di porpora
sigilla le tue labbra,
cavità piena di grazia
è la tua bocca
e la tua guancia
si spacca sotto il velo
come una melograna.
E come torre di David
è il tuo collo
addobbato ad arsenale
di erotiche delizie:
incompiuta sinfonia
eroica e pastorale
di scudi araldici
in riposo d'armeria.
……………………..
Sei tu
tutta bella
e senza macchia
il canto verginale
della mia mistica
sinuosa!
Sei tu la mia sposa
che mi ha rapito
come aquila
il cuore:
……………………..
sei tu la sorella,
mia sposa,
che ha carezze
più soavi del vino:
afrore di pianta
e bevanda
di vita!
Le tue labbra
stillano miele,
o sposa,
stillano sulla lingua
un effluvio di parole:
fermenta mosto il Libano
al cospetto delle tue libagioni!

…………………………………
………………………………
Glorifico in te tutti gli alberi
di mirra, incenso ed alo è.
Fonte e canale del seme,
i ruscelli spagisperma del Libano
polluscono vene turgide
al mio mistico giardino
vivo e sorgivo.


Io sono la sposa:
I venti Austro ed Aquilone
entrano sibilando
nel profondo
della mia gola di sposa:
si fa roca la mia voce
al soffiar dei venti
sul mio giardino.
E si sprigionano sapori acuti
dalla mia alcova:
da me si mangiano
frutti succosi.


Io sono lo sposo:
Sono lo sposo che entra
nel suo giardino,
o sorella, mia sposa!
……………………………..


Io sono la sposa:
Col cuore desto
sono io a sentire
il mio amato bussare,
tocca a me ascoltare
la sua voce sommessa
che dice: aprimi!
Rorida di rugiada
è la mia testa
a goccia a goccia
stilla dai miei riccioli
un rosario di perle
in tuo nome.
………………………..
Mi sono levata la tunica
perché è notte:
come indossarla di nuovo ?
………………………………….
La porta è come vagina
dove il mio amato
può introdurre
la sua mano
e fremono le mie viscere
a quel contatto.
Mi sono concessa
al mio amato
per vivere il dramma
del canto nuziale:
poi lui è sparito,
tra veglia e sonno.
La mia anima vien meno
al mancar delle sue parole
perché l'ho chiamato
e non ho avuto risposta:
l'ho cercato
e non l'ho trovato.


Sono la voce del coro:
che ha sentito il tuo scongiuro
come tu sei
bella tra le più belle
lui è diletto
tra i diletti.


Io sono la sposa:
che torna al suo diletto,
al ritratto dello sposo:
rosso a stecca
e bianco distillato,
virilizzato al meglio
tra mille e sopra il migliaio.
Neri come il corvo delle erme
i suoi capelli palmati
si inanellano a grappolo
su un corpo fuso
nello stampo dell'oro.
…………………………….
……………………………
La sua bocca assurta
ad asse del mondo
è un centro di delizie.


Io sono la voce del cono
di luce della sposa:

sono il garofano
di colui che mi consola
ha lui il giglio
che mi può trastullare.
E' lui che caracolla
nel giardino
camporellando garofani
insiepati ai gigli.


Io sono lo sposo:
Come sei bella !
Te ne vai a vele spiegate
Offuscando lo splendore
Di Tirsa e Gerusalemme,
ti schieri a parata
terribile e leggiadra.
E sei troppo festosa
troppo solenne
per gli occhi miei:
salvami dall'assedio
del tuo fascino,
liberami dalla magia
del tuo sguardo.
Annego nella tua chioma
ondulata dal vento
…………………………….
Fertili come il melograno
le tue labbra si aprono
a spicchio nella danza
ombrata di veli
…………………………..
Si apre come coppa di carne
al vino succoso
il tuo ombelico,
si fascina a covone di grano
erpicato da gigli
il ventre della tua cupola
di cielo.
Vedo i tuoi seni
come fossero cuccioli gemelli
di una gazzella.
……………………………….
Coglierò sui rami della palma
frutti maturi come seni,
stringerò grappoli d'uva
nel verbo del respiro,
colerò nuove parole
sulle sue labbra assopite.
E così che il biondo profumo
delle mele
scivola tra le lenzuola
per gioire.
…………………………
………………………………

Fa che l'amore
sia più forte della morte,
fa che l'estasi della passione
trionfi sul panico della Geenna.
Divampa come fiamma
il nostro amore:
………………………………..

Sintesi del "Cantico dei Cantici" : IV secolo a.c. Dove l'estasi mistica (l'intero cantico è pervaso dalla presenza di dio) si sposa alla poesia erotica.
Proposto da Piero Colonna Romano.

Questo amore
Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore cosí bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l'abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E' tuo
E' mio
E' stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l'estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l'ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.
Jacques Prévert
Consigliata da Piero Colonna Romano

Romolo e Remo
Secondo er fatto storico Romano
come ce ricontava la maestra
Romolo e Remo drento na canestra
vennero giù pe'r fiume da lontano
er vento poi li spinse su'n ripiano
in mezzo quattro piante de ginestra
e lì successe er salvataggio extra
rimasto pe li secoli un arcano
na lupa li sarvò così li pupi
succhiorno er latte suo come a na balia
e crebbero co l'indole de lupi
de fatti da li tempi ormai lontani
li discennenti succhiano l'Italia
e quer ch'è buffo
è che nun sò Romani.
Trilussa
da "Aldo Fabrizi recita Trilussa"
Consigliata da Renato Bellin

n. 1535.
Quella vita che fu tenuta a freno
troppo stretta e si libera,
poi correrà per sempre, con un cauto
sguardo indietro, e paura delle briglie.
Il cavallo che fiuta l'erba viva,
e a cui sorride il pascolo,
sarà ripreso solo a fucilate,
se si potrà riprenderlo.
Emily Dickinson
- consigliata da Carmen -

Finis (bronzo su marmo)
Muoiono i poeti
e se ne vanno così come sono vissuti,
il sangue ancora vivo per ore, forse per settimane,
ci lasciano come bambini
che si tappano le orecchie con le mani
per il troppo
rumore;
ed il vuoto lo vediamo nei nostri occhi
e ci tocca di riempirlo con ogni bontà possibile,
energici, vitali, mai rassegnati,
anche se spaliamo il sale delle nostre anime
con una pietra al collo e un groppo in gola.
Angelo Curcio
(dal libro "Con una pietra al collo e un groppo in gola")
Consigliata da donatella de bartolomeis

Inno all'amore
"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi l'amore,
sarei come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l'amore,
sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l'amore,
niente mi gioverebbe.
L'amore è paziente,
è benigno l'amore;
non è invidioso l'amore,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta.
L'amore non avrà mai fine.
S. Paolo
(tratto dalla prima lettera ai Corinti)
Consigliata da Piero Colonna Romano

Balada para los poetas andaluces de oy
¿Qué cantan los poetas andaluces de ahora?
¿Qué miran los poetas andaluces de ahora?
¿Qué sienten los poetas andaluces de ahora?

Cantan con voz de hombre, ¿pero dónde están los hombres?
con ojos de hombre miran, ¿pero dónde los hombres?
con pecho de hombre sienten, ¿pero dónde los hombres?

Cantan, y cuando cantan parece que están solos.
Miran, y cuando miran parece que están solos.
Sienten, y cuando sienten parecen que están solos.

¿Es que ya Andalucía se ha quedado sin nadie?
¿Es que acaso en los montes andaluces no hay nadie?
¿Que en los mares y campos andaluces no hay nadie?

¿No habrá ya quien responda a la voz del poeta?
¿Quién mire al corazón sin muros del poeta?
¿Tantas cosas han muerto que no hay más que el poeta?

Cantad alto. Oiréis que oyen otros oídos.
Mirad alto. Veréis que miran otros ojos.
Latid alto. Sabréis que palpita otra sangre.

No es más hondo el poeta en su oscuro subsuelo.
encerrado. Su canto asciende a más profundo
cuando, abierto en el aire, ya es de todos los hombres.
Rafael Alberti
(una toccante canzone contro la guerra, successivamente musicata, splendidamente, dagli Agua Viva)
Consigliata da Piero Colonna Romano

Ascolta il passo breve delle cose
Ascolta il passo breve delle cose
-assai più breve delle tue finestre-
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
E' fatta di ombra e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le tue mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c'è presenza vera di foglie,
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.
Alda Merini, Da "La volpe e il sipario"
Consigliata da Piero Colonna Romano

Paris at night
Trois allumettes un à un allumè dans la nuit
La premi ère pour voir ton visage tout enti èr
La seconde pour voir tes yeux
La derni ère pour voir ta bouche
Et l'obscurité tout enti ère pour me rappeler tout cela
En te serrant dans me bras
Jacques Prévert
Consigliata da Piero Colonna Romano

La Mosca 'nvidiosa
La Mosca era gelosa Dio sa come
d'una Farfalla piena de colori.
Tu – je diceva – te sei fatta un nome
perché te la svolazzi tra li fiori:
ma ogni vorta che vedo l'ali tue
co' tutto quer velluto e quer ricamo
nun me posso scordà quann'eravamo
poveri verminetti tutt'e due...
Già – disse la Farfalla – ma bisogna
che t'aricordi pure un'artra cosa:
io nacqui tra le foje d'una rosa
e tu su 'na carogna.
Trilussa
Consiliata da Giuliano da Rocca del Santo

Dev’esserci…
Dev’esserci un colore da scoprire
un recondito accordo di parole,
dev’esserci una chiave per aprire
nel muro smisurato questa porta.

Dev’esserci un’isola più a sud,
una corda più tesa e più vibrante
un altro mar che nuota in altro blu,
un’altra intonazione più cantante.

Poesia tardiva che non riesci
a dire la metà di quel che sai:
non taci, quanto puoi, e non sconfessi
questo corpo casuale e inadeguato.
José Saramago (traduzione di F. Toriello)
consigliata da Carmen

All'ombra
Mentre me leggo er solito giornale
spaparacchiato all'ombra d'un pajaro
vedo un porco e je dico :- Addio, maiale!-
vedo un ciuccio e je dico :- Addio, somaro!-
Forse 'ste bestie nun me capiranno,
ma armeno provo la soddisfazzione
de potè di' le cose come stanno
senza paura de finì in priggione.
Trilussa (Carlo Alberto Salustri)
Consigliata da Renato Bellin
 

Campanilismo
Nu Milanese fa na cosa? embè
tutta Milano: - Evviva 'o Milanese!
è rrobba lloro e l'hann' 'a sustenè,
e 'o stesso 'o Turinese e 'o Genovese.

Roma? : - Chisto è Rumano e si è Rumano,
naturalmente vene primma 'e te.
Roma è la Capitale! E si è Tuscano,
Firenze ne fa subbito nu rre.

Si fa na cosa bona nu Pugliese?
Bari, cu tutte 'e Puglie, 'o ffa sapè.
Si è d' 'a Basilicata o Calavrese,
na gara a chi cchiù meglio 'o po' tenè.

è nu Palermitano o Catanese?
tutt''a Sicilia: - Chisto è figlio a mme!
Si è n'Umbro, Sardo, Veneto, Abruzzese,
'a terra soia s''o vanta comme a cche.

Le fanno 'e ffeste, aizano 'o pavese:
senza suttilizzà si è o nunè.
Nun c'è nu Parmigiano o Bolognese
ca 'e suoie nun s' 'o difendono; e pecchè

si è nu Napulitano, 'a città soia,
'o ricunosce e nun ce 'o ddà a parè?
S''o vasa 'nsuonno e nun le dà sta gioia.
E 'e trombe 'e llate squillano: " Tetèee! "

Qualunque cosa fa, siente: - " E ched'è? "
" 'O ssaccio fà pur'io. " " Senza pretese. "
E chesto simme nuie. Dopo di che,
Nun se fa niente 'e buono a stu paese?

E tu, Napule mia, permiette chesto?
Strignece 'mpietto a te, figlie e figliaste.
Arapencelle 'e braccia e fallo priesto:
avimm' 'a stà a " guaglione " e simmo maste.

T'avante 'e vermicielle, 'e pummarole:
mmescace pure a nuie si 'o mmeretammo.
Che vvuò ca, cu stu cielo e chistu sole,
te dammo nu saluto e ce ne jammo?

Campanilismo bello, addò sì ghiuto?
facimmolo nuie pure comme a ll'ate.
si no p' 'a gente 'e Napule è fernuto,
e nun sarrammo maie cunsiderate.

Talento ne tenimmo, avimmo ingegno:
nu poco sulo ca ce sustenimmo,
cunquistarrammo chillu posto degno
ca, pè mullezza nosta, nun tenimmo.

Quanno na cosa è bbona e è nata ccà,
nu milione 'e gente l'ha da dì.
E vedarraie po' Napule addò va,
cu tutto ca è 'o paese d' 'o ddurmì.
Raffaele Viviani
Consigliata da Ida Guarracino

 

Funeral blues
Stop all the clocks, cut off the telephone,
Prevent the dog from barking with a juicy bone,
Silence the pianos and with muffled drum
Bring out the coffin, let the mourners come.

Let aeroplanes circle moaning overhead
Scribbling on the sky the message He Is Dead,
Put crêpe bows round the white necks of the public doves,
Let the traffic policemen wear black cotton gloves.

He was my North, my South, my East and West,
My working week and my Sunday rest,
My noon, my midnight, my talk, my song;
I thought that love would last for ever: I was wrong.

The stars are not wanted now: put out every one;
Pack up the moon and dismantle the sun;
Pour away the ocean and sweep up the wood;
For nothing now can ever come to any good.
W. H. Auden
- Consigliata da Kati -

 
Blues in memoria
Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui è Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.
(Traduzione di Gilberto Forti)
CANTO POESIA PAROLA
Se anche cantassi come gli angeli,
ma non amassi il canto,
non faresti altro che rendere sordi gli uomini
alle voci del giorno e alle voci della notte.

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Parole sussurrate
La mente soppesa e misura,
ma è lo spirito che giunge al cuore della vita
e ne abbraccia il segreto;
e il seme dello spirito è immortale.
Il vento può soffiare e placarsi,
e il mare fluire e rifluire:
ma il cuore della vita
è sfera immobile e serena,
e in quel punto rifulge
una stella che è fissa in eterno.
Kahlil Gibran "Il profeta"
- consigliata da Carmen -

La vetta
Ho scalato la montagna della vita
con le sue impervie pareti,
le ricadute rovinose
i dolori sanguinanti del cuore,
il freddo degli addii e i tormenti
dell'anima inquieta.
Le mani ferite e dolenti
a stringere i sogni da inseguire
che poi sfuggivano alla presa.
Ho scalato la montagna dei miei pensieri
in compagnia dei silenzi
e con loro dormivo
Ho scalato la montagna dei rimpianti
senza guadare in basso
nei baratri del passato
la paura della malinconia
e dei fantasmi da evitare
come una vertigine mortale.
Ho scalato la montagna del tempo
con i venti a sferzare il mio volto
a cambiarlo, a non riconoscerlo
negli specchi di laghi gelati
delle stagioni dell'uomo.
Domandarmi se quello ero io
o il ricordo di me stesso
Ho scalato la montagna dei dubbi
cercando nell' eco la voce di Dio.
Ho scalato la montagna dell'amore
rimanendo immobile e senza respiro
ad ogni primo bacio, ad ogni sì.
Sulla vetta, ristretto spazio dove
posto non c'è per amori, dolori
rimpianti, ambizioni, speranze
dove illusioni non esistono più
dove mentire a se stessi non serve
per continuare a vivere perché limpido
intorno e sopra me è il cielo delle verità…
aspetto un angelo o un demone.
Claudio Pompi

Ricordando Claudio Pompi
Per chi ha scalato la montagna e come Claudio è giunto alla vetta per ricominciare in compagnia del suo angelo.Ricordandolo con il pensiero che ci aveva donato.
consigliata da Tiziana Cocolo

Er grillo zoppo
Ormai me reggo su 'na cianca sola-
Diceva 'n grillo - Quella che me manca
m'arimase attaccata a la cappiola.
Quanno m'accorsi d'esse priggioniero,
cor laccio ar piede, in mano a 'n regazzino,
nun c'ebbi che 'n pensiero:
de rivolà in giardino.
Er dolore fu granne,
ma la stilla de sangue che sortì da la ferita,
brillò ner sole come 'na favilla.
E forse un giorno Iddio benedirà
ogni goccia de sangue ch'è servita
pe' scrive la parola Libbertà!
Trilussa (Carlo Alberto Salustri)
- consigliata da Renato Bellin -

Poesia illegittima
Quella sera che ho fatto l'amore
mentale con te
non sono stata prudente
dopo un po' mi si è gonfiata la mente
sappi che due notti fa
con dolorose doglie
mi è nata una poesia illegittimamente
porterà solo il mio nome
ma ha la tua aria straniera ti somiglia
mentre non sospetti niente di niente
sappi che ti è nata una figlia.
Vivian Lamarque (Tesero, 1946)
Poesie, 1970-2002. Milano : Mondadori, 2002 851.914/LAM
- consigliata da Wilma -

Scrivere una poesia
Scrivere una poesia,
sempre è un colpo di mano sull'ignoto,
un penetrare svegli
nel mistero del sogno,
un prendere possesso della notte.

Aggiramento, azione di sorpresa
sulla nostra città profonda:
forzare la sua porta,
entrare fra le case addormentate,
scoprire il loro segreto.

Perciò una poesia
si scrive di soppiatto,
all'insaputa quasi di noi stessi;
è un contrabbando fatto sui confini
sorprendendo le scolte,è un furto sacro
in cui si rischia la dannazione
o il bacio divino.

Perciò poetando non si deve quasi
vedere ciò che si scrive
nel tenebrore, nella dormiveglia,
nei frastagli del confine
che sono come i fiordi della mente
ove si penetra nei mari interni
molto addentro nei seni
di una soprannaturale calma.
Giorgio Vigolo
- consigliata da Carmen -

Amicizia
Noi non ci conosciamo. Penso ai giorni
che, perduti nel tempo, c'incontrammo,
alla nostra incresciosa intimità.
Ci siamo sempre lasciati
senza salutarci,
con pentimenti e scuse da lontano.
Ci siam riaspettati al passo,
bestie caute,
cacciatori affinati,
a sostenere faticosamente
la nostra parte di estranei.
Ritrosie disperanti,
pause vertiginose e insormontabili,
dicevan, nelle nostre confidenze,
il contatto evitato e il vano incanto.
Qualcosa ci è sempre rimasto,
amaro vanto,
di non ceduto ai nostri abbandoni,
qualcosa ci è sempre mancato.
Vincenzo Cardarelli
-consigliata da Lorenzo Poggi-

Saggezza
Io che ho deciso di amare l’umanità
invece degli uomini,

di amare le contraddizioni della vita,
le impossibilità.

Io che sono diventata una bella e attempata
filosofa, quando improvvisamente

il telefono suona, la sua voce
mi solletica il collo.

O mi prende in giro, mi chiama
ochetta
e il mio cuore sbanda.

Quello che amiamo di un’altra persona
è la vita che ha dentro;
per questo non dobbiamo mai
cercare di possederla.
(Janice Kulyk Keefer - Ochetta)
- consigliata da Carmen -

 

"Alla Madonna delle Grazie"
Il tempo passa veloce
e noi siamo ancora insieme.
Nell'imbrunire della vita
soffia leggero il vento della sera.
Mentre si sentono i rintocchi argentini
di una campana lontana
che sembra che recita una preghiera.
O Maria delle Grazie, la tua anima è un limpido cielo,
dove Dio può disegnare l'Amore
e accendere la luce che illumina il mondo
O Maria, Donna del sì,
la tua bontà c'ispira fiducia:
vorrei domandarTi
di aiutarmi a invecchiare serenamente.
e di guarire da questo male subdolo e indolore
ma che fa male alla mente e al cuore.
Dignitosamente, senza amarezze.
Nulla mi é dovuto:
ma vorrei meritare
la grazia di vedere ancora
il mondo intero così com'è,
la grazia della verità, e dell'umorismo.
La pace: sì, ne ho bisogno,
e ho bisogno di qualcosa di più
vorrei la virtù più alta per un uomo:
la letizia delle fede.
Il Gabbiano
- consigliata da Tiziana Cocolo -
 

Alla luna
Quando così ti sbianchi
quasi disfatta, incerte
parvenze hai d’antichissimi
sfocati volti.

Forse sgomenti spettri
sorpresi all’alba in fuga.

Quando t’arrossi torbida
sanguigne voglie fermenti
e forse hai mari in collera
furia di venti cinerini
nei cieli gonfi.

Fra bianchi abeti senti d’ululato
fai specchio il lago
e sgorghi nebbia azzurra nel silenzio
destandoci fantasmi di memorie
e infiniti abbandoni

lontanissima luna.
(Lucio Piccolo – La seta – ed. All’insegna del pesce d’oro)
- Consigliata da Carmen -

1247
Concentrarsi come il tuono
e poi sgretolare con fragore
mentre ogni cosa creata cerca rifugio
questo - sarebbe Poesia -

O l’Amore: i due vengono insieme
noi li proviamo tutti e due o nessuno;

all’uno, all’altro ci accostiamo e moriamo:

non può vivere chi ha veduto Dio.
Emily Dickinson
- Consigliata da Carmen -

Scirocco
E sovra i monti, lontano sugli orizzonti
è lunga striscia color zafferano:
irrompe la torma moresca dei venti,
d’assalto prende le porte grandi
gli osservatori sui tetti di smalto,
batte alle facciate da mezzogiorno,
agita cortine scarlatte, pennoni sanguigni, aquiloni,
schiarite apre azzurre, cupole, forme sognate,
i pergolati scuote, le tegole vive
ove acqua di sorgive posa in orci iridati,
polloni brucia, di virgulti fa sterpi,
in tromba cangia androni,
piomba su le crescenze incerte
dei giardini, ghermisce le foglie deserte
e i gelsomini puerili - poi vien più mite
batte tamburini; fiocchi, nastri…

Ma quando ad occidente chiude l’ale
d’incendio il selvaggio pontificale
e l’ultima gora rossa si sfalda
d’ogni lato sale la notte calda in agguato.
(da Canti Barocchi e Gioco a nascondere di Lucio Piccolo, Edizioni Scheiwiller)
- consigliata da Carmen -

La morte non è niente.
La morte non niente.
Sono solo scivolato nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo l'uno per l'altra lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato.
Parlami nel modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La vita conserva il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Che cos'è la morte, se non un accidente trascurabile?
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Ti aspetto, non sono lontano,
sono dall'altra parte,
proprio dietro l'angolo.
Ritroverai il mio cuore.
Asciuga le tue lacrime
e non piangere se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
Henry Scott Holland
- consigliata da Carmen -

La neve cade
La neve cade, la neve cade.
Alle bianche stelline in tempesta
si protendono i fiori del geranio
dallo stipite della finestra:
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
ogni cosa si lancia in un volo,
i gradini della nera scala,
la svolta del crocicchio.
La neve cade, la neve cade,
come se non cadessero i fiocchi,
ma in un mantello rattoppato
scendesse a terra la volta celeste.
Come se con l'aspetto di un bislacco
dal pianerottolo in cima alle scale,
di soppiatto, giocando a rimpiattino,
scendesse il cielo dalla soffitta.
Perché la vita stringe. Non fai a tempo
a girarti d’attorno, ed è Natale.
Solo un breve intervallo:
guardi, ed è l'Anno Nuovo.
Densa, densissima la neve cade.
E chi sa che il tempo non trascorra
per le stesse orme, nello stesso ritmo,
con la stessa rapidità o pigrizia,
tenendo il passo con lei?
Chi sa che gli anni, l'uno dietro l'altro,
non si succedano come la neve,
o come le parole d'un poema?
La neve cade, la neve cade,
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
il pedone imbiancato,
le piante sorprese,
la svolta del crocicchio.
Boris Pasternak
consigliata da Carmen
 

La canción de Pablo
Compañera,
vendrán a preguntar por mí;
si yo he sido, dónde estoy,
si usted sabe adonde fue su marido.
(Usted levanta la vista,
mira, calla, está pensando:
Pablo andará por la tierra
su bandera enarbolando.
Una bandera de trigo,
de pan y de vino,
levantando.

Por el camino, a los hombres
irá ensenãndo la libertad.)
Compañera,
buscándome vendrán aquí,
un retrato, una carta,
algún signo para dar con mi rastro.
(Usted recuerda mis manos,
ya no piensa, está soñando:

Pablo se fue navegante
por un mar de sangre joven,
con su rebelde destino,
sin pan y sin vino,
anda luchando.
Su corazon guerrillero
olvida en las calles la soledad.)

Compañera,
vendrán a preguntar otra vez,
si me ha visto, si le escribo,
si usted sabe adonde fue su marido.
(Usted los mira a los ojos,
con ternura va pensando:
Pablo es un hombre que sabe
que la vida está cambiando,
los compañeros lo llevan
hacia el alba caminando.
Y si le ponen cadenas,
irán otros brazos por libertad.)

Pablos hay muchos y andando
por la tierra van cantando
con sus banderas de trigo,
de pan y de vino, van luchando.
Pablos hay muchos y andando
por la tierra van cantando.
Daniel Viglietti
Nato a Montevideo il 24 luglio 1939, diplomato al conservatorio in chitarra, armonia e contrappunto.
consigliata da Sandro Sermenghi
La canzone di Pablo
Compagna,
verranno a chiederti di me;
cosa ero, dove sono,
se tu sai dove è andato tuo marito.
(Tu alzi gli occhi,
guardi, taci, mentre pensi:
Pablo sarà in giro per la terra
con la bandiera al vento.
Una bandiera di grano,
di pane e di vino,
in alto.

Lungo il cammino, agli uomini
mostrerà la libertà.)
Compagna,
verranno qui a cercarmi,
una foto, una lettera,
qualche segno per seguire le mie tracce.
(Tu ricordi le mie mani,
non pensi più, sogni:

Pablo sta navigando
in un mare di sangue giovane,
col suo destino ribelle,
senza pane né vino,
per lottare.
Il suo cuore di guerrigliero
dimentica la solitudine sulle strade.)

Compagna,
verranno ancora a domandarti
se mi hai visto, se ti scrivo,
se sai dove è andato tuo marito.
(Tu li guarderai negli occhi,
e penserai con tenerezza:
Pablo è un uomo che sa
che la vita sta cambiando,
i compagni lo portano
verso l'alba camminando.
E se gli mettono catene,
altre braccia andranno in cerca di libertà.)

Di Pablo ve ne sono molti che vanno
per la terra cantando
con le loro bandiere di grano,
di pane e di vino, combattendo.
Di Pablo ve ne sono molti che vanno
per la terra cantando.
Daniel Vigliett
 
   


Balaustrata di brezza
per appoggiare
stasera
la mia malinconia
G. Ungaretti
consigliata da Carmen

Un dono
Prendi un sorriso,
regalalo a chi non l'ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima ,posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio,
mettilo nell'animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza,
e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà,
e donala a chi non sa donare.
Scopri l'amore,
e fallo conoscere al mondo.
Mahatma Gandhi
consigliata da Faraon Gianna

A tutte le donne
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d'amore.
Alda Merini
consigliata da Aurelia Tieghi

Corpo di donna...
Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d'abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli
e in me la notte entrava con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiata come un'arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.

Ma cade l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell'assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.
Pablo Neruda
consigliata da Sandro Sermenghi

Preghiera alla poesia
Oh, tu bene mi pesi
l'anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.

Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d'oro
che fu mio cuore,
ho rotto l'erba,
rovinata la terra -
poesia - quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l'allodola
e con gli occhi cercai di salire -
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato -
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca -
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.
Antonia Pozzi
consigliata da Aurelia Tieghi

Il termine
La vetta di quella scoscesa serpentina
ecco si approssimava, ormai era vicina,
ne davano un chiaro avvertimento i magri rimasugli
della tappa pellegrina su alla celestiale cima
poco sopra, alla vista, che spazio si sarebbe aperto
dal culmine raggiunto, immaginarlo già era beatitudine
concessa più che al suo desiderio, al suo tormento,
sì l’immensità, la luce, ma quiete vera ci sarebbe stata,
lì avrebbe la sua impresa avuto il luminoso assolvimento
da se stessa nella trasparente spera
o nasceva una nuova impossibile scalata
questo temeva, questo desiderava.
Mario Luzi
- consigliata da Carmen -

Il pigro
Seguiteranno a viaggiare,
tra gli astri metallici
con dentro uomini stanchi,
violenteranno la luna
aprendovi farmacie.

E’ il tempo dell’uva piena,
e il vino comincia a vivere
tra le montagne ed il mare.

In Cile ballano le ciliegie,
cantano ragazze brune,
l’acqua nelle chitarre luccica.

Il sole bacia ogni porta,
e col grano fa miracoli.

Il primo vino è rosato,
dolce come un bimbo tenero;
il secondo vino è robusto
come voce di marinaio;
e il terzo vino è un topazio,
un papavero e un incendio,

la mia casa ha mare e terra,
la mia donna ha grandi occhi
color nocciola selvatica,
quando si fa notte il mare
si veste di bianco e di verde
e la luna tra le schiume
sogna come sposa marina.

Non voglio cambiare pianeta.
Pablo Neruda (da stravagario)
consigliata da marcello plavier

Malumore di primavera
Cacciato se ne va via il rigogolo,
più non lo lascio sul ramo cantare.
Ha disturbato col canto il mio sogno,
non posso più a Liaoxi arrivare.
Jin Changxu
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Spedita a nord in una notte di pioggia
Negato è dare una data al ritorno,
Bashan allaga la pioggia autunnale.
Acceso il lume nello studio un giorno
di questa pioggia potremo parlare.
Li Shangyin
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Sulla piana Leyou
A sera l'animo non è contento,
salgo col carro all'antica pianura.
È bellissimo il sole nel tramonto,
ma sempre più vicina è l'ombra scura.
Li Shangyin
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Viaggio ad ovest del Gansu
S'immolarono per combatter gli Unni
cinquemila soldati nella polvere.
Pietà per le ossa in riva al fiume Wuding,
uomini ancor sognati dalle spose.
Chen Tao
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Attracco al Qinhuai
Nebbia sull'acqua, luna sulla sabbia,
al Qinhuai presso un'osteria di notte.
Per la patria in rovina lei non soffre,
al fiume “Il fiore a corte” ancora canta.
Du Mu
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Gita in montagna
Va al freddo monte il pietroso sentiero,
spunta una casa in fondo al bianco nembo.
Fermo il carro a godere il gelido acero,
foglie ha più rosse che fior di febbraio.
Du Mu
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Pietà per il contadino. Parte seconda
Zappa la terra al sole a mezzodì,
cola il sudore sulla pianticella.
Chissà il cibo dentro la scodella
quanta fatica costa a chicco a chicco.
Li Shen
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Ottobre
Un tempo, era d'estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all'autunno
dal calore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest'aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulle vigne saccheggiate.

Sole d'autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlti al peggio e la morte nell'anima.
Ecco perchè ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio,
tornando ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più t'inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch'è tutta una dolcissima agonia.
Vincenzo Cardarelli
consigliata da Aurelia Tieghi

Pietà per il contadino. Parte prima
Di miglio getta un chicco a primavera,
diecimila in autunno ne raccoglie.
Non c'è tra i quattro mari incolta terra,
però di fame il contadino muore.
Li Shen
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Visita all'eremita assente
A un allievo domando sotto il pino,
a coglier erbe è il maestro, risponde.
Sarà sulla montagna qui vicino,
non si sa dove, dentro nubi fonde.
Jia Dao
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Le stagioni umane
Quattro stagioni fanno intero l'anno,
quattro stagioni ha l'animo dell'uomo.
Egli ha la sua robusta Primavera
quando coglie l'ingenua fantasia
ad aprire di mano ogni bellezza;
ha la sua Estate quando ruminare
il boccone di miel primaverile
del giovine pensiero ama perduto
di volutta', e cosi' fantasticando,
quanto gli e' dato approssimarsi al cielo;
e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno
quando ripiega strettamente le ali
pago di star cosi' a contemplare
oziando le nebbie, di lasciare
le cose belle inavvertite lungi
passare come sulla siglia un rivo.
Anche ha il suo Inverno di sfiguramento
pallido, senno' forza gli sarebbe
rinunciare alla sua mortal natura.
John Keats
consigliata da Tinti Baldini

L'abito dorato
Non curarti dell'abito dorato,
tientela cara la tua verde età.
Sbrìgati a cogliere il fiore sbocciato,
sfiorito il ramo se aspetti sarà.
Du Qiuniang
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Neve sul fiume
Su per mille montagne nessun volo,
per miriadi di vie nessuna traccia.
Di paglia avvolto, in barca, tutto solo,
un vecchio sta pescando neve ghiaccia.
Liu Zongyuan
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Pietra in attesa del suo uomo
Aspetta sempre l'uomo che non torna,
l'amarezza la muta in nuda pietra.
Da mille anni oramai dura l'attesa,
ma il primo sguardo rimane d'allora.
Liu Yuxi
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Autunno
Tristezza ispira da sempre l'autunno,
dico che più di primavera è bello.
Sopra le nubi una gru nell'azzurro
innalza l'estro lassù fino al cielo.
Liu Yuxi
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Canto di primavera
Giù dalla rossa stanza, adorna e pronta,
mesta passa in clausura l'età bella.
I fiori in mezzo al cortile lei conta;
sulla spilla di giada è la libellula.
Liu Yuxi
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Invito a Liu XIX
Fresco liquore c'è, Formica Verde,
e una piccola stufa in creta rossa.
Sull'imbrunire imminente è la neve:
sei capace di bertene una coppa?
Bai Juyi
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Canto di corte
Col fazzoletto il pianto terge insonne,
in sala ode cantare a notte fonda.
In disgrazia è la bella ancora in fiore,
fino al mattino al braciere s'appoggia.
Bai Juyi
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

La nuova sposa
Va il terzo giorno in cucina la sposa,
lava le mani e una zuppa prepara.
Della suocera ancora il gusto ignora,
assaggiare fa prima alla cognata.
Wang Jian
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Canto del fiume meridionale
Ho sposato a Qutang un commerciante,
di giorno in giorno il ritorno promette.
Saputo avessi la marea costante,
un ondivago giovane m'avrebbe.
Li Yi
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Occupata
Sono occupata sono occupata
sto cercando di fare il mio numero
ma sono sempre
occupata
qualcuno
sta cercando di chiamarmi
ma occupata non sento
lui soltanto sente il mio segnale
di occupato intanto che occupata rispondo
              occupato
occupata occupata occupata
se anche Dio facesse il mio numero
sarei occupata.
Rachel Chalfi
consigliata da Aurelia Tieghi

Notte d'autunno. Al consigliere Qiu
In questa notte d'autunno ti penso,
mentre passeggio a cantar la frescura.
Cadono pigne per il monte immenso,
forse l'animo tuo non dorme ancora.
Wei Yingwu
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Che garbo ha
Che garbo ha il nostro
corpo nel suo lasciarci
lentamente,
temendo di farci male
con un colpo improvviso.
Lentamente vogliosamente
come una bella semiaddormentata
ci tesse
piccole rughe di luce e di saggezza
non crepe di terremoto
un a èrea rete di terribili solchi.
Quanta bontà rivela il nostro corpo
che non ci muta il volto
tutto a un tratto
che non ci spezza le ossa
con un sol colpo

no, prudentemente
come una pallida luna che ci versi addosso
il suo bagliore
ci illumina
di una rete di tristi nervi
ripiega la nostra pelle agli angoli
indurisce la colonna vertebrale
per farci sopportare tutto ciò
che bellezza che garbo ha
il nostro corpo che lento ci tradisce
che cortese ci prepara
raccontandoci sottovoce
a poco a poco un'ora dopo l'altra
che se ne va.
Rachel Chalfi- nata a Tel Aviv nel 1945
consigliata da Aurelia Tieghi

Suono di liuto
Nel mormorio di sette corde chiare
fresco stormire di pini si sente.
A me le antiche melodie son care,
più non le suona spesso oggi la gente.
Liu Changqing
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Nostalgia primaverile
Smeraldino è il tappeto d'erba a Yan,
verdi vermene china il gelso a Qin.
Quando tu penserai a ritornare,
ormai spezzato sarà il mio cuore.
Il vento incognito di primavera
perché solleva la tenda di seta?
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Risentimento
La bella avvolge la tenda di perle,
siede e aggrotta le ciglia di falena.
Ma una traccia di pianto si vede,
chissà tanto rancore a chi lo serba.
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Partenza di buon'ora dalla città di Baidi
Lascio all'alba Baidi tra nubi d'iride,
per Jiangling in un giorno mille li.
Dalle due rive fitto urlio di scimmie,
monti ha varcati la barca a miriadi.
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Guardando la cascata del monte Lu
Purpureo fuma al sole l'Incensiere,
vedo lassù di fronte la cascata.
Tremila piedi vola giù il torrente,
come dal nono cielo la Via Lattea.
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Il tuo nome
Il tuo nome è una rondine nella mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.
Un solo unico movimento delle labbra.
Il tuo nome sono cinque lettere.
Una pallina afferrata al volo,
un sonaglio d’argento nella bocca.

Un sasso gettato in un quieto stagno
singhiozza come il tuo nome suona.
Nel leggero suono degli zoccoli notturni
il tuo nome rumoroso rimbomba.
E ce lo nomina lo scatto sonoro
del grilletto contro la tempia.

Il tuo nome – ah, non si può! –
Il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo.
Marina Ivanovna Cvetaeva
consigliata da Carmen

Torre della Gru Gialla: addio a Meng Haoran che va a Guangling
L'amico lascia a ponente la torre,
nel marzo in fiore giù verso Yangzhou.
Sola si perde la vela nel blu,
soltanto in cielo il Fiume Lungo scorre.
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

A Wang Lun
Sopra il battello Li Bai sta partendo,
all'improvviso ode da riva un canto.
È il lago Taohua profondo tanto,
non quanto di Wang Lun il sentimento.
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Nostalgia notturna
Luce lunare splende innanzi al letto,
come se brina ci fosse per terra.
Su alzo il capo, la luna contemplo,
giù chino il capo, penso alla mia terra.
Li Bai
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Rifugio tra i bambù
All'ombra dei bambù siedo da solo,
il liuto suono e canto a piena voce.
Nel bosco fitto, alla gente nascosto,
la luna chiara viene a darmi luce.
Wang Wei
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Filastrocca della Pace
Filastrocca su tutta la terra
Del bimbo che piange
in un paese di guerra
del mendicante che ha sete e ha fame
e chiede soltanto un tozzo di pane.
Filastrocca dell’abbondanza
Di chi ha i soldi e si riempie la panza
Di chi non smette di lavorare
pur di comprarsi una villa al mare.
Filastrocca della produzione
Dell’operaio che stringe il bullone
Dell’industriale che può star male
Per una perdita del suo capitale.
Filastrocca per tutto il mondo
voglio i bambini in un gran girotondo
voglio che cantino su tutta la terra
vogliamo la pace e aboliamo la guerra.
Francesco Pistillo 27.12.06
consigliata da Tinti Baldini

Versi d'occasione
Tu vieni dalla mia nativa terra,
gli avvenimenti ne devi sapere.
Quando partivi, innanzi alla finestra,
il gelido susino era già in fiore?
Wang Wei
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Nove settembre: nostalgia per i fratelli ad est delle montagne
Solo vivo ospite in terra straniera,
ancor più penso ai miei cari a ogni festa.
So che là tra i fratelli sulla vetta
manca il fior di corniolo ad una testa.
Wang Wei
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

A Yuan Ershi che parte per l’ovest
All'alba spolvera Weicheng la pioggia,
nitida la locanda, vivo il salice.
Ti prego di svuotare un'altra coppa,
nessun amico a ponente oltre il valico
Wang Wei
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Pensiero amoroso
Nasce nel regno del sud l'abro rosso,
in primavera cresce rigoglioso.
Coglierne ti sia dato a più non posso,
in sé figura il pensiero amoroso.
Wang Wei
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Guardando la neve sul Zhongnan
Del Zhongnanè stupendo il lato nord,
sopra le nubi il nevaio galleggia.
Splende l'azzurro sereno sul bosco,
sulla città il freddo intenso aleggia.
Zu Yong
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Rimorso di fidanzata
La fidanzata non conosce pena,
adorna in primavera sulla torre.
Del salice ecco laggiù la vermena,
ha rimorso per lui che a gloria corre.
Wang Changling
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Alba di primavera
Non sente l'alba il sonno a primavera,
d'uccelli ovunque risuonano canti.
Di vento e pioggia stanotte bufera,
fiori saran caduti chissà quanti.
Meng Haoran
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Su per la Torre della Cicogna
Il giorno chiaro oltre i monti scompare,
il Fiume Giallo verso il mare scorre.
Se mille li al di là vuoi guardare,
sali ancora d'un piano sulla torre.
Wang Zhihuan
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Canto di Liangzhou
Nel fulgido bicchiere vin gagliardo,
a bere incita il liuto sul cavallo.
Non ridere se ubriaco giaccio in campo:
quanti mai dalla guerra ritornarono?
Wang Han
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Dalla terrazza di Youzhou
Non vedo l'uomo dell'antichità,
non vedo alcuno che lo seguirà.
L'infinità di cielo e terra sento,
e spargo lacrime solo e sgomento.
Chen Ziang
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Ritorno al paese natio
Partii ragazzo, invecchiato ritorno,
con immutato accento, ma canuto.
Ridono i bimbi venendomi intorno:
da dove viene questo sconosciuto?
He Zhizhang
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

Passando il fiume Han
Notizie mi mancavano oltre il monte,
s'alternavano inverni e primavere.
Cresce tornando al paese il timore,
fare domande non oso alla gente.
Song Zhiwen
Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

di solito così
ad ogni nato di donna è stato concesso l’amore
ma fra impieghi entrate e il resto
giorno per giorno s’inaridisce il terreno del cuore.
sul cuore è infilato il corpo.
sul corpo la camicia.
e come se non bastasse
un tale - idiota! -
ha fabbricato i polsini
e ha intriso d’amido lo sparato.
verso la vecchiaia ci si ripensa di soprassalto.
la donna s’imbelletta
l’uomo di sbraccia come un mulino
- metodo mueller.
ma è tardi.
la pelle moltiplica le rughe.
l’amore fiorisce un po’
fiorisce un po’
e s’aggrinza...
a piena voce - amo
Vladimir Majakovskij, da "Amo"
consigliata da Sandro Sermenghi
 

Lode all'oca
Un'oca, un'oca, un'oca,
col collo curvo verso il cielo canta.
Bianche le piume sopra la verde acqua,
rosse le zampe nella limpida onda.
Luo Binwang

Da Quarantuno poesie Tang
tradotte e consigliate da Liu Liting e Letterio Cassata

I Muri
Senza riguardo senza pietà senza pudore
mi drizzarono contro grossi muri.
Adesso sono qua che mi dispero.
Non penso a altro: una sorte tormentosa;
con tante cose da sbrigare fuori!
Mi alzavano muri, e non vi feci caso.
Mai un rumore una voce, però, di muratori.
Murato fuori dal mondo e non vi feci caso.
Konstantinos Kavafis 1863/1933
trad. M. Dalmàti e N. Risi
consigliata da Giovanna Valenti

La passeggiata
– Andiamo?
– Andiamo pure.

All’arte del ricamo,
fabbrica di passamanterie,
ordinazioni, forniture.
Sorelle Purtarè
Alla città di Parigi.
Modes, nouveauté.
Benedetto Paradiso
successore di Michele Salvato,
gabinetto fondato nell’anno 1843.
Avviso importante alle signore!
La beltà del viso,
seno d’avorio,
pelle di velluto.
Grandi tumulti a Montecitorio.
Il presidente pronunciò fiere parole,
tumulto a sinistra, tumulto a destra.
Il gran Sultano di Turchia aspetta.
La pasticca del Re Sole.
Si getta dalla finestra per amore.
Insuperabile sapone alla violetta.
Orologeria di precisione.
93
Lotteria del milione.
Antica trattoria « La pace »,
con giardino,
fiaschetteria,
mescita di vino.
Loffredo e Rondinella
primaria casa di stoffe,
panni, lana e flanella.
Oggetti d’arte,
quadri, antichità,
26
26A.
Corso Napoleone Bonaparte.
Cartoleria del progresso.
Si cercano abili lavoranti sarte.
Anemia!
Fallimento!
Grande liquidazione!
Ribassi del 90%
libero ingresso.
Hotel Risorgimento
e d’Ungheria.
Lastrucci e Garfagnoni,
impianti moderni di riscaldamento:
caloriferi, termosifoni.
Via Fratelli Bandiera
già via del Crocifisso.
Saldo
fine stagione,
prezzo fisso.
Occasione! Occasione!
Diodato Postiglione
scatole per tutti gli usi di cartone.
Inaudita crudeltà!
Cioccolato Talmone.
Il più ricercato biscotto.
Duretto e Tenerini
via della Carità.
2. 17. 40. 25. 88.
Cinematografo Splendor,
il ventre di Berlino,
viaggio nel Giappone,
l’onomastico di Stefanino.
Attrazione! Attrazione!
Cerotto Manganello,
infallibile contro i reumatismi,
l’ultima scoperta della scienza!
L’addolorata al Fiumicello,
associazione di beneficenza.
Luigi Cacace
deposito di lampadine.
Legna, carbone e brace,
segatura,
grandi e piccole fascine,
fascinotti,
forme, pine.
Professor Nicola Frescura:
state all’erta giovinotti!
Camicie su misura.
Fratelli Buffi,
lubrificanti per macchine e stantuffi.
Il mondo in miniatura.
Lavanderia,
Fumista,
Tipografia,
Parrucchiere,
Fioraio,
Libreria,
Modista.
Elettricità e cancelleria.
L’amor patrio
antico caffè.
Affittasi quartiere,
rivolgersi al portiere
dalle 2 alle 3.
Adamo Sensi
studio d’avvocato,
dottoressa in medicina
primo piano.
Antico forno,
Rosticcere e friggitore.
Utensili per cucina,
Ferrarecce.
Mesticatore.
Teatro Comunale
Manon di Massenet,
gran serata in onore
di Michelina Proches.
Politeama Manzoni
il teatro dei cani,
ultima matinée.
Si fanno riparazioni in caloches.
Cordonnier
Deposito di legnami.
Teatro Goldoni
i figli di nessuno,
serata popolare.
Tutti dai fratelli Bocconi!
Non ve la lasciate scappare!
29
31
Bar la stella polare.
Assunta Chiodaroli
levatrice,
Parisina Sudori
rammendatrice.
L’arte di non far figlioli.
Gabriele Pagnotta
strumenti musicali.
Narciso Gonfalone
tessuti di seta e di cotone.
Ulderigo Bizzarro
fabbricante di confetti per nozze.
Giacinto Pupi,
tinozze e semicupi.
Pasquale Bottega fu Pietro
calzature...

– Torniamo indietro?
– Torniamo pure.


Aldo Palazzeschi (1885-1974)
consigliata da Sandro Sermenghi

Nel crepuscolo
Oh cuore logoro in età logorata,
sciogliti dalle reti della ragione e del torto;
ridi mio cuore ancora nel crepuscolo
grigio, sospira ancora, mio cuore,

nella rugiada del mattino. Tua madre
Eire è sempre giovane, rugiada che risplende
e crepuscolo grigio; sebbene la speranza
da te si fugga e l'amore decada, bruciando

nei fuochi di una lingua maldicente.
Vieni, mio cuore, dove i colli s'ammucchiano sui colli:
perchè la fratellanza mistica del sole e della luna,
della valle e del bosco, del fiume e del ruscello

laggiù regna sovrana; e Dio suona il suo corno solitario,
e il tempo e il mondo sono sempre in fuga; e l'amore
è meno dolce del crepuscolo grigio, e la speranza
è meno cara della rugiada del mattino.
William Butler Yeats
consigliata da Aurelia Tieghi

Un mantello
Feci al mio canto un mantello
coperto coi ricami delle antiche
mitologie, dai piedi fino al collo;
ma gli sciocchi
lo presero per loro, lo indossarono
davanti agli occhi del mondo
quasi che loro l'avessero cucito.
Canzone, lascia pure
che se lo tengano, perchè
ci vuole più coraggio a camminare nudi.
William Butler Yeats
consigliata da Aurelia Tieghi

Il più bello dei mari
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
Nazim Hikmet
Consigliata da Pierluigi Ciolini

Mio signore
M'illudo ,non so,a volte
oh raramente! Sento invisibili
mani passare sulla fronte
e liberarmi dolcemente
da tristi pensieri.
Allora non sono solo
a sopportare la lunga notte?
David Maria Turoldo
Consigliata da Tinti

Elegia
La goccia vista nelle tre metà
è l'unica nostra
sostanza esterrefatta.

Il giallo soffre
"ogni pino..ogni pino"
fermati ,tu sei tra di te.

Ruote che
si sottraggono lentamente
al gelo,umiltà
di una porta.
Milo de Angelis
Consigliata da Tinti

Versi scritti nella cella
Della Rocca di Mantova


Tre amici un dì senza misura
Alla pazienza mia dier forte un crollo.
Una flussione ai denti, un reuma al collo,
Ed una maledetta infreddatura.
Ma quale rocca, cui cingon forti mura
La stette salsa, ed io col torcicollo,
Gonfia la faccia e rauco come un pollo
Me la passava con disinvoltura.
Ma quando nel mio nero bugigattolo
Venne il dottor con due di questi tangheri.
" Ohè un bel colpo d'aria" a dir " stia riparata".
Io che qui d'aria non ne sento un fiato
Peggio che fossi chiuso in un barattolo
Lì lì allor fui per uscir fuori dei gangheri.
Com'uom che in preda a duro morbo il viso
Sparuto, rabbuffata abbia la chioma
Nel lampeggiar degli occhi; e nel sorriso
La gran alma dimostri ancor non doma;
Così per lungo carcere conquiso
E dai dolori per la gran soma
Delle membra il vigor debile io sento
Ma il pensierè vulcan che non èspento.
Carlo Poma
Consigliata da Il Gabbiano

Poma, Carlo. Patriota, nato a Mantova nel 1823 giustiziato a Belfiore, presso Mantova, il 7 dicembre 1852. Studiò medicina ed esercitò per qualche anno la sua professione nella città natale in qualità di medico nell'ospedale civico; ma la sua maggiore attività fu da lui spesa per la preparazione rivoluzionaria contro gli Austriaci. Fece parte del comitato segreto mazziniano diretto da Enrico Tazzoli, e la sua casa fu il deposito generale dei libri proibiti e la sede di riunione dei congiurati per le adunanze. Negli anni successivi alla rivoluzione del '48 e '49, quando gli animi erano ancora infiammati, e più si accendevano per i suplizi del Doottesio a Venezia.
Il 17 giugno 1852 fu arrestato sotto l'accusa di alto tradimento, di relazioni settarie, di diffusione di libelli incendiari e finanche di aver voluto la morte del commissario di polizia Filippo Rossi di Lodi.
Condannato a morte fu impiccato sullo spalto di Belfiore.
Alla sua memore, a Mantova gli è stato intestato il grande Ospedale Carlo Poma.
Il Gabbiano
 

Gli offesi
In ordine di carestia gli indigenti furono allineati
In ordine di collera i sediziosi furono esaminati
In ordine di buona coscienza i maestri furono giudicati
In ordine di offesa gli umiliati furono interrogati
In ordine di ferita i crocefissi furono considerati
In questa estrema miseria i muti erano in prima linea
Tutto un popolo di muti rimaneva sulle barricate
Il loro desiderio di parola era talmente urgente
Che il verbo venne loro incontro dalle strade
Il fardello di cui era carico fu così pesante
Che il grido <<fuoco>> gli esplose dal cuore
In forma di parola.
Anne Hébert (Sainte-Catherine-de-Fossambault 1916 - Montreal 2000)
(dal libro: "Poeti con nome di donna")
consigliata da Aurelia Tieghi

Gli indios scendono da Mixco
Gli indios scendono da Mixco,
carichi di azzurro oscuro
e la città li riceve
con le strade spaventate
da un mazzo di luci
che come stelle si spengono
appena giunge il mattino.

Un rumore di cuori lasciano
le loro mani che remano
come due rami al vento;
dei loro piedi rimangono,
come tele sottili, le orme
nella polvere della strada.

Le stelle che si affacciano
su Mixco, a Mixco rimangono,
perché gli indios le colgono
per canestri che empiono
di galline e corone
bianche di izote dorato.

è più silenziosa la vita
degli indios che la nostra,
e quando scendono a Mixco
si ode solo l'ansimare,
sibilo, a volte, sulle loro labbra
come un serpente d'argento.
Miguel Angel Asturias
consigliata da Flavio (Flv.)

Elegia del tempo a Mary

Noi non saremo più quei due
che si abbracciano soli nelle ultime
file di sedie al cinema,che ridono
che si cercano nel buio arcuato dei giardini
sotto le euforbie e gli alberi del pepe
che stanno ore a parlare sulle panchine
azzurre ,si carezzano aspettando l'autobus
sotto le colonne delle pensiline.
Non più vasti aquiloni o pescherecci
isolani ci guarderanno al largo i baci.
Questo passato, come è facile
per noi dire ieri,Mary!
Niente ritornerà ,nè le passeggiate
per il corso Roosvelt,nè il vestitino
celeste che le tue gambe magrissime
tagliavano quasi, nè il mio sguardo
geloso ,ossessionato.Niente.C'era
un tempio promesso ,e non l'abbiamo
cercato.Dove andremo ora?
Non si devono sognare eterni gli amanti.
Eterno è quando il tempo finisce,
quando saremo sconosciuti,lontano.
Ma abbiamo camminato tanto mano per mano!
Non potremo continuare un po' ancora
per vedere ,restando insieme, l'essenza dell'aurora
su una strada che una sabbia di luce spazza
come quella deserta a Sud di Aswan?
Te la ricordi?

E' semplicissima ,lineare ma proprio per questo struggente.
Giuseppe Conte
Consigliata da Tinti Baldini

Mio padre così parco di parole
una vita col mare a sovrastarlo
e lui puntuale a ritornare a galla
ad onta degli oceani attraversati
non imparò mai a nuotare eppure
si salvò ogni volta tenendosi
stretto alla ciambella di salvataggio
quella sua docilità lasciatami
in retaggio di affidarsi a Dio.
Rodolfo Carelli
Consigliata da Tinti Baldini

Nacchera
Nacchera
nacchera
nacchera
scarabeo sonoro.

Nel ragno della mano
arricci l'aria
calda
e ti strozzi nel tuo trillo
di legno.

Nacchera
nacchera
nacchera
scarabeo sonoro.
Federico Garcia Lorca
Consigliata da Aurelia Tieghi

Il mare
è il Lucifero dell'azzurro.
Il cielo caduto
per voler essere la luce.
Povero mare condannato
a eterno movimento
dopo aver conosciuto
la calma del firmamento!

Ma nella tua amarezza
ti redense l'amore.
Partoristi Venere pura
e la tua profondità
restò vergine, senza dolore.
Le tue tristezze sono belle,
mare di spasimi gloriosi.
Ma oggi invece di stelle
hai verdi polipi.

Sopporta la tua sofferenza,
formidabile Satana.
Cristo camminò sopra di te
e lo fece anche Pan.
La stella Venere è
l'armonia del mondo.
Taccia l'Ecclesiaste!

Venere è il profondo
dell'anima...
... E l'uomo miserabile
è un angelo caduto.
La terra è probabile
Paradiso perduto.
Federico Garcia Lorca
Consigliata da Aurelia Tieghi

A giorni alterni sono io la Luna
e tu l'immensa Terra che mi attira,
e questa notte tu sei la Luna
- io ti tengo al guinzaglio -
So che mi stai sognando, mi accarezzi,
i globuli lo sanno del mio sangue
ogni mio nervo teso come un arco,
o un'arpa eolia che vibra al respiro.
Maria Luisa Spaziani
Consigliata da Beatrice Zanini

Alberi nudi dentro un tempo nudo
sul cielo del paese di mia Madre.
Dove s’ingorga l’acqua nei canali
tra l’erba rinsecchita
e la vita s’attorce nella bruma
con mani disperate. […]
Maria Luisa Spaziani
Consigliata da Beatrice Zanini

Canto degli ultimi partigiani
Sulla spalletta del ponte
le teste degli impiccati.
Nell'acqua della fonte
la bava degli impiccati.

Sul lastrico del mercato
le unghie dei fucilati.
Sull'erba secca del prato
i denti dei fucilati.

Mordere l'aria mordere i sassi
la nostra carne non èpiù d'uomini.
Mordere la terra mordere i sassi
il nostro cuore non èpiù d'uomini.

Ma noi s'è letta negli occhi dei morti
e sulla terra faremo libertà
ma l'hanno stretta i pugni dei morti
la giustizia che si farà.
Franco Fortini
Consigliata da Tinti

Cronache
Visti di scorcio nel passar del treno fummo detti felici tutti un giorno.
Azzurro il cielo,azzurro il mare intorno
il luccichio di latta di un baleno.

Solo un cavallo bianco in mezzo al prato
ogni voce passava al suo passato.
Alfonso Gatto
Consigliata da Tinti

A lungo durerà il mio viaggio
A lungo durerà il mio viaggio
e lunga è la via da percorrere.
Uscii sul mio carro ai primi albori
del giorno, e proseguii il mio viaggio
attraverso i deserti del mondo
lasciai la mia traccia
su molte stelle e pianeti.

Sono le vie più remote
che portano più vicino a te stesso;
è con lo studio più arduo che si ottiene
la semplicità d'una melodia.

Il viandante deve bussare
a molte porte straniere
per arrivare alla sua,
e bisogna viaggiare
per tutti i mondi esteriori
per giungere infine al sacrario
più segreto all'interno del cuore.

I miei occhi vagarono lontano
prima che li chiudessi dicendo:
"Eccoti!"..
Il grido e la domanda: "Dove?"
si sciolgono nelle lacrime
di mille fiumi e inondano il mondo
con la certezza: "Io sono!".
Rabindranath Tagore
Consigliata da Simone Magli


Sei
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Nazim Hikmet
Consigliata da Simone Magli

Piove nel sonno mio, piove sul fiume
ove rimpicciolito il grande amico
aspetta tutto pieno di parole.
Sandro Penna
Consigliata da Tinti

Il mio cielo
Oh, giorni di ieri che in processione d'oblio
il mio tesoro portate verso le stelle
non prenderete posto nel celeste coro
che dovrà cantare sul mio eterno nido?
Oh, Signore della vita, solo ti chiedo
che quel passato che piango
mi ritorni infine, fatto cerchio sonoro,
a darmi il conforto del mio bene perduto.
Rivivere quel che ho vissuto è il mio anelito
non vivere di nuovo la nuova vita:
fa' che verso un eterno ieri intraprenda
il mio volo e mai giunga alla partenza,
giacché, o Signore, non hai altro cielo
che colmi la misura della mia gioia.
M. de Unamuno
Consigliata da Carmen L.

El remordimiento
Ho commesso il peggiore dei peccati
che possa commettere un uomo.
Non sono stato felice.
Che i ghiacciai della dimenticanza
possano travolgermi, disperdermi senza pietà.
I miei mi generarono per il gioco
arrischiato e stupendo della vita,
per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Li defraudai. Non fui felice. Compiuta
non fu la loro giovane volontà. La mia mente
si applicò alle simmetriche ostinatezze
dell’arte, che intesse nullerie.
Mi trasmisero valore. Non fui valoroso.
Non mi abbandona. Mi sta sempre a fianco
l’ombra d’esser stato un disgraziato.
Jorge Louis Borges
Consigliata da Wilma

Finitezza
Finitezza che conduce
sfinitezza all'infinito
e per quanto intestardisce
non lo coglie l'assoluto.
Ogni calcolo un azzardo
che suppone di capire
sopraffatto in un istante
dal continuo divenire.
Solo di flagranza un filo
addolcito di stupore
la speranza evanescente
che rimescola le ore.
Gian Manlio Gianturco
Consigliata da Tinti Baldini

Dalla soglia di un sogno
Dalla soglia di un sogno mi chiamarono...
Era la buona voce, la voce amata.
- Dimmi, verrai con me a vedere l'anima?
Una carezza mi raggiunse il cuore.
- Sempre con te... ed avanzai nel sogno,
per una lunga, spoglia galleria;
sentii sfiorarmi la sua veste pura
e il palpito soave della mano amica.
Antonio Machado
 consigliata da Wilma
 

Le passanti
Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.
A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.
Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.
A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.
Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.
Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.
Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.
Fabrizio De André
Consigliata da Massimo Reggiani
 
Les passantes
Je veux dédier ce po ème
A toutes les femmes qu'on aime
Pendant quelques instants secrets
A celles qu'on connaît à peine
Qu'un destin différent entraîne
Et qu'on ne retrouve jamais
A celle qu'on voit apparaître
Une seconde à sa fenêtre
Et qui, preste, s'évanouit
Mais dont la svelte silhouette
Est si gracieuse et fluette
Qu'on en demeure épanoui
A la compagne de voyage
Dont les yeux, charmant paysage
Font paraître court le chemin
Qu'on est seul, peut-être, à comprendre
Et qu'on laisse pourtant descendre
Sans avoir effleuré sa main
A celles qui sont déjà prises
Et qui, vivant des heures grises
Près d'un être trop différent
Vous ont, inutile folie,
Laissé voir la mélancolie
D'un avenir désespérant
Chères images aperçues
Espérances d'un jour déçues
Vous serez dans l'oubli demain
Pour peu que le bonheur survienne
Il est rare qu'on se souvienne
Des épisodes du chemin
Mais si l'on a manqué sa vie
on songe avec un peu d'envie
A tous ces bonheurs entrevus
Aux baisers qu'on n'osa pas prendre
Aux cœurs qui doivent vous attendre
Aux yeux qu'on n'a jamais revus
Alors, aux soirs de lassitude
Tout en peuplant sa solitude
Des fantômes du souvenir
On pleure les lèvres absentes
De toutes ces belles passantes
Que l'on n'a pas su retenir
Antoine Pol

 

Oggi ventuno marzo
Oggi ventuno marzo entra l'Ariete
nell'equinozio e picchia la sua
testa maschia contro alberi e rocce
e tu amore stacchi
ai suoi colpi il vento d'inverno
dal tuo orecchio inclinato
sull'ultima mia parola. Galleggia
la prima schiuma sulle piante, pallida
quasi verde e non rifiuta
l'avvertimento. E la notizia corre
ai gabbiani che s'incontrano
fra gli arcobaleni: spuntano
scrosciando il loro linguaggio
di spruzzi che rintoccano
nelle grotte. Tu copri il loro grido
al mio fianco, apri il ponte
fra noi e le raffiche
che la natura prepara sottoterra
in un lampo privo di saggezza,
oltrepassi la spinta dei germogli.
Ora la primavera non ci basta.
Salvatore Quasimodo
Consigliata da Carmen L.

Sei
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Nazim Hikmet
Consigliata da Simone Magli

Inno alla bellezza
Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall'abisso, Beltà?
Il tuo sguardo, infernale e divino,
versa, mischiandoli, beneficio e delitto:
per questo ti si può comparare al vino.

Riunisci nel tuo occhio il tramonto e l'aurora,
diffondi profumi come una sera di tempesta;
i tuoi baci sono un filtro, la tua bocca un'anfora,
che rendono audace il fanciullo, l'eroe vile.

Sorgi dal nero abisso o discendi dagli astri?
Il Destino incantato segue le tue gonne come un cane:
tu semini a casaccio la gioia e i disastri,
hai imperio su tutto, non rispondi di nulla.

Cammini sopra i morti, Beltà, e ridi di essi,
fra i tuoi gioielli l'Orrore non èil meno affascinante
e il Delitto, che sta fra i tuoi gingilli più cari,
sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

La farfalla abbagliata vola verso di te, o candela,
e crepita, fiammeggia e dice: "Benediciamo questa fiaccola!".
L'innamorato palpitante chinato sulla bella
sembra un morente che accarezzi la propria tomba.

Venga tu dal cielo o dall'Inferno, che importa,
o Beltà, mostro enorme, pauroso, ingenuo;
se il tuo occhio, e sorriso, se il tuo piede, aprono per me
la porta d'un Infinito adorato che non ho conosciuto?

Da Satana o da Dio, che importa?
Angelo o Sirena, che importa se tu
– fata dagli occhi vellutati, profumo, luce, mia unica regina –
fai l'universo meno orribile e questi istanti meno gravi?
Charles Baudelaire
Consigliata da Simone Magli
 

Amo il mare
Amo il mare

il mare dell'immensità
sconfinata
dell'azzurro profondo
rotto solo dall'onda
che si rompe
sommessa sulla battigia
o si frange aggressiva
sugli scogli.

solo "quel"mare.
Liliana Rasetti
Consigliata da Tinti

Foglio di via
Dunque nulla di nuovo da questa altezza
dove ancora un poco senza guardare si parla
e nei capelli il vento cala la sera.

Dunque nessun cammino per discendere
se non questo del Nord dove il sole non tocca
e sono d'acqua i rami degli alberi.

Dunque fra poco senza parole la bocca
e questa sera saremo in fondo alla valle
dove le feste han spento tutte le lampade.

Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.
Franco Fortini
Consigliata da Tinti

La rassegna di Novara
… "Calma, severa, tacita, compatta
Ferma in arcione, gravemente incede
La prima squadra, e dietro al Re s'accampa
In chiuse file. Pendono alle stelle,
lungo le staffe nitide, le canne
delle temute carabine. Al lume
delle stelle il lampeggiar le sguainate
sciabole. Brillan di sanguigne tinte
i purpurei pennacchi, erti ed immoti
come bosco di pioppe irrigidito.
Del Re custodi e della legge,schiavi
Sol del dover, usi obbedir tacendo
E tacendo morir, terror de rei,
modesti ignoti eroi, vittime oscure
e grandi, anime salde in salde membra,
mostra nei volti austeri, nei sicuri
occhi, nei larghi lacerati petti,
fiera, indomata la virtù latina.
Risonate tamburi, salutate,
aste e vessilli. Onore, onore ai prodi
Carabinieri!..."
Costantino Nigra

Giancarlo Mambor, ha conclusione di brevi note commemorative, ci ricorda che Costantino Nigra è stato il creatore del motto di cui vanno fieri tutti i Carabinieri "… usi obbedir tacendo e tacendo morir…." Infatti, il Nigra nella sua attivissima vita si è distinto anche per una cospicua ed eclettica produzione letteraria, tra cui nel 1875 " La Rassegna di Novara", carme celebrativo sull'epopea dal 1849, in cui compaiono i calibri versi che unitamente a " Nei secoli fedeli" rappresentano il blasone dell'Arma e compendiano i valori dell'essere Carabiniere. Il Gabbiano
Consigliata da Il Gabbiano

Gabbiano
Ascolta gabbiano,
aspetta un momento, un attimo solo !
Sono io che ti chiamo,
sono io che rapita,
guardandoti in volo
invano le mani protendo
a prenderti l'ali...
Oh gabbiano, potessi io
lontano volare,
perdermi in orizzonti perlati,
potessi come te seguire l'onda
di mari infiniti,
cullarmi nel cielo coi venti !
Potessi io, ubriaca di sole
vagare stordita,
gustare appagata lo spazio
nei mari e nei cieli
e riprendere vita.
Esther Ciulla
Consigliata da Tiziana Cocolo

Nebbia
Rapida nebbia.

Un disco bianco
nel cielo nero
compare
scompare.

Fitta la neve
su di noi
Ive Balsamo
Consigliata da Tinti

La poesia
Dagli albori del secolo si discute
se la poesia sia dentro o fuori.
Dapprima vinse il dentro, poi contrattaccò duramente
il fuori e dopo anni si addivenne a un forfait
che non potrà durare perché il fuori
è armato fino ai denti.
Eugenio Montale
Consigliata da Wilma

Rosso e azzurro
Ho atteso che vi alzaste
colori dell'amore
e ora svelate un'infanzia di cielo.

Porge la rosa più bella sognata.
Giuseppe Ungaretti
Consigliata da Tinti Baldini

Autunno a Knokke Zoute
Il gabbiano volteggia, alacre scolta
sui lavori forzati dell'oceano.
Contro la diga ulula e spumeggia
l'onda dal vasto fiato.

Si affievolisce,padre,la tua voce
che innervava le antiche primavere.
Sul prato di smeraldo la tua croce
stende coltri di lava.

Una sola fatica ormai m'incalza
un gioco eccelso,l'ultima avventura:
tradurre i tuoi messaggi quando suona
l'albero,l'acqua ,il vento sull'altura.
Maria Luisa Spaziani
Consigliata da Tinti

Da "Monologo" - I
Vita che non osai chiedere e fu,
mite, incredula d'essere sgorgata
dal sasso impenetrabile del tempo,
sorpresa, poi sicura della terra,
tu vita ininterrotta nelle fibre
vibranti, tese al vento della notte...

Era, donde scendesse, un salto d'acque
silenziose, frenetiche, affluenti
da una febbrile trasparenza d'astri
ove di giorno ero travolto in giorno,
da me profondamente entro di me
e l'angoscia d'esistere tra rocce
perdevo e ritrovavo sempre intatta.

Tempo di consentire sei venuto,
giorno in cui mi maturo, ripetevo,
e mormora la crescita del grano,
ronza il miele futuro. Senza pausa
una ventilazione oscura errava
tra gli alberi, sfiorava nubi e lande;
correva, ove tendesse, vento astrale,
deserto tra le prime fredde foglie,
portava una germinazione oscura
negli alberi, turbava pietre e stelle.

Con lo sgomento d'una porta
che s'apra sotto un peso ignoto, entrava
nel cuore una vertigine d'eventi,
moveva il delirio e la pietà.
Le immagini possibili di me,
passi uditi nel sogno ed inseguiti,
svanivano, con che tremenda forza
ti fu dato di cogliere, dicevo,
tra le vane la forma destinata!
Quest'ora ti edifica e ti schianta.
L'uno ancora implacato, l'altro urgeva -
con insulto di linfa chiusa i giorni
vorticosi nascevano da me,
rapidi, colmi fino al segno, ansiosi,
senza riparo n'ero trascinato.
Fosti, quanto puoi chiedere, reale,
la contesa col nulla era finita,
spirava un tempo lucido e furente,
senza fine perivi e rinascevi,
ne sentivi la forza e la paura.
Una disperazione antica usciva
dagli alberi, passava sulle tempie.
Vita, ne misuravi la pienezza.
Mario Luzi
Consigliata da Carmen

Forse un mattino andando in un’aria di vetro
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Eugenio Montale
Consigliata da Carmen

Imagine
Immagina che non esista il Paradiso
non èdifficile se ci provi
che non esista sotto di noi l'Inferno
solo il cielo sopra di noi.

Immagina che tutta la gente
viva per il presente.

Immagina che non esistano più i paesi
che non èpoi così difficile da pensare
che non ci sia più nulla per cui uccidere o morire
e che non ci sia nemmeno una religione.

Immagina che tutti possano vivere in pace.

Tu puoi dirmi che io sono un sognatore
ma non sono l'unico a sognare.

Spero che un giorno tu possa unirti a noi
e il mondo possa essere unito
immagina che non esistano più proprietà
chissà se riesci a farlo?
Che non si sia più bisogno di avidità e fame.

Immagina tutta la gente che si divide il mondo
John Lennon
Consigliata da Tinti

Agave
Polipo pietrificato

Metti cinghie di cenere
al ventre dei monti
e denti formidabili
alle gole dei monti.

Polipo pitrificato
Federico Garcìa Lorca
Consigliata da Tinti

L'amore?
L'amore? Sia semplice. Facile.
Senza scopi.
Un gesto d'assenso.
La vita come festa
e poi un gioco.

Ripullula di Dio
e gli somiglia.

L'amore? Se è vuoto, senz'appoggi
conduce molto lontano.
Regala il mondo
perchè il mondo non esiste.
Brucia, tuttavia
ma neanche il fuoco esiste.

Come la non-vita
Come la non-morte.

Rinaldo Sandri - Trento
Consigliata da Fata Morgana

Di che è mancanza
Di che è mancanza questa mancanza,
cuore,
che a un tratto ne sei pieno?
Di che? Rotta la diga
t'inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza.
Viene,
forse viene,
da oltre te
un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c'è, ne custodisce forza e canto
la musica perpetua... ritornerà.
Sii calmo.
Mario Luzi
Consigliata da Carmen

Attesa
Oggi che t'aspettavo non sei venuta
e la tua assenza so quel che mi dice
la tua assenza che tumultuava
nel vuoto che hai lasciato
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi
quale un estivo temporale
s'annuncia e poi s'allontana
così ti sei negata alla mia seta.
L'amore ,sul nascere, ha di
questi improvvisi pentimenti.
Silenziosamente ci siamo intesi
amore,amore,come sempre
vorrei coprirti di fiori e d'insulti.
V. Cardarelli
-Consigliata da Tinti Baldini-

Dasein
Un giorno
un nome
non un perchè
nè un come.
Venne fuori così
come si viene
piccola morte espulsa
dal suo seme
gettata nel mondo
fece un buco
pesava troppo
edè rimasta bruco.
Geraldina Colotti
-Consigliata da Tinti Baldini-

Pater
Tu stai camminando coi miei passi
ti chini con le mie spalle
muovi le mani e il capo ,si prolunga
nella mia vita la tua vita,
la tua vita autunnale.

Scopro in me la presenza di mio padre
in me rivive l'impronta della sua figura
quel modo di girarsi, di gestire
delicate,minute le ossa del cranio.

E' segno indubitabile:s'annuncia
la stagione dolente,figlio padre
Fatti cuore ,il commiato è vicino
non essere impaziente.
Vico Faggi
-Consigliata da Tinti Baldini-

La terra e la morte.
E allora noi vili
che amavamo la sera,
bisbigliante, le case
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto
noi strappammo le mani
della viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero del fiume
non piu servi sapemmo
di essere soli e vivi.
Cesare Pavese (Da "Le poesie del disamore").
-Consigliata da Tinti-

Il bambino che gioca
Il bambino smise di giocare
e parlò al vecchio come un amico
il vecchio lo udiva raccontare
come una favola la sua vita.

Gli si facevano sicure e chiare
cose che mai aveva capito
prima lo prese paura e poi calma
il bambino seguitava a parlare..
Franco Fortini
-Consigliata da Tinti-

Sono una creatura
Come questa pietra
del S.Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

la morte
si sconta
vivendo
Giuseppe Ungaretti
-consigliata da Maria Attanasio-

Ali spezzate
farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza
del mio petto un sepolcro
per le tue pene
Ti amerò come le paterie amano la primavera
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole
Canterò il tuo nome come la valle
canta l'eco delle campane
ascolto il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde
Kahlil Gibran
-Consigliata da Amos Sivieri-

Lettera
Padre, il mondo ti ha vinto giorno dopo giorno
come vincerà me che ti somiglio.

Padre di magre risa, padre di cuore bruciato
padre,il più triste dei miei fratelli, padre.

Il tuo figliolo ancora trema del tuo tremore
come quel giorno d'infanzia di pioggia e paura.

Pallido tra le urla buie del rabbino contorto
perdevi di mano le zolle sulla cassa di tuo padre.

Ma quello che tu non dici devo io dirlo per te
al trono della luce che consuma i miei giorni.

Per questo è partito tuo figlio ed ora insieme ai compagni
cerca le strade bianche di Galilea.
Franco Fortini
-Consigliata da Tinti-

Zenit
Tutti quei rimpianti
Quei giardini sconfinati
Dove modula il rospo un tenero grido d'azzurro
La cerva del silenzio sperduto rapida passa
Un usignolo straziato dall'amore canta sul
Tuo corpo giardino di rose che ho colto
I nostri cuori pendono uniti dallo stesso melograno
E i fiori di granato nei nostri sgurdi schiusi
Cadendo poco a poco hanno coperto il sentiero
Apollinaire
-Consigliata da Amos Sivieri-

Sedere a una tavola ignota.
Dormire in un letto non mio.
Sentire la piazza già vuota
gonfiarsi in un tenero addio.
Sandro Penna
-Consigliata da Tinti-

Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.
Jorge Luis Borges
-Consigliata da Anileda Xeka-

Amoroso auspicio
Né l'intima grazia della tua fronte luminosa come una festa
né il favore del tuo corpo, tuttora arcano e tacito e fanciullesco,
né l'alternarsi delle tue vicende in parole o in silenzi
saranno offerta così misteriosa
come rimirare il tuo sonno coinvolto
nella veglia delle mie braccia.
Di nuovo miracolosamente vergine per la virtù assolutoria del sonno,
serena e splendente come fausto ricordo trascelto,
mi offrirai quella sponda della tua vita che tu stessa non possiedi.
Proiettato nella quiete,
scorgerò quella riva estrema del tuo essere
e ti vedrò forse per la prima volta
quale Iddio deve ravvisarti,
annullata la finzione del Tempo,
senza l'amore, senza di me.
Jorge Luis Borges
-Consigliata da Anileda Xeka-

Non perdere mai la speranza nell’inseguire i tuoi Sogni,
perché c’e’ un’unica creatura che può fermarti,
e quella creatura sei tu.
Non smettere mai di credere in te stessa e nei tuoi sogni.
Non smettere mai di cercare,
tu realizzerai sempre ogni cosa ti metterai in testa.

L’unico responsabile del tuo successo
o del tuo fallimento sei tu, ricordalo…
ogni pensiero o idea pronunciata a voce alta viaggia nel vento,
la voce corre nell’aria, cambiandone il corso.
Se sei brava da udire abbastanza,
tu potrai ascoltare l’eco di saggezze
e conoscenze lontane nel tempo e nello spazio.
Tutto il sapere del mondo e’ a disposizione di chiunque sia disposto
a credere e a voler ascoltare.

La libertà e’ una scelta che soltanto tu puoi fare:
tu sei legata soltanto dalle catene delle tue paure.
Non e’ mai una vera tragedia provare e fallire,
perché prima o poi si impara, la tragedia e’
non provarci nemmeno per paura di fallire.

Mentre noi possiamo orientare
le nostre mosse verso un obiettivo comune,
ognuno di noi deve trovare la sua strada,
perché le risposte non possono essere trovate
seguendo le orme di un’altra persona….
Se tu puoi compiere grandi cose quando gli altri credono in te,
immagina ciò che puoi raggiungere
quando sei tu a credere in te stessa.
Peter O’Connor, da "Ali sull’oceano"
-Consigliata da Faraon Gianna-

Neve sul fiume
Su mille cime si dilegua
degli uccelli il volo.
Su diecimila vie muore

degli uomini la traccia.
In solitaria barca, un vecchio,
manto di giunco e tesa di bambù,
nella neve e nel gelo
del fiume, solo, pesca…
Liu Tsung-yuan
-Consigliata da Anileda Xeka-

Addio a primavera
Di giorno in giorno
invecchiamo invano.
Anno per anno
la primavera torna.
Rallegriamoci ancora
al vino della coppa;
a che piangere i fiori
che volano.
Wang Wei
-Consigliata da Anileda Xeka-

Il vento della valle
Vivendo ritirato di là dal mondo
Godendomi in silenzio l’isolamento
Stringo di più la corda della mia porta,
Tappo la mia finestra con bulbi e felci.
L’animo mio s’intona alla primavera,
Al finire dell’anno ho l’autunno in cuore.
Così, copiando i mutamenti cosmici
La mia casa diventa un universo.
Lu Yun
-Consigliata da Anileda Xeka-

Tu che ritorni
Lo sai , tu che ritorni a visitarmi,
nell'angolo tranquillo della notte,
tu che ti muovi nella sfumatura chiara
nell'ombra limitare della mia veglia,

lo sai, tu che quest'ora di mistero
mi è beata dividerla con te
duplice ed una storia, viva arteria,
dell'essere che sei, che sono,che siamo.

lo sai che questo nodo (sangue , polvere
spirito puro)è qui la mia parabola,
figlia a trovare in te ristoro e sonno,
madre a raccoglierti nel mio riposo,

perchè sia dolce chiudere le ciglia
e addormentarci immensamente insieme,
perchè il risveglio sia un cantare eterno
e non un miserere ma un osanna.
Giosi Lippolis
(a mia madre)
Per Maria Attanasio
-Consigliata da Tinti Baldini-

Incredibile della serva
Le ho regalato la mia sottana a pois
le ho prestato il mio bambino che la colmi di ossi duri
con dolore le ho messo nella branda i miei barboncini
l'ho lasciata lavare ciò che a nessuno lascerei vedere
ho permesso alla sua mano i miei cristalli le mie porcellane
l'ho liberata da fidanzati lune rosse amiche uccelli
l'ho riscattata dalla fame da erbacce e selvatiche intemperie
e mi guarda furiosa adesso, tutta rossa,
resta sdraiata, ben felice, aperta,
le parlo edè come se parlassi a mille venti,
come gode la pazza, coi capelli sulla faccia.
E adesso dovrò fare tutto io
perchè alla negra immonda viene in mente
di buttarsi dal balcone senza chiedere permesso.
Julio Huasi (Argentina)
-consigliata da Aurelia Tieghi-

Poesia
Giovedì passato nell'atmosfera amichevole
della tua conversazione. Sulla tovaglia,
i dolci piatti, il coltello all'erta,
la voglia di mangiare.

La voglia pure di parlare un poco,
di tutto, di qualunque cosa, di niente.
Di piangere tagliando la cipolla
e di ridere giusto nel cucchiaio.

Le tue mani esperte, tiepide di verdura,
ed il grembiule che sempre si rovina
proprio lì, che rabbia!
Di nuovo
hanno aumentato il pane, eh? Che problema!

Che problema, moglie mia, che problema,
toccare l'aria di questo giovedì pulito!
Guardarsi il petto scandalo di vita!
Sentire nel tuo ventre il figlio come cresce!
E il resto, lo aggiusteremo a poco a poco.
Juan Gelman (Argentina)
-consigliata da Aurelia Tieghi-

L'immortalità
Poeta Omar, pupilla solitaria
che vede e splende, che contempla e crea,
diceva avanti il mausoleo di Caria:
«Non mescerai la polvere all'idea!
Misero te, cui nella rupe piace
scoprir la bianca faretrata dea!
e te che il fosco eroe dalla fornace
susciti vivo sopra il suo cavallo
che ringhia! Il tempo che cammina e tace,
rode il tuo marmo, lima il tuo metallo.

Tra mille, tra duemila anni, tra poco,
l'eroe sarà nella volante arena,
sarà la dea ne' grappoli di fuoco!
Misero! Ma quest'opera serena,
fatta d'anima pura e di parole,
beltà dal tempo e dalla morte ha lena:
vive la vita lucida del sole».

«Dunque morrà!» rispose Abdul, quïeta
pupilla, su cui getta ombre il fulgore
del cielo immenso: «Il sol morrà, poeta!
Quando? Tu conta i bàttiti al tuo cuore:
secoli sono i palpiti del sole;
ma sono, istanti e secoli, a chi muore,
o poeta, una cosa e due parole!»

Disse. E al poeta il breve inno non piacque
mai più. Godé del cielo egli e del suolo,
di brevi rose e brevi trilli; e tacque.
Moriva; e disse, mentre un usignolo
cantava ancora ne' verzieri suoi:
«Giova ciò solo che non muore, e solo
per noi non muore, ciò che muor con noi».
Giovanni Pascoli (da Primi Poemetti)
-Consigliata da Fabian-

Non perdere mai la speranza nell’inseguire i tuoi Sogni,
perché c’e’ un’unica creatura che può fermarti,
e quella creatura sei tu.
Non smettere mai di credere in te stessa e nei tuoi sogni.
Non smettere mai di cercare,
tu realizzerai sempre ogni cosa ti metterai in testa.

L’unico responsabile del tuo successo
o del tuo fallimento sei tu, ricordalo…
ogni pensiero o idea pronunciata a voce alta viaggia nel vento,
la voce corre nell’aria, cambiandone il corso.
Se sei brava da udire abbastanza,
tu potrai ascoltare l’eco di saggezze
e conoscenze lontane nel tempo e nello spazio.
Tutto il sapere del mondo e’ a disposizione di chiunque sia disposto
a credere e a voler ascoltare.

La libertà e’ una scelta che soltanto tu puoi fare:
tu sei legata soltanto dalle catene delle tue paure.
Non e’ mai una vera tragedia provare e fallire,
perché prima o poi si impara, la tragedia e’
non provarci nemmeno per paura di fallire.

Mentre noi possiamo orientare
le nostre mosse verso un obiettivo comune,
ognuno di noi deve trovare la sua strada,
perché le risposte non possono essere trovate
seguendo le orme di un’altra persona….
Se tu puoi compiere grandi cose quando gli altri credono in te,
immagina ciò che puoi raggiungere
quando sei tu a credere in te stessa.
Peter O’Connor, da "Ali sull’oceano"
-Consigliata da Faraon Gianna-

Un grido alla vita
Le mani in alto
le gambe aperte.
Una canna di fucile che lo punta.
Se per caso
gli avvenisse di battere le palpebre
è un uomo morto.

Le mani dietro
impiccate con catene lucenti.
Gli occhi bendati.
Alcuni artigli
che guidano il suo rastrello
all'angolo che mai dovrà dimenticare.

Quattro mura
fredde e putrescenti
i carnefici
circondano la sua carne spoglia
meditando da dove
strappargli qualche parola.

Chissà forse le braccia appese dietro
fino a staccargliele dallo scheletro
potrebbe essere efficace.

Oppure immergere la sua testa
nella profondità dell'oceano notturno
potrebbe risultare meglio.

O forse qualche filo metallico
infilato in sanguinanti piaghe
potrebbe essere un successo.

E può darsi che
giocare alla roulette russa
risulti divertente
per strappargli finalmente
qualche parola.

Pensandoci meglio..
un bastone, un fucile
o un membro virile
forzato brutalmente nelle sue viscere
chissà non porti alla promozione desiderata.

Lui, lei , loro
agonizzanti prigionieri
sudano lacrime e sangue
sempre
sempre afferrati dalla vita.

Alla resistenza di donne e uomini torturati in prigione:molti persero la vita.
Milagros Chavez Gonzales( detenuta politica in Perù)
-Consigliata da Tinti Baldini-

Come sono pesanti i giorni,
a nessun fuoco posso riscaldarmi,
tutto è vuoto,
tutto è freddo e senza pietà.
le care limpide stelle,
mi guardano senza conforto,
da quando ho appreso,
nel mio cuore
che anche l'amore
può morire
Federico Garcia Lorca
-poesia consigliata da Amos Sivieri-

Tempo reale
Uomini tutti eguali
nei giorni fuggenti
la morte incalza
con lucifera astuzia.
Per inermi cretini
tempo cerca riparo
tra pagine
mai scritte.
Ettore Le Donne.
-Consigliata da Tinti Baldini-

1057.
La gioia d'ogni giorno

io guardavo distratta
finché la vidi scuotersi,
crescere (e l'inseguivo),

poi dietro ad un'altura
svanire dal mio sguardo,
immensa oltre ogni dire,
e solo allora seppi valutarla.
Emily Dickinson
- consigliata da Carmen -

Donna che apre riviere
Sei donna di marine
donna che apre riviere.
L'aria delle mattine
bianche è la tua aria
di sale e sono vele
al vento,sono bandiere
spiegate a bordo l'ampie
vesti tue così chiare.
Giorgio Caproni
-consigliata da Tinti Baldini-

Nella partita giocata
A occhi bendati
se vince chi sa aspettare
o si illude,
chi crede di vincere
una posta inesistente

e ha cominciato a piovere
aghi freddi
che complicano le cose
girando attorno al mondo,
ora si attende
una condizione migliore
per sostituire quella sbilanciata prospettiva.
Gregorio Scalise
-consigliata da Tinti Baldini-

È quel che è
è assurdo
dice la ragione
è quel che è
dice l’amore.

è infelicità
dice il calcolo
non è altro che dolore
dice la paura
è vano
dice il giudizio
è quel che è
dice l’amore.

è ridicolo
dice l’orgoglio
è avventato
dice la prudenza
è impossibile
dice l’esperienza
è quel che è
dice l’amore.
Erich Fried
- consigliata da Wilma -

Viaggio con un fantasma
Viaggio con un fantasma adesso
perchè la gente non vuole vedere
in carne ed ossa un ramo così spoglio
come la natura fa di me.

E così visito incorporee
strane cupe famiglie spesso in dissidio
e mi chiedo se la coscienza umana
sia uno degli errori di Dio.

E dopo incontro te e mi calmo
e penso che se fosse un errore
come alcuni han detto, sarebbe allora
uno di quelli che riesco a tollerare.
Thomas Hardy
-Consigliata da Tinti-

Il condor
Io sono il condor, volo
su di te che cammini
e d'improvviso in un giro
di vento, penna, artigli,
ti assalto e ti innalzo
in un ciclone sibilante
di freddo tempestoso.

Alla mia torre di neve,
alla mia tana nera,
ti porto e sola vivi,
e ti copri di penne,
e voli sopra il mondo,
immobile, nell'alto.

Donna condor, saltiamo
su questa preda rossa,
straziamo la vita
che passa palpitando
e innalziamo uniti
il nostro volo selvaggio.
Pablo Neruda ( da: "I versi del Capitano" )
-Consigliata da Aurelia Tieghi-

Non amano la luce
Certo, adesso non amano la luce
e nemmeno c'è una luce
che li ha amati:
zoppicavano in una rissa becera
tra pochi anni e l'eterno.
E l'eterno ha perso.
Chiunque tu sei,
dismetti la certezza che la vita
è stata il loro
momento migliore.
Mario Santagostini
-Consigliata da Tinti-

Sei tanto lontano
                        da non poterti raggiungere
o senza avvedermene
                        ti ho oltrepassato…
uscito dalla parabola
                        tu o io dall’inseguimento?
o l’uno e l’altro al sommo
della sua inesistenza,
                               l’uno e l’altro al punto
più alto
            di unità
e di non differenza,
                              equiparati
in tutto
            da reciproco annullamento,
in tutto, in tutto, compiutissimamente?
M. Luzi, L’Opera Poetica, I Meridiani Mondadori, pag. 696
-Consigliata da Wilma-

Il cerchio d'acqua
torna al lago
la piaga si fa crosta.
Katia Raspollini
-Consigliata da Tinti-

Sei bella come...
Sei bella come
è bello il prato tenero dietro l'arcobaleno
nel tacito meriggio d'acqua e sole,
come i riccioli della primavera
nel sole dell'aurora,
l'avena fine della staccionata
contro il sole calante dell'estate,
come i tuoi occhi verdi e il mio riso vermiglio,
Il mio profondo cuore e il mio amoroso palpito.
Juan Ramon Jimenez
-Consigliata da Wilma-

Notte
Cero, lucerna
lampione e lucciola.

La costellazione
della sera.

Finestrelle d'oro
tremano,
e nell'aurora dondolano
croci sovrapposte.

Cero, lucerna,
lampione e lucciola.
Garcia Lorca
-Consigliata da Tinti-

Lapide
Mamma
sai di erba
rimane acerba
la poesia che il marmo riserva
all'angelo che ti rifiuta come ancella.
Geraldina Colotti
-Consigliata da tinti baldini-

Poesia patata
Oggi ho piantato poesie
sterco,lama,seme:
un campo la mia pagina
una vanga la mia penna.

Capezzoli verdi ne verranno fuori
uno alla volta
fiori bianchi, coi loro centri
come sputi di sole.

Voi che asoltate,basta a oziare,
raccogliete piuttosto i vostri attrezzi
e consegnateli ai poeti d'Irlanda
e arate di nuovo la terra irlandese
altrimenti resterete
senza patate e senza versi.
Michael Hartnett
-Consigliata da Tinti-
 

 
 Sikur të isha më pak
Sikur të kuptoja më pak,
Më pak do të isha.

Do më mjaftonte buka e zezë
Dhe errësira e syrit.

Gjumin do e bëja pa gërrvishje,
pa vetvrasje shpirtin.

Do të kisha marrë medalje
Për heshtjet prej ari.

Nënshtrimi do të bëhej karrigeja
E dhjamit tim të përgjumur.

Më pak do të vuaja,
Po të isha më pak.
Nazmi Roli
-Consigliata da Anileda Xeka-
 
Se fossi di meno
Se capissi di meno,
Di meno sarei.

Mi basterebbe il pane nero
E il buio degli occhi.

In sonno farei senza graffi
Senza suicidio l’anima.

Avrei preso medaglie
Per il mio silenzio d’oro

La sottomissione diverrebbe la sedia
Del mio grasso assopito

Di meno soffrirei,
Se fossi di meno
Nazmi Roli
-Traduzione di Anileda Xeka-
Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e ...
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che non possono esserti date
poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta.
Rainer Maria Rilke
-Consigliata da Anileda Xeka-

Francesca
Arrivavi nella notte
e c'erano fiori tra le tue mani
ora arriverai da una confusione di gente
da un chiasso di parole su di te.

Io che ti avevo vista tra le cose primeve
m'infuriavo a sentirti nominare
in posti qualsiasi.
Magari mi scorressero onde fresche nella mente
e il mondo si seccasse come foglia morta
o come guscio di soffione per sciogliersi in aria
così da ritrovarti di nuovo,
sola.
Ezra Pound
-Consigliata da Tinti-

Di Narciso
Colui che soggiorna in quest'acqua
senza maschera,visse nel raggiro
e la morte,per scherzo lo rigira
come il dito di un guanto alla rovescia.
J.Cocteau
-Consigliata da Tinti-

Parlerò di ricci
.
"Di un riccio
io parlo
parlo di un verme
s'insinua scivolando lento
diciassette anni
fa
nel Colorado
c'era
un fiume
senza sirene
nessun annuncio di sventura
cristo afflitto
afflizione di cristo
l'imbrunire del giorno
il giorno dell'imbrunire
prateria:
vento verde la prateria
una vecchia scarpa
e
un bambino
dimenticati…//…"***"…//lei dice
voglio un bambino
voglio pure
una villa
per le vacanze
se tutto fosse vero
i miti
sarebbero più ardenti dei bisbigli d'amore
il mondo
si frantuma in innumerevoli schegge
impossibile ricomporlo
ali di cicala
sorridono
il vento
si placa fino a tacere
dalla pianta dei piedi s'insinua su lungo il midollo
la donna
le dita come lunghe lame
occhi freddi
guarda la sua creatura
lui fa/farfuglia ba
balbetta
racconta una lunga sfilza di storie
non una che abbia sostanza//"
***
" Straniero tu sei, a questo condannato per sempre
non hai un paese, una patria, non conosci la nostalgia.
Niente famiglia e responsabilità
basta pagare le tasse
Ogni città ha il suo municipio
ogni famiglia la sua padrona di casa,
ogni dogana il suo doganiere
Nessuna eccezione!
Eppure errabondo tu
di paese in paese
di città in città
di donna, in donna
te ne vai senza meta
Neppure la briga di scegliere/…/"…
Gao Xingjiang - Premio Nobel per la Letteratura 2000.
-Consigliata da Paolo Santangelo-

Elementare
E c'è che vorrei il cielo elementare
azzurro come i mari degli atlanti
la tersità di un indice che dica
questa è la terra,il blu che vedi è il mare.
Pierluigi Cappello
-Consigliata da Tinti-

Serra ogni porta
chiude ogni spiraglio
caccia ogni paura
salva il tuo spirito
e muore ogni emozione
Michela Montemurro
-Consigliata da Tinti Baldini-

Primo amore
Era una notte urbana
rosa e sufurea era la poca luce
dove,come da un muoversi dell'ombra,
pareva salisse la forma.

Era una notte afosa
quando improvvise vidi zanne viola
in un'ascella che fingeva pace.

Da quella notte nuova e infelice
e dal fondo del mio sangue straniato
schiavo loro mi fecero segreti.
Giuseppe Ungaretti (1929)
-Consigliata da Tinti-

Vola alta, parola cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza...

La cosa o la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?
Mario Luzi
-Consigliata da Wilma-

[ Il giorno più felice ]
Il giorno più felice - l'ora più felice
questo mio inaridito cuore ha già conosciuto ;
ogni più alta speranza di trionfo e d'orgoglio
sento ch'è fuggita via.

Trionfo ? Oh sì, così fantasticavo ;
ma da gran tempo svanirono ormai
le visioni di quel mio giovanile tempo -
e sia pur così.

E quanto a te, orgoglio, che dirti ?
Erediti pure un'altra fronte
quel veleno che approntasti per me -
Ora acquetati, o mio spirito.

Il giorno più felice - l'ora più felice -
che quest'occhi avrebbero visto - hanno già visto,
il rifulgente sguardo di trionfo e d'orgoglio
sento che è spento ormai.

Ma mi fosse pur riofferta quella speranza
di trionfo e d'orgoglio, e con la pena
che allora avvertivo - quella fulgente ora
io non vorrei riviverla :

giacché oscure scorie erano su quelle ali
e, al loro agitarsi, una maligna essenza
ne pioveva - fatale per un'anima
che già l'ha conosciuta.
Edgar Allan Poe
(da : " Tutte le Poesie " ; GTE - Newton -)
- consigliata da Giuliano da Rocca del Santo -

Fratelli
Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli
Giuseppe Ungaretti
-Consigliata da Gippo Lopez-

Ulisse
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d'onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d'alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l'alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.
Umberto Saba
-Consigliata da Gippo Lopez-

Morte nell’oblio
Io so che esisto
perché tu mi immagini.
Sono alto perché tu mi credi
alto, e chiaro perché tu mi guardi
con occhi buoni,
con sguardo chiaro.
Il tuo pensiero mi rende
intelligente, e nella tua semplice
tenerezza, anch’io sono semplice
e buono.
Ma se tu mi dimentichi
morirò senza che nessuno
lo sappia. Vedranno vivo
il mio corpo, ma sarà un altro uomo
- oscuro, goffo, cattivo - colui che l’abiterà...

Traduzione di Gabriele Morelli
Poesia n. 228 Giugno 2008
Ángel González
Altro tempo verrà diverso da questo
a cura di Gabriele Morelli
Crocetti Editore 2008
-Consigliata da Carmen-

Strade
Inutile chiedersi che lago protetto da aironi
si trovava nell’altra vallata,
o rimpiangere i canti del bosco
che non avevo attraversato.
Inutile chiedersi dove
potevano portare altre strade,
dato che portavano altrove;
poichéè solo qui e ora
la mia vera destinazione.
è dolce il fiume nella tenera sera
e tutti i passi della mia vita mi hanno
portata a casa.

Traduzione di Giorgia Sensi
Poesia n. 228 Giugno 2008
Voci dal Galles - Seconda Parte
a cura di Patrick McGuinness e Giorgia Sensi
Crocetti Editore 2008
-Consigliata da Wilma-

Continuità
Nulla è mai veramente perduto, o può essere perduto,
nessuna nascita, forma, identità - nessun oggetto del mondo,
né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
l'apparenza non deve ingannare, né l'ambito mutato confonderti il cervello.
Vasti sono il tempo e lo spazio - vasti i campi della Natura.
Il corpo lento, invecchiato, freddo - le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo,
la luce degli occhi divenuta tenue, torneranno puntualmente a risplendere;
il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;
alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera,
con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.
Walt Whitman
-Consigliata da Carmen-

Il Lampo
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì e si chiuse, nella notte nera.
Giovanni Pascoli
-Consigliata da David Cecchini-

Bambino,
se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento
Alda Merini
-Consigliata da Ida Guarracino-

Armonia della sera
Già s'avvicina l'ora che trepido ogni fiore
come un vaso d'incenso svapora sullo stelo;
solcano effluvi e musiche la sera senza velo;
malinconico valzer, delirante languore!

Ogni fiore svapora trepido sullo stelo;
il violino geme come un afflitto cuore;
malinconico valzer, delirante languore!
Come un altare immenso è triste e bello il cielo.

Il violino geme come un afflitto cuore,
un mite cuore, ch'odia il nulla vasto e gelido!
Come un altare immenso è triste e bello il cielo;
nel suo sangue rappreso il sole immoto muore.

Un mite cuore, ch'odia il nulla vasto e gelido,
dei bei giorni che furono raccoglie ogni bagliore;
nel suo sangue rappreso il sole immoto muore....
Il tuo ricordo in me brilla come un cimelio.
Charles Baudelaire
-Consigliata da Wilma-

Da "la terra e la morte"
Sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t'ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell'estate.
Cesare Pavese
-Consigliata da Tinti Baldini-

I progettisti sgobbano
curvi sui tavoli da disegno:
una cifra sbagliata e le città del nemico
restano incolumi.
Bertolt Brecht
-Consigliata da Tinti Baldini-

Inno
Al mattino, al meriggio, al fosco crepuscolo -
tu hai udito il mio inno, Maria!
In affanno e letizia - nel bene e nel male -
tu, madre di Dio, ancora rimani con me!
Quando più liete per me scorrevan le Ore,
e non una nuvola oscurava il moi cielo,
la tua grazia trepida guidava a te
l'anima mia perché non si smarrisse ;
e ora che il Destino per me più addensa
le sue tempeste e in me confonde presente
e passato fa' che almeno risplenda il futuro
e per me irraggi dolce speranza di te !
Edgar Allan Poe [da : " Tutte le Poesie " ; GTE - Newton -]
- Consigliata da Giuliano da Rocca del Santo -

Pari agli dei mi sembra
quell’uomo: innanzi a te
siede e tanto vicino sente la tua voce
dolce,
il desiato riso. Oh, a me
il cuore sbatte forte e si spaura.
Ti scorgo, un attimo, e non ho
più voce;
la lingua è rotta; un brivido
di fuoco è nelle carni,
sottile; agli occhi il buio; rombano
gli orecchi.
Cola sudore, un tremito
mi preda. Più verde d’un’ erba
sono, e la morte così poco lungi
mi sembra…
Saffo
-Consigliata da Arcangela Cammalleri-

Io come sono solo sulla terra
Io come sono solo sulla terra
coi miei errori,i miei figli, l'infinito
caos dei nomi ormai vacui e la guerra
penetrata nell'ossa!Tu che hai udito
un tempo il mio tranquillo passo nella
sera degli Archi a Livorno,a che invito
cedi-perchè tu o padre mio la terra
abbandoni appoggiando allo sfinito
mio cuore l'occhio bianco?.Ah padre, padre
quale sabbia coperse quelle strade
in cui insieme fidammo!Ove la mano
tua si allentò,per l'eterno ora cade
come un sasso tuo figlio-ora è un umano
piombo che il petto non sostiene più.
Giorgio Caproni
-Consigliata da Tinti Baldini-

Sogni
Oh, fosse un lungo sogno questo mio tempo
giovanile ! Se più non mi destassi finché il raggio
di un'Eternità non mi recasse il mattino !
Foss'anche un sogno pieno d'affanni,
pur sempre più l'amerei che quest'oscuro
mio vivere diurno : e per uno, poi, il cui cuore
sempre fu invece, su questa terra di gelo,
e fin dal suo nascere, ardente groviglio e caos !

Ma pur se un tal sogno d'eterna durata -
come per me fanciullo furono i sogni -
ancora mi fosse concesso - ora follia
sarebbe sperare in un più alto cielo!
Giacché io mi beai, mentre splendeva a me il sole
in estivi cieli, di sogni di vivida luce
e, incurante, lasciai che il mio immaginare -
lontano, con strani esseri forgiati
dal pensiero. - Che altro avrei visto, altrimenti ?

Fu solo una volta, e mai più svanirà da me
quell'attimo indicibile - fu per magia
che m'aveva avvinto - e un gelido vento
m'investì nella notte - e m'impresse, ritirandosi,
la sua immagine. - O fu la luna, che si posò
sul mio sonno dal suo alto meriggio? Troppo fredda,
fredda. - O le stelle? Come che fosse, fu il sogno
simile a quel vento notturno. - Ma non più, ora.

Fui felice allora - benché solo in un sogno.
Fui felice allora - e ora m'è caro indugiarvi.
Sogni ! Coi loro vividi colori di vita -
come in quell'umbratile, nebuloso contrastare
fra realtà e parvenze, che all'occhio delirante
più dilettose immagini arreca d'amore e paradiso
- e tutte nostre ! - che non quelle che la giovane
speranza conobbe nella sua ora più solare.
Edgar Allan Poe [da "Tutte le poesie"; GTE - Newton -]
- Consigliata da Giuliano da Rocca del Santo -

Gridasti: soffoco
Non potevi dormire, non dormivi...
Gridasti: Soffoco...
Nel viso tuo scomparso già nel teschio,
gli occhi, che erano ancora luminosi
solo un attimo fa,
gli occhi si dilatarono... si persero...
Sempre ero stato timido,
ribelle, torbido; ma puro, libero
felice rinascevo nel tuo sguardo...
Poi la bocca, la bocca
che una volta pareva, lungo i giorni,
lampo di grazia e gioia,
la bocca si contorse in lotta muta...
Un bimbo è morto...

Nove anni, chiuso cerchio,
nove anni cui né giorni, né minuti
mai più s'aggiungeranno:
in essi s'alimenta
l'unico fuoco della mia speranza.
Posso cercarti, posso ritrovarti,
posso andare, continuamente vado
a rivederti crescere
da un punto all'altro
dei tuoi nove anni.
Io di continuo posso,
distintamente posso
sentirti le mani nelle mie mani:
le mani tue di pargolo
che afferrano le mie senza conoscerle;
le tue mani che si fanno sensibili,
sempre più consapevoli
abbandonandosi nelle mie mani;
le tue mani che diventano secche
e, sole - pallidissime -
sole nell'ombra sostano...
La settimana scorsa eri fiorente...

Ti vado a prendere il vestito a casa,
poi nella cassa ti verranno a chiudere
per sempre. No, per sempre
sei animo della mia anima, e la liberi.
Ora meglio la liberi
che non sapesse il tuo sorriso vivo:
provala ancora, accrescile la forza,
se vuoi - sino a te, caro! - che m'innalzi
dove il vivere è calma,è senza morte.

Sconto, sopravvivendoti, l'orrore
degli anni che t'usurpo,
e che ai tuoi anni aggiungo,
demente di rimorso,
come se, ancora tra di noi mortale,
tu continuassi a crescere;
ma cresce solo, vuota,
la mia vecchiaia odiosa...

Come ora, era di notte,
e mi davi la mano, fine mano...
spaventato tra me e me m'ascoltavo:
è troppo azzurro questo cielo australe,
troppi astri lo gremiscono,
troppi e, per noi, non uno familiare...

(Cielo sordo, che scende senza un soffio,
sordo che udrò continuamente opprimer
mani tese a scansarlo...)
Giuseppe Ungaretti
-Consigliata da Gippo Lopez-

Due
Uomo e donna si guardano supini nel letto:
i due corpi si stendono grandi e spossati.
L'uomo è immobile ,solo la donna respira più a lungo
e ne palpita il molle costato.Le gambe distese
sono scarne e nodose,nell'uomo.Il bisbiglio
della strada coperta di sole è alle imposte.

L'aria pesa impalpabile nella grande penombra
e raggela le gocce di vivo sudore
sulle labbra.Gli sguardi delle teste accostate
sono uguali ma più non ritrovano i corpi
come prima abbracciati.Si sfiorano appena.

Muove un poco le labbra la donna,che tace.
Il respiro che gonfia il costato si ferma
a uno sguardo più lungo dell'uomo.E la donna
volge il viso accostandogli la bocca alla bocca.
Ma lo sguardo dell'uomo non muta nell'ombra.

Gravi e immobili pesano gli occhi negli occhi
al tepore dell'alito che ravviva il sudore
desolati.La donna non muove il suo corpo
molle e vivo.La bocca dell'uomo s'accosta.
Ma l'immobile sguardo non muta nell'ombra.
Cesare Pavese
-Consigliata da Tinti Baldini-

No non aggiungerò
No non aggiungerò nuova legna
al fuoco lasciamo
che la legna che già c'è si consumi
a poco a poco
che la vampa si trasformi a poco a
poco in brace
ed io e te zitti-seduti
uno a fianco all'altro-dal fondo
buio della sal a guardare
spegnersi finalmente
anche quella.
Giorgio Bassani, da "In rima e senza"
-Consigliata da Tinti Baldini-

Poesia
E poi son solo. Resta
la dolce compagnia
di luminose ingenue bugie.
Sandro Penna
-Consigliata da Tinti Baldini-
 

Nuotatore
Dormiva...?
               Poi si tolse e si stirò.
Guardò con occhi lenti l'acqua. Un guizzo
il suo corpo.
                 Così lasciò la terra.
Sandro Penna
-Consigliata da Tinti Baldini-

Scuola
Negli azzurri mattini
le file svelte e nere
dei collegiali.Chini
su libri poi.Bandiere
di nostalgia campestre
gli alberi alle finestre.
Sandro Penna
-Consigliata da Tinti Baldini-





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